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Remix e share: Koji rivoluziona la creatività digitale

  • 1993 e siamo agli albori della rete. Sul New Yorker esce una vignetta di Pete Steiner, diventata poi famosissima, che mostra un cane seduto davanti al computer: “Su internet, nessuno sa che sei un cane”, recita la didascalia.
  • Da allora sono stati fatti un sacco di passi avanti, i social e la rete sono entrati nelle nostre vite, fino a modificare i nostri comportamenti.
  • Tech e social continuano a viaggiare veloci: Koji è una delle ultime novità, in grado di rivoluzionare il mondo dei content creator.

 

Tagga, condividi, metti hashtag, ricambia il follow, follow for follow e throwback. Quanto è cambiato il nostro linguaggio dall’era dei social?

E non solo. Quanto sono diverse le nostre vite dall’epoca Facebook? E quanto ne siamo dipendenti?

Oggi è su Facebook quasi il 90% dei giovani tra i 18 e i 29 anni, ma c’è anche più della metà (il 65%) di chi ha più di 65 anni. Tre quarti degli utenti visitano Facebook ogni giorno e più della metà lo fa diverse volte al giorno per mantenere viva la propria identità virtuale.

Per non parlare poi del mondo del business: Fortune scrive che nove aziende su dieci negli Stati Uniti usano i social network ottenendone aumenti nelle vendite e che “il business non può sopravvivere senza i social network”.

Lo stesso vale per il mondo del lavoro: Forbes afferma che i social network stanno dando forma al futuro del job market. L’attenzione di chi naviga va catturata entro otto secondi e basta un tweet sbagliato per mettersi nei guai.

Pensavamo di conoscerli tutti: Facebook, da cui tutto ha avuto inizio, Instagram, Twitter, Snapchat. Ma poi è arrivato TikTok, chiacchierato e temuto dal governo a stelle e strisce, tanto da bannarlo (forse) negli USA dal 27 settembre.

E poi, da non sottovalutare, c’è Wechat, sviluppato dalla cinese Tencent.

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Sembrerebbe che all’appello non manchi nessuno. Sì, ma tech e social corrono veloce, tanto che si fatica a stare al passo con gli ultimi trend e il prezzo è un’obsolescenza quasi istantanea. Quindi, what’s next?

Koji

Chi può dirlo. In effetti, si va così avanti che a volte il futuro sembra quasi imprevedibile.

Ma tra il panorama delle start-up digitali e social se ne sta facendo largo una che potrebbe rivoluzionare il concetto di content creator.

Si chiama Koji. Made in San Diego (sembra che il polo dell’innovazione tech continui ad essere US based) è una piattaforma che consente ai non user friendly di creare facilmente meme interattivi, giochi e altri contenuti generati dagli utenti, da pubblicare poi sui social. O, per dirla come un Millennial, da “sharare”.

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Sembrerebbe una newco di vita breve e, invece, ha raccolto dieci milioni di dollari in un round di raccolta fondi.

L’azienda, con dodici dipendenti, guidata dall’ex dirigente Google e Veoh Networks, Dmitry Shapiro, è una piattaforma per la creazione di post interattivi, una sorta di strumento di remix che chiunque può utilizzare per creare e condividere selfie, meme e giochi interattivi sui social.

Remix & share

Sì, il remix non è più solo roba da dj. Già TikTok aveva reso popolare la cultura del remix, prendendo una parte di un contenuto, modificandolo ed utilizzandolo per altri scopi e il social è cresciuto fino a 800 milioni di utenti attivi.

In effetti, il social creato dall’orientale ByteDance, ha promosso la creazione di contenuti non partendo da zero, ma considerando qualcosa di già esistente. Non si tratta di mera copia, ma di combinazione tra vecchio e nuovo e, spesso, i cosiddetti remix riescono ad essere significativamente migliori dei contenuti originali.

Dunque, si utilizza materiale creativo già esistente (immagini, testi, audio, frammenti video) per dare vita a nuova creatività. In questo caso, quindi, vale la formula: copy, transform, combine.

