Nella Giornata Mondiale del Sorriso, celebrata a livello globale il primo venerdì di ottobre, tutto è pensato per strapparcene uno e Coca-Cola ha pensato proprio a tutti. Niente è più immediato di un sorriso per generarne un altro: basta vedere una persona farlo, infatti, per sorridere a nostra volta. Ma c’è chi i sorrisi non riesce a vederli. Se c’è una cosa che quest’anno ci ha insegnato è che c’è sempre un altro modo per far arrivare i sorrisi.
Per dedicare un momento di divertimento a chi il sorriso non lo percepisce con gli occhi, nasce “The Smile Can”, una serie di 5 lattine da 33cl in edizione limitata che riporteranno alcuni messaggi scritti in Braille, co-creati insieme ad UICI, Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti.
Le lattine della felicità
“Se strofini ancora esce il genio”, “Gratta pure, tanto non vinci nulla” sono solo alcuni dei messaggi che saranno presenti sulla serie di lattine, con l’obiettivo di generare un sorriso per ogni Coca-Cola, come recita il payoff.
Coca-Cola è un brand da sempre legato al concetto di felicità, vissuta come fonte di ispirazione anche attraverso progetti che promuovono l’inclusione e il superamento delle barriere, valorizzando le diversità. Attraverso “The Smile Can” Coca-Cola ha scelto di sostenere il centenario della fondazione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, che proprio nel 2020 celebra questo importante traguardo.
“Ottimismo e inclusione fanno da sempre parte del DNA di Coca-Cola” – dichiara Cristina Broch, Direttore Comunicazione e Relazioni Istituzionali per Coca-Cola Italia. “La celebrazione dell’anniversario di UICI è solo il tassello più recente di un percorso che ci vede da tempo impegnati nel promuovere una società più inclusiva dove la valorizzazione della diversità possa essere leva di cambiamenti positivi”.
Coca-Cola e UICI hanno lavorato insieme nel definire i messaggi da leggere in Braille in modo divertente. Condividere i propri sorrisi e sensibilizzare attraverso il linguaggio universale della felicità sull’importanza di questo modo di leggere e scrivere è tra i principali obiettivi dell’Associazione.
“Questa iniziativa esprime qualcosa che noi promuoviamo da tempo, perchè vuole coniugare la sensibilizzazione sui temi della disabilità visiva con la leggerezza di un sorriso” – dichiara il Presidente Nazionale UICI Mario Barbuto.
La campagna integrata di Coca-Cola
Per presentare il progetto, Coca-Cola promuoverà su Linkedin e Youtube un messaggio dedicato a generare sorrisi proprio nella Giornata Mondiale dedicata a questo gesto; le lattine saranno poi presenti durante alcune delle principali iniziative dedicate alla celebrazione del centenario di UICI in tutta Italia. Con il suo messaggio positivo, anche la comunicazione di “The Smile Can” si inserisce perfettamente nella nuova strategia “Come Mai Prima”, la campagna lanciata a fine luglio a livello europeo che invita ad affrontare ogni cosa in modo diverso rispetto al passato, apprezzando da una nuova prospettiva tutto ciò che abbiamo intorno a noi.
In occasione delle celebrazioni del Centenario dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, che riprenderanno il 19 ottobre con l’incontro con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un “villaggio” itinerante toccherà quest’anno diverse città italiane, tra cui Genova, Roma, Milano, Bologna. Si potrà partecipare a esperienze sensoriali e di “donazione della voce”, dimostrazioni con il cane guida per ciechi, sessioni sportive, laboratori educativi e iniziative di sensibilizzazione in cui toccare con mano anche l’edizione limitata di “The Smile Can” di Coca-Cola, e scoprire il mondo della disabilità visiva in una luce di inclusione, indipendenza e creatività.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/the-smile-can-coca-cola.jpg7671520Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-08 16:50:352020-10-12 20:41:10The Smile Can, l’edizione limitata di Coca-Cola per la Giornata Mondiale del Sorriso
I piccoli borghi, essenza d’Italia, si spopolano: sono le grandi città ad offrire maggiori opportunità.
Il marketing territoriale, tramite lo storytelling, aiuta a raccontare la storia e le tradizioni dei cosiddetti Italian Villages e ad attrarre cittadini e turisti.
Arte, design e street art utilizzati come strumenti di valorizzazione delle tradizioni e per la ripartenza.
No, non siamo a Silent Hill, anche se c’è chi li definisce (da tempo) “paesi fantasma”. Non perché siano infestati, ma perché (sempre da tempo) c’è un costante movimento in atto.
Svuotamento dei piccoli comuni, dei cosiddetti borghi d’Italia, che rappresentano l’immagine di chi è partito per cercare fortuna altrove, soprattutto nei grandi centri urbani.
Le scuole chiudono per mancanza di bambini, le banche spostano gli sportelli, il trasporto pubblico è problematico se non addirittura inesistente.
Sì, c’è un’Italia che lotta per non sparire. E, se dovesse davvero dissolversi del tutto, sparirebbe il senso della nazione, composta anche da piccoli mondi antichi, dove c’è ancora il sapore delle vecchie tradizioni e dell’artigianato di un tempo.
Case ad un euro per richiamare gli abitanti, incentivi fiscali per aziende e nuovi residenti. La parola d’ordine è trasformare i limiti, come l’isolamento, in opportunità per turisti e nuovi abitanti. E sono sempre più i piccoli comuni che avviano proprie iniziative per attirarli.
Già, cosa c’entra il marketing contro lo spopolamento dei borghi italiani? Si tratta di una trovata pubblicitaria, magari in stile piano Marshall?
No, o almeno non solo.
Con l’espressione marketing territoriale si indica l’insieme delle strategie finalizzate alla comunicazione turistica, tramite la valorizzazione di un determinato territorio e delle sue caratteristiche naturali e architettoniche.
Uno dei mezzi fondamentali è lo storytelling, poiché di una città viene raccontata la storia: una storia che non può prescindere dalle peculiarità, dal folclore e dalle attrazioni della zona interessata.
Tutta teoria?
No, se si pensa che non molto tempo fa, Airbnb (colosso dell’home sharing) ha lanciato un piano nazionale, Borghi Italiani (Italian Villages), per contribuire alla valorizzazione di questi luoghi e delle loro comunità.
In effetti, far conoscere i piccoli centri dell’Italia rurale (e non solo) ai viaggiatori di tutto il mondo significa accendere i riflettori su paesaggi, tradizioni e saperi unici, oltre che espandere le economie locali, promuovendo un turismo sostenibile, fuori dalle rotte maggiormente battute.
In quest’ambito rientra il recupero di quattro edifici storici attraverso progetti di valorizzazione, nati dalla collaborazione fra Airbnb, le istituzioni e la comunità locale.
È il caso, ad esempio, del progetto pilota di Civita di Bagnoregio, Casa d’Artista, avviato nel 2017.
Casa Greco, edificio storico di Civita parzialmente distrutto a causa di una frana negli anni ’80, è stata convertita in una residenza di artista e servirà come “inspirational place” per comunità di artisti e viaggiatori.
E gli interni sono tutti di design: Le Corbusier, Cassina, Bitossi home, Eligo e Servomuto.
Una boccata d’arte
E se a Casa Greco gli interni sono di design, ci sono altri borghi che hanno utilizzato l’arte come strumento di marketing territoriale.
Venti borghi italiani (uno per ogni regione) ospitano installazioni di arte contemporanea per incentivare il turismo di prossimità e sostenere gli artisti italiani.
Una boccata d’arte, è questo il nome del progetto realizzato da Fondazione Elpis, in collaborazione con Galleria Continua.
Complici il turismo di prossimità di questa strana estate 2020 e la necessità di riattivare i circuiti culturali del Paese, una boccata d’arte porta installazioni di venti artisti italiani nei venti borghi selezionati.
Le installazioni, la maggior parte delle quali realizzate esternamente (giusto per essere COVID-19 free), viaggiano da nord a sud, coinvolgendo un artista per ogni borgo: Elena Mazzi a Cervo (Liguria), Clarissa Baldassarri a Castellaro Lagusello (Lombardia), Antonello Ghezzi a Santo Stefano di Sessanio (Abruzzo), Marta Spagnoli a Ronciglione (Lazio), fino ad arrivare al sud con Claudia Losi a Presicce (Puglia).
Mar(T)keting
E poi c’è la street art. In bilico tra arte contemporanea e vandalismo, tra ammirazione e contestazione, contribuisce anch’essa ad accendere i riflettori sui borghi.
Dozza, borgo dell’Emilia Romagna, è il fiore all’occhiello della street art nei borghi.
In effetti, i suoi murales sono famosi in tutta Italia, anche perché l’evento Biennale del Muro dipinto si svolge lì dagli anni ’60.
