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The Social Dilemma: cosa possiamo imparare dall’ultimo successo di Netflix

  • “The Social Dilemma” è il documentario più chiacchierato del momento. Ma di cosa parla?
  • La parola a chi ha reso possibile la nascita e la diffusione dei social media, ma si è pentito di averlo fatto.

 

Avete mai letto “Frankenstein” di Mary Shelley?

La storia la conosciamo tutti. Il romanzo è uno dei capolavori della letteratura gotica e considerato come uno dei testi pionieri del genere fantascientifico. Era il 1816, un anno in cui si verificarono anormalità climatiche e fu ricordato come l’anno senza estate. In una villetta nelle campagne svizzere, si riunì un gruppo d’intellettuali inglesi, tra cui la Shelley, che aveva appena 19 anni, suo marito Percy Shelley, uno dei poeti più importanti del periodo romantico, Claire Clairmon, la sorellastra della scrittrice, Lord Byron e John William Polidori.

In un pomeriggio freddo e piovoso, costretti in casa a causa del mal tempo, si sfidarono in una gara letteraria per scrivere una storia sul soprannaturale. Qui nacque il nostro capolavoro, “Frankenstein”, colui che sfidò le leggi divine per oltrepassare i confini di ciò che è lecito per compiere qualcosa di grande: donare la vita a chi non ne ha più.

In questa gara d’inchiostro, inoltre, Polidori scrisse “Il vampiro”, un’opera che, in futuro, avrebbe ispirato Bram Stoker con il suo “Dracula”.

Siamo noi il prodotto? 

Quanti di noi, leggendo quest’incredibile storia, hanno provato pena per il “mostro” nato dal genio, o follia, punti di vista, del dottor Victor Frankenstein? Una creatura spaventosa, dagli occhi umidi e dal colore giallastro ma bramosi di sapere, di domande che non hanno avuto risposte da colui che lo ha messo al mondo. Un essere spaventato, bombardato da stimoli che non aveva mai provato, che non sapeva nemmeno che esistessero, che non aveva chiesto. Una condizione d’infelicità perenne che si trasforma in paura, e chi non proverebbe pietà per una simile situazione?

In “The Social Dilemma” si parla di questo. Siamo il prodotto di moderni Frankenstein bombardati da impulsi, scosse e desideri di cui ignoravamo l’esistenza, ma che adesso non riusciamo a farne a meno.

Sono settimane che “The Social Dilemma” impazza sui nostri profili social. Chi consiglia di vederlo, chi lo ama, chi lo odia, chi lo trova orrendo e chi una genialata, insomma come sempre l’opinione della rete si divide, ma se non lo avete ancora visto, ritagliatevi un’ora e mezza per capire davvero di cosa tratta.

Un successo tale, da diventare un pericolo? Chissà, fatto sta che Facebook (per ora l’unico tra i big del web) si è sentita in dovere di rispondere alla accuse con un comunicato ufficiale, che potete leggere qui.

Per il resto, giudicate da soli, senza farvi influenzare dal chiacchiericcio generale. Noi intanto proviamo ad analizzare più a fondo “The Social Dilemma”.

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Cos’è The social Dilemma?

Comincia con una frase dell’artista Pablo Picasso, così giusto per rompere il ghiaccio, una premessa che suona un po’ come minaccia, o avvertimento:

 «Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione».

La prima reazione che abbiamo è quella di sentirci un po’ a disagio e chiederci cosa accadrà in questa ora e mezza, ma poi tutto diventa chiaro. L’intento è uno, dare una spiegazione a un dilemma che ci stiamo ponendo da un po’ di tempo su come la tecnologia, la sua evoluzione e le potenzialità dell’intelligenza artificiale impatteranno sulle nostre vite.

Ci hanno sempre raccontato dei miracoli del progresso e del potere della connessione. Sono anni che le grandi aziende hi-tech ci narrano la favola d’Internet, di quanto stia a cuore a Facebook e agli altri social media creare relazioni tra le persone e poi, all’improvviso, crolla tutto.

Alla fatidica domanda se tutto questo ha una falla, se questo flusso di bit e byte è andato troppo oltre, gli occhi dei geni della Silicon Valley si incupiscono, velandosi di rimorso, e noi siamo lì, basiti, distratti dallo smartphone che vibra per l’ennesima notifica, fissiamo lo schermo del PC ed emettiamo un impercettibile e laconico “Ah”.

The Social Dilemma

 The Social Dilemma: la parola agli esperti, quelli veri

“The Social Dilemma” è un documentario di Jeff Orlowski, un regista statunitense di 36 anni, già noto per aver diretto Chasing Coral “, un documentario sulla progressiva sparizione delle barriere coralline, e “Chasing Ice”, altro documentario del 2012 che mostra i disastrosi effetti del riscaldamento globale sui ghiacciai del Polo Nord. Trovate tutti i suoi lavori su Netflix, compreso l’ultimo, “The Scocial Dilemma”.

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Qual è lo scopo del regista? Vuole far luce, vuole darci risposte, sbatterci in faccia la verità su cosa c’è dietro la macchina, all’apparenza perfetta, dei social media.

E voi direte, ma lo sappiamo come funziona, non è nulla di nuovo, siamo consapevoli della massiccia presenza della tecnologia nelle nostre vite. Va bene, ma se a raccontarvi di come funzionano gli algoritmi, la magia della persuasione, i risvolti negativi psicologici sulle persone e la monetizzazione che c’è dietro ai like e ai cuoricini svolazzanti, siano proprio coloro che sono stati i dirigenti di Facebook, Google, Pinterest, Instagram e Twitter

Connessi in rete ma disconnessi nella realtà

Come un racconto, dove fabula e intreccio si fondono in un ibrido tra documentario e dramma, la storia comincia accompagnati dalla voce di Tristan Harris, informatico che ha lavorato come esperto di design in Google, ora presidente e co-fondatore del Center for Humane Technology.

Tristan si occupa di etica applicata alla tecnologia e ci confida apertamente i pericoli della dipendenza che i social e i sistemi di navigazione come Google possono creare in noi, riportandoci la sua esperienza. La sua voce, insieme a quella di tanti altri protagonisti che hanno fatto parte di quel sistema, ci sconcerta, ma allo stesso tempo ci mette l’ennesima pulce nell’orecchio.

Vogliamo capire il motivo di tutto questo. Il mondo sta davvero impazzendo?

The Social Dilemma

Il testimone passa a Tim Kendall, ex presidente di Pinterest, che ha lavorato come responsabile della monetizzazione in Facebook per alcuni anni e ci spiega il modello pubblicitario dei social media. Ci svela come fanno i social a monetizzare e la dipendenza che creano, da cui è sempre più difficile uscire.

I social targettizzano i nostri interessi, ci vendono, e siamo noi a dar loro il consenso, con i nostri like e le nostre preferenze.

“Se non stai pagando per il prodotto, il prodotto sei tu”

Ci stanno dicendo, senza giri di parole, che siamo un bersaglio vivente da bombardare con immagini e parole, siamo da stimolare in continuazione per tener viva la nostra attenzione e concentrala tutta sullo smartphone.

Smetto quando voglio, forse

In “The Social Dilemma” è illuminante l’intervento di alcuni specialisti tra cui la dottoressa Anna Lembke, psichiatra specializzata in dipendenze. È lei a spiegarci cosa avviene chimicamente nel nostro cervello, ed è tutto riconducibile al rilascio di dopamina.

Ogni volta che pubblichiamo qualcosa sui nostri profili social, viviamo nella trepidante attesa di ricevere approvazione, una reazione, un like dai nostri amici. Quando cominciano a fioccare cuoricini, il nostro cervello produce una scarica di dopamina, che ci fa provare una piccolissima sensazione di piacere e ci porta a ricontrollare ciò che abbiamo pubblicato e a scrollare la bacheca, nella speranza di riprovare quel brivido.

