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Cosa rivelano le tendenze video durante la pandemia sulle esigenze dei consumatori

Dall’inizio della pandemia, abbiamo osservato da vicino in che modo le persone di tutto il mondo hanno utilizzato le piattaforme come YouTube.

Siamo rimasti colpiti dal fatto che le persone hanno utilizzato i video per soddisfare le proprie esigenze, per far fronte all’isolamento sociale, per trovare nuovi modi per accedere a servizi essenziali, per assecondare le proprie passioni o semplicemente per sentirsi più vicini agli altri.

Poiché queste tendenze riflettono un cambiamento globale molto più ampio verso una nuova normalità, volevamo saperne di più sui comportamenti che le guidano.

Susan Kresnicka, un’antropologa culturale statunitense, ha sviluppato uno schema che studia la relazione tra i bisogni umani fondamentali e il comportamento dei consumatori, attraverso tre esigenze fondamentali che tutte le persone avvertono: cura di sé, connessione sociale e identità.

Per saperne di più su questi stati di necessità e su come si traducono nelle tendenze dei video di YouTube, ci viene in supporto Kresnicka!

1. Cura di sé

Molto più di un termine usato per indicare un bagno caldo a lume di candela, la cura di sési riferisce all’intera gamma di bisogni associati al sostegno e alla cura dell’individuo, un sé incarnato. Quando la pandemia ha sconvolto la quotidianità delle nostre vite, molti dei modi in cui eravamo abituati a soddisfare i nostri bisogni, sono diventati insostenibili. Quindi le persone stanno imparando nuove tecniche per lenire le loro menti ansiose“, spiega Kresnicka.

Su YouTube, il pubblico si è concentrato sui video che aiutano ad affrontare i fattori di stress, come i disturbi del sonno. Ad esempio, le visualizzazioni di video correlati ai suoni della natura sono aumentate del 25% perché le persone erano alla ricerca di qualcosa che li aiutasse a calmarli. Questo video di Dream Sounds è stato visto oltre 2 milioni di volte dal 15 marzo.

Un’altra tendenza legata alla cura di sé sono i contenuti sul cibo. Con così tanti ristoranti costretti a chiudere per motivi di sicurezza, gli spettatori hanno cercato video che li aiutassero a creare una cucina “in stile ristorante” a casa. L’India è stata al centro di questa tendenza. Creator come CookingShooking hanno dimostrato che emulare le cucine dei ristoranti permette alle persone di sperimentare il comfort di cenare fuori, senza però uscire di casa.

2. Connessione sociale

Secondo Kresnicka, i bisogni di connessione sociale derivano dalla natura profondamente sociale degli umani, e spiega: “Siamo una specie ultra sociale la cui sopravvivenza si basa sulla nostra capacità di mantenere una connessione attraverso strette relazioni interpersonali e un più ampio senso di appartenenza alla società”.

Poiché i requisiti di distanza hanno fortemente limitato la nostra capacità di connetterci gli uni con gli altri di persona, la tecnologia ha contribuito a colmare il divario. Su YouTube, gli spettatori hanno utilizzato i video per interagire tra loro direttamente e indirettamente, spesso in modi sfumati.

Il genere “With Me”– in cui gli spettatori condividono un’attività svolta da un creatore, è stato particolarmente pertinente per la vita in lockdown. Il pubblico di tutto il mondo lo ha letteralmente divorato. Le visualizzazioni dei video “#WithMe” sono aumentate del 600% dal 15 marzo. Stessa sorte per un sotto genere: i video “Get Ready With Me”, hanno avuto una “svolta da quarantena” poiché i creator del settore beauty hanno adattato i loro video allo stile di vita casalingo.

Anche per le persone che cercano la connessione attraverso l’arte e la cultura, le esperienze virtuali hanno offerto una soluzione. Le visualizzazioni giornaliere di video con “tour del museo” nel titolo, ad esempio, sono aumentate del 60% poiché gli spettatori e le loro istituzioni culturali preferite hanno cercato di replicare l’esperienza di visitare il museo.

Il Museo Van Gogh nei Paesi Bassi, ad esempio, ha condiviso un tour in più parti, accumulando oltre 200.000 visualizzazioni da metà marzo.

arte virtuale coronavirus

3. Identità

Spesso pensiamo al terzo bisogno fondamentale, l’identità, come un costrutto di categorie sociali come razza, etnia e genere, ma in realtà cela più espansività. Come spiega Kresnicka, “L’identità comprende l’intera esperienza e comprensione del sé, in tutta la sua complessità e capacità di cambiamento. Il modo in cui comprendiamo noi stessi e le nostre esperienze, determina fondamentalmente il modo in cui ci prendiamo cura di noi stessi, ci connettiamo con gli altri e operiamo nel mondo che ci circonda“.

Negli ultimi mesi, i video online si sono rivelati un modo interessante per le persone di esprimere chi sono e di informare su chi potrebbero diventare. Le tendenze video sull’imparare ad eseguire abilità specialistiche, come tagliare i capelli, ne sono un potente esempio. Il pubblico ha guardato diversi tutorial sul taglio dei capelli, con un picco di spettatori globali ad aprile. La lezione di un parrucchiere è stata vista più di 1,7 milioni di volte.

Anche l fede è un aspetto fondamentale dell’identità. Poiché i grandi raduni religiosi sono stati sospesi, i fedeli hanno cercato modi per pregare online, provocando un aumento nelle visualizzazioni settimanali dei servizi religiosi.

Il 27 marzo, la diretta in streaming Urbi et Orbi, un discorso papale pronunciato in occasioni solenni, ha offerto ai cattolici e ad altre persone di fede un modo per ricevere la benedizione di Papa Francesco mentre la diffusione della pandemia aumentava. Centinaia di migliaia di spettatori si sono sintonizzati sull’evento, determinando la più grande crescita di abbonamenti in un giorno per i canali YouTube del Vaticano.

Cosa significa per il tuo marketing e per il futuro

Sulla base di questo scenario, come dovrebbero rispondere i professionisti del marketing? Kresnicka raccomanda di concentrarsi su alcuni principi: “Gli esperti di marketing sanno che per avere successo, le loro offerte devono creare valore per le persone e spesso quel valore implica aiutarle a soddisfare le loro esigenze fondamentali. Perché un marchio di soda di 100 anni è ancora il leader di mercato? Perché aumenta la nostra energia e il nostro umore (cura di sé), ci riporta a tempi precedenti nella nostra vita (identità) e ci fa sentire in contatto con altri che hanno condiviso la stessa esperienza (connessione sociale). Pensare in questo modo ci costringe a comprendere, in modo profondo e olistico, come un prodotto o un servizio opera nella vita delle persone. Quando lo facciamo, apriamo nuovi modi per comunicare, connettersi e servire le persone”.

L’arrivo del COVID-19 e la scala globale hanno presentato ai professionisti del marketing sfide straordinarie, ma hanno anche creato un’opportunità tempestiva per riflettere su come presentarsi ai clienti in modo significativo. In qualità di promotori delle tendenze video, abbiamo riscontrato una notevole uniformità nei tipi di contenuti che le persone cercano su YouTube, rafforzando il fatto che, nonostante le nostre numerose differenze, condividiamo tutti le stesse esigenze fondamentali.

Indubbiamente, questa crisi continuerà a ricordarcelo, mentre noi ci impegniamo a darle un senso.

Super Bowl

Budweiser, Coca-Cola e Pepsi in fuga dal Super Bowl. Che succede?

Desta scalpore la notizia dell’assenza di alcune grandi aziende tra gli inserzionisti del Super Bowl di quest’anno. Affezionati storici come Budweiser e Coca-Cola non prenderanno infatti parte alla manifestazione, privando la kermesse sportiva dei loro attesissimi spot pubblicitari, mentre Pepsi ha deciso di tagliare il budget per gli spot in modo da concentrarsi maggiormente sull’Halftime Show.

Anche se il fenomeno potrebbe non anticipare una macro tendenza nel mondo del marketing, l’occasione apre nuovi spazi alle aziende che sono riuscite a espandersi durante il periodo di pandemia, in particolare alle realtà focalizzate su un business digitale.

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Ci sono alcune grandi realtà che si stanno velocemente affermando a livello globale e Fiverr è una di queste“, ha dichiarato Christa Carone, presidente di CSM Sport and Entertainment in Nord America riferendosi al portale fornitore di servizi freelance che, per la prima volta quest’anno, parteciperà al Super Bowl con il suo spot. “Se c’era un anno giusto per portare in questo evento la narrazione del loro brand, è proprio questo“, ha aggiunto.

La mancanza di ospiti fissi come Budweiser, che ha scelto di non partecipare all’edizione di quest’anno, conferma l’idea che il Super Bowl, pietra miliare per gli appuntamenti imperdibili del panorama televisivo, possa aver perso un po’ di forza, tra le difficoltà legate alla pandemia e i disordini sociali che hanno investito gli USA di recente.

