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Gli Stati Uniti autorizzano i droni a guida autonoma senza controllo umano

Negli Stati Uniti l’Agenzia Federale per l’Aviazione FAA approva i voli di droni a guida autonoma, senza il controllo dell’uomo. Un’evoluzione che apre nuovi margini di sviluppo produttivo del settore dei droni commerciali, con un mercato del valore di 100 miliardi di dollari, ma allo stesso tempo rende necessaria una normativa innovativa per la gestione dello spazio aereo.  

La prima azienda ad ottenere l’autorizzazione è l’American Robotics, con la concessione di far volare il quadricottero Scout System, dotato di intelligenza artificiale, “oltre la diretta osservazione umana” (Beyond-Visual-Line-of-Sight, BVLOS), senza essere pilotato manualmente, in maniera autonoma.

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Droni a guida autonoma: ricerca e sviluppo e indagini di mercato

Un’autorizzazione consentita “nell’interesse pubblico”, come sottolinea la FAA nel documento ufficiale prodotto dal Dipartimento dei Trasporti e della Sicurezza dell’aviazione USA. I droni, infatti, saranno utilizzati soprattutto per finalità di ricerca e sviluppo, addestramento e indagini di mercato, in aree rurali, alla luce del giorno, nelle zone a basso traffico e ad un’altitudine inferiore a 120 metri.

“Un’autorizzazione del genere avviene nell’ambito circoscritto della sperimentazione, paragonabile a quanto sta accadendo nel settore dell’automotive a guida autonomaesordisce Luca Mastroianni, co-founder di Getadroner ed esperto del settoreSi tratta di una doppia innovazione, soprattutto.

È la prima fase di utilizzo dei droni per scopi commerciali, oltre la diretta visione dell’uomo, ovvero senza un pilot in command (PIC). La concessione della FAA apre notevoli opportunità dal punto di vista commerciale, in termini di produttività, perché riesce ad immaginare un collegamento aereo per ispezioni, ricerca, delivery, senza la presenza dell’uomo. È un’occasione enorme di efficientamento, inoltre, perché permette di realizzare missioni continue”.

droni a guida autonoma - Luca Mastroianni

Luca Mastroianni, Co-Founder Getadroner

Le opportunità del nuovo scenario

Nuovi scenari di utilizzo, ma anche tre diverse sfide, secondo Mastroianni: tecnologiche, regolamentari e di responsabilità.  “Una competizione hi-tech, in primis. Approvare questo test significa che la tecnologia ha sviluppato sensori avanzati di “situational awareness” per verificare la presenza di ostacoli sul percorso e offrire informazioni su come aggirarli, simili a quelli delle auto a guida autonoma, inseriti di recente anche in alcuni smartphone – continua Luca Mastroianni – Sarà una verifica attuata su corridoi individuati, definiti, da uno specifico punto A di partenza ad una destinazione B, dove tutto è controllato per rendere operativi i droni. In questo caso specifico, sarà indispensabile l’implementazione del nuovo sistema di monitoraggio del traffico aereo UTM (Unmanned Traffic Management) a pilotaggio da remoto. Attualmente lo spazio aereo è regolato da controllori e torri che autorizzano. Il volo autonomo potrebbe far crescere la circolazione di droni, la cui gestione non può essere più manuale. Indispensabile, quindi, un sistema scalabile, che superi il processo di controllo dell’essere umano. Ci sono diversi progetti negli States e in Europa impegnati su questo fronte, tra cui U-Space per la sicurezza e l’automazione, la cui finalità è regolare l’accesso sicuro ed efficiente dei droni nello spazio aereo”.

droni a guida autonoma

La terza sfida prioritaria consisterebbe anche nella responsabilità legale e nella predisposizione di un quadro normativo. “Cosa accade quando non c’è più un uomo al comando, ma il volo è pilotato da un algoritmo? Chi è il responsabile? Pone un interrogativo enorme sotto il profilo assicurativoinsiste Mastroianni – Chi restituisce il danno? Quindi l’azione della FAA negli Stati Uniti va inquadrata come una sperimentazione a cui anche l’Italia partecipa. L’effetto sarà una crescita commerciale, ma è inverosimile immaginare il volo nei cieli senza norme e limiti, perché si rischierebbero collisioni con altri oggetti volanti, ultraleggeri o paracadute. I rischi sono enormi, il presupposto della diffusione dei droni è subordinato ad una nuova regolamentazione dello spazio aereo”.

Le linee guida della FAA in USA

La Federal Aviation Administration FAA, nel definire le linee guida, i limiti e le condizioni per l’autorizzazione all’American Robotics, prevede anche la presenza di un pilota da remoto in comando (PIC) per ogni volo di un aereo senza pilota (UAS), chiamato a garantire la sicurezza durante l’intera fase di volo e ad intervenire in caso di emergenza, oltre a conservare tutte le informazioni.

La possibilità di disporre di dati critici durante le ispezioni, potrebbe provocare un effetto economico positivo, secondo la FFA, in particolare su agricoltura, trasporti, estrazione mineraria, tecnologia, con una riduzione dell’impatto ambientale.

Il PIC remoto dovrà controllare il piccolo drone autonomo, per determinare che si trovi in condizione di funzionamento sicuro, attraverso un’ispezione preliminare, e in un ambiente operativo considerando i rischi per persone e cose nelle immediate vicinanze sia in superficie che in aria, incluse le condizioni meteorologiche, lo spazio aereo locale ed eventuali limitazioni al volo. Washington però chiarisce che questa autorizzazione non è valida per le operazioni al di fuori degli Stati Uniti.

 

La Cina ridimensiona i giganti fintech e intanto Jack Ma torna in un video

  • Cosa bolle nella pentola dell’attualità finanziaria cinese? Una lotta tra titani, da una parte i Big del Fintech dall’altra il governo di Xi Jinping
  • Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, che si era improvvisamente eclissato dopo un “vivace” botta e risposta tra Ant Group e gli organi di controllo bancari, è ora comparso in un breve video

 

Se in Occidente è il “caso WhatsApp” a tenere banco, in Cina l’attualità finanziaria vive un momento di incertezza relativa alla stabilità dei giganti della tecnologia. Di contorno, la misteriosa “spy story” che ha coinvolto Jack Ma.

Dov’era finito Jack Ma

Partiamo da qui: Jack Ma, il fondatore di Alibaba nonché quarto uomo più ricco della Repubblica Popolare Cinese, si è eclissato dalla scena pubblica per quasi tre mesi. A novembre sarebbe dovuto comparire come giudice finale di Africa’s Business Heroes, un TV show da lui stesso ideato. Dopo questa lunga e pesante assenza, è tornato a mostrarsi in un video rivolto agli insegnanti delle zone rurali.

Cina è pronta a ridimensionare i giganti fintech

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Nel frattempo, il fondatore del gigante tecnologico cinese è stato sostituito dall’Executive Vice Chairman del gruppo Alibaba, che ha giustificato il cambio di programma last minute con un “conflitto di programmazione”. Questo non ha fatto altro che suscitare ulteriori dubbi sull’assenza dalla scena pubblica di Mr. Ma. Perché?

Jack Ma, Alibaba e l’antitrust cinese

Il 24 dicembre 2020 le autorità antitrust cinesi hanno annunciato ufficialmente di aver aperto un’indagine nei confronti di Alibaba Group. Il motivo? “Sospetto di pratiche monopolistiche”. Il colosso fondato da Jack Ma è stato accusato di aver costretto i venditori a firmare “accordi di negoziazione esclusiva” per evitare che gli stessi prodotti messi in vendita su Alibaba venissero venduti anche su siti web concorrenti. E non è tutto.

Sempre durante la vigilia di Natale, altre quattro agenzie cinesi di regolamentazione finanziaria, tra cui la Banca Popolare Cinese, hanno annunciato uno «yuetuan», un “richiamo”, per approfondire la situazione di Ant Group, braccio finanziario del gruppo Alibaba.

Ant (già Ant Financial Services) è il gruppo fintech a cui appartiene Alipay, la più grande piattaforma mondiale di pagamenti online lanciata nel 2004 da Jack Ma e che mette a disposizione carte di credito e di debito, prodotti d’investimento, crowdfunding, credit scoring e diversi servizi bancari online.

Alipay è stata una vera rivoluzione nei sistemi di pagamento cinesi: dai pagamenti con QRCode alla gestione del conto corrente e trasferimenti peer-to-peer. Per arrivare a questo, Alipay ha stipulato accordi di fornitura con i maggiori istituti di credito internazionali. Si può considerare uno dei progetti meglio riusciti di Mr. Ma e Alibaba.

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Jack Ma

La più grande IPO della storia

Il 5 novembre 2020, sui mercati finanziari di Shanghai e Hong Kong, sarebbe dovuta andare in scena l’IPO di tutte le IPO, l’Initial Public Offering di Ant Group. Quel giorno Ant avrebbe potuto frantumare ogni record, ricevendo richieste per più di 3.000 miliardi di dollari a fronte di un’offerta di 37 miliardi di dollari in azioni.

Un valore smisurato, estremamente più elevato di JP Morgan e di tutte le grandi banche statali cinesi. La strada per il successo sembrava nuovamente spianata per Jack Ma, già precursore dell’eCommerce e di molte innovazioni digitali che hanno trascinato la Cina verso la nascita di un nuovo sistema economico-finanziario che non ha più bisogno di reggersi su banconote per il suo immenso giro d’affari. Tuttavia le cose non sono andate come dovevano.

A meno di 48 ore dall’apertura dell’offerta pubblica, i regolatori antitrust avevano intrapreso la decisione di sospendere l’IPO, sollevando preoccupazioni sui servizi di microprestito offerti da Ant Group. I regolatori cinesi avevano infatti annunciato, a ridosso del 5 novembre, un rafforzamento delle regole cui devono sottostare le società online del micro-lending.

La decisione di sospendere la quotazione in borsa di Ant, non solo per il suo particolare tempismo, è stata vista come un primo tentativo da parte delle autorità cinesi di frenare l’eccessivo potere delle grandi aziende tecnologiche del paese. Secondo il Wall Street Journal una scelta dettata dal diretto impulso del Presidente cinese Xi Jinping.

“Se queste norme entreranno effettivamente in vigore l’industria online micro-lending sarà pesantemente ridimensionata e le Internet companies che si stanno espandendo aggressivamente con la loro attività dei prestiti saranno duramente colpite” ha affermato Dong Ximiao, chief analyst di Zhongguancun Internet Finance Institute.

Jack Ma

Il Partito

In realtà, molti sono convinti che la vera ragione alla base della decisione delle autorità cinesi, abbia origine da un discorso tenuto da Mr. Ma il 24 ottobre 2020.

Il magnate aveva criticato aspramente l’atteggiamento delle autorità e del sistema bancario cinese. Jack Ma si sarebbe lasciato andare a frasi come “le banche cinesi hanno operato con una mentalità da banco dei pegni” oppure “innovare senza correre rischi equivale a non innovare. Spesso, evitare i rischi è la politica più rischiosa”.

Da quel momento, il governo cinese ha introdotto nuove e ancor più rigide regole antitrust in tutto il settore tecnologico che hanno innescato un calo di circa 140 miliardi di dollari pari al 17% del valore di mercato complessivo di Alibaba. La guerra tra Mr. Ma e il Partito non ha fatto che peggiorare.

Il retroscena è stato ricostruito dal Financial Times che ha raccontato di una richiesta del partito (di cui anche Jack Ma fa parte) volta a limitare la portata dell’IPO, così come riportato dalle parole di Chen Long, presidente della CONSOB cinese:

Gli imprenditori di internet, compreso Ma, non devono superare le frontiere dell’interesse del partito. Il governo li tutelerà solo nella misura in cui serviranno l’interesse nazionale.

Il Pcc ha sempre visto con sospetto l’influenza oltre misura dei grandi capitani d’impresa cinesi. A maggior ragione quella costruita da un miliardario carismatico ormai noto anche sul fronte occidentale per essere un “visionario della tecnologia”.

