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Ennio Morricone

Il “maestro silenzioso” Ennio Morricone in 15 citazioni da cui trarre ispirazione

  • Ennio Morricone era un uomo semplice, serio, umile, amato da tutti e specialmente da chi fa parte del mondo del cinema.
  • Ha collaborato con moltissimi e importanti registi a livello internazionale, arrivando anche a vincere due Oscar, di cui uno grazie a una sua colonna sonora. È stato uno dei compositori più importanti dell’ultimo secolo, e probabilmente della storia. 
  • Dietro alla fama si nascondeva un personaggio silenzioso, dal talento inestimabile, che preferiva stare vicino alla famiglia, vivendo con l’amata moglie nella sua Roma, invece che celebrare i successi e stare sotto i riflettori. 

 

Il 6 luglio 2020, per un attimo, gran parte del mondo si è fermata alla notizia della morte di Ennio Morricone. È stata una reazione concorde, naturale, quasi incondizionata: se ne era andata una di quelle persone destinate a entrare nella leggenda, che si vorrebbe restassero con noi per sempre. Un compositore di colonne sonore a dir poco iconiche, ma anche autore di alcune tra le canzonette più famose (sua la firma dietro a canzoni celebri come “Se telefonando” o “Sapore di sale”), un artista in grado di riempire gli stadi di tutta Europa anche dopo oltre 50 anni di carriera.

Vincitore di due premi Oscar, uno per la carriera, nel 2007, e uno per “The Hateful Eight” di Tarantino nel 2016. Morricone ha realizzato oltre 500 musiche per film e serie TV, e le onorificenze e i premi ricevuti compongono una lista lunghissima. Una carriera, quella del compositore romano, che ha influenzato pellicole di tantissimi registi e artisti del ‘900. Ha lavorato con Brian De Palma, Carlo Lizzani, Dario Argento, Don Siegel, Elio Petri, Ettore Scola, Franco Zeffirelli, Gillo Pontecorvo, Giuseppe Tornatore, Liliana Cavani, Marco Bellocchio, Oliver Stone, Pedro Almodovar, Pier Paolo Pasolini, Quentin Tarantino, Roland Joffé, Roman Polanski, Sergio Corbucci, Sergio Leone, Terrence Malick, e l’elenco potrebbe continuare.

Dietro a un artista così “rumoroso”, però, si nascondeva un uomo molto silenzioso, semplice, discreto. Più volte ha dichiarato che la sua più grande sofferenza sarebbe quella di non lavorare. La costanza, la dedizione, e la passione per il suo lavoro, infatti, insieme all’amore per la sua famiglia, è ciò che ha contraddistinto maggiormente il maestro Morricone. Un artista estremamente curioso, alla ricerca di continui stimoli creativi per puntare all’eccellenza, che non smetteva mai di mettersi in discussione. Quando Tarantino, ad esempio, l’ha paragonato a Mozart, Beethoven, e Schubert durante la premiazione dei Golden Globe nel 2016, lui ha replicato:

«Mi fa piacere, ma non siamo noi a doverci collocare. Sarà la storia a decidere. Perché arrivi il tempo giusto ci vogliono secoli.»

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Ennio Morricone: la vita

Ennio Morricone nasce a Roma il 10 novembre 1928, primo di 5 figli. All’età di 10 anni inizia a frequentare il Conservatorio di S. Cecilia della capitale, iniziando a suonare la tromba, strumento del padre, per poi dedicarsi allo studio della composizione nel 1944. Inizialmente quella di Morricone era una vita di sacrifici. Basti pensare al fatto che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, si guadagnava da vivere intrattenendo i tedeschi mentre occupavano la città. Dopo qualche mese era il turno degli americani, che lo pagavano in viveri e sigarette («Ma non fumavo: le rivendevo e tornavo a casa con i soldi»).

A metà degli anni Cinquanta, Morricone inizia ad arrangiare musiche per il cinema. Sono gli stessi anni in cui sposa l’amore della sua vita, Maria Travia. Dopo la nascita del primo figlio Marco, viene assunto dalla Rai come assistente musicale. Si licenzia il primo giorno, continuando a collaborare solo come arrangiatore nei varietà televisivi. Un gesto di chi aveva capito di essere destinato a qualcosa di più grande. A inizio anni Sessanta nascono altri due figli, Alessandra e Andrea, insieme a una collaborazione destinata a segnare un’epoca, quella con Sergio Leone. Grazie alla cosiddetta “trilogia del dollaro” e al pluripremiato “C’era una volta in America“, il compositore romano aumenta notevolmente la sua fama.

Nel frattempo, continua la sua intensa attività di arrangiatore per l’etichetta RCA, che però riduce sensibilmente dopo la nascita del quarto figlio, Giovanni. Nel 1966 ha fatto anche da giudice alla ventesima edizione del Festival di Cannes. Dagli anni successivi, si dedica quasi totalmente a creare musiche per il mondo del cinema, collaborando con importantissimi registi in tutto il mondo.

La sua carriera è costellata da una serie infinita di riconoscimenti, tra cui 3 Grammy, 3 Golden Globe, 6 Bbafta, 10 David di Donatello, 11 Nastri d’Argento, 2 European film Award, 1 Leone d’Oro, 1 Polar Music Prize. Nel 1995, riceve anche l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

Negli ultimi 20 anni, poi, si è dedicato a una nuova vita artistica, salendo su importanti palcoscenici in tutta Europa come direttore d’orchestra. Il 2007 è l’anno dell’Oscar alla carriera, prima di quello per la colonna sonora di “The Hateful Eight” nel 2016.

Ennio Morricone - Orchestra

La musica di Morricone, entrata nella leggenda

Ennio Morricone non è stato solo un compositore “a servizio” del mondo del cinema. Dietro alcune delle canzoni più famose di Edoardo Vianello, Gino Paoli, Luigi Tenco, Mina, c’era proprio lui. Nella musica di Morricone, infatti, si intravedono continuamente influenze “pop”, frutto della sua irrefrenabile curiosità e uno dei primi elementi per comprendere la grandezza del compositore.

Per quanto riguarda il mondo del cinema e le colonne sonore, il suo atteggiamento è sempre stato quello del rifiuto della standardizzazione, della continua ricerca di nuovi stimoli e nuovi elementi in grado di alimentare il suo processo creativo. Nelle sue creazioni, infatti, si possono ritrovare jazz, rock, e altri generi musicali più comuni e frizzanti, insieme alla grande musica classica. Comporre musica, per Morricone, significava tantissimo studio e prendersi libertà di sperimentare. Come diceva lui stesso, d’altronde:

«Essere originali diventa sempre più difficile.»

Le musiche di Ennio Morricone sono musiche splendide, di enorme impatto, anche grazie all’uso di strumenti diversi dall’ordinario e della voce umana. Immediatamente riconoscibili, entrate nella leggenda, in grado di conferire una sorta di immortalità al suo grande compositore.

1. “La musica esige che prima si guardi dentro se stessi, poi che si esprima quanto elaborato nella partitura e nell’esecuzione.”

2. “Io penso che, quando fra cento, duecento anni, vorranno capire com’eravamo, è proprio grazie alla musica da film, che lo scopriranno.”

3. “La musica mi ha salvato da fame e guerra. Ma l’arte è puro talento, la sofferenza non c’entra.”

4. “[…] il mio modo di scrivere testimonia sempre l’esigenza di andare avanti lungo un percorso creativo.”

5. “La musica poi è intangibile, non ha sembianze, è come un sogno: esiste solo se viene eseguita, prende corpo nella mente di chi ascolta. Non è come la poesia, che non necessita di interpretazione perché le parole hanno un loro significato.”

6. “La musica può essere interpretata in vario modo. Una composizione per una scena di guerra può essere intesa anche come brano che accompagna una danza frenetica.”

7. “Uso spesso le stesse armonie della musica pop perché la complessità di quello che faccio si può ritrovare altrove.”

8. “Se si pensa a tutti i film a cui ho lavorato, si può capire come sono stato uno specialista nei western, storie d’amore, film politici, thriller, horror, e altro ancora. In altre parole, non sono uno specialista, perché ho fatto di tutto. Sono uno specialista nella musica.”

9. “Ci sono alcuni registi che hanno paura del possibile successo della musica. Hanno timore che l’audience o la critica penserà che il film ha funzionato perché c’era una bella colonna sonora.”

Ennio Morricone - Pianoforte

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L’umiltà, la serietà, la dedizione di uno dei compositori più grandi della storia

La sua musica è diventata celebre in tutto il mondo, ma Morricone preferiva rimanere con i piedi per terra. Letteralmente: non compariva mai sul set durante le riprese. Le sue uniche eccezioni furono “C’era una volta il West”, “C’era una volta in America”, e “La leggenda del pianista sull’oceano”. In America ci andò poi nel 2007, quando ricevette l’Oscar alla carriera e stupì tutti con la sua genuinità.

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Nonostante gli innumerevoli premi e riconoscimenti attribuitogli lungo la sua carriera, lui si è sempre concentrato sulla sua musica, la sua vera voce, disinteressandosi della fama. Non voleva celebrare nulla, preferiva vivere nella sua casa di Roma insieme alla moglie Maria e vicino al resto della sua famiglia. Ennio Morricone è sempre stato contraddistinto da grande semplicità e umiltà, unite però a una grande consapevolezza del suo talento e una grande fiducia nei propri mezzi.

Un uomo metodico, serio, dai ritmi regolari, che nonostante di mestiere facesse musica se n’è andato silenziosamente, come era solito vivere le sue giornate.

10. “Nell’amore come nell’arte la costanza è tutto. Non so se esistano il colpo di fulmine, o l’intuizione soprannaturale. So che esistono la tenuta, la coerenza, la serietà, la durata.”