Il tutto è a prova di dilettante, perché chiunque può facilmente remixare e creare giochi, mini app e meme senza saper codificare. Bastano pochi minuti e il gioco è fatto.

Bisogna solo visitare il sito Koji, scegliere un modello (meme, video, immagine) e fare click su “remix” per personalizzare con immagini, colori, suoni ed altre opzioni, per poi condividere il tutto su qualsiasi social.

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L’obiettivo è rendere il contenuto virale. Ed è già successo: Burger King, per esempio, ha ritwittato un Koji creato da un fan sulla campagna pubblicitari Moldy Whopper, ottenendo migliaia di riproduzioni.

Creatività democratica

Shapiro crede che i contenuti social interattivi possano creare maggior coinvolgimento e condivisione, portando ad un’eco più ampia rispetto ai tradizionali post statici di foto, video e testo.

In effetti, il futuro dei social sarà il cosiddetto engagement. Ad esempio, i clienti oggi usano i social network per interagire con le aziende: vogliono risposte immediate, consigli, assistenza. E vogliono essere coinvolti (engaged). E come rispondono le aziende? Stando online sempre, pronte a dare feedback 24h.

Non da meno, la piattaforma consente la democratizzazione degli strumenti di creazione, dando una chance anche ai non tech friendly.

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Qualsiasi buon media manager, per esempio, potrebbe creare un video o un gioco interattivo, condividerlo sui social e promuovere il proprio marchio.

Sarà una rivoluzione?

Se le nostre vite e i nostri comportamenti sono stati completamente rivoluzionati dai social network, che hanno dato parola e legittimità virtuale a tutti, chissà se ancora tutti, a breve, potremmo definirci digital e content creator.

Le scommesse sono aperte.

Week in Social: dalle sfide nei gruppi su Facebook alle Stories su Pinterest

Anche questa settimana non potevamo lasciarti senza il recap delle migliori notizie dal mondo dei social. Questa volta parliamo di funzionalità: tante le novità in arrivo sulle diverse piattaforme. Scopriamole subito insieme!

Galassia Facebook

La funzionalità per i dispositivi collegati di WhatsApp è vicina al lancio. La funzione permetterà a un massimo di quattro dispositivi di connettersi a un singolo account WhatsApp.

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Le metriche di utilizzo degli hashtag arrivano anche su Facebook. Il social cioè mostrerà quante volte quel particolare tag è stato utilizzato mentre si digita per creare un nuovo post.

Facebook sta lanciando una funzione di sfida nei gruppi. I membri del gruppo possono creare una nuova challenge aggiungendo un hashtag che termina con la parola “sfida”, ad esempio #ninjachallenge.

Addio Text Overlay Tool. Secondo quanto segnalato dall’esperto di Social Media Matt Navarra, Facebook starebbe eliminando le restrizioni sui contenuti testuali nelle immagini pubblicitarie. Una notizia potenzialmente fantastica per tanti social media manager.

Ultima novità della settimana per il social dei social, il Rights Manager, cioè lo strumento per rilevare l’uso di immagini protette da copyright sui social di Menlo Park, sarà disponibile ora per più utenti. Per accedere al tool è necessario compilare un form.

Intanto, sul versante privacy, Facebook minaccia di lasciare l’Europa. A causa della proposta del nuovo regolamento sulla condivisione dei dati per gli utenti europei, il social potrebbe decidere di bloccare sia Facebook che Instagram per quasi 410 milioni di utilizzatori.

Novità per Instagram Reels

Il social ha appena rilasciato alcuni aggiornamenti per questo nuovo formato in stile TikTok. Ci saranno clip più lunghi (fino a 30 secondi) e strumenti di editing video migliorati.

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Mondo LinkedIn

LinkedIn sta per lanciare un look aggiornato. Come parte del cambiamento, oltre al layout rinnovato, anche le stories saranno finalmente disponibili per tutti gli utenti.

Controllo dei commenti su LinkedIn. La piattaforma professionale sta lavorando a un check dei commenti che permetterà di scegliere chi può commentare i propri post, un po’ come già accade su Twitter.

Universo Pinterest

Pinterest lancia le sue Pin Stories.