Questo “scossone pubblicitario” sull’assenza di brand con partecipazioni decennali suggerisce che i marketer che guardano all’evento per anticipare previsioni sul 2021 potrebbero non ottenere le risposte che cercano. “Siamo ancora di fronte a così tanta incertezza che nessuno di noi dovrebbe guardare agli spot del Super Bowl come un indicatore di ciò che avverrà quest’anno nel marketing“, ha infatti sottolineato Carone.

super bowl budweiser

I rischi per i nuovi inserzionisti

Nonostante tutto, l’edizione di quest’anno del Super Bowl sta continuando ad attirare moltissimi inserzionisti, disposti a sborsare la bellezza di 5,5 milioni di dollari per uno spot sulla CBS. Secondo gli analisti, umorismo e spensieratezza dovrebbero dominare il palcoscenico durante l’appuntamento del 7 febbraio, riflettendo il diffuso desiderio di evasione delle ansie quotidiane provocato dalla pandemia.

Anche questo approccio, però, rischia di essere un autogol perché gli spettatori rimangono comunque iper-sensibili alle dinamiche sociali dei problemi esterni all’avvenimento sportivo e questo potrebbe diminuire l’impatto degli annunci più ironici, provocando, al contrario, un rischio reputazionale su quelli spot che non riusciranno a colpire il bersaglio.

Alcuni brand sceglieranno la via dell’umorismo, scelta che non è affatto nuova per i contenuti associati al Super Bowl; tuttavia, penso che in questa occasione ci sia un rischio nuovo, visto il particolare momento in cui viviamo“, ha detto Janet Balis, marketing practice leader di EY Americas. “Da un lato offrirebbero una certa leggerezza, una qualche forma di conforto, ma questo approccio umoristico potrebbe essere percepito come non particolarmente appropriato al contesto“, ha aggiunto.

I nuovi inserzionisti potrebbero raggiungere un’eco ancora maggiore di quella prevista: il ritiro di player affermati crea infatti un’apertura per i nuovi arrivati, che avranno così la possibilità di impressionare il pubblico. Il Super Bowl potrebbe rappresentare per questi outsider l’inizio di una nuova costruzione del marchio e, considerato che parliamo di aziende che hanno visto crescere enormemente la loro popolarità durante la pandemia, garantire loro visibilità anche quando l’emergenza COVID-19 sarà cessata.

Tra i nuovi inserzionisti ci sono infatti il già citato Fiverr, DoorDash e la piatta forma di eCommerce Mercari. “Chi si giocherà bene questa occasione, avrà grosse opportunità” ha commentato Balis.

Tra le altre cose, non esiste ancora un chiaro front-runner nella produzione degli spot, anche se è una pratica consolidata negli anni quella di valutare l’impatto degli annunci con grande anticipo grazie alle reazioni pre-partita.

Il cambiamento di ritmo è più che giustificato: la relativa mancanza di discussione sugli spot è comprensibile tenendo conto della turbolenta inaugurazione presidenziale e dei disordini del Campidoglio.

super bowl

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Super Bowl, i brand tentennano

Una delle motivazioni per le quali non abbiamo ancora visto tante creatività fino ad ora è che siamo coinvolti in un ciclo di notizie piuttosto insolito. I brand tentennano nel rilascio dei prodotti per la paura di arrivare in anticipo sui molti e diversi avvenimenti che stanno accadendo in questo momento” ha aggiunto Balis.

Il chiacchiericcio pubblicitario è stato fino ad ora più forte proprio su quei brand che hanno deciso di non partecipare all’evento di quest’anno, come Budweiser.

Il noto brand di birra, infatti, ha scelto di non partecipare al prestigioso appuntamento dopo ben 37 anni di fedeltà al Super Bowl, dirottando i suoi investimenti previsti per lo scopo su un programma di sensibilizzazione alla vaccinazione per il COVID-19.

Anche se non saranno presenti durante il game, la reazioni alla decisione di Budweiser di non partecipare hanno creato un passaparola altrettanto efficace” ha commentato Ronn Torossian, amministratore delegato di 5W Public Relations. “Inoltre, hanno scelto di legare questa decisione a una causa molto sentita e si tratta di una sicura vittoria per il brand“, ha aggiunto.

La situazione potrebbe quindi trasformarsi in un vero trampolino di lancio per quei marchi meno noti al grande pubblico, che sognano di prendere il posto e la ribalta di mostri sacri come Coca-Cola e Pepsi.

Non c’è niente di più importante del Super Bowl dal punto di vista del branding e del marketing“, ha detto Gali Arnon, chief marketing officer di Fiverr, in un comunicato stampa. “Crediamo che questa sia una grande opportunità per noi di presentare al mondo Fiverr in un modo unico e creativo“.

Anche Chipotle sarà fra i nuovi inserzionisti. Sebbene sia un brand decisamente più affermato, ha potuto contare su un massiccio aumento delle vendite online dallo scorso marzo. Ora, la strategia del marchio è quella di proseguire lo slancio per mezzo del suo primo annuncio al Super Bowl, con uno spot che mette in mostra il lavoro fatto sulla sostenibilità dell’azienda.

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L’età oscura della rete: quando i follower si trasformano in adepti

Qual è il ruolo politico dei social media? Non si arresta il dibattito sulla censura della rete, conseguente all’esclusione del presidente uscente Donald Trump, bannato da Twitter, Facebook ed Instagram.

Ancora una decisione inedita da parte di Twitter: dopo il giuramento, il profilo ufficiale riservato al presidente degli Stati Uniti d’America, @POTUS, è stato ereditato da Joe Biden, ma completamente azzerato nel numero di followers, al contrario di quanto era accaduto nel passaggio di consegne da Obama a Trump.

Più di 33 milioni di persone, lo scorso 20 gennaio 2021, hanno ricevuto da Twitter una notifica per comunicare la novità che, oltre a Potus, coinvolge tutti gli account istituzionali, compresi quello della first lady @FLOTUS e della White House. A nulla è valso il tentativo di mediazione con i vertici Twitter del direttore della comunicazione digitale di Biden, Rob Flaherty, che ha chiarito la vicenda attraverso un tweet.

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inauguration day - joe biden

La costruzione e deformazione del reale

“Un’ apocalisse culturale”, così la definisce nei suoi libri Andrea Fontana, sociologo della comunicazione, docente universitario e pioniere dello Storytelling aziendale in Italia: «Siamo entrati nell’età oscura delle rete e dei social media che diventano strumenti di costruzione e/o deformazione del reale, modificando comportamenti, consumi e orientando le visioni politiche. È come se da un uso ingenuo e solo performativo dei media sociali stessimo passando ad un utilizzo altamente valoriale e ideologico degli stessi».

Il media diventa così un distorsore o un costruttore del processo sociale, passando da una fase iniziale più romantica e libertaria, in cui i social (pur essendo aziende gestite da privati) si caratterizzavano come piattaforme su cui tutti erano liberi di esprimersi, ad una fase più politicizzata, con linee guida molto stringenti.

I regimi di verità: l’utente da follower ad adepto

Social network sempre più ideologici, quindi, fino a costruire dei “regimi di verità”, contrastando con un approccio ingenuo dell’utente.

«Cosa sono i regimi di verità?  Sono sistemi di credenze su cui un gruppo, un’istituzione oppure un’azienda decide, prende posizione e costruisce il suo “programma di mondo” – evidenzia Andrea Fontana –  E tutto ciò che non è riconosciuto nel “regime di verità” specifico, diventa ostile e quindi corre il rischio di essere escluso, bannato».

Andrea Fontana, sociologo della comunicazione, docente universitario e pioniere dello Storytelling aziendale in Italia

In questo momento si possono individuare almeno due atteggiamenti di fondo. Un primo, considera i social media come aziende private che fanno ciò che vogliono, per cui la decisione di stare in piattaforma è delegata ai singoli fruitori. Il secondo atteggiamento prevede per i social la definizione di una specifica ideologia (non intesa in senso negativo, ma come forte credenza) a cui l’utente deve adeguarsi, trasformandosi da follower in adepto, credente. Tutto ciò che non è coerente, viene espulso.

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«Credo che andremo sempre di più verso i social media come “edificatori di culti”. In questo senso, Trump viene estromesso – continua Fontana – non solo perché ha fatto un’azione deplorevole, ma anche perché rappresenta un “culto contrario” inammissibile rispetto a quello di una piattaforma che non è più neutrale. Va compreso che un regime di verità è un sistema di credenze e di contenuti che noi dovremmo sempre andare a verificare, per evitare un atteggiamento fideistico e ingenuo. Invece anni di polarizzazione ci hanno portato ad essere fanatici che parteggiano per una verità piuttosto che l’altra. Peccato che le verità sono egoiste, devono eliminare i propri avversari, per cui “o tu follower sei un credente, oppure ti elimino”, introducendo così un nuovo paradigma nella gestione dei social media».

