Xiaomi, la big tech dell’elettronica cinese, terza al mondo nella produzione di telefoni cellulari, crolla in borsa ad Hong. A soli sei giorni dall’abbandono della Casa Bianca, l’ultimo atto del presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, che inserisce Xiaomi nella lista nera, designandola come “compagnia militare cinese comunista”.
Xiaomi nella blacklist USA
Il Dipartimento della Difesa USA ha comunicato, infatti, che il colosso cinese rientra in una nuova lista di aziende contro le quali gli Stati Uniti imporranno specifiche restrizioni, con l’ordine per società e investitori statunitensi di disinvestire in Xiaomi entro l’11 novembre.
L’intervento di Biden potrebbe ribaltare la decisione, ma sorprende al momento la presenza di un’azienda elettronica come Xiaomi nella lista nera, inclusa tra i nove nomi di società evidenziate dal Dipartimento della Difesa, molto più orientate all’industria specializzate in aviazione, aerospaziale, cantieristica navale, chimica, telecomunicazioni, edilizia e altre forme di infrastruttura.
Anche Huawei, il secondo produttore di telefoni al mondo, è sulla lista, ma in quanto costruttore di apparecchiature di telecomunicazione su larga scala.
Immediata la replica di Xiaomi e il portavoce dell’azienda ha affermato di:
Operare in conformità con le leggi e i regolamenti pertinenti delle giurisdizioni in cui svolge le proprie attività. Non è di proprietà, controllata o affiliata all’esercito cinese, e non è una compagnia militare cinese comunista.
Al vaglio anche le conseguenze economiche e il riflesso in termini di immagine della disposizione USA, prima di intraprendere qualsiasi azione.
Se Huawei è nella “Entity list”, ovvero l’elenco delle entità del Dipartimento del Commercio statunitense che impedisce all’Usa di esportare tecnologia ad aziende inserite nella lista nera, evitando qualsiasi collaborazione, Xiaomi invece fa parte del gruppo che vieta investimenti diretti. Questo significa che Xiaomi non perde la possibilità di utilizzare Android, Google Play o chip Qualcomm (a differenza di quanto accaduto a Huawei), ma al tempo stesso le aziende USA che hanno quote in Xiaomi saranno costrette a rivedere le proprie posizioni.
Il Dipartimento del Commercio si sta muovendo per impedire a sei interi Paesi, designati come “avversari stranieri”, di fornire apparecchiature di comunicazione agli Stati Uniti, inclusi Cina, Russia, Iran, Corea del Nord, Cuba e il governo del venezuelano Nicolás Maduro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/xiaomi-stock-exchange-2.jpg6671212Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-01-15 13:48:372021-01-18 21:48:45USA, Xiaomi nella blacklist e il titolo crolla in borsa a Hong Kong
A pochi giorni dall’inizio della challenge Veganuary, che ogni gennaio incoraggia le persone a seguire uno stile di vita vegano per un mese, TheFork, l’app leader per la prenotazione dei ristoranti online a livello globale, ha coinvolto la sua community in un sondaggio dedicato a questa scelta alimentare. Il 19% dei rispondenti ha dichiarato di conoscere l’iniziativa e di questi l’8,5% ha aderito dal 1° gennaio. Il 27% degli utenti che invece ne hanno appreso attraverso il sondaggio, hanno dichiarato che avrebbero partecipato a seguito del questionario.
Veganuary e dieta vegan: il ruolo dei social media
L’importanza che l’alimentazione vegan sta assumendo nella dieta di molte persone d è testimoniata non solo dalle adesioni record del Veganuary 2021 (500.000 nella prima settimana), ma anche dall’ampia conversazione che esiste circa l’argomento sui Social Media. Basti pensare che su Instagram le menzioni per l’hashtag #vegan superano i 105 milioni e quelle per #veganuarysono più di 1 milione. Diversi personaggi noti sono diventati ambassador della dieta vegana, da volti più internazionali come Joaquin Phoenix, Ariana Grande e Miley Cyrus, fino a star italiane come ad esempio Simona Ventura, Paola Maugeri o ancora Anna Oxa. I dati raccolti da TheFork lo confermano: il 30% sostiene di aver approfondito la propria sul veganesimo grazie ai Social Media.
I motivi principali per la scelta di una dieta vegana
Se i social media rappresentano una fonte di conoscenza del veganesimo, le motivazioni principali di chi sceglie uno stile alimentare vegan sono: la salvaguardia degli animali, la riduzione del proprio impatto ambientale sul pianeta e infine motivi di salute. Il 34% dei rispondenti ritiene infatti questo tipo di alimentazione più sana.
Le tipologie di ristoranti più apprezzati
Se invece si parla di ristoranti ad attrarre maggiormente gli utenti sono quelli che offrono una cucina vegetariana (71%), vegana (17%) o la meno nota crudista (6%), ossia una dieta che prevede il consumo di soli alimenti crudi.
Vegano ma non solo, qualche indirizzo di TheFork
La Luce, Poianella di Bressanvido, (VI) – Orto di famiglia, agricoltori locali e cucina naturale. La Luce è un ristorante dai sapori autentici in cui scoprire il vero gusto delle ricette vegetariane e vegane. Questo ristorante offre il servizio di consegna a domicilio. Puoi ordinare chiamando direttamente da TheFork.
Selezione Naturale, Torino – “Fruit, music and vegetable”. Queste tre parole ben descrivono l’atmosfera di Selezione Naturale, un ristorante completamente dedicato alla materia prima, che viene rigorosamente da produttori locali, e alla cucina vegetariana e vegana. Questo ristorante è aperto a pranzo e offre servizio di consegna a domicilio e asporto.
L’OV – Osteria Vegetariana, Firenze – Prendete i migliori piatti della tradizione toscana e uniteli al gusto di una cucina vegetale. Otterrete così la prima osteria vegetariana di Firenze: ambiente moderno e di design e un menù tutto da provare. Questo ristorante è aperto a pranzo.
Solo Crudo, Roma – “Raw cooking and gentle cooking”, cucina cruda e gentile. Cosa significa? Che i piatti di questo ristorante sono crudi oppure preparati con cotture particolari. Il risultato? Un menù gustoso, sano e davvero originale. Questo ristorante è aperto a pranzo.
Lo Famo Sano, Pomigliano d’Arco (NA) – Un nome ironico ma sicuramente evocativo. Da Lo Famo Sano il menù è interamente vegetariano e vegano, composto da piatti preparati con la materia prima locale e soprattutto con creatività. Questo ristorante è aperto a pranzo.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/02/App-TheFork.jpg387800Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-01-14 17:04:222021-01-18 21:48:59Essere vegani, dai social alla tavola: la ricerca di TheFork ispirata al Veganuary
Il più grande rebranding di Burger King dopo 20 anni
Dopo 70 anni, Pfizer si libera dell’ovale e punta su un nuovo simbolo a forma di DNA
La nuova identità minimal di Coursera, perché l’apprendimento ha il potere di trasformare positivamente il mondo
Il restyling di SEMrush: colori vivaci per riflettere l’approccio al lavoro energico e innovativo
Per molte aziende, il periodo difficile di pandemia ha significato lavorare in un clima turbolento, alcune hanno dovuto infatti fare i conti con il problema della sopravvivenza. Per altre, si tratta dell’anno dei cambiamenti, della svolta positiva. Ecco i primi casi di rebranding che hanno destato la nostra attenzione all’alba del nuovo anno.
Burger King cambia la sua identità con un look retrò
Il 2021 si apre con il rebranding di Burger King che lancerà una nuova identità nel corso dei prossimi mesi.
Il rebranding è progettato da Jones Knowles Ritchie di New York. Oggi la nota catena di fast food sta facendo un balzo in avanti introducendo un design visivo completamente nuovo che sarà presente in tutti i touchpoint.
Ispirato al cibo vero e delizioso, l’aspetto più moderno segna il primo rebranding completo in oltre 20 anni e rappresenterà in modo più autentico i valori di Burger King nel mondo.
Il progetto digital-first vede recenti miglioramenti della qualità del cibo, attraverso la rimozione dalle voci di menù di coloranti, aromi e conservanti, e altre sostanze artificiali. Un ambizioso impegno per la sostenibilità ambientale.
Combinando gusto e qualità attraverso il design, ogni elemento è stato intenzionalmente reinventato per riflettere meglio il nuovo viaggio gastronomico di Burger King. I principi di progettazione catturano le caratteristiche uniche del marchio: appetitoso, grande e audace, scherzosamente irriverente e orgogliosamente vero.
Logo evolution
Dal lancio dell’attuale logo nel 1999, il colosso americano è passato a un linguaggio di design più moderno e compatibile con il digitale. Gli elementi ricordano le guerre degli hamburger degli anni ’80, ma attirano i consumatori più giovani che desiderano un design vintage. Per ora, il rebranding è in fase di lancio nel sistema statunitense, e presto si farà strada a livello globale.
Il nuovo logo minimalista sposa perfettamente l’evoluzione di Burger King e rende omaggio al patrimonio del marchio con un design raffinato, semplice e divertente.
Tra le chicche che attirano l’attenzione l’affascinante monogramma: la “B” di Burger viene tagliata come un panino e racchiude il ripieno a forma di “K”.
I colori selezionati sono ricchi e audaci, ispirati all’iconico processo di cottura alla griglia Burger King e agli ingredienti freschi. La nuova fotografia è iper strutturata e punta sull’aspetto sensoriale del cibo.
Il nuovo font del marchio proprietario di Burger King è appunto chiamato “Flame”, e si ispira alle forme del cibo (arrotondate, audaci, gustose) e alla personalità irriverente del marchio.
Anche i pack mostrano con orgoglio il nuovo logo, insieme ad allegre illustrazioni degli ingredienti.
Le nuove divise del personale mescolano uno stile moderno e confortevole con colori e grafiche distintivi. I veri membri dello staff compaiono nella nuova pubblicità di Burger King.
Il rebranding di Pfizer che trasforma il suo logo dopo 70 anni
Fondata nel 1849, Pfizer è una delle più grandi aziende biofarmaceutiche a livello internazionale. È conosciuta in tutto il mondo per farmaci come Zoloft, Lipitor, Viagra e molti altri. Oggi più che mai l’azienda è al centro dei riflettori per il suo vaccino anti-covid, il BioNTech che è diventato il primo ad essere approvato dopo varie sperimentazioni. La società durante il corso del 2020 ha sospeso il suo progetto di rebranding per concentrarsi sulla comunicazione per la pandemia, nonché sugli sforzi di produzione e distribuzione dei vaccini. A novembre, Pfizer ha nuovamente rivolto la sua attenzione al rifacimento dell’identità e ha agito rapidamente per completare e pubblicare il logo e i nuovi materiali marketing a inizio anno. Il progetto porta la firma di Team di New York.
Pfizer ha incaricato lo strategic design studio di Brooklyn per creare una nuova identità per riflettere la loro evoluzione da impresa diversificata ad azienda biofarmaceutica mirata e innovativa; da impresa commerciale a leader scientifico di prima classe.