Conoscete poi Satriano di Lucania? In Basilicata. Borgo di 2000 abitanti, che conta più di 150 murales, rappresentanti leggende e tradizioni locali.
E il Borgo Marinaro di Schiavonea (Corigliano Rossano)? In Calabria. Lì il protagonista della riqualificazione è il gabbiano di Jonathan Livingstone.
L’ideatore dell’iniziativa denominata “Vivi il Borgo”, Mario Martilotti, punta a far rivivere uno dei più grandi borghi marinari della Calabria, sede, ancora oggi, della cosiddetta pesca artigianale. Si tratta di un paesino di diecimila abitanti, che non molla e riprende vita, grazie soprattutto alla determinazione dei cittadini che tengono alla propria terra.
Insomma, non resta che andare e scoprire. Dopotutto, non è necessario il coraggio di Rose e Sharon, le due protagoniste, pioniere del viaggio verso Silent Hill nella famosa pellicola.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/Immagine-del-05-10-20-alle-09.55.jpg442681Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-10-08 15:00:132023-05-15 14:14:54Marketing territoriale: lo storytelling aiuta i borghi d'Italia a riprendere vita
Analisi dell’impatto del COVID19: la nuova ricerca realizzata da Extreme ha analizzato l’attività su Instagram di un panel di 600 influencer italiani.
300 specializzati nel settore travel e 300 nel food, confrontando il periodo compreso tra i mesi di maggio/agosto del 2019 e del 2020.
Cambiano i tempi, le situazioni e le condizioni ma c’è sempre un elemento che, ormai, diventa sempre più presente e, diciamolo, a volte invadente. Parliamo, ovviamente, del social media marketing, nello specifico di Instagram che non accenna a calare in termini di popolarità. Non ha bisogno di presentazioni il social delle foto per eccellenza, sappiamo bene che ormai è nel cuore e nella mente di tutti. Diteci la verità, quante volte al giorno siete connessi?
Instagram, il social dei social
“Passano gli anni, cambiano i trend, Mark Zuckerberg rilascia nuove feature per le sue piattaforme, ma il problema principale dei marketer rimane sempre uno: come faccio ad aumentare la follower base del profilo Instagram del mio brand?“ introduce così Daniela Chiorboli il suo articolo dedicato al social. Altro non conferma che il pensiero della maggior parte degli utenti è sempre lì a Instagram, neanche fosse il principe azzurro. Che poi, esiste? Certo, basta cercarlo tra gli utenti giusti!
Instagram, come dicevamo, è il social che comunica per immagini ed è per questo motivo che alcuni settori sono chiaramente più forti rispetto ad altri. Il mondo dei viaggi è quello che spopola, d’altronde come fare a rimanere impassibili vedendo una foto di un tramonto pugliese? Non abbiamo bisogno di fare il giro del mondo per stupirci!
Allo stesso modo, il settore fashion è d’ispirazione per molti: look, consigli, tendenze sono comunicati tramite Instagram e, che piaccia o meno, contano grandi numeri. Ancora, alzi la mano chi tra voi ha tra gli elementi salvati l’immagine di un particolare tipo di pasta o di una torta da leccarsi i baffi? Ebbene sì, il mondo food conquista tutti.
Sì, ma il Covid?
Nei mesi precedenti il dibattito si è spostato sull’impatto che il Covid-19 ha avuto sulle attività social dei travel e food influencer italiani e dei loro follower. Com’è andata, ve lo diciamo subito: tra stories, foto e dirette, su Instagram i due settori hanno vissuto sulle montagne russe, con picchi e crolli vertiginosi. Infatti, se i foodinfluencer tra maggio e agosto 2020 hanno visto un’impennata del proprio engagement con 17,7 milioni di interazioni, quindi il +32% rispetto allo stesso periodo del 2019, i travel influencer hanno registrato un andamento completamente inverso, con interazioni ridotte del 15,7%, passando in termini assoluti da 23,5 milioni nel 2019 a poco meno di 20 milioni nel 2020.
A rivelarlo è Influencer Italia TRAVEL & FOOD, Analisi dell’impatto del COVID19, una ricerca realizzata da Extreme, azienda italiana specializzata nella web e social media data intelligence. Attraverso il suo osservatorio permanente e ai dati aggiornati della piattaforma di influencer assessment Extreme Social Index, Extreme ha analizzato l’attività su Instagram di un panel di 600 influencer italiani, 300 specializzati nel settore travel e 300 nel food, confrontando il periodo compreso tra i mesi di maggio/agosto del 2019 e del 2020.
Travel vs food
La ricerca ha evidenziato che il numero degli influencer attivi ad agosto 2019 e 2020 ha registrato un calo del 14% nel settore travel e solo del 5,4% nel settore food.
Nonostante la normale decrescita fisiologica di soggetti che abbandonano un’attività così competitiva, il calo nel settore travel sembra essere una conseguenza diretta della pandemia.
I follower, croce e delizia di Instagram
Un andamento confermato anche dall’attività dei follower.
Il tasso di crescita medio dei follower per influencer nell’anno del Covid19 si è fermato all’ 1,76%, contro il 2,38% del 2019. A sottolineare la sofferenza del mondo travel è anche la crescita contenuta dei follower da parte degli account analizzati: da 5,5 milioni a 5,7 milioni di follower (+3,6%).
Viva il food…
La ricerca segnala una riduzione in entrambi i settori sul numero dei post pubblicati: quella dei food influencer appare più contenuta con 14.080 post del 2020, contro i 16.114 del 2019, una percentuale dunque pari al -12,6%. Per i viaggiatori il decremento è stato ancora più significativo, pari al 24% (da 11.600 post a 8.800). Di fatto, un danno per i travel influencer e per tutti i creativi del comparto.
Anche il numero di sponsorizzazioni, con hashtag quali #ad #adv #sponsoredby #supplied sono stati ridimensionati: -33% sul volume dei contenuti pubblicati e -25% sulla media dei post promozionali per travel influencer, così come l’engagement che registra una contrazione del 18,3%. Situazione simile per il comparto food: in negativo le variazioni rispetto al 2019 circa il volume complessivo dei post con sponsorizzazioni (- 18,4%) e i post medi per influencer (-14%).
In questo caso però cresce l’engagement del 22,7%: non è difficile da immaginarlo con tutto quello che è stato impastato e sfornato!
…e viva l’Italia
Fino a febbraio 2020 l’attenzione era alta verso l’estero, poi con la chiusura dei Paesi e l’impossibilità o la paura di programmare partenze, qualcosa è cambiato. I travel influencer, per necessità o virtù, hanno riscoperto il proprio Paese. Secondo i dati elaborati, rispetto al panel degli influencer analizzato, durante l’estate del 2020 la Toscana è stata la regione più instagrammata, con 958 post, seguono il Lazio (795 post), il Trentino Alto Adige ( 773), le Marche (769) e il Veneto (713).
Prendendo in considerazione invece l’engagement, la classifica delle preferenze subisce alcune modifiche: se la Toscana rimane ai vertici in con 599.600 like e commenti, la Sicilia ottiene il secondo posto con 589.400, la Lombardia il terzo con 583.000; seguono la Campania con 572.400 e la Puglia con 530.300
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/influencer-marketing-02.jpg9211646Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2020-10-07 16:58:412021-04-07 20:58:3717,7 milioni di interazioni: i numeri di food e travel influencer su Instagram
Segnali di ripresa dal mercato Automotive: il Digital Marketing può essere la benzina giusta per innestare la potenza propulsiva definitiva.
Il 92% degli acquirenti di auto effettua ricerche online prima di acquistare e il formato video è il contenuto preferito dagli utenti.
I dati di vendita del mercato automobilistico fanno ben sperare per il prossimo futuro grazie a una lenta ripresa post-lockdown. È il digital marketing per l’Automotive l’artefice di questa faticosa rimonta? In realtà, il marketing digitale è la via che produttori e distributori hanno deciso di intraprendere già da qualche anno a questa parte. E sembra essere molto più di una semplice tendenza.
Automotive, qual è il polso della situazione?
Partiamo da un dato interessante: secondo gli ultimi rilevamenti di agosto, la domanda di auto sembra essersi stabilizzata rispetto alla voragine che si era aperta a marzo 2020 in concomitanza del lockdown. I mesi tristi di marzo, aprile e maggio sono stati più un mettere in stand-by i consumi delle famiglie italiane, piuttosto che un vero e proprio collasso economico.
Ora, coloro che in precedenza facevano affidamento esclusivamente sul trasporto pubblico o altre forme di mobilità come il ride-sharing, valutano la possibilità di acquistare un’auto nei prossimi mesi. Probabilmente mossi dalla necessità di maggior sicurezza sanitaria negli spostamenti quotidiani, in primis casa-lavoro.