Ridimensionare i giganti fintech cinesi: chi vince la guerra di potere

Jack Ma fintech

In campo ci sono due forze contrapposte: il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping e il gigante tecnologico Alibaba.

Una rottura definitiva non converrebbe a nessuna delle parti ma la bilancia, ora come ora, pende chiaramente dalla parte del governo cinese. Da una parte il presidente non può tollerare un dissidio interno così clamoroso, ma dall’altra non ha interesse a sacrificare i vantaggi che Ant Group, con la sua capillare rete di utenti, ha portato sia al sistema, grazie a un forte aumento della produttività e al boom dei piccoli business, sia ai singoli consumatori.

Ad essere precisi, l’“affaire Ant” non è tanto la storia di un geniale imprenditore tech vessato da un governo liberticida quanto quella – d’attualità anche in Occidente – di piattaforme digitali che fanno incetta di dati dei clienti e, con la loro dimensione, rischiano di ostacolare alcune forme di controllo da parte delle autorità garanti.

Da questo punto di vista l’app di Ant è un’autentica idrovora di dati personali: debitori, creditori, abitudini di consumo, viaggi, pagamenti di utenze e così via. Insomma un’argomento caldo che ormai dovrebbe essere ampiamente noto anche dalle nostre parti.

Nonostante i dubbi sulla gestione dei dati privati, mandare in malora il gioiello creato da Ma sarebbe controproducente per la stessa crescita economica cinese. Ed è altresì difficile che il presidente Xi Jinping scelga di affossare Ant a vantaggio dei burocrati bancari. Intanto Mr. Ma deve stare attento a non oltrepassare i limiti della pazienza dei mandarini del Partito.

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Il mistero continua

Non si conosce con esattezza il motivo della “pausa” del magnate di Hangzhou, ma sono state avanzate diverse ipotesi.

La prima, quella più probabile: in un momento per lui estremamente delicato sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico, Jack Ma ha scelto un profilo basso. Se non bassissimo, tanto da smettere di pubblicare sul suo account Twitter (il suo profilo tace dal 10 ottobre).

La seconda, quella meno plausibile: sarebbe stato trattenuto dalle autorità cinesi e accusato di aver violato la legge con le sue dichiarazioni del 24 ottobre. Una sorta di “rieducazione” del sovversivo e delle sue manovre finanziarie in favore di Ant.

Per ora, stando a quanto riporta il Financial Times, Jack Ma sta bene e si è semplicemente ritirato dietro le quinte per paura della pandemia e non del presidente Xi. Il duello a distanza tra i due imperatori cinesi è destinato a proseguire, almeno per evitare una rottura definitiva che non conviene a nessuno. La partita vede ora in vantaggio il Presidente cinese avanti di un punto nella manovra anti-monopolistica contro i giganti dell’hi-tech.

 

Credits immagine di copertina: Jack Ma – Photographer: Tomohiro Ohsumi/Bloomberg

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Cosa significa davvero fare branding e quali sono le regole nel 2023

In cosa consiste fare branding e perché è importante avere una brand strategy che funzioni? Vediamo insieme le regole e le tendenze da non perdere per fare branding, in modo creativo ed efficace, nel 2023.

Alla fine di ogni anno, oltre a stillare la classica lista dei buoni propositi, fantastichiamo su cosa accadrà nell’immediato futuro. Quali saranno le tendenze dei prossimi mesi, gli eventi da ricordare e quelli da depennare con un mega pennarello indelebile. Cosa succederà nel mondo, in generale, e nel favoloso universo del web e del digital marketing, in questo tanto atteso 2021? Riponiamo parecchie aspettative in questo anno, probabilmente sarà un periodo di transizione e cambiamenti, in cui dovremo ricalibrarci ancora e definirci, per una nuova era. 

Possiamo confermarvi, senza ombra di dubbio, che i riflettori saranno puntati sul brand e su come fare branding, nel modo più creativo ed efficace possibile.

Il valore del brand

Non è un mistero, stiamo dando sempre più importanza all’esperienza d’acquisto oltre che al prodotto acquistato. Autenticità, fiducia, trasparenza e servizio clienti, sono diventati tutti elementi decisivi per i consumatori di oggi. 

In effetti, le statistiche sui brand raccolte da Havas Group dimostrano che il 77% dei consumatori supporta i marchi che raccontano e condividono i propri valori. Acquistiamo un prodotto non solo per il suo effettivo utilizzo, ma per i valori percepiti e definiti dal brand in questione.

Come un’azienda non è solo i prodotti che vende, anche il marchio non è solo la somma degli elementi visibili, ossia logo, colore e font, ma anche la personalità e i valori dell’azienda stessa.

In sostanza, il brand è l’insieme di tutti quei valori percepiti da parte dei consumatori, di un prodotto o un servizio fornito. E se volessimo dirla alla Jeff Bezos, il CEO di Amazon, il brand è ciò che gli altri dicono di noi quando non siamo nella stanza.

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Come creare e definire il proprio brand

Abbiamo detto che il marchio si riferisce al modo in cui le persone percepiscono l’azienda. Creare ed elaborare un brand significa lavorare attivamente per definire la percezione unica e coesiva dell’azienda prestando particolare attenzione a tutti gli elementi, come il web design, la tipografia e i colori.

Affinché un’attività abbia successo, dobbiamo concentrarci sul marchio, sulla sua identità di marca e sul processo di branding. Tutti e tre questi ingredienti sono essenziali.

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Perché è importante fare branding

Costruendo e definendo il marchio, costruiamo anche il nostro business. Ciò può influenzare il modo in cui il pubblico di destinazione percepisce la nostra attività, aumentare la consapevolezza del brand e generare nuovi affari. 

Può mostrare al pubblico di destinazione perché la nostra azienda sia la scelta migliore distinguendoci dai nostri competitors e rendendo la nostra attività memorabile su tutte le piattaforme. Il marchio diventa il fattore più influente quando i clienti devono decidere tra due o più prodotti

Il brand può anche rafforzare il rapporto tra l’azienda e i suoi clienti. La lealtà e il riconoscimento in un marchio possono anche trasformare i clienti in brand ambassadors e influencer che sosterranno e condivideranno servizi e prodotti. 

I clienti non sono gli unici a diventare più fedeli, ma anche i dipendenti andranno fieri di far parte di un’azienda di cui riconoscono i valori. Fare branding significa dare un’identità all’azienda, favorendo una connessione più intima tra il luogo di lavoro e i lavoratori.

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Definizione di Branding

Il branding è il processo di creazione di un’identità distinta e unica per un’azienda nella mente del pubblico di riferimento e dei consumatori.

Al livello più elementare, il branding è costituito dal logo, dal design visivo, dalla mission e dal tono di voce di un’azienda. Ma l’identità del marchio è determinata anche dalla qualità dei prodotti, dal servizio clienti e persino dal prezzo dei prodotti o dei servizi.

4 passaggi per fare (bene) branding

Ora che abbiamo chiarito cosa sia un brand e l’importanza di fare branding nel modo giusto, vi sveleremo 4 regole fondamentali da tener presente per creare e definire la strategia migliore.

1.Identificare il target di rifermento

La ricerca del pubblico di destinazione è uno dei primi passi da fare. Affinché le persone amino il nostro brand, devono essere in grado d’identificarsi e connettersi con esso. Di conseguenza dobbiamo conoscere il nostro target e decidere a chi vogliamo rivolgerci.

Le domande che dobbiamo fare per trovare il nostro pubblico di destinazione e comprenderlo meglio sono:

  • chi utilizzerà il nostro prodotto
  • chi è il nostro cliente perfetto
  • perché abbiamo dato vita alla nostra attività

2.Definire la propria dichiarazione d’intenti, valori e vantaggi

Se non definiamo chi siamo come azienda, l’intero processo di branding risulterà disorganizzato. Una dichiarazione d’intenti ci aiuterà a determinare i nostri obiettivi, e questo è, in primis, lo scopo di ogni attività, trasmettere al pubblico di destinazione il proprio valore.

Dobbiamo far comprendere alle persone perché la nostra attività è stata creata e perché clienti e potenziali clienti dovrebbero dar attenzione proprio al nostro brand.

Concentrandoci sui valori della nostra azienda e sui vantaggi che può offrire, possiamo assicurarci che il brand da noi creato sarà unico. Inoltre, chiarirà anche ai nostri clienti perché dovrebbero scegliere la nostra azienda invece di preferire altri brand.

3.Costruire una brand identity

Ci sono due elementi fondamentali per costruire una brand identity: risorse visive e voce del marchio. La brand identity aiuterà il pubblico di destinazione a riconoscere il nostro marchio e, soprattutto, a ricordarlo.

brand identity

3.1 Progettare le risorse visive

Ogni elemento del brand, come il logo, il claim, la voce e le immagini devono comunicare la nostra dichiarazione d’intenti, valori e vantaggi. Dobbiamo decidere combinazioni di colori, caratteri e icone che utilizzeremo per comunicare tutto ciò che le persone dovrebbero sapere sull’attività. Il colore, in particolare, è estremamente potente. Secondo Reboot, utilizzando un colore distintivo possiamo aumentare il riconoscimento del marchio fino all’80%. 

La scelta non sarà dettata semplicemente da gusti personali ma dobbiamo considerare invece le connotazioni universali associate a ogni colore. In questo modo, possiamo evocare sentimenti e idee specifiche.  Se non troviamo un font che ci rappresenti pienamente, possiamo anche optare per un carattere unico e personalizzato.

3.2 Identificare il tono di voce

È importante decidere il nostro tono di voce, ossia il modo in cui comunicheremo con i clienti. Risponderanno meglio a un marchio giocoso e bizzarro o più professionale? Dobbiamo assicurarci di utilizzare lo stesso tono di voce in modo coerente e su tutte le diverse piattaforme.

La voce del tuo marchio corrisponderà anche alle nostre risorse visive. Ad esempio, se abbiamo utilizzato una combinazione di colori audaci, l’abbineremo a un tono di voce più informale e giovanile.

4. Integrare in modo coerente il marchio

Dopo aver creato il marchio, è il momento di applicarlo sulle diverse piattaforme. Deve essere integrato completamente per garantire che i clienti vedano il marchio ogni volta che interagiscono con la nostra attività. Dal sito web al servizio clienti, il marchio deve essere sempre visibile. 

Il sito web è probabilmente la piattaforma in cui avverrà la maggior parte dell’interazione tra marchio e clienti. Quindi andremo a utilizzare solo elementi che fanno parte del marchio: colori, logo ma anche tono di voce.

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Suggerimenti per fare branding

Essere coerenti

Uno dei passaggi fondamentali per il successo del marchio è applicare in modo coerente elementi come schemi di colori, tipografia e tono di voce su tutte le piattaforme. Sia che il pubblico di destinazione stia visitando il nostro sito web, scartando il packaging di un prodotto o interagendo con noi sulle pagine social, dobbiamo mostrare il nostro marchio nello stesso identico modo.

Prestando attenzione alla coerenza, ci assicureremo che le persone riconoscano facilmente il marchio e ci percepiranno come un’attività affidabile. In effetti, secondo Lucidpress, le aziende che hanno rappresentato i loro marchi in modo coerente hanno ottenuto un aumento del 33% delle loro entrate. 

Ma anche la flessibilità è importante. Un brand deve svilupparsi gradualmente, ma se ci rendiamo conto che il marchio attuale non ha un grande impatto, dobbiamo essere flessibili e apportare le modifiche necessarie.

Essere originali

Conoscere le strategie dei nostri competitors è importante, ma non dobbiamo essere ossessionati da quello che gli altri fanno, altrimenti finiremo per assomigliarvi. Nessuno vuole essere la copia sbiadita di un altro brand. Più unico e originale sarà la nostra attività, più resteremmo impressi nella mente delle persone.