Logo evolution
Con un logo che era rimasto pressoché invariato per oltre 70 anni, era fondamentale che la nuova identità di Pfizer riflettesse sia la storia dell’azienda che il suo brillante futuro. L’azienda è nel mezzo di un enorme processo di trasformazione.
La novità che si nota a primo impatto è un potente simbolo unificante – l’elica del DNA.
Gli scienziati vedono il DNA come l’essenza di tutta la vita, il codice e il motore del potenziale umano. Ogni filo porta con sé le istruzioni affinché un organismo possa svilupparsi, sopravvivere e prosperare. Il DNA di un’azienda rappresenta il suo passato, il suo presente, la sua etica e il suo potenziale.
Il nuovo logo Pfizer sblocca l’iconica forma della “pillola” per rivelare una doppia elica che si muove a spirale verso l’alto.
Il pittogramma, adesso a lato, trasmette un senso di movimento ascendente. La forma rotante ispira progresso, cambiamento e ribaltamento di vecchie realtà alla ricerca delle innovazioni del domani.
Guidelines
L’azienda ha iniziato a promuovere il nuovo design in una campagna pubblicitaria. Come parte del rebranding, Pfizer ha lanciato un video legato al messaggio “Science Will Win” e un’iniziativa per i media a pagamento. Qui gli scienziati che indossano dispositivi di protezione individuale stanno lavorando sodo mentre il narratore legge una sceneggiatura che umanizza la scienza: “Se vuoi salvare gli esseri umani dalla malattia, chiedi alla scienza”. La clip si conclude con il nuovo logo e il mantra aziendale: “la scienza vincerà”.
Immagini audaci per una scienza che plasma il mondo. Le foto mostrano persone reali.
La nuova identità di Pfizer è stata progettata per essere digital frist, consentendole di muoversi senza problemi su tutti i punti di contatto.
Lo storico blu Pfizer è stato trasformato in una vibrante tavolozza bicolore che indica l’impegno di Pfizer sia per l’innovazione scientifica che per il benessere dei pazienti.
La scelta di Noto Sans come nuovo font del marchio riflette questa dualità.
Sviluppato originariamente da Google per internazionalizzare Internet, Noto Sans è progettato per essere visivamente armonioso in più di 800 lingue. Esprime senso di apertura, energia e raffinatezza.
A cavallo del nuovo anno, anche Courserasvela la sua nuova identità. L’azienda fornisce l’accesso universale alla migliore istruzione del mondo, collaborando con le migliori università e organizzazioni per offrire corsi online. Oggi Coursera vuole ribadire il suo impegno a rendere l’apprendimento accessibile, inclusivo e di impatto per tutti. La nuova identità esprime il potere e il potenziale di ogni studente e di ogni opportunità di apprendimento.
Dal 2012 a oggi, Coursera si è evoluta in una piattaforma di apprendimento globale in cui oltre 75 milioni di studenti accedono per apprendere competenze rilevanti per il lavoro e guadagnare credenziali per il proprio avanzamento di carriera.
Il marchio Coursera doveva riflettere questa crescita. Al centro della nuova identità troviamo lo sviluppo delle proprie capacità e la possibilità di vivere le proprie passioni.
La scritta si evolve dall’infinito alla C e rappresenta il punto di ingresso all’intera gamma di opportunità di apprendimento su Coursera, dai progetti ai corsi gratuiti, fino ai diplomi professionali. La C mette in luce un mondo di possibilità e fornisce agli studenti un percorso che inizia dalla scoperta e porta dritto al risultato.
La nuova tavolozza colori attinge al mondo naturale per creare un’esperienza calma, edificante e dinamica.
Coursera è un gateway per alcune delle istituzioni di apprendimento più venerate al mondo, era quindi necessaria una palette in armonia con i partner.
Il marchio celebra la diversità e la sua community. Prende vita dalle esperienze degli studenti di tutto il mondo.
Tra i caratteri tipografici selezionati ci sono Source Sans Pro e Noto Sans Pro (come in Pfizer).
L’architettura del marchio è in grado di comprendere l’intero ambito delle crescenti collaborazioni che Coursera ha costruito nel corso degli anni.
SEMrush, la piattaforma per la gestione della visibilità online e il content marketing, svela un nuovo logo e il restyling della propria identità visiva.
Nata nel 2008, come uno strumento unico per gestire progetti SEO oggi SEMrush è a tutti gli effetti una piattaforma potente di gestione della visibilità online. La strategia di rebranding vuole riflettere l’evoluzione e lo sviluppo dell’azienda in tal senso.
Il design del logo appare rinnovato e moderno, reinventa e semplifica l’elemento principale.
Come parte dell’immaginario visivo di SEMrush troviamo la palla di fuoco, che simboleggia la scintilla creativa che accende il motore del marketing.
“SEMrush è una scintilla che mette in moto il marketing. E ora la nostra identità visiva funge da estensione al nostro impegno per migliorare la visibilità online dei nostri clienti” ha dichiarato il CEO Oleg Shchegolev.
SEMrush utilizza anche un nuovo carattere tipografico personalizzato e una tavolozza colori vivaci per riflettere l’approccio innovativo ed energico al lavoro.
La nuova identità è stata implementata nella homepage e nei materiali marketing e nei prossimi mesi sarà visibile su tutti i prodotti SEMrush.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/primi-rebranding-2021-burger-king-pfizer-coursera-semrush-15.jpg8441500Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2021-01-14 12:02:462021-07-21 14:54:30I primi rebranding del 2021: Burger King, Pfizer, Coursera e SEMrush
Ci sono due motivi che devono spingere un creator di YouTube a pubblicare video: la soddisfazione dello spettatore e l’algoritmo della piattaforma
La formula magica di Justin non prevede solo il giusto minutaggio, ma contempla anche cinque elementi che servono per aumentare le visualizzazioni
Qual è la migliore strategia per ottenere più visualizzazioni su YouTube? Se anche tu ti sei posto questa domanda, ti riportiamo l’intervista di Michael A. Stelzner, il fondatore di Social Media Examiner, a Justin Brown, esperto di YouTube e strategia video.
Justin Brown e Primal Video Accelerator
Justin è un esperto di YouTube, un vero e proprio stratega del video che aiuta le aziende ad aumentare il proprio pubblico e a guadagnare. Sì, se crescono gli utenti su YouTube, conseguentemente, crescono anche le entrate: ed è proprio questo che egli spiega nel suo canale YouTube dal nome Primal Video.
Una piccolezza: si rivolge “solo” a 820 mila iscritti.
Non uno qualsiasi: Justin Brown ha lavorato con Netflix e si occupa della produzione di video “veri”, tanto da aver lavorato anche con importanti emittenti statunitensi. Il suo merito è quello di aver sviluppato la strategia perfetta per YouTube e la racconta, di volta in volta, nel suo canale: 3 milioni di visualizzazioni in un mese sono ormai, per lui, lo standard.
Secondo Justin, ci sono due motivi che devono spingere un creator di YouTube a pubblicare video: la soddisfazione dello spettatore e l’algoritmo della piattaforma.
Per questo motivo, è molto importante che un utente guardi sempre un video per intero, dall’inizio alla fine: un trucchetto potrebbe consistere nel fornire un’offerta o una promozione al termine del contenuto. Forse non è noto a molti ma quando un video su YouTube viene visto solo a metà, la piattaforma lo interpreta come un contenuto negativo che sarà poi penalizzato nella ricerca e nei risultati suggeriti.
Allo stesso modo, non bisogna però annoiare lo spettatore: invece che costringere un utente a guardare cinque video per ottenere ciò di cui ha bisogno, assicurati di fornire il tutto in un solo, in modo succinto e pratico, per essere sicuro che non mollerà la presa. Come dire: è meglio garantire un video visualizzato per intero che 5 a metà.
Ricorda che YouTube, contrariamente alle altre piattaforme, non si rivolge a chi ha un basso livello di attenzione, anzi. Con YouTube si parla di minuti, non di secondi: è opportuno ragionare dunque in questi termini… temporali.
Come strutturare un video di successo
La formula magica di Justin non prevede solo il giusto minutaggio, ma contempla anche cinque elementi che servono per aumentare le visualizzazioni.
Il gancio: la parole chiave
Quando qualcuno cerca un contenuto su YouTube, c’è sempre quell’ansia che persiste finché gli utenti non sanno che stanno guardando il video giusto. Per questo motivo, l’obiettivo è attirare immediatamente gli spettatori facendo sapere loro che sono nel posto giusto.
Per coinvolgere immediatamente gli utenti, occorre sviluppare un gancio che ripeta le parole chiave esatte relative alla loro domanda nella prima frase del vostro script video. Se in esso si parlerà del miglior software di editing video per utenti Mac, non dovrai esordire con “Ehi, sono Justin di Primal Video“, ma con “Stai cercando il miglior software di editing video su Mac nel 2020? Bene, in questo video lo analizzeremo. “
L’utilizzo della frase chiave esatta è importante perché YouTube trascrive i tuoi video, li valuta e li premia. O meno.
L’introduzione: tu e i tuoi contenuti
Sempre secondo Justin, dopo il gancio, presenta te stesso e il tuo canale, fornendo qualche dettaglio in più sui contenuti che intendi offrire. Lui propone, ad esempio, qualcosa come: “Ciao, sono Justin di Primal Video, dove ti aiutiamo a far crescere un pubblico e ad aumentare le tue entrate con i video online“. In questo modo non solo ti sei presentato ma hai anche detto alle persone quali sono i contenuti.
Contenuto: coinvolgi lo spettatore
Ora è il momento di mantenere ciò che hai promesso per mantenere il tuo spettatore attivamente coinvolto.
Non importa quanto siano belli i tuoi contenuti, se parli senza elementi visivamente interessanti da guardare gli spettatori si annoieranno. Oltre a ciò, assicurati le attività di coinvolgimento comuni come il fare clic sui pulsanti – pollice su o pollice giù -, lasciare un commento o fare clic su una scheda per visualizzare in anteprima un video correlato e così via.
Bonus: pubblicazione in eccesso
Quando hai concluso il contenuto promesso, offri agli spettatori qualcosa in più, qualcosa che non si aspettano. Scegli qualcosa che li aiuti a implementare la soluzione che hai appena suggerito o qualcosa relativo al prossimo ostacolo che incontreranno. Ad esempio, si potrebbe menzionare una risorsa scaricabile dal web per “chi sa”. Una tip non scontata, per intenderci.
Invito all’azione: il passo successivo
Se qualcuno guarda fino alla fine il tuo video, allora vorrà anche sapere quale sarà il passaggio successivo da fare. In questo, dovrai aiutare il pubblico a completare il suo viaggio. Un modo per farlo è suggerire di guardare un altro video specifico che continua quel percorso di conoscenza e scoperta già intrapreso. Utilizza sempre una schermata finale per indirizzare gli utenti verso il miglior video successivo che hai sull’editing video, magari uno che possa offrire suggerimenti su come modificare più velocemente. Quindi: “Perché non dai uno sguardo a questo fantastico video sull’editing video avanzato?”