I social sfruttano la vulnerabilità della psiche umana attraverso la manipolazione. Restando connessi, veniamo stimolati continuamente, un po’ come funziona con le slot machine. Tiriamo la leva e veniamo risucchiati in un vortice infinito.

Solo due settori chiamano i loro clienti utilizzatori: le droghe illegali e i software.

The Social Dilemma e l’appello ai più giovani

Inutile dire che i più colpiti da questo sistema d’incessante ricerca dell’approvazione sono proprio i più giovani. Stiamo parlando della Generation Z, ossia tutti quei ragazzi nati tra la metà o la fine degli anni ’90, fino al 2010.

Sono i più ansiosi, quelli che corrono meno rischi di tutti, che socializzano meno e preferiscono vivere in una sorta di bolla che li protegge da tutto ciò che li circonda. Una generazione senza confini fisici e mentali, ma che tende a crearsi continuamente dei limiti.

A partire dal 2011, anno in cui abbiamo raggiunto l’apice per la diffusione dei social media, c’è stato un aumento della depressione, di fenomeni di autolesionismo e dei suicidi, soprattutto tra gli adolescenti. Un clima d’insicurezza, di non accettazione, dovuto a canoni di bellezza irreali, ottenuti soltanto attraverso dei filtri finti creati su queste piattaforme.

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The Social Dilemma

La diffusione delle fake news

Negli ultimi mesi, soprattutto a causa del COVID-19, abbiamo toccato con mano sempre di più quanto le fake news siano pericolose e fuorvianti. Le teorie che gridano al complotto, alla ribellione contro il sistema, tutto ciò che è cospirazionista si diffonde sui social sei volte più velocemente rispetto alle notizie reali. Il motivo? La verità è noiosa.

Nel mondo dei social media, dove tutti siamo diventati la caricatura di noi stessi, non c’è spazio per la realtà, ma si preferisce l’apparenza. Credere a teorie cospirazioniste per mostrarsi più furbi, perché se pochi ci credono significa che nessuno ha davvero capito come va il mondo. Si cerca continuamente di emergere, si ha costantemente bisogno di sentirsi speciali, ma nel modo sbagliato.

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Polarizzazione della politica

Più andiamo avanti nella visione del documentario e più riusciamo a collegare i fili tra loro e la trama prende sempre più forma. Le informazioni non sono uguali per tutti, ci spiegano. Con il sistema di geolocalizzazione e in base alla conoscenza delle nostre preferenze, Google decide cosa mostrarci. Sono in nostri feedback che scelgono. Gli algoritmi sono predittivi, si basano su previsioni grazie ai nostri dati.

Crediamo di vedere ciò che vogliamo, ma sono solo gli algoritmi che ci manovrano, e ne è un esempio Youtube con i video “consigliati per te”. Siamo spinti, tramite il rilascio dei nostri dati, a essere guidati, manovrati e manipolati nel vedere e ascoltare determinati contenuti.

Stiamo perdendo il diritto al confronto, al dialogo, crediamo di essere connessi tra noi ma ci stiamo allontanando sempre di più. Non parliamo con chi la pensa diversamente da noi perché siamo ingabbiati nella nostra bacheca popolata da persone che la vedono esattamente come noi, perché è quello che i social ci mostrano. I nostri stessi interessi, le nostre preferenze che noi abbiamo stabilito. L’oggettività è annullata

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Gli utenti sui social tendono a leggere solo le informazioni che sono allineate al loro sistema di credenze. Ciò comporta la diffusione del populismo che punta alla polarizzazione.

Cosa possiamo fare?

La minaccia esistenziale non è però la tecnologia, ma la sua abilità nel tirar fuori il peggio della società. Le piattaforme sono le uniche responsabili? No, le abbiamo create noi e possiamo fare meglio di così.

Gli esseri umani possono cambiare i sistemi della tecnologia. La nascita di internet segnò un punto di svolta, era un luogo nato per sperimentare, era un posto creativo, non è stato realizzato per permettere alla società di scivolare nel caos.

La paura più grande di tutti gli intervistati è la stessa: la destabilizzazione e la corrosione del sistema sociale.

Può l’intelligenza artificiale risolvere questi problemi? No, dobbiamo farlo noi, e dobbiamo farlo ora.

The Social Dilemma

Ma…

“The Social Dilemma” non sta puntando il dito contro la tecnologia, ma sul suo utilizzo errato. Ci sono stati mostrati in 90 minuti, con dati alla mano, le problematiche dei social media, ciò che causano e la mancanza di regolamentazione dei modelli imprenditoriali.

Non ci sono leggi al passo coi tempi che garantiscano la tutela della privacy digitale. Ci sono in ballo interessi monetari che minano la libertà delle persone. Siamo noi contro uno schermo, siamo noi che cediamo noi stessi per cosa?

Jaron Lanier, considerato un pioniere dell’ambito della realtà virtuale, ha scritto diversi libri, tra cui “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social”. In “The Social Dilemma”,  alla fine del documentario, ci ricorda una cosa importante:

sono le persone critiche i veri ottimisti

Esponiamoci, e non perché lo dice qualche influencer, o l’invasato di turno in qualche video contro l’uso delle mascherine. Informiamoci da fonti attendibili, leggiamo libri, guardiamo film, documentari. Cerchiamo di avere la nostra opinione, ma soprattutto ascoltiamo anche quella altrui.

Cosa possiamo imparare (o meglio non dimenticare) da The Social Dilemma?

Ogni prodotto artistico ha la sua forma, il suo tono, la sua voce. Può piacere o essere disprezzato, dipende da noi. Forse amerete “The Social Dilemma”, o lo odierete. Molti non avranno apprezzato le interviste intervallate dal “dramma” familiare creato appositamente per mostrare cosa avviene in una famiglia media a contatto coi social. Altri troveranno ipocrita la scelta di Netflix di mandar in onda un documentario che denuncia gli algoritmi predittivi quando è essa stessa a utilizzarli.

Ci sono difetti e pregi, come in ogni cosa. Ma “The Social Dilemma” ci mostra una cosa reale, sviscerata da chi ha creato, sviluppato e alla fine, rinnegato quei sistemi. Quello che possiamo imparare, la cosa più importante da far nostra è che siamo persone, non dati, non algoritmi e che siamo noi a decidere chi essere, cosa guardare, fare e ascoltare.

Rebranding intel

Rebranding di settembre: Intel, Ginori e Maserati

  • Questo mese partiamo dal rebranding di Richard Ginori: arte e ospitalità italiana dal 1735.
  • Per la terza volta nella storia, anche Intel cambia il suo logo e presenta i nuovi processori di 11a generazione.
  • Dal logo a un nuovo font proprietario, Scarpa evolve la sua immagine visiva per rilanciare il proprio sviluppo internazionale.

 

Diventiamo sempre un po’ nostalgici quando un marchio che amiamo cambia look. Rappresenta un segno del tempo passa ma anche un modo per attirare la nostra attenzione e farci appassionare a nuovi racconti aziendali.

Un nuovo marchio non prende vita cambiando semplicemente colori, suoni e logo. La strategia di rebranding deve essere un processo che unisce, oltre a dover essere allineata allo scopo aziendale. Per evitare insidie che possono far deragliare l’intero progetto, occorre pianificare in anticipo. Il tempo garantisce che la strategia sia implementata nella maniera più fluida ed efficiente possibile.

Ecco la selezione dei rebranding più importanti dell’ultimo mese, tra nuovi percorsi narrativi e contesti sempre più innovativi e moderni.

Il rebranding totale di Intel

Per la terza volta nella sua storia, Intel rinnova la sua identità con un logo minimalista. Il nuovo design sostituisce il precedente utilizzato dall’azienda dal 2006 in varie forme.