11. “Quando scrivo nessuno mi può aiutare, perché chi scrive ha qualcosa di personale da dire.”

12. “Io sono veramente commosso da questa serata, perché non mi aspettavo tutto questo. Chi scrive sta a casa a scrivere e poi va in studio a registrare. Non pensa a tutte queste cose, io non c’ho mai pensato. Tutte quelle cose belle che mi hanno detto, che ogni tanto pensano, vi ripeto, io non me le aspetto mai. Purtroppo sono talmente scettico sulle congratulazioni che mi fanno che penso soltanto se ho fatto il mio dovere […]

13. “Posso avere anche centomila persone alle spalle: non me ne accorgo. Sono troppo concentrato, sono solo. Solo fino agli applausi conclusivi. Allora tutto si scioglie. Il miracolo s’è ripetuto un’altra volta. E posso passare anch’io dalla parte del pubblico.”

14. “Tutti devono morire. Non mi fa particolarmente paura. Quello che davvero mi spaventa è che se me ne vado prima di mia moglie la lascerò da sola, e viceversa. L’ideale sarebbe morire insieme.”

15. “[…] C’è solo una ragione che mi spinge a salutare tutti così e ad avere un funerale in forma privata: non voglio disturbare. […]”

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Donne e COVID-19: la pandemia ha aggravato le differenze di genere?

  • Il COVID-19 ha ulteriormente scombussolato la vita privata e lavorativa delle donne.
  • I settori economici più a rischio crisi sono quelli in cui sono impiegate la maggior parte delle lavoratrici.
  • Le disparità di genere continuano ad aumentare e non sembrano volersi fermare.

 

Uno degli enigmi che vorremmo risolvere senza perderci in labirintici discorsi riguarda la separazione tra sfera privata e lavorativa. Esiste davvero o è solo una leggenda?

Negli ultimi mesi poter rispondere con sincerità e lucidamente a questa domanda ci risulta davvero complicato. Con l’improvviso arrivo del COVID-19, lo stato di pandemia e il lockdown siamo stati costretti a cancellare la sottile linea che divideva questi due aspetti. Abbiamo convissuto non solo con la paura e l’ansia per la nostra salute, ma tutti i nostri ritmi sono stati stravolti. Le nostre battaglie a difesa del nostro tempo e dello spazio hanno vacillato.

Purtroppo le donne ne stanno pagando il prezzo più alto. 

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Donne e COVID-19: la disparità lavorativa cresce

Lavoratori e lavoratrici, almeno chi poteva, hanno lavorato da casa, provando le gioie e i dolori dello smart working. Più che altro parliamo di telelavoro, arrivando a stare davanti al PC più ore del previsto, e a occuparsi dei figli, della loro istruzione e delle faccende domestiche. Ma cosa differenzia uomini e donne in questo contesto?

Oltre la metà delle donne si occupa della casa, dell’assistenza dei figli e dei genitori anziani, senza riuscir a condividere le mansioni con il proprio partner. Inoltre il 31% delle donne ha dovuto rinunciare al proprio lavoro per sopperire a tutte le incombenze familiari.

Perché sono sempre le donne ad essere penalizzate?

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La situazione lavorativa delle donne

L’ILO, l’International Labour Organization, ha decretato che sono quattro i settori ad alto rischio economico a causa dell’impatto del COVID-19:

  • immobiliare;
  • commerciale;
  • amministrativo;
  • commercio all’ingrosso e al dettaglio.

Il 41% degli occupati in questi campi sono donne. Ciò suggerisce che la popolazione femminile potrebbe essere la più colpita gravemente nei prossimi mesi, rispetto alla controparte maschile che ne rappresenta il 35%.

Bisogna tener presente due aspetti analizzando questi dati. Il primo è che abbiamo un numero cospicuo di donne che abitano in Paesi a medio e basso reddito, dove c’è un alto rischio che i lavori di produzione, specialmente nel settore dell’abbigliamento, potrebbero scomparire.

Il secondo è che molte donne hanno un reddito familiare alto e vivono in Paesi a medio reddito, ma non per questo se la passano meglio. Molte di queste lavoratrici sono imprenditrici di piccole imprese e non tutte riescono ad ottenere facilmente dei finanziamenti. Sempre secondo le analisi dell’ILO, le lavoratrici autonome basano le proprie forze sull’autofinanziamento e in un periodo di crisi così forte, potrebbero dover chiudere la propria attività commerciale.

Le donne imprenditrici devono affrontare parecchi ostacoli per ottenere credito e ricevere prestiti con interesse equi. In tutto il mondo, solo il 5,3% delle donne richiede e ottiene un prestito per avviare un’azienda commerciale o agricola.

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Purtroppo milioni di persone hanno perso il lavoro e le entrate sono nettamente diminuite.

Le donne che erano già colpite da disuguaglianze come la disparità salariale e un minore accesso ai servizi finanziari, non hanno gli appoggi necessari. I decreti d’emergenza e gli investimenti a lungo termine per il recupero economico devono sostenere e proteggere le donne e le persone emarginate. Ci sono ragazze e donne migranti forzatamente sfollate che potrebbero non essere in grado di accedere a queste risorse.

Le donne che lavorano nell’assistenza

Ad aver sofferto molto in questi mesi sono state le donne, ma anche gli uomini, che lavorano nel campo medico. Osannati come eroi da un lato, costretti a turni massacranti, hanno sentito ogni giorno lo stress e l’ansia di non riuscir a reggere tutto, di ammalarsi e di mettere in pericolo la propria famiglia. Chi ha avuto a che fare con i pazienti ammalati di COVID-19 ha preferito isolarsi, allontanandosi dai propri cari.

In molti Paesi le infermiere sono state oggetto di violenze verbali, denominate “untrici”, attaccate col cloro durante gli spostamenti dalle strutture sanitarie a casa. Per non parlare degli straordinari, della paura di non poter riabbracciare presto i propri affetti, una situazione di stress che ha coinvolto in primis le madri single.

Le giovani donne sono le più colpite

Abbiamo avuto modo di leggere tante storie di persone che hanno perso qualcosa e qualcuno, a causa del COVID-19. Una delle fasce più colpite però sono proprio le giovani donne.

Ragazze che avevano intrapreso un percorso di studi, che avevano in mente progetti lavorativi, di vita, hanno dovuto mettere tutto in standby. Hanno accantonato sé stesse per aiutare la famiglia, per essere di supporto e si sono fatte carico di parecchie responsabilità, anche più grandi di loro.

Alcune di loro hanno perso il lavoro perché impiegate in uno di quei 4 settori a rischio, specialmente coloro che lavorano nel commercio al dettaglio, e tutte quelle aree che prevedono il contatto col pubblico. C’è chi ha visto ridursi drasticamente lo stipendio ha optato per il licenziamento.

Sono davvero tante le voci delle giovani donne che da un giorno all’altro hanno perso tutto perché magari già partivano svantaggiate nel proprio lavoro.

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La disuguaglianza di genere non si ferma

Sfortunatamente si innesca un meccanismo in cui le difficoltà emerse con il COVID-19 aggravano una situazione di disuguaglianza già difficile in cui le donne sentono una pressione infinita.  Quella necessità di dimostrare di essere in gamba, di poter fare tutto, di essere allo stesso livello dei colleghi uomini. Ciò tormenta specialmente le più giovani, in una società in cui si dettano canoni di perfezione, dove la donna è una brava madre e una lavoratrice instancabile. La donna come emblema del multi-tasking, l’anello di congiunzione tra la figura materna precedente e la donna in carriera futura.

Un mondo che sembra non contemplare le debolezze e il fallimento. Questa pandemia ha fatto vacillare anche la più temeraria delle guerriere, lasciando sole molte di loro.

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Donne, madri e smart working

Quanto abbiamo parlato di smart working? Discussioni e dovute precisazioni su uno degli argomenti più gettonati di quest’anno, tutti, o quasi, abbiamo sperimentato cosa significa lavorare da casa. Organizzarsi telematicamente con i colleghi, con la propria famiglia.

I bambini, i primi a risentire di questa pandemia, assistiti dai propri genitori, ad approcciarsi con la didattica a distanza. Gli adulti alle prese con PC, tablet e laptop, tra coreografie sui balconi, conti che non tornano, tormentati dai dubbi e dalle aspettative di un ingombrante “andrà tutto bene”.

Ma tutto bene non è andato per le donne, madri e lavoratrici alle prese con lo smart working, che di smart non ha avuto molto. Con i bambini tra i 6 e i 12 anni confinati in casa, i genitori si sono occupati costantemente dei figli. Ma ogni famiglia ha vissuto questa pandemia diversamente, e sta provando ad assestarsi nelle fasi successive.

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Le donne si sono fatte più carico della casa e dei figli

I dati riportano che le donne si sono occupate della casa e dei figli 13 ore in più rispetto agli uomini, e lo smart working non ha di certo agevolato la situazione. Con la maggior parte del tempo impiegato ad assistere i figli, soprattutto i più piccoli senza l’assistenza di nessuno, molte donne hanno dovuto tralasciare il lavoro, trascurandolo.

Consapevoli di non essere state produttive come avrebbero voluto, ma di aver subito un sovraccarico di compiti, temono che saranno proprio le prime a essere licenziate a causa della crisi economica.

Solitamente in un nucleo familiare è l’uomo che guadagna di più rispetto a una donna, e questo porta le lavoratrici a sacrificare le proprie ambizioni lavorative per accudire i figli, o le porta a scegliere lavori part  time, senza poter assecondare ciò che desiderano davvero.

Ci sono voluti 20 anni per implementare l’occupazione femminile dell’11%, cosa accadrà adesso? Quanto sacrificio è richiesto ancora?

Cosa si potrebbe fare per aiutare le donne?