I media diventano così forti protagonisti dei processi di costruzione della realtà socio-politica. «In quest’ottica Twitter si è reso conto di essere un costruttore della percezione collettiva e si è assunto la responsabilità di essere tale. Siamo noi come pubblico che dobbiamo comprendere che adesso i social media attraverso i contenuti che ci portano non si pongono più come editori, ma come agenti politici, esecutori di una certa egemonia culturale, alla quale posso aderire o meno. È un compito di autoformazione e di educazione in senso lato».

limiti dei social

La costruzione o deformazione della realtà

Il problema reale introdotto da Fontana è la consapevolezza, nel dibattito, che i social media costruiscano o deformino una realtà-verità: «Come pubblico spesso fruiamo la conoscenza in moto istintivo e invece dobbiamo diventare razionali e critici. Una foto su un social in questo momento può connotarsi come un gesto altamente filo governativo o contro-rivoluzionario. Perché dietro la pubblicazione di qualsiasi contenuto, testuale o visivo, da parte di qualsiasi gruppo o forza politica c’è sempre una narrativa, una strategia e un modus operandi. Dobbiamo riacquistare il nostro ruolo di soggetti consapevoli che quello che vediamo non è altro che un “prodotto” culturale ed informativo. Un tema vasto, problematico, delicato, che se non gestito bene può portare alle censura dell’informazione, da non affrontare certo con un approccio ingenuo. Se comprendiamo questo, però possiamo assumere una posizione consapevole, per non diventare facili prede dei “costruttori di verità”, oggi trasversali a qualsiasi componente politica, che sia di un partito o di un altro.  Così, Twitter ha scelto la sua verità. Non entro nel merito se sia giusto o sbagliato, ma da utente devo cogliere questo cambio di paradigma e chiedermi: che scopo hanno i contenuti che sto fruendo in questo medium? Basta questa domanda per accorgersi che nell’online ci sono verità in competizione tra loro che orientano le nostre percezioni. E devi scegliere. La domanda che mi pongo da sociologo è: come reagiranno i 74 milioni di americani che hanno votato pro-Trump? Rimarranno indifferenti o la scelta di Twitter avrà conseguenze?».

La gestione del consenso nel conflitto geopolitico

Un’analisi che si apre ad uno scenario molto più vasto, allargandosi al tema del conflitto geopolitico in corso. «Dobbiamo inoltre essere consapevoli, da fruitori maturi di social network, che i media sociali oggi hanno un ruolo nella gestione del consenso geo-politico mondiale. Twitter assumendosi il compito di dare voce o di toglierla – sottolinea Fontana – si è preso il mandato di diventare non solo costruttore di realtà, ma anche di meaning gate-keeper”, perché attraverso la pubblicazione di contenuti, narrative ed immagini del mondo determina il senso e il significato dell’esistere di intere comunità. Questa però è anche la dottrina dei cosiddetti “conflitti asimmetrici” o guerre di V generazione, che si svolge non sul piano fisico e cinetico, ma culturale. E dove vince chi sa imporre il proprio modello culturale di mondo, o regime di verità. Così dalla Russia alla Cina, passando per Usa ed Europa dobbiamo tenere presente che siamo inseriti in queste dinamiche conflittuali dove i social media possono diventare uno strumento di supremazia, oltre che di attacco e difesa. Come sostengono diversi commentatori, uno tra tutti il generale Mini, “questi conflitti sono ibridi, ambigui e non di immediata comprensione“».

La costruzione della percezione e le guerre asimmetriche

Come reagire, quindi, ad una simile deformazione della verità? Attivando un pensiero critico, ricordando che dietro c’è una volontà geopolitica. Centrale il ruolo dell’utente/fruitore, a cui è demandato il compito di interpretare una corrente politica.

«La costruzione/deformazione della comunicazione oggi non solo riguarda le guerre asimmetriche ma rientra anche nelle cosiddette dottrine del “perception management” che richiedono sempre una necessaria decodifica. I social media maneggiano le nostre percezioni. Non solo sono editor, ma agenti politici, costruttori o deformatori della realtà, ma anche della percezione umana. È tutti noi come utenti mai come adesso dobbiamo essere vigili e consapevoli dei prodotti informativi che cerchiamo, consumiamo, scegliamo».

Omnichannel Marketing, una guida per principianti

  • I comportamenti d’acquisto delle persone sono profondamente cambiati negli ultimi anni, e continuano ad evolversi
  • La risposta a questa tendenza è sicuramente un approccio omnichannel capace di avvolgere il cliente o potenziale tale a 360°
  • La cosa fondamentale? Mettere l’esperienza cliente e l’analisi dei dati al centro di tutto

 

Applicazioni mobile. Siti Web. Negozi fisici. Tablet. Tiktok. Il mercato moderno è estremamente vario e ciò influisce sul processo d’acquisto dei potenziali clienti.

Proprio per questo motivo, l’omnichannel marketing è più che mai una risorsa preziosa per le aziende che cercano di offrire al proprio pubblico la migliore esperienza possibile.

Ma di cosa si tratta? In questo articolo vedremo cos’è l’omnichannel marketing e capiremo perché questo approccio rappresenta il futuro.

Cos’è l’omnichannel marketing?

L’Omnichannel Marketing è un approccio di marketing pluricanale che mira a fornire un’esperienza personalizzata, costruita sul comportamento degli utenti, attraverso tutti i canali e i dispositivi utilizzati nel suo percorso d’acquisto e oltre.

Questa strategia si basa sull’idea che il marketing dovrebbe essere basato sulle esigenze della clientela piuttosto che sul tipo di piattaforma utilizzata, dato che, il pubblico non è più confinato a un singolo canale.

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Multichannel vs. Omnichannel Marketing: Qual è la differenza?

Chiariamo subito una cosa: questi due termini non sono sinonimi. Anche se spesso capita di sentire utilizzare queste parole in maniera interscambiabile, la realtà è ben diversa.

Per comprendere la distanza tra questi concetti, è fondamentale capire che, per quanto il multichannel marketing utilizzi più canali, non tutto il marketing multicanale può essere definito omnichannel.

I punti deboli del multichannel marketing

Il multichannel marketing è un approccio che utilizza numerosi canali offline e online come email marketing, applicazioni mobile, messaggistica SMS, e-commerce, social media, negozi fisici, eccetera, per massimizzare l’interazione tra il marchio e il potenziale cliente, e viceversa.

Fin qui, sembrerebbe in tutto e per tutto simile all’approccio omnichannel ma non lasciamoci ingannare dalle apparenze.

Con il mutichannel marketing, ogni canale è trattato in modo indipendente con una propria struttura di reporting e obiettivi di reddito. Cosa significa? Che qui questi canali sono in competizione tra loro nelle classifiche e nelle statistiche.

Ma non è tutto. Chi utilizza il metodo multicanale, presuppone che il cliente debba completare il suo processo d’acquisto sul canale in cui lo ha iniziato.

Facciamo un esempio: immagina di cercare online un tavolo da ufficio su un e-commerce. Il sito web traccerà i tuoi dati in modo da migliorare la tua esperienza, mostrandoti le categorie rilevanti e dandoti la possibilità di uscire dal sito per poi riprendere successivamente la tua ricerca e il tuo acquisto, usando lo stesso computer.

Cosa succede se riprendi la tua ricerca da un tablet o da uno smartphone? È proprio qui che emerge il limite del multichannel marketing. I tuoi dati, infatti, sono stati tracciati solo su quel particolare sito web visualizzato da desktop e non potrai recuperare la tua ricerca.

I punti di forza dell’omnichannel marketing

Al contrario, chi intraprende la strada dell’omnichannel marketing, offre all’utente molteplici touchpoint che lavorano in totale sinergia tra di loro e che si muovono su canali e dispositivi diversi.

Vale a dire che, una volta che un cliente arriva al tuo negozio online, attraverso un annuncio di Facebook o Instagram sul suo telefono cellulare e poi aggiunge alcuni articoli al carrello e se ne va, quando torna più tardi, usando il suo computer, può terminare comodamente il suo acquisto, senza che questi switch influiscano minimamente sulla sua esperienza.

Perché l’omnichannel marketing è il trend del 2021?

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Cominciamo con il dire che la customer experience è ormai una priorità per ogni business.

Se 20 anni fa l’acquirente online era il nerd o il cliente a caccia di prezzi convenienti, oggi lo scenario è cambiato. Tutti comprano online e questa diffusione ha fatto nascere nel pubblico un’esigenza che prima era legata esclusivamente ai negozi fisici: vivere un’esperienza.

Non si tratta di un vaneggiamento sociologico, infatti, i numeri parlano chiaro. Secondo una ricerca del network PWC, l’86% degli utenti è disposto a pagare di più per una customer experience ottimale. E più il prodotto è costoso, più questo discorso funziona.

Inoltre, ben il 49% dei clienti acquista d’impulso sotto la spinta di un’esperienza più personalizzata in base a gusti, esigenze e preferenze passate.

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Ma vediamo nel dettaglio quali sono i principali vantaggi dell’omnichannel marketing.

Maggiore fidelizzazione

Le aziende che hanno implementato una strategia di omnichannel marketing hanno tassi di retention più alti rispetto alle altre, questo perché i clienti hanno la possibilità di compiere il loro “viaggio” comodamente, qualsiasi sia il device o il canale che decidono di utilizzare.