 

La prima caratteristica evidente è l’abbandono dell’ellisse che da sempre accompagna il gigante di Santa Clara. Il brand, che di recente è stato nominato da Forbes tra quelli con maggiore valore al mondo, rompe col passato e compie un salto nel futuro.

Rebranding di Intel

Il logo originale di Intel, introdotto nel 1968 (a sinistra). Il logo più recente dell’azienda, introdotto nel 2006 (a destra)

Il nuovo logo dal design minimal, con font più sobri e il quadrato come tema dominante accompagna l’aggiornamento di tutto l’ecosistema prodotti, dai server Xeon ai chip di memoria Optane.

Rebranding di settembre: Intel, Ginori, Avon, Maserati, Widiba e Scarpa

L’aspetto più minimalista è parte di un’importante revisione del marchio, che secondo Karen Walker, Chief Marketing Officer di Intel, aiuta il gigante della tecnologia a fare meno affidamento alla sua eredità o al suo vortice iconico:

“L’aspetto del brand di Intel è significativo e ispirato alla celebre frase di Robert Noyce: “Non sentirti gravato dal peso della storia. Vai fuori e realizza qualcosa di speciale”. Questa frase è stata a lungo una fonte di ispirazione e invocazione in tutta l’azienda; è nel DNA di Intel. Il mantra che è stato la stella polare di generazioni di lavoratori verso la realizzazione di qualcosa che avesse un impatto significativo nel mondo”.

Il nuovo logo mostra un aspetto fresco e sintetizza molti elementi dei design precedenti, inclusa la “i” con il cappuccio quadrato.

Rebranding intel

rebranding

Oltre al blu, utilizzato da decenni e ancora parte integrante dell’identità, il marchio si sposta verso una tavolozza di colori più ampia, aggiungendo un blu chiaro che verrà utilizzato insieme all’arancione, al nero e al giallo nelle pubblicità e in altre attività di marketing. La tavolozza colori consente inoltre a Intel di localizzare il marketing in base ai colori che risultano efficaci nei diversi mercati. Ad esempio, il rosso è importante in Giappone, quindi il marketing di Intel nel paese includerà più rosso.

L’azienda ha revisionato anche l’iconico “bong” a cinque note, il piacevole sound logo in coda a tutte le sue pubblicità.

 

Tuttavia, la nuova campagna è pensata per essere di natura più olistica, il nuovo look sarà infatti integrato all’intero sistema di Intel, dal packaging alle campagne digitali.

Il rebranding di Intel riflette l’impegno del marchio a rispondere alle sfide più importanti a livello globale:

“Il nostro mondo sta affrontando sfide diverse da tutte quelle che abbiamo incontrato finora. Il bisogno urgente di un’azione per risolvere il cambiamento climatico; il profondo digital divide; la mancanza di categorie sottorappresentate, di inclusione e di uguaglianza nel settore tecnologico; la pandemia e la richiesta di una nuova era di responsabilità sociale condivisa. Per affrontare tutto questo, abbiamo alzato l’asticella per noi stessi e fatto evolvere la nostra strategia di responsabilità d’impresa per aumentare la portata del nostro lavoro con gli altri per creare un mondo più responsabile, inclusivo e sostenibile, attivato grazie alla tecnologia e alle nostre azioni collettive”

Bob Swan, CEO di Intel.

Brand identity rinnovata per Richard Ginori che diventa Ginori 1735

Dal 1735 Richard Ginori rappresenta la massima espressione dell’eccellenza italiana nella creazione artistica di alta qualità in porcellana pura. L’azienda storica di Sesto Fiorentino ha annunciato che a partire da settembre opererà con un nuovo nome: Ginori 1735.

Rebranding Ginori

Parte del Gruppo Kering, la leggenda della porcellana fiorentina opera ininterrottamente da 285 anni producendo stoviglie in porcellana e altri elementi per la casa. Ginori vuole portare l’arte nella vita di tutti i giorni e la vita di tutti i giorni nell’arte per creare nuovi mondi affascinanti.

Rebranding ginori 1735

L’azienda nasce nel 1735 come atelier artigianale che apre la strada all’arte e all’artigianato della porcellana sotto l’egida del marchese Carlo Ginori, appena fuori Firenze.

Rebranding

Nel corso dei secoli, l’atelier ha evoluto il suo processo e la sua produzione unendo tecniche antiche e visione del mondo contemporaneo per produrre articoli per la casa innovativi e sorprendenti sotto la direzione di visionari come Giovanni Gariboldi, Gio Ponti e, più recentemente, Alessandro Michele.

richard ginori

L’iconica corona Ginori che segna il retro delle stoviglie rappresenta la più sofisticata fusione di artigianato e arte. Questa sfacciata combinazione di gusto è sempre stata al centro del marchio. La modifica del nome è supportata da una presentazione visiva e una brand identity rinnovata:

 

La nuova firma incarna l’audace combinazione di eredità e innovazione, presentando Ginori 1735 in lettere eleganti, sinuose e sicure. La corona rimane, come segno distintivo e scintillante che autentica e garantisce ogni pezzo di porcellana. Il restyling supporta l’evoluzione di Ginori come marchio di lifestyle e design globale, specializzato in stoviglie e articoli per la casa, rigorosamente in porcellana artigianale di altissima qualità.

ginori

“Oggi stiamo tornando alle nostre radici, cambiando nome e investendo nella nostra eredità di portare un profondo senso del luogo, un modo aggraziato e uno spirito effervescente a tutti coloro che abbracciano la nostra missione. Richard Ginori è ora, e ancora una volta, Ginori 1735”

ha dichiarato il presidente e CEO Alain Prost.

Ginori 1735 è progettato sia per celebrare il profondo patrimonio dell’azienda sia per significare una rinnovata attenzione ai gusti e allo stile di vita in evoluzione della prossima generazione di consumatori di lusso.

Nuovo posizionamento e brand identity per il 135° compleanno di Avon

Avon rafforza la sua brand image con un importante cambiamento. L’azienda mondiale, leader nel settore beauty nel canale della vendita diretta di cosmetici, dal 2019 parte del Gruppo Natura &Co, lancia la nuova campagna  “Watch Me Now”.

Rebranding di Avon

Avon evolve il suo posizionamento per rispecchiare al meglio il brand di oggi: un marchio di bellezza innovativo, audace e inclusivo.

“Watch Me Now segna l’inizio di un nuovo capitolo per Avon. Avon si occupa di bellezza da 135 anni e siamo solo all’inizio. Continuiamo e continueremo ad innovarci ed evolvere, investendo nella ricerca, nello sviluppo di prodotti e nelle persone, per garantire che la bellezza sia democratica e accessibile a tutti” ha dichiarato Angela Cretu, CEO di Avon.

Rebranding di settembre: Intel, Ginori, Avon, Maserati, Widiba e Scarpa

Lanciata a settembre, in occasione del 135° compleanno di Avon, “Watch Me Know” è un chiaro riferimento all’heritage di Avon come un’azienda orientata e guidata da un obiettivo comune e preciso: utilizzare il potere della bellezza per creare opportunità di business e sostenere importanti cause sociali al femminile tra cui la violenza sulle donne, la violenza di genere e il cancro al seno. La nuova campagna celebra il successo delle persone che nella vita hanno dovuto lottare per emergere.

“Watch Me Now” include una nuova identità visiva e un rinnovamento del logo, oltre ad un “tone of voice” più audace e sicuro di sé, che risulta essere più stimolante per i milioni di consulenti di bellezza e clienti del marchio.

avon Rebranding di settembre: Intel, Ginori, Avon, Maserati, Widiba e Scarpa

Il nuovo logo è già apparso su prodotti e brochure e include alcuni riferimenti alle curve del logo originale Avon degli anni ‘30, con una nuova sfumatura di colore che ricorda i lineamenti del viso di una donna.

