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TikTok non è ancora fuori pericolo: l’affare Oracle resta in sospeso

Secondo le ultime notizie, TikTok non sarebbe ancora fuori pericolo e ci sono voci contrastanti rispetto all’accordo con Oracle e Walmart.

Sabato, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dichiarato ai giornalisti di aver dato “la sua benedizione” all’accordo Oracle-lead per le operazioni di TikTok negli Stati Uniti, il che era stato sufficiente perché TikTok rilasciasse due dichiarazioni ufficiali sul fatto che l’applicazione era “qui per restare”.

L’approvazione verbale del Presidente sembrava essere il passo finale del processo di negoziazione – ma poi, domenica, a seguito di una dichiarazione ufficiale della società madre di TikTok, ByteDance, le cose sono diventate un po’ più nebulose sulle specifiche dell’accordo proposto.

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Cosa è successo negli Stati Uniti

1. Il problema dell’algoritmo

Innanzitutto, ByteDance ha chiarito che non trasferirà algoritmi e/o tecnologie a Oracle, o a qualsiasi altra società statunitense, come parte dell’accordo.

“Il piano attuale non prevede il trasferimento di algoritmi e tecnologie. Oracle ha l’autorità di controllare il codice sorgente di TikTok USA”, ha dichiarato ByteDance.

Oracle e i suoi partner del consorzio saranno cioè in grado di utilizzare il codice sorgente come punto di riferimento, ma avranno bisogno di sviluppare un nuovo algoritmo unico per la piattaforma – cosa che potrebbe essere problematica.

L’algoritmo di TikTok, che tiene gli utenti incollati all’app, è visto come una componente chiave del successo della piattaforma, e se Oracle, che non ha esperienza di social media, sarà costretta a riscrivere o ricreare una versione propria della piattaforma, questo potrebbe avere un impatto importante sulle sue prestazioni.

2. I limiti imposti dalle leggi cinesi

ByteDance, dall’altra parte, è limitata in ciò che può trasferire a causa delle nuove leggi cinesi sul trasferimento di tecnologia, inclusi gli algoritmi, negli accordi di commercio estero, ma l’intesa iniziale era che, facendo in modo che ByteDance mantenesse la proprietà della piattaforma, Oracle e Co. avrebbero potuto essenzialmente concedere in licenza il codice sorgente, che avrebbe soddisfatto i requisiti legali.

E questo è solo il primo potenziale ostacolo per il nuovo accordo.

3. Il vincolo del fondo americano per l’istruzione

Oltre a questo, ByteDance ha anche dichiarato di non essere a conoscenza dell’affermazione del presidente Trump che avrebbe investito 5 miliardi di dollari in un nuovo fondo americano per l’istruzione come parte dell’accordo.

Quando originariamente aveva annunciato l’azione del governo contro TikTok, il presidente Trump aveva chiesto che il Tesoro degli Stati Uniti ricevesse una qualche forma di pagamento per facilitare l’eventuale acquisizione, ma il trasferimento al governo di una compensazione diretta da accordi commerciali non è possibile secondo la legge statunitense.

Il fondo per l’istruzione di 5 miliardi di dollari sembrava un modo per soddisfare indirettamente questa richiesta. Secondo quanto riferito, Trump intende utilizzare i fondi per creare una nuova “commissione patriottica per l’istruzione” che aiuti a ristabilire l’orgoglio e l’identità nazionale.

Ma ByteDance ha affermato di non aver incluso tale transazione nel suo accordo.

Questo, a quanto pare, è un altro elemento che è ancora in via di definizione.

4. Il problema della proprietà di TikTok negli USA

Ma il più grande ostacolo potenziale per l’accordo Oracle/TikTok finora è arrivato lunedì, quando il presidente Trump ha dichiarato che non avrebbe approvato alcun accordo per TikTok se la sua proprietà cinese non avesse venduto completamente il suo interesse nel prodotto.

L’attuale accordo, invece, vedrebbe Oracle e Walmart prendere una partecipazione del 20% in una nuova entità ‘TikTok Global’, che verrebbe separata da ByteDance e lanciata come nuova società indipendente il prossimo anno.

Quindi, in questo momento, TikTok resta ancora appeso a un filo negli Stati Uniti, mentre il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha prorogato di una settimana il termine per la rimozione dell’app dagli app store statunitensi (al 27 settembre).

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Cosa succederà a TikTok in Europa?

Con oltre 100 milioni di utenti e più di 1.600 dipendenti TikTok, l’Europa non è stata quasi mai menzionata in questa saga. Ma gli utenti, gli inserzionisti e i dipendenti di TikTok si staranno chiedendo come saranno colpiti.

Punto uno: meno di un mese fa si parlava di collocare la sede internazionale di TikTok a Londra, ma sembra sempre più improbabile.

“Supponendo che l’affare Oracle/Walmart vada in porto, allora la sede centrale di TikTok Global si troverà sicuramente negli Stati Uniti”, ha dichiarato Matthew Brennan, analista di social media con sede in Cina.

TikTok ha uffici a Parigi, Berlino e Dublino, ma Londra è il più grande hub di TikTok in Europa.

“Per Londra essere la sede centrale di un’azienda come TikTok sarebbe stato un bel colpo per la città, ma ahimè sembra che non lo sia” e avrebbe aumentato enormemente il prestigio della capitale in termini di attrazione di talenti tecnologici internazionali.

Il Regno Unito, infatti, si trova oggi ad affrontare una sorta di “fuga di tecnologia” mentre le aziende escono o cambiano strategia, ha detto alla CNBC Abishur Prakash, futurista geopolitico del Center for Innovating the Future.

Si tratta di molto di più di investimenti e posti di lavoro perduti. Ovunque si trovino queste aziende, daranno vita alla prossima generazione di ecosistemi e industrie.  Anche se non tutti sono d’accordo su queste osservazioni.

Punto due: in base all’accordo, i dati degli utenti U.S. TikTok dovrebbero essere memorizzati su server Oracle nei data center americani.

Attualmente gli utenti TikTok in Europa hanno i loro dati memorizzati su server negli Stati Uniti, con una copia di backup a Singapore. Chi gestisce questi server è meno chiaro e TikTok si è rifiutato di commentare.

Il mese scorso, comunque, prima di gran parte del caos, TikTok aveva annunciato la costruzione del suo primo centro dati europeo in Irlanda.

Quando sarà operativo, l’impianto da 420 milioni di euro (493 milioni di dollari) memorizzerà ed elaborerà i dati per tutti gli utenti europei di TikTok. Tuttavia, ciò non avverrà prima del 2022.

Punto 3: dal punto di vista pubblicitario, le aziende europee sono ancora desiderose di spendere su TikTok.

E anche i creator di TikTok continuano a crescere in Europa. Alcuni di loro perché sperano di assicurarsi una fetta dei 250 milioni di euro del “Creator Fund” che TikTok ha annunciato il 1° settembre. La società ha detto che il fondo è stato progettato per aiutare i creatori a trasformare la loro creatività in una carriera.

Un fondo simile esiste negli Stati Uniti e a livello globale TikTok prevede di erogare oltre 2 miliardi di dollari ai creatori nei prossimi tre anni, nel tentativo di raggiungere Instagram e YouTube.

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Social media e giornalismo: si può prevenire la polarizzazione? Le risposte di uno studio

  • Gli utenti online tendono a leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze. Di questo beneficia il populismo, che punta alla polarizzazione.
  • Uno studio pubblicato su Nature si chiede se il giornalismo può limitare la polarizzazione attraverso la scelta consapevole delle tecniche e delle tipologie dei contenuti.
  • Lo studio ha dimostrato che il fenomeno della polarizzazione è difficile da contenere, ma fornisce comunque alcuni spunti di riflessione per il mondo del giornalismo.

 

È ormai risaputo che gli utenti online tendono a selezionare e quindi leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze, unendosi quindi a gruppi che condividono una narrazione comune (echo chambers). Una dinamica che alimenta il tribalismo e non favorisce un dibattito informato, specialmente quando le questioni sono complesse e controverse. Una spirale di cui beneficia soprattutto la politica di stampo populista, accomunata dall’utilizzo intenzionale di un linguaggio infiammatorio e dalla diffusione di idee controverse per attirare l’attenzione e dividere l’elettorato in rozze guerre di “noi” contro “loro”.

Certo, l’attuale mercato pubblicitario online non aiuta. Anzi, favorisce le storie “acchiappa clic” (clickbaiting) e non distingue fra pubblicazioni autorevoli e contenuti deliberatamente faziosi e ingannevoli. E la stessa architettura algoritmica di Internet e dei social media tende a premiare materiale ultra-fazioso, che assume posizioni estreme e polarizzanti.

Modifiche agli algoritmi, iniziative di fact-checking e altri interventi non si sono dimostrati finora efficaci nell’affrontare il problema. Per questo, la polarizzazione gioca ancora un ruolo fondamentale nelle dinamiche sociali online. Ma se si potesse mitigare il problema a partire dalle scelte giornalistiche? Esistono tipologie di contenuti in grado di limitare la retorica divisiva?

Può il giornalismo prevenire la polarizzazione?

Hanno provato a rispondere a questa domanda i ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del programma Arena della London School of Economics (tra cui il Premio Pulitzer Anne Applebaum), in collaborazione con il giornalista Beppe Severgnini e la social media manager del Corriere della Sera Andrea Federica de Cesco.