Anche la piattaforma di ricerca visiva, dopo aver lavorato sul formato nel corso dell’ultimo anno, ha ora annunciato la versione beta per inseguire il trend.

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TikTok non è ancora fuori pericolo: l’affare Oracle resta in sospeso

Secondo le ultime notizie, TikTok non sarebbe ancora fuori pericolo e ci sono voci contrastanti rispetto all’accordo con Oracle e Walmart.

Sabato, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dichiarato ai giornalisti di aver dato “la sua benedizione” all’accordo Oracle-lead per le operazioni di TikTok negli Stati Uniti, il che era stato sufficiente perché TikTok rilasciasse due dichiarazioni ufficiali sul fatto che l’applicazione era “qui per restare”.

L’approvazione verbale del Presidente sembrava essere il passo finale del processo di negoziazione – ma poi, domenica, a seguito di una dichiarazione ufficiale della società madre di TikTok, ByteDance, le cose sono diventate un po’ più nebulose sulle specifiche dell’accordo proposto.

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tiktok

Cosa è successo negli Stati Uniti

1. Il problema dell’algoritmo

Innanzitutto, ByteDance ha chiarito che non trasferirà algoritmi e/o tecnologie a Oracle, o a qualsiasi altra società statunitense, come parte dell’accordo.

“Il piano attuale non prevede il trasferimento di algoritmi e tecnologie. Oracle ha l’autorità di controllare il codice sorgente di TikTok USA”, ha dichiarato ByteDance.

Oracle e i suoi partner del consorzio saranno cioè in grado di utilizzare il codice sorgente come punto di riferimento, ma avranno bisogno di sviluppare un nuovo algoritmo unico per la piattaforma – cosa che potrebbe essere problematica.

L’algoritmo di TikTok, che tiene gli utenti incollati all’app, è visto come una componente chiave del successo della piattaforma, e se Oracle, che non ha esperienza di social media, sarà costretta a riscrivere o ricreare una versione propria della piattaforma, questo potrebbe avere un impatto importante sulle sue prestazioni.

2. I limiti imposti dalle leggi cinesi

ByteDance, dall’altra parte, è limitata in ciò che può trasferire a causa delle nuove leggi cinesi sul trasferimento di tecnologia, inclusi gli algoritmi, negli accordi di commercio estero, ma l’intesa iniziale era che, facendo in modo che ByteDance mantenesse la proprietà della piattaforma, Oracle e Co. avrebbero potuto essenzialmente concedere in licenza il codice sorgente, che avrebbe soddisfatto i requisiti legali.

E questo è solo il primo potenziale ostacolo per il nuovo accordo.

3. Il vincolo del fondo americano per l’istruzione

Oltre a questo, ByteDance ha anche dichiarato di non essere a conoscenza dell’affermazione del presidente Trump che avrebbe investito 5 miliardi di dollari in un nuovo fondo americano per l’istruzione come parte dell’accordo.

Quando originariamente aveva annunciato l’azione del governo contro TikTok, il presidente Trump aveva chiesto che il Tesoro degli Stati Uniti ricevesse una qualche forma di pagamento per facilitare l’eventuale acquisizione, ma il trasferimento al governo di una compensazione diretta da accordi commerciali non è possibile secondo la legge statunitense.

Il fondo per l’istruzione di 5 miliardi di dollari sembrava un modo per soddisfare indirettamente questa richiesta. Secondo quanto riferito, Trump intende utilizzare i fondi per creare una nuova “commissione patriottica per l’istruzione” che aiuti a ristabilire l’orgoglio e l’identità nazionale.

Ma ByteDance ha affermato di non aver incluso tale transazione nel suo accordo.

Questo, a quanto pare, è un altro elemento che è ancora in via di definizione.

4. Il problema della proprietà di TikTok negli USA

Ma il più grande ostacolo potenziale per l’accordo Oracle/TikTok finora è arrivato lunedì, quando il presidente Trump ha dichiarato che non avrebbe approvato alcun accordo per TikTok se la sua proprietà cinese non avesse venduto completamente il suo interesse nel prodotto.