 

Piccolo refresh per il tridente Maserati

Il 2020 sembra essere l’anno dei rebranding dell’auto. Da BMW a Nissan passando per Rolls Royce, le case automobilistiche ci hanno incantato con i loro restyling di tendenza. Adesso tocca al marchio di auto di lusso Maserati che a settembre ha rivelato un logo aggiornato, che abbellirà la nuova auto sportiva MC20.

Rebranding Maserati

Il primo aggiornamento riguarda il “tridente” di Maserati, in attività dal 2005. È sparito il fulmine che colpisce la parte inferiore dell’originale, insieme al bordo ovale. Sebbene il rebranding non sia rivoluzionario, anche un piccolo cambiamento è destinato a non passare inosservato dai fan più sfegatati.

In generale il design è più moderno, equilibrato ed elegante. In effetti, eliminando elementi decorativi come il bordo e il fulmine, sembra aderire alla tendenza di semplificare il suo logo esistente, proprio come Rolls Royce.

maserati

Insieme al logo aggiornato, l’MC20 presenta una nuova versione del wordmark Maserati. Anche in questo caso, le modifiche sono impercettibili: il testo è stato leggermente affinato con elementi decorativi ridotti, riducendo l’effetto “scritto a mano” dell’originale e creando un aspetto più aerodinamico e contemporaneo.

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La banca dell’oggi: Widiba rinnova la sua immagine

Banca Widiba presenta la nuova brand identity, il nuovo sito e lancia nuovi servizi open che completano l’offerta per i clienti e per la consulenza finanziaria. A sei anni dalla nascita e a un anno dalla ridefinizione del concetto di banca come ecosistema finanziario, la società del Gruppo MPS, continua a investire nel cambiamento e nell’innovazione.

rebranding widiba

La sua forma e la sua immagine evolvono nel segno della continuità innovativa che la caratterizza da sempre. Da oggi Banca Widiba si presenta al mercato con una brand identity completamente rinnovata in tutti i suoi elementi: un nuovo logo, una nuova immagine coordinata, un nuovo sito e un piano di restyling degli uffici della consulenza finanziaria in tutta Italia.

 

Il concept è frutto della combinazione di due elementi che hanno contribuito alla definizione del design: un profondo studio di posizionamento e una ricerca di mercato sulle abitudini e caratteristiche del moderno consumatore di servizi bancari e finanziari; l’utilizzo delle tecniche più avanzate di grafica ed experience digitale.

Il nuovo posizionamento ha l’obiettivo di rispecchiare in modo coerente la crescita e l’evoluzione di Banca Widiba. Il processo di realizzazione si è svolto, come di consueto, in modalità partecipativa con gli stakeholders, con il coinvolgimento di dipendenti e consulenti.

Rebranding widiba

Il rebranding passa anche dal sito che, rinnovato nella grafica e nella instant-usability, presenta un nuovo look & feel pulito ed essenziale. La piattaforma è stata ridisegnata nel suo concept e nelle sue immagini seguendo i principi dello Z-layout, che asseconda il movimento oculare sugli schermi, permettendo di ridurre lo scroll del 30%, mantenendo il focus sui contenuti più importanti e rendendone più semplice la comprensione.

Scarpa completa il rebranding con Landor

Nuova immagine coordinata per Scarpa: dal logo a un nuovo font proprietario, l’azienda di Asolo evolve la sua immagine visiva per rilanciare il suo sviluppo internazionale. Un’operazione volta a modernizzare tutti gli elementi visivi associati al brand.

rebranding scarpa

Le immagini a supporto della comunicazione alternano uno stile entusiasmante per le fotografie e un disegno dal carattere più tecnico per illustrare le caratteristiche uniche dei prodotti.

La società rimane ancorata alla lunga tradizione di eccellenza, coraggio e innovazione, simboleggiata dal pay-off “No Place Too Far”, che rimane l’unico elemento immutato del precedente sistema di identità.

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Il logotipo è stato ottimizzato e reso più moderno ed espressivo senza perdere i suoi tratti distintivi. Il simbolo si è trasformato da una semplice rappresentazione del prodotto (originariamente due scarponi contrapposti) ad un segno che rimanda all’arrampicata e alla crescita personale.

Il look & feel generale risulta fresco e sfidante grazie a una color palette più estesa. La tipografia proprietaria, disegnata ad hoc e declinata in una serie flessibile di pesi e varianti, rappresenta simbolicamente i valori principali del brand: immaginazione, sperimentazione e adattabilità. Attraverso a particolari caratteri alternativi, che trasmettono tecnicità e modernità, il font diventa un vero e proprio strumento di auto generazione dell’intera gamma degli oltre 120 brand di prodotto, raggiungendo un perfetto bilanciamento tra unicità e family feeling.

Google University o università tradizionali? Due modelli a confronto

  • Google lancia la sua università online, costringendo (forse) anche le università tradizionali a reinventarsi.
  • La proposta di Google sembra avere parecchi punti di forza, ma è davvero tutto oro quello che luccica?

 

Google ha lanciato la sua università online, con corsi basati sui Google Career Certificates, destinati a studenti che intendono laurearsi nelle professioni più richieste oggi nel mondo digitale.

La notizia è di qualche settimana fa e nel frattempo c’è stato modo di approfondire e verificare l’argomento, magari anche con qualche raffronto con l’offerta delle università tradizionali.

Questo è quello che abbiamo provato a fare anche nelle redazione di Ninja, andando ad analizzare una serie di caratteristiche dal piano di studi al prezzo.

Ma andiamo con ordine e partiamo dalle certificazioni Google.

università

Google University

Non sono lauree brevi, ma corsi intensivi che hanno lo stesso valore di un percorso universitario tradizionale. Il costo contenuto permette a un numero più elevato di studenti di frequentarli e il fatto che siano online evita costi di trasferimento e strutture da gestire.

L’obiettivo di Google, come riportato dalla stessa azienda, è quello di offrire opportunità di lavoro a coloro che non possono permettersi la rata di un college americano. Come ha affermato Kent Walker, vice presidente senior per gli affari globali di Google, infatti, i corsi si basano su programmi già esistenti in azienda e servono per specializzare le persone senza laurea che lavorano nel settore IT. 

L’offerta tradizionale

Le università e i corsi di specializzazione in presenza e online che tutti siamo abituati a frequentare partano da un modello completamente diverso da quello di Google. Certamente sono più onerosi, ma garantiscono anche uno sviluppo di competenze più trasversali.

Certamente non tutte le università attuano programmi per l’inserimento immediato nel mondo del lavoro, e dunque non offrono stage e apprendistato, ma il percorso spalmato su un periodo di tempo più prolungato punta a offrire un maggiore approfondimento su diverse discipline.

Google vs. tutti

Abbiamo selezionato due corsi di studi tradizionali di facoltà italiane (pubbliche e private) per operare un confronto con l’offerta formativa di Google. Ed ecco cosa è emerso:

confronto università digital

Al momento la proposta di Google sembra avere parecchi punti di forza, tra cui la durata del percorso e la sua economicità.

C’è chi critica la mossa, sostenendo che una società privata non può e non deve paragonarsi a un’istituzione universitaria. C’è chi invece lo vede come uno sprono per gli istituti tradizionali, per reinventarsi e avvicinarsi di più alle esigenze del mondo del lavoro.

Ma davvero basta un corso di studi online per imparare un mestiere come quello dell’UX Designer (per esempio), o invece servono ore, ore e ancora ore di esperienza su campo? E voi che cosa ne pensate?

Week in Social: dal Festival dei Creator su Pinterest alle novità per i Gruppi su Facebook

Come ogni fine settimana, torna l’appuntamento con le principali news da l mondo dei social media.

Dalle novità sui gruppi di Facebook agli strumenti aggiornati di Pinterest per lo shopping, ti ricordiamo tutto quello che devi assolutamente conoscere questa settimana.