In un momento così delicato l’assistenza all’infanzia è fondamentale per aiutare le coppie a crescere i figli e a sentirsi al sicuro. Quando gli asili nido riapriranno, molti non potranno accettare altri bambini e non tutti possono affidare i propri figli ai nonni. È vero, i governi si stanno attivando con misure a sostegno delle famiglie, ma basteranno?

In Italia prima della pandemia una donna su due lavorava, ma problemi come la disparità salariale saranno sempre un ostacolo per una felice carriera lavorativa.

Dall’ultimo rapporto dell’INPS è emerso che in un anno, oltre 37 mila neo mamme lavoratrici, hanno presentato le dimissioni. La maggior parte delle motivazioni riguarda l’impossibilità di conciliare lavoro e crescita dei figli più piccoli. Il percorso lavorativo di una donna non è lineare come quello di un uomo. Perché le donne devono ancora essere costrette a scegliere tra lavoro e famiglia?

L’aumento dei casi di violenza

La violenza è un flagello che non risparmia nessuno e molte donne ne sono state vittime durante questa pandemia, isolate e rinchiuse con i propri maltrattatori.

Refuge è un luogo sicuro per donne che vengono tormentate e abusate, durante il lockdown ha visto un incredibile aumento del 950% delle visite al suo sito Web. Le donne e i bambini supportate ogni giorno da Refuge sono oltre 6000.

COVID-19

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In Italia, durante la quarantena, ci sono state più di 2000 richieste d’aiuto in più rispetto ai mesi precedenti, ha dichiarato Elena Bonetti, la ministra per le Pari Opportunità. Ci sono anche crescenti preoccupazioni riguardo la depressione postnatale che aumenta tra le neo mamme isolate in un momento in cui gli asili, le assistenze o le cliniche drop-in non stanno funzionando.

Oltre i ruoli di genere

Le donne tradizionalmente portano sulle proprie spalle la maggior parte delle responsabilità assistenziali e lavorative all’interno delle famiglie. Il ruolo tradizionale delle donne come “assistenti” le rende più suscettibili alle infezioni da parte di familiari malati e le crescenti richieste di assistenza all’infanzia rendono difficile bilanciare il lavoro e le responsabilità domestiche.

Per sfidare le tradizionali norme di genere e ridistribuire l’assistenza non retribuita e il lavoro domestico, c’è bisogno di attuare politiche sociali come il congedo di paternità, programmi sociali per incoraggiare l’impegno maschile, programmi educativi a scuola per promuovere l’uguaglianza di genere. Tutti dovremmo aver chiaro il concetto di uguaglianza universale, e smetterla di definire norme e ruoli di genere ormai desueti.

IKEA Story

IKEA Story: da dove nasce uno dei brand più amati di questo millennio

  • IKEA in tutti questi anni è rimasta coerente alle sue origini e a una precisa idea fondatrice: produrre mobili con un buon design e di buona qualità a prezzi accessibili.
  • Il fondatore, Ingvar Kamprad, era un forte sostenitore della semplice ma rivoluzionaria innovazione che prevedeva la vendita di mobili flat-pack.

 

Oggi, milioni di persone amano IKEA, ma dove inizia la storia di questo leggendario brand?

L’azienda nacque nel 1943 dallo svedese Ingvar Kamprad. A quei tempi IKEA era una piccola impresa ad Älmhult (un villaggio in campagna) che vendeva oggetti per corrispondenza attraverso un catalogo. Partito da zero il fondatore arriva a diventare una delle persone più ricche del mondo.

IKEA story

La sede centrale di IKEA, dove sono concepiti tutti i design dei prodotti, è ancora lì in Svezia.

ikea

Infanzia rurale e umili origini

Ingvar Feodor Kamprad nacque nel 1926, in una piccola fattoria nella provincia svedese di Småland.

A quel tempo la regione era notoriamente rurale, la Svezia era povera e agricola. Si parla di tempi duri, di lavoro, di frugalità e di egualitarismo, tutti fattori radicati nella povertà condivisa del periodo, valori che in un secondo momento entreranno a far parte dell’etica di IKEA.

Kamprad iniziò la sua carriera all’età di sei anni, vendendo fiammiferi. A soli dieci anni, attraversò il quartiere in sella alla sua bicicletta, vendendo decorazioni natalizie, pesce e matite.

IKEA LOGO: la storia del logo di IKEA

A 17 anni, nel 1943, il padre lo ricompensò con una piccola somma di denaro per aver portato profitti da scuola, nonostante fosse dislessico. Kamprad li usò per costruire uno stabilimento, che chiamò IKEA. Il nome prende origine proprio dalle iniziali del fondatore e dai luoghi che lo hanno allevato: Ingvar, Kamprad, Elmtaryd la fattoria dove è cresciuto e Agunnaryd, il villaggio vicino.

IKEA

Flat-pack, il marchio di fabbrica

Due anni dopo aver avviato IKEA, Kamprad inizia a utilizzare i camion del latte per consegnare le sue merci. Nel 1947, inizia a vendere mobili realizzati da produttori locali. Nel 1955, i produttori iniziano a boicottare IKEA, protestando contro i bassi prezzi di Kamprad. Questo lo costringe a progettare oggetti internamente. Nel tempo, l’imballaggio piatto e l’autoassemblaggio diventano parte del concept.

Sì, perché spedire grandi mobili era difficile e costoso. Così nel ’56, il fondatore prova a togliere le gambe del tavolino LÖVET (nome attuale LÖVBACKEN) e da qui nasce l’idea dei pacchi piatti e degli articoli forniti smontati.

IKEA

La filosofia alla base si ispirava (e si ispira ancora) al concetto di design democratico: chiunque deve potersi permettere mobili eleganti e moderni. Kamprad sentiva che non stava solo tagliando i costi e guadagnando soldi, ma stava anche servendo le persone.

“Perché i bellissimi prodotti sono realizzati solo per pochi acquirenti? Dovrebbe essere possibile offrire un buon design e funzionalità a prezzi bassi”.

Col tempo l’attività di Kamprad crebbe molto. IKEA si espanse in tutta la Svezia, in Norvegia e Danimarca, passando dalla Germania all’Europa continentale e fino ai confini del mondo. Oggi sono oltre 300 i negozi IKEA nel mondo, in 40 paesi. Per tutto questo tempo, Kamprad non ha mai preso in prestito denaro o emesso azioni.

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Catalogo IKEA: la pubblicazione più diffusa al mondo

Älmhult, la città dove fu fondata IKEA, si trova in una zona piuttosto remota della Svezia, per questo era molto difficile raggiungere potenziali clienti nelle città più grandi. Nacque così, da un’esigenza concreta più che da una scelta di marketing, il famoso catalogo IKEA nel 1951.

IKEA catalogo

Ingvar aveva già deciso allora che IKEA avrebbe venduto mobili di qualità a prezzi bassi, soluzioni alla portata di tutti. Ad ogni modo, il catalogo IKEA, strumento di marketing diventato icona di un certo modo di abitare, vanta una distribuzione pari a quella della Bibbia.

Un vero e proprio successo ogni anno per questa pubblicazione, realizzata in 62 edizioni e 29 lingue. L’edizione italiana, nel 2013, ha avuto una tiratura di 16 milioni di copie. Un record legato anche alla diffusione gratuita del catalogo, distribuito porta a porta.

L’anno scorso IKEA ha spiazzato i clienti di tutto il mondo con l’annuncio della progressiva rinuncia dell’edizione cartacea in favore del catalogo online. Per il suo 70esimo anniversario, il catalogo verrà comunque stampato, ma solo in 2 milioni di copie (una reliquia sicuramente da conservare).

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I prezzi nel primo catalogo IKEA erano così bassi che le persone inizialmente erano scettiche sulla qualità dei prodotti. Ingvar decise così di trasformare un vecchio laboratorio di Älmhult in uno showroom in cui le persone potevano vedere e provare i prodotti prima di ordinare.

IKEA showroom

Il testamento di IKEA

La crescita e l’espansione internazionale hanno richiesto un supporto alla comunicazione faccia a faccia dello spirito e dei valori di IKEA.

Nel 1976 viene pubblicato l’opuscolo di Ingvar Kamprad “Il Testamento di un commerciante di mobili”. Le righe di apertura sono: “Abbiamo deciso una volta per tutte di schierarci con molte persone. Ciò che è buono per i nostri clienti è anche, a lungo termine, buono per noi. Questo è un obiettivo che comporta degli obblighi”.

Il testamento è costituito da nove tesi, tra cui “Il profitto ci dà risorse” e “La semplicità è una virtù”. La tesi finale è “Molte cose restano da fare. Un futuro glorioso!”.

La leadership del buon esempio rimane la spina dorsale per modellare la cultura IKEA e la documentazione delle nove tesi diventa uno strumento molto apprezzato. Da allora ha continuato a ispirare le persone nelle diverse società che operano con IKEA e ne condividono i valori.

I nomi IKEA

I nomi dei mobili IKEA possono stupire i clienti al di fuori dei paesi nordici, in realtà sono basati su un sistema elaborato e ben preciso.

I letti hanno nomi di luoghi norvegesi, i divani prendono il nome da città svedesi, i tavoli da cucina hanno nomi geografici finlandesi, le sedie per lo più hanno nomi maschili e i tappeti hanno per lo più nomi danesi. A bicchieri e tazze vengono dati gli aggettivi e così via. I nomi sono generalmente gli stessi in tutto il mondo.