Se non ne hai uno a disposizione, dirottalo sul video di qualcun altro. Perché? Una delle metriche che YouTube tiene in considerazione è il tempo della sessione. Se il tuo video avvia una sessione, ti viene attribuito quel “viaggio” di visualizzazione.
Suggerimento : se utilizzi il video di un altro canale, mantieni generico l’invito all’azione in modo da poterlo scambiare con uno dei tuoi nella schermata finale quando avrai un video pronto.
Un altro modo per aiutare gli spettatori a continuare il loro viaggio di scoperta è fornire un invito all’azione che li spinga a scaricare una risorsa o una guida correlata. Se stai parlando di editing video, condividi una guida al montaggio; se stai parlando di riprese, condividi una guida alle riprese.
YouTube, una gallina dalle uova d’oro
I modi per avere successo su YouTube sono tanti: questa volta ti abbiamo riportato i consigli di Justin Brown, ma il consiglio che vogliamo darti è quello di non smettere mai di sperimentare. Lo stesso Brown ha dichiarato che da quando ha aperto, nell’ormai lontano 2014, il suo canale ha conosciuto tanti fallimenti prima di ottenere il giusto successo.
Il consiglio è sempre uno, dunque: provare.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/youtubeads.png450759Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2021-01-13 16:35:472021-01-14 12:03:11Come ottenere più visualizzazioni su YouTube: consigli di un creator di successo
I processi che le aziende devono affrontare ogni giorno tanto lato marketing quanto lato vendite e supporto clienti, sono spesso dispendiosi in termini di tempo e soggetti a errori. Per questo, per crescere in modo sostenibile, sempre più aziende scelgono di standardizzarli e automatizzarli.
Mentre i flussi di lavoro CRM promettono un servizio efficiente e coerente, la loro implementazione può essere un’operazione davvero scoraggiante. Tuttavia, seguire alcune semplici pratiche aiuta a evitare le insidie e snellire i processi. Il segreto, come in tutte le attività umane, è l’allenamento e l’applicazione pratica, possibilmente in un ambiente di training prima di andare “in produzione”.
Uno strumento molto utile in questo senso può essere, ad esempio, Goldfish, il nuovo prodotto di vtenext: un ambiente in cui imparare, allenarsi e testare l’automazione dei processi aziendali.
Ma prima di partire con qualche utile consiglio, consideriamo un celebre esempio nell’automazione dei processi aziendali.
Flussi di lavoro CRM nella cultura pop
Nel 1954, un venditore porta a porta di nome Ray Kroc ricevette un ordine insolitamente grande di frullatori da uno stand di hamburger a San Bernardino, California. Quando visitò il ristorante, rimase stupito dal volume di pasti che il piccolo ristorante era in grado di servire ai suoi clienti.
Ray notò alcune cose dello stand che spiccavano:
gli hamburger potevano essere prodotti più velocemente di qualsiasi altro chiosco;
la qualità dei pasti, il tempo di preparazione e l’esperienza del cliente erano molto affidabili e omogenei;
i processi erano stati suddivisi in compiti semplici e ben definiti che richiedevano poca formazione specifica.
Quello era il primo ristorante McDonald’s, che Ray poi rilevò per avviare un franchising. Oggi chiameremmo quei processi “flussi di lavoro” e nello specifico “CRM Workflow” nel caso fossero orientati al cliente.
Anche se non tutti possono raggiungere lo stesso successo di McDonald’s, se si seguono alcuni semplici consigli è possibile migliorare i processi aziendali, grazie all’automazione.
Suggerimenti per i processi aziendali
Ci sono tre tappe essenziali che sarebbe bene seguire quando si vanno a definire i processi aziendali e la loro automazione:
Pianifica i flussi di lavoro. Dedicare un po’ di tempo alla definizione di ciò che i flussi di lavoro devono consentire di fare, ti permetterà di semplificare tutte le fasi successive.
Scegli il sistema e gli strumenti giusti per te. Per trovare ciò che fa al caso tuo dovresti innanzitutto guardare alle persone e scegliere sulla base di ciò che può funzionare per il team, ma anche non tralasciare il budget: alcune soluzioni come Goldfish ti consentono di testare tutto in modo gratuito; impara allenandoti e guardando video tutorial gratuiti già inseriti all’interno dell’ambiente di lavoro, lasciati guidare da wizard ed esempi concreti e, una volta imparato, esporta i tuoi processi.
Assicura il successo del flusso di lavoro. Monitorare i flussi è essenziale per accertarti che continuino a funzionare e rendere più produttivo il lavoro del team.
Ed ora ecco alcuni consigli utili da tenere accuratamente presenti.
1. Misura due volte, taglia una
Prima di automatizzare, trova l’efficienza. L’automazione in sé non rende più efficienti, per diventarlo bisogna trovare la giusta combinazione per il proprio caso specifico e soprattutto misurare tutto sulla base dei risultati. I flussi di lavoro possono ridurre la quantità di risorse utilizzate in un processo, ma solo tu puoi determinare se ne vale la pena.
Stabilisci un benchmark e poi fai un audit di tutti i tuoi processi per vedere quali soddisfano i tuoi standard. Parla con le risorse che eseguono effettivamente ciascuna delle operazioni e scopri dove ci sono inutili sprechi di impegno e denaro.
2. Rendi tutti degli High Performer
Prima che McDonald’s acquistasse qualsiasi macchina o assumesse personale, c’è stato un periodo di prove ed errori in cui ha stabilito le migliori pratiche per il suo ristorante. Molte ricette e processi sono stati tentati prima di trovare quelli ottimali su cui investire.
Allo stesso modo, prima che le aziende crescano in modo esplosivo, c’è un periodo di scoperta per identificare “la formula” da usare per replicare il proprio successo.
Qual è la tua formula?
Nella maggior parte delle aziende, c’è una certa selezione naturale che avviene quando il personale svolge lo stesso compito in parallelo. Il personale più produttivo tende a crescere e diffondere le sue buone abitudini al resto del team. Le aziende più innovative usano A/B test per mettere in competizione tra loro due versioni dello stesso processo e vedere quale vince.
3. Incorporare l’approccio dell’automazione in tutti i processi
Alcuni processi sono più complessi. Potrebbero biforcarsi in percorsi diversi per adattarsi a scenari comuni che il business deve affrontare. Affinché i flussi di lavoro abbiano successo, bisogna identificare i percorsi più comuni e costruire le decisioni che determinano i percorsi nei processi aziendali.
Ci sono diversi vantaggi nel fare questo: uno di questi è che verrà ridotto il numero di persone necessarie per realizzare un determinato processo. La logica, cioè, è integrata nel processo e anche se il suo “architetto” non c’è più, il processo può continuare a dare risultati.
I vantaggi dell’automazione nei processi aziendali
La creazione di flussi di lavoro CRM standardizzati per l’azienda è assolutamente necessaria oggi per espandere il tuo business in modo sostenibile. Può ridurre drasticamente il carico sul personale senza compromessi e, in molti casi, anche migliorare l’esperienza del cliente.
Inoltre, il monitoring puntuale di processi favorisce l’individuazione di colli di bottiglia in un’ottica di miglioramento continuo, garantisce la possibilità di adattare tempestivamente i processi interni ai cambiamenti interni/esterni, migliora la comunicazione interna e abbatte eventuali barriere, conservando uno storico delle informazioni scambiate e scoprendo subito dove il processo si è bloccato.
Il tempo e le risorse che libererai grazie all’automazione dei processi aziendali ti daranno spazio per respirare, sperimentare e, in ultima analisi, far crescere l’azienda.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2016/05/marketing_automation_i_vantaggi_di_un_workflow-1.jpg400600Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-01-13 13:00:482021-01-14 06:18:35Automazione nei processi aziendali: per cominciare bisogna allenarsi
Nell’ultimo anno il mercato dell’Influencer Marketing è cambiato profondamente e le sole attività di sponsorizzazione su TikTok sono cresciute del 130%
Secondo una ricerca condotta da Klear, la quota di mercato dell’industria degli influencer della Generazione Z è cresciuta del 9%
Con il passaggio dai post ai contenuti brevi (come le stories) i creator di Instagram e TikTok hanno visto incrementare il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente
La pandemia provocata dal Covid-19 ha colpito le vite di tutti noi modificando molti aspetti della nostra quotidianità.
La stessa fruizione della rete e dei contenuti social è cambiata e questo cambiamento ha messo in moto un processo di adattamento e innovazione anche per creators e marketers.
Nonostante il periodo poco favorevole, gli investimenti pubblicitari in influencer marketing sono stati ingenti. Gli influencer hanno incrementato il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente, confermando il potenziale di questo settore. La sola piattaforma TikTok ha visto un’attività di sponsorizzazione del 130% in più rispetto all’anno precedente. Insomma, il settore continua ad affermarsi e ad essere importante nella strategia di marketing mix.
Quali settori e categorie di influencer sono cresciuti nell’ultimo anno su Instagram e TikTok
Secondo l’ONIM, Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing, il mercato degli influencer è maturo.
Nel 2020 i settori più interessati alle collaborazioni sponsorizzate su Instagram e TikTok sono stati (in ordine):
Moda
Fitness
Fotografia
Lifestyle
Beauty
Viaggi
Famiglia
Food
Fai da te
Design.
I settori che hanno più risentito della crisi sono stati Food e Viaggi. Indubbiamente la loro penalizzazione è stata dettata dai vari lockdown.
Nella stessa ricerca di Klear condotta su un campione di 5mila influencer, si legge che l’utilizzo dell’hashtag #adnei post di Instagram è diminuito del 19% su base annua mentre l’utilizzo delle Stories sponsorizzate è cresciuto del 32%. Questo significa che il consumatore è più interessato a contenuti instant rispetto a post statici.
Le stories di Instagram sono contenuti più facili da monitorare per la conversione.
Sebbene Instagram sia sempre stata considerata una piattaforma utile al raggiungimento degli obiettivi di brand awareness e consideration, l’utilizzo delle stories ha fatto emergere la possibilità di monitorare il conversion rate di una campagna di Influencer Marketing.
Basti pensare al fatto che all’interno delle stories è possibile aggiungere un link per monitorare l’atterraggio alla pagina web dedicata. Inoltre si possono inserire adesivi, domande, sondaggi ed altri elementi utili all’engagement. In una campagna di Influencer Marketing il creatorpuò registrare un video in cui prova un prodotto e/o un servizio e ingaggiare il pubblico con un contenuto di impatto inserito all’interno della sua routine.
Questo genere di storytelling non si può costruire con la pubblicazione di uno o più post, non si possono inserire link e al di là della pubblicazione del video, non essendo il post un contenuto istantaneo, perde il suo spazio nella veloce narrazione quotidiana dell’influencer.