L’attuale accordo, invece, vedrebbe Oracle e Walmart prendere una partecipazione del 20% in una nuova entità ‘TikTok Global’, che verrebbe separata da ByteDance e lanciata come nuova società indipendente il prossimo anno.

Quindi, in questo momento, TikTok resta ancora appeso a un filo negli Stati Uniti, mentre il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha prorogato di una settimana il termine per la rimozione dell’app dagli app store statunitensi (al 27 settembre).

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Cosa succederà a TikTok in Europa?

Con oltre 100 milioni di utenti e più di 1.600 dipendenti TikTok, l’Europa non è stata quasi mai menzionata in questa saga. Ma gli utenti, gli inserzionisti e i dipendenti di TikTok si staranno chiedendo come saranno colpiti.

Punto uno: meno di un mese fa si parlava di collocare la sede internazionale di TikTok a Londra, ma sembra sempre più improbabile.

“Supponendo che l’affare Oracle/Walmart vada in porto, allora la sede centrale di TikTok Global si troverà sicuramente negli Stati Uniti”, ha dichiarato Matthew Brennan, analista di social media con sede in Cina.

TikTok ha uffici a Parigi, Berlino e Dublino, ma Londra è il più grande hub di TikTok in Europa.

“Per Londra essere la sede centrale di un’azienda come TikTok sarebbe stato un bel colpo per la città, ma ahimè sembra che non lo sia” e avrebbe aumentato enormemente il prestigio della capitale in termini di attrazione di talenti tecnologici internazionali.

Il Regno Unito, infatti, si trova oggi ad affrontare una sorta di “fuga di tecnologia” mentre le aziende escono o cambiano strategia, ha detto alla CNBC Abishur Prakash, futurista geopolitico del Center for Innovating the Future.

Si tratta di molto di più di investimenti e posti di lavoro perduti. Ovunque si trovino queste aziende, daranno vita alla prossima generazione di ecosistemi e industrie.  Anche se non tutti sono d’accordo su queste osservazioni.

Punto due: in base all’accordo, i dati degli utenti U.S. TikTok dovrebbero essere memorizzati su server Oracle nei data center americani.

Attualmente gli utenti TikTok in Europa hanno i loro dati memorizzati su server negli Stati Uniti, con una copia di backup a Singapore. Chi gestisce questi server è meno chiaro e TikTok si è rifiutato di commentare.

Il mese scorso, comunque, prima di gran parte del caos, TikTok aveva annunciato la costruzione del suo primo centro dati europeo in Irlanda.

Quando sarà operativo, l’impianto da 420 milioni di euro (493 milioni di dollari) memorizzerà ed elaborerà i dati per tutti gli utenti europei di TikTok. Tuttavia, ciò non avverrà prima del 2022.

Punto 3: dal punto di vista pubblicitario, le aziende europee sono ancora desiderose di spendere su TikTok.

E anche i creator di TikTok continuano a crescere in Europa. Alcuni di loro perché sperano di assicurarsi una fetta dei 250 milioni di euro del “Creator Fund” che TikTok ha annunciato il 1° settembre. La società ha detto che il fondo è stato progettato per aiutare i creatori a trasformare la loro creatività in una carriera.

Un fondo simile esiste negli Stati Uniti e a livello globale TikTok prevede di erogare oltre 2 miliardi di dollari ai creatori nei prossimi tre anni, nel tentativo di raggiungere Instagram e YouTube.

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In che modo i professionisti del marketing possono gestire ed evitare sprechi inutili

Questo articolo è stato scritto da Tina Daniels, responsabile del reparto di analisi e misurazioni per le agenzie di Google.

 

Con la pandemia di Coronavirus, i brand hanno dovuto fermarsi a riflettere su come affrontare la crisi e gestire i piani di ripresa al termine dell’emergenza. In generale, il consiglio principale è stato quello di continuare a investire nel marketing, ma quasi tutti gli inserzionisti si sono trovati a ridefinire le priorità e a distribuire diversamente i budget.