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L’elaborata struttura della proprietà di IKEA, con diversi fondi fiduciari offshore controllati ma non di proprietà dello stesso Kamprad, ha reso impossibile stabilire quanto fosse ricco, ma le stime spesso collocano il fondatore tra il numero 1 e il numero 11 nell’elenco delle persone più ricche del mondo.

colori nel marketing

Brand e psicologia: dimmi di che colore è il tuo business e ti dirò chi sei

  • Spesso il marketing viene banalizzato e ridotto a una mera scienza finalizzata alle vendite, ma prima di questo traguardo c’è un complesso insieme di operazioni volte a persuadere il pubblico tra le quali la scelta dei colori del brand, della campagna pubblicitaria, del website e degli store.
  • I colori sono in grado di incidere sulla percezione che i consumatori hanno di un determinato brand e giocano un ruolo chiave nelle strategie di branding: vi sono alcuni casi in cui è proprio il colore a costituire l’elemento distintivo.

 

Il common thinking suggerisce che al primo appuntamento sarebbe carino presentarsi con delle rose rosse. Vale per gli uomini, giusto per essere un po’ old style.

Sempre il pensiero comune suggerisce che rose di color giallo si regalano per esprimere gelosia. Ancora, rose di color bianco rappresentano purezza e innocenza.

Colori diversi per esprimere messaggi diversi e nulla lasciato al caso.

Sicuramente tutto è più semplice se si tratta di scegliere fiori per una serata galante.

Cosa succede con i colori nel mondo del business e, in particolare, del marketing? E cosa succede se i colori sono in grado di influenzare la percezione di un determinato brand?

I see your true colors

Era il verso di una famosa canzone di Cyndi Lauper di fine degli anni Ottanta, che aveva riscosso grande successo. Al centro di tutto, i colori. Colori veri, magari sgargianti.

Trasmettono sensazioni, emozioni, ci allontanano o avvicinano, ci disgustano, ci fanno sentire vivi.

Funziona nell’interior design, con tanto di teorie feng shui, nel fashion, nel make-up e anche nel marketing.

psicologia colore marketing

Sì, perché i colori sono in grado di incidere sulla percezione che i consumatori hanno di un determinato brand e giocano un ruolo chiave nelle strategie di branding.

Pensiamo, ad esempio, a tutte le volte in cui identifichiamo un marchio grazie all’associazione del logo o del prodotto.

Vi sono alcuni casi in cui è proprio il colore a costituire l’elemento distintivo del brand. Un esempio su tutti è il blue di Tiffany (più comunemente conosciuto come “verde Tiffany”).

Come dimenticare, poi, lo sfondo iconico e rosso di Coca-Cola? O la M gialla di McDonald’s?

Nel marketing e, in maniera particolare, nel branding, la cosiddetta color psychology si focalizza su come i colori possano avere un impatto sulle impressioni e sensazioni dei consumatori, fino a persuaderne l’acquisto.

Che ci crediate o no, se Tiffany avesse scelto il nero o il rosso, molto probabilmente il marchio non avrebbe avuto lo stesso successo.

psicologia colore marketing

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Psicologia del colore

La psicologia del colore è molto importante, soprattutto se si sta costruendo un nuovo business o, ancora, se si stanno valutando delle strategie di rebranding.

In effetti, il colore rappresenta uno strumento essenziale non solo per riuscire a farsi notare, ma anche per lanciare un messaggio, intriso di determinati valori.

Ciascun colore ha le proprie caratteristiche, che vengono riconosciute da tutti gli appartenenti a una determinata cultura.

psicologia colore marketing

Non si tratta di caratteristiche universali e innate, ma divenute convenzionali grazie ai vissuti condivisi dei gruppi umani.

In particolare, nella società occidentale ai colori basic sono riconosciute le seguenti peculiarità:

  • Giallo: ottimistico e giovanile, utilizzato spesso per attirare l’attenzione.
  • Rosso: passione ed energia. Anch’esso utilizzato per attirare l’attenzione, ad esempio, durante le vendite promozionali.
  • Blu: sicurezza e fiducia. Non è un caso, infatti, che venga utilizzato spesso da banche e aziende.
  • Verde: associato alla natura e alla salute.
  • Rosa: romantico e femminile, utilizzato nella maggior parte dei casi per prodotti destinati alle donne.
  • Nero: tonalità potente ed elegante, spesso utilizzata per prodotti luxury.
  • Viola: calma e relax, utilizzato per prodotti di bellezza e anti-age.

Inoltre, i colori possono indurre determinati comportamenti d’acquisto.

I colori forti, come il rosso e l’arancione, sono colori adatti all’acquisto di impulso. Li incontriamo spesso negli outlet, nei fast food, durante le vendite promozionali.

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Rosa e celeste, ad esempio, sono spesso utilizzati nel settore fashion, rispettivamente femminile e maschile.

Ancora, i colori di un brand o di un website possono influenzare emozioni e stati d’animo.

Ecco perché le aziende scelgono colori coerenti con la propria attività e con il proprio posizionamento di mercato.

Inoltre, la scelta dei colori aiuta a comunicare l’essenza del brand e definire il pubblico a cui rivolgersi.

Donne e uomini, ad esempio, apprezzano tonalità differenti: il pubblico femminile, in genere, gradisce le tonalità del blu, viola e verde; gli uomini preferirebbero il nero, blu e marrone.

Not only sales

Il marketing non è solo una questione di vendite. In effetti, prima delle vendite vi è un insieme di operazioni finalizzate a persuadere il pubblico, tra le quali la scelta dei colori del brand, della campagna pubblicitaria, del website e degli store.

E, anche in questo caso, non è una mera questione di vendite, ma di emozioni e sensazioni, indotte dai colori.

Cindy Lauper docet.

testate giornalistiche tiktok

Week in Social: una settimana all’insegna del deal del secolo tra Microsoft e TikTok

Sì, siamo ancora qui, prima di salutarvi per qualche settimana di pausa con la nostra rubrica più amata dai Social Media Manager: Week in Social.

Prima di augurare a tutti buone vacanze, giusto il tempo di un ultimo recap con le più importanti notizie del mondo dei social media.

Partiamo!

L’accordo del secolo: Microsoft vuole acquisire TikTok

30 miliardi di dollari. Questa la valutazione di TikTok, mentre Microsoft sta lavorando su vari elementi di un possibile buy-out della piattaforma. Un processo incredibilmente difficile da mettere in atto entro il termine di sei settimane imposto da Trump.

Se il CEO di Microsoft, Nadella, riuscirà a spuntare il prezzo giusto con la proprietaria Bytedance sarà considerata l’acquisizione chiave del gigante del software.

Intanto, per dare solidità alla propria posizione in Europa e rispondere ai continui dubbi sulla gestione della privacy, TikTok annuncia l’apertura del primo Data Center Europeo in Irlanda. Un investimento da 420 milioni di euro che creerà centinaia di nuovi posti di lavoro e rivestirà un ruolo chiave nel rafforzare la salvaguardia e protezione dei dati degli utenti TikTok.

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giphy-facebook

Universo Facebook

Facebook aggiorna il plugin di chat per i siti web

Grazie all’update sarà possibile accedere alla messaggistica senza dover effettuare il login su Messenger. La novità consente così anche agli utenti non registrati al social di inviare messaggi all’azienda.

‘Black Business August’

È questo il nome della campagna lanciata da Facebook per supportare le aziende di proprietà dei neri. Il social ospiterà una serie di sessioni di formazione per dare risalto al National Black Business Month.

WhatsApp inizia il rollout della funzione ‘Cerca sul Web’

Gli utenti potranno presto trovare i risultati delle notizie relative ai contenuti nei messaggi privati anche da altre fonti di informazione direttamente dall’app.

Messenger Rooms è ora disponibile tramite WhatsApp Web

Gli utenti di WhatsApp possono accedere alle Stanze e partecipare a videochiamate di gruppo con gli utenti di Facebook direttamente tramite il servizio desktop.

Facebook svela il suo nuovo approccio ai video musicali

Finalmente presentata ufficialmente la nuova esperienza che potrebbe aiutare il social a incrementare il numero di spettatori dei contenuti di Watch e che prevede una serie di accordi con le etichette discografiche.

Nuove opzioni di post sponsorizzati

Intanto il social ha anche aggiunto nuove opzioni di post sponsorizzati per i gruppi, fornendo nuovi modi per gli amministratori del gruppo di fare soldi e per i marchi di connettersi con il pubblico impegnato.

Tornano gli hashtag

Contemporaneamente ha cominciato a promuovere l’uso di hashtag sui post per migliorare la ricerca sulla piattaforma. Non è dato sapere se questo può anche servire a migliorare la reach.

hastag su twitter per piccole imprese

Mondo Twitter

Nuovi dati sull’uso dei video nelle campagne di Twitter

L’azienda ha condiviso alcuni utili spunti di ricerca su come l’utilizzo di più formati all’interno di una campagna adv possa avere un impatto rilevante sulla risposta del pubblico.

Tre ragazzi dietro l’attacco hacker a Twitter

Sono stati ufficialmente incriminati di aver violato 130 account di alto profilo e aver realizzato profitti illeciti per 100.000$. Il più giovane ha 17 anni e sembra essere la “mente” dell’operazione che ha fatto scalpore in tutto il mondo.

Twitter in abbonamento

Confermando quanto era emerso dalla pubblicazione di un annuncio di lavoro per ingegneri, il social ha inviato un sondaggio ad alcuni utenti chiedendo loro informazioni sulle potenziali opzioni per le quali potrebbero essere disposti a pagare.

In breve

Un’opzione per aggiungere clip musicali popolari agli snap. Snapchat sta lavorando su questa nuova funzionalità, anche per inseguire Facebook, Instagram e le loro Stories.

Crescono gli utenti su Pinterest. La piattaforma ha segnalato un aumento significativo di active user nell’ultimo aggiornamento delle performance del secondo trimestre, superando la soglia dei 400 milioni di utenti.