113 gli articoli che i ricercatori hanno analizzato sia all’interno del sito web della testata che sulla sua pagina Facebook. Contenuti pubblicati tra marzo e dicembre 2018 e tutti inerenti al tema dell’immigrazione, argomento scelto poiché “fortemente polarizzato e diventato identitario nella dialettica politica”, come spiega Walter Quattrociocchi dell’Università Ca’ Foscari.

Obiettivo dello studio, pubblicato su Nature lo scorso mese di luglio, scoprire quali tecniche giornalistiche favorissero un dibattito più civile, attenuassero la polarizzazione e accrescessero la fiducia verso l’attendibilità dei contenuti stessi. Per permettere alla redazioni di pensare un assetto editoriale immune dai giochi polarizzanti del populismo, creando contenuti al tempo stesso popolari e attendibili, in grado di coinvolgere i lettori in modo costruttivo e non divisivo.

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Analizzare mezzi, tecniche e temi per misurare la reazione

A partire dalla pagina Facebook del Corriere della Sera, i ricercatori hanno confrontato la quantità di contenuti sull’immigrazione con il numero di migranti effettivi entrati nel Paese, esaminato il sentimento prevalente negli articoli e nei commenti, analizzato metriche quantitative relative al coinvolgimento del pubblico e infine incluso un’analisi delle annotazioni degli oltre 20mila commenti.

Lo studio, in particolare, ha analizzato i contenuti in base a mezzo (puramente visivo, testuale, multimediale, infografica), tecnica (data-driven/fact-checking, editoriale, interesse umano, notizie costruttive, cultura popolare, notizie con contesto e notizie semplici) e tema (criminalità, crisi dei rifugiati, tensioni etniche, cultura e società). Obiettivo, misurare il loro impatto sui commenti degli utenti in termini di tossicità (linguaggio tossico come misura del discorso civile), critica al giornale (critiche esplicite alla credibilità del direttore, del giornalista o del quotidiano stesso in quanto fonti di informazione) e posizione in merito all’immigrazione (pro o contro).

Linguaggio più negativo per i contenuti sull’immigrazione

Per quanto riguarda i risultati direttamente collegati al contesto politico e mediatico, la ricerca evidenzia prima di tutto che, nonostante il numero di migranti arrivati in Italia sia calato drasticamente durante il 2018, il volume di contenuti relativi al tema è invece aumentato. Un fatto che coincide con la formazione di un nuovo governo, nel giugno 2018, e con gli sforzi del ministro dell’interno Matteo Salvini per dare la massima priorità proprio alla questione dell’immigrazione.

Dallo studio emerge che gli articoli sul tema dell’immigrazione coinvolgono molto più di altri, mentre i loro commenti fanno uso di un linguaggio più negativo rispetto a quelli inerenti ad altri temi. In particolare, ottengono il coinvolgimento più alto i contenuti che riguardano Salvini.

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Fact-cheking e contenuti data-driven

Ma cos’ha scoperto la ricerca riguardo alle diverse tipologie di contenuto? Ecco i punti chiave, alcuni dei quali forse inaspettati.

  • Il resoconto di notizie lineare, imparziale e non emotivo, che fornisce un contesto, è la tecnica che suscita il minor numero di commenti critici nei confronti della fonte della notizia.
  • Le storie di interesse umano provocano forti reazioni negative: suscitano un alto numero di commenti anti-immigrazione che spesso contengono un linguaggio tossico e molte critiche alla fonte d’informazione. Forse perché le persone si sentono in questo modo manipolate emotivamente e spinte ad assumere una posizione politica? Da rilevare comunque che la critica è più morbida quando l’articolo riguarda la storia di un singolo immigrato piuttosto che di gruppi.
  • Le notizie costruttive – contenuti che offrono soluzioni pratiche – ispirano un linguaggio meno tossico sull’immigrazione rispetto ai pezzi d’opinione e agli editoriali.
  • I contenuti basati sui dati suscitano un livello estremamente basso di fiducia nella fonte della notizia e provocano una grande quantità di commenti anti-immigrazione, ma non necessariamente un linguaggio tossico. Probabilmente, come spiega Quattrociocchi, “alla presentazione dei dati si innesca il meccanismo di rifiuto che porta a dire che essi sono presentati in maniera pretestuosa. Ma il punto più interessante è che in genere ricevono poca attenzione: i dati annoiano”.
  • Gli editoriali ottengono il maggiore coinvolgimento, mentre gli articoli con riferimenti alla cultura popolare il maggior numero di mi piace.
  • I contenuti di fact-cheking suscitano più commenti critici nei confronti della fonte di informazione e più commenti anti-immigrazione rispetto agli articoli di attualità.

Bene video e contenuti multimediali, male le infografiche

E per quanto riguarda le reazioni degli utenti rispetto ai formati?

  • Le infografiche possono stimolare il dibattito e la discussione, ma ricevono notevoli reazioni negative da parte delle voci anti-immigrazione e suscitano alti livelli di critica alla credibilità della fonte di informazione.
  • I video suscitano il livello più basso di critica alla credibilità della fonte di informazione. Forse perché “vedere è credere” o perché le voci anti-immigrazione diventano silenziose di fronte a prove video? O ancora magari perché quella del video è la forma di coinvolgimento più passiva (i video generalmente ricevono un basso numero di commenti)?
  • I contenuti multimediali – combinazioni di video, testo e foto – sono accolti con un grado di coinvolgimento forte e solidale e ottengono buoni risultati anche in termini di critica alla credibilità della fonte.

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I risultati della ricerca

Quindi? Secondo Quattrociocchi, i risultati dello studio portano prima di tutto a una dura presa di coscienza: “La polarizzazione è una cosa forte, difficile da smussare e da contenere. Le dinamiche di conferma delle proprie idee sono potenti e difficilmente aggirabili, almeno con gli strumenti attuali. Il tribalismo domina il dibattito online creando frizioni e insistendo su fratture che hanno radici profonde: la sfiducia, principalmente”. 

In sostanza, la bacchetta magica purtroppo non esiste. Ma i risultati della ricerca possono comunque aiutare le redazioni a essere più consapevoli del potenziale impatto dei loro contenuti sulla qualità del coinvolgimento del loro pubblico. Lo studio invita in particolare a prediligere articoli e servizi “imparziali”, accurati e contestualizzati, meglio se in formato multimediale e in ottica costruttiva, rispetto alle storie ad alto tasso emotivo; dimostra che le infografiche e i contenuti data-driven non sono necessariamente efficaci per convincere i lettori dell’attendibilità delle informazioni fornite; consiglia di evitare opinioni troppo “forti” e poco motivate per prevenire reazioni con un linguaggio tossico. I ricercatori invitano inoltre le redazioni a guardare oltre i mi piace e le condivisioni, per esaminare la qualità del coinvolgimento del proprio pubblico attraverso metriche che non siano più solamente quantitative.

Giornalismo e polarizzazione: provocazioni per il futuro

Insomma, “la lezione è che il giornalismo come lo conosciamo va ripensato e innovato, ma quale sia la via d’uscita ancora non è chiaro”. 

Secondo Peter Pomerantsev, direttore del programma Arena della LSE, la battaglia può e deve essere combattuta anche su altri fronti. Per esempio, esercitando un controllo pubblico più stringente sugli algoritmi e sui modelli di social media che attualmente incoraggiano le posizioni più estremeriformando il sistema ad-tech, per incentivare la creazione di contenuti che non siano semplicemente ‘acchiappa clic’, ma favoriscano una partecipazione più consapevole”.

Certo, nel frattempo, sarebbe auspicabile che la ricerca venisse ampliata da approfondimenti che cercano di capire come il linguaggio e il quadro di riferimento influenzano il coinvolgimento del pubblico. Come mostra un rapporto della LSE, ad esempio, i media europei tendono a descrivere i migranti in termini di nazionalità e di età. Ma cosa cambierebbe se dovessero descriverli in base alla loro professione? O se si focalizzassero sulle cause dei fenomeni migratori, invece di limitarsi a informare su quanti arrivano o tentano di arrivare in Europa?

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COVID e Design: come la creatività si incastra con le opportunità post crisi

  • Le crisi portano progresso, sosteneva Albert Einstein e il design italiano è in prima fila per guidare un nuovo rinascimento delle idee, della creatività e del saper fare.
  • I nuovi scenari delineati dalla pandemia possono essere sfruttati per innovazioni e per soluzioni adatte alla nuova quotidianità.
  • Dai pannelli di design in plexiglass alle nuove postazioni di smart working, il genio creativo si fonde con le opportunità post pandemia. Il lato positivo COVID-19 c’è.

 

La storia insegna che l’altra faccia della medaglia delle crisi sono le opportunità. Giusto per rendere il concetto un po’ pop, in questo caso si potrebbe affermare che “si fa quel che si può, con quello che si ha”. Pane per i denti della creatività italiana.

Dovremmo aspettarci un secondo Rinascimento? Possiamo sperarci. Nel frattempo, le case e le cose vengono rivisitate e adattate alle nuove esigenze imposte dai tempi COVID-19.

In effetti, il Coronavirus ha cambiato e sta cambiando il nostro modo di vivere la socialità. Un metro di distanza ci separa da tutti coloro i quali non sono né congiunti, né familiari e il file rouge che muove la nostra quotidianità è il distanziamento sociale. Trasporto pubblico, uffici, stabilimenti, teatri, negozi, ristoranti, riflettono le nuove esigenze comportamentali.