TikTok, invece, è il social che è stato più scaricato nell’ultimo anno. Tra i trend emersi nella ricerca di Klear vi è lo spazio che la Generazione Z si sta ritagliando nel mercato dell’Influencer Marketing. Sebbene la crescita dei contenuti sponsorizzati#ad non ci sia stata nella maggior parte dei mercati, quello degli influencer tra i 18 e i 24 anni è salito del 9% rappresentando oggi il 31% dell’intero comparto.
I marketers e i brand non possono fare a meno di considerare che i giovani e i giovanissimi aumenteranno sempre più il loro potere di acquisto, quindi investire in questo campo sarà inevitabile.
La Generazione Z è formata dai nativi digitali che sono a proprio agio con le espressioni neutrali di genere, sono più istruiti rispetto ai membri delle altre generazioni e hanno valori sociali e politici progressisti. Questi dati possono essere utilizzati dai brand per la scelta dei social da presidiare e degli argomenti da trattare.
Nonostante i problemi e i limiti che la piattaforma TikTok ha avuto negli USA, sono molti i brand che hanno messo gli occhi sui creator della Gen Z e il loro passaggio da Instagram al social TikTok ha contribuito alla crescita di molti di essi. Il social media dei video musicali ha spinto Instagram a rilasciare la funzione Reel. Solo questa scelta di contenuto dovrebbe essere indicatore della crescente importanza che TikTok avrà nell’allocazione dei budget social.
Le scelte dei consumatori sono fortemente orientate dagli influencer e dalle loro storie.
Secondo una ricerca condotta da Valassis sul mercato americano, inglese e tedesco, il 51% degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato un prodotto o un servizio dopo averlo visto utilizzato o promosso da un influencer. Secondo lo studio, l’Influencer Marketing sta avendo un maggiore impatto sugli acquisti perché il tempo di fruizione dei social da parte dei consumatori è aumentato durante la Pandemia.
Il 35% dei consumatoriamericani, infatti, sostiene di aver effettuato un acquisto non pianificato dopo aver visto qualcosa sui social mentre e il 21% ha dichiarato di aver effettuato un acquisto consigliato da un influencer da quando è iniziata la pandemia. Questi numeri ci fanno capire e percepire il reale potere che i creator hanno sui consumatori e viceversa.
Secondo I trend dell’Influencer Marketing 2021, ricerca condotta da Buzzoole, emerge chi riesce a costruire un’identità distintiva e riconoscibile. Agli influencer non serve essere onnipresente su tutti i canali ma sceglierne alcuni in cui costruire un legame forte con la propria community.
L’attivismo sociale degli influencer di Instagram e TikTok
L’impatto che le nostre scelte hanno nel mondo si riflettono anche sul fatto che i brand e gli influencer si stanno addentrando nel campo dell’attivismo sociale.
Nella ricerca di Klear condotta analizzando i profili social di 100 compagnie si legge che l‘80% dei brand ha supportato sui social la causa #BlackLivesMatter. Nella stessa ricerca si legge anche che il 65% dei consumatori afferma che smetterebbe di seguire un influencer che dice o fa qualcosa non in linea con la propria etica e i propri valori personali.
Alcuni consumatori stanno abbracciando marchi sostenuti dagli influencer che riflettono la loro consapevolezza sociale. Dunque il futuro dei brand dovrà essere sempre più etico perchè saremo sempre più connessi e consapevoli. Le nostre scelte influenzeranno e saremo influenzati. Diventeremo tutti creator, tutti portatori di valore ed ognuno di noi sarà capace di invertire la rotta e cambiare le tendenze del mercato.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/influencer-marketing-01.jpg9211646Flavia Alvihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFlavia Alvi2021-01-12 15:20:522021-04-07 20:55:56Come TikTok e le Stories di Instagram stanno facendo crescere il valore degli Influencer
La crisi sanitaria internazionale ha colpito pesantemente il settore turistico, facendo registrare perdite milionarie nelle economia nazionali di molti paesi europei ed extra europei.
Probabilmente il settore turistico è stato tra i più colpiti dalla pandemia di coronavirus trascinando con sé la chiusura di ristoranti, piccoli negozi (e non solo), bar, club e molti purtroppo senza la possibilità di ripartire. Senza dimenticare le gallerie d’arte, i musei, gli zoo ed i monumenti in genere.Molte attività si sono evolute per evitare le chiusure: alcuni musei hanno organizzato tour virtuali e i ristoranti hanno adottato diverse forme di delivery, ma non si è trattato di certo di un cambiamento semplice e soprattutto senza perdite economiche.
Si spera che nel 2021, con l’arrivo dei vaccini, la situazione dell’industria del turismo possa migliorare, ma ciò che è certo è che non torneremo a viaggiare liberamente come eravamo soliti fare.
Se è vero che sarà l’anno della rinascita e della ripartenza, lo è altrettanto il fatto che siamo ancora molto lontani dalla fine dell’emergenza sanitaria internazionale. In questo 2021 saranno ancora numerosi purtroppo, i cambiamenti e i momenti difficili per molti settori.
I viaggi nel 2021 tra paure e cambiamenti
Se fino a pochissimi mesi fa visitare città affollate e luoghi traboccanti di gente erano le caratteristiche ideali di un viaggio divertente e indimenticabile, oggi e nei viaggi di prossimi mesi, saranno situazioni che causeranno paura ed ansia ai primi viaggiatori del mondo post-covid.
I viaggiatori saranno più consapevoli dell’importanza del distanziamento sociale e del rispetto dei protocolli di sicurezza e per questi motivi saranno preferite mete meno affollate, fuori dai classici circuiti turistici in favore di luoghi più remoti e di esperienze più individuali come: percorsi in bicicletta, tour di birdwatching o altre attività all’aria aperta e immerse nella natura.
Nuovi viaggi di gruppo e scomparsa delle tradizionali mete turistiche
I viaggi di gruppo sono stati per anni delle leve molto importanti per tutta l’industria turistica. Una buona occasione per conoscere nuove persone, scoprire posti nuovi, vivere esperienze indimenticabili e perché no, risparmiare sui costi del viaggio.
La pandemia, che ha notevolmente modificato l’intero settore turistico, non ha di certo risparmiato i viaggi di gruppo, che non torneranno ad essere gli stessi ancora per molto tempo. I tour operator potrebbero notevolmente modificare le condizioni di viaggio in gruppo, riservandoli solo a conoscenti, a gruppi di persone con rapporti regolari e parenti.
Senza alcun dubbio, nasceranno nuove mete turistiche con la conseguente scomparsa di altre. Le destinazioni cambieranno e la scelta potrebbe essere basata non solo sul prezzo, ma essere pesantemente influenzata dagli standard igienici adottati, dall’obbligatorietà dell’uso delle mascherine o meno, della qualità dei trasporti pubblici e dalle misure adottate nei mesi scorsi per il contenimento delle diverse ondate pandemiche.
La sicurezza dei viaggiatori sarà il fulcro e l’elemento determinante nella scelta delle destinazioni dei primi viaggiatori del mondo post Covid. Evitare le folle, scegliere destinazioni sicure e adottare comportamenti precauzionali saranno certamente i tre elementi indispensabili dei prossimi mesi o anni.
L’incertezza di viaggi e la diffusione di notizie contraddittorie (a volte false) spingeranno i viaggiatori ad affidarsi a veri esperti, nella pianificazione degli spostamenti. Per questi motivi, molti tour operator offriranno la possibilità di consultare una persona in grado di illustrare le diverse normative sanitarie da rispettare durante il viaggio e che possa offrire un supporto logistico nel caso di contaminazione in paesi europei o extra-europei.
Il fascino delle vacanze alternative
Il fascino delle vacanze alternative è aumentato esponenzialmente dall’inizio della pandemia. Con il susseguirsi delle notizie disastrose provenienti da ogni angolo del mondo, le persone sembrano essere diventate più sensibili rispetto all’impatto ambientale delle loro vacanze e la tendenza influirà anche sui viaggi nel 2021.
Questo interesse sta pian piano alimentando la voglia di viaggi con esperienze del tutto nuove, molto lontane dall’idea classica di vacanza che ci ha accompagnato sino ad oggi.
Oltre ad i viaggi sostenibili, di gran moda diventeranno i viaggi rigenerativi, che spinge il turismo a compiere un ulteriore passo in avanti. Infatti, se le vacanze sostenibili puntano a un impatto negativo molto basso compensando le emissioni inevitabili, il turismo rigenerativo punta al miglioramento delle condizioni sociali o ambientali del paese ospitante.
Tutto ciò è possibile contribuendo attivamente al territorio attraverso donazioni, realizzazione di progetti e il sostegno a cause di grande rilevanza del territorio.
2021: l’anno dei viaggi responsabili
Il 2021 sarà l’anno dei viaggi responsabili, l’anno degli spostamenti per lavoro e per necessità. Se da un lato i principali attori del settore (come le compagnie aeree, le compagnie ferroviarie, gli hotel ed i servizi di noleggio auto) adotteranno nuove misure di contenimento del contagio, obbligando i viaggiatori a certificare le proprie condizioni di salute, dall’altro dovranno riconquistare la fiducia dei viaggiatori e dimostrare che è possibile tornare a viaggiare senza troppe preoccupazioni.
Altro nodo di fondamentale importanza saranno le precauzioni sanitarie. Le aziende chiederanno con maggiore rigore ai propri dipendenti, in linea con le misure governative, le quarantene prima e dopo i viaggi (con un tracciamento dettagliato di ogni spostamento), l’uso rigoroso delle mascherine e di effettuare i tamponi con maggiore frequenza.
Tra le novità dei viaggi nel 2021 è prevista anche una maggiore sostenibilità ambientale dei viaggi aziendali. La pioniera in questa direzione è stata Microsoft con l’acquisto di carburante ecosostenibile per i voli dei propri dipendenti, un ulteriore incentivo per il rilancio dei viaggi aziendali in chiave green.
Il rispetto dei protocolli per la sicurezza della salute e la sostenibilità ambientale saranno inevitabilmente i due pilastri dell’industria turistica dei prossimi anni. Saranno anche le chiavi che permetteranno al turismo una ripresa graduale.
I viaggiatori non hanno perso la speranza di esplorare il mondo e sono molti quelli che non vedono l’ora di prenotare e partire appena possibile per la prossima avventura, magari all’aria aperta e lontano dei luoghi affollati.
Senza dimenticare la fiducia, che ancora è viva nei cuori dei viaggiatori e che sarà l’elemento alla base del rilancio dell’intero settore turistico.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/Travel-industry_-cosa-aspettarci-dal-nuovo-anno-7.jpg600800Luca Cannarozzohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Cannarozzo2021-01-12 10:00:112021-01-15 16:15:02Travel Industry: cosa aspettarci dai viaggi nel 2021
Le parole contano e i brand lo sanno. Cosa succede però quando i messaggi non funzionano come dovrebbero?