YouTube aggiorna gli Analytics dei video. Saranno presto disponibili alcune nuove opzioni di approfondimento per i creator, tra cui insight sulle prestazioni delle Storie.

brand a misura d'uomo

Brand a misura d’uomo: gli strumenti tech per avvicinarsi alle persone

  • La tecnologia permette ai brand di (ri)avvicinarsi alle persone e mostrare il proprio lato più “umano”.
  • Tramite il PR Tracking e il social listening possono scoprire i trending topic e la loro reputation.
  • Con blog aziendale e live streaming è possibile comunicare la brand idendity e i valori.

 

Certe volte – alzi la mano chi non lo ha mai pensato – ho la sensazione che il mio iPhone mi spii. Quando era uscita la nuova collab di Louis Vuitton e Supreme non avevo fatto a tempo a googlare “Sup” che il motore di ricerca mi stava già proponendo un risultato confacente. La tecnologia ci spia? È una cosa buona? Di certo, non siamo qui a disquisire dell’eticità di Internet nel consigliarci risultati relativi a prodotti di consumo (il marketing esiste dai tempi narrati in Mad Men), ma ad analizzarne invece le potenzialità.

La tecnologia non è un totem da temere, né se lo si guarda dal punto di vista del consumatore, né da quello aziendale. Da consumatrice so di avere degli strumenti validi con cui cercare recensioni obiettive, esprimere un’opinione, commentare un malfunzionamento e cercare – ad esempio – se il maglioncino che voglio comprare è sostenibile. Da azienda, ho dei mezzi per conoscere ciò di cui il mio target parla e posso decidere di prendere una posizione a proposito, controllare la mia reputazione, raccontare qualcosa di bello, di me, e che mi avvicini prima ancora che ai consumatori alle persone che mi ascoltano. In breve, posso riconnettermi al mio lato umano.

Google Trends, social e old media: i mezzi di informazione dei brand

Quando è scoppiato il Coronavirus in Cina, su Weibo, che è il secondo social media in Cina, non si parlava d’altro che di quello. Era trending hashtag e su Weibo, così come su Baidu, si poteva avere un bollettino aggiornato in tempo reale.

I brand più responsabili (e diciamolo, anche più smart) presenti oltre Muraglia non hanno aspettato molto a comunicare la propria vicinanza alla Cina. Una disgrazia come quella del Covid – e ora che lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle, lo sappiamo per davvero – non è un tema che si possa ignorare. Continuare a parlare della collezione FW2020 mentre milioni di persone si trovano a fronteggiare un’epidemia è tutt’altro che umano e anche un grosso passo falso in termini di marketing.

Tra i primi a esprimere solidarietà e umanità nei confronti del popolo cinese è stato Brunello Cucinelli, che peraltro aveva già un’ottima nomea per le politiche a sostegno della qualità della vita dei dipendenti. All’inizio dell’epidemia, il brand ha espresso vicinanza alla popolazione cinese sia su WeChat e Weibo ma anche su Facebook e Instagram, per tutta l’utenza overseas con accesso alle piattaforme.

I post WeChat e Instagram di Brunello Cucinelli di solidarietà alla Cina

Sono stati poi diversi i marchi che nei vari mercati non solo hanno realizzato delle comunicazioni solidali, ma che hanno cambiato anche il proprio logo o claim. McDonald’s che ha separato la sua celeberrima M, così come Audi coi suoi anelli o Coca Cola, che oltre ad aver separato le lettere del logo ha prodotto un nuovo claim: Staying apart is the best way to stay united.

LEGGI ANCHE: Da McDonald’s a Chiquita, i brand cambiano logo per incoraggiare il distanziamento sociale

Brand Sentiment Analysis e rassegna stampa

Per diverso tempo ho lavorato nel reparto comunicazione di una nota start up di Food Delivery, un settore che da sempre attira critiche (più o meno fondate) sul tipo di trattamento riservato ai collaboratori. Gli anni erano quelli delle rivolte dei rider, non c’era una legislazione chiara a regolarne contratti e tutele, e ogni mattina trovavo qualche articolo non propriamente positivo, né preciso, che citava il brand. “Pessimo” – penserete voi. Ed è vero, in parte lo era, ma grazie alla tecnologia avevo un mezzo per conoscere non solo quello che la stampa diceva dell’azienda, ma anche il sentiment di un’audience vastissima.

Sono numerosissimi gli strumenti che un’azienda può utilizzare per scoprire ciò che la rete dice di lei. Ci sono metodi gratuiti (come la ricerca filtrata in base ai risultati di Google) e i software di rassegna stampa, come Eco della Stampa o Press Today. Questi tool permettono in primo luogo di avere accesso a tutti gli articoli che citano il brand e in ultima istanza di aggiustare il tiro se necessario. Correggere un’affermazione diffamante, effettuare uno statement e imparare dai propri errori, adottando un atteggiamento più vicino ai valori dei consumatori e più umano.

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Secondariamente, ci sono i tool di social listening, come BlogMeter, che permette di mappare tutti i termini associati al proprio marchio e comprenderne il valore positivo, neutrale o negativo. Gucci, che in seguito alla campagna con Ellie Goldstein, modella affetta da sindrome di down, ha potuto vedere come i valori del brand di inclusività siano gli stessi del target cui si rivolge tramite i numerosi commenti degli utenti su Instagram.

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Il post Instagram di Gucci dedicato alla nuova partnership con Ellie Goldstein

Branded content: blog aziendale e live streaming

Se quelli che abbiamo visto finora permettono di mappare buzz word e sentiment, ci sono anche tool più ottimali alla creazione di output che comunichi l’universo valoriale e il mondo del brand.

Tramite il blog aziendale i brand hanno la possibilità di uscire dalle comunicazioni prettamente legate al prodotto e allargare i temi entro i quali muoversi. Un ottimo case study è quello di Starbucks, che ha un intero sito web dedicato allo storytelling. In occasione dell’Earth Day, un blog permetteva ai lettori di “conoscere” le persone che lavorano per raccogliere e lavorare il caffè in maniera più sostenibile.

brand a misura d'uomo

Tra gli ultimi mezzi da annoverare ce n’è uno che ha incrementato il suo utilizzo proprio in questi ultimi mesi: il live streaming. Onestamente non mi viene in mente strumento più inclusivo delle dirette per aprire a un’audience potenzialmente infinita le proprie porte.

Ma attenzione: live streaming non vuol dire semplicemente sfilate ed eventi, ma anche dirette con esperti e influencer vicini al proprio target (come le stories di Chiara Ferragni dedicati alle ricette di Foodspring o le dirette di Rossella Migliaccio dedicate all’armocromia in collaborazione con numerosi brand fashion).

LEGGI ANCHE: A cosa serve il live streaming sui social in una strategia di Video Marketing

Brand “human”: cosa ci portiamo a casa?

La tecnologia ha accorciato le distanze e facilitato l’interazione tra diversi soggetti. Può essere un boomerang, quando se ne sottovaluta l’onnipresenza nella vita quotidiana e la facilità con cui il passaparola rende buzz word anche ciò che è negativo.

Ma è soprattutto un insieme di tool che può aiutare a prevenire i momenti di crisis communication e anticiparne altri in gran parte positivi. Può essere la chiave per scoprire cosa davvero desidera e interessa il nostro target persona e il mezzo per comunicarlo correttamente, efficacemente e con una cassa di risonanza immensa.

Giveaway e Lead Generation: da semplici follower a contatti profilati

  • Prima su Facebook, adesso su Instagram, in futuro su TikTok: la sinergia tra social e giveaway non cessa di esistere.
  • Gli obiettivi che si possono raggiungere attraverso un giveaway sono tanti e diversi: dalla fidelizzazione di nuovi fan alla comunicazione di valori e mission aziendale.

 

I giveaway e i contest sui social sono una delle strategie utilizzante da brand e influencer per portare a segno diversi obiettivi di marketing. Infatti spesso si pensa che sia una pratica utilizzata solo per acquisire follower ma non è così.

Le motivazioni sono più funzionali e per comprenderle spesso si deve guardare il quadro complessivo della strategia messa in moto da team interni e consulenti marketing. Gli obiettivi che si possono raggiungere attraverso un giveaway sono:

  • Fidelizzare i nuovi fan;
  • Acquisire il contatto della community;
  • Aumentare la portata dei post organici sui social;
  • Aumentare il numero di followers;
  • Veicolare valori e mission aziendale;
  • Apparire meno distanti ai bisogni e necessità dell’audience.

Che cos’è un social giveaway?

In Italia è un concorso a premi a tutti gli effetti, in quanto si tratta di regalare qualcosa in cambio di un’azione dell’utente, atta a promuovere i propri prodotti o servizi.

Il giveaway è spesso associato ai social, anche se è possibile strutturarlo su altre piattaforme. Focalizzandoci sui social, il brand crea uno o una serie di post in cui si chiede agli utenti di effettuare delle azioni, chi le svolge potrà partecipare all’estrazione per vincere dei premi.

Di solito si richiede di:

  • seguire la pagina promotrice dell’iniziativa;
  • mettere like al post;
  • commentare il post.

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In alcuni casi, per aumentare l’effetto virale, può essere richiesto di taggare due o tre amici nel commento del post.

I premi possono essere dei gadget, l’uso esclusivo di qualche servizio, prodotti in serie limitata, ecc.

Come già accennato sopra, i giveaway sono dei concorsi a premi e per questo dobbiamo seguire delle regole nel rispetto delle leggi e delle tutele per le aziende e gli utenti.

LEGGI ANCHE: Consigli, esempi e regole da seguire per contest e give away su Instagram

Giveaway in Italia, come creali legalmente

La questione Server italiani

La legislazione italiana è molto attenta a come vengono gestiti i dati generati da un concorso a premi. Per “dati” non si parla solo di nome, cognome, indirizzi email, numeri telefonici e qualsiasi altro campo richiesto in un form di contatto (assente in un contest sui social) ma anche di quelli generati per poter partecipare al contest: commento del post, like, nome utente, ecc.