In questa delicata situazione, la posta in gioco è alta e per i professionisti del marketing è fondamentale sfruttare al massimo ogni singolo centesimo della spesa pubblicitaria nel modo più efficiente possibile. Questo implica riuscire a raggiungere le persone giuste con il messaggio giusto, nel momento più appropriato.

Per i video advertiser, ciò significa anche entrare in contatto con le persone per un numero adeguato di volte.

Il concetto di efficienza pone sempre più sfide per la TV lineare. Il problema riguarda la frequenza degli annunci e la copertura di pubblico, colonne portanti dell’unità di misura tradizionalmente usata per la TV: l’indice di pressione pubblicitaria (GRP). Per anni, gli inserzionisti sono stati abituati a compensare una diminuzione della copertura pagando di più per una frequenza maggiore e nel corso del tempo, il GRP (Gross Rating Point) è diventato un meccanismo che nasconde sprechi pubblicitari.

In questo periodo di grandi difficoltà, gli inserzionisti dei formati video che fanno affidamento solo sul GRP per raggiungere gli obiettivi delle campagne potrebbero non ottenere il massimo dai loro investimenti. In questo articolo, approfondiremo le cause di questa situazione e scopriremo alcuni passaggi da seguire per pianificare in modo più efficiente la spesa e ridurre gli sprechi.

Le visualizzazioni in calo contribuiscono ad alterare la pubblicazione e aumentare la frequenza

Le continue diminuzioni dei tassi di visualizzazione di trasmissioni e programmi sulla TV via cavo devono essere compensate da una frequenza maggiore degli annunci per garantire il raggiungimento dei tradizionali obiettivi di GRP.

Cosa significa però nella pratica “frequenza maggiore”? La risposta ci viene fornita da un recente studio personalizzato di Nielsen commissionato da Google, Total Ad Ratings (TAR).

Lo studio ha preso in esame 22 campagne video pubblicate su YouTube e sulla TV lineare. Per misurare la frequenza degli annunci su entrambe le piattaforme, gli spettatori sono stati divisi in tre gruppi con lo stesso numero di partecipanti e in base al tempo totale di visualizzazione della TV in diretta e on demand, ovvero telespettatori molto assidui, mediamente assidui e poco assidui.

In media, per quanto riguarda la TV, i telespettatori molto assidui hanno visto un annuncio 26,5 volte nel corso dello studio sulle campagne. I telespettatori mediamente assidui hanno guardato un annuncio 9,6 volte, mentre quelli poco assidui 3,2 volte. Nello stesso periodo delle campagne prese in esame, la frequenza degli annunci su YouTube si è rivelata decisamente inferiore e più uniforme tra i vari segmenti. In media, i telespettatori sia molto che mediamente assidui hanno visto un annuncio 2,6 volte e quelli più occasionali (e le persone che non guardano la TV) 2,5 volte (1).

Frequenza media delle campagne

gpr google advertising sprechi

Fonte: Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR)

  • TV
  • YouTube

 

Una domanda che sorge spontanea in questo momento è, ovviamente, se il recente picco di visualizzazioni della TV in diretta causato dal confinamento a casa abbia migliorato la distribuzione della frequenza tra i vari segmenti di spettatori. I dati suggeriscono che non sia così.

Nelle quattro settimane tra il 16 marzo e il 12 aprile, ad esempio, sono stati i telespettatori molto assidui e mediamente assidui a contribuire maggiormente all’aumento del tempo di visualizzazione (85%). In particolare, il 68% di questo aumento è stato registrato grazie alla popolazione ultracinquantenne(2). Pertanto, nonostante picchi temporanei delle visualizzazioni, secondo eMarketer, la TV lineare continuerà a essere un canale poco efficace per raggiungere gli obiettivi delle campagne video.

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Una frequenza elevata influisce sulla qualità della copertura

Con il pubblico della TV lineare sempre più limitato e uniforme, la frequenza elevata fa sorgere un secondo problema: compromette infatti la qualità complessiva della copertura riempiendo i canali televisivi di contenuti adatti ad alcuni segmenti a scapito di altri. Quindi, anche in un periodo in cui un numero maggiore di persone è costretto a casa, non è detto che gli investimenti fruttino qualcosa.