Tutto sul nuovo Design del sito di Facebook

Galassia Facebook

Facebook ha deciso di spingere i Gruppi nel news feed. Il social ha annunciato che gli utenti inizieranno a vedere anche le discussioni che non seguono nel loro feed di notizie, e che i gruppi pubblici potranno essere trovati anche al di fuori della piattaforma, sui motori di ricerca come Google.

Tra le novità sul social anche una nuova integrazione tra i servizi di messaggistica. La piattaforma sta già testando la possibilità per chi ha un account Instagram di usare Messanger, anche se non possiede un account Facebook. Sta lavorando per integrare anche il servizio WhatsApp allo stesso modo.

whatsapp

Proprio su WhatsApp arriva anche un nuovo aggiornamento consentirà di eliminare immagini e video sui device di altre persone. Si tratterà in pratica di messaggi che si autodistruggono dopo essere stati visualizzati.

Su Messenger, invece, in vista di Halloween, l’app di messaggistica pubblicherà ogni venerdì un pacchetto di adesivi a tema e rilascerà nuovi effetti AR e 360, per regalare un po’ di divertimento virtuale su Messenger Rooms, in un anno che probabilmente non permetterà il classico dolcetto e scherzetto.


Sempre Facebook, infine, rimuove l’opzione del modello di attribuzione di 28 giorni per gli Ads. L’aggiornamento avverrà a partire dal 12 ottobre. L’attribuzione sarà di 7 giorni come impostazione predefinita, per rispettare i nuovi parametri di privacy.

Mondo Pinterest

Arriva il Festival dei Creator. Pinterest ha annunciato un nuovo evento che fornirà approfondimenti su come costruire una presenza sulla piattaforma e massimizzare l’engagement.

La piattaforma per la ricerca visuale, ha anche aggiunto diverse funzionalità per lo shopping. Arriveranno prima nel Regno Unito e negli Stati Uniti e renderanno più facili gli acquisti per i Pinner che visitano la piattaforma alla ricerca di ispirazione.

In breve

Twitter espande l’uso dei tweet vocali. Il social ha anche riaffermato il suo impegno ad aggiungere i sottotitoli automatici per i tweet vocali il prima possibile, in ottica di inclusione.

TikTok aggiunge più formati di duetto. Per facilitare nuove opportunità di collaborazione, la piattaforma per i video brevi ha aggiunto tre nuove opzioni alla sua popolare opzione di interazione Duets.

Giornata internazionale del caffè: le campagne più belle dai brand del settore

  • L’1 ottobre si celebra la giornata internazionale del caffè;
  • La giornata internazionale del caffè è una giornata in cui si promuove e celebra il caffè come bevanda, con eventi che si svolgono in tutto il mondo. La prima data ufficiale  fu lanciata a Milano.

 

Oggi il mondo celebra il caffè e i mille modi che conosciamo per prepararlo. Se in Italia il culto è per il classico espresso (e per le sue mille varianti), questa bevanda che arriva da lontano è però amata in tutto il mondo. Sì, anche lì dove un buon caffè al bar proprio non sei mai riuscito a berlo!

Per festeggiarlo anche noi come merita, abbiamo guardato alle migliori campagne e iniziative dei brand sul tema degli ultimi anni.

1. Lo #UnicornFrappuccino di Starbucks

Che lo riteniate caffè o meno, non è possibile parlare di iniziative vincenti sul caffè senza menzionare il Frappuccino Unicorno di Starbucks. Il mix di caffè, latte, panna e… colori è stato disponibile per l’acquisto per sole tre settimane nell’aprile 2017, ma il suo impatto è durato molto più a lungo.

La bevanda infatti è esplosa sui social media, il che non è stato un caso. Starbucks ha creato volontariamente il prodotto in edizione limitata con un’ottica social, assicurandosi così che i clienti più fedeli avrebbero pubblicato almeno una foto.

Ancora oggi, l’hashtag #unicornfrappucino è legato a più di 154.000 immagini solo su Instagram. La maggior parte delle immagini più recenti sono ricreazioni dell’originale di Starbucks, il che dimostra quanto i prodotti in edizione limitata possano avere un impatto duraturo.

Da allora, Starbucks ha continuato a sperimentare con voci di menu segrete, costruendo efficacemente il buzz sul sociale e indirizzando i clienti verso i suoi negozi.

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2. Il branded entertainment di illy

Sono passati già alcuni anni da quando illy e National Geographic Channel hanno presentato il progetto Artisti del Gusto. Si trattava di una TV serie dal format innovativo in cui il brand di caffè diventava protagonista della narrazione del canale attraverso le storie vere di chi vive ogni giorno in Italia il mondo del caffè.

Una strategia di branded content adottata con un certo anticipo nel nostro Paese che si è rivelata vincente soprattutto nel breve periodo, con i migliori bar d’Italia che hanno tratto beneficio da questo tipo di comunicazione più lenta e meditata.

“Un vero e proprio docu-reality” che per la prima volta spostava i contenuti dai “fatti” alle “storie” vere.

3. Il suono di un espresso

Il brand di macchine espresso Sanremo, ha lanciato nel Regno Unito qualche tempo fa una campagna a suon di musica, per dimostrare come dietro una semplice tazzina di caffè possa esserci un vero e proprio concerto di suoni, rumori, battiti.

Il video è stato presentato in anteprima al London Coffee Festival e all’UK Barista Championship ed è una vera e propria ricarica di energia, tutto da guardare.

4. Il gusto del Natale da Starbucks

Starbucks ha creato qualche ano fa un vero e proprio sito, Let’s Merry, dedicato alle feste nella catena di caffè, per fornire ai clienti idee regalo, informazioni sulle sue ultime offerte, e-card a marchio. Collegata al sito c’era una intera campagna con uno spot davvero carino e vivace, che metteva in evidenza uno dei simboli del brand: le tazze, stavolta in edizione natalizia.

Un video centrato e pieno di spirito natalizio nella sua semplicità.

5. La campagna di Blenz Coffee per i single in cerca d’amore

Per San Valentino il brand di caffè canadese Blenz ha ridefinito nel 2011 l'”esperienza unica in un caffè”, trasformando la bevanda in una calamita per gli appuntamenti.

La Blenz Red Band Campaign è stata un’inventiva tattica di marketing strategicamente mirata ai single in cerca di un appuntamento.

Acquistando un caffè con la fascia rossa, i clienti potevano infatti segnalare agli altri avventori che erano single e pronti a socializzare. Una volta stabilita una potenziale connessione, potevano anche scambiarsi i numeri di telefono utilizzando gli spazi previsti sulla manica rossa della tazza della campagna.

giornata internazionale del caffè

DIESEL presenta “Unforgettable Denim”, la nuova campagna global firmata Publicis Italia

DIESEL ha annunciato il lancio della sua campagna Autunno 2020, che affonda le sue radici in uno degli elementi chiave del denim da sempre: la memoria.

Il denim migliora con l’uso e diventa una sorta di testimonianza wearable, da indossare, dei tempi passati. I segni della penna sulla tasca? Scarabocchi durante un lungo volo verso un luogo lontano. Il graffio sull’orlo? Da una notte passata a fare festa a Berlino. Il denim raccoglie questi momenti sempre; nemmeno il 2020 può cancellare un bel paio di jeans.

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Generazione covid?

In quello che è stato un anno che ha definito una generazione, DIESEL invita le persone, il mondo intero, a celebrare i ricordi al posto dei progetti messi in standby, e a indossare con orgoglio questi momenti. Per tutti i viaggi, gli eventi, le feste, i progetti, le cerimonie che non hanno potuto avere luogo nel 2020, cogliamo l’opportunità di raccontare i momenti inaspettati, le connessioni avute, il divertimento e i lati positivi di questa situazione.