Cambieranno conseguentemente anche gli spazi che viviamo?

Nuovi scenari

Va in scena il COVdesign che punta a risolvere le necessità quotidiane relative alla pandemia. Scenari noti messi in discussione, nuovi gesti, nuove prospettive che alimentano anche la progettazione di interni e il disegno industriale.

Smart working e mascherine fanno sì che sia attribuito un senso diverso a progetti e oggetti. È ragionevole, dunque, pensare che l’emergenza COVID-19 stia riplasmando case, uffici, città e infrastrutture?

Nonostante i pareri divergenti delle archistar, si fanno spazio alcune innovazioni d’artista al passo coi tempi. Aziende e design sono all’opera.

Il desginer Matteo Cibic, per esempio, firma la collezione COV e lancia alcuni tra i progetti italiani più interessanti legati alla pandemia. Li chiama “fancy transparent socializing panels”, i paraventi di design per essere protetti senza sentirsi isolati, utili soprattutto negli open space.

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C’è poi Christophe Gernigon, che con l’idea del “distanziamento socializzante” sperimenta sospensioni isolanti di plexiglass, per restare seduti a tavola in piena sicurezza.

Non mancano le postazioni di lavoro in casa: quinte o angoli per le diverse funzioni, per lavorare da remoto in serenità. Gli spazi domestici vengono dunque riorganizzati per improvvisare postazioni ufficio.

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E ancora una volta i designer si sbizzarriscono: dalla cosiddetta plancia di comando di Patricia Urquiola alla postazione operativa con vista sul Mediterraneo di Metz e Racine, le soluzioni sono molteplici e super creative.

Design in numeri

Nonostante le opportunità da cogliere un po’ giocoforza, la crisi COVID-19 ha inferto un duro colpo al mondo del design e, in maniera particolare, al comparto legno-arredo. In effetti, le micro imprese del settore hanno perso ad aprile 2020 il 72% del fatturato, assistendo ad un calo della domanda interna ed esterna.

In Italia sono 47.447 le unità locali che operano nel settore legno e mobili, dove in molte delle quali è alta la vocazione artigiana. È da questo tessuto e dell’attività dei maker che nascono creatività e innovazioni. Creatività messa alla prova già durante l’emergenza sanitaria, quando Christian Fracassi (maker e CEO di Isinnova) trasforma la famosa maschera di snorkeling di Decathlon Easybreath in un respiratore, utilizzando la stampa 3D.

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Il progetto di Isinnova ha poi ispirato anche un giovane tecnico antincendio di Ravenna, Ottavio Giannella, che ha ideato un raccordo che collega comuni maschere antigas da lavoro a ventilatori polmonari.

Il lato positivo

L’intento non è solo quello di descrivere ciò che il design può fare per rispondere al post COVID-19, ma è di dimostrare come designer e maker svolgano un ruolo fondamentale, soprattutto in tempi di crisi.

In effetti, il design in Italia è nato negli anni ’50 proprio dalla voglia di riscatto post-guerra e, da allora, ha sempre rivestito il ruolo di decodificatore delle necessità umane, nonché di traspositore dei bisogni e desideri dell’uomo nella realtà che lo circonda. E non si limita ad intervenire sull’esteriorità delle cose, ma ne investe anche la funzionalità e il profilo semantico.

Durante quei tempi, non si trattava di progettare oggetti nuovi, ma di sfruttare ingegno e creatività per rispondere ai problemi quotidiani. Ne sono testimonianza la Vespa, la macchina da scrivere Lexicon e la moka Bialetti. Oggetti che rappresentano come le minacce più gravi possano costituire un’opportunità per l’innovazione e la collettività.

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Dunque, nella società in cui ci troveremo a vivere post Covid-19, con le sue diverse e mutate esigenze, il design sarà un fondamentale strumento di adeguamento della realtà ai bisogni ed alle aspettative umane.

Chi l’avrebbe mai detto che COVID-19 e design sarebbero stati una perfect combo? Pensarla così aiuta a guardare il lato positivo della pandemia. Per il Rinascimento rimaniamo fiduciosi.

Tool, idee e strategie di Content Marketing per catturare (tutti) gli utenti

  • Il content marketing è l’insieme di strategie per creare materiali di valore per gli utenti e può rendere un brand riconoscibile o virale.
  • Dall’ideazione del concetto alla sua diffusione, sono disponibili tool per semplificare il lavoro ai content creator.
  • Realizzare un contenuto ad alto potenziale vuol dire chiedersi di cosa gli utenti vogliono sentire parlare, come, quando e dove. 

 

Devo dire la verità: il content è tra le mie branche preferite del marketing. Ma d’altronde alzi la mano chi non ama un contenuto di qualità. Perché, partiamo dalle basi, il content marketing è questo.

È la creazione di materiali, testuali o visuali, che siano di valore per chi ne fruisce. In quanto tale, ha un’importanza fondamentale nella strategia di marketing di un’azienda: permette di generare post potenzialmente virali e di avere una comunicazione immediatamente riconoscibile (Taffo è un ottimo case study).

Content Marketing_Taffo

Taffo è leader nel content marketing. I suoi post sono brevi, non convenzionali e ad effetto, anche e soprattutto quando riguardano temi sociali e non brand-related.

Ma in generale di Content Marketing non ce n’è mai abbastanza.

Anatomia del Content Marketing: ispirazione, realizzazione, revisione e diffusione

Come qualsiasi progetto, anche il content marketing può essere suddiviso in fasi.

  1. Ispirazione. Per prima cosa si pensa al contenuto da veicolare: qual è il topic? Perché? È un tema hot?
  2. Realizzazione. Avuta l’idea geniale, va messa su carta. Pardon, tastiera.
  3. Revisione. Terminata la produzione, si ricontrolla tutto. Che sia con la biro rossa o con un software, questo è uno step imprescindibile che permette di trovare refusi, implementare SEO e leggibilità.
  4. Diffusione. L’ultimo step è quello in cui si manda il post a colleghi, amici e parenti. Ma non solo.

Partendo da questi quattro pilastri, qui sotto raccontiamo strumenti e idee per rendere il content marketing ancora più efficace e divertente, per chi lo riceve e chi lo produce.

Ispirazione: i tool del content marketing per scegliere di cosa parlare

Potrebbe sembrare lo step più semplice, ma scegliere il tema non è facile come sembra. Avrei voluto saperlo agli esami di maturità, prima di impelagarmi in un saggio sui labirinti, o prima di farmi bocciare diversi articoli per i blog aziendali. Ma almeno ora posso testimoniarlo a voi.

Per quanto sarebbe bello poter parlare di quello che ci pare, il content marketing ha come scopo principale quello di catturare e poi coinvolgere il fruitore. Per farlo, la mossa più furba è cavalcare l’hype di qualcosa oppure chiedersi che cosa voglia leggere il lettore.

I topic per il marketing B2C: hype, millennials e zoomers

Per percorrere la prima strada, molto più B2C, ci sono gli evergreen Google Trends, BuzzSumo, Digimind, BlogMeter , che ti permettono di capire quali sono gli argomenti di tendenza mentre scrivi.

Se poi l’intento è quello di fare qualcosa di meno convenzionale, potrebbe essere strategico seguire direttamente le pagine Facebook e Instagram più famose dedicate ai meme (i millennial li adorano) o Tik Tok, luogo di nascita delle challenge (target zoomers). E iniziare a comunicare tramite questi pattern, ad alto valore di buzz.

Content Marketing_BarkBox.

BarkBox è un brand di cibo, toys e servizi per cani e questo è un ottimo esempio di meme marketing con la celeberrima Kombucha Girl

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In aggiunta, per i marketer più nerd, suggerisco di cercare continuamente contenuti o newsletter per rimanere sempre up to date. Personalmente seguo Exploiding Topics (che racconta i trend di ricerca su Google dando più di qualche numero a proposito) e Zio di Wyncenzo, votata alla spiegazione delle abitudini e dei trend dei teenager di oggi. Ad esempio, avete idea di cosa sia il Check per uno zoomer?

Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è Sveta Milano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.

Content Marketing_Sveta Milano

Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è Sveta Milano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.

I topic per il marketing B2B: l’inbound marketing

Mentre il content marketing B2C si basa su argomenti o campagne super catchy e di tendenza, il marketing B2B dovrebbe essere più orientato a risolvere i problemi del target. Prima ancora che si accorgano di averli: è questa la filosofia dell’inbound marketing, di cui la piattaforma HubSpot si fa principale tool e portavoce.

In pratica, l’idea alla base dell’inbound marketing è di fare in modo che siano i deal a contattare un’azienda, e non il contrario (i.e. outbound). Per fare in modo che ciò accada, ci sono diversi passaggi, primo tra tutti la costruzione di un buyer persona (chi ci legge, chi ci compra) e la definizione degli argomenti che potrebbero interessargli.

Per esempio, sono un’agenzia di cybersecurity: in base ai miei meeting precedenti so che la prima cosa che mi viene chiesta è come funzioni il mio servizio. Colgo l’esigenza, la anticipo, e ci scrivo un articolo sul mio blog aziendale. Ma attenzione: con un articolo non potrò mai spiegare tutto in maniera completa, né renderò autonomo il mio buyer persona, che però sarà grato di aver potuto leggere qualcosa in più gratuitamente.

