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  • The Social Dilemma: cosa possiamo imparare dall’ultimo successo di Netflix

    Proviamo ad andare a fondo del documentario che vuole raccontarci tutto, ma proprio tutto dei trucchi dei social media

    6 Ottobre 2020

    • “The Social Dilemma” è il documentario più chiacchierato del momento. Ma di cosa parla?
    • La parola a chi ha reso possibile la nascita e la diffusione dei social media, ma si è pentito di averlo fatto.
     

    Avete mai letto “Frankenstein” di Mary Shelley?

    La storia la conosciamo tutti. Il romanzo è uno dei capolavori della letteratura gotica e considerato come uno dei testi pionieri del genere fantascientifico. Era il 1816, un anno in cui si verificarono anormalità climatiche e fu ricordato come l’anno senza estate. In una villetta nelle campagne svizzere, si riunì un gruppo d’intellettuali inglesi, tra cui la Shelley, che aveva appena 19 anni, suo marito Percy Shelley, uno dei poeti più importanti del periodo romantico, Claire Clairmon, la sorellastra della scrittrice, Lord Byron e John William Polidori. In un pomeriggio freddo e piovoso, costretti in casa a causa del mal tempo, si sfidarono in una gara letteraria per scrivere una storia sul soprannaturale. Qui nacque il nostro capolavoro, “Frankenstein”, colui che sfidò le leggi divine per oltrepassare i confini di ciò che è lecito per compiere qualcosa di grande: donare la vita a chi non ne ha più. In questa gara d’inchiostro, inoltre, Polidori scrisse “Il vampiro”, un’opera che, in futuro, avrebbe ispirato Bram Stoker con il suo “Dracula”.

    Siamo noi il prodotto? 

    Quanti di noi, leggendo quest’incredibile storia, hanno provato pena per il “mostro” nato dal genio, o follia, punti di vista, del dottor Victor Frankenstein? Una creatura spaventosa, dagli occhi umidi e dal colore giallastro ma bramosi di sapere, di domande che non hanno avuto risposte da colui che lo ha messo al mondo. Un essere spaventato, bombardato da stimoli che non aveva mai provato, che non sapeva nemmeno che esistessero, che non aveva chiesto. Una condizione d’infelicità perenne che si trasforma in paura, e chi non proverebbe pietà per una simile situazione?

    In “The Social Dilemma” si parla di questo. Siamo il prodotto di moderni Frankenstein bombardati da impulsi, scosse e desideri di cui ignoravamo l’esistenza, ma che adesso non riusciamo a farne a meno.

    Sono settimane che “The Social Dilemma” impazza sui nostri profili social. Chi consiglia di vederlo, chi lo ama, chi lo odia, chi lo trova orrendo e chi una genialata, insomma come sempre l’opinione della rete si divide, ma se non lo avete ancora visto, ritagliatevi un’ora e mezza per capire davvero di cosa tratta.

    Un successo tale, da diventare un pericolo? Chissà, fatto sta che Facebook (per ora l’unico tra i big del web) si è sentita in dovere di rispondere alla accuse con un comunicato ufficiale, che potete leggere qui. Per il resto, giudicate da soli, senza farvi influenzare dal chiacchiericcio generale. Noi intanto proviamo ad analizzare più a fondo “The Social Dilemma”. LEGGI ANCHE: C’è ancora spazio per i brand sui social media? Il vero dilemma è questo

    Cos’è The social Dilemma?

    Comincia con una frase dell’artista Pablo Picasso, così giusto per rompere il ghiaccio, una premessa che suona un po’ come minaccia, o avvertimento:

     «Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione».

    La prima reazione che abbiamo è quella di sentirci un po’ a disagio e chiederci cosa accadrà in questa ora e mezza, ma poi tutto diventa chiaro. L’intento è uno, dare una spiegazione a un dilemma che ci stiamo ponendo da un po’ di tempo su come la tecnologia, la sua evoluzione e le potenzialità dell’intelligenza artificiale impatteranno sulle nostre vite.

    Ci hanno sempre raccontato dei miracoli del progresso e del potere della connessione. Sono anni che le grandi aziende hi-tech ci narrano la favola d’Internet, di quanto stia a cuore a Facebook e agli altri social media creare relazioni tra le persone e poi, all’improvviso, crolla tutto. Alla fatidica domanda se tutto questo ha una falla, se questo flusso di bit e byte è andato troppo oltre, gli occhi dei geni della Silicon Valley si incupiscono, velandosi di rimorso, e noi siamo lì, basiti, distratti dallo smartphone che vibra per l’ennesima notifica, fissiamo lo schermo del PC ed emettiamo un impercettibile e laconico “Ah”. The Social Dilemma

     The Social Dilemma: la parola agli esperti, quelli veri

    “The Social Dilemma” è un documentario di Jeff Orlowski, un regista statunitense di 36 anni, già noto per aver diretto Chasing Coral “, un documentario sulla progressiva sparizione delle barriere coralline, e “Chasing Ice”, altro documentario del 2012 che mostra i disastrosi effetti del riscaldamento globale sui ghiacciai del Polo Nord. Trovate tutti i suoi lavori su Netflix, compreso l’ultimo, “The Scocial Dilemma”.