Spesso, erroneamente, si fa la distinzione che se non chiedi nessun dato personale non è considerato concorso a premi. Questa affermazione, in base a cosa abbiamo appena scritto sopra, è totalmente falsa. Il Ministero dello Sviluppo Economico, ente che garantisce il corretto svolgimento dell’iniziativa, deve poter verificare ogni criterio di partecipazione compreso, ad esempio, i commenti sotto il post. Per poterlo fare la normativa indica esplicitamente che i server su cui vengono registrati tali dati devono risiedere in Italia.

I server più vicini di Facebook e Instagram sono in Irlanda, come si risolve questa problematica? Affidandosi a software certificati dal MiSE che attraverso il mirroring registrano i dati in Italia.

Il regolamento del contest

Risolto il problema server, se vogliamo indire un giveaway dobbiamo mettere per iscritto la modalità di partecipazione, come si svolge l’estrazione, i soggetti coinvolti, i premi messi in palio e tutto ciò che è importante non solo ai fini burocratici, ma sopratutto per gli utenti che devono avere visione trasparente di ciò che accade.

Il regolamento di un giveaway deve indicare:

  • soggetti promotori;
  • durata del concorso;
  • ambito territoriale di svolgimento del contest;
  • modalità di svolgimento;
  • modalità di Assegnazione Premi;
  • valore commerciale dei premi messi in palio e relativo montepremi;
  • termine del contest;
  • dati della Onlus alla quale devolvere gli eventuali premi non assegnati.

Chi può fare un Giveaway

In quanto concorso a premi, solo le aziende iscritte al registro della camera di commercio possono indire un giveaway. Non sono permesse onlus, associazioni no profit e privati.

Cosa altro dobbiamo fare per non trasgredire le regole?

  • Dichiarare il concorso al Ministero dello Sviluppo Economico;
  • Compilare il modulo PREMA CO/1;
  • Effettuare l’estrazione del vincitore in presenza di un notaio o funzionario della Camera di Commercio;

Giveaway per la Lead Generation: come far diventare i fan dei contatti profilati

Fino a qui abbiamo tenuto in considerazione una meccanica interamente svolta all’interno dei canali social. Come sappiamo in questo caso non è possibile richiedere ai nostri fan l’indirizzo email, il numero di telefono o qualsiasi altro contatto in modo da poterlo inserire all’interno dei nostri database di contatti per fare attività di newsletter, email marketing, retargeting, o semplicemente contattarli per qualsiasi motivo commerciale.

Per convertire i fan in utenti profilati dobbiamo creare un funnel di conversione attraverso una landing page. Ecco come:

  • creiamo un post in cui invitiamo i nostri fan a partecipare al giveaway;
  • li indirizziamo verso una landing page e al suo interno ci sarà un form di registrazione;

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  • il form di registrazione dovrà richiedere nome, email e qualsiasi altro field (anche se personalizzato) che ci aiuti a profilare al meglio l’utente;
  • tutti gli utenti registrati potranno essere estratti in modo casuale da un software certificato;

  • definizione del vincitore;
  • scaricamento della lista dei partecipanti o integrazione diretta nel CRM aziendale.

La scelta del software per organizzare un giveaway diventa fondamentale per evitare non solo problemi burocratici, ma anche per garantire agli utenti che tutto sia regolare.

Italiani in vacanza: tra staycation e sostenibilità, ecco i trend da conoscere

  • Gli operatori del turismo, tra i settori maggiormente colpiti dalla pandemia, hanno bisogno di anticipare il più possibile i rinnovati bisogni dei propri clienti.
  • Pinterest rappresenta un’opportunità per brand e creator italiani per raggiungere il proprio target in fase di ricerca di idee sui prossimi acquisti.
  • I trend di ricerca per l’Italia dimostrano come gli abitanti del Belpaese siano più propensi che mai a valorizzare il territorio italiano e l’economia del proprio Paese.

 

Le difficoltà affrontate negli ultimi mesi hanno proiettato le persone di tutto il mondo verso il futuro, aumentando il proprio bisogno di lasciarsi alle spalle i giorni del lockdown e il desiderio di ripartenza e di evasione.

Ora che la fase più critica dell’emergenza Covid-19 sembra essere passata e che l’umanità si sta gradualmente adattando alla “nuova normalità”, alla voglia di partire in vacanza si somma il bisogno di sicurezza e distanziamento sociale. Gli operatori del turismo, uno tra i settori maggiormente colpiti dalla pandemia, hanno bisogno di far fronte a queste e a tante altre nuove necessità, cercando di anticipare il più possibile i rinnovati bisogni dei propri clienti e di cogliere i trend di consumo più rilevanti, anche per il prossimo futuro.

Come usare Pinterest per conoscere i trend del momento

Tra gli strumenti a propria disposizione, Pinterest, la app di scoperta visiva utilizzata da più di 400 milioni di utenti mensili in tutto il mondo per trovare ispirazione per la propria vita. In Italia, più di 19 milioni di visitatori unici mensili (Audiweb) navigano su Pinterest, che rappresenta quindi un’opportunità chiave per brand e creator italiani per raggiungere il proprio target in fase di ricerca di idee sui prossimi acquisti.

Operatori ed esperti di marketing possono catturare i consumatori già durante la “pianificazione”, rendendolo un luogo perfetto per coinvolgere potenziali clienti in questa prima fase di ispirazione. Raggiungere prima i clienti, infatti, vuol dire avere la possibilità di essere la prima scelta al momento dell’acquisto.

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Trend di vacanza su Pinterest: natura e viaggi ecosostenibili

In questo contesto, ad esempio, i trend di vacanza più popolari sono legati alla natura, tendenza già anticipata dal Report Pinterest 100 per l’anno con un aumento del +253% delle ricerche relative a “viaggi nella natura”. Globalmente, Pinterest ha registrato un aumento del 1069% per “bushcraft camping”, 194% per “moda escursioni” e 274% per “consigli di pesca in lago”*.

Un altro aspetto interessante da considerare sono i tipi di vacanze e modalità di trasporto più ricercate sulla piattaforma. In tutto il mondo, Pinterest ha registrato un aumento dei viaggi ecosostenibili del 73%*, a dimostrazione di come le persone stiano cercando modi per ridurre gli impatti negativi sul pianeta. Mentre le ricerche per “viaggi in camper” (in aumento del 70%) e “roadtrip” (in aumento del 97%)**, mostrano come i turisti stiamo ricercando alternative meno affollate e più solitarie per propri viaggi.

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Weekend Staycation

L’incertezza e il timore per la propria salute hanno portato in molti casi a rinunciare completamente alla possibilità di muoversi.

Pinterest, in tal senso, ha registrato un aumento significativo del 38% nelle ricerche per “weekend staycation”, ovvero una vacanza “fatta in casa”, da fare in destinazioni non troppo lontane dalla propria residenza, facili da raggiungere e abbastanza accessibili.

Vacanze italiane

Anche gli italiani sono alla ricerca di ispirazione per guardare al futuro con positività. I trend di ricerca relativi all’Italia dimostrano come gli abitanti del Belpaese siano più propensi che mai a valorizzare il territorio italiano e l’economia del proprio Paese.

Le ricerche per le vacanze in Sardegna, per esempio, sono aumentate fino a 3,5 volte, per l’Isola d’Elba (4,5 volte) e per la Costiera Amalfitana (2,2 volte). Gli italiani stanno anche riscoprendo i meravigliosi laghi, come il Lago di Braies, per cui le ricerche sono raddoppiate nel periodo tra il 22 giugno 2020 e il 19 luglio 2020, e le regioni italiane, come dimostrano le ricerche per Toscana, in aumento fino a 4,9 volte e Umbria, raddoppiate***.

A conferma della tendenza, su Pinterest si trovano innumerevoli bacheche di creator, italiani e non, per trovare l’ispirazione per i viaggi in Italia, come Italia – Cosa vedere, fare e mangiare in Italia e Viaggiare in Italia. Tra le altre bacheche da seguire per pianificare i viaggi futuri, Pinterest consiglia anche I viaggi di Ti Chiamo quando torno, Risparmiare in viaggio e creator come The Lazy Trotter.

Pianificare è un mestiere

In generale, gli utenti di Pinterest sono pianificatori per natura e le ricerche per i momenti salienti della vita, come i viaggi, iniziano su Pinterest prima rispetto ad altre piattaforme di ricerca.

Le ultime ricerche, ad esempio, suggeriscono che la pianificazione dello shopping natalizio sia iniziata quest’anno già a partire da aprile, come dimostra l’aumento del 15% delle ricerche per “vacanze di Natale”, ed il 63% dei Pinner che sta già pianificando grandi celebrazioni intorno ai momenti di festa quest’anno.

Adrien Boyer, Country Manager per Pinterest Francia, Europa meridionale e Benelux, afferma: “Le persone si sono sempre rivolte a Pinterest per pianificare, portando a un aumento esponenziale delle ricerche circa due o tre mesi prima di un particolare momento della stagione.  Nonostante quest’anno sia pieno di incertezze, le persone si sentono davvero ottimiste e hanno bisogno di un senso di normalità, il che è molto probabilmente il motivo per cui tendono a pianificare le celebrazioni ancora prima rispetto al passato”.

“Pinterest – continua Boyer – è un luogo in cui le persone si ispirano a nuove idee e agiscono su ciò che scoprono. Ogni volta che un utente cerca un’idea su Pinterest, pensa a ciò che desidera provare o acquistare successivamente. Poiché Pinterest è basato sul futuro, otteniamo un’indicazione anticipata di dove sono diretti i consumatori e questo ci permette di aiutare i brand e le agenzie a prevedere ciò che verrà per la loro categoria. Questa è una grande opportunità per le aziende di tutte le dimensioni per raggiungere gli acquirenti ispirati in Italia all’inizio di quest’anno”.

