- Il lavoro da casa dovuto alla quarantena non è smart working né telelavoro, e non andrebbe trattato come tale
- Maria Vittoria Mazzarini, senior consultant di Methodos Spa, spiega le trappole e i rischi di questo tipo di implementazione forzata
- Per fortuna è possibile fare buon viso a cattivo gioco con dei semplici accorgimenti da applicare nella nostra quotidianità del lavoro da casa
Ironico. Siamo stati per anni il fanalino di coda del mondo, per quanto riguarda la tendenza al lavoro da remoto.
In un mondo in cui molte aziende passano addirittura all'approccio remote-first, e fioriscono società totalmente dislocate nello spazio senza quasi uffici fisici, in Italia molto spesso la conquista maggiore sembra essere un giorno a settimana di smart working.
Ironico che adesso, da un giorno con l'altro, a causa dell'esplosione dei casi di Covid-19 in Italia e della quarantena forzata imposta su tutto il Paese, il lavoro da remoto sia diventato l'unico modo di lavorare per la maggior parte delle aziende in Italia.
Un risultato per cui, lo ammetto, qualcuno come me ha inizialmente ben sperato. Chi si è da anni auto-proclamato un advocate dei vantaggi del remote work, ha visto d'improvviso anche i più restii abbracciarlo con slancio e ha pensato che fosse un passo nella giusta direzione.
Ma è durato poco, perché ci è voluto un attimo per capire che questo NON è smart working. Che le aziende italiane non avrebbero avuto il tempo o la capacità di adattarsi così velocemente a un modo di lavorare che non è semplicemente "lo stesso dell'ufficio, ma da un'altra parte". Che i dipendenti non avrebbero potuto godere delle gioie dello smart working, ma solo dei suoi dolori, reclusi e preoccup...