    LEGGI ANCHE: L’affascinante storia di Netflix che dovresti conoscere Qual è lo scopo del regista? Vuole far luce, vuole darci risposte, sbatterci in faccia la verità su cosa c’è dietro la macchina, all’apparenza perfetta, dei social media.

    E voi direte, ma lo sappiamo come funziona, non è nulla di nuovo, siamo consapevoli della massiccia presenza della tecnologia nelle nostre vite. Va bene, ma se a raccontarvi di come funzionano gli algoritmi, la magia della persuasione, i risvolti negativi psicologici sulle persone e la monetizzazione che c’è dietro ai like e ai cuoricini svolazzanti, siano proprio coloro che sono stati i dirigenti di Facebook, Google, Pinterest, Instagram e Twitter

    Connessi in rete ma disconnessi nella realtà

    Come un racconto, dove fabula e intreccio si fondono in un ibrido tra documentario e dramma, la storia comincia accompagnati dalla voce di Tristan Harris, informatico che ha lavorato come esperto di design in Google, ora presidente e co-fondatore del Center for Humane Technology.

    Tristan si occupa di etica applicata alla tecnologia e ci confida apertamente i pericoli della dipendenza che i social e i sistemi di navigazione come Google possono creare in noi, riportandoci la sua esperienza. La sua voce, insieme a quella di tanti altri protagonisti che hanno fatto parte di quel sistema, ci sconcerta, ma allo stesso tempo ci mette l’ennesima pulce nell’orecchio. Vogliamo capire il motivo di tutto questo. Il mondo sta davvero impazzendo? The Social Dilemma

    Il testimone passa a Tim Kendall, ex presidente di Pinterest, che ha lavorato come responsabile della monetizzazione in Facebook per alcuni anni e ci spiega il modello pubblicitario dei social media. Ci svela come fanno i social a monetizzare e la dipendenza che creano, da cui è sempre più difficile uscire.

    I social targettizzano i nostri interessi, ci vendono, e siamo noi a dar loro il consenso, con i nostri like e le nostre preferenze.

    “Se non stai pagando per il prodotto, il prodotto sei tu”

    Ci stanno dicendo, senza giri di parole, che siamo un bersaglio vivente da bombardare con immagini e parole, siamo da stimolare in continuazione per tener viva la nostra attenzione e concentrala tutta sullo smartphone.

    Smetto quando voglio, forse

    In “The Social Dilemma” è illuminante l’intervento di alcuni specialisti tra cui la dottoressa Anna Lembke, psichiatra specializzata in dipendenze. È lei a spiegarci cosa avviene chimicamente nel nostro cervello, ed è tutto riconducibile al rilascio di dopamina.

    Ogni volta che pubblichiamo qualcosa sui nostri profili social, viviamo nella trepidante attesa di ricevere approvazione, una reazione, un like dai nostri amici. Quando cominciano a fioccare cuoricini, il nostro cervello produce una scarica di dopamina, che ci fa provare una piccolissima sensazione di piacere e ci porta a ricontrollare ciò che abbiamo pubblicato e a scrollare la bacheca, nella speranza di riprovare quel brivido.

    I social sfruttano la vulnerabilità della psiche umana attraverso la manipolazione. Restando connessi, veniamo stimolati continuamente, un po’ come funziona con le slot machine. Tiriamo la leva e veniamo risucchiati in un vortice infinito.

    Solo due settori chiamano i loro clienti utilizzatori: le droghe illegali e i software.

    The Social Dilemma e l’appello ai più giovani

    Inutile dire che i più colpiti da questo sistema d’incessante ricerca dell’approvazione sono proprio i più giovani. Stiamo parlando della Generation Z, ossia tutti quei ragazzi nati tra la metà o la fine degli anni ’90, fino al 2010.

    Sono i più ansiosi, quelli che corrono meno rischi di tutti, che socializzano meno e preferiscono vivere in una sorta di bolla che li protegge da tutto ciò che li circonda. Una generazione senza confini fisici e mentali, ma che tende a crearsi continuamente dei limiti.

    A partire dal 2011, anno in cui abbiamo raggiunto l’apice per la diffusione dei social media, c’è stato un aumento della depressione, di fenomeni di autolesionismo e dei suicidi, soprattutto tra gli adolescenti. Un clima d’insicurezza, di non accettazione, dovuto a canoni di bellezza irreali, ottenuti soltanto attraverso dei filtri finti creati su queste piattaforme.

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    La diffusione delle fake news

    Negli ultimi mesi, soprattutto a causa del COVID-19, abbiamo toccato con mano sempre di più quanto le fake news siano pericolose e fuorvianti. Le teorie che gridano al complotto, alla ribellione contro il sistema, tutto ciò che è cospirazionista si diffonde sui social sei volte più velocemente rispetto alle notizie reali. Il motivo? La verità è noiosa.