Sempre lo studio TAR personalizzato di Nielsen ha rivelato che il 61% delle impressioni degli annunci televisivi è stato pubblicato per telespettatori molto assidui, che costituivano solo fino al 20% del pubblico di destinazione. Al contempo, appena il 5% delle impressioni degli annunci televisivi è stato generato per telespettatori poco assidui, anche se questi rappresentavano il 44% della popolazione target(3).

Percentuale delle impressioni in TV e su YouTube rispetto alla popolazione target

Fonte: Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR)

  • Telespettatori molto assidui
  • Telespettatori mediamente assidui
  • Telespettatori poco assidui e persone che non guardano la TV

La pubblicazione su YouTube si è rivelata distribuita molto più uniformemente tra tutti i segmenti di telespettatori e particolarmente in linea con la popolazione target. Inoltre, questo studio ha messo in evidenza, in generale, un cambiamento nelle visualizzazioni e una conseguenza dell’abbandono della televisione: l’80% dei telespettatori poco assidui e delle persone che non guardano la TV che hanno visualizzato un annuncio su YouTube ha visto l’annuncio esclusivamente su questa piattaforma.

Questa opportunità incrementale, ovvero la possibilità di raggiungere gli utenti solo su YouTube, è stata riscontrata anche negli altri segmenti di spettatori. Il 25% dei telespettatori mediamente assidui e il 37% di quelli molto assidui che hanno visto un annuncio su YouTube non sono stati raggiunti dalla TV lineare(4).

Come ridurre gli sprechi pubblicitari: consigli e strumenti

Per chi ha paura che le proprie campagne non stiano raggiungendo efficacemente i segmenti di pubblico di interesse, è necessario adottare tre misure in particolare:

  1. Creare un piano combinato per la TV e il digitale
    Con i segmenti di pubblico che consumano sempre più contenuti digitali, puoi utilizzare nuovi strumenti per realizzare un piano applicabile a più canali. Lo strumento di pianificazione della copertura è un ottimo esempio. Questo strumento sfrutta i dati televisivi di Nielsen per aiutare gli inserzionisti a comprendere il potenziale impatto che una distribuzione diversa della spesa per la TV e per YouTube può avere sulla copertura.
  2. Sperimentare per trovare il giusto mix di TV e YouTube
    Passare da una mentalità orientata prevalentemente ai contenuti televisivi a una che includa i canali digitali non è facile e non avviene dal giorno alla notte, ma è un passaggio necessario per raggiungere i segmenti di pubblico sulle piattaforme che utilizzano. Fare esperimenti destinando la spesa a video digitali in uno scenario poco rischioso è un buon punto di partenza. Scopri cosa puoi imparare e modifica le tue combinazioni di conseguenza. Anche il team di marketing di Google ha avuto ottimi risultati con questo approccio.
  3. Utilizzare la misurazione multipiattaforma
    Oltre agli strumenti di pianificazione utili per determinare il media mix ottimale, sono disponibili anche nuovi modi per effettuare misurazioni accurate tra più canali. Gli studi TAR di Nielsen consentono agli inserzionisti di misurare direttamente la copertura TV in confronto a quella dei video digitali in modo da individuare gli aspetti inefficienti nei loro acquisti.

Fonti:
1, 3, 4 – Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR), commissionata da Google, includente 22 campagne statunitensi su YouTube per telespettatori molto, mediamente e poco assidui o persone che non guardano la TV, comprendenti il traffico in-app di YouTube utilizzando segmenti di pubblico target su computer desktop, dispositivi mobili e TV, e 8 demo, impressioni demo target, Stati Uniti, aprile 2019–dicembre 2019.