Al centro della campagna Fall 2020 c’è la nuova collezione denim personalizzabile di DIESEL. Attraverso il portale www.diesel.com – e in alcuni negozi selezionati in tutto il mondo – i clienti potranno personalizzare le etichette in pelle sul denim con qualcosa a cui quest’anno non hanno potuto partecipare.

L’intenzione è quella di celebrare qualcosa che non hanno fatto e quei momenti che, derivando dall’assenza di questi progetti, diventano ricordi. Una festa di compleanno annullata? Festeggiatela ricordandola. Un surf trip posticipato? Create un ricordo per quello che avrebbe potuto essere e usatelo come ispirazione per pianificare la prossima data – sempre con il vostro preferito e unforgettable denim.

La campagna DIESEL global

La campagna multi-soggetto, online e sui social media, racconta storie di vita reale ed è diretta da Pantera di Anonymous Content. I key visual sono firmati da JP Bonino e includono, oltre alla collezione ready-to-wear, gli orologi e gli occhiali DIESEL.

La piattaforma di comunicazione, on air per 2 mesi, seguirà le storie di diversi talents e influencer tra cui Evan Mock, skateboarder e modello. Di solito residente a New York, ha scelto di fare il suo lockdown a Maiorca, in Spagna, riconnettendosi con la natura. Julia Fox, attrice italo-americana, ha recuperato un amore durante l’isolamento. Donte Colley si è guardato dentro diventando più attivo nella lotta per ciò che è giusto. La fotografia è curata da RAYSCORRUPTEDMIND.

DIESEL sta anche collaborando con diversi canceled events, come UNTOLD Festival, uno dei festival musicali più rinomati al mondo, con il quale ha creato una serie di jeans in edizione limitata chiamata Fallen Edition 2020. UNTOLD ha vinto il premio come Best Major Festival in Europa fin dalla sua nascita. In un anno solitamente è visitato da oltre 350.000 fan provenienti da tutto il mondo. Questi fan conserveranno l’edizione 2020 nel loro immaginario – e in un paio di jeans Diesel personalizzati.

Il concept creativo e la produzione di questa campagna sono firmati da Publicis Italia.

Agency Credits

Creative Agency: Publicis Italy
Global CCO Publicis WW: Bruno Bertelli
CCO Publicis Italy: Cristiana Boccassini
Global Executive Creative Director: Mihnea Gheorghiu
Global Creative Director: Eoin Sherry
Head of Art: Costanza Rossi
Associate Creative Director/ Art Director: Arthur Amorim
Associate Creative Director/ Copywriter: Dan Arango
Art Director: Daniele tesi
Copywriter: Nicolò Santovincenzo
Designer/art director: Luca Villa
Strategic Planner: Monica Radulescu
Group Account Director: Ilaria Castiglioni
Account Supervisor: Gonzalo Gutierrez
Head of TV Production: Francesca Zazzera
Tv Producer: Erica Lora Lamia | Beatrice Pepe
Art Buyer: Caterina Collesano | Marcella Garutti
Social Media Manager: Saraluna Goodloe
Head of Social Client Services and Strategy: Alessandro Bochicchio

Film credits

Director: PANTERA
Director of photography: Jake Hunter
Production Company: SOMESUCH & CO LTD X ANONYMOUS CONTENT
Exec producer: Tor Fitzwilliams
Producer: James Greenall

Music credits

Music: Sizzer – original composition with Jackie T & the Jetpacks
Music Supervision: Michael Bertoldini

Print campaign

Photographer: JP Bonino
Post Production: Numerique

Product Still life
Photographer: Wookiee Studio
Post-Production: Zum Studio
Scenography: Micol Di Palma
Photographer Agent: Carla Pozzi

Quali sono le differenze tra Generazione Z e Millennial nelle decisioni di acquisto in store e online?

  • La Generazione Z preferisce vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, toccando con mano e provando in prima persona i prodotti che vuole comprare.
  • Secondo alcune ricerche la Gen Z risulta essere una generazione incline a spendere il proprio denaro in modo pragmatico, a differenza dei Millennial.
  • I giovani consumatori sono più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.

 

Abbiamo ampiamente discusso, nei mesi precedenti, delle differenze di comportamento che intercorrono tra la Generazione Z (coloro nati indicativamente tra la fine del 1990 e il 2010) e i Millennial (coloro nati tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90).

Da lontano queste due generazioni possono assomigliarsi, essendo molto vicine a livello culturale e temporale. È facile presumere che queste due categorie possano pensarla allo stesso modo quasi su tutto, avendo ricevuto la stessa educazione, e che siano poche le cose che non hanno effettivamente in comune.

Ma le differenze in alcuni casi possono arrivare ad essere relativamente abissali, soprattutto perché la Gen Z è nata in un mondo dove ormai Internet e Social Media non erano più una novità da scoprire ma una realtà quotidiana.

Lo stravolgimento delle abitudini d’acquisto e di consumo dei media dettato dalla pandemia di Covid-19, oppure l’arrivo di piattaforme dedicate ai più giovani come ad esempio TikTok, sono solo due dei fattori che hanno accentuato ulteriormente le differenze tra queste due generazioni.

In questo articolo ispirato allo studio pubblicato da GlobalWebIndex analizziamo le differenze che intercorrono tra Generazione Z e Millennials per quanto riguarda le abitudini di acquisto in-store e online, cercando di capire come i brand possono adattare le loro strategie post-Covid19 in base a questi dati.

Lo shopping in-store non è morto

Come abbiamo commentato all’inizio, la Generazione Z è nata in un mondo dove il digitale non è una novità ma una realtà consolidata. Per questo siamo portati a pensare che la Gen Z acquisti prodotti quasi solo on-line, ma i dati lo smentiscono.

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Come dimostrano i dati raccolti, sembra proprio che la Generazione Z, come tutte le altre generazioni precedenti, preferisca vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, per avere la possibilità di toccare con mano e provare in prima persona i prodotti che vuole comprare.

E sembra che, paradossalmente, la pandemia di Covid-19 abbiamo consolidato la vendita al dettaglio, oltre ad aumentare ovviamente il numero di acquisti online.

Ne sono la prova diverse iniziative come l’apertura a Guangzhou e Parigi di nuovi concept-store monomarca di Nike, che sono l’esempio di come un negozio possa diventare un ibrido tra acquisti offline e online.

Una nuova generazione di “risparmiatori”

Nonostante il negozio fisico resista, c’è un aspetto dello shopping in-store che sta lentamente scomparendo: il pagamento in contanti.

Ma questa tendenza, al contrario di quanto si possa pensare, è più diffusa tra i Baby Boomer che tra la Generazione Z. Sembra infatti che con l’aumentare dell’età la preferenza a pagare in contanti diminuisca.


In generale comunque la Generazione Z è maggiormente abituata allo shopping online e ai servizi di pagamento mobile, e questo
distorce la loro interpretazione del “contante”. 

La Gen Z non vede al denaro come una determinata quantità di banconote o monete, ma come un fondo a cui può accedere direttamente e immediatamente (attraverso le carte di credito o servizi come PayPal).

Ma nonostante questo, diversi studi dimostrano che – a differenza dei Millennial – sono più propensi ad aspettare che un prodotto sia in saldo per acquistarlo piuttosto pagarlo a prezzo pieno, in modo da poter risparmiare qualcosa. 

Secondo una ricerca condotta da HSBC infatti la Gen Z risulta essere una generazione di risparmiatori, o meglio sono inclini a spendere il proprio denaro in modo pragmatico. 

In questo studio, HSBC ha chiesto a 2.125 adulti cosa avrebbero fatto con 1.000 sterline in contanti. Circa il 72% dei giovani di età compresa tra i 18 ei 24 anni ha dichiarato che trasferirebbe tutto o parte del denaro in un conto di risparmio, rispetto al 55% dei Millennial (di età compresa tra 25 e 34 anni).