Il caso La Molisana e altri brand che hanno toccato i fili dell’alta tensione
Abbiamo un rapporto complicato con le parole. Ci svegliamo la mattina mugugnando qualcosa, e la sera andiamo a dormire farfugliando sottovoce pensieri e desideri. Durante il giorno è un continuo giro di parole, con noi stessi e con gli altri. Iniziamo a parlare da piccolissimi per esprimere i nostri bisogni, per comunicare ma soprattutto per creare un legame con chi ci circonda. Le parole sono potenti, ma spesso le sottovalutiamo.
La famosissima citazione, ripresa ovunque, di Oscar Wilde nella sua celebre opera “Il ritratto di Dorian Gray” affermava che l’unica cosa peggiore di far parlare male di sé è quella di non far parlare affatto di sé. Cosa significa esattamente? Parlarne bene o parlarne male non importa, l’importante è che se ne parli.
Se il noto scrittore fosse vissuto nell’epoca dei social network, non siamo certi che la penserebbe ancora in questo modo.
Il caso La Molisana: cosa è successo
È un pomeriggio invernale di pioggia e freddo umido, hai appena spento il PC dopo 8 ore di smart working e decidi di fare uno spuntino. Apri la porta del frigo e arrivi alla triste conclusione: il frigorifero è vuoto. Spulci in ogni cassetto, setacci ogni angolo degli scaffali, ma nulla.
Quindi ti armi di felpa, cappello e cappotto e ti avvii con poco entusiasmo al supermercato. Nel reparto pasta, senza nemmeno guardare prendi distrattamente qualche pacco a caso e continui il giro. Poi a casa decidi di seguire una ricetta scritta e suggerita sulla confezione per gustare un bel piatto con un tipico “sapore littorio”. In che senso?!?
Le “Tripoline”, le “Bengasine”, le “Assabesi” e le “Abissine”, sono questi i formati di pasta che hanno fomentato la polemica legata al pastificio La Molisana. I nomi scelti ricordano chiaramente la stagione del colonialismo italiano in Africa degli anni ‘30, eventi che non sono certo da celebrare, anzi. Ma la storia non può essere cancellata, il passato è importante perché ci ricorda ciò che siamo stati, nel bene e nel male, e ci insegna che possiamo migliorare e andare oltre.
Le reazioni
Quello che ha fatto infuriare molte persone, però, è stata anche la descrizione e la motivazione per la scelta di questi nomi, una didascalia che fino a qualche giorno fa era presente sul sito dell’azienda e che era online dal 2018, ma che ora è stata rimossa, come sono stati cancellati e revisionati anche i nomi dei formati di pasta.
Probabilmente il ricorso allo storytelling celebrativo, come ci tiene a sottolineare la scheda descrittiva delle Abissine, è quello che ha urtato di più il popolo del web e non solo, pronto a boicottare l’azienda e i suoi prodotti se non fosse intervenuta subito.
Le reazioni però non sono state tutte negative, molti si sono schierati a favore de La Molisana, accusata sui social di essere fascista e di esaltare la parentesi colonialista italiana. In primis un articolo apparso su “Il Gambero Rosso” che ha preso le parti del brand definendo l’attacco subito un’aggressione senza senso e legittimando la scelta di questi nomi per descrivere un tipo di formato storico di pasta che, secondo il Gambero Rosso, va tutelato e protetto, e non stigmatizzato.
Certo è che La Molisana non è l’unico pastificio ad aver associato a un certo tipologia di pasta queste nomenclature, altri lo hanno fatto e i prodotti gastronomici italiani degli anni ‘20 e gli anni ‘30 che conservano ancora questi nomi sono diversi.
Come ha risposta La Molisana
Rossella Ferro è una figura chiave del nuovo volto del brand La Molisana, oltre a esserne la responsabile marketing, e le sue scuse insieme a quelle degli altri membri dell’azienda non sono tardate ad arrivare.
In un comunicato stampa del 5 Gennaio, si legge il rammarico riguardante i formati di pasta Abissine Rigate e Tripoline che hanno rievocato, citiamo testualmente, in maniera inaccettabile una pagina drammatica della storia italiana. L’azienda ha poi provveduto alla sostituzione dei nomi e i dei contenuti testuali dei formati in questione.
L’errore sarebbe nato da una svista, quello di non ricontrollare le schede affidate all’agenzia di comunicazione.
Parole e brand: errori da non ripetere
La Molisana non è l’unica azienda a essere stata per giorni nell’occhio del ciclone mediatico. I brand sanno quanto siano importanti le parole, ma a volte commettono dei veri e propri disastri, anche se le intenzioni sono ben diverse. Ricordate il caso Pandora di qualche anno fa?
Pandora accusata di sessismo
Natale 2017, un momento clou per i brand. Il COVID-19 non esisteva ancora e tutti eravamo indaffarati tra lavoro, impegni e la lista per i regali natalizi. Come in ogni ricorrenza, i brand preparano le proprie campagne marketing, tra parole sdolcinate e, purtroppo, cliché vecchi e superati.
Il messaggio di Pandora arrivò molto chiaramente alle orecchie e agli occhi di tutti, specialmente a quelli delle donne.
A caratteri cubitali, impossibile da non notare, questo cartellone affisso nella metropolitana di Milano, suggeriva cosa regalare a una donna. Un messaggio che, come l’azienda danese ha tenuto a precisare, è stato travisato, perché l’intento era quello di evitare di far regali convenzionali ma andare oltre e acquistare dei gioielli. Perché le donne amano i gioielli. E basta? Viene da chiederci ripensando alla vicenda.
Dalla padella alla brace insomma (per restare in tema).
Altro giro, altra corsa, altro brand.
H&M razzista? La felpa incriminata
Dicono che la bellezza sia negli occhi di chi guarda. Ma allora lo è anche il pregiudizio? Fino a un certo punto.
Era il 2018, e H&M, la grande catena di abbigliamento low cost, pubblicizzava una felpa in grado di provocare una vera e propria polemica social. Un bambino di colore con una calda felpa verde per proteggersi dalle fredde temperature invernali e la scritta “Coolest monkey in the jungle”, cioè “La scimmia più cool della giungla”. Al di là della dicitura opinabile, il brand fu subito accusato di razzismo e di aver diffuso un messaggio di cattivo gusto.
Ovviamente le immagini pubblicitarie furono immediatamente ritirate con tanto di scuse da parte l’azienda, che invece ha sostenuto di credere fortemente nell’inclusività e nella diversità.
Barilla e il concetto di famiglia tradizionale
Sempre a proposito di pasta, uno dei commenti più imbarazzanti fu quello di Barilla di qualche anno fa.
Alla domanda sul perché nei suoi spot non venivano mai mostrate coppie omosessuali, Guido Barilla, ai microfoni di Radio 24, spiegò le sue motivazioni, dicendo che Barilla si rivolgeva alla famiglia tradizionale e per questo non avrebbe incluso nelle sue pubblicità persone omosessuali.
La cosa più spiacevole fu quella di rimarcare la sua posizione aggiungendo che “se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca“. Il gelo.
È inutile dire che la questione non è la fermezza nel credere in un tipo di famiglia, ma di annullare completamente tutte le altre e di non legittimarle. Le sue parole scatenarono un vero putiferio, seguito poi dalle scuse dell’azienda.
I brand di moda sono quelli che, negli ultimi anni, hanno più volte sperimentato crisi e malumori, ma per quale motivo? Le ragioni sono davvero tante, ma ci si lamenta soprattutto per i retroscena del campo della moda, un mondo che esalta canoni di perfezione troppo alti, e spesso drastici.
Noti marchi come Dolce & Gabbana, Patrizia Pepe, Victoria’s Secret e Carpisa hanno avuto i loro tempi duri.
Vi ricordate quando il brand Dolce & Gabbana girò e fece circolare in Cina tre video che ritraevano una donna cinese mentre mangiava tipici cibi italiani come pizza e pasta, con le bacchette? La campagna per sponsorizzare l’imminente sfilata fu accusata di banalizzare la cultura cinese raffigurando, inoltre, le donne cinesi in modo stereotipato e razzista.
Oltre al boicottaggio della nota maison, venne annullata anche la sfilata che doveva tenersi pochi giorni dopo a Shanghai. A tutto questo, dobbiamo poi aggiungere la comparsa di una serie di messaggi offensivi rivolti ai cinesi dall’account Instagram di Stefano Gabbana che però ci tenne a sostenere che quelle parole non erano sue.
Come si concluse la vicenda? D&G cercò di sistemare la situazione, pubblicando un video di scuse per aver interpretato male e offeso la Cina, Paese di cui sono, come hanno tenuto a sottolineare, innamoratissimi.
Come non comunicare: il caso Patrizia Pepe
Forse nel 2011 i contenuti social non avevano ancora la forza virale di oggi, ma qualcosa si stava già muovendo. Svariati commenti sotto una foto promozionale del brand Patrizia Pepe fecero infuriare il social media manager o chi si occupava della gestione dei profili social del marchio.
Le persone lamentavano un’eccessiva magrezza della modella protagonista della campagna, accusando la casa di moda di promuovere un canone di bellezza nocivo, stereotipato e superato.
Alzare la voce con aggressività per difendere le proprie idee e le proprie posizioni non è mai la strada giusta, soprattutto per un brand.
Alcuni di questi, quando si sentono minacciati, non riescono a gestire le crisi e si approcciano alla community in maniera troppo impulsiva e impetuosa. Anche in questo caso non sono mancate le dovute scuse da parte dell’azienda.
Victoria’s Secret e lo stop alle sfilate
Victoria’s Secret è un brand statunitense di abbigliamento femminile noto soprattutto per le creazioni di lingerie e prodotti di bellezza. Dal 1995 fino al 2019 il brand ha dato vita a uno show, seguitissimo, in cui la maggior parte delle super modelle più quotate del mondo hanno sfilato mostrando fiere e impeccabili sulla passerella i modellini striminziti del patinato marchio.
Ma il sipario, dopo ben 24 anni, è calato su questa passerella per tanti motivi. Nel 2018, durante un’intervista fu chiesto se anche le modelle Lgbt e taglie forti avrebbero potuto finalmente sfilare, ma il chief marketing officer Ed Razek asserì che non rientravo nelle fantasie che lo show intende vendere.
Ma soprattutto, i ritmi che venivano richiesti erano massacranti per le modelle. Prima di ogni sfilata, non ingerivano cibi solidi, come la stessa Adriana Lima confessò al Daily Telegraph. Affermò di nutrirsi con solo frullati proteici nei 9 giorni precedenti allo show, e che nelle 12 ore prima della sfilata, eliminava addirittura anche i liquidi.
Carpisa e l’infelice proposta dello stage
Un’idea che se studiata diversamente avrebbe potuto lanciare un messaggio positivo, soprattutto per i più giovani, si è trasformata inesorabilmente in un boomerang contro Carpisa.
La proposta era quella di “vincere” uno stage acquistando una borsa Carpisa, partecipare a un concorso, elaborando un piano di comunicazione, e sperare di essere scelti. Il compenso? Un forfait di 500 euro.