    Nel mondo dei social media, dove tutti siamo diventati la caricatura di noi stessi, non c’è spazio per la realtà, ma si preferisce l’apparenza. Credere a teorie cospirazioniste per mostrarsi più furbi, perché se pochi ci credono significa che nessuno ha davvero capito come va il mondo. Si cerca continuamente di emergere, si ha costantemente bisogno di sentirsi speciali, ma nel modo sbagliato. LEGGI ANCHE: Social media e giornalismo: si può prevenire la polarizzazione? Le risposte di uno studio

    Polarizzazione della politica

    Più andiamo avanti nella visione del documentario e più riusciamo a collegare i fili tra loro e la trama prende sempre più forma. Le informazioni non sono uguali per tutti, ci spiegano. Con il sistema di geolocalizzazione e in base alla conoscenza delle nostre preferenze, Google decide cosa mostrarci. Sono in nostri feedback che scelgono. Gli algoritmi sono predittivi, si basano su previsioni grazie ai nostri dati.

    Crediamo di vedere ciò che vogliamo, ma sono solo gli algoritmi che ci manovrano, e ne è un esempio Youtube con i video “consigliati per te”. Siamo spinti, tramite il rilascio dei nostri dati, a essere guidati, manovrati e manipolati nel vedere e ascoltare determinati contenuti.

    Stiamo perdendo il diritto al confronto, al dialogo, crediamo di essere connessi tra noi ma ci stiamo allontanando sempre di più. Non parliamo con chi la pensa diversamente da noi perché siamo ingabbiati nella nostra bacheca popolata da persone che la vedono esattamente come noi, perché è quello che i social ci mostrano. I nostri stessi interessi, le nostre preferenze che noi abbiamo stabilito. L’oggettività è annullata

    LEGGI ANCHE: Le sfide del giornalismo di oggi tra post-verità e fake news Gli utenti sui social tendono a leggere solo le informazioni che sono allineate al loro sistema di credenze. Ciò comporta la diffusione del populismo che punta alla polarizzazione.

    Cosa possiamo fare?

    La minaccia esistenziale non è però la tecnologia, ma la sua abilità nel tirar fuori il peggio della società. Le piattaforme sono le uniche responsabili? No, le abbiamo create noi e possiamo fare meglio di così.

    Gli esseri umani possono cambiare i sistemi della tecnologia. La nascita di internet segnò un punto di svolta, era un luogo nato per sperimentare, era un posto creativo, non è stato realizzato per permettere alla società di scivolare nel caos.

    La paura più grande di tutti gli intervistati è la stessa: la destabilizzazione e la corrosione del sistema sociale.

    Può l’intelligenza artificiale risolvere questi problemi? No, dobbiamo farlo noi, e dobbiamo farlo ora.

    The Social Dilemma

    Ma…

    “The Social Dilemma” non sta puntando il dito contro la tecnologia, ma sul suo utilizzo errato. Ci sono stati mostrati in 90 minuti, con dati alla mano, le problematiche dei social media, ciò che causano e la mancanza di regolamentazione dei modelli imprenditoriali.

    Non ci sono leggi al passo coi tempi che garantiscano la tutela della privacy digitale. Ci sono in ballo interessi monetari che minano la libertà delle persone. Siamo noi contro uno schermo, siamo noi che cediamo noi stessi per cosa?

    Jaron Lanier, considerato un pioniere dell’ambito della realtà virtuale, ha scritto diversi libri, tra cui “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social”. In “The Social Dilemma”,  alla fine del documentario, ci ricorda una cosa importante:

    sono le persone critiche i veri ottimisti

    Esponiamoci, e non perché lo dice qualche influencer, o l’invasato di turno in qualche video contro l’uso delle mascherine. Informiamoci da fonti attendibili, leggiamo libri, guardiamo film, documentari. Cerchiamo di avere la nostra opinione, ma soprattutto ascoltiamo anche quella altrui.

    Cosa possiamo imparare (o meglio non dimenticare) da The Social Dilemma?

    Ogni prodotto artistico ha la sua forma, il suo tono, la sua voce. Può piacere o essere disprezzato, dipende da noi. Forse amerete “The Social Dilemma”, o lo odierete. Molti non avranno apprezzato le interviste intervallate dal “dramma” familiare creato appositamente per mostrare cosa avviene in una famiglia media a contatto coi social. Altri troveranno ipocrita la scelta di Netflix di mandar in onda un documentario che denuncia gli algoritmi predittivi quando è essa stessa a utilizzarli. Ci sono difetti e pregi, come in ogni cosa. Ma “The Social Dilemma” ci mostra una cosa reale, sviscerata da chi ha creato, sviluppato e alla fine, rinnegato quei sistemi. Quello che possiamo imparare, la cosa più importante da far nostra è che siamo persone, non dati, non algoritmi e che siamo noi a decidere chi essere, cosa guardare, fare e ascoltare.