2 – Sondaggio NPOWER di Nielsen, campione di spettatori della TV nazionale, persone maggiorenni che utilizzano la televisione (PUT), giorni totali, visualizzazioni fino a 3 giorni (Live +3), telespettatori molto, mediamente e poco assidui e non persone che non guardano la TV, terzili basati sul tempo totale di visualizzazione, Stati Uniti, periodo precedente: 17 febbraio 2020–15 marzo 2020, periodo successivo: 16 marzo 2020–12 aprile 2020.

giornalismo polarizzazione

Social media e giornalismo: si può prevenire la polarizzazione? Le risposte di uno studio

  • Gli utenti online tendono a leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze. Di questo beneficia il populismo, che punta alla polarizzazione.
  • Uno studio pubblicato su Nature si chiede se il giornalismo può limitare la polarizzazione attraverso la scelta consapevole delle tecniche e delle tipologie dei contenuti.
  • Lo studio ha dimostrato che il fenomeno della polarizzazione è difficile da contenere, ma fornisce comunque alcuni spunti di riflessione per il mondo del giornalismo.

 

È ormai risaputo che gli utenti online tendono a selezionare e quindi leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze, unendosi quindi a gruppi che condividono una narrazione comune (echo chambers). Una dinamica che alimenta il tribalismo e non favorisce un dibattito informato, specialmente quando le questioni sono complesse e controverse. Una spirale di cui beneficia soprattutto la politica di stampo populista, accomunata dall’utilizzo intenzionale di un linguaggio infiammatorio e dalla diffusione di idee controverse per attirare l’attenzione e dividere l’elettorato in rozze guerre di “noi” contro “loro”.

Certo, l’attuale mercato pubblicitario online non aiuta. Anzi, favorisce le storie “acchiappa clic” (clickbaiting) e non distingue fra pubblicazioni autorevoli e contenuti deliberatamente faziosi e ingannevoli. E la stessa architettura algoritmica di Internet e dei social media tende a premiare materiale ultra-fazioso, che assume posizioni estreme e polarizzanti.

Modifiche agli algoritmi, iniziative di fact-checking e altri interventi non si sono dimostrati finora efficaci nell’affrontare il problema. Per questo, la polarizzazione gioca ancora un ruolo fondamentale nelle dinamiche sociali online. Ma se si potesse mitigare il problema a partire dalle scelte giornalistiche? Esistono tipologie di contenuti in grado di limitare la retorica divisiva?

Può il giornalismo prevenire la polarizzazione?

Hanno provato a rispondere a questa domanda i ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del programma Arena della London School of Economics (tra cui il Premio Pulitzer Anne Applebaum), in collaborazione con il giornalista Beppe Severgnini e la social media manager del Corriere della Sera Andrea Federica de Cesco.

113 gli articoli che i ricercatori hanno analizzato sia all’interno del sito web della testata che sulla sua pagina Facebook. Contenuti pubblicati tra marzo e dicembre 2018 e tutti inerenti al tema dell’immigrazione, argomento scelto poiché “fortemente polarizzato e diventato identitario nella dialettica politica”, come spiega Walter Quattrociocchi dell’Università Ca’ Foscari.

Obiettivo dello studio, pubblicato su Nature lo scorso mese di luglio, scoprire quali tecniche giornalistiche favorissero un dibattito più civile, attenuassero la polarizzazione e accrescessero la fiducia verso l’attendibilità dei contenuti stessi. Per permettere alla redazioni di pensare un assetto editoriale immune dai giochi polarizzanti del populismo, creando contenuti al tempo stesso popolari e attendibili, in grado di coinvolgere i lettori in modo costruttivo e non divisivo.

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Analizzare mezzi, tecniche e temi per misurare la reazione

A partire dalla pagina Facebook del Corriere della Sera, i ricercatori hanno confrontato la quantità di contenuti sull’immigrazione con il numero di migranti effettivi entrati nel Paese, esaminato il sentimento prevalente negli articoli e nei commenti, analizzato metriche quantitative relative al coinvolgimento del pubblico e infine incluso un’analisi delle annotazioni degli oltre 20mila commenti.

Lo studio, in particolare, ha analizzato i contenuti in base a mezzo (puramente visivo, testuale, multimediale, infografica), tecnica (data-driven/fact-checking, editoriale, interesse umano, notizie costruttive, cultura popolare, notizie con contesto e notizie semplici) e tema (criminalità, crisi dei rifugiati, tensioni etniche, cultura e società). Obiettivo, misurare il loro impatto sui commenti degli utenti in termini di tossicità (linguaggio tossico come misura del discorso civile), critica al giornale (critiche esplicite alla credibilità del direttore, del giornalista o del quotidiano stesso in quanto fonti di informazione) e posizione in merito all’immigrazione (pro o contro).