Quello che emerge dal sondaggio condotto da CarGurus è che il 79% degli intervistati non ha rinunciato all’acquisto di una nuova auto, ma sta solo aspettando una situazione economica più stabile.
Ma attenzione a pensare che il concessionario stia lucidando per benino la vetrina del suo salone, in attesa che i clienti si sentano pronti per far visita al suo parco auto. L’Automotive ha smesso già da un po’ di giocare d’attesa e, ancor prima della pandemia, ha scoperto il Digital Marketing. Vediamo come.
Digital Marketing per l’Automotive, le strade si erano già incrociate
Già prima dell’avvento del Covid-19, i principali player Automotive hanno spostato focus ed energie verso il pubblico online. Pur senza calare completamente le serrande della pubblicità sui mass media tradizionali. Le restrizioni legate alle pandemia hanno solo accelerato le strategie di digital marketing già in test qualche anno prima. La digital transformation ha iniziato a fare breccia nelle opinioni di manager e responsabili di distribuzione, soprattutto negli Stati Uniti. Adesso si prova a fare sul serio anche in Italia.
In tanti si chiedono quali siano i KPI rilevanti per poter attuare una concreta strategia di marketing digitale per mercato auto e moto. Ad esempio, Treasure Data ha sviluppato un’indagine per raccogliere informazioni da oltre 30 professionisti del marketing Automotive per avere un’idea di come si svilupperà la “nuova normalità” nel mercato automobilistico. In che modo il digital marketing ottimizza l’Automotive per una ripresa a tutto gas?
L’Automotive si interfaccia con un nuovo consumatore, e lo ha capito
I responsabili marketing delle maggiori case produttrici di automobili hanno capito che il pubblico e i clienti stanno lentamente riversando la loro attenzione verso altri canali di comunicazione. Il fattore generazionale incide anche dal punto di vista della propensione all’acquisto. Chi decide di comprare un’auto, oggi proviene da un background molto diverso rispetto a quello di 20 anni fa. Sono cambiate esigenze, motivazioni, interessi verso uno specifico brand. E non ultimo, è cambiato il funnel di acquisto dell’utente medio tra i 25 e i 45 anni.
Il consumatore oggi sa come muoversi online, ma anche come dialogare in maniera diretta con l’azienda o il concessionario. Pretende un “trattamento” personalizzato: è un consumatore smart! Ergo, case automobilistiche e distributori devono spingere ancor di più sul pedale dell’acceleratore del digital marketing. Come devono farlo?
Il digital marketing per l’Automotive significa non solo rimodulare la comunicazione e i canali mediatici verso cui riversare le campagne di advertising. Ma adottare un vero e proprio metodo di acquisizione, profilazione e analisi dei dati socio-demografici del consumatore. I dati giocheranno un ruolo sempre più importante nella digital transformation dell’Automotive.
Già nel 2015, i player dell’Automotive avevano delineato un nuovo customer journey del cliente medio. I concessionari hanno circoscritto l’arco temporale del processo di acquisto medio dell’auto. Può durare grosso modo dalle 5 alle 12 settimane e in genere si sviluppa in questo modo:
L’utente stila una selezione di veicoli a cui è interessato, in base a ricerche online, recensioni dal web e il grado di fedeltà e apprezzamento verso il brand (in genere da 1 a 3 mesi prima dell’acquisto);
Successivamente, restringe la selezione in una short-list sulla base di pareri e opinioni di amici o parenti (in genere da 4 a 7 settimane prima dell’acquisto);
Il momento del test-drive è circoscritto a una selezione di massimo 3 auto (in genere da 2 a 4 settimane prima dell’acquisto);
Infine, si arriva al momento vero e proprio della scelta (in genere da 1 a 3 settimane prima dell’acquisto).
Ok, dove si inserisce il digital marketing in questo preciso calendario di conversione? Il vero punto di rottura è che la generazione della consapevolezza d’acquisto avviene online. Ecco perché:
Il 92% degli acquirenti di auto effettua ricerche online prima di acquistare.
Il 60% di tutte le ricerche Automotive proviene da un dispositivo mobile e alcune delle principali ricerche da dispositivo mobile sono correlate ai concessionari.
Il 64% degli acquirenti che guarda video online per avere informazioni sull’auto da acquistare, afferma che i nuovi formati video li convincerebbe ad acquistare un’auto senza un test drive.
Grazie a piattaforme come YouTube e alle ricerche su Google, i consumatori hanno accesso a una enorme gamma di contenuti digitali prima di comprare l’auto che cercano. In questo senso, i professionisti del marketing per l’Automotive oggi vedono moltiplicare le opportunità di posizionamento del brand, soprattutto nel momento in cui gli utenti valutano quale sia l’auto migliore per le loro esigenze.
Negli ultimi due anni, il tempo di visualizzazione dei test drive in video su YouTube è cresciuto di oltre il 65%, segnando una tendenza nel consumo di video online simile all’impennata avuta con le recensioni e gli unboxing dell’high tech di alcuni anni fa. Il futuro dello shopping automobilistico si sta decisamente spostando online.
Nuove strategie da sfruttare per il digital marketing nell’Automotive
1. Usa l’integrazione dei dati
Produttori, distributori e rivenditori hanno a loro disposizione una serie sbalorditiva di database contenenti una grossa quantità di dati sui clienti, sulle transazioni e sulle prestazioni di marketing del concessionario.
Rispetto all’offline, la tecnologia digitale fornisce un percorso alternativo fatto di strumenti di gestione dei dati sempre più sofisticati quanto a capacità di acquisire, gestire e attivare informazioni. Dov’è l’utilità di tenere questi dati separati tra loro? Perché non provare a incrociarli per fare previsioni e strutturare una customer journey personalizzata?
Il ruolo di data analysis e CRO specialist sarà ancor più rilevante per poter rispondere in maniera adeguata a una ristrutturazione del digital marketing per l’Automotive e una corretta allocazione del marketing mix.
2. Sfrutta il local business
La catena di vendita dell’Automotive potrebbe sembrare piuttosto complessa e articolata. In realtà, il punto chiave è una corretta gestione del punto vendita grazie a un piano di digital marketing ben organizzato. Se è vero che il processo di acquisto inizia online, resta ancora inconfutabile che la firma del contratto si risolva in concessionaria. Ecco perché il trend della keyword SEO “concessionario auto vicino a me”, continua a riscuotere grande successo!
Il concessionario è l’anello della catena Automotive che deve necessariamente attivarsi con campagne di digital marketing locale. Parlo di ottimizzazione per SEO locale del sito web, sviluppo di campagne di advertising impostate per un pubblico locale, una corretta gestione della vetrina di Google My Business e dei feedback al suo interno.
3. Assicurati che i tuoi collaboratori siano digital-friendly
Il concessionario non può più essere il salone auto in cui il venditore si presenta al cliente in giacca e cravatta per intraprendere una trattativa estenuante. I tuoi collaboratori devono essere tanto smart quanto lo sono i clienti che si trovano davanti. Sono persone che hanno già guardato qualsiasi tipo di video-recensione su YouTube dell’auto dei loro sogni. Hanno letto ogni tipo di articolo di descrizione tecnica. Hanno trascorso ore e ore sui forum e sul sito della casa produttrice per analizzare ogni singola specifica dell’auto. Forse la conoscono meglio del concessionario!
Il compito di chi lavora in concessionario, è solo quello di trasferire l’esperienza utente dall’online all’offline. E farlo nella maniera meno “traumatica” possibile. In un mondo in cui la digital transformation per Automotive è la prassi, l’auto è già stata venduta online e il cliente si reca in concessionario solo per assicurarsi che il suo processo di acquisto esista davvero. Il venditore deve solo accompagnarlo nell’ultimo step del funnel di conversione. Possibilmente, il personale che lavora in concessionaria dovrà padroneggiare il linguaggio di comunicazione online, dal saper gestire una diretta social al saper negoziare in modalità videoconferenza, come spiega MotorK.
4. Sfrutta la potenza del video
Un dato interessante che emerge da una ricerca di Pixability in collaborazione con Google, è che tra i primi 200 video di auto più visti dal 2017 al 2018, quelli che generano maggior engagement tra gli spettatori sono i video pubblicati da creator e video-maker indipendenti. Si tratta di professionisti del social video marketing che hanno la passione e la giusta conoscenza tecnologica per presentare all’utente online l’auto dei loro sogni, nei minimi dettagli. Surclassando i video corporate delle case automobilistiche del calibro di Mercedes, Volkswagen, Ford. Questo riflette la fiducia e la connessione personale tra gli utenti online – YouTube in particolare – e i creator per l’Automotive.