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HubSpot funziona in modo tale da costruire dei “percorsi di marketing” che portano il buyer persona dal primo approccio al contatto con la forza vendita di un’azienda: il buyer persona viene traghettato da un contenuto all’altro fino ad arrivare a uno stage in cui accetterà di buon grado di ricevere la chiamata del sales che lo contatterà. E in tutto questo rimarrà traccia del suo percorso, così da apprendere in futuro di cosa parlare.

Non basta scrivere su Word: i tool di content marketing per la realizzazione e la revisione dei contenuti

Superato il timore da foglio bianco e prodotto il contenuto, arrivano in aiuto gli strumenti per l’editing dei propri scritti. Primo tra tutti, WordPress. In un loop vagamente alla Inception, vi sto scrivendo utilizzando WordPress un paragrafo dedicato a WordPress. La verità è che se riportassimo semplicemente i nostri articoli scritti su Word online, mancherebbero della revisione necessaria a renderli appetibili per il web.

Oltre a permettere di editare un testo in maniera strategica (inserendo titoli, immagini e link in un modo che su Word, Open Office o Pages non è possibile percorrere), WordPress infatti ha incorporato nel sistema di editing anche un software per il controllo della leggibilità e della SEO.

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No frasi lunghe, no incisi, sì keyword (tante)

Me lo diceva sempre la mia professoressa di italiano: no periodi lunghi, no (troppe) subordinate e no incisi. Non l’ho ancora fatto del tutto mio, ma questo è un insegnamento concreto per tutti i content creator in ascolto. Google infatti premia i contenuti più leggibili, che WordPress stesso ti permette di ottenere revisionando la lunghezza delle frasi e dei paragrafi. Una volta che il testo è a prova di lettore pigro (frasi brevi e semplici), WordPress ti dà un bel bollino verde e ti fa sapere che il lavoro è ok.

Terminato il lavoro di revisione sintattica, ci si può concentrare sulla SEO. Per farlo ci sono tantissimi tool, anche meno focalizzati sull’analisi della SEO di un singolo blog ma più sull’interezza di un sito (SEMrush, Moz e molti altri), ma tra i più utili va segnalato Yoast, che è incluso nel pacchetto premium di WordPress.

Yoast segnala all’editor una sorta di To do list delle keyword (e.g. “usa la keyword almeno 8 volte”) e le eventuali lacune nella sua strategia, permettendogli di produrre un contenuto che verrà trovato. Come questo (Inception edizione Ninja Marketing).

Content Marketing_Yoast

Analisi SEO dell’articolo attuale (prima che termini l’editing e la revisione). Inception x3.

Il peggio è passato: manca solo da diffondere il contenuto

Come Rocky Balboa dopo aver salito la scalinata, stanchi ma soddisfatti: ce l’abbiamo fatta. Il post è pronto, va solo diffuso. Massivamente, si spera.

CRM, Email Marketing e Social Media sono i tre pilastri che a questo punto del percorso non dovrebbero mai mancare. Con il primo (Salesforce e Hubspot sono i più famosi) si realizza una sorta di rubrica 2.0. a cui inviare i contenuti. Il CRM funziona in effetti proprio come un incubatore di contatti provenienti da diverse “rubriche”: eventi aziendali, clienti fisici e e-commerce (nel caso del B2C), iscrizione a newsletter, etc. Una volta inseriti nella loro totalità, i contatti devono essere smistati per definirne i contenuti di interesse.

Qui entra in gioco l’email marketing, di cui MailChimp e GetResponse sono i leader del mercato. Tramite questi tool, è possibile inviare una newsletter e trackarne la performance (quante views? Quanti click? Quanti abbandoni?).

Anche quando sponsorizzano qualche prodotto (spesso), i post di Freeda ottengono molti like e commenti che accendono il dibattito degli utenti. Chapeau!

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Infine, ci sono i canali di proprietà dell’azienda, primi tra tutti i social media. Pensateci un po’, come siete arrivati a questo articolo? Probabilmente tramite LinkedIn o Facebook, che sono sicuramente i tool più interessanti dal punto di vista B2B e B2C.

Ma non solo: ormai anche Instagram è un’ottima cassa di risonanza per i contenuti, soprattutto se in ambito propriamente editoriale. L’universo Vice e Freeda ne hanno fatto un mantra: l’effetto Word of Mouth si crea tramite i social, mica con Google.

week in social

Week in Social: dallo stop a TikTok e WeChat alla Business Suite di Facebook

Sì, è successo davvero. Dopo settimane in bilico e in attesa di un accordo che salvasse le operazioni della piattaforma video in un mercato importante come quello statunitense, alla fine Trump ha tenuto fede all’ordine esecutivo e da domani non sarà più possibile scaricare TikTok e WeChat dagli app store US.

Ma nel mondo dei social questa settimana non è successo solo questo. Come ogni sabato, abbiamo raccolto per te le principali notizie e novità del settore, per un recap da veri Specialist.

Universo Facebook

Facebook ha lanciato Business Suite. Si tratta di una nuova dashboard per aiutare le aziende a gestire la loro attività su Facebook e Instagram sia da desktop che da mobile.

Attualmente, Business Suite include strumenti come quelli dedicati alla pubblicazione, alla messaggistica, agli insight e le funzionalità pubblicitarie, migliorando l’esperienza di gestione di un’azienda attraverso le applicazioni del social.

Per iniziare a usare Business Suite, che sarà rilasciato gradualmente da settembre bisogna collegare prima gli account Facebook e Instagram, se non lo sono già. Una volta fatto ciò, sarà possibile sfruttare le caratteristiche principali del prodotto per:

  • visualizzare gli aggiornamenti e tutti gli avvisi critici, i messaggi, i commenti e le altre attività di Facebook e Instagram che richiedono attenzione all’interno della schermata iniziale di Business Suite, consentendo così di stabilire facilmente le priorità e gestire l’attività aziendale durante l’intera giornata.
  • Programmare la pubblicazione nel feed in modo incrociato tra Facebook e Instagram.
  • Visualizzare gli insight sulla reach, l’engagement e la performance dei post su Facebook e Instagram.
  • Prendere in considerazione la possibilità di sponsorizzare un post per far sì che più persone lo vedano e si impegnino con quei contenuti.

Per accedere a Business Suite, basta accedere all’account Facebook associato all’azienda. Poi, se ne hai diritto, sarai automaticamente reindirizzato a Business Suite quando visiterai business.facebook.com su desktop.

Chi sta già utilizzando l’applicazione Pages Manager su cellulare, vedrà automaticamente l’opzione per accedere a Business Suite. L’opzione non è attualmente destinata a coloro che utilizzano Ads Manager per la pubblicità.

Facebook Creator Studio ha anche aggiunto la funzione ‘Crea post di test’. Secondo quanto raccontato con uno screenshot da Matt Navarra su Twitter, sarà possibile provare fino a 4 variazioni di post, che vengono mostrate ad una piccola % del proprio pubblico.

Dal punto di vista delle funzionalità, Facebook introduce anche Watch su Messenger. La nuova funzione ‘Watch Together’ permette di guardare i video di Facebook con amici e familiari e vedere le loro reazioni in tempo reale attraverso le video chiamate di Messenger e le Messenger Rooms.

Intanto Facebook ha anche annunciato nuove regole per i gruppi. Dopo vari report su come questi spazi facilitano la diffusione della disinformazione e dei discorsi di odio, il social rimuoverà i gruppi nei quali si incita la violenza e ridurrà l’esposizione di quelli che condividono ripetutamente contenuti classificati come fake.

La misura arriva anche in seguito all’ultimo boicottaggio da parte di alcune celebrità di fama mondiale come Kim Kardashian e Leonardo Di Caprio.

Novità su Instagram

Instagram aggiunge le didascalie automatiche per i video di IGTV. La funzione si colloca nell’ambito di un più ampio sforzo per migliorare le sue opzioni per i caption, basato sull’AI e per ora disponibile in 16 lingue.

In arrivo anche una funzione per le FAQ su Instagram. La piattaforma sarebbe a lavoro su una feature di domande frequenti per gli account Business che consentirebbe una risposta più immediata ai quesiti dei follower.

Nuove opzioni su WhatsApp

L’app di messaggistica istantanea sta testando una funzione per permettere agli utenti di impostare diversi background per le diverse chat.

Mondo TikTok

Prima di passare alla news più succosa della settimana social, un breve reminder sui dati utili. TikTok infatti questa settimana ha dichiarato per la prima volta il numero di utenti mensili in Europa: 100 milioni.

tiktok

E finalmente eccoci. Trump cancella WeChat e TikTok dagli app Store americani. Dal 20 settembre, infatti, sarà impossibile scaricarle su smartphone le due app o i loro aggiornamenti. Ma la mossa del presidente potrebbe danneggiare anche le aziende USA, in primis Apple e Google.

Dopo molte minacce, alla fine la decisione si è concretizzata, “per salvaguardare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, si legge in una nota ufficiale del Dipartimento del Commercio USA. Secondo il governo i divieti “proteggono gli utenti negli Stati Uniti eliminando l’accesso a queste applicazioni e riducendo notevolmente la loro funzionalità”.