Una particolare attenzione agli acquisti eco-sostenibili 

Una delle motivazioni per cui i giovani della Generazione Z prestano maggiore attenzione ai loro acquisti potrebbe basarsi nell’attenzione che ripongono nei confronti di temi di sostenibilità ambientale.

LEGGI ANCHE: Brand a misura d’uomo: gli strumenti tech per avvicinarsi alle persone

Risulta infatti che, rispetto ai Millennial, siano più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.

È giusto pensare che anche gli effetti secondari della pandemia di Covid-19, insieme ai movimenti come Black Live Matters oppure una maggiore coscienza a favore della comunità LGTBI+, siano tutti fattori che influenzano i comportamenti di acquisto di una generazione che è particolarmente attiva socialmente.

Cosa significano queste differenze per le imprese?

Abbiamo visto come la Generazione Z è più interessata a sostenere le attività commerciali locali e a fare acquisti di persona. Questo potrebbe essere un grande vantaggio per quelle piccole attività che stanno riaprendo con fatica dopo il periodo di lockdown.

In generale comunque il marketing generazionale può essere particolarmente produttivo, a patto che sia guidato da dati sicuri e comprovati e non si basi su supposizioni o stereotipi. 

Lo studio di GlobalWebIndex ne è la prova: al contrario di quanto tutti possano pensare, la Generazione Z non è destinata a seguire lo stesso percorso dei Millennial, soprattutto per quanto riguarda le abitudini di acquisto.

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Remix e share: Koji rivoluziona la creatività digitale

  • 1993 e siamo agli albori della rete. Sul New Yorker esce una vignetta di Pete Steiner, diventata poi famosissima, che mostra un cane seduto davanti al computer: “Su internet, nessuno sa che sei un cane”, recita la didascalia.
  • Da allora sono stati fatti un sacco di passi avanti, i social e la rete sono entrati nelle nostre vite, fino a modificare i nostri comportamenti.
  • Tech e social continuano a viaggiare veloci: Koji è una delle ultime novità, in grado di rivoluzionare il mondo dei content creator.

 

Tagga, condividi, metti hashtag, ricambia il follow, follow for follow e throwback. Quanto è cambiato il nostro linguaggio dall’era dei social?

E non solo. Quanto sono diverse le nostre vite dall’epoca Facebook? E quanto ne siamo dipendenti?

Oggi è su Facebook quasi il 90% dei giovani tra i 18 e i 29 anni, ma c’è anche più della metà (il 65%) di chi ha più di 65 anni. Tre quarti degli utenti visitano Facebook ogni giorno e più della metà lo fa diverse volte al giorno per mantenere viva la propria identità virtuale.

Per non parlare poi del mondo del business: Fortune scrive che nove aziende su dieci negli Stati Uniti usano i social network ottenendone aumenti nelle vendite e che “il business non può sopravvivere senza i social network”.

Lo stesso vale per il mondo del lavoro: Forbes afferma che i social network stanno dando forma al futuro del job market. L’attenzione di chi naviga va catturata entro otto secondi e basta un tweet sbagliato per mettersi nei guai.

Pensavamo di conoscerli tutti: Facebook, da cui tutto ha avuto inizio, Instagram, Twitter, Snapchat. Ma poi è arrivato TikTok, chiacchierato e temuto dal governo a stelle e strisce, tanto da bannarlo (forse) negli USA dal 27 settembre.

E poi, da non sottovalutare, c’è Wechat, sviluppato dalla cinese Tencent.

koji social tech

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Sembrerebbe che all’appello non manchi nessuno. Sì, ma tech e social corrono veloce, tanto che si fatica a stare al passo con gli ultimi trend e il prezzo è un’obsolescenza quasi istantanea. Quindi, what’s next?

Koji

Chi può dirlo. In effetti, si va così avanti che a volte il futuro sembra quasi imprevedibile.

Ma tra il panorama delle start-up digitali e social se ne sta facendo largo una che potrebbe rivoluzionare il concetto di content creator.

Si chiama Koji. Made in San Diego (sembra che il polo dell’innovazione tech continui ad essere US based) è una piattaforma che consente ai non user friendly di creare facilmente meme interattivi, giochi e altri contenuti generati dagli utenti, da pubblicare poi sui social. O, per dirla come un Millennial, da “sharare”.

Koji social tech

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Sembrerebbe una newco di vita breve e, invece, ha raccolto dieci milioni di dollari in un round di raccolta fondi.

L’azienda, con dodici dipendenti, guidata dall’ex dirigente Google e Veoh Networks, Dmitry Shapiro, è una piattaforma per la creazione di post interattivi, una sorta di strumento di remix che chiunque può utilizzare per creare e condividere selfie, meme e giochi interattivi sui social.

Remix & share

Sì, il remix non è più solo roba da dj. Già TikTok aveva reso popolare la cultura del remix, prendendo una parte di un contenuto, modificandolo ed utilizzandolo per altri scopi e il social è cresciuto fino a 800 milioni di utenti attivi.

In effetti, il social creato dall’orientale ByteDance, ha promosso la creazione di contenuti non partendo da zero, ma considerando qualcosa di già esistente. Non si tratta di mera copia, ma di combinazione tra vecchio e nuovo e, spesso, i cosiddetti remix riescono ad essere significativamente migliori dei contenuti originali.

Dunque, si utilizza materiale creativo già esistente (immagini, testi, audio, frammenti video) per dare vita a nuova creatività. In questo caso, quindi, vale la formula: copy, transform, combine.

Il tutto è a prova di dilettante, perché chiunque può facilmente remixare e creare giochi, mini app e meme senza saper codificare. Bastano pochi minuti e il gioco è fatto.

Bisogna solo visitare il sito Koji, scegliere un modello (meme, video, immagine) e fare click su “remix” per personalizzare con immagini, colori, suoni ed altre opzioni, per poi condividere il tutto su qualsiasi social.

koji social tech

L’obiettivo è rendere il contenuto virale. Ed è già successo: Burger King, per esempio, ha ritwittato un Koji creato da un fan sulla campagna pubblicitari Moldy Whopper, ottenendo migliaia di riproduzioni.

Creatività democratica

Shapiro crede che i contenuti social interattivi possano creare maggior coinvolgimento e condivisione, portando ad un’eco più ampia rispetto ai tradizionali post statici di foto, video e testo.

In effetti, il futuro dei social sarà il cosiddetto engagement. Ad esempio, i clienti oggi usano i social network per interagire con le aziende: vogliono risposte immediate, consigli, assistenza. E vogliono essere coinvolti (engaged). E come rispondono le aziende? Stando online sempre, pronte a dare feedback 24h.

Non da meno, la piattaforma consente la democratizzazione degli strumenti di creazione, dando una chance anche ai non tech friendly.

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Qualsiasi buon media manager, per esempio, potrebbe creare un video o un gioco interattivo, condividerlo sui social e promuovere il proprio marchio.

Sarà una rivoluzione?

Se le nostre vite e i nostri comportamenti sono stati completamente rivoluzionati dai social network, che hanno dato parola e legittimità virtuale a tutti, chissà se ancora tutti, a breve, potremmo definirci digital e content creator.

Le scommesse sono aperte.

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Milano non rinuncia al design e al Fuorisalone, arriva Milano Design City

  • La creatività e il design tornano, dopo lo stop del Coronavirus, in città e online
  • L’evento, evoluzione della Fall Design Week, intende promuovere la cultura del progetto, con un focus su sostenibilità, economia circolare e riprogettazione degli spazi urbani

Milano non rinuncia al design, il Fuorisalone, rinviato causa Covid, torna a Milano dal 28 settembre al 10 ottobre. La design week (prevista per lo scorso aprile) lascia il posto a Milano Design City: un’edizione autunnale che esplora la cultura del design e dell’innovazione attraverso talk, incontri e tavole rotonde in giro per il capoluogo lombardo.

milano design city

Ritorna a essere settembre il mese del design, con un evento territoriale che unirà virtuale e reale. Un’opportunità unica per inventare nuovi modi di parlare di design, per definire un modello di comunicazione che ibriderà gli spazi digitali e fisici.