Integrazione Digital Marketing e Automotive, 3 casi di successo
1. L’integrazione dei dati CRM per BMW Mini
In collaborazione con Universal McCann, BMW Mini ha ideato un sistema per ottimizzare i metodi di engagement del proprio target: adulti interessati a un veicolo di fascia premium. Mini ha scansionato i dati delle persone inseriti nel loro sistema CRM, o perché già clienti o perché avevano dato il consenso al trattamento dei dati dopo aver visitato un canale del brand. Mini ha dunque utilizzato la digital automation per ottimizzare attività di marketing come l’invio di messaggi e notifiche push personalizzate sui dispositivi mobile. Ciò ha aumentato di 3 volte la conversione dell’utente, riducendo il costo per acquisizione del lead fino al 75%.
2. Come Opel ha sfruttato Facebook Marketplace
Nel 2018, la casa automobilistica tedesca voleva aumentare il traffico sul sito web di Opel Occasions, il portale dove poter trovare veicoli Opel usati certificati. Quando Facebook Marketplace è diventato disponibile come posizionamento pubblicitario, Opel Netherlands ha collaborato con Greenhouse, la sua web agency di riferimento, per trarne vantaggio. Sono state create campagne di Facebook Ads con obiettivo pubblicitario Conversioni ed è stata impostata la ricerca sul sito web come principale evento di conversione.
I gruppi di inserzioni mostrati su Marketplace e nella sezione Notizie hanno ottenuto prestazioni migliori rispetto a quelli mostrati solamente nella sezione Notizie. Risultati: un 20% in meno sul costo per conversione; il 27% in più sulle conversioni dalle inserzioni mostrate su Marketplace; il 15% di copertura in più sulla sezione Facebook Marketplace.
3. TikTok, BTS e Hyunday
Con oltre tre miliardi di visualizzazioni, #PositiveEnergyChallenge è stato uno dei trend TikTok più popolari dell’estate 2020. L’agenzia coreana Global Business Solutions (GBS) ha pensato bene di lanciare la campagna per conto di Hyunday con il supporto della boy band coreana BTS. Il risultato è stato un vero e proprio crack mediatico. In particolare, la casa automobilistica di Seul ha trovato il modo per comunicare la visione del brand alle nuove generazioni: promuovere la sostenibilità ambientale e condividere maggiore consapevolezza sulle auto a idrogeno. Hyunday ha da tempo consolidato la partnership con i BTS per promuovere il suo marchio EV, IONIQ, rilasciando una serie di canzoni sulle principali piattaforme video e social.
Come spiega Wonhong Cho, Executive Vice President e Global Chief Marketing Officer di Hyundai Motor Company:
Hyundai Motor e BTS collaborano per diffondere il valore della positive energy che perseguono insieme oltre che alla promozione di un veicolo specifico. La nuova gamma IONIQ è la risposta di Hyundai Motor ai problemi ambientali e alle global community legate alla sostenibilità, di cui i Millennial e le generazioni della Gen-Z sono i principali sostenitori, e vogliamo dimostrare il nostro impegno con un’attenzione sempre maggiore verso i veicoli elettrici.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/Digital-Marketing-e-Automotive.jpg9601280Nicola Onidahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNicola Onida2020-10-06 17:42:172020-10-07 18:26:19Digital Marketing e Automotive: cosa sapere per iniziare e 3 casi di successo
Sin dalle sue origini Instagram ha dato libero sfogo alla creatività degli utenti.
A fare la sua fortuna sono state le Stories, ma oggi la piattaforma continua ad esplorare nuove strade.
Oggi Instagram compie 10 anni, segnando un decennio da quando, con la sua nascita, ha contribuito a un cambiamento della cultura globale, digital e non solo.
Sin dai suoi primi giorni di vita, la creatività della community di Instagram è stata fonte di grande ispirazione. Grazie a questa piattaforma le persone sono entrate in contatto tra loro e si sono espresse in modi nuovi e creativi, condividendo i propri interessi, o unendosi in favore delle cause che gli stavano a cuore.
Un po’ di storia
Instagram è un social network che permette agli utenti di scattare foto, applicarvi filtri, e condividerle online. Nel 2012 Facebook Inc ha acquistato la società e la sua tecnologia per un miliardo di dollari. L’applicazione web, sviluppata da Kevin Systrom e Mike Krieger, è stata lanciata il 6 ottobre 2010, inizialmente disponibile solo su iOS poi divenuta compatibile con qualsiasi iPhone, iPad o iPod touch avente iOS 3.1.2 o superiore. Dal 3 aprile 2012 è disponibile anche per i dispositivi che supportano Android.
Te lo ricordi? Instagram era originariamente destinato esclusivamente al caricamento di immagini in formato 1:1 per la larghezza di visualizzazione dell’iPhone al momento (quindi quadrate). Queste restrizioni sono state allentate nel 2015, con un aumento a 1080 pixel. Il servizio ha anche aggiunto funzionalità di messaggistica, la possibilità di includere più immagini o video in un singolo post, nonché “Storie”, simili ai contenuti effimeri del suo principale concorrente Snapchat, e che consentono agli utenti di pubblicare foto e video su un feed sequenziale, con ogni post accessibile da altri per 24 ore. Al gennaio 2019, la funzione Storie veniva utilizzata quotidianamente da 500 milioni di utenti.
A settembre 2020, la persona più seguita è il calciatore Cristiano Ronaldo con oltre 237 milioni di follower e la donna più seguita è la cantante Ariana Grande con 203 milioni di follower. Al 14 gennaio 2019, la foto con più “mi piace” su Instagram è una foto di un uovo, pubblicata dall’utente @world_record_egg, creata con l’unico scopo di superare il precedente record di 18 milioni su un post di Kylie Jenner. L’immagine ha superato i 54 milioni di “mi piace”.
In un giorno così significativo come il suo decimo compleanno, Instagram presenta nuovi prodotti e funzioni e sottolinea l’importanza della futura generazione di creator che sta contribuendo al rivoluzionario cambiamento della piattaforma.
Mappa delle storie: una mappa e un calendario privati delle storie condivise negli ultimi tre anni, che ti permetteranno di rivivere e ricordare i tuoi momenti migliori. La funzione consente di condividere, scaricare e salvare le storie nei tuoi highlight.
Timeline di prodotto: una timeline che ripercorre i momenti chiave della storia di Instagram
Aggiornamenti su shopping: nei prossimi giorni lo shopping sarà disponibile anche su IGTV, mentre un test della stessa funzione sarà avviato nei prossimi mesi su Reels. L’obiettivo è semplificare l’esperienza di acquisto anche nei video, oltre che supportare i creator nel far crescere la propria attività tramite la piattaforma.
Inoltre, a partire da oggi, in Italia apparirà un’icona “Reels” direttamente sulla schermata principale di Instagram.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/instagram-compie-10-anni.jpg7301035Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-06 12:47:132020-10-07 18:07:06Instagram celebra il suo decimo compleanno (e annuncia qualche novità)
“The Social Dilemma” è il documentario più chiacchierato del momento. Ma di cosa parla?
La parola a chi ha reso possibile la nascita e la diffusione dei social media, ma si è pentito di averlo fatto.
Avete mai letto “Frankenstein” di Mary Shelley?
La storia la conosciamo tutti. Il romanzo è uno dei capolavori della letteratura gotica e considerato come uno dei testi pionieri del genere fantascientifico. Era il 1816, un anno in cui si verificarono anormalità climatiche e fu ricordato come l’anno senza estate. In una villetta nelle campagne svizzere, si riunì un gruppo d’intellettuali inglesi, tra cui la Shelley, che aveva appena 19 anni, suo marito Percy Shelley, uno dei poeti più importanti del periodo romantico, Claire Clairmon, la sorellastra della scrittrice, Lord Byron e John William Polidori.
In un pomeriggio freddo e piovoso, costretti in casa a causa del mal tempo, si sfidarono in una gara letteraria per scrivere una storia sul soprannaturale. Qui nacque il nostro capolavoro, “Frankenstein”, colui che sfidò le leggi divine per oltrepassare i confini di ciò che è lecito per compiere qualcosa di grande: donare la vita a chi non ne ha più.
In questa gara d’inchiostro, inoltre, Polidori scrisse “Il vampiro”, un’opera che, in futuro, avrebbe ispirato Bram Stoker con il suo “Dracula”.
Siamo noi il prodotto?
Quanti di noi, leggendo quest’incredibile storia, hanno provato pena per il “mostro” nato dal genio, o follia, punti di vista, del dottor Victor Frankenstein? Una creatura spaventosa, dagli occhi umidi e dal colore giallastro ma bramosi di sapere, di domande che non hanno avuto risposte da colui che lo ha messo al mondo. Un essere spaventato, bombardato da stimoli che non aveva mai provato, che non sapeva nemmeno che esistessero, che non aveva chiesto. Una condizione d’infelicità perenne che si trasforma in paura, e chi non proverebbe pietà per una simile situazione?