Intanto il Governo è anche in attesa di prendere una decisione sull’offerta proposta di ByteDance e Oracle per le attività statunitensi di TikTok, che nel fratttempo commenta in una nota: “Siamo in disaccordo con la decisione del Dipartimento del Commercio, e siamo delusi dal blocco dei nuovi download da domenica e sul divieto di uso dell’app TikTok dal 12 novembre”.

Pianeta Twitter

Twitter ha diffuso ‘Holiday Hub’. Si tratta di un mini-sito con lo scopo di aiutare i marketer a prepararsi per la stagione delle vacanze invernali, con consigli e strumenti per mappare le loro campagne.

Twitter testa anche gli audio clip nei messaggi diretti. Dopo aver rilasciato una funzione per aggiungere clip audio nei tweet nel mese di giugno, il social sta ora testando i DM audio con alcuni utenti in Brasile.

Galassia YouTube

YouTube offre nuovi strumenti pubblicitari. Con l’aumento del tempo di visione dei contenuti della piattaforma sugli schermi delle home TV, il gigante del web ha aggiunto alcuni nuovi tool per aiutare gli inserzionisti a raggiungere segmenti di pubblico più specifici.

YouTube lancia ‘Shorts’ in India. La piattaforma video ha annunciato il prossimo lancio della funzione in stile TikTok. Si tratta per ora solo di una versione beta.

Intanto la piattaforma video pianifica anche il lancio delle conversioni Engaged-View per la fine dell’anno. Misureranno quando qualcuno guarda almeno 10 secondi di un annuncio skippable e si converte, entro un numero di giorni prestabilito.

In breve dai social

Il primo video musicale girato su Snap Spectacles. Il clip è stato realizzato per accompagnare il singolo di Bosco “4 luglio” ed è tutto basato sugli effetti di realtà aumentata di Snapchat.

I nuovi trend su Pinterest. Il social ha rilasciato alcuni dati sulle principali tendenze in quest’ultimo trimestre del 2020. I pinner continuano a riflettere soprattutto su crescita personale e benessere mentale, con significativi picchi sui temi legati alla “positività” (+64%).

A Milano nasce Phyd Hub, un nuovo spazio tecnologico che guarda al futuro del lavoro

Entro il 2022 in Italia ci sarà bisogno di 2,5 milioni di nuovi occupati e il 75% delle aziende reagirà alla crisi prodotta dal Covid-19 con attività di re-skilling.

Da questi dati nasce l’idea del nuovo spazio di Phyd, digital venture di The Adecco Group, nel cuore di Milano, dedicato a orientamento e percorsi di up-skilling e re-skilling per studenti, professionisti e imprese attraverso esperienze Phy-gital.

La location è stata ideata e costruita con un investimento di oltre 6 milioni di euro, compresa la realizzazione della piattaforma, e ha l’obiettivo di formare e valorizzare il capitale umano con le nuove skill richieste dalla costante trasformazione che il mercato del lavoro sta conoscendo.

Il futuro del lavoro (e delle competenze)

Secondo il World Economic Forum, nei prossimi 3 anni, a livello globale, l’evoluzione del mondo del lavoro – accelerata dalla tecnologia, dal digitale e dell’automazione – determinerà la nascita di 133 milioni di nuove opportunità occupazionali, a fronte di 75 milioni di posti di lavoro destinati a scomparire. Unioncamere stima che solo in Italia, ci sarà bisogno di 2,5 milioni di occupati in più.

L’impatto della crisi economica legata alla pandemia rischia di avere un impatto al ribasso su queste stime, ma il tema delle competenze diventerà ancor più cruciale. Secondo il dossier 2020 Unioncamere-ANPAL, il 75% delle aziende italiane dichiara che, per fare fronte alla crisi, nei prossimi sei mesi metterà in campo azioni di reskilling del personale già presente in azienda. Questo produrrà un’ulteriore accelerazione del processo di riconversione e rafforzamento delle competenze del capitale umano, anche per favorire l’allineamento alle nuove forme organizzative del lavoro.

Secondo Andrea Malacrida, Fondatore di Phyd e Country Manager di The Adecco Group in Italia: “Il tema dell’aggiornamento professionale continuo rappresenta uno dei punti centrali per il mondo del lavoro del futuro. Nei prossimi anni, anche a seguito dell’emergenza sanitaria appena vissuta, il mondo del business subirà cambiamenti ancor più repentini di quelli che abbiamo vissuto fino ad ora e solo chi riuscirà a coltivare le proprie competenze professionali, aggiornandole e sviluppandone di nuove, avrà l’opportunità di rimanere appetibile sul mercato del lavoro”.

Fondamentale, dunque, l’acquisizione di nuova conoscenza, sia tecnica che trasversale, tanto per gli studenti quanto per i professionisti. Le soft skill, in particolare, sono destinate ad avere un impatto determinante sulle retribuzioni, fino a incrementare uno stipendio di oltre il 40%.

Inoltre, resta attuale la criticità rappresentata dalla distanza che separa le competenze richieste dal mercato con quelle proposte dai programmi scolastici e universitari: lo skill mismatch impatta negativamente sia sui lavoratori che sulle aziende, frenando la crescita dell’intero sistema-Paese. Nel settore ICT, per esempio, il gap tra domanda e offerta di competenze è attualmente del 18%.

Come spiegato da Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia: “Lo skills mismatch è un fenomeno che in Italia sta diventando davvero rilevante e urgente. […] Non si tratta solo di implementazione di nuove tecnologie come il Cloud Computing o l’Intelligenza Artificiale, ma di avere le giuste competenze per cogliere tutte le opportunità di sviluppo che il digitale offre. Un recente studio Microsoft ha rilevato per esempio che le organizzazioni che traggono maggior valore dall’adozione dell’AI sono quelle che non puntano solamente sull’automazione e sull’efficienza operativa ma anche sulla formazione”.

LEGGI ANCHE: 5 miti che sopravvivono ancora sul lavoro da remoto, da sfatare nel 2020

Lo spazio di Phyd Hub

Phyd Hub nasce con l’idea di permettere a studenti e lavoratori di vivere un’esperienza phy-gital e rappresenta la naturale evoluzione della piattaforma digitale Phyd, che, attraverso le soluzioni di Intelligenza Artificiale di Microsoft, misura l’attitudine e l’occupabilità di una persona rispetto ad una professione, ricavandone il grado di adeguatezza e rilevanza (employability index).

Proprio come la piattaforma, anche la location di Phyd Hub, aperta a tutti, offre contenuti poliedrici, inserendoli nella cornice di un luogo progettato in modo inedito. Lo spazio, organizzato su più livelli, ospiterà incontri, eventi, opportunità di networking e percorsi di up-skilling e re-skilling caratterizzati da un denominatore comune: interpretare nel modo più ampio il futuro del lavoro attraverso attività di career gym, preparazione ai colloqui e di controllo del curriculum vitae.

Situata nel centro di Milano, in via Tortona, la nuova location si caratterizza per un palinsesto di contenuti cross-generazionali che si svilupperà ogni anno nell’arco di 44 settimane e sarà incentrato sui temi del future of work, del life long learning e delle skill emergenti. Tra i partner di contenuti formativi anche Ninja Academy.

Phyd Hub è organizzata su più livelli per dare spazio a una dimensione immersiva che segna il passaggio dal mondo fisico esterno a quello phygital della nuova piattaforma e un’area training pensata per la formazione individuale; infine il luogo dedicato all’apprendimento verticale per piccoli gruppi e quello più esteso che ospiterà corsi, workshop, talk ed eventi.

Manlio Ciralli, Chief Executive Officer di Phyd, ha dichiarato: “Phyd nasce con l’obiettivo di nutrire la conoscenza attraverso un percorso di esperienze e fruizione che coniuga fisico e digitale. L’obiettivo primario è quello di dare alle persone la possibilità di porsi in uno stato di aggiornamento continuo. […] L’ambizione di amplificare – attraverso l’intelligenza artificiale – le opportunità di conoscenza e l’accesso ai contenuti senza distinzioni territoriali e, attraverso il luogo fisico, di mantenere la prossimità tra le persone laddove il networking e lo scambio di esperienze rappresenta di per sé uno strumento di miglioramento, contaminazione e conoscenza”.

Conversion e contenuti: troppe opzioni possono trasformarsi in un boomerang

  • Diversi studi hanno dimostrato come una scelta più varia attiri le persone, ma una selezione più limitata di prodotti faciliti la conversione.
  • I clienti di oggi richiedono meno informazioni ma più chiare, dirette e focalizzate su un’unica caratteristica.

 

Over comunicare può rivelarsi un boomerang per un business e per la conversion? I consumatori desiderano davvero essere “travolti” da innumerevoli contenuti?

Nel mondo di oggi dove tutto cambia in modo molto rapido, in cui siamo costantemente connessi e desideriamo ricevere risposte con velocità e chiarezza, la regola è solo una: “less is more”.

Che si parli di una landing page, del lancio di una nuova linea di prodotti, o ancora di un sito web di servizi, tutto deve essere costruito con uno ed unico obiettivo.

È stato dimostrato come troppe opzioni, o troppi messaggi, portino le persone ad avere una scelta così vasta da non essere in grado di prendere una decisione, causando dunque un mancato acquisto e una mancata conversione.

In merito a questo tema esiste uno studio psicologico molto interessante “Jam Study” condotto da Sheena Iyengar, S.T. Lee Professore di Economia presso il Dipartimento di Gestione della Columbia Business School: la ricerca è stata condotta in un supermercato in un sabato pomeriggio esponendo un primo gruppo di persone a 24 gusti di marmellata, e secondo gruppo a sole 6 opzioni della stessa marmellata.