Creare la giusta strategia di marca

Dobbiamo creare una strategia di marca fatta apposta per noi e i nostri obiettivi. Prefissato un traguardo, saremo in grado di raggiungerlo passo dopo passo, tenendo sotto controllo ogni mossa e cambiando strada quando è necessario per trovare il giusto equilibrio e per far crescere la nostra attività.

Personificare il marchio

I marchi di successo hanno una la propria personalità e identità. Poiché l’obiettivo di fare branding è promuovere le relazioni tra l’azienda e il suo pubblico di destinazione, dovremmo pensare al nostro marchio come a una persona reale.

Ovviamente se stiamo facendo personal branding, sarà più semplice dar personalità al marchio in quanto possiamo trasferire in esso tutto ciò che fa parte di noi: esperienze, interessi e valori.

Creare delle linee guida per definire il brand

Sia che stiamo lavorando con un’agenzia di branding, un designer o utilizzando dei modelli, è importante creare delle linee guida per il definire e concretizzare il nostro brand. Stiamo parlando di un documento che contiene tutte le informazioni importanti sul marchio, come la storia, le tavolozze di colori, la tipografia, le variazioni del logo, che tono di voce utilizzare, ecc…

Un documento di riferimento a cui tutti i dipendenti possono accedere per comprendere meglio cosa sia il nostro brand e, di conseguenza, i valori dell’azienda. Dopotutto, saranno loro a trattare direttamente con i clienti. Quindi, è importante che conoscano la storia e la voce del brand.

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Fare branding: le tendenze per il 2023

Così come i brand si rinnovano, anche le tenenze cambiano di volta in volta. I marchi devono reinventarsi per restare attuali ed essere impattanti col tempo. Grafiche, elementi visivi e non, tutte le caratteristiche di un marchio che una volta sembravano moderne e all’avanguardia diventano improvvisamente obsolete e antiquate. 

Ecco una lista dei trend da tenere sott’occhio per questo 2021, idee e ispirazioni per continuare a fare branding, nel modo giusto, anche nei mesi a venire.

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Guardando tutte le tendenze per il nuovo anno, vedremo un chiaro spostamento verso la personalizzazione e la connessione. Mai prima d’ora il lato umano del brand è stato così rilevante: la relazione marchio-cliente riguarda meno le transazioni e più l’interazione e le emozioni. 

Le persone parlano con i brand sui social media, attendono le e-mail inviate dai loro brand preferiti, e fanno clic sui loro annunci ogni volta che li vedono.

Less is more

Il minimalismo sarà il trend più visto quest’anno, ma questa non è certo una novità. Le tendenze dei prossimi mesi vedranno loghi con linee sottili e pulite, spazi vuoti, icone e illustrazioni piatte, mentre i font saranno classici e molto semplici.

Linee geometriche semplici

Essere minimal significa soprattutto rifarsi alla semplicità e alle linee geometriche di base, quelle semplici e intuitive. Motivi geometrici che ci riportano alle origini, ma con una nuova visione. Un’altra tendenza è quella di utilizzare simboli classici, monogrammi e abbreviazioni.

I motivi geometrici, inoltre, possono essere utilizzati per creare un’estensione del marchio: grandi blocchi di grafica ripetuta per creare un aspetto ipnotico, come quello di una carta da parati. I modelli però non sostituiscono i loghi o le immagini principali. Vanno collocati al posto giusto, come in un annuncio, o su una t-shirt, o ancora lo sfondo di una pagina web.

I motivi geometrici stimolano e, nello stesso tempo, distraggono il cervello umano, rendendoli perfetti per quei brand che vogliono che il logo sia il protagonista di tutta la scena.

Inoltre se il nostro logo è minimal, potremmo persino essere in grado di usarlo come un pattern.

Brand design by oktagon

Disposizione insolita

Un’altra tendenza per rinnovare il proprio brand è quella d’infrangere le regole dalla composizione. L’asimmetria ma anche l’equilibrio visivo sono due aspetti da tenere a mente quando si parla di composizione.

Design fuori dal comune

fare branding

Branding design by Wintrygrey

Se il nostro pubblico di riferimento fa parte di un mercato giovane, allora anche il nostro modo di fare branding avrà un’unicità distintiva, sarà insolita e bizzarra. L’uso d’immagini uniche, divertenti o stravaganti, è un ottimo modo per non passare inosservati.

Non dobbiamo aver paura di sperimentare. Gli animali antropomorfi sono una scelta molto popolare, soprattutto se indossano abiti eleganti e formali, per accentuarne l’assurdità. Ma distinguersi significa non solo fare quello non che fanno gli altri, ma soprattutto sentirsi liberi di provare uno stile originale che se si adatta alla personalità del nostro marchio.

Altri trend prevedono inoltre la sovrapposizione tra elementi e testo, ma anche distruzione del testo e l’uso di caratteri insoliti. 

Fare branding, cioè dare un volto al brand

Siamo essere umani, animali socievoli e curiosi, a cui piace vedere, specialmente nei post sui social media, altri esseri umani. Ultimamente i designer di branding si stanno rendendo conto di questo e stiamo vedendo molte più immagini di persone che rappresentano il marchio, in particolare volti espressivi e con personalità.

Il trend più in voga è quello di usare una rappresentazione illustrata di una persona reale. Ciò non solo consente un migliore controllo sul risultato finale, ma apre anche opportunità per diversi stili artistici, che possono comunicare il tipo di marchio che siamo.

Brand design by bubupanda

La bellezza dell’imperfezione

Ci sono persone che amano l’imperfezione, per loro è essa stessa la vera perfezione. Il design del marchio intenzionalmente imperfetto, solitamente combinato con illustrazioni e tipografia scritta a mano, risuona bene con un pubblico più giovane e anticonformista.

Questa tendenza del marchio nasce come risposta al design pixel-perfect del passato e per molti di noi, quel tipo di perfezione, genera sospetto e finzione. Ovviamente prima di spostarci verso questo trend, dobbiamo sempre tener presente il nostro target di riferimento e considerare se è il caso di adottare un tale cambiamento.

Andare oltre i colori convenzionali

Il marchio tradizionale postula che schemi di colori semplici e coerenti siano i migliori perché i consumatori imparano ad associare il marchio ai quei colori chiave. Tutto ciò è vero, ma allo stesso tempo limita le potenzialità del nostro brand. 

Cosa succederebbe se esprimessimo la nostra identità di marca con schemi di colori più complessi, utilizzando colori diversi per dare significato a ciascuno dei nostri prodotti? La soluzione sarà quella di espandere la tavolozza dei colori del nostro marchio a una varietà di colori nuovi, più potenti. Nel 2021, saranno i colori intensi e significativi a esprimere ciò che rappresenta un brand.

Ecco perché vediamo sempre più marchi testare combinazioni di colori non convenzionali e tinte non naturalistiche, sia per variazioni che intensità. Queste tonalità d’impatto funzionano sia separatamente che insieme, e possono raccontare molto di più su un marchio o un prodotto rispetto a un colore solito e già visto.

Branding design by Virtuoso

Fare branding è schierarsi apertamente e prendere posizione

Lo sappiamo e lo abbiamo ripetuto più volte, non è un bel periodo per nessuno. Le persone lo sanno, prendono posizioni in ogni campo, si fanno un’idea e lo stesso vale per le aziende. Soprattutto per i mercati più giovani come Gen Z e Millenials, i consumatori si aspettano che i marchi che seguono assumano una posizione sociale, ambientale o economica. 

Ecco perché una delle tendenze del marchio del 2021 è quella di schierarsi a favore o contro qualcosa, prendere posizioni su questioni importanti, e idealmente sarà la stessa posizione del nostro pubblico di destinazione.

Come far trapelare la nostra posizione? 

Ci sono diversi modi. Nei materiali di branding, in modo che le persone sappiano di cosa ci occupiamo. Parlarne sui social media funziona, attraverso gli influencer, per esempio. Anche il design del marchio dovrebbe riecheggiare la nostra posizione, ad esempio, presentando immagini ecologiche e ambientali nel logo e sul sito web, o pubblicando delle foto per dimostrare il nostro attivismo.

Un viaggio coinvolgente

In questo 2021, le persone si aspettano di ricevere non solo un prodotto ben progettato, ma si aspettano anche di fare un viaggio, un’esperienza. 

Grazie alla crescente quantità di acquisti online, l’esperienza dell ’unboxing è ora più cruciale che mai. Marchi e designer riflettono sull’intero processo di apertura di un pacchetto e ne fanno un’esperienza unica, assicurando che anche il più piccolo dettaglio affascinerà il cliente mentre apre la scatola, scarta e scopre i prodotti.

fare branding

Via Burly Fellow

I vantaggi del branding

Investire nell’identità del proprio marchio non è solo un divertimento, ma ha molti vantaggi reali che possono aiutare la vostra azienda a crescere e ad avere successo su larga scala.

I vantaggi di un marchio forte includono:

  • Aumento delle vendite.
  • Fidelizzazione e riconoscimento dei clienti.
  • Contribuire a creare una missione o uno scopo aziendale chiaro e stimolante.
  • Contribuire a creare una forte cultura aziendale in cui i dipendenti amino ciò che fanno.
  • Attrarre talenti di alta qualità per far crescere ulteriormente l’azienda.
  • Sviluppare una forte brand equity che ci aiuti a distinguervi dalla concorrenza.

La costruzione di un marchio forte richiede tempo, ma lo sforzo vale la ricompensa.

E non dimentichiamo che per fare branding…

Qualsiasi sarà la tendenza che adotteremo per fare branding, non dobbiamo mai dimenticare che il nostro brand non sarà mai statico, ma è qualcosa di vivo e dinamico. È un elemento fondamentale che ci aiuterà a far crescere la nostra attività, e dopo aver creato una brand identity, il lavoro non è di certo finito. Richiede attenzione, coerenza e, come in ogni cosa, passione.

Fare branding nel modo giusto significa creare fiducia nel pubblico di destinazione e ci permetterà di essere supportati, e creare una connessione vera con le persone.

remote working

Amazon, Microsoft e le altre big che hanno scelto il remote working

  • La pandemia ha forzato l’esperimento del remote working
  • Sono stati evidenziati benefici, sia in termini di produttività che di efficienza
  • Sono emerse anche numerose fragilità da colmare in ottica di innovazione

La pandemia da COVID-19 ha spinto la maggior parte delle aziende in tutto il mondo a lavorare da casa. Ad adottare questa modalità di lavoro, con lo scoppio della pandemia, sono state principalmente le imprese più grandi e strutturate (97%) seguite dalla pubblica amministrazione (94%) e dalle PMI (58%).

Certo, è stata una risposta forzata ed emergenziale, dettata più dalla necessità che dalla volontà, ma ha consentito di accelerare un esperimento che ha sempre fatto fatica a guadagnare terreno nel mondo del lavoro. La maggior parte delle aziende, infatti, è sempre stata fedele al concetto di “ufficio” e il remote working ha sollevato sempre molte preoccupazioni sulla produttività e sulla motivazione delle risorse. Uno dei motivi potrebbe essere che il mondo aziendale è ancora composto da tantissimi baby boomers, cioè persone che hanno iniziato a lavorare molti anni prima dell’inizio dell’era digitale.

Ora che il piano vaccinale è iniziato, fino a che punto proseguirà il lavoro a distanza? In realtà le prospettive per il futuro sono ancora estremamente incerte, ma remote e smart working sono ormai entrati nella quotidianità degli italiani e con ogni probabilità sono destinati a rimanerci.

smart working

Il futuro del lavoro secondo l’indagine di Microsoft

Secondo quanto emerso da un’indagine sul “Remote Working e Futuro del Lavoro” di Microsoft, condotta su oltre 600 manager e dipendenti di grandi imprese italiane, il numero di organizzazioni italiane che hanno adottato modelli flessibili di lavoro è aumentato in modo esponenziale, passando dal 15% dello scorso anno al 77% del 2020.