Carpisa toppò alla grande perché l’argomento “lavoro” è uno dei più delicati da trattare, specialmente quando si parla di stage. Inoltre, il messaggio di acquistare un prodotto per “sperare” di ottenere in cambio un lavoro non è il massimo, soprattutto se ci si riferisce a un pubblico giovane che ogni giorno combatte con una precarietà diventata ormai insostenibile.
Un’iniziativa trattata davvero con superficialità che fece infuriare il mondo del web a cui l’azienda ha risposto (anche in questo caso) con le più sentite scuse.
Spostiamoci adesso su un altro tema dibattuto e motivo d’imbarazzo per molte aziende. Purtroppo il razzismo continua a essere un problema gravissimo e spesso i brand hanno navigato senza rotta in acque davvero insidiose. Ecco tre casi che fanno parte a pieno titolo di questa raccolta di scivoloni illustri: Uliveto, Pomì e easyJet.
Uliveto e la foto delle azzurre
Dopo la finale dei mondiali di pallavolo femminile persa dalle azzurre contro la Serbia, il brand Uliveto decise di ringraziare le giovani giocatrici per il loro brillante percorso pubblicando una foto celebrativa, manifestando così gratitudine e orgoglio. Peccato per gigantografia di una bottiglietta d’acqua proprio sulle due atlete di colore, Miriam Sylla e Paola Egonu.
Coincidenze? La bufera si abbatté violentemente sull’azienda, che a sua volta si difese asserendo che Uliveto non fa alcun tipo di distinzione. L’attenzione ai dettagli è una cosa che, specialmente in comunicazione, non si può sottovalutare.
Pomì e i pomodori made in Padania
Quando qualche anno fa venne alla luce lo scandalo della “Terra dei Fuochi”, le reazioni furono tante. Manifestazioni di solidarietà, certo, ma non mancarono episodi di vero e proprio sciacallaggio.
Una vasta porzione del territorio campano compreso tra Napoli e Caserta ha visto un aumento considerevole di patologie mortali per gli abitanti della zona dovute all’inquinamento, da parte di gente senza scrupoli.
In questo contesto arriva lo scivolone di Pomì, che in un momento delicato come quello, diffuse una campagna di comunicazione incentrata esclusivamente sulla provenienza dei suoi pomodori, in terreni localizzati in Padania, sottolineandone più volte l’origine con comunicati stampa e immagini promozionali ad hoc.
Il problema non è affatto specificare la provenienza dei propri prodotti, ma approfittare di una problematica così grave per emergere. Molti si indignarono per questa presa di posizione, boicottando il prodotto, specialmente al Sud.
La rivalità Nord e Sud Italia è uno degli argomenti più tristi della nostra storia, e utilizzare questa polarizzazione in comunicazione, oltre che sgradevole, dovrebbe essere ormai superato.
easyJet e l’offensivo spot sulla Calabria
Le illazioni sul Sud Italia non si fermano qui: stavolta ci mette il suo anche easyJet.
In uno spot finalizzato a rilanciare il territorio calabrese e a movimentarne il turismo, la compagnia aerea aveva pubblicato una descrizione denigratoria e fuorviante nei confronti di una delle regioni italiane più ricche di storia e bellezze artistiche.
easyJet è riuscita ad attirare solo malumori, critiche e l’indignazione, e non solo della Calabria. Le scuse della compagnia sono arrivate dopo poco, ma il problema rimane: perché alcuni brand utilizzano luoghi comuni per raccontare i prodotti e servizi che vendono?
Ognuno di questi esempi può insegnarci qualcosa sul valore delle parole e il rispetto verso le persone.
Cosa sta cambiando nelle persone
Per anni siamo stati spettatori di pubblicità sessiste, di spot e jingle inopportuni che rasentavano il razzismo, canoni di bellezza alterati e spesso dannosi, soprattutto per i più giovani, e cose a cui non facevamo tanto caso perché abituati a vederle distrattamente. Per fortuna la società stessa si evolve, cambia e non smette mai di farsi domande.
C’è chi però crede che tutti questi contraddittori siano figli di un politically correct esagerato, che limiti le idee e la creatività, che sia una sorta di bavaglio soffocante, e la linea di confine tra ciò che è offensivo o meno, sta diventando sempre più sottile.
È vero che “non si può dire più nulla”?
La verità è che dimentichiamo il potere delle parole. Siamo così concentrati su quello che vogliamo dire che facciamo caso solo al contenuto ma mai al tono e al modo di parlare. Vogliamo così tanto dire la nostra opinione che ci dimentichiamo di metterci dal punto di vista degli altri. Abbiamo così timore dell’ignoto, dell’altro e di quello che non sappiamo, che preferiamo attaccare piuttosto che provare ad ascoltare.
Chiudiamo la nostra carrellata con un po’ di speranza e con una campagna che invece vuole inspirarsi e far breccia sulla sensibilità delle persone.
Abbracci da Barilla per gli infermieri e le loro famiglie
In questo mese di gennaio, Barilla ha realizzato una limited edition dei suoi famosi biscotti, gli Abbracci, per supportare gli infermieri e le loro famiglie donando loro il 100% dei ricavi. Un gesto di solidarietà per chi, tutti i giorni e da quasi un anno, sta lavorando senza sosta, anteponendo la vita degli altri alla propria.
I medici, gli infermieri, tutte le persone che lavorano in ambito medico e in strutture sanitarie stanno facendo il possibile e tenendo duro, aiutando e supportando le persone più fragili e colpite da questo maledetto virus. Un piccolo gesto da parte delle aziende, anche simbolico, per supportare chi ne ha bisogno.
Ovviamente le polemiche non sono mancate: c’è chi parla di un’astuta mossa di marketing e chi invece crede nei gesti spontanei, anche se provengono da colossi dell’economia italiana.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/la-molisana-abissine-pasta.jpg5801024Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-01-11 13:46:132021-01-13 11:47:36Quando i brand toccano i fili dell'alta tensione: La Molisana e altri illustri scivoloni
Secondo un rapporto di Cox Automotive , circa due acquirenti su tre hanno maggiori probabilità di acquistare prodotti completamente online
L’intelligenza artificiale sta già abilitando metodi di viaggio intelligenti attraverso auto a guida autonoma
È proprio il caso di dire che il nuovo anno automobilistico nasce sotto una buona…”Stellantis”.
“Il nuovo brand rappresenta l’unione tra due partner che condividono la stessa mentalità. Due realtà che si alleano per costruire qualcosa di unico”. Con queste parole John Elkann, presidente Exor e Fca, ha commentato il via libera dell’assemblea della holding della famiglia Agnelli alla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e Peugeot e dunque alla nascita del nuovo gruppo denominato Stellantis.
“Vogliamo avere un ruolo di primo piano nel prossimo decennio, che ridefinirà la mobilità”, ha sottolineato Elkann, “proprio come hanno fatto i nostri padri fondatori con grande energia negli anni pionieristici. La fusione proposta con Groupe Psa è un ulteriore coraggioso passo avanti nel nostro viaggio. Due realtà che si alleano per costruire qualcosa di unico”.
Sebbene le vendite di automobili siano diminuite all’inizio di quest’anno a causa della pandemia, la domanda è di nuovo in ripresa. In effetti, alcuni consumatori che in precedenza facevano affidamento sul ride-sharing e sul trasporto pubblico stanno pianificando di acquistare un’auto quest’anno, secondo un sondaggio CarGurus , e altri non vedono l’ora di acquistare un nuovo veicolo mentre l’attività economica continua a salire. L’industria automobilistica deve essere pronta a raggiungere questi nuovi clienti.
Molti marchi stavano già spostando le loro tattiche per servire più clienti online, ma le restrizioni COVID-19 richiedevano una svolta decisiva. Nuovi dati stanno facendo luce su come e perché ciò è accaduto e cosa devono fare i dirigenti senior al riguardo. Treasure Data ha collaborato con Winterberry Group e Ansira per raccogliere informazioni da oltre 30 professionisti del marketing del settore automobilistico per avere un’idea di ciò che verrà dopo.
Quattro fattori chiave per il futuro del marketing automobilitisco
1. Con la pandemia, l’automotive si sta adeguando al digitale
Quando gli acquirenti di auto non erano in grado di visitare gli showroom, il tradizionale modello di Marketing della concessionaria si è rotto. Sempre più persone hanno iniziato ad acquistare auto online e sono alla ricerca di nuovi modi per visualizzare in anteprima i propri acquisti. Anche prima, circa l’88% dei potenziali acquirenti di auto ha ricercato le proprie opzioni online prima di entrare in una concessionaria, secondo DealerWebb Services , e il 60% degli acquirenti ha trascorso sei o più mesi nella ricerca, con un massimo di 24 punti di contatto di marketing lungo il percorso.
Le case automobilistiche intelligenti stanno ruotando rapidamente con i loro annunci e stanno trovando modi unici per raggiungere questo potenziale pubblico. Anche ancora, l’industria è in ritardo. Le aziende automobilistiche sono abituate ad acquistare annunci TV e spot di trasmissione in prima serata, ma il pubblico che guarda la televisione in diretta continua a spostarsi verso i servizi di streaming. Questo è solo aumentato durante la pandemia.
Oltre a ciò, il vero impatto degli annunci televisivi è difficile da monitorare, poiché più persone fanno multitasking e controllano i loro telefoni, disattivano l’audio degli annunci pubblicitari o si allontanano dallo schermo durante le pause. Per rimanere competitive, le aziende automobilistiche dovranno adottare tattiche di marketing digitale, dove possono monitorare più da vicino come la spesa pubblicitaria influenza le decisioni di acquisto.
2. Gli acquirenti richiedono un approccio diverso
Secondo un rapporto di Cox Automotive , circa due acquirenti su tre hanno maggiori probabilità di acquistare prodotti completamente online oggi, secondo un rapporto di Cox Automotive , e sono alla ricerca di un’esperienza ricca di contenuti. Nel viaggio di acquisto dell’auto, le persone vogliono vedere tutte le opzioni disponibili e testare le variabili da soli piuttosto che sedersi in una concessionaria e discutere i dettagli nelle trattative faccia a faccia.
Le aziende automobilistiche vincenti saranno quelle che offrono numeri di inventario in tempo reale, opzioni di personalizzazione e dettagli sui prezzi sfumati. Invece di seguire un faticoso piano di implementazione di tre o cinque anni per i touchpoint digitali, i dirigenti devono cambiare marcia nell’immediato. I più veloci lo faranno meglio a lungo termine. È diventato ovvio che queste nuove strategie di marketing non saranno temporanee e richiederanno un’area di competenza completamente separata che si concentra sui dati.
3. I dati e gli strumenti in silos non funzioneranno
Le imprese automobilistiche sono abituate a lavorare in silos, con marketing, vendite, servizi e finanziamenti incentrati sulle proprie specialità.