L’esigenza di comunicare il design nella nuova normalità post-Covid

Il Fuorisalone è quel rivoluzionario processo che ha portato il business dell’arredamento fuori dal contesto più istituzionale dei padiglioni fieristici, alla ricerca di spazi e modalità espositive inediti.

La pandemia ha creato uno scenario nuovo e inimmaginabile. Nel frattempo i linguaggi visivi e i codici che utilizziamo per comunicare si stanno evolvendo rapidamente e i tentativi di riprodurre in maniera virtuale un evento di tale portata sono ancora incerti.

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Seguendo il format proposto dal Comune di Milano, l’evento diventa un’evoluzione della Fall Design Week degli ultimi quattro anni. La nuova edizione autunnale propone alla città due settimane di eventi, workshop, talk e mostre dedicate al design in showroom, musei e gallerie.

Design City Edition si concentra sul tema della cultura del design e dell’innovazione, con un focus su sostenibilità, economia circolare e riprogettazione degli spazi urbani.

Un nuovo appuntamento per promuovere la cultura del progetto e rilanciare la vocazione di Milano come punto di riferimento per il design internazionale grazie ad un ricco calendario di iniziative digital, con nomi rilevanti del settore industriale e dell’arredo.

La partecipazione sarà sia in loco che online: la piattaforma digitale rimarrà attiva per arricchire i contenuti e promuovere i brand non operanti sul territorio.

Attraverso la sinergia di diverse discipline artistiche e creative, l’evento intende affrontare una rilevante pluralità di temi come quelli dell’economia circolare, del riuso e della sostenibilità.

fuorisalone 2020

Di vitale importanza il supporto degli operatori del tavolo interzone (le zone e i distretti di Milano attivi sul territorio durante tutto l’anno) nell’organizzazione dell’evento. Spazio anche alla progettazione internazionale e alle riflessioni sui nuovi modi di intendere gli spazi urbani e la mobilità delle persone nelle città.

LEGGI ANCHE: Gli eventi diventano digitali, tra insidie e opportunità

Milano Design City l’edizione autunnale del Fuorisalone

Brera Design District propone un percorso per coinvolgere gli showroom attivi e organizzare talk e tavole rotonde. In occasione di Fuorisalone Design City Edition in Brera saranno inaugurati e aperti al pubblico nuovi showroom, tra questi:

  • Il nuovo spazio aziendale Marsotto, disegnato da studio Nendo, caratterizzato dalla leggerezza delle linee, rende omaggio alle molteplici produzioni del brand, da sempre dedicato alla trasformazione di marmi e pietre naturali;
  • Mutina presenta Mattonelle Margherita, la nuova collezione realizzata dall’artista Nathalie Du Pasquier, Casa Mutina ospiterà un allestimento ad hoc, attraverso cui il pubblico avrà modo di sperimentare in prima persona l’universo vibrante che caratterizza la collezione.

milano design city

Tra le principali zone del design, percorsi tematici e collettive in:

  • Distretto Durini con Inspire Design si ripropone in maniera coesa come distretto del design in città e promotore della ferma volontà di ripresa. La zona, forte dell’alta concentrazione di flagship store di importanti aziende del settore, sarà animata da presentazioni di prodotto e di ambienti esclusivi. La RE-START vedrà la presenza di numerosi architetti e designer di rilievo, con momenti di confronto e dibattito sulla cultura del progetto. Gli showroom si trasformeranno in veri “atelier di bellezza diffusa” in cui si potrà nuovamente respirare la leggerezza del lifestyle tra i più esclusivi al mondo.
  • 5VIE D’N’A – Design ‘n’ Art for a Better World: un calendario di circa 50 eventi digitali (esposizioni, performance, dibattiti) e una ventina in presenza, su temi come l’innovazione sociale e l’economia circolare, espressi attraverso il design, le arti visive, la musica e la poesia.
  • Isola Design District, secondo l’iniziativa Isola Open Studios, aprirà le porte al pubblico di studi, laboratori e gallerie, programmando incontri per parlare di design sostenibile e biomateriali.
  • Dopo l’edizione di giugno, Tortona Rocks parteciperà anche a Milan Design City per esplorare la ridefinizione degli spazi lavorativi e della mobilità urbana all’interno dell’Opificio 31.

Tra gli altri progetti proposti in occasione di Milano Design City, presso i chiostri del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia appena restaurati grazie al contributo del Comune di Milano e di Regione Lombardia, due differenti iniziative dedicate alla cultura del design a cura della Galleria Rossana Orlandi:

  1. “We Are Nature”, esposizione dedicata all’arte e al design responsabile dove le opere sono create in armonia con la convivenza tra uomo e pianeta e nel rispetto della natura;
  2. “RO Plastic Prize 2020” il “Premio Internazionale” dedicato ai temi del riuso e del riciclo della plastica ed esposizione dei progetti finalisti.

Il programma del Fuorisalone d’autunno è online insieme alla guida eventi con mappa interattiva dedicata al territorio secondo il modello tradizionale proposto da Fuorisalone.it.

Week in Social: dalle sfide nei gruppi su Facebook alle Stories su Pinterest

Anche questa settimana non potevamo lasciarti senza il recap delle migliori notizie dal mondo dei social. Questa volta parliamo di funzionalità: tante le novità in arrivo sulle diverse piattaforme. Scopriamole subito insieme!

Galassia Facebook

La funzionalità per i dispositivi collegati di WhatsApp è vicina al lancio. La funzione permetterà a un massimo di quattro dispositivi di connettersi a un singolo account WhatsApp.

whatsapp business

Le metriche di utilizzo degli hashtag arrivano anche su Facebook. Il social cioè mostrerà quante volte quel particolare tag è stato utilizzato mentre si digita per creare un nuovo post.

Facebook sta lanciando una funzione di sfida nei gruppi. I membri del gruppo possono creare una nuova challenge aggiungendo un hashtag che termina con la parola “sfida”, ad esempio #ninjachallenge.

Addio Text Overlay Tool. Secondo quanto segnalato dall’esperto di Social Media Matt Navarra, Facebook starebbe eliminando le restrizioni sui contenuti testuali nelle immagini pubblicitarie. Una notizia potenzialmente fantastica per tanti social media manager.

Ultima novità della settimana per il social dei social, il Rights Manager, cioè lo strumento per rilevare l’uso di immagini protette da copyright sui social di Menlo Park, sarà disponibile ora per più utenti. Per accedere al tool è necessario compilare un form.

Intanto, sul versante privacy, Facebook minaccia di lasciare l’Europa. A causa della proposta del nuovo regolamento sulla condivisione dei dati per gli utenti europei, il social potrebbe decidere di bloccare sia Facebook che Instagram per quasi 410 milioni di utilizzatori.

Novità per Instagram Reels

Il social ha appena rilasciato alcuni aggiornamenti per questo nuovo formato in stile TikTok. Ci saranno clip più lunghi (fino a 30 secondi) e strumenti di editing video migliorati.

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Mondo LinkedIn

LinkedIn sta per lanciare un look aggiornato. Come parte del cambiamento, oltre al layout rinnovato, anche le stories saranno finalmente disponibili per tutti gli utenti.

Controllo dei commenti su LinkedIn. La piattaforma professionale sta lavorando a un check dei commenti che permetterà di scegliere chi può commentare i propri post, un po’ come già accade su Twitter.

Universo Pinterest

Pinterest lancia le sue Pin Stories.

Anche la piattaforma di ricerca visiva, dopo aver lavorato sul formato nel corso dell’ultimo anno, ha ora annunciato la versione beta per inseguire il trend.