I manager intervistati si aspettano che il 66% dei dipendenti continui a lavorare da remoto almeno un giorno alla settimana, anche dopo la fine della pandemia. In questa “nuova normalità”, infatti, sono stati evidenziati benefici, sia in termini di produttività sia di efficienza: l’87% degli intervistati ha riscontrato una produttività pari o superiore a prima del lockdown e il 71% è convinto che le nuove modalità “ibride” di lavoro comportino significativi risparmi in termini di denaro. Inoltre, sei intervistati su dieci (64%) credono che garantire modalità di lavoro da remoto possa essere un modo efficace per poter coinvolgere collaboratori più qualificati.

Le criticità e le fragilità dello smart working 

Tuttavia, il remote working non ha rivelato soltanto benefici, ma ha fatto emergere anche grosse fragilità, come la carenza tecnologica, non solo delle piccole aziende, ma anche nelle imprese più grandi e strutturate. 

Il 69% delle aziende, infatti, ha dovuto aumentare la disponibilità di strumenti hardware, pc portatili e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali, mentre il 45% si è dovuto dotare di strumenti per la comunicazione, come i tool per le videoconferenze (16%). Tre datori di lavoro su quattro, invece, hanno chiesto ai lavoratori di utilizzare i propri dispositivi personali, mentre il 50%, non essendo dotato di tecnologia adeguata, ha dovuto sospendere del tutto l’attività.

Altre barriere difficili da superare sono state: il work-life balance (58%), la disparità del carico di lavoro tra alcuni lavoratori meno impegnati e altri sovraccaricati (40%) e l’impreparazione dei manager (33%).

Ma non solo. Durante la pandemia i datori di lavoro hanno scoperto che, sebbene alcune attività possano essere tranquillamente svolte a distanza, in caso di crisi è molto più efficace il lavoro in presenza. Queste attività includono coaching, la consulenza, l’insegnamento e tutti quei lavori che traggono vantaggio dalla collaborazione, come l’innovazione, la risoluzione dei problemi e la creatività. Ad esempio, genitori e insegnanti affermano che la qualità delle lezioni scolastiche abbiano risentito della pandemia. Senza contare che, più della metà della forza lavoro ha poche o nessuna possibilità di lavorare a distanza: molte attività fisiche o manuali, così come quelle che richiedono l’uso di attrezzature fisse, non possono essere svolte a distanza. Ne sono di esempio l’ambito dei trasporti, la ristorazione, l’edilizia, il settore agricolo.

Molti italiani di tutte le fasce d’età, hanno anche dichiarato di apprezzare l’ambiente lavorativo tradizionale, specialmente per la possibilità di socializzare e condividere esperienze con i colleghi. La ricerca di Microsoft, infatti, ha evidenziato come il lavoro da remoto, se non correttamente gestito, possa inibire la condivisione di idee tra colleghi e porti i dipendenti a essere meno invogliati a chiedere aiuto o a delegare in modo appropriato. 

Per promuovere una cultura del lavoro che favorisca l’innovazione è più che mai fondamentale supportare il management nel superare questi limiti. In quest’ottica le aziende potrebbero muoversi prevedendo fringe benefit diversi da quelli che proponevano quando si lavorava in sede, ad esempio offrendo bonus per acquistare attrezzatura informatica e/o arredo per convertire alcuni spazi della propria abitazione ad ufficio, oppure regalando abbonamenti a palestre, corsi di pilates, yoga e ginnastica posturale a distanza.

Futuro ibrido: tra casa e ufficio

Secondo recenti sondaggi condotti da Global Workplace Analytics, da Cisco e da Microsoft, sia i manager che i dipendenti che hanno apprezzato i vantaggi del lavoro da remoto, non intenderebbero tornare alle vecchie abitudini. 

Remote Working

Dopo le prime difficoltà di adattamento, gli smart worker hanno imparato ad apprezzare i benefici del lavoro agile: il 73% nota di essere molto più efficiente da quando lavora da casa. Inoltre, ha la possibilità di vestirsi in modo più casual (77%) di personalizzare il proprio ambiente di lavoro (39%), di avere più tempo per i propri hobby (49%), per i propri figli (36%) ma anche per gli animali domestici (22%). Per le donne, in particolare, il lavoro a distanza è stata una benedizione mista: un lavoro indipendente, con orari più flessibili, meno stress e minor tempo perso per il pendolarismo. 

I nuovi remote worker non vogliono più rinunciare all’autonomia inaspettatamente acquisita: ben l’87%, sia in Italia, che a livello Emear (Europe, Middle East, Africa e Russia), chiede un futuro flessibile, in cui scegliere liberamente quando e quanto lavorare da casa e in ufficio, aspirando a un mix tra lavoro in presenza e lavoro a distanza.

È vero, più persone che lavorano in remoto significa meno persone che ogni giorno si spostano da casa al lavoro, e ciò potrebbe avere conseguenze economiche significative nell’ambito dei trasporti, della ristorazione, della vendita al dettaglio. Tuttavia, si potranno modificare i modelli di consumo: i soldi spesi per il trasporto, la mensa e il guardaroba potranno essere spostati su altri usi, ad esempio il cibo da asporto, l’acquisto di apparecchiature per ufficio, di strumenti digitali e di dispositivi per la connettività potenziata.

Le big scelgono il remote working

Sono diverse le aziende che hanno scelto la formula del lavoro remoto a lungo termine. Eccone alcune:

  • Adobe

    Adobe è una software house statunitense fondata da John Warnock e Charles Geschke, nota soprattutto per i suoi prodotti di video e grafica digitale, come Photoshop, Illustrator, InDesign, After Effects, Premiere.Piani di lavoro in remoto: Adobe prevede di continuare il lavoro in remoto per alcune sedi fino a Luglio 2021. Il lavoro da remoto e la didattica a distanza hanno costituito un’opportunità per andare oltre i normali risultati del Q3 estivo 2020 che si è chiuso con entrate pari a 3,23 miliardi di dollari (in crescita del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e un utile di 955 milioni di dollari (contro i 793 del 2019).

  • Amazon

    Amazon è la più grande azienda di commercio elettronico al mondo, fondata da Jeff Bezos nel 1999 e si occupa della vendita di libri, DVD, CD musicali, software, videogiochi, prodotti elettronici, fumetti, abbigliamento, mobilia, cibo, giocattoli e altro ancora.

    Piani di lavoro a distanza: i dipendenti le cui posizioni consentono loro di lavorare da casa possono farlo fino a Giugno 2021. Attualmente esistono offerte di lavoro da remoto che si rivolgono a persone preparate a lavorare online, con precedenti studi o esperienze in ambiti specifici. Inoltre, sono previsti nella maggior parte dei casi dei percorsi di formazione e lavoro per agevolare l’inserimento in azienda.

  • Facebook

    Facebook è la famosa rete sociale statunitense fondata da Mark Zuckerberg nel 2004, che attualmente controlla i servizi di rete sociale Facebook e Instagram, il servizio di messaggistica istantanea WhatsApp e sviluppa i visori di realtà virtuale Oculus Rift.

    Piani di lavoro a distanza: Facebook consentirà al personale di lavorare da remoto fino a Luglio 2021, riconoscendo un bonus di 1.000 dollari in aggiunta al normale stipendio così da poter far fronte all’acquisto di nuovi dispositivi, arredo da ufficio o per i servizi di connettività.

  • Mastercard

    Mastercard è una società mondiale di transazioni, elaborazione dei pagamenti e consulenza fondata nel 1966 da un gruppo di banche.

    Piani di lavoro a distanza: Mastercard consentirà ai propri dipendenti di lavorare da casa fino a quando i timori di COVID-19 non si placheranno e le persone potranno sentirsi a proprio agio negli uffici.

  • Microsoft

    Microsoft è un’azienda di informatica multinazionale fondata da Bill Gates e Paul Allen nel 1975, che sviluppa, produce e commercializza software per computer, elettronica di consumo e personal computer.

    Piani di lavoro da remoto: Microsoft consentirà di lavorare da casa fino a fine gennaio 2021. Come altre aziende, tra cui Facebook e Twitter, però, ha già abbracciato la strada dello smart working permanente post-pandemia, optando per una soluzione ibrida, che prevederà il lavoro da remoto per meno del 50% delle ore settimanali.

  • PayPal

    PayPal è la società statunitense di tecnologia finanziaria, fondata nel 1999, che consente ad acquirenti e venditori di condurre transazioni online in sicurezza.

    Piani di lavoro da remoto: in Paypal, la possibilità di usufruire dello smart working, veniva già data in tempi non di emergenza. Attualmente, la società intende proseguire il lavoro a distanza fino al termine del primo trimestre del 2021. Alla fine del 2020 ha persino costruito un ufficio virtuale per sostenere il lavoro da remoto dove, durante le festività, ha ospitato una festa globale di 29 ore per i suoi 25.000 dipendenti, ricca di concerti, spettacoli di magia, lezioni di cucina, tutorial di origami, lezioni di ballo, lotterie e diverse esibizioni di drag.

     

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  • Salesforce

    Salesforce.com è un’impresa statunitense di cloud computing fondata nel 1999 a San Francisco e operativa in 36 paesi del mondo.

    Piani di lavoro a distanza: i dipendenti di Salesforce hanno la possibilità di lavorare da casa almeno fino ad Agosto 2021. L’azienda ha anche ampliando i vantaggi del lavoro a distanza per i suoi dipendenti, dando a ogni persona $250 per l’acquisto di forniture per ufficio per le loro case, in aggiunta ai $250 erogati all’inizio del 2020. I genitori hanno anche la possibilità di aggiungere sei settimane di ferie retribuite.

  • Shopify

    Shopify è una società di e-commerce canadese fondata nel 2006, che fornisce una piattaforma di commercio multicanale basata su cloud, per progettare, organizzare e gestire negozi su vari canali di vendita.

    Piani di lavoro da remoto: a Maggio 2020 Shopify ha annunciato la chiusura definitiva degli uffici fino al 2021, dopodichè la maggior parte dei dipendenti lavorerà da remoto su base permanente.

 

  • Twitter

    Twitter è un servizio di notizie e microblogging fornito dalla società Twitter, Inc., fondata a San Francisco nel 2007, che consente alle persone di pubblicare messaggi e interagire istantaneamente con altri in tutto il mondo.

    Piani di lavoro da remoto: i dipendenti di Twitter potranno lavorare da casa in modo permanente, andando in ufficio solo se e quando lo desiderano.

LEGGI ANCHE: La crescita esponenziale di Amazon nell’ultimo anno

Conclusioni

Le organizzazioni si stanno attrezzando per tradurre le nuove abitudini e aspettative dei lavoratori in un nuovo approccio al lavoro. Una grande impresa su due interverrà sugli spazi fisici al termine dell’emergenza (51%), differenziandoli (29%), ampliandoli (12%) o riducendoli (10%). Il 38%, invece, ne cambierà le modalità d’uso.

Il 36% delle grandi imprese digitalizzerà i processi. Ben il 70% di chi ha un progetto di lavoro agile aumenterà le giornate in cui è possibile lavorare da remoto, passando da un solo giorno alla settimana prima della pandemia a una media di 2,7 giornate a emergenza conclusa. Il 17% agirà sull’orario di lavoro.

Solo l’11% tornerà a lavorare come prima. 

«La ricerca dice che non si torna più indietro», commenta Michele Dalmazzoni, Collaboration and Industry Digitization Leader, Cisco Emear South. «Certo non in questo modo rigido imposto dalla pandemia, ma in termini flessibili. Le aziende stanno ripensando gli spazi di lavoro, un nuovo workplace ibrido tra chi è in presenza e chi partecipa a riunioni da remoto. Ci si sta focalizzando su come abilitare i remote worker con tutti gli strumenti di collaborazione possibili e ci si chiede se sia sempre necessario andare dall’altra parte del mondo per fare un collaudo, quando si possono usare tool di realtà aumentata abilitati dalle piattaforme digitali. Insomma, a tutti i livelli si sta scoprendo che c’è un modo per fare le cose anche a distanza e le potenzialità delle piattaforme collaborative stanno avendo un impatto sociale enorme».

marketing inclusivo

Marketing Inclusivo: come abbracciare le diversità attraverso l’advertising

  • Il 70% degli intervistati da Microsoft afferma di fidarsi maggiormente dei Brand che rappresentano la diversità nei loro annunci
  • Il Marketing Inclusivo considera tutti gli aspetti dell’identità di una persona e tiene conto anche dell’intersezionalità, riconoscendo le sfumature della personalità e delle preferenze dei consumatori
  • La pubblicità inclusiva può aumentare la fiducia e la fedeltà da parte delle persone, migliorando la percezione generale dell’azienda nella società

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita costante del peso dei termini “diversità” e “inclusività” nella nostra società.