Nel mondo digitale, questo ostacola la comunicazione incrociata sui clienti e sui dati rilevanti che potrebbero portare a vendite, come risposte alla pubblicità, visualizzazioni di siti Web, visite in concessionaria, cronologia dei servizi e informazioni sui precedenti acquirenti. Sebbene alcuni leader automobilistici abbiano iniziato a collegare i loro sistemi, c’è ancora un divario tra produttori e concessionari, nonché dipartimenti all’interno di ciascuno. Non esiste un vero framework end-to-end per monitorare le campagne di marketing, dare la priorità ai probabili acquirenti, personalizzare i messaggi o garantire che i team di vendita e assistenza dispongano di informazioni complete sui clienti
Quando le case automobilistiche combinano i loro dati per comprendere gli acquirenti, diventano più strategiche e aumentano i loro tassi di conversione. Con i flussi di dati connessi, i dirigenti possono selezionare gli acquirenti qualificati e tenere traccia dei passaggi precisi nel percorso del cliente. Possono anche creare campagne di marketing per raggiungere i clienti al momento giusto con messaggi personalizzati per la manutenzione dell’auto, test drive, riduzioni di prezzo e offerte di permuta dei veicoli. In poche parole, il nuovo focus sui dati riguarda la creazione di un’esperienza acquirente senza interruzioni.
4. Le case automobilistiche hanno bisogno di una solida base di dati
Per combinare questi approcci a silos ai dati, le aziende automobilistiche devono esaminare i loro strumenti tecnologici di marketing e reinventare del tutto il viaggio dell’acquirente nel mondo digitale. La parte difficile, ovviamente, è che gli attuali sistemi di gestione dei concessionari non sono sempre ben collegati. Allo stesso tempo, non è plausibile immaginare che le aziende inizino da zero con sistemi completamente nuovi.
Invece, possono fare un inventario dei loro dati attuali e utilizzare uno strumento come una piattaforma dati dei clienti (CDP) per colmare il divario e riunire le informazioni. Con i dati unificati, i professionisti del marketing automobilistico possono tracciare un particolare cliente o un gruppo di potenziali acquirenti in base ai loro interessi e bisogni. Ad esempio, se desiderano raggiungere gli acquirenti di autocarri di età compresa tra 30 e 50 anni che hanno un contratto di locazione in scadenza, possono creare un elenco segmentato e inviare messaggi personalizzati che abbiano senso e colpire nel momento ideale.
Quando Subaru ha effettuato la transizione, ad esempio, il team è stato in grado di combinare i dati da più touchpoint, inclusi social media, pubblicità, e-mail, la loro app mobile, spettacoli di auto di persona, test drive, visite in concessionaria e record di servizio. Sono stati in grado di personalizzare la messaggistica, migliorare il rendimento degli annunci, aumentare le vendite e aumentare in modo significativo le percentuali di chiusura della concessionaria.
Ora è il momento di prepararsi per l’impatto imminente sull’industria automobilistica e trovare nuovi modi per andare avanti. Il digitale è il “grande campo di battaglia ora“, come ha affermato uno dei leader del settore, e “tutti stanno combattendo per quel cliente digitale“. Chi è in grado di raccogliere dati e interpretarli correttamente avrà un’idea migliore di chi è nel mercato di un veicolo e di come offrire loro un’esperienza di acquisto fluida. Ecco dove sta il futuro.
Con l’accelerata digitalizzazione l’automotive è in evoluzione
L’industria automobilistica sta ora adottando tecnologie come Intelligenza Artificiale e Big Data, che sono in circolazione da un po’ di tempo. Tecnologie più recenti come Internet of Things (IoT) e Blockchain stanno trovando numerose applicazioni anche nel settore automobilistico.
Veicolo autonomo basato su IA
I veicoli autonomi basati sull’intelligenza artificiale sono i primi nel settore dell’automotive, L’intelligenza artificiale sta già abilitando metodi di viaggio intelligenti attraverso auto a guida autonoma. Queste auto non richiedono conducenti e si affidano a sensori e software per la navigazione e il controllo.
I veicoli autonomi mirano a ridurre la necessità di conducenti umani e semplificare il trasporto quotidiano. Gli studi riflettono che oggi ci sono circa 1.400 auto a guida autonoma sulle strade degli Stati Uniti. Anche se attualmente non è un numero elevato, è una cifra in costante aumento.
Grandi attori come Tesla, Google, Uber stanno spingendo fortemente i limiti delle auto autonome, rendendole più affidabili. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha temporaneamente frenato il miglioramento del settore. Con l’industria dei veicoli autonomi stimata in un valore di 556 milioni di dollari entro il 2026, è probabile che gli investimenti continueranno ad arrivare, soprattutto se verranno esplorate ulteriori applicazioni.
Marketing e negoziazione digitale: elementi clou dell’automotive
La visione “futuristica” della vendita di veicoli automobilistici online si è affermata durante la pandemia. Anche se la visita di persona ai negozi dei concessionari e la guida di prova era uno step immancabile nell’acquisto di un’auto, i protocolli di blocco che limitavano gli spostamenti hanno spostato le preferenze sul mezzo online. Una significativa percentuale di persone ha apprezzato particolarmente questo cambiamento. Gli acquirenti di veicoli sono in grado di confrontare diversi modelli di auto e scegliere secondo le proprie reali esigenze, senza farsi condizionare dai suggerimenti del rivenditore. I concessionari moderni stanno quindi cercando di normalizzare l’acquisto di auto online offrendo nuove soluzioni: tour virtuali per garantire il checkout, opzioni finanziarie online e politiche di restituzione, anche se c’è da considerare che l’81% degli acquirenti, al momento, non approva l’acquisto online di auto nuove o usate. Questo trend è però destinato a cambiare nel 2021.
Elettrificazione
L’aumento del tasso di combustibili fossili e il danno all’ambiente causato dal loro utilizzo ha cambiato le prospettive dell’industria automobilistica verso i veicoli elettrici (EV). Le automobili contribuiscono al 15% delle emissioni di carbonio, il che esaurisce le preziose riserve di combustibili fossili e causa potenziali danni ambientali irreversibili.
Le auto elettriche, d’altra parte, stanno affrontando le nuove sfide sfruttando un livello più elevato di efficienza energetica e un ridotto consumo di carburante. Nell’agosto 2020, c’erano oltre 1,6 milioni di veicoli elettrici sulle strade degli Stati Uniti, che è esponenzialmente superiore ai previsti 1,4 milioni entro il 2024. Tuttavia, per una maggiore adozione e accettazione da parte delle persone, i veicoli elettrici devono trovare soluzioni ai prezzi mediamente più elevati, alla scarsa durata della batteri e, alla mancanza di infrastrutture di ricarica adeguate.
Blockchain nell’automotive
La Blockchain ha la capacità di trasformare i processi di un’organizzazione. Ciò include la condivisione dei dati del veicolo in rete e soluzioni di mobilità condivise come ride-hailing, trasporto urbano e consegne. La blockchain viene utilizzata nel processo di verifica per migliorare l’efficienza nella catena di approvvigionamento e nei lavori di back-office. Può anche essere utilizzata nella gestione e negli incentivi per migliorare le informazioni sui veicoli e i dati di utilizzo in tutto il settore. Anche in questo caso, si prevede che l’adozione della blockchain nel settore automobilistico aumenterà nel prossimo anno.
Stampa 3D
Un’esigenza che non si è modificata con l’adozione delle nuove tecnologie è quella di far fronte alla richiesta di nuovi veicoli e pezzi di ricambio. Anche la “sete” di veicoli più nuovi e con prestazioni migliori, così come la necessità di ottimizzare la produzione e razionalizzare le catene di approvvigionamento e la logistica, è in aumento. Una tecnologia che sta contribuendo ad affrontare queste sfide è la stampa 3D. La tecnologia di stampa 3D viene infatti esplorata in tutte le aree della produzione automobilistica. A parte il suo ampio uso per la prototipazione rapida, la tecnologia viene utilizzata anche per produrre utensili e parti terminali.
Un interessante studio di ACA Research ha cercato di mappare con precisione il customer journey di chi sta per acquistare un’auto , dalla ricerca iniziale all’acquisto finale. I ricercatori hanno scoperto che questo “viaggio” può durare dalle 5 alle 12 settimane e che si sviluppa più o meno in questo modo:
Nella fase iniziale, il consumatore utilizza le ricerche online per creare un elenco di veicoli e marchi che lo interessano (solitamente questo avviene da 1 a 3 mesi prima dell’acquisto);
viene quindi effettuata una selezione molto più ristretta, arrivando a una short-list (in media, 4/7 settimane prima dell’acquisto), spesso basata su opinioni e recensioni ;
successivamente, i potenziali acquirenti effettua il test drive (2/4 settimane prima dell’acquisto);
il consumatore arriva alla sua scelta finale.
Si tratta di un lungo viaggio del cliente che coinvolge diversi canali. Una buona campagna di marketing, quindi, non può ignorare tutto questo. Si tratta di trovarsi al posto giusto, al momento giusto e, soprattutto, sul canale giusto. Ciò sottolinea l’importanza fondamentale della raccolta e dell’analisi dei dati, nonché il ruolo di una prospettiva omnicanale. Attraverso questi touchpoint, l’automotive farà un concreto passo in avanti nel futuro.
Il potere del video personalizzato
Video personalizzati che si adattano all’utente, anche in tempo reale; sono interattivi e costruiti in base alle caratteristiche della persona a cui si rivolgono. L’efficacia di questo tipo di comunicazione è praticamente impareggiabile. Ma vale la pena tenerne conto: secondo una ricerca per Google di Millward Brown Digital , circa il 70% delle persone visualizza i video su YouTube nelle prime fasi del processo di acquisto dell’auto . Non è una sorpresa, poiché tenere conto delle nostre esperienze individuali sembra molto naturale.
Il pubblico di Jeep® Compass e Renegade 4xe Plug-In Hybrid ama le avventure ed è attento all’ecosistema digitale.
Oggi è possibile sfruttare le potenzialità del video abbinandolo alla personalizzazione . Non attraverso una comunicazione uno-a-molti (per quanto bella ed efficace), ma una comunicazione uno-a-uno su misura per il cliente che si ha di fronte. Non è un caso che Forbes definisca i video personalizzati come ” la svolta di marketing definitiva di cui i marchi hanno bisogno “.
L’automotive ha registrato la vendita di circa 78,6 milioni di veicoli in tutto il mondo nel solo 2018 (secondo gli ultimi dati disponibili ). Si tratta, insomma, di un ecosistema enorme e strategico, con una grande industria, che negli ultimi anni sta cercando di riscrivere le sue dinamiche, i suoi processi, e il suo presente.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/automotive-trends.jpg8301354Daniele D'Amicohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniele D'Amico2021-01-08 12:41:462021-01-14 06:22:15Da Stellantis all'acquisto online: tutti i trend automotive per il 2021
Lo Streetwear vale 185 miliardi di dollari (PwC 2019) e rappresenta il 10% del fatturato totale di Apparel & Footwear
Il target è prevalentemente giovane, uomo e per il 60% asiatico
Per raggiungerlo, Instagram e YouTube si accompagnano a forum di settore e piattaforme di resell
Con il “drop” model, lo Streetwear si assicura consumatori disposti a un forte effort di tempo o denaro
Ormai non si può più ignorare né relegare a sotto-cultura: lo Streetwear è un segmento sempre più importante per il mondo del fashion. Secondo le stime più attuali di PwC (2019) è un settore che vale 185 miliardi di dollari, circa il 10% del totale del fatturato Apparel & Footwear.