In “The Social Dilemma” si parla di questo. Siamo il prodotto di moderni Frankenstein bombardati da impulsi, scosse e desideri di cui ignoravamo l’esistenza, ma che adesso non riusciamo a farne a meno.
Sono settimane che “The Social Dilemma” impazza sui nostri profili social. Chi consiglia di vederlo, chi lo ama, chi lo odia, chi lo trova orrendo e chi una genialata, insomma come sempre l’opinione della rete si divide, ma se non lo avete ancora visto, ritagliatevi un’ora e mezza per capire davvero di cosa tratta.
Un successo tale, da diventare un pericolo? Chissà, fatto sta che Facebook (per ora l’unico tra i big del web) si è sentita in dovere di rispondere alla accuse con un comunicato ufficiale, che potete leggere qui.
Per il resto, giudicate da soli, senza farvi influenzare dal chiacchiericcio generale. Noi intanto proviamo ad analizzare più a fondo “The Social Dilemma”.
Comincia con una frase dell’artista Pablo Picasso, così giusto per rompere il ghiaccio, una premessa che suona un po’ come minaccia, o avvertimento:
«Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione».
La prima reazione che abbiamo è quella di sentirci un po’ a disagio e chiederci cosa accadrà in questa ora e mezza, ma poi tutto diventa chiaro. L’intento è uno, dare una spiegazione a un dilemma che ci stiamo ponendo da un po’ di tempo su come la tecnologia, la sua evoluzione e le potenzialità dell’intelligenza artificiale impatteranno sulle nostre vite.
Ci hanno sempre raccontato dei miracoli del progresso e del potere della connessione. Sono anni che le grandi aziende hi-tech ci narrano la favola d’Internet, di quanto stia a cuore a Facebook e agli altri social media creare relazioni tra le persone e poi, all’improvviso, crolla tutto.
Alla fatidica domanda se tutto questo ha una falla, se questo flusso di bit e byte è andato troppo oltre, gli occhi dei geni della Silicon Valley si incupiscono, velandosi di rimorso, e noi siamo lì, basiti, distratti dallo smartphone che vibra per l’ennesima notifica, fissiamo lo schermo del PC ed emettiamo un impercettibile e laconico “Ah”.
The Social Dilemma: la parola agli esperti, quelli veri
“The Social Dilemma” è un documentario di Jeff Orlowski, un regista statunitense di 36 anni, già noto per aver diretto “Chasing Coral “, un documentario sulla progressiva sparizione delle barriere coralline, e “Chasing Ice”, altro documentario del 2012 che mostra i disastrosi effetti del riscaldamento globale sui ghiacciai del Polo Nord. Trovate tutti i suoi lavori su Netflix, compreso l’ultimo, “The Scocial Dilemma”.
Qual è lo scopo del regista? Vuole far luce, vuole darci risposte, sbatterci in faccia la verità su cosa c’è dietro la macchina, all’apparenza perfetta, dei social media.
E voi direte, ma lo sappiamo come funziona, non è nulla di nuovo, siamo consapevoli della massiccia presenza della tecnologia nelle nostre vite. Va bene, ma se a raccontarvi di come funzionano gli algoritmi, la magia della persuasione, i risvolti negativi psicologici sulle persone e la monetizzazione che c’è dietro ai like e ai cuoricini svolazzanti, siano proprio coloro che sono stati i dirigenti di Facebook, Google, Pinterest, Instagram e Twitter?
Connessi in rete ma disconnessi nella realtà
Come un racconto, dove fabula e intreccio si fondono in un ibrido tra documentario e dramma, la storia comincia accompagnati dalla voce di Tristan Harris, informatico che ha lavorato come esperto di design in Google, ora presidente e co-fondatore del Center for Humane Technology.
Tristan si occupa di etica applicata alla tecnologia e ci confida apertamente i pericoli della dipendenza che i social e i sistemi di navigazione come Google possono creare in noi, riportandoci la sua esperienza. La sua voce, insieme a quella di tanti altri protagonisti che hanno fatto parte di quel sistema, ci sconcerta, ma allo stesso tempo ci mette l’ennesima pulce nell’orecchio.
Vogliamo capire il motivo di tutto questo. Il mondo sta davvero impazzendo?
Il testimone passa a Tim Kendall, ex presidente di Pinterest, che ha lavorato come responsabile della monetizzazione in Facebook per alcuni anni e ci spiega il modello pubblicitario dei social media. Ci svela come fanno i social a monetizzare e la dipendenza che creano, da cui è sempre più difficile uscire.
I social targettizzano i nostri interessi, ci vendono, e siamo noi a dar loro il consenso, con i nostri like e le nostre preferenze.
“Se non stai pagando per il prodotto, il prodotto sei tu”
Ci stanno dicendo, senza giri di parole, che siamo un bersaglio vivente da bombardare con immagini e parole, siamo da stimolare in continuazione per tener viva la nostra attenzione e concentrala tutta sullo smartphone.
Smetto quando voglio, forse
In “The Social Dilemma” è illuminante l’intervento di alcuni specialisti tra cui la dottoressa Anna Lembke, psichiatra specializzata in dipendenze. È lei a spiegarci cosa avviene chimicamente nel nostro cervello, ed è tutto riconducibile al rilascio di dopamina.
Ogni volta che pubblichiamo qualcosa sui nostri profili social, viviamo nella trepidante attesa di ricevere approvazione, una reazione, un like dai nostri amici. Quando cominciano a fioccare cuoricini, il nostro cervello produce una scarica di dopamina, che ci fa provare una piccolissima sensazione di piacere e ci porta a ricontrollare ciò che abbiamo pubblicato e a scrollare la bacheca, nella speranza di riprovare quel brivido.
I social sfruttano la vulnerabilità della psiche umana attraverso la manipolazione. Restando connessi, veniamo stimolati continuamente, un po’ come funziona con le slot machine. Tiriamo la leva e veniamo risucchiati in un vortice infinito.
Solo due settori chiamano i loro clienti utilizzatori: le droghe illegali e i software.
The Social Dilemma e l’appello ai più giovani
Inutile dire che i più colpiti da questo sistema d’incessante ricerca dell’approvazione sono proprio i più giovani. Stiamo parlando della Generation Z, ossia tutti quei ragazzi nati tra la metà o la fine degli anni ’90, fino al 2010.
Sono i più ansiosi, quelli che corrono meno rischi di tutti, che socializzano meno e preferiscono vivere in una sorta di bolla che li protegge da tutto ciò che li circonda. Una generazione senza confini fisici e mentali, ma che tende a crearsi continuamente dei limiti.
A partire dal 2011, anno in cui abbiamo raggiunto l’apice per la diffusione dei social media, c’è stato un aumento della depressione, di fenomeni di autolesionismo e dei suicidi, soprattutto tra gli adolescenti. Un clima d’insicurezza, di non accettazione, dovuto a canoni di bellezza irreali, ottenuti soltanto attraverso dei filtri finti creati su queste piattaforme.
Negli ultimi mesi, soprattutto a causa del COVID-19, abbiamo toccato con mano sempre di più quanto le fake news siano pericolose e fuorvianti. Le teorie che gridano al complotto, alla ribellione contro il sistema, tutto ciò che è cospirazionista si diffonde sui social sei volte più velocemente rispetto alle notizie reali. Il motivo? La verità è noiosa.
Nel mondo dei social media, dove tutti siamo diventati la caricatura di noi stessi, non c’è spazio per la realtà, ma si preferisce l’apparenza. Credere a teorie cospirazioniste per mostrarsi più furbi, perché se pochi ci credono significa che nessuno ha davvero capito come va il mondo. Si cerca continuamente di emergere, si ha costantemente bisogno di sentirsi speciali, ma nel modo sbagliato.
Più andiamo avanti nella visione del documentario e più riusciamo a collegare i fili tra loro e la trama prende sempre più forma. Le informazioni non sono uguali per tutti, ci spiegano. Con il sistema di geolocalizzazione e in base alla conoscenza delle nostre preferenze, Google decide cosa mostrarci. Sono in nostri feedback che scelgono. Gli algoritmi sono predittivi, si basano su previsioni grazie ai nostri dati.
Crediamo di vedere ciò che vogliamo, ma sono solo gli algoritmi che ci manovrano, e ne è un esempio Youtube con i video “consigliati per te”. Siamo spinti, tramite il rilascio dei nostri dati, a essere guidati, manovrati e manipolati nel vedere e ascoltare determinati contenuti.
Stiamo perdendo il diritto al confronto, al dialogo, crediamo di essere connessi tra noi ma ci stiamo allontanando sempre di più. Non parliamo con chi la pensa diversamente da noi perché siamo ingabbiati nella nostra bacheca popolata da persone che la vedono esattamente come noi, perché è quello che i social ci mostrano. I nostri stessi interessi, le nostre preferenze che noi abbiamo stabilito. L’oggettività è annullata.