LEGGI ANCHE: La content strategy del less is more

Alla fine dell’esperimento solo il 3% delle persone appartenenti al primo gruppo aveva acquistato un barattolo di marmellata, mentre il 30% dei consumatori appartenenti al secondo era riuscito a concludere un acquisto.

Ciò dimostra che di sicuro una scelta più varia attira l’attenzione delle persone, ma che una selezione più limitata facilita la vendita, e dunque la conversion.

Capiamo ora insieme come migliorare un’esperienza d’acquisto per renderla più immediata e più efficace.

Sì ai dettagli, no all’eccesso

La quantità non è tutto.

Una pagina prodotto per essere efficace deve contenere le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso. Potrebbe sembrare un’affermazione banale, ma guardando e analizzando diversi brand e prodotti online non sembra essere così scontato.

L’errore che spesso viene commesso è questo di voler dire tutto per non omettere nessuna delle selling propositions.

In realtà decidere un solo obiettivo e un solo punto di forza, spiegato in modo conciso e dettagliato, potrebbe davvero fare la differenza e convincere il nostro consumatore a concludere un acquisto.

Un’altra soluzione per incrementare le conversioni, è rappresentata dall’utilizzo dei video, in pagina prodotto o sulle pagine di contenuto principali, per spiegare più caratteristiche e punti di forza.

Affinché un video sia efficace, deve essere pensato in modo da:

1. contenere le informazioni chiave all’inizio;
2. spiegare i benefici che potrà ottenere l’utente;
3. prevedere e rispondere a domande che potrebbero sorgere.

Una risorsa a sorpresa: le recensioni dei propri clienti

LEGGI ANCHE: Social customer care: perché i clienti scontenti lasciano recensioni negative?

Mai pensato che potesse essere una soluzione? In realtà, nonostante la digitalizzazione, il passaparola è ancora un elemento importante da non sottovalutare. Un cliente soddisfatto del prodotto è più propenso a lasciare un feedback positivo e può indirettamente contribuire ad un aumento delle vendite.

Bisogna prestare attenzione ai seguenti punti per ottenere benefici e aumentare la conversion attraverso le recensioni:

1. recensioni brevi: lasciare troppo spazio al giudizio e ai suggerimenti può generare confusione e perdita di focus. La soluzione migliore è quella di pensare ad uno spazio con un numero di caratteri limitati, sufficienti per esprimere un’opinione diretta, chiara, semplice.

2. Spazio alla recensioni negative; sembrerebbe un controsenso ma per dare l’impressione che le recensioni siano vere e non frutto di un piano di comunicazione studiato ad hoc, è importante lasciare spazio ai feedback negativi anche per un obiettivo di miglioramento costante.

Social sharing?

Ultimi, ma non meno importanti le call to action di condivisione; sono sempre di più i brand che scelgono di fornire questa opzioni ai propri clienti, ma bisogna sempre essere molto attenti a non abusarne.

Nel momento in cui non si è certi di quale sia il social network più adatto, è controproducente inserire tutti i social per paura di sbagliare. Ci sono diversi dati interessanti che possono essere d’aiuto per la nostra conversion. Uno ad esempio riguarda la demografica, che ci permette di capire quale o quali sono i social media più utilizzati dai nostri consumatori.

È fondamentale, non usare opzioni già fornite all’interno dei plug-in, ma scegliere call to action allo sharing personalizzate e create pensando in primis ai propri consumatori e alle loro abitudini di interazione sui social e di condivisione.

Credits: Depositphotos #47831101

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Identikit del consumatore post-lockdown: da dove partire per conquistarlo

  • Oggi il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€. Le abitudini del consumatore post-lockdown si sono profondamente trasformate.
  • La crisi sanitaria ha inevitabilmente accelerato la trasformazione digitale dei brand ed ecco quello a cui bisognerebbe pensare.

 

Il lockdown ha messo in discussione le abitudini di consumo degli italiani. I consumatori hanno colto l’occasione per cimentarsi in nuove modalità di acquisto, spingendo i brand a digitalizzare i punti vendita, a diventare omnicanale e a promuovere un’esperienze integrata.

Ma quali cambiamenti hanno vissuto i consumatori durante il contenimento e quale lezione possono trarne i marketer? Ce lo spiega un’infografica di Splio.

Prima del lockdown

Device

Smartphone. L’mCommerce è un trend in crescita: gli acquisti online tramite mobile per il settore dell’abbigliamento nel 2019.

Nel 2019 gli acquisti tramite smartphone hanno rappresentato il 40% delle vendite online totali generano 12,5 miliardi. In alcuni casi il mobile arriva a rappresentare il principale device di acquisto: 50% nell’abbigliamento, 48% nel beauty e 49% nell’arredamento.

consumatore post lockdown

In-store

Interazioni fisiche. Vetrine e shopping sono attività legate soprattutto al tempo libero: gli italiani che preferiscono effettuare il primo acquisto nel negozio fisico.

I punti vendita fisici rimangono fondamentali come hub di scoperta ed esperienza dei prodotti. Toccare e sentire la merce, e ottenere subito i prodotti desiderati e sconti. Il primo acquisto infatti avviene in-store per la maggior parte degli italiani.

Canale

Drive-to-store. Le vendite offline trainano il settore retail.

L’eCmmerce B2C ha pesato il 7,3% delle vendite totali del settore retail, mentre il 92,7% delle vendite continua ad avvenire nel negozio fisico, confermandone l’importanza chiave.

Fedeltà

Carte fisiche. L’utilizzo della carta fedeltà è molto ampio.

Il 74% della popolazione italiana è iscritto almeno a un programma fedeltà presso un rivenditore. Il 44% è iscritto a un numero di programmi compreso tra 2 e 5. Tuttavia, il tasso medio di attività dei membri dei programmi fedeltà in Itala è solo del 40%.

Pagamento

Contanti. Le transazioni contactless sono ancora inferiori alla media mondiale.

Nonostante l’entusiasmo per i pagamenti contactless, che hanno generato nel mondo oltre 3,5 miliardi nel 2019, l’Italia rimane tra i primi paesi europei per pagamento in contanti, confermandosi la modalità più utilizzata.

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Dopo il lockdown

Device

Computer. Il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€.

Seppur gli acquisti online da smartphone siano in costante crescita (50% durante il lockdown), il carrello medio è superiore per gli acquisti avvenuti da computer, specialmente durante la settimana. Durante il contenimento si è registrata una flessione dei carrelli per entrambi i dispositivi, evidenziando però che i consumatori acquistano con lo smartphone anche da casa, ma spendono di meno.

In-store

Distanziamento sociale. La sicurezza fa il suo ingresso nella customer experience.

Gli italiani propensi a visitare i soli punti vendita provvisti delle migliori condizioni di igiene e sicurezza. Indossare una mascherina, limitare i contatti fisici e rispettare il distanziamento. I consumatori oggi vivono un’esperienza di successo in-store grazie alle misure sanitarie preventive e grazie alla digitalizzazione del punto vendita. Il 51% degli italiani, infatti, desidera trovare in negozio un maggiore utilizzo delle tecnologie digitali.

Canale

Omnicanale. Abitudini di acquisto in piena trasformazione: i nuovi consumatori italiani che hanno acquistato online nei primi 4 mesi del 2020.

Il lockdown ha avuto il merito di modificare le abitudini di acquisto degli italiani, ora più propensi agli acquisti online per proteggersi dai rischi sanitari. Si stima che l’eCommerce in Italia raggiungerà i 22,7 miliardi di fatturato nel 2020 (+26% rispetto al 2019), con un crescente utilizzo del Click & Collect (+349% registrato in maggio in Italia) e del proximity commerce.

Fedeltà

Carte dematerializzate. La digitalizzazione come esperienza di fidelizzazione. Percentuale di carte fedeltà installate nel Mobile Wallet che vengono conservate e raramente disinstallate. I clienti post-lockdown desiderano smaterializzare il più possibile le carte fedeltà per minimizzare il concetto fisico. Nel 2019 il 63% di possessori di smartphone ha digitalizzato nel Mobile Wallet almeno un contenuto: primo da tutti la carta fedeltà, gli strumenti di pagamento, infine i buoni sconto.

Pagamento

Contactless. Pagamento senza contatto. Gli italiani che hanno utilizzato il pagamento contactless con facilità a causa dell’emergenza sanitaria. Il lockdown ha avuto il merito di aver incrementato l’utilizzo del pagamento contactless. Si stima che a causa della pandemia, quasi la metà (45%) della popolazione abbia ridotto l’utilizzo del contante e il 17% abbia sperimentato il pagamento contactless per la prima volta. È giunto il momento del mobile wallet, che oltre a consentire di effettuare il pagamento, permette ai consumatori di beneficiare immediatamente dei vantaggi fedeltà.

LEGGI ANCHE: Digital Marketing: come connettersi con i consumatori “stressati” di oggi

Come cambia il comportamento del consumatore post-lockdown e quali azioni devono intraprendere i marketer

A causa dell’emergenza sanitaria assistiamo a una profonda trasformazione dei modelli di consumo. La crisi sanitaria ha inevitabilmente accelerato la trasformazione digitale dei brand, con un’anticipazione media di 5/6 anni, ponendoli davanti a nuove sfide necessarie per rispondere alle esigenze mutate del consumatore post-lockdown.