Insomma, mentre la stagione estiva entra nel vivo, i brand dovrebbero pensare a progettare in modo specifico i propri contenuti per soddisfare le esigenze di “pianificazione precoce” dei propri clienti.

Metodologia:
* Tendenze calcolate comparando i volumi di ricerca globali da Agosto 2017 a Luglio 2018 con i volumi di ricerca da Agosto 2018 a Luglio 2019
** Tendenze calcolate utilizzando ricerche normalizzate da Giugno 2019 a Giugno 2020
*** Le tendenze sono calcolate confrontando le ricerche normalizzate in Italia durante il periodo di quattro settimane del 6/22 / 20-7 / 19/20 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

accelerazione digitale

Accelerazione Digitale: 3 punti da considerare per la prossima strategia marketing

  • Il know-how digitale acquisito dai consumatori è un’enorme opportunità per le future pianificazioni marketing: dall’interazione con i social media alle newsletter informative. Esistono tanti modi per raggiungere il proprio target e coinvolgerlo.
  • Essere utile e rispondere alle necessità del cliente, creando con lui un rapporto di valore e fiducia di lungo termine è essenziale, per questo gli sforzi di un’attuale strategia marketing dovrebbero concentrarsi anche sullo sviluppo delle relazioni con i consumatori.

 

Anche le strategie di marketing sono state colpite dal COVID-19.

Se è vero che per “fare del buon marketing” è necessario comprendere le esigenze dei propri clienti, allora non può passare inosservato che negli ultimi sei mesi il modo di vivere delle persone si è modificato. E di conseguenza anche le loro abitudini e le propensioni di acquisto.

Gli strumenti di marketing rappresentano il miglior veicolo per farsi conoscere sul mercato di riferimento: negli ultimi tempi e soprattutto nel periodo di lockdown, poter attirare ugualmente il target verso i propri canali social, i siti web o le piattaforme di eCommerce, è stato fondamentale per il benessere di molte aziende.

Il know-how digitale acquisito, sempre nel medesimo periodo, dai consumatori è e sarà un’enorme opportunità per le future pianificazioni: dall’interazione con i social media alle newsletter informative. Esistono tanti modi per raggiungere il proprio target e coinvolgerlo, l’importante è avere le idee chiare e svilupparle all’interno di un piano strutturato.

Ecco alcuni consigli per le prossime strategie di marketing, per ripartire, consolidare i rapporti già esistenti con i clienti ed attirarne di nuovi.

Tre consigli per la prossima strategia di marketing

1. Parola d’ordine: qualità

Che si tratti di contenuti per i social network, della predisposizione di uno shooting fotografico per la campagna vendite di un prodotto o del posizionamento del proprio sito web: è importante garantire agli utenti la qualità durante le varie fasi del customer journey.

Ultimamente, ad esempio, le ricerche e gli acquisti online sono cresciuti in maniera esponenziale. Potrebbe rivelarsi molto utile essere presenti con il sito web aziendale nella parte superiore della pagina dei risultati di un motore di ricerca, oppure avere a disposizione un sito web veloce e user friendly, dove gli utenti possono arrivare con facilità alla fase finale d’acquisto. Secondo una recente ricerca Google, infatti, i siti più veloci garantiscono che un numero maggiore di clienti proseguirà fino alla fase del pagamento.

Ottimizzare le fasi che portano all’acquisto di un prodotto nel caso di un e-commerce, migliorare la navigazione di un sito web informativo o attivare un’accurata strategia SEO (Search Engine Optimization o ottimizzazione per i motori di ricerca) sono solo alcune delle azioni che possono creare nuovi collegamenti di qualità e stimolare le conversioni.

accelerazione digitale

2. Creare una strategia marketing partendo dalla relazione di valore con i propri clienti

Essere utile al cliente e rispondere alle sue necessità, creando con lui un rapporto di valore e fiducia di lungo termine.

Gli sforzi di un’attuale strategia marketing dovrebbero concentrarsi anche sullo sviluppo delle relazioni con gli attuali e i futuri clienti, attraverso campagne pubblicitarie che diano valore alla reputazione aziendale, con agevolazioni e attenzioni dedicate agli utenti (ad esempio estendendo il periodo di tempo per il reso gratuito in caso di e-commerce), rispondendo rapidamente ai dubbi degli utenti sui vari canali di comunicazione, cercando nuovi touch point con il pubblico.

Percorrere nuove strade nel vasto mondo del marketing digitale: potrebbe essere il momento giusto per costruire una newsletter mensile con cui descrivere come si stanno riprendendo le attività in azienda o anticipare alcune novità su prodotti e servizi.

Inoltre in questa fase diventano ancora più importanti gli UGC (user-generated content), i contenuti generati dagli utenti sui social network: stimolare l’interazione del cliente per creare un forte legame con esso.

accelerazione digitale

3. Informare con chiarezza e monitorare il sentiment degli utenti

Gli utenti ricercano, si informano, valutano la posizione geografica e gli orari di apertura di un’attività commerciale, leggono le recensioni degli altri utenti.

Quelle elencate sono solo alcune delle informazioni che i consumatori cercano online prima di recarsi fisicamente presso il negozio, il ristorante o il wine bar scelto per una determinata occasione o per quel preciso acquisto.

Aggiornare costantemente la clientela e il potenziale target attraverso informazioni chiare sul proprio sito web, sui social network, sulle schede informative presenti sul web, deve diventare un’attività chiave, soprattutto in un momento di ripartenza come quello che si sta vivendo in Italia.

Stesso discorso vale per il monitoraggio delle recensioni degli altri utenti: avere piena consapevolezza di ciò che le persone pensano della propria azienda ed avere un piano per fronteggiare le eventuali critiche negative.

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email marketing coronavirus

Riassumendo

Nonostante le difficoltà di questo percorso di ripresa, potrebbe essere il momento giusto per consolidare la propria presenza online, implementare strumenti digitali e stabilire di conseguenza nuovi metodi di connessione e di conversione delle persone.

L’importante è farlo con un occhio alla qualità del contenuto, creando interazione e fornendo sempre chiare informazioni.

Credits: Depositphotos #62724537#192829688#350873846

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Contact Tracing App: dall’Italia al resto d’Europa, funzionano davvero?

  • Le contact tracing app dovevano servire all’Italia e all’Europa per riaprire i confini, anche in vista dell’estate. Ma qual è la situazione?
  • In Italia, l’app funziona da giugno ma il tasso di adozione è più basso di quanto necessario; in Europa le cose non vanno meglio, con una situazione frammentata e l’assenza di un modello di interoperabilità tra Paesi.
  • Harvard Business Review ha identificato alcuni punti su cui concentrarsi per stimolare l’adozione delle app che è in ritardo, come le “app di comunità” e gli incentivi all’utilizzo.

 

Ci siamo: l’estate più strana del secolo è finalmente arrivata.

Ha avuto un enorme punto di domanda fin dall’inverno, quando il virus che ha colpito il mondo ci ha messo tutti “in attesa” a tempo indeterminato. Eppure niente, neppure una pandemia, può fermare il sole, il caldo e la voglia di vacanza.

Alla fine, si sta facendo quasi tutto ciò che si pensava non si sarebbe potuto fare: i confini della maggior parte dei Paesi d’Europa sono aperti, in maniera più o meno chiara. Le persone stanno partendo per le vacanze come ogni anno, anche se su scala più locale. E mentre il Coronavirus continua a mietere vittime (anche se fortunatamente in Europa a livelli molto ridotti), noi torniamo a una parvenza di normalità.

Come? Uno dei metodi che sembrava avrebbero dovuto garantire alla nostra estate un aspetto “normale” era l’utilizzo delle Contact Tracing Apps.

L’Italia, come il resto del mondo, si è lanciata alla velocità della luce nella creazione della sua app di tracciamento, ed è effettivamente riuscita a farla uscire ai primi di giugno in tempi record, attestandosi tra le prime in Europa nell’impresa.

C’è stato un gran frastuono di voci, molte a favore, molte altre critiche dell’App sviluppata da Bending Spoons. Troppi, in realtà, gettavano benzina sul fuoco a sproposito, alimentando preoccupazioni sulla privacy che erano già state più che risolte, come avevamo visto in questo articolo dedicato.

Ma poi, più niente. Molti di noi l’hanno scaricata, e lei se ne è stata silente nei nostri smartphone, ricordandoci della sua esistenza solo quando per qualche motivo disattivavamo il Bluetooth e lei ci avvisava con una notifica che il suo funzionamento era sospeso.

Ci era stato detto che per essere efficace avrebbe dovuto essere scaricata da più di metà della popolazione.

Ci era stato detto che per poter aprire i confini europei, la maggior parte degli Stati avrebbero dovuto dotarsene.

Infine, ci era stato detto, ormai circa un mese fa, che un sistema di “interoperabilità” tra le varie applicazioni disponibili nei vari Paesi europei sarebbe stato la chiave per un’estate quasi normale (il documento dell’Unione Europea con le specifiche per l’interoperabilità è datato 12 giugno 2020).

E ora che ci siamo, qual è la situazione? Quali app dovrebbero scaricare i vacanzieri in partenza per altre località europee? Quali risultati stanno portando nei vari Paesi che le hanno adottate?

LEGGI ANCHE: Perché non è la privacy la giusta preoccupazione sulle contact tracing app

La situazione in Italia: qual è il livello di adozione dell’app Immuni?

immuni italia

La contact tracing app italiana, Immuni, è operativa ormai da circa due mesi.