Maggiore qualità dei dati raccolti

Dal momento che ogni brand traccia efficacemente ogni interazione con i clienti attraverso le numerose piattaforme su cui opera, è facile immaginare la mole di dati che viene raccolta.

Questo apre le porte a molteplici utilizzi di queste informazioni che vengono adoperate nella creazione di contenuti e iniziative sempre più a misura di utente e, ovviamente, sempre più performanti.

Maggiore convenienza

A prima vista potrebbe sembrare strano, considerando l’investimento da fare in termini di allineamento aziendale, di tempo per analizzare i dati raccolti, eccetera. Tuttavia, l’omnichannel marketing, se sfruttato correttamente, permette di accedere ad una vera e propria miniera d’oro: i dati dei clienti.

Ragionando a lungo termine, tutte queste informazioni saranno utili per migliorare l’esperienza del cliente, aumentando le vendite e riducendo gli sprechi in sforzi di marketing inappropriati.

5 tips per sviluppare la tua strategia omnichannel

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Ora che sappiamo cos’è l’omnichannel marketing e quali sono i suoi vantaggi, non ci resta che capire quali siano gli step essenziali per procedere verso una strategia di questo tipo. Noi ne abbiamo individuati cinque.

1. Crea le Buyer Personas

Una buyer persona non è altro che un identikit di un determinato segmento chiave del tuo target.

È essenziale investire un po’ di tempo per delineare i tratti comportamentali dei tuoi clienti, vale a dire le abitudini di acquisto, le preferenze, la frequenza di acquisto, il buyer journey, i dati demografici e altro ancora. Questo ti permetterà di creare esperienze omnichannel di valore per ogni fase e ogni persona.

2. Segmenta gli utenti

Una volta individuato il tuo pubblico ideale, il passo successivo è quello di categorizzarlo in base a quelli che sono i modelli comportamentali simili.

Attraverso questa segmentazione, riuscirai a sfruttare al massimo la tua strategia omnichannel, grazie ad un più semplice processo di personalizzazione dei contenuti.

3. Implementa un approccio incentrato sul cliente

Il servizio clienti è vitale se vuoi davvero implementare un’esperienza omnichannel. Perché? Perché è anche attraverso il customer care che si costruisce la credibilità del tuo marchio.

Pertanto, è importante formare un team di supporto capace di rispondere alle reali esigenze del cliente.

4. Sii reattivo a 360°

Ricorda che il tuo pubblico si muove continuamente su più canali e su più piattaforme. Questo significa che dovrai riuscire a catturare la sua attenzione e soddisfare i suoi bisogni in maniera continua, costante e coerente.

Solo con una presenza del genere potrai offrire un’esperienza davvero completa, aumentando le probabilità di successo della tua strategia omnichannel.

5. Prova, misura e ripeti

Le formule magiche non esistono. Non si può mai affermare con certezza cosa potrà funzionare e cosa no, soprattutto non si può pensare che una soluzione di successo valga per realtà differenti.

Ecco perché risultano fondamentali tutte le attività di testing. Il consiglio è quello di fare sempre un A/B test e misurare i risultati per sapere cosa funziona e cosa no.

Conclusioni

Oggi le aziende devono essere presenti su molti canali, offrendo i propri prodotti e servizi in tutte le modalità che, in base alle attività svolte e al target, possono permetterle di espandersi nel mercato.

Avere più rami di vendita è una grossa opportunità, poiché si hanno a disposizione molte più alternative per raggiungere i consumatori, per questo è importante valutare tutte le possibilità per garantire agli utenti una User Experience ottimale e completa. Ovviamente ciò necessita di un buon piano strategico, basato sull’analisi dei dati.

Le possibili strategie e combinazioni sono molte, ma è importante identificare quali siano quelle che fanno al caso tuo.

artificial intelligence

Intelligenza Artificiale, i trend 2021 di un mercato in fortissima crescita

  • Il mercato dell’AI  registrerà una delle crescite più importanti da qui al 2023
  • La mente umana sarà destinata a fare il suo lavoro: creatività, problem solving e active learning appoggiandosi sull’intelligenza artificiale per tutti i processi aziendali automatizzabili, customer care compreso
  • Il settore IT e AI sono considerati etici e non solo nell’applicazione coerente e condivisa degli strumenti, ma anche nell’eliminazione del gender gap

L’Intelligenza Artificiale è in continuo sviluppo e diffusione, anche grazie alla situazione attuale legata alla pandemia, ma secondo le previsioni il pericolo di un’invasione robotica sembrerebbe scongiurato.

Se da una parte, infatti, il segmento dell’intelligenza artificiale è in continua crescita e da qualche anno e ha accelerato il suo percorso contaminando anche i più tradizionali settori industriali, dall’altra è considerato uno dei mercati più equi: chi è in grado di governare e inventare nelle discipline di Artificial Intelligence, verrà certamente premiato dal mercato.

E, a un certo punto, la mente umana sarà chiamata a dedicarsi al miglioramento di altre skills come problem solving, active learning o leadership e creatività. Ecco cosa possiamo aspettarci, come aziende e utilizzatori, da questo segmento emergente che registrerà una crescita molto interessante entro il 2023.

Intelligenza artificiale, dove siamo e quali sono i trend di crescita dei prossimi anni

Il 2020 ha segnato per il comparto AI un boom di crescita. Se il segmento, infatti, era già sotto i riflettori dal 2019, l’avvento del COVID-19 ha portato moltissime aziende ad accelerare i propri investimenti in materia di Intelligenza Artificiale per affrontare meglio le nuove dinamiche legate, per esempio, allo smart working o alla continuità di produzione anche in assenza dell’uomo. Largo, quindi, a bot dedicati al customer service e a investimenti per la raccolta e l’analisi dei dati e delle interazioni con il nostro brand.

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Chi aveva già investito nei servizi legati all’intelligenza artificiale, oggi ha visto un incremento del suo EBIT anche del 20% e si è potuto concentrare su temi come la cyber security. Chi ha iniziato oggi a guardare al mercato dell’AI per la propria azienda, si trova indietro di diverse lunghezze in un mercato in cui il divario tecnologico può davvero fare la differenza tra un progetto vincente e un fallimento.

L’AI trova maggior diffusione nei comparti high-tech e telecomunicazioni, seguiti a ruota dal comparto produttivo, con una crescita di profitto per quelle aziende in cui l’intelligenza artificiale è implementata in tutti i livelli aziendali.

L’incremento positivo complessivo riguarda l’intera crescita aziendale: va da una migliore comprensione e accettazione degli investimenti nel segmento e una leadership attenta a condividere tali risultati con i collaboratori a un budget crescente di investimento finalizzato alla creazione di soluzioni AI proprie con l’assunzione di nuovo personale esperto e dedicato.

Tra i timori maggiormente avvertiti c’è quello relativo alla cyber security, con la richiesta sempre maggiore di esperti interni in grado di minimizzarlo il più possibile anche attraverso sistemi di contenimento creati su misura.

Cosa ci dobbiamo aspettare per il 2021?

Secondo gli esperti:

  • IT e AI saranno sempre più vicini con l’applicazione dell’intelligenza artificiale a quasi tutti i comparti aziendali e per la creazione di soluzioni aziendali automatizzate e auto controllate, dalla produzione alla circolazione dei dati. Avere o non avere esperienza nel campo intelligenza artificiale darà o meno all’azienda un vantaggio competitivo sul mercato
  • L’AI diventerà sempre più diffusa e compresa, non solo nelle organizzazioni aziendali, ma dalla popolazione stessa con la possibilità di accesso da parte di tutti a strumenti facili e comprensibili disponibili sul mercato, oltre a dare forte impulso alla cosiddetta “cross-team collaboration”, cioè la pratica per la quale esperti del comparto IT condividono le proprie capacità e conoscenze per il raggiungimento di uno scopo comune
  • AI significherà anche riconoscimento vocale e di immagini. Se il trend dello smart working e della didattica a distanza continuerà ad essere così rilevante, le organizzazioni dovranno avere a disposizione strumenti sempre più evoluti che gli consentano di far interagire il loro staff, e che permettano di proseguire nelle pratiche di valutazione costante delle performance previste dalla loro azienda
  • L’intelligenza artificiale sarà etica, sia nella chiusura del divario in materia di gender gap sia nell’attenzione a problemi come disparità sociali e diversità: l’AI e la raccolta di dati sono imparziali e trasparenti.

Considerato il generale incremento dell’adozione dell’intelligenza artificiale, sia le più grandi software house mondiali sia i produttori di componentistica hardware sono sotto i riflettori: se vogliamo che l’AI sia adottata a tutti i livelli è necessario che la tecnologia che lo rende possibile sia all’avanguardia.

Ci basti pensare a come è cambiata la nostra vita nell’ultimo anno con un’attenzione spasmodica allo shopping online, all’automazione e controllo a distanza di device o assistenti virtuali o all’accessibilità a distanza di servizi pubblici e di pubblica utilità.