Le battaglie portate avanti dalla comunità LGBT+, la maggiore informazione riguardo le diversità di genere, la nascita del movimento BLM, sono solo alcune delle conseguenze di questa evoluzione sociale.

Vivere in una società che ha – finalmente – dato la giusta importanza a questi temi ha comportato degli obblighi da parte delle aziende, ed è da qui infatti che nasce la cultura della D&I – Diversity & Inclusion.

Diversity & Inclusion si riferisce alla serie di iniziative – gestite dal team di Risorse Umane (HR) o incluso dal team dedicato alla D&I all’interno di un’azienda, volte a promuovere un ambiente di lavoro inclusivo e sviluppare una cultura inclusiva tra i dipendenti di una impresa.

LEGGI ANCHE: Da dove cominciare per portare le diversità (e il talento) nel mondo del lavoro

Inevitabilmente, questa cultura inclusiva che si è sviluppata all’interno delle organizzazioni si riflette nelle strategie di Marketing dei Brand.

Che cos’è il Marketing Inclusivo?

Si parla infatti sempre più frequentemente di Inclusive Marketing, che secondo la definizione fornita da HubSpot si riferisce allo sviluppo di “campagne che abbracciano la diversità, includendo persone con background diversi o storie a cui possono relazionarsi. Mentre alcune campagne inclusive si sforzano di rompere gli stereotipi, altre mirano semplicemente a rappresentare le persone nel mondo reale”

Inclusive Marketing


Il Marketing Inclusivo considera tutti gli aspetti dell’identità di una persona:
il colore della pelle, l’identità di genere, l’età, l’orientamento sessuale, il tipo di corporatura, l’etnia, la cultura, la lingua, la religione, lo stato socio-economico e molto altro.

Tiene conto anche dell’intersezionalità, ovvero riconoscere che una singola persona può rappresentare molte identità o dimensioni, riconoscendo le sfumature inerenti alla sua personalità e alle sue preferenze.

Le due discipline di Diversity & Inclusion e di Marketing Inclusivo viaggiano di pari passo: insieme sono in grado di far crescere le opportunità di business e migliorare la vita delle persone all’interno dell’azienda e nel mondo esterno.

Perché il Marketing Inclusivo è così importante?

In uno studio sull’intenzione di acquisto della GenZ – condotto e pubblicato da Microsoftil 70% degli intervistati ha affermato di fidarsi maggiormente dei Brand che rappresentano la diversità nei loro annunci, mentre il 49% ha ammesso di aver smesso di acquistare prodotti di aziende che non rispettano i loro valori.

Marketing Inclusivo

Da questo studio possiamo capire quanto la pubblicità inclusiva possa portare risultati straordinari per un Brand ma soprattutto possa aumentare la fiducia e la fedeltà da parte del consumatore, migliorando la percezione generale dell’azienda nella società.

Sempre Microsoft ha pubblicato un playbook dal titolo “Marketing With Purpose” che raccoglie una serie di dati, consigli e best practice in relazione alle strategie di Inclusive Marketing.

Commentiamo di seguito le tre lezioni più importante che possiamo imparare da questo studio.

#1 Mostrare le diversità senza paura

Una comunicazione inclusiva rappresenta la diversità in modo reale ed autentico, considerando qualsiasi dimensione umana, senza limitarsi solo all’età, al sesso o all’orientamento sessuale o all’etnia.

La pubblicità inclusiva si basa sull’empatia per capire fino in fondo il target di riferimento e rappresentarlo in modo accurato. La rappresentazione autentica della realtà, di fatto, aumenta la fiducia e il supporto del Brand da parte del pubblico.

Le aziende devono fare il possibile per far sentire le persone comprese attraverso l’inclusione: questo significa anche utilizzare immagini autentiche e non stereotipate. La scelta delle immagini è una parte fondamentale per offrire agli utenti un’esperienza significativa e inclusiva.

Un esempio di brand altamente inclusivo in questo senso è Zalando, che per esempio collabora su Instagram con la modella diciottenne Ellie Goldstein, affetta da Sindrome di Down, scelta già da Gucci quest’estate per una campagna di beauty.

 

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#2 Allineare il messaggio pubblicitario ai nove sentimenti di inclusione

In generale, la pubblicità inclusiva evoca due sentimenti principali – gioia e fiducia – ma in modo più ampio si parla di nove sentimenti di inclusione che sono in grado a portare l’utente a provare gioia e fiducia.

Marketing Inclusivo

Se una pubblicità riesce a suscitare in modo genuino e autentico anche solo uno di questi sentimenti, riesce di conseguenza a trasmettere un senso di inclusione che crea fiducia, gioia e lealtà nei confronti del Brand.

Questi nove sentimenti sono:

  • Celebrazione delle persone stesse, dei loro successi o più in generale delle occasioni di festa;
  • Entusiasmo per la vita, per il pianeta, per il quotidiano, etc;
  • Speranza per vincere sfide personali o affrontare problemi sociali;
  • Relax per allentare la tensione o l’ansia che le persone possono provare nel loro quotidiano;
  • Sollievo da preoccupazioni, ansie, problemi personali o sociali;
  • Sicurezza attraverso la creazione di esperienze personali o collettive;
  • Giustizia sforzandosi di agire sempre nel modo giusto;
  • Accettazione della realtà, delle differenze, delle diversità;
  • Chiarezza e trasparenza, senza diffondere ambiguità o confusione.

Un altro punto di contatto emotivo con i consumatori sono i segnali linguistici e le metafore, che evocano sentimenti positivi. Se utilizzati nel giusto contesto e in modo autentico nel testo pubblicitario, che si tratti dei canali social o del sito web, questi possono aiutare il brand a trasmettere un senso di inclusione.

Marketing Inclusivo

#3 Garantire l’accessibilità degli annunci, delle piattaforme e dei contenuti

Infine, è importante controllare che gli annunci, le piattaforme e i contenuti promozionati siano accessibile a tutti.

Non importa quanto sia perfetto un prodotto o quanto – sulla carta – sia inclusivo un messaggio pubblicitario, una persona su quattro in Europa o negli Stati Uniti potrebbe non ricevere il tuo messaggio.

Cosa vuol dire? Secondo le Nazioni Unite, questo è il rapporto tra le persone con disabilità e la popolazione generale: più di un miliardo di persone nel mondo convive con una disabilità.

L’inclusione digitale è fondamentale perché fornisce a tutti l’accesso a servizi, prodotti, dati, informazioni e istruzione, indipendentemente dal tipo di disabilità da cui sono affetti.

I marketers devono prestare particolare attenzione a questo tema per riconoscere questi ostacoli, incontrare una soluzione e riuscire a includere nella comunicazione anche quella persona su quattro che se no, rimarrebbe esclusa.

LEGGI ANCHE: Brand a misura d’uomo: gli strumenti tech per avvicinarsi alle persone

i paesi dove è meglio nascere donna

I paesi migliori dove nascere donna (e quelli peggiori)

  • Due istituti di ricerca hanno sviluppato un indice per misurare il benessere delle donne in base a 11 indicatori relativi alla sicurezza, l’indipendenza e la società
  • I paesi migliori dove nascere donna sono in Nord Europa
  • L’Italia è indietro nella classifica, ma ha guadagnato quattro posizioni rispetto al 2017

 

Il Georgetown Institute for Women, Peace and Security ed il Peace Research Institute di Oslo hanno creato un indice a livello globale, chiamato WPS, per fornire un quadro completo sul benessere delle donne e il loro livello di emancipazione. L’indice WPS del 2019 classifica 167 paesi comparando undici indicatori. Sono stati misurati i seguenti parametri: la media degli anni trascorsi a scuola, il tasso d’occupazione, l’accesso alla tecnologia come per esempio agli smartphone, l’indipendenza finanziaria, la presenza di norme e leggi discriminatorie, la percezione di sicurezza ed il tasso delle violenze domestiche. Gli istituti aggiorneranno questa classifica ogni due anni.

LEGGI ANCHE: Poche donne tra i leader più innovativi. È ancora tutta questione di Gender Gap?

Essere donna oggi: le discrepanze in Europa

Anche se non esiste un paese senza violenza, disparità e discriminazione, in Nord Europa si trovano i paesi migliori dove nascere donna. In cima alla classifica si piazza la Norvegia, seguita dalla Svizzera, dalla Danimarca e dalla Finlandia. Poi Islanda, Austria, Regno Unito, Lussemburgo ed al decimo posto i Paesi Bassi. L’Italia, invece, è solo al ventottesimo posto della classifica. Ha guadagnato 4 posizioni rispetto al 2017, ma il percorso verso la cima è ancora lungo. Mentre il governo austriaco ha appena disposto la riduzione dell’iva su tamponi & Co., altri paesi, come l’Italia o il Belgio, riportano uno dei tassi più alti di violenze sulle donne. Seppur vicine geograficamente, queste realtà europee sono distanti anni luce per quanto riguarda il rispetto delle donne.

Indice violenza domestica

Indice di violenza domestica sulle donne in Italia creato dal Georgetown Institute

 

La Polonia (venticinquesima in classifica) quest’anno ha emesso una sentenza contro l’aborto, che ha suscitato molte proteste e manifestazioni. Un grave passo indietro nell’emancipazione delle donne, perché a decidere sul loro corpo non saranno più loro stesse. Una manovra del governo che non risolve di certo il problema di chi se lo pone. Piuttosto che ricorrere ad un divieto, un Paese emancipato dovrebbe puntare ad informare, a fornire consulto e supporto a chi ne ha bisogno. Un divieto all’aborto può favorire l’aumento delle operazioni clandestine e con esse anche l’aumento del rischio sanitario delle donne che si sottopongono a questo tipo di interventi.

La (dis)parità di genere in Italia

Il Global Gender Gap Report 2020 conferma la totale assenza di un Paese equo e non discriminatorio nel mondo. Tuttavia, i primi cinque Paesi della classifica (Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Nicaragua) hanno colmato almeno l’80% dei divari di genere. Su 153 Paesi, l’Italia risulta essere solo in settantaseiesima posizione.

L’Osservatorio indifesa Terre des Hommes e ScuolaZoo ha svolto un’indagine tra i giovani sulla percezione della disparità di genere, le discriminazioni, il bullismo ecc. Dai dati emerge che l’85% è consapevole dell’allarme femminicidi in Italia. Da notare anche la differente percezione del pericolo: 7 ragazzi su 10 ritengono vi sia un rischio di femminicidi fondato, si sale a 9 su 10 invece per le ragazze.
Nell’indagine condotta nel 2018 su un campione di 1.262 ragazze dai 13 ai 20 anni si evince inoltre che il 30,98% è d’accordo con l’affermazione che “quello che succede tra le mura domestiche è un fatto privato e nessuno ha il diritto di intromettersi.”

Indagine sulla violenza domestica

Infografica di Osservatorio indifesa e Scuola Zoom

 

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Gli Stati peggiori per le donne

Gli Stati peggiori in cui nascere donna sono quelli in cui le norme discriminatorie, le violenze domestiche ed il sessismo raggiungono livelli molto elevati.