L’app ha avuto una gestazione travagliata con critiche poco costruttive e problemi ante-litteram. Poi, finalmente, un parto speranzoso con 500mila download nel primo giorno; successivamente, primi giorni di vita costellati di piccoli o grandi ostacoli.

Poi, silenzio.

Quello che sappiamo, è che dopo averla scaricata e attivata, il suo ruolo è proprio quello di… non fare niente. L’app stessa ti ricorda di “aprirla periodicamente per verificare che sia attiva“, il che sicuramente non la fa percepire come una presenza oppressiva, ma dall’altra parte non aiuta a far capire la sua utilità.

Sappiamo che funziona tramite tecnologia Bluetooth Low Energy, riuscendo così a rispettare la privacy perché non registra posizione né altri dati sensibili.

Si è adeguata, così come la maggior parte d’Europa, al sistema predisposto da GoogleApple Decentralised Privacy-Preserving Proximity Tracing (DP-3T), modello decentralizzato più sicuro perché i dati vengono conservati sullo smartphone e non nei server.

Se un utente che ha installato l’app risulta positivo, il sistema invia ai dispositivi con cui è entrato in contatto una notifica di esposizione. Quest’informazione non ha conseguenze, nel senso che non vengono allertate le autorità né date particolari indicazioni al ricevente su cosa debba fare (teoricamente, auto-isolarsi o effettuare un tampone).

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E come sta andando l’app Immuni in Italia?

Secondo le dichiarazioni rilasciate a inizio agosto dalla ministra per l’innovazione Paola Pisano, “oggi i cittadini che hanno scaricato Immuni sono 4,6 milioni. Finora ha contenuto due focolai, 63 persone sono risultate positive e, poiché avevano scaricato Immuni, individuandole sono state inviate notifiche a più di 100 persone“.

Questi numeri sono sicuramente positivi, ma sono tremendamente al ribasso rispetto a quanto ci avevano prospettato come minimo indispensabile: si tratta di circa il 12% della popolazione in grado di utilizzarla.

Per essere davvero efficace, servono altri numeri.
Purtroppo molti italiani continuano a non fidarsi, nonostante abbia superato i testi sulla privacy effettuati ad esempio da AltroConsumo.

Complici diverse complicazioni, come la mancata chiarezza sull’iter da seguire in caso di notifica di esposizione, e il dibattio negativo che si è sviluppato intorno all’app, c’è ancora molta strada da fare per arrivare al cuore (o allo smartphone, in questo caso) degli italiani.
E il governo lo sa, infatti assicura di star mettendo in campo ulteriori misure comunicative e non per spingere l’adozione massiccia.

Insomma, in Italia bene ma non benissimo. E nel resto d’Europa?

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Contact Tracing app in Europa: quali soluzioni nell’Unione e cosa funziona?

europa covid

Quasi tutta l’Europa si è attivata nella direzione delle contact tracing app come supporto per contenere la diffusione del Coronavirus, ma le modalità e i risultati sono stati estremamente frammentati e diversi.

Alla base c’è proprio un problema di “unione“: ovviamente ciascun Paese si è lanciato nella corsa agli armamenti digitale in autonomia.

Per fortuna molti hanno adottato il sistema di Google e Apple, rendendo la tecnologia sottostante quantomeno simile, ma per il resto ogni Stato ha fatto da sé, creando un sistema frammentato che non è in grado di dialogare a livello europeo.

Secondo i dati riportati da Reuters, nell’UE, Austria, Croazia, Danimarca, Germania, Italia, Irlanda, Lettonia e Polonia hanno lanciato applicazioni che utilizzano lo standard Google-Apple. Altri nove Paesi dell’UE hanno in programma app basate sullo stesso sistema (UK ha deciso di recente di concentrarsi su questo, mentre prima doveva sposare il modello decentralizzato). Al di fuori dell’Unione, applicazioni simili sono ora attive in Svizzera, Irlanda del Nord e Gibilterra.

Francia e Ungheria hanno lanciato un diverso tipo di app che memorizza le informazioni su un server centrale. La conseguente spaccatura degli standard significa che sarà difficile far funzionare tutte le app in tutta Europa senza soluzione di continuità.

Come funzionano le contact tracing app in Europa?

contact tracing app germania

I funzionamenti variano. L’applicazione tedesca Corona Warn è stata scaricata più di 16 milioni di volte (su una popolazione di 83 milioni) e consiglia agli utenti di rivolgersi a un medico; gli svizzeri condividono un numero verde da chiamare; mentre in Irlanda gli utenti possono scegliere di condividere il proprio numero di telefono ed essere richiamati da un operatore.

Ma funzionano? Bella domanda. Il compromesso del Bluetooth tra utilità e privacy è il nodo centrale, perché non rende possibile ad esempio individuare l’ora e il luogo esatti degli eventi a rischio.

Le app più orientate alla privacy (tra cui Immuni) rendono impossibile per i loro amministratori monitorare il numero di notifiche di esposizione che passano attraverso il sistema – rendendo difficile misurare se le app svolgono il lavoro a cui sono destinate.

In realtà, il framework di Google-Apple potrebbe consentire il monitoraggio delle notifiche di esposizione. Questo è ad esempio stato abilitato nell’app irlandese, che ha anche degli add-on come un “tracciatore di sintomi”, dove gli utenti possono condividere volontariamente informazioni su come si sentono, aiutando le autorità sanitarie a mappare la pandemia. Forse anche per questo l’app è stata scaricata dal 30% della popolazione.

contact tracing app

Un’unica app di contact tracing per tutta l’Europa? Non quest’estate

L’UE, come dicevamo, si è mossa per spingere nella direzione dell’interoperabilità in vista dell’estate e dei flussi di persone in movimento da un Paese dall’altro. Ma, a parte l’evidente ritardo del farlo a metà giugno, riuscirci “a posteriori” è sicuramente più complesso. Il risultato è che non esiste al momento in Europa un reale interscambio di dati tra le app di tracciamento per il Covid-19.

Se un viaggiatore intra-europeo vuole essere allertato di possibili esposizioni al di fuori del territorio nazionale, dovrà scaricare l’app di quello specifico Paese (con ovvie difficoltà, a partire dalla lingua).

E in autunno? Le speranze sono buone perché nei prossimi mesi questo passaggio fondamentale venga fatto, ma il problema non sarà comunque risolto: se l’Italia e l’intera Europa in generale non riusciranno a spingere un utilizzo dell’app più ampio di quanto non è successo finora, la loro utilità rimarrà comunque limitata (anzi, c’è chi sostiene che possano essere controproducenti perché rischiano di creare un falso senso di sicurezza).

contact tracing app europa

Come far utilizzare di più le contact tracing app?

Posto che il problema base della privacy venga neutralizzato (come ad esempio con Immuni è successo), perché le persone non scaricano e utilizzano le app di tracciamento? Perché tutta questa difficoltà nell’adozione di un sistema che ha un bassissimo impatto sul singolo, ma potenzialmente un grande impatto sulla comunità?

In primis, c’è il paradosso della privacy: più alta è la percezione che la privacy dell’utente è protetta, più persone adotteranno un’app di contact-tracing; ma una maggiore protezione della privacy pone dei limiti all’efficacia dello strumento nel tracciare la diffusione del virus, rallentando così la diffusione dell’app.

Poi ci sono i “negazionisti” che non credono alla pericolosità del virus e alla necessità di contenerlo. E i cosiddetti “astenuti“, che nel dubbio (pur assolutamente aleatorio) che possa danneggiarli preferiscono purtroppo non fare niente. Infine c’è chi non ha capito come funziona, chi ha paura di ricevere una notifica e non sapere cosa fare dopo, e così via.

Ma tutti gli altri? Qual è il problema?

Harvard Business Review ha pubblicato un articolo molto interessante a riguardo.

Secondo l’analisi, quando l’adozione è volontaria, le app per la ricerca di contatti presentano il classico problema dell’uovo e della gallina – o “partenza a freddo” – sperimentato da qualsiasi piattaforma alla ricerca di forti effetti di rete: non hanno praticamente alcun valore finché non raggiungono una massa critica di utenti.

Lo stesso vale per le app di tracciamento Covid-19. Invece di lanciarle in modo ampio e indiscriminato, dovremmo dispiegarle in comunità altamente focalizzate, contenute, affini, dove sarebbero immediatamente utili: famiglie, comunità religiose, luoghi di lavoro, scuole, bar e ristoranti, spiagge, hotel, treni, aerei, ecc.

App di comunità e incentivi

Un esempio di “app di tracciamento di comunità” è quello di UBI Banca: i suoi dipendenti utilizzano UBISafe, la sua applicazione per la ricerca di contatti, a partire dal 1° luglio e al loro rientro in ufficio. L’applicazione è stata installata automaticamente sugli smartphone aziendali, e gli altri saranno stimolati a utilizzarla. Questo può permettere all’app di raggiungere una penetrazione molto elevata, rendendola più efficace.

Altri modi per rendere un’app di tracciamento istantaneamente preziosa sono quello di fornire informazioni sul livello di contagio locale, in modo che gli utenti conoscano i rischi, e quello di includere una funzione di tracciamento dei sintomi in modo che gli utenti possano inserire i loro e ricevere informazioni su quando cercare aiuto medico (come succede in Irlanda).

Infine, sarebbe più probabile che le persone adottassero l’app se ci fossero aspettative concrete di essere così testate più rapidamente e senza costi aggiuntivi nel caso in cui ricevano la notifica di essere stati esposti al virus.

Certamente c’è ancora molto da fare: sia da parte dei cittadini, che non dovrebbero giocare all’assenteismo, ma informarsi e decidere su basi logiche di scaricare o meno l’app; sia da parte dei governi e dei produttori di queste app, che dovrebbero impegnarsi per renderle più utili per il pubblico, anche a livello europeo.

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