Non dimentichiamo che qualsiasi sistema di IoT o di intelligenza artificiale basa il suo comportamento sui dati raccolti; è importante che la qualità delle informazioni raccolte, la modalità e la sicurezza siano sempre al primo posto.

Affrontare il discorso AI dal punto di vista del Marketing ha molta importanza, grazie alla possibilità di conoscere le abitudini di consumo del proprio target cliente o del singolo individuo per  creare esperienze di acquisto uniche e di valore: compromettere la fiducia del consumatore perché i suoi dati personali sono stati ceduti a terzi senza un apparente consenso può essere questione di vita o di morte per un brand.

Intelligenza artificiale ed intelligenza umana come andare d’accordo

Lo abbiamo già detto nell’introduzione, il comparto AI sarà il settore economico più ricco da qui al 2023 e gli AI specialist saranno i lavoratori più pagati del prossimo futuro.

Nello specifico, il trend si svilupperà in diversi ambiti, tra i quali:

  1. Iperautomazione, cioè la possibilità di automatizzare i processi attraverso un’intelligenza artificiale: dalla produzione al customer care, ma anche la gestione del tempo aziendale dei lavoratori o le loro procedure standard
  2. Chabots e assistenti vocali, la possibilità di programmare un’intelligenza artificiale in grado di risolvere i problemi basici di customer care, anche fuori dall’orario di lavoro, oltre che di coordinarsi con il team per intervenire in maniera efficace solo sui problemi più complessi con il vantaggio di non perdere mai l’interazione con il cliente
  3. Etica, cioè l’applicazione, seppur esaltata, dell’intelligenza artificiale dal punto di vista etico. Il consumatore se lo aspetta da ogni brand.
  4. Applicazione di AI anche nello spazio di lavoro, sempre più fluido e smart con tecnologie che permettano ai collaboratori di lavorare da qualsiasi parte del mondo e che rendano il lavoro anche misurabile e le informazioni condivise
  5. Raccolta dati, i dati raccolti saranno la nuova ricchezza del futuro. Banche dati in materia di comportamento d’acquisto e tracciabilità di ogni singolo consumatore potrebbero essere il vero punto di partenza per il successo o il fallimento di nuove startup
  6. Sviluppo di chip e hardware in grado di elaborare efficacemente ed efficientemente la nuova mole di dati raccolti
  7. Cybersecurity, un sistema governato dall’intelligenza artificiale deve essere in grado di individuare, governare, eliminare eventuali minacce per i dati raccolti

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Lo scenario che ci troviamo davanti sembra chiaro: nel mondo del lavoro del futuro non esisterà professione che possa fare a meno dell’AI. Ogni lavoratore si troverà a collaborare con un’intelligenza artificiale in maniera più o meno intensa, quindi anche i leader del futuro dovranno conoscere e utilizzare l’intelligenza artificiale nella propria azienda.

Da qui assisteremo ad un cambio delle gerarchie e del tessuto delle organizzazioni stesse: i processi e le procedure base saranno portate a termine da meccanismi automatizzati e artificialmente intelligenti, mentre le persone e il team saranno il vero valore aggiunto dei brand.

La nuove soft skills, quello che il nostro cervello deve imparare se vuol differenziarsi

Se da una parte lo scenario punta a privilegiare la conoscenza e l’esperienza al solo titolo accademico, dall’altra parte, secondo il World Economic Forum, circa il 50% dei lavoratori attivi dovrà aggiornare le proprie competenze entro il 2025, sviluppando tutte quelle soft skill che li differenzieranno dall’intelligenza artificiale.

Tra le più richieste troviamo: intelligenza laterale, problem solving, resilienza, creatività, risposta positiva allo stress e flessibilità, capacità di lavorare in team e di apprendimento attivo nell’imparare a governare e applicare i diversi sistemi tecnologici e di intelligenza artificiale implementati nella propria azienda.

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Le persone dovranno essere pronte ad aggiornarsi in brevissimo tempo e le aziende dovranno strutturare corsi interni per garantire a tutti una giusta dose di formazione.

Niente scenario apocalittico o invasione robot con il genere umano in ostaggio: l’essere umano rimarrà ancora indispensabile, per lungo tempo.

Cos’è Clubhouse, il social audio su invito amato da VIP e Venture Capitalist

  • Il nuovo social di contenuti audio raggiunge valutazioni stellari e insolite per un startup in questa fase della sua vita
  • Parte del suo successo è sicuramente dovuta all’alto tasso di VIP tra gli iscritti
  • Non si può accedere a Clubhouse senza invito ma si può “prenotare” il nickname

 

Clubhouse è il nuovo il social che contiene esclusivamente contenuti audio. Non è però probabile che tu lo stia già usando, perché una delle caratteristiche più interessanti di questa social app è l’esclusività. Al momento, infatti, puoi accedere alla piattaforma esclusivamente su invito, anche se è possibile iniziare a registrarsi con l’account che si vorrà utilizzare una volta invitati.

Cos’è Clubhouse

Clubhouse è una piattaforma di social media basata sui contenuti audio, una sorta di podcast interattivo in tempo reale. Le conversazioni sono organizzate in chat tematiche tra le quali si può navigare e si può scegliere di partecipare alla conversazione o limitarsi ad ascoltare. Le chat possono anche essere create dagli iscritti al servizio.

cos'è clubhouse

Questo tipo di format diventa particolarmente adatto a sviluppare discussioni di gruppo ma anche opportunità di networking attraverso interazioni che simulano quelle della vita reale confrontandosi, raccontando storie, sviluppando idee e incontrare nuove persone da tutto il mondo. Alcuni moderatori, infatti, assumono sempre più le caratteristiche tipiche degli influencer che siamo ormai abituati a vedere su altre piattaforme.

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Una caratteristica importante è che “quello che viene detto su Clubhouse, rimane su Clubhouse”. Non è infatti possibile scaricare o condividere le conversazioni e i file audio ed è una pratica vietata dalle policy della piattaforma.

Chi ha creato Clubhouse e perché vale così tanto

Clubhouse, è stata sviluppata dall’imprenditore della Silicon Valley Paul Davison e dall’ex dipendente di Google Rohan Seth. A maggio 2020, nonostante potesse contare su soli 1500 iscritti, è stata valutata circa 100 milioni di dollari  (secondo CNBC) e ha ricevuto circa 12 milioni di dollari di finanziamento da Andreessen Horowitz, continuando a crescere.

Sebbene attualmente l’app possa essere utilizzata solo da utenti iPhone, la sua espansione non tarderà ad arrivare. Una stima del genere è però abbastanza insolita per una startup in questa fase della sua “vita” e riflette un ampio aumento delle valutazioni per le aziende tecnologiche private in rapida crescita, anche se la piattaforma non genera entrate e non può contare su un modello di business ben definito.

Andreessen Horowitz dovrebbe guidare un eventuale round di Serie B dopo aver guidato il precedente round di Serie A, quando ha battuto sul tempo alcune delle più grandi aziende di venture della Silicon Valley. I rivali Sequoia Capital, Benchmark, e Lightspeed Venture Partners si stanno muovendo per investire nel potenziale nuovo round, ma è anche possibile che l’accordo non si concluda o che si arrivi a una valutazione inferiore a 1 miliardo di dollari.

Il vivo interesse dei venture capitalist per Clubhouse è scaturito anche dal fatto l’app ha fornito uno sbocco sociale virtuale ad alcune persone durante la pandemia. La scommessa è se la piattaforma continuerà ad attrarre nuovi utenti quando la gente potrà tornare a incontrarsi di persona.

Chi lo usa: lo start con i VIP

Una delle ragioni della sua grande popolarità (e della conseguente crescita degli investimenti) è la forte presenza di celebrità tra gli iscritti.

Saltando da una chat all’altra, potresti imbatterti nelle conversazioni di gente come Oprah Winfrey, Drake, Chris Rock e Ashton Kutcher. Immagina quindi di poter partecipare a conversazioni schiette e dirette con persone famose e personaggi influenti. Inutile negare che questo presupposto attribuisce parecchio fascino alla piattaforma emergente.

Attori e musicisti non sono i soli personaggi di interesse iscritti alla piattaforma: noti venture capitalist sono stati tra i primi grandi nomi ad abbracciare l’app l’anno scorso, ma la sua base di utenti da allora si è ampliata per includere politici e altre personalità influenti. Una recente conversazione in streaming tra il procuratore distrettuale di San Francisco, Chesa Boudin, e alcuni dei suoi detrattori ha attirato migliaia di ascoltatori.