Digitalizzazione del punto vendita, omnicanalità, fidelizzazione, esperienza in-store, contactless. Questi sono solo alcuni dei fattori che brand e marketer dovrebbero riconsiderare oggi, nel cosiddetto “new normal”.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Digital Marketing: come connettersi con i consumatori “stressati” di oggi

  • La pandemia non sembra cessare il suo corso, anche dopo i “rallentamenti” registrati nel post-lockdown.
  • Riuscire a definire delle prospettive future oggi è decisivo: le abitudini dei consumatori promettono di mutare in maniera definitiva.

 

A distanza di alcuni mesi dal terribile lockdown, il mondo del marketing osserva ancora più scrupolosamente gli atteggiamenti degli utenti. Profondamente mutati.

Il marketing post-lockdown

All’inizio della pandemia, i media erano un’ancora di salvezza per il “mondo esterno”. Già dalla fine di marzo, quasi la metà dei consumatori, se non la maggior parte, ha cercato una maggiore interazione con i media che già utilizzava, rispetto ai tempi pre-pandemici, secondo il recente studio “Meaningful Media in the Time of Covid-19”, condotto da Havas Media.

Emerge che i consumatori, desiderosi di una fuga dalle loro attuali realtà stressanti, hanno investito molto più tempo in attività fisica, cucina, lettura e progetti fai-da-te. Realtà come Buzzfeed e Thrillist, non gli ultimi arrivati insomma, hanno monitorato questa esigenza di evasione attraverso una maggiore interazione dei consumatori con contenuti che vanno dal fai-da-te all’intrattenimento, ai meme.

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I dubbi dei marketer, possono essere riassunti essenzialmente così:

  • come rispondere e reagire alla crisi in atto;
  • se e come cambieranno i comportamenti dei consumatori, ancora una volta.

Quali attività adottare per incontrare le nuove abitudini degli utenti

Chi si occupa di marketing, d’altronde, deve osservare scrupolosamente la realtà ed i relativi comportamenti degli utenti. La complessità sta proprio nell’individuare la corretta strategia di comunicazione che possa essere efficace per quel prodotto/servizio.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

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Attività costanti, come l’ascolto del pubblico e l’osservazione attenta delle sue evoluzioni, rispecchiano un’importanza fondamentale, soprattutto in un periodo del genere.

Il Coronavirus e le informazioni che vengono diffuse ogni giorno, hanno già mutato il comportamento della popolazione globale. Innanzitutto a livello psicologico. D’altronde, nei trend delle queries dei maggiori motori di ricerca primeggia, quasi esclusivamente, la parola Coronavirus e tutti i contenuti a lei relativi.

Le aziende dovrebbero tenere in grande considerazione tutti questi aspetti per poter gestire l’emergenza al meglio. E per migliorare la propria presenza, in linea con il sentiment diffuso dei propri utenti.

Gli errori da non fare

Considerare la comunicazione con i clienti un’attività secondaria, è l’errore che viene commesso più comunemente in questo momento. Difatti, molte aziende, anche alcuni dei giganti dell’economia mondiale, stanno cercando di affrontare l’emergenza agendo soltanto dal lato dei dati, dei numeri, degli andamenti di borsa, dimenticandosi che ad alimentare la loro realtà aziendale, è un pubblico composto essenzialmente da persone. Con reali sentimenti.

Ecco qui che si apre un capitolo che, timidamente, vista la sua vastità e complessità, è doveroso quantomeno accennare.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

La salute mentale dei consumatori: attualità e dati su cui riflettere

Durante questi mesi, la gestione della salute mentale è stata sotto i riflettori. Anche da parte del mondo del marketing.

I maggiori editori di media si sono uniti alle “conversazioni” sulla salute mentale dei propri consumatori, condividendo articoli su come ridurre il tempo trascorso a “scrollare” il feed o su come evitare la dipendenza dagli schermi digitali. Alcuni recenti studi, effettuati anche da Brandwatch, fanno emergere che le ricerche online relative alla salute mentale ed al benessere degli utenti, negli ultimi cinque mesi, sono aumentate di quasi il 90%. A conferma di ciò, l’app Calm ha visto un aumento del 29% di nuovi download dall’inizio della pandemia.

Altri interessanti dati emergono da un recente rapporto di un’indagine di Accenture: 4 intervistati su 5 con diagnosi di ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico, ADD o dipendenza, affermano che avrebbero “probabilmente” o “sicuramente” utilizzato risorse sanitarie virtuali per gestire le loro condizioni.

Ovviamente, è doveroso sottolineare come quello di cui necessitano gli individui, in generale, proprio in questo momento di continua incertezza, non sia analizzabile solo tramite un software, ma abbia origine nell’emotività umana.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Adottare nuovi approcci verso “nuovi” consumatori

Nel complesso e preoccupante contesto che stiamo vivendo, è necessario per il momento abbandonare l’approccio economico tradizionale, per iniziare ad offrire non ciò che pensiamo possa piacere al consumatore, ma la soluzione ai suoi problemi. Problemi ben specifici che vive a causa della diffusione della pandemia.

Costa ben cinque volte meno cercare di mantenere un cliente già acquisito rispetto al cercare di attirarne uno nuovo. Ormai lo sappiamo.

Per questo motivo adottare una strategia legata a parametri, quali la customer retention, pare sia la strada più logica da percorrere. Perdere i propri clienti, non è più una probabilità assai lontana. Si sta trasformando gradualmente in un’amara realtà per tutte quelle imprese che stanno ignorando i bisogni dei consumatori, che negano l’evidenza a risultati negativi e poco soddisfacenti in merito alla customer loyalty.

Le necessità del proprio pubblico devono essere cercate in fondo a quel bisogno di sicurezza e promessa di un ritorno alla normalità. Le imprese non possono fare promesse, ma possono dimostrare la propria vicinanza ai clienti, manifestando comprensione e adeguando l’offerta che propongono a seconda delle circostanze.

Come connettersi con i consumatori ancora stressati dal Covid: consigli utili e riflessioni.

Essere vicini ai clienti. Ora o mai più!

Bisogna saper mostrare e dimostrare la propria vicinanza e comprensione al proprio pubblico. Cari colleghi e marketer: ci sono dei momenti in cui, più di altri, un’azienda deve dimostrare di possedere quelle skill che la differenziano dalla concorrenza, per costruire un legame empatico e sincero con il pubblico: non solo dire di essere la migliore in qualcosa, bensì dimostrare con i fatti che può davvero fare la differenza.

Gli slogan che hanno accompagnato l’immagine del brand devono essere tramutati in realtà, dimostrati con le azioni. Dire di essere vicini non basta, per restare veramente nelle menti dei consumatori in questo momento è necessario agire, fare.

Bisognerà tener conto che tutto ciò implica spendere del budget più o meno esosi ma certamente si tratta di un investimento a lungo termine per il posizionamento del brand che si segue.

Prepararsi al futuro ed essere pronti per quando l’epidemia terminerà il suo percorso. Ecco su cosa attualmente investire. Riuscire a definire delle prospettive è decisivo: le abitudini dei consumatori promettono di mutare in maniera definitiva.

Il mondo è stato messo a dura prova e non è possibile predire con assoluta certezza l’evolversi di questa particolare circostanza. Si può scegliere se abbandonarsi al flusso degli eventi o accettare la sfida che ci è stata posta e scovare all’interno di essa delle opportunità nascoste. La parola chiave è: riadattarsi.

In uno sforzo collettivo che è mosso e stimolato da nuove e positive opportunità di mercato.

lavoro da remoto

5 miti che sopravvivono ancora sul lavoro da remoto, da sfatare nel 2020

  • Ci sono molti falsi miti sul lavoro agile che inducono le aziende ad essere resistenti verso questa tipologia di lavoro.
  • L’argomento del lavoro agile va affrontato con un orizzonte temporale ampio senza legarlo al contingente momento emergenziale generato dalla pandemia.

 

Il lavoro agile o smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. Lo dice il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Smart Working o Lavoro Agile: definizione e sviluppi

L’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce: “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Quello che abbiamo sperimentato fino ad oggi, nel periodo pandemico, è uno smart working agevolato, un po’ improvvisato, molto più vicino al concetto di telelavoro ma pur sempre una buona base di partenza per iniziare ad avvicinarsi alla corretta adozione.

Durante la pandemia il Governo, attraverso un decreto attuativo approvato con urgenza, ha previsto l’adozione dello smart working senza accordo preventivo con i dipendenti (in deroga alla Legge 81/2017) al fine di contenere e contrastare la diffusione del Covid-19, bloccando, di fatto, l’attività in presenza per milioni di italiani.

DL 111/2020

Lo smart working è stato poi ulteriormente esteso dal DL 111/2020 (contenente alcune misure a sostegno dell’avvio dell’anno scolastico) al genitore lavoratore, per tutto il periodo (o parte di esso) corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni 14, disposta dall’ASL, a seguito di contatto verificatosi a scuola.

La previsione è contenuta nell’art. 5 che stabilisce inoltre che se la prestazione lavorativa non può essere svolta in modalità lavoro agile, alternativamente, uno dei genitori può fruire di un apposito congedo straordinario percependo un’indennità pari al 50% della retribuzione (il calcolo avviene secondo le modalità fissate dall’art. 23 del D.lgs. 151/2001). Secondo il dettato legislativo i periodi in cui si è fruito del congedo sono coperti da contribuzione figurativa.