Gli utenti sui social tendono a leggere solo le informazioni che sono allineate al loro sistema di credenze. Ciò comporta la diffusione del populismo che punta alla polarizzazione.
Cosa possiamo fare?
La minaccia esistenziale non è però la tecnologia, ma la sua abilità nel tirar fuori il peggio della società. Le piattaforme sono le uniche responsabili? No, le abbiamo create noi e possiamo fare meglio di così.
Gli esseri umani possono cambiare i sistemi della tecnologia. La nascita di internet segnò un punto di svolta, era un luogo nato per sperimentare, era un posto creativo, non è stato realizzato per permettere alla società di scivolare nel caos.
La paura più grande di tutti gli intervistati è la stessa: la destabilizzazione e la corrosione del sistema sociale.
Può l’intelligenza artificiale risolvere questi problemi? No, dobbiamo farlo noi, e dobbiamo farlo ora.
Ma…
“The Social Dilemma” non sta puntando il dito contro la tecnologia, ma sul suo utilizzo errato. Ci sono stati mostrati in 90 minuti, con dati alla mano, le problematiche dei social media, ciò che causano e la mancanza di regolamentazione dei modelli imprenditoriali.
Non ci sono leggi al passo coi tempi che garantiscano la tutela della privacy digitale. Ci sono in ballo interessi monetari che minano la libertà delle persone. Siamo noi contro uno schermo, siamo noi che cediamo noi stessi per cosa?
Jaron Lanier, considerato un pioniere dell’ambito della realtà virtuale, ha scritto diversi libri, tra cui “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social”. In “The Social Dilemma”, alla fine del documentario, ci ricorda una cosa importante:
sono le persone critiche i veri ottimisti
Esponiamoci, e non perché lo dice qualche influencer, o l’invasato di turno in qualche video contro l’uso delle mascherine. Informiamoci da fonti attendibili, leggiamo libri, guardiamo film, documentari. Cerchiamo di avere la nostra opinione, ma soprattutto ascoltiamo anche quella altrui.
Cosa possiamo imparare (o meglio non dimenticare) da The Social Dilemma?
Ogni prodotto artistico ha la sua forma, il suo tono, la sua voce. Può piacere o essere disprezzato, dipende da noi. Forse amerete “The Social Dilemma”, o lo odierete. Molti non avranno apprezzato le interviste intervallate dal “dramma” familiare creato appositamente per mostrare cosa avviene in una famiglia media a contatto coi social. Altri troveranno ipocrita la scelta di Netflix di mandar in onda un documentario che denuncia gli algoritmi predittivi quando è essa stessa a utilizzarli.
Ci sono difetti e pregi, come in ogni cosa. Ma “The Social Dilemma” ci mostra una cosa reale, sviscerata da chi ha creato, sviluppato e alla fine, rinnegato quei sistemi. Quello che possiamo imparare, la cosa più importante da far nostra è che siamo persone, non dati, non algoritmi e che siamo noi a decidere chi essere, cosa guardare, fare e ascoltare.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/netflix-cover.jpg506779Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2020-10-06 11:02:552020-10-07 18:08:09The Social Dilemma: cosa possiamo imparare dall’ultimo successo di Netflix
Come ogni fine settimana, torna l’appuntamento con le principali news da l mondo dei social media.
Dalle novità sui gruppi di Facebook agli strumenti aggiornati di Pinterest per lo shopping, ti ricordiamo tutto quello che devi assolutamente conoscere questa settimana.
Galassia Facebook
Facebook ha deciso di spingere i Gruppi nel news feed. Il social ha annunciato che gli utenti inizieranno a vedere anche le discussioni che non seguono nel loro feed di notizie, e che i gruppi pubblici potranno essere trovati anche al di fuori della piattaforma, sui motori di ricerca come Google.
Tra le novità sul social anche una nuova integrazione tra i servizi di messaggistica. La piattaforma sta già testando la possibilità per chi ha un account Instagram di usare Messanger, anche se non possiede un account Facebook. Sta lavorando per integrare anche il servizio WhatsApp allo stesso modo.
Proprio su WhatsApp arriva anche un nuovo aggiornamento consentirà di eliminare immagini e video sui device di altre persone. Si tratterà in pratica di messaggi che si autodistruggono dopo essere stati visualizzati.
Su Messenger, invece, in vista di Halloween, l’app di messaggistica pubblicherà ogni venerdì un pacchetto di adesivi a tema e rilascerà nuovi effetti AR e 360, per regalare un po’ di divertimento virtuale su Messenger Rooms, in un anno che probabilmente non permetterà il classico dolcetto e scherzetto.
It’s spooky season ? We’re releasing a #Halloween-themed sticker pack and dropping new AR effects & 360 backgrounds every Friday to bring a little virtual fun to your celebrations with friends, family, and trick-or-treaters alike. #MessengerRoomspic.twitter.com/GP0XngbeY7
Sempre Facebook, infine, rimuove l’opzione del modello di attribuzione di 28 giorni per gli Ads. L’aggiornamento avverrà a partire dal 12 ottobre. L’attribuzione sarà di 7 giorni come impostazione predefinita, per rispettare i nuovi parametri di privacy.
Mondo Pinterest
Arriva il Festival dei Creator. Pinterest ha annunciato un nuovo evento che fornirà approfondimenti su come costruire una presenza sulla piattaforma e massimizzare l’engagement.
La piattaforma per la ricerca visuale, ha anche aggiunto diverse funzionalità per lo shopping. Arriveranno prima nel Regno Unito e negli Stati Uniti e renderanno più facili gli acquisti per i Pinner che visitano la piattaforma alla ricerca di ispirazione.
In breve
Twitter espande l’uso dei tweet vocali. Il social ha anche riaffermato il suo impegno ad aggiungere i sottotitoli automatici per i tweet vocali il prima possibile, in ottica di inclusione.
TikTok aggiunge più formati di duetto. Per facilitare nuove opportunità di collaborazione, la piattaforma per i video brevi ha aggiunto tre nuove opzioni alla sua popolare opzione di interazione Duets.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/05/week-in-social-1.jpg374626Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-04 11:14:332020-10-27 10:46:22Week in Social: dal Festival dei Creator su Pinterest alle novità per i Gruppi su Facebook
L’1 ottobre si celebra la giornata internazionale del caffè;
La giornata internazionale del caffè è una giornata in cui si promuove e celebra il caffè come bevanda, con eventi che si svolgono in tutto il mondo. La prima data ufficiale fu lanciata a Milano.
Oggi il mondo celebra il caffè e i mille modi che conosciamo per prepararlo. Se in Italia il culto è per il classico espresso (e per le sue mille varianti), questa bevanda che arriva da lontano è però amata in tutto il mondo. Sì, anche lì dove un buon caffè al bar proprio non sei mai riuscito a berlo!
Per festeggiarlo anche noi come merita, abbiamo guardato alle migliori campagne e iniziative dei brand sul tema degli ultimi anni.
1. Lo #UnicornFrappuccino di Starbucks
Che lo riteniate caffè o meno, non è possibile parlare di iniziative vincenti sul caffè senza menzionare il Frappuccino Unicorno di Starbucks. Il mix di caffè, latte, panna e… colori è stato disponibile per l’acquisto per sole tre settimane nell’aprile 2017, ma il suo impatto è durato molto più a lungo.
La bevanda infatti è esplosa sui social media, il che non è stato un caso. Starbucks ha creato volontariamente il prodotto in edizione limitata con un’ottica social, assicurandosi così che i clienti più fedeli avrebbero pubblicato almeno una foto.
Ancora oggi, l’hashtag #unicornfrappucino è legato a più di 154.000 immagini solo su Instagram. La maggior parte delle immagini più recenti sono ricreazioni dell’originale di Starbucks, il che dimostra quanto i prodotti in edizione limitata possano avere un impatto duraturo.
Da allora, Starbucks ha continuato a sperimentare con voci di menu segrete, costruendo efficacemente il buzz sul sociale e indirizzando i clienti verso i suoi negozi.
Sono passati già alcuni anni da quando illy e National Geographic Channel hanno presentato il progetto Artisti del Gusto. Si trattava di una TV serie dal format innovativo in cui il brand di caffè diventava protagonista della narrazione del canale attraverso le storie vere di chi vive ogni giorno in Italia il mondo del caffè.
Una strategia di branded content adottata con un certo anticipo nel nostro Paese che si è rivelata vincente soprattutto nel breve periodo, con i migliori bar d’Italia che hanno tratto beneficio da questo tipo di comunicazione più lenta e meditata.
“Un vero e proprio docu-reality” che per la prima volta spostava i contenuti dai “fatti” alle “storie” vere.