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Oltre alle celebrities, l’app è apparentemente focalizzata su un target considerato di élite. È infatti diventato in breve tempo una sorta di status symbol per le persone della Silicon Valley, anche per l’esclusività legata alla necessità dell’invito per cominciare a utilizzarla. Secondo Taylor Lorenz del New York Times, dai primi 1.500 iscritti di maggio, l’applicazione ha raggiunto i 600.000 utenti a dicembre e starebbe iniziando a corteggiare diversi influencer, anche se fonti vicine all’azienda parlano di un numero di iscritti vicino ormai ai 2 milioni.

clubhouse

Come ottenere un invito a Clubhouse

Come detto in apertura, non è ancora possibile entrare in Clubhouse senza un invito, ma i possessori di iPhone possono intanto scaricarla e “prenotare” un nome utente. Secondo i creatori dell’app, l’apertura al grande pubblico è prevista ma è stata rallentata principalmente per due motivi, cioè costruire la community lentamente e osservare le caratteristiche che saranno utili a gestire un maggior numero di persone.

Stiamo costruendo Clubhouse per tutti e stiamo lavorando per renderla disponibile al mondo il più rapidamente possibile“, si legge sul sito dell’app.

digital tool

SentiOne, PocketTube e Bufferi, i digital tool della settimana

I marketer di oggi vivono di strumenti digitali: alcuni servono per facilitargli la vita gestendo più task contemporaneamente, altri li aiutano a collaborare in modo più efficiente con il team. Altri ancora, a trovare l’ispirazione per non essere mai banali.

Il fatto è questo (e non si può negare): se lavori nel marketing digitale, cerchi costantemente il tool giusto per te. E noi vogliamo aiutarti a trovarlo con questi consigli sui digital tool.

Social linstening

digital tool

Social listening. L’ascolto dei social media è essenziale per costruire strategie efficaci, ma non è sempre così semplice da attuare. SentiOne usa l’intelligenza artificiale per portare questa attività a un livello completamente nuovo, aiutando a cogliere il contesto online e a rispondere più velocemente ai messaggi dei clienti, utilizzando un assistente guidato dall’AI.

Digital tool per la condivisione

Condivisione di documenti interattiva. Qualsiasi azienda oggi lavora in modo collaborativo e anche gli strumenti utilizzati devono stare al passo coi tempi. Bit.ai consente di creare documenti condivisi interattivi nei quali aggiungere qualsiasi tipo di contenuto digitale.

Tool per organizzare i contenuti

Un po’ di ordine su YouTube. Se passi tante ore a guardare contenuti sulla piattaforma, abbonandoti a tanti canali, probabilmente anche tu finisci col non ritrovare più ciò che ti serve. Con PocketTube puoi ordinare i tuoi canali preferiti in cartelle e personalizzare le tue collezioni video.

Digital tool per un copy perfetto

digital tool

Trovare l’ispirazione. Scrivere ogni giorno social post, copy per l’advertising, testi per l’email marketing può essere sfiancante e causare il blocco dello scrittore. Con GetMeCopy scegli la finalità del tuo messaggio e, grazie a un editor intuitivo, inizi subito a comporre i tuoi testi passo passo, sfruttando i suggerimenti della piattaforma. Da provare, per ora solo in versione desktop.

Ottimizzare i tempi

digital tool bufferi

Come saltare l’ennesima call. Annoiati dalle infinite videochiamate di lavoro su Zoom? Bufferi è lo strumento che ti aiuta a fingere una cattiva connessione su Zoom, per evitare domande scomode, o sottrarti alla riunione delle 18 del venerdì. Buon divertimento!

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Joe Biden

Cosa cambia per l’industria tecnologica americana con la vittoria di Biden

Secondo alcune voci di corridoio, ancora prima che Joe Biden si assicurasse la vittoria nelle elezioni presidenziali americane, il suo staff si stava mettendo in contatto con i dirigenti dell’industria tecnologica americana cercando un dialogo, in previsione di rimodellare le politiche del Paese su alcuni aspetti legati a internet e alle telecomunicazioni.

La campagna di Biden ha segnato una significativa inversione di tendenza rispetto agli ultimi quattro anni, durante i quali il Presidente uscente Trump ha spesso rincorso diverse occasioni per farsi ritrarre insieme ai big del tech senza però instaurare un vero confronto con loro e senza prendere in considerazione le loro opinioni su temi chiave come l’immigrazione e le politiche commerciali.

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La vittoria di Biden, dopo diversi giorni di incertezza durante il conteggio dei voti negli stati a rischio, ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai dipendenti di tutto il comparto tecnologico, che hanno sostenuto in modo schiacciante il candidato democratico, come hanno fatto nella maggior parte delle elezioni passate. Il Presidente sta infatti integrando nel suo staff diversi esperti del mondo tech.

L’opinione diffusa è che la nuova amministrazione prenderà seriamente il suo ruolo di regolatore e gli investitori e le imprese non dovrebbero trascurare la rapidità con cui il presidente Biden si muoverà sulla politica, soprattutto per quanto riguarda il futuro del lavoro e la ripresa dell’economia americana.

I discorsi di Biden durante la sua campagna hanno offerto la speranza di un ritorno a una formulazione più sistematica delle politiche, basata sulla costruzione del consenso degli attori in gioco. Le politiche dell’amministrazione Trump, al contrario, spesso sembravano essere progettate per danneggiare singole aziende che il Presidente non vedeva di buon occhio o, al contrario, favorire quelle che considerava dalla sua parte.

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Uno dei casi più noti si è verificato quando Amazon aveva sostenuto che Trump avesse sollecitato impropriamente il Pentagono a scegliere Microsoft (invece di Amazon Web Services) per un contratto di cloud computing da 10 miliardi di dollari. Va specificato che il fondatore della piattaforma di eCommerce, Jeff Bezos, è anche il proprietario del Washington Post, spesso tacciato di essere ingiustamente critico nei confronti di Trump, proprio dal Presidente.

Ci si aspetta, quindi, che Biden operi una rottura netta con alcune delle politiche di Trump, come l’inversione dei tagli alle tasse per le aziende. Altre politiche, come le rigide regole dell’antitrust nei confronti delle grandi aziende tecnologiche e la riforma della Sezione 230, che le protegge dalle cause sui contenuti pubblicati online dai propri iscritti, potrebbero invece vedere un certo livello di continuità tra le amministrazioni Trump e Biden.

Dopo quattro anni di ostinato negazionismo di Trump, pensiero magico e danni economici, Biden promuoverà il rigore politico, lo spirito pubblico e l’ingegnosità del settore privato per lavorare insieme per soluzioni innovative. Sarà un lavoro duro, ma possiamo aspettarci l’alba di una nuova era di dinamismo trainata dalla tecnologia degli Stati Uniti.

Ecco quindi le cinque politiche chiave che potrebbero essere fortemente influenzate dall’elezione del nuovo presidente.

Antitrust

L’applicazione antitrust alle grandi tecnologie è un campo d’azione su cui c’è un ampio sostegno bipartisan. I funzionari antitrust, sia al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sia alla Commissione Federale del Commercio (che sta attualmente valutando una causa contro Facebook) sono infatti professionisti slegati dalle interferenze politiche.

È quindi probabile che l’amministrazione Biden esorterà le agenzie dedicate a mantenere un approccio aggressivo nel perseguire i casi antitrust, proprio come ha fatto l’amministrazione Trump.

Inoltre, i procuratori generali degli stati democratici avranno più influenza in un’amministrazione Biden e la sua vittoria rende più probabile l’ipotesi che si uniranno alla causa del Dipartimento di Giustizia contro Google, forse aggravando le accuse secondo le quali Google avrebbe usato illegalmente la sua forza online per dominare il mercato della pubblicità digitale

Ma i procuratori generali democratici avrebbero potrebbero attivare potenziali azioni antitrust federali anche contro Amazon, Apple e Facebook. L’obiettivo dichiarato era rendere più complicato per le piattaforme dominanti come Facebook o Google l’iter per ottenere l’approvazione per l’acquisizione di aziende più piccole e rendere più facile perseguire le imprese che violano le leggi antitrust.

Sezione 230

Mentre Biden ha già specificato di voler riformare la Sezione 230, la sua amministrazione probabilmente non sarà aggressiva come Trump nei confronti della legge.

L’ex Presidente aveva avviato “una guerra burocratica” sulla Sezione 230 con un ordine esecutivo che indirizzava il Dipartimento di Giustizia, il Dipartimento del Commercio, la Federal Communications Commission e la Federal Trade Commission a prendere provvedimenti per indebolire le protezioni legali delle piattaforme tecnologiche. L’azione era però motivata, in parte, dalla sua opinione che Facebook, Twitter e altri social media fossero impegnati nella censura selettiva delle voci conservatrici.

È probabile che Biden revochi gli ordini di Trump o spinga le varie agenzie a non intervenire sulla questione. Biden è stato membro del Senato per 36 anni e non è probabile che appoggi gli sforzi di Trump nell’usare le agenzie federali per minare l’autorità del Congresso nell’approvazione delle leggi. Tuttavia, se il Congresso approverà le riforme della Sezione 230, cosa che sembra probabile, ci si può aspettare che Biden le firmi convertendole in legge.

bytedance tiktok

Ci sarà probabilmente un accordo bipartisan su riforme che ridimensionano alcune delle protezioni della Sezione 230“, ha detto Bruce Mehlman, un lobbista la cui impresa lavora con aziende tecnologiche come Zoom e ByteDance. Secondo Mehlman, le piattaforme tecnologiche potrebbero essere costrette a rimuovere alcuni tipi di contenuti, ad esempio quelli relativi alla vendita di droghe illegali.