“Sappiamo dalla preponderanza dei dati che c’è una correlazione nelle società dove la violenza pervasiva, basata sul genere, può portare ad una maggiore instabilità ed ad un eventuale conflitto.” Melanne Verveer, Executive Director of the Georgetown Institute

Non è un caso quindi che gli ultimi Paesi della classifica WPS siano paesi in conflitto: Yemen, Afghanistan e Siria. Yemen e Siria si collocano anche tra le ultime posizioni del Gender Gap Report, riportando un divario di genere molto alto. Non esistono Stati completamente liberi da discriminazioni e disparità, ma esistono decisamente dei Paesi dove è meglio nascere donna rispetto ad altri.

i social network e la censura

Se i social media diventano editori: il pericolo della censura. Intervista ad Alberto Mingardi

Cosa sta accadendo nel mondo dei social media? La recente decisione di Facebook e Twitter di bannare il presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, come fosse un utente qualsiasi, è una scelta che sembra andare ben oltre gli “standard della community” e crea un precedente preoccupante. Ne abbiamo parlato con Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, professore associato di Storia delle Dottrine Politiche all’Università IULM di Milano e autore di “Contro la tribù – Hayek la giustizia sociale e i sentieri di montagna”.

I nuovi media sostituiranno i social tradizionali?

Può un social network censurare le idee? Il caso Trump apre interrogativi sul potere della tecnocrazia ed accendo il dibattito. Quale saranno gli effetti futuri? Assisteremo ad una fuga degli utenti verso i media emergenti?

«La censura di Trump crea un doppio cortocircuito. Equipara di fatto i social network agli editori tradizionali, scegliendo di non dare voce a un utente, esattamente come farebbe l’editore di un quotidiano – sottolinea Alberto Mingardi – L’interrogativo attuale, a fronte  delle problematiche in cui sono coinvolti, tra cui i diritti di copyright, a difendersi sostenendo di non essere editori, d’ora in avanti? Dall’altra, mette in crisi coloro che hanno sempre denunciato i social perché sottratti alla regolamentazione pubblica: Twitter e Facebook si sono, letteralmente, autoregolati. L’espulsione di Trump è un atto eclatante ed apre un dibattito che si svilupperà a lungo».

censura sui social media

LEGGI ANCHE: Se censurare è democrazia, ovvero la fine del mito di Internet come strumento di libertà

Le Big Tech, nate come espressione del libero mercato, sembrano ormai legate indissolubilmente ai decisori politici, tanto da fornire output non desiderabili, tali da far fallire le proprie stesse premesse. Il risultato è un conglomerato di potere, più vicino alle logiche del crony capitalism che del free market.

Parler in crescita

Alla censura in atto su Twitter e Facebook si è unita l’offensiva contro Parler da parte di Google e Apple (con la rimozione dell’App dai rispettivi store online) e di Amazon dai propri server. La fuga degli investitori, testimoniata dai crolli in borsa delle piattaforme, si tradurrà anche in una fuga degli utenti verso piattaforme alternative? In una logica di libero mercato l’ipotesi diventa realistica, nel momento in cui altri player saranno in grado di offrire servizi altrettanto interessanti. Anche se lo scoglio resterà sempre il solito: la massa critica di persone che andranno ad animare una nuova piattaforma e quanto il valore aggiunto di quest’ultima verrà percepito dagli utenti, sempre più polarizzati in “tribù” distinte e impermeabili tra loro.

«Twitter e Facebook ci ricordano tutti i giorni come sia cambiato Internet – continua Mingardi – Speravamo fosse uno spazio aperto, nel quale potesse svilupparsi un dibattito più razionale e sereno, invece i social replicano, in certi casi inasprendola, la tribalizzazione anche politica che si riscontra nelle nostre società. Il cerchio delle cose che leggiamo si restringe. Gli algoritmi dei social media aiutano ciascuno di noi a costruire la propria echo-chamber, impermeabile a qualsiasi contaminazione di altre opinioni».

censura su Trump

Alberto Mingardi

Professor Mingardi, l’assenza di dibattito radicalizza ogni utente sulle proprie posizioni? La comfort zone dei propri amici diventa quella del proprio algoritmo di gradimento.


«La frequentazione assidua di queste piattaforme rinforza le convinzioni di ogni utente, un po’ come un tempo si faceva comprando in edicola l’Unità e il Giornale. Solo che qualsiasi quotidiano, anche il più schierato, è plurale negli argomenti trattati: nei media tradizionali c’era sempre l’articolo di cricket in un magazine stampato per gli appassionati di calcio.

Nel nuovo mondo polarizzato, alcune tribù hanno avuto più successo di altre, come nel caso di quella dei sostenitori di Donald Trump nel 2016. Quattro anni fa nessuno o quasi si sarebbe aspettata l’elezione del candidato repubblicano, che aveva costruito un grande seguito su Twitter (memorabile la sua battuta al raggiungimento del milione di follower: “È come avere il New York Times, senza pagare per il suo bilancio in dissesto”). La sua lezione non è stata sprecata e nel frattempo anche i democratici si sono messi al lavoro per recuperare terreno. La comunicazione politica è diventata così sempre più aggressiva, intollerante, tribale».

censura dei social media su Trump

Riconoscere una fake news

Le fake news bastano a censurare il post di un account privato. Chi decide e come si riconosce una notizia fake?
«Quando ti metti a definire una fake news non ne esci più. Cos’è realmente? Alcune sono evidenti, altre meno. Dove comincia la “balla” e dove inizia l’opinione? È un lavoro che possono fare i fact checkers, ma anche costoro debbono crearsi una reputazione “sul mercato”: guai se diventano censori ufficiali.
Le misure di contrasto alle fake news riprendono anche un po’ il target dei social, riflettono gli utenti: FB, che è più popolare e trasversale ha lasciato più libertà di circolazione delle idee rispetto a Twitter, che ha filtri più coerenti con la sua base utenza».

Serve una normativa? Molti decisori politici invocano un provvedimento che ponga limiti allo strapotere delle piattaforme social.
«Regolare decisioni arbitrarie di soggetti privati, come le Big Tech, con le decisioni, altrettanto arbitrarie, della politica e della legge? Forse non è la soluzione migliore. Bisognerebbe scommettere sulla diversificazione e sul mercato: se le persone non si troveranno bene in una piattaforma, migreranno in un’altra piattaforma, quando qualcuno proporrà loro offerte alternative e altrettanto credibili. Si pensi alla crescita di Linkedin, che è una specie di porto sicuro dalle polemiche più urlate. Vedremo come evolverà Parler, ora che Twitter ha cacciato Trump».

censura dei social media

I social media diventano editori proprio nel momento in cui la fiducia nei media tradizionali è al minimo storico.


«L’assenza di fiducia nei media tradizionali non per forza è un fatto positivo: le grandi testate hanno anche una funzione di scrematura dei punti di vista, l’opinione di mio cugino vale meno di quella del fondo del Wall Street Journal. Si presume che chi scrive per queste testate abbia una capacità di analisi maggiore. I grandi media hanno la funzione di dirti che ci sono cose che meritano la prima pagina e altre che stanno bene a pagina 25, una funzione preziosa, ben diversa dalla home di un social, che invece è basata su una scala di importanza personalizzata per i gusti di ciascuno di noi.

La crisi dell’editoria, e dei media tradizionali in generale, ha portato questi editori a motivare la propria tifoseria, tribalizzando a loro volta l’informazione: solo un altro modo per tamponare l’emorragia di lettori e ascoltatori, una strategia che tuttavia non sembra funzionare molto. Quello delle tifoserie è un gioco che, ad esempio, è stato chiaro per tutto il 2020 con l’isterismo pandemico, alimentato dai media tradizionali in una rincorsa perversa agli umori dei social».

censura

Attrarre l’audience

Il problema dell’autorevolezza, non riguarda solo i media ma anche la comunicazione politica. La pazienza delle persone è poca, l’intrattenimento è tutto: tempo una frazione di secondo si deve decidere se scrollare la home o soffermarsi su un tema.

«La comunicazione politica dovrebbe portare a conoscere qualcuno che mi somiglia ma che, per preparazione su certi temi e capacità, è meglio di me. Questo era il vecchio approccio: attualmente, nella sfiducia generalizzata, la gente si accontenta di intrattenimento: se lo show è divertente mi accontento, anche se i protagonisti non sono migliori di me e forse sono perfino peggio.

Il problema è che finché concedo il 5% del Pil all’intrattenimento (cinema, teatro, Netflix…) la situazione rientra nella normalità, ma se noi scegliamo i politici come in base alle loro doti di entertainment, stiamo scegliendo persone, sulla base di questo criterio, per affidargli metà del PIL; questa eventualità, che si sta concretizzando nelle nostre società attuali, diventa un problema.

Alberto Mingardi, Contro la tribù

Alberto Mingardi, Contro la tribù: Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna, Alberto Mingardi, Marsilio, 2020

La narrazione mainstream è ormai un “framing” preciso che esclude ogni altra “versione dei fatti”, censurandola dalla storia ed escludendo ogni revisionismo? 

C’è sempre una realtà, tra le tante possibili, che diventa mainstream a discapito di altre. Eppure non sempre la versione che sopravvive è anche la più aderente ai fatti. Prendi l’esempio del Titanic: uno sceneggiatore del film di James Cameron trovò che un banchiere, a bordo, era rimasto sulla nave che colava a picco citando il posto al suo maggiordomo. Ne discussero con il regista e gli altri autori ma scelsero di non inserirlo nel film. Perché? Forse perché erano convinti che le persone non si sarebbero appassionati alla vicenda, forse perché gli sembrava troppo strano che un riccone potesse essere anche una persona animato da tanto spirito di sacrificio. In un caso o nell’altro, vediamo un approccio ideologico magari non “scelto” apertamente ma senz’altro pervasivo e penetrato a fondo nelle nostre società».

A proposito di Hollywood: in prima fila, nelle proteste contro Trump, artisti, intellettuali, influencers e celebrità. Sembra cambiato poco da fine anni ’60, quando contro Nixon iniziò una vera e propria rivolta, capeggiata dalle star.

«Gli artisti, gli intellettuali da sempre sono stati “contro” il potere costituito, offrendo spesso una visione alternativa, ma la cose dai tempi di Nixon sono cambiate moltissimo: le proteste di ieri hanno gettato le fondamenta culturale dell’establishment di oggi. Molto spesso la ribellione è di maniera e in realtà perfettamente coerente con presupposti ideologici comunemente accettati, soprattutto nel mondo della comunicazione e dello showbiz. C’è un conformismo dell’anticonformismo».

Trump

Abbiamo citato Parler che, come altre piattaforme, si sta affacciando nel mercato dei social media. Se la soluzione non può arrivare dallo Stato, dovrà arrivare giocoforza dal mercato: nuove applicazioni, oppure…

«La mia proposta è far pagare la gente per scrivere. Un piccolo pedaggio. Sembra una proposta scandalosa e irricevibile ma se ci pensi non lo è: un tempo il costo per comunicare le proprie idee, o mandare a quel Paese qualcuno era alto. Se avevi un reclamo da fare a un’azienda, ad esempio, dovevi prendere carte e penna e perdere tempo e soldi per la spedizione della lettera. Oggi il costo di una comunicazione di questo tipo è irrisorio, il tempo di due minuti per scrivere un tweet; l’utente consumatore si ritiene invincibile e spesso comunica alle aziende con una certa aggressività, pretendendo risposte esaustive e in tempo reale. Per non dire dei commenti agli articoli di giornale: una sfilza di vaffa, neanche troppo infiorettati. Ma questa veemenza perché non viene utilizzata nei confronti degli operatori pubblici? Perché sui social media e online si trasferiscono le nostre aspettative della realtà: dalle aziende private e dai brand ci aspettiamo efficienza, mentre nei confronti dello Stato non abbiamo aspettative, perché siamo già abituati alla sua inefficienza. Insomma, e se tornassimo a fare pagare alla gente il francobollo?».