3. Il suono di un espresso
Il brand di macchine espresso Sanremo, ha lanciato nel Regno Unito qualche tempo fa una campagna a suon di musica, per dimostrare come dietro una semplice tazzina di caffè possa esserci un vero e proprio concerto di suoni, rumori, battiti.
Il video è stato presentato in anteprima al London Coffee Festival e all’UK Barista Championship ed è una vera e propria ricarica di energia, tutto da guardare.
4. Il gusto del Natale da Starbucks
Starbucks ha creato qualche ano fa un vero e proprio sito, Let’s Merry, dedicato alle feste nella catena di caffè, per fornire ai clienti idee regalo, informazioni sulle sue ultime offerte, e-card a marchio. Collegata al sito c’era una intera campagna con uno spot davvero carino e vivace, che metteva in evidenza uno dei simboli del brand: le tazze, stavolta in edizione natalizia.
Un video centrato e pieno di spirito natalizio nella sua semplicità.
5. La campagna di Blenz Coffee per i single in cerca d’amore
Per San Valentino il brand di caffè canadese Blenz ha ridefinito nel 2011 l'”esperienza unica in un caffè”, trasformando la bevanda in una calamita per gli appuntamenti.
La Blenz Red Band Campaign è stata un’inventiva tattica di marketing strategicamente mirata ai single in cerca di un appuntamento.
Acquistando un caffè con la fascia rossa, i clienti potevano infatti segnalare agli altri avventori che erano single e pronti a socializzare. Una volta stabilita una potenziale connessione, potevano anche scambiarsi i numeri di telefono utilizzando gli spazi previsti sulla manica rossa della tazza della campagna.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/giornata-internazionale-caffè.jpg8051281Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-01 10:30:212020-09-30 22:24:14Giornata internazionale del caffè: le campagne più belle dai brand del settore
Presente in oltre 150 Paesi con la traduzione in 75 lingue, oggi TikTok è un canale indispensabile per alcuni Business;
Il social ha presentato ieri l’offerta della sua nuova piattaforma dedicata alle aziende;
Un report di Kantar, pubblicato ieri, ha analizzato 60 Branded Hashtag Challenge, per capire dove risiede il valore di TikTok per i brand.
“Definire TikTok un semplice social media è riduttivo ma soprattutto inessato, è infatti una piattaforma per la condivisione di contenuti che rende facile trovare video eterogenei inerenti le passioni dei creator”.
Inizia così la presentazione ufficale di TikTok for Business, alla quale abbiamo partecipato.
Si spazia dalla musica alla comicità, sport, beauty, travel, fino ad arrivare alle arti figurative e performative. Fondata nel 2017, anno nel quale acquisisce Musical.ly, l’applicazione viene lanciata in tutto il mondo nel 2018 come TikTok.
Oggi è presente in oltre 150 Paesi con la traduzione in 75 lingue, ed è diventata una delle più importanti piattaforme per la condivisione di contenuti e la creazione di brevi video fino a un massimo di 60 secondi, direttamente dal proprio smartphone.
La popolarità dei contenuti informativi e didattici è in continuo aumento, tendenza provata dall’entusiasmo della community per il trend #ImparaconTikTok: la piattaforma ha infatti dimostrato di essere un luogo dove apprendere nuove conoscenze, abilità e interessi, in modo divertente.
La mission di TikTok è ispirare la creatività e portare allegria. Viene stimolata l’espressione creativa, incoraggiando gli utenti a mettere in comune le passioni, i momenti di vita reale e i consigli, offrendo un feed video personalizzato su ciò che gli utenti guardano, apprezzano e condividono. Al centro c’è il contenuto.
Un luogo sicuro e positivo di cui tutti fanno parte, indipendentemente dalla propria nazionalità, etnia, genere o livello socio-economico. Essendo una piattaforma inclusiva, incoraggia le persone ad essere vere e ad andare oltre le etichette.
L’interazione e lo scambio con gli altri utenti, in particolare attraverso le sfide interattive (cosiddettechallenge) e gli argomenti di tendenza (hashtag), permettono a ciascuno di sentirsi parte del gruppo, di esprimere le proprie caratteristiche distintive e valorizzare le proprie differenze in argomenti comuni. Inoltre, di stabilire connessioni positive con persone collegate da ogni parte del mondo.
TikTok For Business, quando il marketing incontra i brand
TikTok For Businessè il marchio che identifica tutte le soluzioni di marketing attuali e future per i brand, pensate per offrire gli strumenti di storytelling creativo, in grado di ingaggiare l’utente con il proprio claim.
Nato dal desiderio di coniugare la creatività e la positività della piattaforma con soluzioni ideate per le aziende e per la loro crescita insieme alla community, TikTok For Business vuol essere un differente modo di produrre annunci pubblicitari: un’opportunità interamente nuova di creare contenuti che parlano alle persone, invitandole a unirsi alla conversazione e “a fare un TikTok” che rispecchia la mission, lo spirito e i valori della piattaforma.
“TikTok For Business offre una soluzione innovativa ai professionisti del marketing, proponendo una modalità originale per connettersi in maniera autentica con il proprio pubblico ed essere parte della cultura contemporanea. Un tema di cui si è ampliamente discusso nel settore e TikTok lo rende finalmente possibile”, commenta Adriano Accardo, Managing Director, TikTok Global Business Solutions, Southern Europe.
“I brand di successo su TikTok non fanno pubblicità ma connettono, inspirano, co-creano e soprattutto intrattengono le persone. Le aziende dunque, devono ripensare al concetto di creatività, coniugandolo con l’essere autentici e reali. Il nostro consiglio? Non fare annunci. Fai TikTok!”
6 soluzioni di storytelling per aiutare i brand a immergersi in TikTok
TopView – Dalla durata di 24 ore, è l’opzione video full screen per catturare l’attenzione degli utenti al momento dell’accesso sulla piattaforma.
TopView Lite – Con le medesime caratteristiche del TopView, è l’unico format sound-off da 3-5 secondi.
In-Feed ADS – Pensato per raggiungere gli utenti nel loro feed personalizzato “Per Te”, il format video si inserisce in modo naturale tra i contenuti user generated.
Branded Hashtag Challenge – La soluzione più celebre, dalla durata di sei giorni e multi-market, per coinvolgere la community creando un movimento virale.
Branded Hashtag Challenge PLUS – La visibilità di una Hashtag Challenge sponsorizzata con l’aggiunta dell’esperienza d’acquisto in-app per promuovere le vendite.
Branded Effect – Effetti 2D, 3D e AR su misura e brandizzati per generare brand awareness e engagement a livello internazionale.
Connessione tra la generazione Z, i nuovi trend e la piattaforma
Per i brand, ormai diventati una componente essenziale dell’esperienza su TikTok, sia con il lancio di nuovi trend sia connettendo gli utenti e sensibilizzando su iniziative di servizio pubblico di grande rilevanza, il coinvolgimento dei creators è un elemento cruciale per veicolare correttamente e in modo autentico il loro messaggio.
Per tale ragione, oltre ai formati adv disponibili, a partire da fine aprile 2020, in versione Beta, è disponibile, su invito, il TikTok Creator Marketplace: una piattaforma che permette a brand, agenzie e professionisti del marketing di incontrare e mettersi in contatto con i creator più adatti di TikTok per la loro campagna attraverso uno studio approfondito dei dati e un percorso semplice per entrare in collaborazione con loro.
Inoltre è stato annunciato il Marketing Partner Program per offrire un puntuale quadro ai brand di come procede la campagna pubblicitaria, dentro e fuori TikTok, offrendo i migliori strumenti per la misurazione dei risultati finali.
La funzionalità vanta il supporto di 19 partner certificati in varie aree di competenza – tra cui: gestione, sviluppo creativo, effetti e misurazione – e ha il compito di espandere ulteriormente le potenzialità pubblicitarie della piattaforma, massimizzando le opportunità dei brand che decidono di utilizzarla.
Gli esempi brillanti che promuovono l’autenticità, la creatività e l’espressività sono numerosi e riguardano svariati settori: dal fashion all’automotive, dal beauty all’intrattenimento, comprendendo anche le vendite al dettaglio e le telecomunicazioni.
Tra i tanti solo in Europa: Furla, Goleador, Vodafone, Amazon Prime Video, Yves Rocher. Basandosi sull’intrattenimento e grazie agli strumenti e alle opportunità messe a disposizione, TikTok ampia l’offerta in termini di crescita e creatività, determinando nuove e costanti occasioni di conoscenza unite a uno storytelling ricco e immersivo.
Una nuova analisi di Kantar definisce il valore dei contenuti per i brand
Il valore per i brand dei contenuti creati dagli utenti (user-generated content, UGC), in particolare per quanto riguarda le Hashtag Challenge, è oggetto del report The Power of TikTok, realizzato basandosi sull’analisi di Kantar.