Immigrazione

L’approccio di Trump all’immigrazione ha infiammato l’industria tecnologica più di tutte le sue politiche. La sua amministrazione ha fatto il possibile per fermare il flusso di cittadini stranieri negli Stati Uniti e questo ha avuto un impatto diretto sull’industria.

L’Information Technology Industry Council, un gruppo commerciale tecnologico con sede a Washington, si aspetta che Biden annulli una serie di ordini esecutivi legati all’immigrazione emessi da Trump. Inoltre, il gruppo spera anche che Biden riveda i programmi di visto per non immigrati per soddisfare meglio la domanda del mercato del lavoro.

La “cosa più veloce da fare, e vedrete che Biden lo farà immediatamente, è stralciare le politiche di immigrazione di Trump e rendere il reparto tecnologico molto felice“, ha dichiarato Jim Messina, un ex assistente del Presidente Barack Obama, ora consulente di aziende tech.

Biden probabilmente sosterrà anche una legislazione come il Fairness for High-Skilled Immigrants Act, che renderebbe più facile per la Silicon Valley reclutare lavoratori nel settore dell’informatica. Sembra che il disegno di legge favorisca in particolare il grande numero di lavoratori provenienti dall’India in attesa della green card, il documento  che permetterebbe loro di rimanere permanentemente negli Stati Uniti.

Il disegno di legge rimuoverebbe il limite di green card a disposizione di ogni paese, consentendo ai molti impiegati indiani nell’industria tecnologica statunitense di assicurarsi il permesso per rimanere negli USA.

Tasse

inauguration day - joe biden

Una delle differenze più nette tra Biden e Trump è nel loro approccio alle tasse. Trump ha puntato alla più grande riforma del sistema fiscale dagli anni ’80, tagliando l’aliquota dell’imposta sulle società dal 35% al 21%. La riforma fiscale di Trump ha anche rivisto la tassazione personale, tagliando le aliquote per gli scaglioni più alti, dal 39,6% al 37%.

All’esatto opposto, Biden prevede di aumentare le tasse per chiunque guadagni più di 400.000 dollari e di riportare le imposte patrimoniale ai livelli precedenti. Tuttavia, un Senato repubblicano renderebbe difficile, se non impossibile, far passare modifiche fiscali significative.

Commercio

Il primo compito per il neo Presidente nell’ambito degli scambi internazionali sarà quello di tentare di ricucire il rapporto degli Stati Uniti con la Cina. Ovviamente, continuerà a “fare pressione”, ma abbandonando l’approccio unilaterale alla “guerra commerciale” del suo predecessore e concentrandosi invece sull’arruolamento di alleati come il Giappone e l’Europa per contrastare la crescente influenza economica globale cinese.

Biden adotterà un approccio più sistematico nei confronti della politica cinese degli Stati Uniti, che prima pareva concentrarsi sulle singole aziende, vedi ByteDance e Huawei, invece che su obiettivi commerciali più ampi.

Microsoft - Didattica in atto

Microsoft Italia lancia Didattica in Atto, un progetto eLearning per i docenti

Microsoft Italia ha presentato il 20 gennaio Didattica in Atto, progetto per la formazione online on-demand rivolta a tutti quei docenti che vogliono approfondire la conoscenza e l’utilizzo delle soluzioni Microsoft per la didattica digitale.

L’annuncio è avvenuto in occasione di BETT, l’evento internazionale online in programma fino al 22 gennaio dedicato alle tecnologie per il mondo dell’educazione.

Didattica in Atto: l’impegno di Microsoft durante la pandemia

In un momento in cui le restrizioni a causa della pandemia rendono il rientro a scuola ancora incerto, Microsoft Italia, dopo aver formato 140.000 docenti dall’inizio dell’emergenza sanitaria, conferma il proprio impegno nel sostenere i docenti italiani attraverso tecnologie e formazione completamente gratuiti e aiutarli così a garantire continuità didattica ai nostri studenti.

didattica in atto Microsoft

L’iniziativa si traduce in un programma di apprendimento online che consente agli insegnati di accedere con facilità a tutorial on-demand, a guide di studio pratiche e scaricabili e a un calendario di webinar disponibili online sul Microsoft Educator Centre con consigli e buone pratiche per una didattica digitale efficace e coinvolgente, testimonianze di esperti del mondo della scuola, e video pillole sull’utilizzo di Office365 Education A1, ovvero il pacchetto di programmi e applicazioni, disponibili sempre gratuitamente, in grado di trasformare la propria classe in un’aula digitale collaborativa.

Tra i contenuti formativi realizzati direttamente dai MIE Expert, ovvero i docenti innovatori italiani che già padroneggiano le soluzioni Microsoft, attività dedicate per esempio all’uso di Microsoft Teams, l’hub digitale che consente di creare aule virtuali di collaborazione, dove è possibile vedere il proprio insegnante e seguire la lezione, interagire con lui e con i compagni, e suggerimenti sull’utilizzo dei Learning Tools ovvero tutti quegli strumenti per migliorare le competenze di lettura e scrittura per gli studenti con disturbi dell’apprendimento, in chiave accessibilità, affinché la tecnologia possa essere il motore per una società più inclusiva.

LEGGI ANCHE: Amazon, Microsoft e le altre big che hanno scelto il remote working

Oltre 1 milione di insegnanti in tutto il mondo

Didattica in Atto si aggiunge ai già numerosi contenuti digitali che Microsoft ha messo a disposizione gratuitamente per tutti gli insegnanti per aiutarli a ripensare alla didattica in chiave digitale, e che nell’ultimo mese sono stati fruiti da oltre 1 milione di insegnanti in tutto il mondo.

Questo percorso di formazione online offre inoltre la possibilità ai partecipanti di ottenere un attestato finale di partecipazione che consente ai docenti che si avvicinano per la prima volta alle tecnologie Microsoft di diventare MIE Certified e unirsi alla rete di apprendimento professionale globale di educatori digitali.

“In attesa che si possa tornare in aula in piena sicurezza, che auspichiamo possa avvenire il più presto possibile, con Didattica in Atto ci proponiamo di gettare le basi per una didattica che potrà risultare efficace anche in futuro. Mi auguro infatti che presto si possa parlare non di didattica a distanza come alternativa alla scuola in presenza, ma di una vera e propria didattica ibrida, dove il digitale si integra e non si sostituisce alle lezioni in presenza e contribuisce in modo complementare all’apprendimento dei nostri ragazzi. Sono convinta che fisico e digitale possano coesistere in modo sinergico ed efficace” ha commentato Elvira Carzaniga, Direttore Education Microsoft Italia.

startup automotive italia

A che punto sono le startup italiane dell’Automotive

  • L’ecosistema delle startup italiane è in continua evoluzione, dal nord al sud dell’Italia
  • La transizione energetica e l’evoluzione degli stili di vita favoriti dalla digitalizzazione hanno incentivato l’innovazione del settore automobilistico
  • La pandemia non ha rallentato la nascita delle imprese italiane innovative grazie anche al programma sponsorizzato dal Governo Italiano nel giugno del 2020

 

Le startup emiliane e campane guidano l’evoluzione dell’industria automotive in Italia. Infatti, è nato a Modena il Motor Valley Accelerator: il primo acceleratore italiano dedicato al settore automotive, frutto di un’operazione congiunta del Fondo Acceleratori di Cdp Venture Capital Sgr – Fondo Nazionale Innovazione, Fondazione di Modena e UniCredit, con il fondamentale supporto di Crit e Plug and Play, la più grande piattaforma di Open Innovation al mondo.

Il progetto è stato ribattezzato Motor Valley Tech e ha l’obiettivo di movimentare complessivamente 20 milioni di euro. L’obiettivo è sostenere le migliori nuove idee imprenditoriali (early stage) e mettere in contatto aziende strutturate con quelle più giovani su progetti innovativi (scale up).

L’inaugurazione dello “Spazio CDP” a Modena, avvenuta in forma virtuale nel pieno rispetto dell’ultimo Dpcm, è stata dunque anche occasione per annunciare l’avvio del Fondo “Mobility & Digital Acceleration” e dell’acceleratore Motor Valley Accelerator.

Il piano, compreso tra le iniziative del “Fondo Acceleratori” gestito da CDP Venture Capital SGR, si propone di favorire lo sviluppo di startup innovative nel settore automotive e mobility, nonché la creazione e lo sviluppo di ulteriori programmi di accelerazione in ambiti sinergici e complementari collegati alla mobilità. Con particolare attenzione ai temi dell’innovazione e della sostenibilità.

startup dell'automotive, nel modenese si va a passo spedito

Il Motor Valley Accelerator è frutto di un’operazione congiunta del Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital Sgr – Fondo Nazionale Innovazione, Fondazione di Modena e Unicredit, con il fondamentale supporto di CRIT, broker tecnologico modenese.