I primi rebranding del 2021: Burger King, Pfizer, Coursera e SEMrush

  • Il più grande rebranding di Burger King dopo 20 anni
  • Dopo 70 anni, Pfizer si libera dell’ovale e punta su un nuovo simbolo a forma di DNA
  • La nuova identità minimal di Coursera, perché l’apprendimento ha il potere di trasformare positivamente il mondo
  • Il restyling di SEMrush: colori vivaci per riflettere l’approccio al lavoro energico e innovativo

Per molte aziende, il periodo difficile di pandemia ha significato lavorare in un clima turbolento, alcune hanno dovuto infatti fare i conti con il problema della sopravvivenza. Per altre, si tratta dell’anno dei cambiamenti, della svolta positiva. Ecco i primi casi di rebranding che hanno destato la nostra attenzione all’alba del nuovo anno.

Burger King cambia la sua identità con un look retrò

Il 2021 si apre con il rebranding di Burger King che lancerà una nuova identità nel corso dei prossimi mesi.


Il rebranding è progettato da Jones Knowles Ritchie di New York. Oggi la nota catena di fast food sta facendo un balzo in avanti introducendo un design visivo completamente nuovo che sarà presente in tutti i touchpoint.

Ispirato al cibo vero e delizioso, l’aspetto più moderno segna il primo rebranding completo in oltre 20 anni e rappresenterà in modo più autentico i valori di Burger King nel mondo.

Il progetto digital-first vede recenti miglioramenti della qualità del cibo, attraverso la rimozione dalle voci di menù di coloranti, aromi e conservanti, e altre sostanze artificiali. Un ambizioso impegno per la sostenibilità ambientale.

Combinando gusto e qualità attraverso il design, ogni elemento è stato intenzionalmente reinventato per riflettere meglio il nuovo viaggio gastronomico di Burger King. I principi di progettazione catturano le caratteristiche uniche del marchio: appetitoso, grande e audace, scherzosamente irriverente e orgogliosamente vero.

rebranding

Logo evolution

Dal lancio dell’attuale logo nel 1999, il colosso americano è passato a un linguaggio di design più moderno e compatibile con il digitale. Gli elementi ricordano le guerre degli hamburger degli anni ’80, ma attirano i consumatori più giovani che desiderano un design vintage. Per ora, il rebranding è in fase di lancio nel sistema statunitense, e presto si farà strada a livello globale.

Il nuovo logo minimalista sposa perfettamente l’evoluzione di Burger King e rende omaggio al patrimonio del marchio con un design raffinato, semplice e divertente.

Tra le chicche che attirano l’attenzione l’affascinante monogramma: la “B” di Burger viene tagliata come un panino e racchiude il ripieno a forma di “K”.

rebrand

I colori selezionati sono ricchi e audaci, ispirati all’iconico processo di cottura alla griglia Burger King e agli ingredienti freschi. La nuova fotografia è iper strutturata e punta sull’aspetto sensoriale del cibo.

rebranding

Il nuovo font del marchio proprietario di Burger King è appunto chiamato “Flame”, e si ispira alle forme del cibo (arrotondate, audaci, gustose) e alla personalità irriverente del marchio.

Anche i pack mostrano con orgoglio il nuovo logo, insieme ad allegre illustrazioni degli ingredienti.

Le nuove divise del personale mescolano uno stile moderno e confortevole con colori e grafiche distintivi. I veri membri dello staff compaiono nella nuova pubblicità di Burger King.

Il rebranding di Pfizer che trasforma il suo logo dopo 70 anni

Fondata nel 1849, Pfizer è una delle più grandi aziende biofarmaceutiche a livello internazionale. È conosciuta in tutto il mondo per farmaci come Zoloft, Lipitor, Viagra e molti altri. Oggi più che mai l’azienda è al centro dei riflettori per il suo vaccino anti-covid, il BioNTech che è diventato il primo ad essere approvato dopo varie sperimentazioni. La società durante il corso del 2020 ha sospeso il suo progetto di rebranding per concentrarsi sulla comunicazione per la pandemia, nonché sugli sforzi di produzione e distribuzione dei vaccini. A novembre, Pfizer ha nuovamente rivolto la sua attenzione al rifacimento dell’identità e ha agito rapidamente per completare e pubblicare il logo e i nuovi materiali marketing a inizio anno. Il progetto porta la firma di Team di New York.

rebranding

Pfizer ha incaricato lo strategic design studio di Brooklyn per creare una nuova identità per riflettere la loro evoluzione da impresa diversificata ad azienda biofarmaceutica mirata e innovativa; da impresa commerciale a leader scientifico di prima classe.

rebranding

Logo evolution

Con un logo che era rimasto pressoché invariato per oltre 70 anni, era fondamentale che la nuova identità di Pfizer riflettesse sia la storia dell’azienda che il suo brillante futuro. L’azienda è nel mezzo di un enorme processo di trasformazione.

La novità che si nota a primo impatto è un potente simbolo unificante – l’elica del DNA.

Gli scienziati vedono il DNA come l’essenza di tutta la vita, il codice e il motore del potenziale umano.  Ogni filo porta con sé le istruzioni affinché un organismo possa svilupparsi, sopravvivere e prosperare. Il DNA di un’azienda rappresenta il suo passato, il suo presente, la sua etica e il suo potenziale.

rebranding

Il nuovo logo Pfizer sblocca l’iconica forma della “pillola” per rivelare una doppia elica che si muove a spirale verso l’alto.

Il pittogramma, adesso a lato, trasmette un senso di movimento ascendente. La forma rotante ispira progresso, cambiamento e ribaltamento di vecchie realtà alla ricerca delle innovazioni del domani.

brand guide

Guidelines

L’azienda ha iniziato a promuovere il nuovo design in una campagna pubblicitaria. Come parte del rebranding, Pfizer ha lanciato un video legato al messaggio “Science Will Win” e un’iniziativa per i media a pagamento. Qui gli scienziati che indossano dispositivi di protezione individuale stanno lavorando sodo mentre il narratore legge una sceneggiatura che umanizza la scienza: “Se vuoi salvare gli esseri umani dalla malattia, chiedi alla scienza”. La clip si conclude con il nuovo logo e il mantra aziendale: “la scienza vincerà”.

Immagini audaci per una scienza che plasma il mondo. Le foto mostrano persone reali.

new look

La nuova identità di Pfizer è stata progettata per essere digital frist, consentendole di muoversi senza problemi su tutti i punti di contatto.

Lo storico blu Pfizer è stato trasformato in una vibrante tavolozza bicolore che indica l’impegno di Pfizer sia per l’innovazione scientifica che per il benessere dei pazienti.

La scelta di Noto Sans come nuovo font del marchio riflette questa dualità.

Sviluppato originariamente da Google per internazionalizzare Internet, Noto Sans è progettato per essere visivamente armonioso in più di 800 lingue. Esprime senso di apertura, energia e raffinatezza.

LEGGI ANCHE: Rebranding 2020: il meglio dai nuovi look dei brand

L’evoluzione della Brand Identity di Coursera

A cavallo del nuovo anno, anche Coursera svela la sua nuova identità. L’azienda fornisce l’accesso universale alla migliore istruzione del mondo, collaborando con le migliori università e organizzazioni per offrire corsi online. Oggi Coursera vuole ribadire il suo impegno a rendere l’apprendimento accessibile, inclusivo e di impatto per tutti. La nuova identità esprime il potere e il potenziale di ogni studente e di ogni opportunità di apprendimento.

Dal 2012 a oggi, Coursera si è evoluta in una piattaforma di apprendimento globale in cui oltre 75 milioni di studenti accedono per apprendere competenze rilevanti per il lavoro e guadagnare credenziali per il proprio avanzamento di carriera.

Il marchio Coursera doveva riflettere questa crescita. Al centro della nuova identità troviamo lo sviluppo delle proprie capacità e la possibilità di vivere le proprie passioni.

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La scritta si evolve dall’infinito alla C e rappresenta il punto di ingresso all’intera gamma di opportunità di apprendimento su Coursera, dai progetti ai corsi gratuiti, fino ai diplomi professionali. La C mette in luce un mondo di possibilità e fornisce agli studenti un percorso che inizia dalla scoperta e porta dritto al risultato.

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La nuova tavolozza colori attinge al mondo naturale per creare un’esperienza calma, edificante e dinamica.

Coursera è un gateway per alcune delle istituzioni di apprendimento più venerate al mondo, era quindi necessaria una palette in armonia con i partner.

Il marchio celebra la diversità e la sua community. Prende vita dalle esperienze degli studenti di tutto il mondo.

Tra i caratteri tipografici selezionati ci sono Source Sans Pro e Noto Sans Pro (come in Pfizer).

L’architettura del marchio è in grado di comprendere l’intero ambito delle crescenti collaborazioni che Coursera ha costruito nel corso degli anni.

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LEGGI ANCHE: Epica Awards: stravince il panino ammuffito Burger King, 9 premi in Italia

Nuovo logo e identità visiva per SEMrush

SEMrush, la piattaforma per la gestione della visibilità online e il content marketing, svela un nuovo logo e il restyling della propria identità visiva.

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Nata nel 2008, come uno strumento unico per gestire progetti SEO oggi SEMrush è a tutti gli effetti una piattaforma potente di gestione della visibilità online. La strategia di rebranding vuole riflettere l’evoluzione e lo sviluppo dell’azienda in tal senso.

Il design del logo appare rinnovato e moderno, reinventa e semplifica l’elemento principale.

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Come parte dell’immaginario visivo di SEMrush troviamo la palla di fuoco, che simboleggia la scintilla creativa che accende il motore del marketing.

“SEMrush è una scintilla che mette in moto il marketing. E ora la nostra identità visiva funge da estensione al nostro impegno per migliorare la visibilità online dei nostri clienti” ha dichiarato il CEO Oleg Shchegolev.

SEMrush utilizza anche un nuovo carattere tipografico personalizzato e una tavolozza colori vivaci per riflettere l’approccio innovativo ed energico al lavoro.

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La nuova identità è stata implementata nella homepage e nei materiali marketing e nei prossimi mesi sarà visibile su tutti i prodotti SEMrush.

Come ottenere più visualizzazioni su YouTube: consigli di un creator di successo

  • Ci sono due motivi che devono spingere un creator di YouTube a pubblicare video: la soddisfazione dello spettatore e l’algoritmo della piattaforma
  • La formula magica di Justin non prevede solo il giusto minutaggio, ma contempla anche cinque elementi che servono per aumentare le visualizzazioni

 

Qual è la migliore strategia per ottenere più visualizzazioni su YouTube? Se anche tu ti sei posto questa domanda, ti riportiamo l’intervista di Michael A. Stelzner, il fondatore di Social Media Examiner, a Justin Brown, esperto di YouTube e strategia video.

Justin Brown e Primal Video Accelerator

Justin è un esperto di YouTube, un vero e proprio stratega del video che aiuta le aziende ad aumentare il proprio pubblico e a guadagnare. Sì, se crescono gli utenti su YouTube, conseguentemente, crescono anche le entrate: ed è proprio questo che egli spiega nel suo canale YouTube dal nome Primal Video.

Una piccolezza: si rivolge “solo” a 820 mila iscritti.

Non uno qualsiasi: Justin Brown ha lavorato con Netflix e si occupa della produzione di video “veri”, tanto da aver lavorato anche con importanti emittenti statunitensi. Il suo merito è quello di aver sviluppato la strategia perfetta per YouTube e la racconta, di volta in volta, nel suo canale: 3 milioni di visualizzazioni in un mese sono ormai, per lui, lo standard.

LEGGI ANCHE: Come TikTok e le Stories di Instagram stanno facendo crescere il valore degli Influencer

L’importanza delle visualizzazioni su YouTube

Secondo Justin, ci sono due motivi che devono spingere un creator di YouTube a pubblicare video: la soddisfazione dello spettatore e l’algoritmo della piattaforma.

Per questo motivo, è molto importante che un utente guardi sempre un video per intero, dall’inizio alla fine: un trucchetto potrebbe consistere nel fornire un’offerta o una promozione al termine del contenuto. Forse non è noto a molti ma quando un video su YouTube viene visto solo a metà, la piattaforma lo interpreta come un contenuto negativo che sarà poi penalizzato nella ricerca e nei risultati suggeriti.