Ma al di là dei dati quantitativi, se ci si guarda intorno è facile accorgersi di quanto lo Streetwear sia sempre più in vista. Dalla collaborazione di Louis Vuitton e Supreme (quella che forse ha avuto più risonanza) a quelle di Prada, Valentino, Gucci con i vari stilisti più spallati nel settore. Si potrebbe quasi parlare di Streetwear washing. Sembra quasi che per “svecchiarsi” e raggiungere la Gen Z, sia i grandi gruppi (LVMH, Kering) sia le varie maison siano disposte a perdere un po’ di allure borghese per riconvertirsi a un nuovo concetto di esclusività.
L’ABC dello Streetwear Marketing: chi, come, dove. I protagonisti, il target e il marketing dello streetwear
Oggi vogliamo capire chi sono i protagonisti (who, chi è leader nel settore), chi il target (whom, a chi si rivolgono i brand), come (how, il marketing) e dove (where, con quali formule retail) lo fanno.
I protagonisti
Ricordo il momento in cui ho colto l’importanza dello Streetwear per il settore, ed è stato quando ho visto il video di Fedez che presentava a Barengo la sua collezione infinita di capi streetwear. Con un semplice logo, un capo Supreme può terminare nel giro di poche ore, essere rivenduto nel resale market passando da un valore di 158$ a un minimo di 500$ (Hypebeast, PwC 2019).
Ecco perché di fronte ai grandi del settore fashion, iper logati e dunque iper riconoscibili (Louis Vuitton, Gucci, Burberry) si stanno facendo sempre più spazio altri brand, più giovani, rivolti a un target più ampio e inclusivo e meno legati a una tradizione storica importante.
In principio erano Stussy e Supreme (lo racconta molto bene qui Federica Salto). Oggi c’è una batteria di brand provenienti da tutto il mondo (il Giappone è un’area molto profilica) pronti a conquistare una folla di millennial e zoomer in cerca di “esclusività”.
Senza voler indugiare troppo sulla storia dello streetwear nella moda (per cui anche quest’altro articolo di Federica Salto può funzionare da bussola), vediamo quelli che sono i leader del settore. Per farlo, facciamo riferimento al Brand Ranking di Hypebeast, che nell’ultimo report con PwC ha elencato le seguenti preferenze (su una coorte di 40.000 partecipanti):
Supreme (78%)
Nike (68%)
Off White (65%)
Adidas (45%)
BAPE (37%)
Stussy (33%)
Palace (28%)
Carhatt (22%)
Vetements (22%).
La classifica, che è stata stilata chiedendo ai partecipanti di indicare quale brand rappresentasse di più lo streetwear, riflette tutto sommato quello che è stato lo storico (Supreme si può effettivamente considerare come il primo vero brand di Streetwear comunemente inteso) e le spinte del settore (il Footwear – main ambito di Nike e Adidas – è effettivamente un segmento trainante).
Il target dello Streetwear Marketing: 1 consumatore su 5 è donna
Il pubblico dello streetwear è abbastanza omogeneo. Vi è, come facile intuire dal tipo di prodotto, una preponderanza maschile (81% versus 18% – il restante è non-binary). Ma se già oggi quasi 1/5 dei consumatori è donna, non è difficile prevedere che tale segmento possa crescere ancora. Le collaborazioni con i grandi marchi e lo stile no-gender potrebbero essere la chiave di volta per allargare ancora di più il bacino di affezionate.
Forse non acquirenti, ma consumatori giovanissimi
Volgendo l’attenzione all’età, si ritrova una concentrazione del target attorno alla fascia di età 16-25, un cluster che contiene circa il 60% del totale dei consumatori del genere. Il restante 40% è suddiviso in 26-30 (18%), 31-15 (10%) e over 35 (7%).
Una prima riflessione che viene naturale fare è che nonostante il prezzo degli item sia discretamente alto, la maggior parte dei consumatori è giovanissimo. D’altronde, una delle prime cose che si insegna ai futuri markettari è che non sempre il consumatore finale è il decisore o l’acquirente.
In fila per Supreme: il target tipo. Giovani, uomini e disposti ad aspettare. Fonte: New York Times
Made in America, ma nel cuore di Coreani e Cinesi
Dal punto di vista geografico, se si pensa che lo Streetwear ha avuto origine negli USA ci si troverà un po’ confusi di fronte alle statistiche sulle nazionalità: al primo posto ci sono Corea e Cina (insieme al Giappone compongono circa il 60% del totale dei consumatori), seguiti da Europa (20%) e Nord America (14%).
Perché lo streetwear è così forte in Asia
Per rimettere assieme i pezzi e capire il perché di questa forte preponderanza Asian ci sono diversi fattori da considerare, primo tra tutti il fatto che il Giappone sia casa di diversi marchi del settore – BAPE tra i più popolari.
Secondariamente, una riflessione va mossa rispetto a tutto quello che lo streetwear rappresenta e per chi lo fa. Da un punto di vista socio-politico, offre ai giovani consumatori un’uniforme (il cui concetto torna) tramite la quale comunica il proprio punto di vista politico: sovversivo per il 41% dei consumatori cinesi e giapponese.
Da un punto più culturale, invece, lo streetwear offre una sorta di cartellino lampeggiante che comunica appartenenza ad un élite. Come vedremo poco qui sotto, lo streetwear marketing altro non è che esclusività e criterio della scarsità: tutti vogliono un accessorio in edizione limitata per poter dire Io lo possiedo. In mercati in via di espansione e in cui l’individualismo è un concetto del tutto nuovo e tende a camuffarsi nel contrario collettivismo (oltre Muraglia in maniera esemplare), poter dire di far parte di un gruppo – ristretto – è tutto quello che un giovane consumatore possa volere.
Se analizzare dal punto di vista strategico l’intera proposta di marketing dello streetwear non è possibile in poche righe, individuare elementi comuni a tutti i brand lo è. Prendendo come punto di partenza il marketing mix come composto da Product, Promotion, Place e Price, si possono evidenziare i seguenti capisaldi.
I prodotti top dello streetwear
Il report di PwC ha indigato sia dal punto di vista delle aziende che dei consumatori quali sono i prodotti top. All’interno dell’industry il tre segmenti più performanti sono le felpe (67%), le tshirt (67%) e il footwear (66%). Parallelamente, se si chiede ai consumatori di indicare quale sia il prodotto che più probabilmente compreranno il footwear (62%) ha la meglio su tutto, confermando la strategia delle aziende.
Dai forum a Instagram: la comunicazione dello streetwear
Quando si parla di streetwear si parla di nuove generazioni, quando si parla di nuove generazioni si parla di community social.
A partire dai primi anni 2000, prima dell’avvento di Facebook & Co, si sono sviluppati una serie di Forum frequentati dai cultori dei brand (NikeTalk, Strictly Supreme, etc) e incentrati sullo scambio di informazioni in merito ai prossimi drop e luoghi di compravendita dei prodotti. Evidentemente, il tipo di presidio di questi mezzi era squisitamente gestito dall’utente.
I forum sono un importante touchpoint passivo per i brand, all’interno dei forum è tutto UGC e le potenzialità di marketing riguardano quasi solo esclusivamente il social listening.
Col tempo questo tipo di forum si è trasferito sui social media che oggi sono anche il punto di incontro tra target e brand. Da un lato ospitano le vecchie community (Facebook in particolare), da un lato offrono ai marchi la vetrina per comunicare con i consumatori.
Oggi, alla domanda “su quale piattaforma ti informi”, le persone rispondono quasi tutte Instagram (96%), seguito da YouTube (42% – il canale di Barengo è un case study esemplare). E questo non fa altro che rendere il bacino di consumatori potenzialmente più ampio: se prima occorreva visitare forum di nicchia per venire a contatto di un marchio street, oggi basta avere un account Instagram. Prima o poi il logo di Supreme ci colpirà: la nicchia non è più tanto nascosta.
Flagship store, modello “drop” e resale: le chiavi dello Streetwear Marketing
Quando si pensa allo Streetwear, uno dei primi ricordi top of mind sono le file infinite alle porte dei flagship store. I flagship store sono per diversi brand il principale punto di contatto e di vendita coi consumatori. Il dato di PwC ne conferma il rilievo, con il 60% delle aziende che lo indica come “parte importante della brand strategy” e un ulteriore 25% a definirlo “abbastanza” importante.
D’altra parte, ci sono anche brand che puntano solo sul digital, come Anti Social Social Club o Brain Dead, che vendono esclusivamente online. Una scelta che in maniera lungimirante riduce i costi per l’azienda e che in epoca Covid è sicuramente premiante (tra pochi mesi potremo anche dire quanto, dati alla mano).
Il “drop model”
Che poi sia digital, quello che accumuna queste scelte è la strategia di fondo: il modello “drop”. Tale modello ha avuto origine con James Jebbia, che ispirato da quello che facevano i brand in Giappone, ha suggerito di replicarlo per i suoi brand, prima con Stussy (co-fondato con Stussy stesso) e poi con Supreme. Oggi i drop rendono i consumatori più inclini a visitare lo store più spesso e attenti alla comunicazione del brand. A proposito delle code di fronte al negozio e di drop, il 54% degli intervistati di PwC ha dichiarato di essere disposto ad aspettare in fila per accaparrarsi un pezzo.
Croce e delizia dello Streetwear Marketing: il resale
Chi non è disposto ad aspettare, molto probabilmente sarà disposto a comprarlo a un prezzo più alto su e-commerce specializzati nella rivendita dei prodotti second-hand.
Il 70% dei consumatori ha acquistato circa un quarto dei propri prezzi in resale e sebbene questo possa sembrare a prima vista un inconveniente lato brand, per diversi motivi non lo è totalmente: il 69% delle aziende trova il resale un modello di business da valutare.
Ma soprattutto, il resale è un barometro concreto della domanda del mercato. Il decuplicare dei prezzi e la costante presenza di un target disposto a strapagare il prodotto è il più chiaro indice di apprezzamento e fidelizzazione dei consumatori. Che, o sono disposti a un effort di tempo facendo la fila al negozio (i medio-basso spendenti), o sono disposti a un effort di denaro ricomprando su StockX, Grailed o sui vari gruppi Facebook e nei forum di settore (alto spendenti).
E in Cina?
Poco più sopra si è parlato della forte connotazione asiatica del target dello streetwear. La maturità del segmento di consumatori è comparabile a quella del positioning dei brand nella Country? Con il prossimo articolo scopriremo status quo del più grande segmento luxury emergente nel più grande mercato emergente attuale, la Cina.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/01/streetwear.jpg6501110Cecilia Lorussohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCecilia Lorusso2021-01-07 12:11:262021-01-12 05:47:12ABC dello Streetwear Marketing: chi, come, dove
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