«Siamo orgogliosi di essere stati scelti da Cdp, Fondazione di Modena e Unicredit per gestire questo importante programma nazionale dedicato alla mobilità – ha dichiarato  Marco Baracchi, Direttore Generale del Crit – Penso che la nostra conoscenza tecnologica e la nostra propensione ad applicazioni concrete dovuta all’abitudine a lavorare con il mondo industriale possano essere di grande valore per questa iniziativa. Abbiamo poi scelto come partner Plug and Play Italy perché ci sono sembrati i più adatti a supportarci, in quanto leader mondiali nell’Open Innovation e con una esperienza specifica di successo con le startup automotive sviluppata in altri acceleratori internazionali, come Startup Autobahn a Stoccarda».

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In Campania c’è il più alto tasso di startup dell’Automotive

Nella mobilità del futuro, l’Italia in generale vanta aziende di profilo internazionale come Motor K Italia, che con le sue piattaforme digitali dedicate all’automobile, serve il 90% dei produttori di veicoli a livello globale. Il comparto del trasporto è quindi tutt’altro che fuori dai radar degli investitori, le venture capital fanno a gare nel finanziare i progetti italiani più validi come 2hire, Brumbrum, Goodbuyauto.

Il settore automobilistico italiano è inoltre in fermento costante: l’evoluzione tecnologica dell’auto, spinta dalla transizione energetica verso l’elettrico al 100%, la profonda trasformazione della mobilità (smart mobility) e anche lo sviluppo e la gestione della rete elettrica del futuro (smart grid), sono il fertile terreno dove attecchiscono numerose startup italiane. La Regione Campania, in particolare, risulta essere una delle regioni a più alto tasso di nascita di startup, finanziate dal Fondo nazionale innovazione, gestito dal Ministero dello sviluppo economico e dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Nel ramo delle quattro ruote nascerà presto uno stabilimento produttivo di motori elettrici da competizione. A realizzarlo saranno la società pisana Mazzanti Automobili e la società d’ingegneria e consulenza Netcom Group di Napoli.
L’unione delle due imprese internazionali darà vita alla startup Mazzanti Automotive Testing & Innovation Lab, a cui partecipano anche le aziende spin-off dell’Università di Salerno eProInn ed ePowering.
In ambito nazionale, tra le startup dell’auto più in vista c’è certamente Brumbrum, che nel 2019 ha raccolto 20 milioni di euro di investimento in un solo round.

Startup dell’Automotive all’insegna degli investimenti

L'innovazione delle startup passa dagli investimenti

Autotarget è invece una società di marketing dedicata alle concessionarie, nata dall’inventiva di studenti universitari della Ca’ Foscari di Venezia, con un investimento di soli 50mila euro è ora parte di un più ampio progetto dedicato alla digitalizzazione dei servizi.
Nella nicchia (forse ancora per poco) dell’acquisto e noleggio dei veicoli elettrici, infine, troviamo Evtrip, una società di installazione dei punti di ricarica auto elettriche, la cui applicazione mobile segnala agli automobilisti la presenza di colonnine di ricarica in tutta Europa.

La transizione energetica e l’evoluzione degli stili di vita favoriti dalla digitalizzazione, che cambia il nostro modo di lavorare e di gestire i rapporti personali, assieme alla rivoluzione dell’infrastruttura elettrica sono i “fertilizzanti naturali” del settore dell’automobile del domani. L’investitore è chiamato, o può essere parte attiva del cambiamento studiando e selezionando le giuste startup italiane e regionali in cui investire.

Il software automotive di MegaRide si aggiudica il premio per le startup “evolute”

MegaRide, letto all’italiana, è il nome dell’isola del primo insediamento greco in territorio partenopeo. Letto all’inglese è uno spinoff accademico dell’Università di Napoli Federico II specializzato nella simulazione in ambito automotive, ed è la società che si è aggiudicata la 14° edizione dell’Italian Master Startup Award, premio promosso dall’Associazione Italiana Incubatori Universitari PNICube e organizzato quest’anno dall’Università degli Studi di Verona, che va a riconoscere gli effettivi risultati conseguiti dalle startup nate dalla ricerca accademica nei loro primi anni di vita, creando allo stesso tempo un importante ponte con il mondo degli investitori.

MegaRide nasce nel 2016 come software house, testing center, smart mobility provider, con l’obiettivo di diventare punto di riferimento nello sviluppo di modelli avanzati per la simulazione in real-time di dinamica veicolo su strada, nei settori automotive e motorsport, e nella fornitura di prodotti software per l’ottimizzazione delle prestazioni dei veicoli e della mobilità smart.

Fin dai primi passi si è interfacciata con i principali contesti automobilistici e motorsport mondiali e, oltre al mercato tedesco, sta ora sviluppando crescenti connessioni con Asia, Gran Bretagna e Spagna.

Fattore chiave per le startup dell’Automotive: sinergia con il mondo universitario

startup dell'automotive e università

«Tra i fattori chiave di successo della nostra startup – ha detto il Ceo e co-founder Flavio Farronila profonda sinergia con il comparto di ricerca della Federico II, l’investimento in talenti sul territorio e la promozione di una crescita organica che ha portato, nel 2019, a un fatturato di circa 1 milione di euro, senza ricorrere a debito bancario o cessione di equity».

Una menzione speciale è stata assegnata a Nito (i3P Politecnico Torino) che si è distinta per la progettazione e lo sviluppo di soluzioni di mobilità sostenibile.

CarPlanner: la startup che utilizza chatbot per il noleggio auto

CarPlanner, la società guidata da Marta Daina, ha creato un marketplace digitale che permette in modo semplice e veloce di noleggiare un’auto.

Si tratta di una piattaforma digitale che dal 2015, grazie ai propri strumenti di ricerca e comparazione, consente agli utenti di trovare l’auto che meglio si adatta alle proprie esigenze. Allo stesso tempo rende possibile cercare le offerte più competitive sul mercato, sia per l’acquisto sia per il noleggio a lungo termine. Il tutto grazie all’utilizzo di Chatbot.

Grazie ad algoritmi di Intelligenza Artificiale, il chatbot di CarPlanner “studia” la sostenibilità finanziaria del canone mensile di noleggio. In caso di insostenibilità, suggerisce all’utente l’auto e l’offerta più adeguata al suo profilo.

Tutto questo accade in tempo reale, guidando l’utente verso la migliore scelta possibile e con un processo quasi interamente digitale. Con un notevole risparmio di tempo.

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Silla Industries, startup veneta che vuole rivoluzionare la mobilità elettrica

La mobilità elettrica è il futuro? Le startup dell'automotive

Il panorama delle start-up italiane per il trasporto si arricchisce di una nuova impresa. Si tratta di Silla Industries, azienda padovana fondata da Alberto Stecca e Cristiano Griletti che punta a rivoluzionare il settore della e-mobility.

La prima soluzione proposta da Silla Industries è Prism Solar, prodotto sviluppato in collaborazione col gruppo Energetica di parma che è arrivato alla finale dell’Hackaday Prize 2019.

Si tratta di un caricatore universale, con tutti i veicoli elettrici provvisti di connettore di Tipo2 (lo standard europeo per la ricarica di veicoli completamente elettrici e ibridi plugin) che permette di gestire in maniera intelligente l’energia prodotto dall’impianto fotovoltaico, sfruttando l’eccesso di produzione per caricare la vettura elettrica invece di cederlo alla rete.

Prism Solar consente di configurare il bilanciamento dei carichi per integrare la produzione dell’impianto fotovoltaico con un minimo di energia prelevato dalla rete quando la produzione solare è minore, ad esempio in inverno, oppure non sufficiente per la ricarica dell’auto elettrica. In assenza di pannelli fotovoltaici, programma la ricarica selezionando le tariffe orarie più convenienti.

È in grado di gestire la potenza disponibile del contatore di casa, senza mai superarla, regolando automaticamente la carica erogata alla vettura per evitare cali di tensione e blackout.

Ecosistema startup in crescita, vediamo i numeri

Al termine del 3° trimestre del 2020 il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del registro delle imprese era di 12.068, in aumento di 572 unità (+5%) rispetto al trimestre precedente.

Per quanto riguarda la distribuzione per settori di attività, il 73,6% delle startup innovative fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti specializzazioni: produzione di software e consulenza informatica, 35,9%; attività di R&S, 13,7%; attività dei servizi d’informazione, 9,1%), il 17,7% opera nel manifatturiero (su tutti: fabbricazione di macchinari, 3,1%; fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 2,8%;), mentre il 3,2% opera nel commercio.

Dunque la pandemia non ha rallentato la nascita delle imprese italiane innovative grazie anche al programma sponsorizzato dal Governo italiano nel giugno del 2020, che prevede un investimento di 1 miliardo di euro e la creazione di una divisione dedicata all’ecosistema delle startup. Inoltre, il Ministero dello Sviluppo Economico ha lanciato l’Italian Startup Act per promuovere incentivi fiscali su investimenti e attività di ricerca e sviluppo.