Allo stesso modo, non bisogna però annoiare lo spettatore: invece che costringere un utente a guardare cinque video per ottenere ciò di cui ha bisogno, assicurati di fornire il tutto in un solo, in modo succinto e pratico, per essere sicuro che non mollerà la presa. Come dire: è meglio garantire un video visualizzato per intero che 5 a metà.

Ricorda che YouTube, contrariamente alle altre piattaforme, non si rivolge a chi ha un basso livello di attenzione, anzi. Con YouTube si parla di minuti, non di secondi: è opportuno ragionare dunque in questi termini… temporali.

Justin Brown's secret tips for YouTube success - YouTube

Come strutturare un video di successo

La formula magica di Justin non prevede solo il giusto minutaggio, ma contempla anche cinque elementi che servono per aumentare le visualizzazioni.

Il gancio: la parole chiave

Quando qualcuno cerca un contenuto su YouTube, c’è sempre quell’ansia che persiste finché gli utenti non sanno che stanno guardando il video giusto. Per questo motivo, l’obiettivo è attirare immediatamente gli spettatori facendo sapere loro che sono nel posto giusto.

Per coinvolgere immediatamente gli utenti, occorre sviluppare un gancio che ripeta le parole chiave esatte relative alla loro domanda nella prima frase del vostro script video. Se in esso si parlerà del miglior software di editing video per utenti Mac, non dovrai esordire con “Ehi, sono Justin di Primal Video“, ma con “Stai cercando il miglior software di editing video su Mac nel 2020? Bene, in questo video lo analizzeremo. “

L’utilizzo della frase chiave esatta è importante perché YouTube trascrive i tuoi video, li valuta e li premia. O meno.

L’introduzione: tu e i tuoi contenuti

Sempre secondo Justin, dopo il gancio, presenta te stesso e il tuo canale, fornendo qualche dettaglio in più sui contenuti che intendi offrire. Lui propone, ad esempio, qualcosa come: “Ciao, sono Justin di Primal Video, dove ti aiutiamo a far crescere un pubblico e ad aumentare le tue entrate con i video online“. In questo modo non solo ti sei presentato ma hai anche detto alle persone quali sono i contenuti.

Contenuto: coinvolgi lo spettatore

Ora è il momento di mantenere ciò che hai promesso per mantenere il tuo spettatore attivamente coinvolto.

Non importa quanto siano belli i tuoi contenuti, se parli senza elementi visivamente interessanti da guardare gli spettatori si annoieranno. Oltre a ciò, assicurati le attività di coinvolgimento comuni  come il fare clic sui pulsanti – pollice su o pollice giù -, lasciare un commento o fare clic su una scheda per visualizzare in anteprima un video correlato e così via.

Bonus: pubblicazione in eccesso

Quando hai concluso il contenuto promesso, offri agli spettatori qualcosa in più, qualcosa che non si aspettano. Scegli qualcosa che li aiuti a implementare la soluzione che hai appena suggerito o qualcosa relativo al prossimo ostacolo che incontreranno. Ad esempio, si potrebbe menzionare una risorsa scaricabile dal web per “chi sa”. Una tip non scontata, per intenderci.

Invito all’azione: il passo successivo

Se qualcuno guarda fino alla fine il tuo video, allora vorrà anche sapere quale sarà il passaggio successivo da fare. In questo, dovrai aiutare il pubblico a completare il suo viaggio. Un modo per farlo è suggerire di guardare un altro video specifico che continua quel percorso di conoscenza e scoperta già intrapreso. Utilizza sempre una schermata finale per indirizzare gli utenti verso il miglior video successivo che hai sull’editing video, magari uno che possa offrire suggerimenti su come modificare più velocemente.  Quindi: “Perché non dai uno sguardo a questo fantastico video sull’editing video avanzato?

Se non ne hai uno a disposizione, dirottalo sul video di qualcun altro. Perché? Una delle metriche che YouTube tiene in considerazione è il tempo della sessione. Se il tuo video avvia una sessione, ti viene attribuito quel “viaggio” di visualizzazione.

Suggerimento : se utilizzi il video di un altro canale, mantieni generico l’invito all’azione in modo da poterlo scambiare con uno dei tuoi nella schermata finale quando avrai un video pronto.

youtube

Un altro modo per aiutare gli spettatori a continuare il loro viaggio di scoperta è fornire un invito all’azione che li spinga a scaricare una risorsa o una guida correlata. Se stai parlando di editing video, condividi una guida al montaggio; se stai parlando di riprese, condividi una guida alle riprese.

YouTube, una gallina dalle uova d’oro

I modi per avere successo su YouTube sono tanti: questa volta ti abbiamo riportato i consigli di Justin Brown, ma il consiglio che vogliamo darti è quello di non smettere mai di sperimentare. Lo stesso Brown ha dichiarato che da quando ha aperto, nell’ormai lontano 2014, il suo canale ha conosciuto tanti fallimenti prima di ottenere il giusto successo.

Il consiglio è sempre uno, dunque: provare.

 

influencer marketing

Come TikTok e le Stories di Instagram stanno facendo crescere il valore degli Influencer

  • Nell’ultimo anno il mercato dell’Influencer Marketing è cambiato profondamente e le sole attività di sponsorizzazione su TikTok sono cresciute del 130%
  • Secondo una ricerca condotta da Klear, la quota di mercato dell’industria degli influencer della Generazione Z è cresciuta del 9%
  • Con il passaggio dai post ai contenuti brevi (come le stories) i creator di Instagram e TikTok hanno visto incrementare il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente

 

Secondo la ricerca State of Influencer Marketing, condotta da Klear, il 2020 è stato l’anno del cambiamento.

La pandemia provocata dal Covid-19 ha colpito le vite di tutti noi modificando molti aspetti della nostra quotidianità.

La stessa fruizione della rete e dei contenuti social è cambiata e questo cambiamento ha messo in moto un processo di adattamento e innovazione anche per creators e marketers.

Nonostante il periodo poco favorevole, gli investimenti pubblicitari in influencer marketing sono stati ingenti. Gli influencer hanno incrementato il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente, confermando il potenziale di questo settore. La sola piattaforma TikTok ha visto un’attività di sponsorizzazione del 130% in più rispetto all’anno precedente. Insomma, il settore continua ad affermarsi e ad essere importante nella strategia di marketing mix.

Tiktok

Quali settori e categorie di influencer sono cresciuti nell’ultimo anno su Instagram e TikTok

Secondo l’ONIM, Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing, il mercato degli influencer è maturo.

Nel 2020 i settori più interessati alle collaborazioni sponsorizzate su Instagram e TikTok sono stati (in ordine):

  1. Moda
  2. Fitness
  3. Fotografia
  4. Lifestyle
  5. Beauty
  6. Viaggi
  7. Famiglia
  8. Food
  9. Fai da te
  10. Design.

I settori che hanno più risentito della crisi sono stati Food e Viaggi. Indubbiamente la loro penalizzazione è stata dettata dai vari lockdown.

Nella stessa ricerca di Klear condotta su un campione di 5mila influencer, si legge che l’utilizzo dell’hashtag #ad nei post di Instagram è diminuito del 19% su base annua mentre l’utilizzo delle Stories sponsorizzate è cresciuto del 32%. Questo significa che il consumatore è più interessato a contenuti instant rispetto a post statici.

Le stories di Instagram sono contenuti più facili da monitorare per la conversione.

Sebbene Instagram sia sempre stata considerata una piattaforma utile al raggiungimento degli obiettivi di brand awareness e consideration, l’utilizzo delle stories ha fatto emergere la possibilità di monitorare il conversion rate di una campagna di Influencer Marketing.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Basti pensare al fatto che all’interno delle stories è possibile aggiungere un link per monitorare l’atterraggio alla pagina web dedicata. Inoltre si possono inserire adesivi, domande, sondaggi ed altri elementi utili all’engagement. In una campagna di Influencer Marketing il creator può registrare un video in cui prova un prodotto e/o un servizio e ingaggiare il pubblico con un contenuto di impatto inserito all’interno della sua routine.

Questo genere di storytelling non si può costruire con la pubblicazione di uno o più post, non si possono inserire link e al di là della pubblicazione del video, non essendo il post un contenuto istantaneo, perde il suo spazio nella veloce narrazione quotidiana dell’influencer.

TikTok, invece, è il social che è stato più scaricato nell’ultimo anno. Tra i trend emersi nella ricerca di Klear vi è lo spazio che la Generazione Z si sta ritagliando nel mercato dell’Influencer Marketing. Sebbene la crescita dei contenuti sponsorizzati #ad non ci sia stata nella maggior parte dei mercati, quello degli influencer tra i 18 e i 24 anni è salito del 9% rappresentando oggi il 31% dell’intero comparto.

I marketers e i brand non possono fare a meno di considerare che i giovani e i giovanissimi aumenteranno sempre più il loro potere di acquisto, quindi investire in questo campo sarà inevitabile.

generazione Z - Tiktok

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La Generazione Z è formata dai nativi digitali che sono a proprio agio con le espressioni neutrali di genere, sono più istruiti rispetto ai membri delle altre generazioni e hanno valori sociali e politici progressisti. Questi dati possono essere utilizzati dai brand per la scelta dei social da presidiare e degli argomenti da trattare.

Nonostante i problemi e i limiti che la piattaforma TikTok ha avuto negli USA, sono molti i brand che hanno messo gli occhi sui creator della Gen Z e il loro passaggio da Instagram al social TikTok ha contribuito alla crescita di molti di essi. Il social media dei video musicali ha spinto Instagram a rilasciare la funzione Reel. Solo questa scelta di contenuto dovrebbe essere indicatore della crescente importanza che TikTok avrà nell’allocazione dei budget social.

influencer performance Tiktok

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Il valore degli influencer sui consumi

Le scelte dei consumatori sono fortemente orientate dagli influencer e dalle loro storie.

Secondo una ricerca condotta da Valassis sul mercato americano, inglese e tedesco, il 51% degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato un prodotto o un servizio dopo averlo visto utilizzato o promosso da un influencer. Secondo lo studio, l’Influencer Marketing sta avendo un maggiore impatto sugli acquisti perché il tempo di fruizione dei social da parte dei consumatori è aumentato durante la Pandemia.

Il 35% dei consumatori americani, infatti, sostiene di aver effettuato un acquisto non pianificato dopo aver visto qualcosa sui social mentre e il 21% ha dichiarato di aver effettuato un acquisto consigliato da un influencer da quando è iniziata la pandemia. Questi numeri ci fanno capire e percepire il reale potere che i creator hanno sui consumatori e viceversa.

Secondo I trend dell’Influencer Marketing 2021, ricerca condotta da Buzzoole, emerge chi riesce a costruire un’identità distintiva e riconoscibile. Agli influencer non serve essere onnipresente su tutti i canali ma sceglierne alcuni in cui costruire un legame forte con la propria community.

L’attivismo sociale degli influencer di Instagram e TikTok

L’impatto che le nostre scelte hanno nel mondo si riflettono anche sul fatto che i brand e gli influencer si stanno addentrando nel campo dell’attivismo sociale.

Nella ricerca di Klear condotta analizzando i profili social di 100 compagnie si legge che l‘80% dei brand ha supportato sui social la causa #BlackLivesMatter. Nella stessa ricerca si legge anche che il 65% dei consumatori afferma che smetterebbe di seguire un influencer che dice o fa qualcosa non in linea con la propria etica e i propri valori personali.

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Alcuni consumatori stanno abbracciando marchi sostenuti dagli influencer che riflettono la loro consapevolezza sociale. Dunque il futuro dei brand dovrà essere sempre più etico perchè saremo sempre più connessi e consapevoli. Le nostre scelte influenzeranno e saremo influenzati. Diventeremo tutti creator, tutti portatori di valore ed ognuno di noi sarà capace di invertire la rotta e cambiare le tendenze del mercato.