La possibilità di fruire dello smart working o del congedo, quando il figlio è stato posto in quarantena, non spetta al lavoratore genitore se l’altro già fruisce di una delle predette misure, oppure svolge la prestazione in modalità lavoro agile ad altro titolo. Congedo straordinario o smart working non spettano nemmeno se l’altro genitore è già a casa perché privo di impiego.

Dal 15 Ottobre

Il Governo, con la delibera 7/10/2020, ha prorogato dal 15 ottobre al 31 gennaio 2021 lo stato di emergenza dovuto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Fino al 31/01/2021 sarà quindi ancora possibile accedere allo Smart Working senza preventivo accordo individuale con il lavoratore. Permane, quindi, la line agevolativa. Il DL 125/2020 apporta modifiche anche al DL 83/2020 (L. 124/2020) disponendo in particolare la proroga dal 15 ottobre 2020 al 31 dicembre 2020 del diritto di svolgere il lavoro in Smart Working riconosciuto ai lavoratori c.d. fragili, ossia coloro che sono maggiormente esposti al rischio di contagio da Covid-19.

LEGGI ANCHE: Dal Remote Working allo Smart Working: come evolve il lavoro nelle organizzazioni

5 miti sul lavoro da remoto da sfatare nel 2020

Ci sono molti falsi miti sul lavoro agile che inducono le aziende ad essere resistenti verso questa tipologia di lavoro. Qui di seguito indichiamo i 5 principali falsi miti sul lavoro da remoto che dovranno essere superati nel futuro.

1. I dipendenti che lavorano da remoto sono poco produttivi e lavorano molto meno

Uno dei primi miti da sfatare è proprio l’assenza di produttività.

Spesso si pensa che il lavoratore non presente in ufficio, quindi non a stretto contatto con il capo o collega, sia meno produttivo di quello impiegato in azienda.

Questa convinzione, in realtà, è stata smentita; molti lavoratori hanno affermato di aver lavorato più ore da remoto rispetto al lavoro in presenza.

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2. I dipendenti che lavorano da remoto non fanno squadra e tendono ad isolarsi

Anche questo “mito” è frutto di una cultura non matura rispetto all’argomento.

Il lavoro agile non è sinonimo di isolamento, un programma di remote working può infatti alternare periodi in presenza con periodi a distanza. Durante i periodi in presenza si può continuare a coltivare le relazioni face to face, a seguire corsi di formazione e continuare a fare team building.

La comunicazione tra colleghi può avvenire in modo snello e completo anche se non si è vicini di scrivania, esistono infatti moltissimi software per la gestione delle comunicazioni a distanza e che consentono di tenere traccia di ogni conversazione.

Si possono organizzare video call con il proprio team che vadano al di là dei semplici meeting di lavoro ma che si tramutino, per esempio, in pause caffè per socializzare in modo informale con i membri del team.

Questi alcuni strumenti utili per il lavoro a distanza:

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3. Il lavoro da remoto permette di dedicarsi alle faccende domestiche

Nell’immaginario comune lo smartworker viene spesso rappresentato intento a lavorare e a svolgere, nel contempo, anche attività domestiche quali: prendersi cura dei figli, pulire la casa, cucinare ecc.

Il vero lavoratore remotizzato, in realtà, organizza molto bene la sua giornata al fine di evitare distrazioni e interruzioni legate alla sfera domestica/privata.

L’importante è definire una routine quotidiana e stabilire regole precise per interagire con eventuali altre persone della famiglia.

Anche il mercato immobiliare si sta muovendo nella direzione del lavoro agile. Aumentano, infatti, le richieste di immobili più ampi dove poter ricavare lo studio per collocare la propria postazione di lavoro, senza dover condividere spazi comuni quali salotto, cucina ecc…

Più che l’esposizione della camera da letto o la luminosità della cucina nella scelta dell’immobile si valutano il livello di comfort e il corretto isolamento dal resto della casa della stanza adibita a studio professionale. La priorità è poter lavorare in un ambiente tranquillo, che favorisca la concentrazione. Si tende a traslocare più di rado, ma anche a preferire l’affitto all’acquisto, in modo da poter cambiare domicilio più facilmente non appena ci si imbatte in un’offerta migliore. La parola d’ordine è flessibilità, concetto che si applica non solo agli orari di lavoro ma anche al modo di concepire la casa.

Va inoltre sottolineato che il lavoro agile non è necessariamente coincidente con l’home working, è possibile infatti lavorare a distanza da spazi neutri al di fuori delle mure domestiche, come ad esempio in apposite strutture di coworking (oggi meno utilizzati a causa della pandemia).

skill smart working

4. Il lavoratore da remoto non sarà mai un buon capo

Se i datori di lavoro sono scettici in relazione all’assunzione di dipendenti che lavorino da remoto, lo sono ancora di più quando sono i manager stessi a non essere fisicamente in ufficio a controllare e coordinare le risorse.

Anche questo è un falso mito, come sostiene HubSpot, dove la forza lavoro remotizzata è di oltre 300 persone e la maggior parte sono manager di medio e alto livello.

In Italia le aziende che hanno siglato accordi di smartworking sono:

  • Tim Spa;
  • Eni;
  • Enel;
  • Fincantieri;
  • Fastweb;
  • Leonardo.

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5. Il lavoratore da remoto ha tutto il tempo per prendersi cura di se stesso

Quante volte abbiamo sentito dire: “Ora che lavoro in smart working avrò sicuramente il tempo di andare in palestra” oppure “Ora finalmente potrò coltivare il mio hobby”.

Anche questo (purtroppo) è un falso mito.

Lo stile di vita remoto è in realtà molto più frenetico e la giornata lavorativa è molto più occupata.

Spesso chi lavora da remoto perde il contatto con la realtà: salta la pausa pranzo, non intervalla la routine lavorativa con delle pause, tende a non scollegarsi mai.

Molte volte questo burnout avviene perché si sente la pressione psicologica di dover dimostrare al proprio datore di lavoro che, anche da distanza, si mantengono alti i nostri standard produttivi, aumentando di fatto la prestazione lavorativa a discapito della sfera personale. Oppure perché non si è in grado, come indicato sopra, di porre dei limiti e di organizzare in modo corretto la giornata.

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Il futuro del lavoro da remoto

Il ricorso allo smart working è aumentato esponenzialmente durante il periodo pandemico e post-pandemico, ed è spesso stato confuso con il telelavoro o peggio ancora con l’home working.

In realtà occorre affrontare l’argomento del lavoro agile con un orizzonte temporale ampio, senza legarlo al contingente momento emergenziale generato dalla pandemia.

Le organizzazioni che hanno introdotto il lavoro da remoto durante il periodo pandemico devono interrogarsi su quanto questa forma di lavoro possa diventare un modello organizzativo stabile nel tempo, analizzando gli aspetti positivi e negativi di questa metodologia di lavoro.

Dal lato dell’organizzazione aziendale è un modo per essere in grado non solo di rispondere alle esigenze delle persone, ma di creare spazi di lavoro ottimizzati che consentono risparmi sugli affitti e facilities, con tecnologie che agevolano i processi lavorativi dell’impresa.

Il risvolto negativo che si otterrà, dalla scelta di adottare o meno il lavoro agile, sarà sui settori produttivi il cui indotto è strettamente correlato al lavoro in presenza negli uffici: ristorazione, pulizie e facility management i settori duramente colpiti.

“Per questi comparti la crisi generata dal lockdown è stata solo l’inizio: l’estrema prudenza con cui continueranno a essere gestiti i rientri nei luoghi di lavoro per evitare i contagi sarà, di fatto, una minaccia per la continuità dei conti di queste aziende, tranne per chi non ha saputo radicalmente rinnovare il proprio business”.

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Il lavoro da remoto sarà la forma di lavoro vincente solo se sussistono una serie di condizioni, tra cui:

  • una migliore standardizzazione e organizzazione dell’attività produttiva richiesta ad ogni lavoratore, attraverso una precisa definizione dei tempi di svolgimento della prestazione;
  • evitare che il distanziamento sociale e di spazio appesantisca le procedure all’interno dell’organizzazione;
  • una corretta modalità di controllo e vigilanza del lavoro, tema delicato poiché nelle organizzazioni non esistono funzioni aziendali dedicate a questa attività.

UPDATE: In una precedente versione di questo articolo si riportava quanto segue: “A partire dal 15 Ottobre, invece, per poter continuare ad applicare lo Smart Working le aziende dovranno stipulare accordi individuali e inviare la comunicazione al Ministero del Lavoro attraverso l’apposita piattaforma e accedendo con le credenziali SPID. Il 15 ottobre è la data spartiacque per il futuro dello smart working per l’Italia.

Non esistendo una norma di raccordo tra il lavoro agile prima del 15 e dopo il 15 ottobre, sarà interessante valutare come le aziende si comporteranno: si inserirà strutturalmente lo smart working come tipologia di lavoro stabile oppure ci sarà un totale ritorno al lavoro in presenza?

La disciplina normativa del lavoro agile, Legge 81/2017, definisce in modo chiaro e preciso le modalità per introdurre e gestire questa forma di lavoro in azienda, nell’immaginario comune e nel web spesso lo SW viene visto in modo distorto“.