Il report coniuga interviste qualitative a esperti di marketing di tutto il mondo con un’analisi su 60 Branded Hashtag Challenge e sui dati demografici tratti dal Kantar TGI Global Quickview 2020, su un campione di 60.000 utenti. La ricerca evidenzia non solo il valore rappresentato dalla piattaforma per le marche ma anche i fattori alla base delle campagne di maggiore successo condotte sull’app.
Le dieci verità sulla piattaforma rivelate dal rapporto che i brand potrebbero non conoscere:
TikTok è differente – È una piattaforma di intrattenimento, non di lifestyle, che offre a chiunque la possibilità di diventare creator e generare contenuto di valore
I creator sono l’essenza di una campagna efficace – Le hashtag challenge di maggior successo vedono al centro brand che collaborano con i creatorper identificare gli elementi creativi di maggior impatto sulla community.
La musica è la chiave – La giusta colonna sonora può trasformare una buona campagna in un’ottima campagna. La #GlowingOut challenge realizzata da River Island nel Regno Unito ha utilizzato una colonna sonora personalizzata, che è stata parte integrante del successo della campagna.
L’audience globale di TikTok è più ampia di quanto si possa immaginare – Secondo il rapporto, il 32% degli utenti globali ha tra i 25 e i 34 anni; mentre il 35% ha più di 35 anni.
Proprio per questo, TikTok è per tutti i brand, di tutte le categorie – Dalla AIBPersonal Banking a BMW Motorsport, tutti i brand possono avere successo su TikTok.
Le campagne TikTok possono accorciare il marketing funnel – Gli utenti che partecipano attivamente alle Hashtag Challenge acquistano con più facilità i brand con cui interagiscono. La misurazione Kantar delle campagne TikTok mostra come le Branded Hashtag Challenge portino a un aumento della brand awareness del 5,1% rispetto al 2,8% registrato in media da Kantar.
Permette agli utenti di esprimersi in libertà – Con la certezza che TikTok lavorerà a stretto contatto con i brand per far sì che i valori siano rispecchiati appieno, collaborare con i creator significa progettare challenge in linea con le richieste sin dal principio.
La semplicità è la miglior scelta – Così da dare a tutti l’opportunità di partecipare alla campagna.
È dimostrato che le hashtag challenge impattino anche i comportamenti offline – Oltre alle challenge, i marchi stanno trovando nuove modalità per coinvolgere i consumatori, migliorando il percorso che conduce i potenziali clienti dalla consapevolezza alla considerazione, fino all’acquisto.
Usare TikTok come parte dell’intero ecosistema di marketing – Come parte di una campagna multimediale completa, TikTok può raggiungere con maggior efficacia il pubblico garantendo un taglio intergenerazionale ai brand.
Dunque un nuovo modo di valorizzare la generazione Z a favore del branding è iniziato, ma quanto, il fattore geopolitico, farà da cassa di risonanza a questa nuova era?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/tiktok-usa.jpg7881195Daniele D'Amicohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniele D'Amico2020-09-30 10:22:442020-09-30 22:16:42TikTok presenta For Business, uno spazio in cui la creatività incontra la community
La Generazione Z preferisce vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, toccando con mano e provando in prima persona i prodotti che vuole comprare.
Secondo alcune ricerche la Gen Z risulta essere una generazione incline a spendere il proprio denaro in modo pragmatico, a differenza dei Millennial.
I giovani consumatori sono più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.
Abbiamo ampiamente discusso, nei mesi precedenti, delle differenze di comportamento che intercorrono tra la Generazione Z (coloro nati indicativamente tra la fine del 1990 e il 2010) e i Millennial (coloro nati tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90).
Da lontano queste due generazioni possono assomigliarsi, essendo molto vicine a livello culturale e temporale. È facile presumere che queste due categorie possano pensarla allo stesso modo quasi su tutto, avendo ricevuto la stessa educazione, e che siano poche le cose che non hanno effettivamente in comune.
Ma le differenze in alcuni casi possono arrivare ad essere relativamente abissali, soprattutto perché la Gen Z è nata in un mondo dove ormai Internet e Social Media non erano più una novità da scoprire ma una realtà quotidiana.
Lo stravolgimento delle abitudini d’acquisto e di consumo dei media dettato dalla pandemia di Covid-19, oppure l’arrivo di piattaforme dedicate ai più giovani come ad esempio TikTok, sono solo due dei fattori che hanno accentuato ulteriormente le differenze tra queste due generazioni.
In questo articolo ispirato allo studio pubblicato da GlobalWebIndex analizziamo le differenze che intercorrono tra Generazione Z e Millennials per quanto riguarda le abitudini di acquisto in-store e online, cercando di capire come i brand possono adattare le loro strategie post-Covid19 in base a questi dati.
Lo shopping in-store non è morto
Come abbiamo commentato all’inizio, la Generazione Z è nata in un mondo dove il digitale non è una novità ma una realtà consolidata. Per questo siamo portati a pensare che la Gen Z acquisti prodotti quasi solo on-line, ma i dati lo smentiscono.
Come dimostrano i dati raccolti, sembra proprio che la Generazione Z, come tutte le altre generazioni precedenti, preferisca vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, per avere la possibilità di toccare con mano e provare in prima persona i prodotti che vuole comprare.
E sembra che, paradossalmente, la pandemia di Covid-19 abbiamo consolidato la vendita al dettaglio, oltre ad aumentare ovviamente il numero di acquisti online.
Ne sono la prova diverse iniziative come l’apertura a Guangzhou e Parigi di nuovi concept-store monomarca di Nike, che sono l’esempio di come un negozio possa diventare un ibrido tra acquisti offline e online.
Una nuova generazione di “risparmiatori”
Nonostante il negozio fisico resista, c’è un aspetto dello shopping in-store che sta lentamente scomparendo: il pagamento in contanti.
Ma questa tendenza, al contrario di quanto si possa pensare, è più diffusa tra i Baby Boomer che tra la Generazione Z. Sembra infatti che con l’aumentare dell’età la preferenza a pagare in contanti diminuisca.
In generale comunque la Generazione Z è maggiormente abituata allo shopping online e ai servizi di pagamento mobile, e questo distorce la loro interpretazione del “contante”.
La Gen Z non vede al denaro come una determinata quantità di banconote o monete, ma come un fondo a cui può accedere direttamente e immediatamente (attraverso le carte di credito o servizi come PayPal).
Ma nonostante questo, diversi studi dimostrano che – a differenza dei Millennial – sono più propensi ad aspettare che un prodotto sia in saldo per acquistarlo piuttosto pagarlo a prezzo pieno, in modo da poter risparmiare qualcosa.
Secondo una ricerca condotta da HSBC infatti la Gen Z risulta essere una generazione di risparmiatori, o meglio sono inclini a spendere il proprio denaro in modo pragmatico.
In questo studio, HSBC ha chiesto a 2.125 adulti cosa avrebbero fatto con 1.000 sterline in contanti. Circa il 72% dei giovani di età compresa tra i 18 ei 24 anni ha dichiarato che trasferirebbe tutto o parte del denaro in un conto di risparmio, rispetto al 55% dei Millennial (di età compresa tra 25 e 34 anni).
Una particolare attenzione agli acquisti eco-sostenibili
Una delle motivazioni per cui i giovani della Generazione Z prestano maggiore attenzione ai loro acquisti potrebbe basarsi nell’attenzione che ripongono nei confronti di temi di sostenibilità ambientale.
Risulta infatti che, rispetto ai Millennial, siano più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.
È giusto pensare che anche gli effetti secondari della pandemia di Covid-19, insieme ai movimenti come Black Live Matters oppure una maggiore coscienza a favore della comunità LGTBI+, siano tutti fattori che influenzano i comportamenti di acquisto di una generazione che è particolarmente attiva socialmente.
Cosa significano queste differenze per le imprese?
Abbiamo visto come la Generazione Z è più interessata a sostenere le attività commerciali locali e a fare acquisti di persona. Questo potrebbe essere un grande vantaggio per quelle piccole attività che stanno riaprendo con fatica dopo il periodo di lockdown.
In generale comunque il marketing generazionale può essere particolarmente produttivo, a patto che sia guidato da dati sicuri e comprovati e non si basi su supposizioni o stereotipi.
Lo studio di GlobalWebIndex ne è la prova: al contrario di quanto tutti possano pensare, la Generazione Z non è destinata a seguire lo stesso percorso dei Millennial, soprattutto per quanto riguarda le abitudini di acquisto.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/rsz_31cm_blogwas_4_1.png280500Daniela Chiorbolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniela Chiorboli2020-09-29 11:11:362020-10-02 11:12:17Quali sono le differenze tra Generazione Z e Millennial nelle decisioni di acquisto in store e online?
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