Linguaggio più negativo per i contenuti sull’immigrazione

Per quanto riguarda i risultati direttamente collegati al contesto politico e mediatico, la ricerca evidenzia prima di tutto che, nonostante il numero di migranti arrivati in Italia sia calato drasticamente durante il 2018, il volume di contenuti relativi al tema è invece aumentato. Un fatto che coincide con la formazione di un nuovo governo, nel giugno 2018, e con gli sforzi del ministro dell’interno Matteo Salvini per dare la massima priorità proprio alla questione dell’immigrazione.

Dallo studio emerge che gli articoli sul tema dell’immigrazione coinvolgono molto più di altri, mentre i loro commenti fanno uso di un linguaggio più negativo rispetto a quelli inerenti ad altri temi. In particolare, ottengono il coinvolgimento più alto i contenuti che riguardano Salvini.

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Fact-cheking e contenuti data-driven

Ma cos’ha scoperto la ricerca riguardo alle diverse tipologie di contenuto? Ecco i punti chiave, alcuni dei quali forse inaspettati.

  • Il resoconto di notizie lineare, imparziale e non emotivo, che fornisce un contesto, è la tecnica che suscita il minor numero di commenti critici nei confronti della fonte della notizia.
  • Le storie di interesse umano provocano forti reazioni negative: suscitano un alto numero di commenti anti-immigrazione che spesso contengono un linguaggio tossico e molte critiche alla fonte d’informazione. Forse perché le persone si sentono in questo modo manipolate emotivamente e spinte ad assumere una posizione politica? Da rilevare comunque che la critica è più morbida quando l’articolo riguarda la storia di un singolo immigrato piuttosto che di gruppi.
  • Le notizie costruttive – contenuti che offrono soluzioni pratiche – ispirano un linguaggio meno tossico sull’immigrazione rispetto ai pezzi d’opinione e agli editoriali.
  • I contenuti basati sui dati suscitano un livello estremamente basso di fiducia nella fonte della notizia e provocano una grande quantità di commenti anti-immigrazione, ma non necessariamente un linguaggio tossico. Probabilmente, come spiega Quattrociocchi, “alla presentazione dei dati si innesca il meccanismo di rifiuto che porta a dire che essi sono presentati in maniera pretestuosa. Ma il punto più interessante è che in genere ricevono poca attenzione: i dati annoiano”.
  • Gli editoriali ottengono il maggiore coinvolgimento, mentre gli articoli con riferimenti alla cultura popolare il maggior numero di mi piace.
  • I contenuti di fact-cheking suscitano più commenti critici nei confronti della fonte di informazione e più commenti anti-immigrazione rispetto agli articoli di attualità.

Bene video e contenuti multimediali, male le infografiche

E per quanto riguarda le reazioni degli utenti rispetto ai formati?

  • Le infografiche possono stimolare il dibattito e la discussione, ma ricevono notevoli reazioni negative da parte delle voci anti-immigrazione e suscitano alti livelli di critica alla credibilità della fonte di informazione.
  • I video suscitano il livello più basso di critica alla credibilità della fonte di informazione. Forse perché “vedere è credere” o perché le voci anti-immigrazione diventano silenziose di fronte a prove video? O ancora magari perché quella del video è la forma di coinvolgimento più passiva (i video generalmente ricevono un basso numero di commenti)?
  • I contenuti multimediali – combinazioni di video, testo e foto – sono accolti con un grado di coinvolgimento forte e solidale e ottengono buoni risultati anche in termini di critica alla credibilità della fonte.

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I risultati della ricerca

Quindi? Secondo Quattrociocchi, i risultati dello studio portano prima di tutto a una dura presa di coscienza: “La polarizzazione è una cosa forte, difficile da smussare e da contenere. Le dinamiche di conferma delle proprie idee sono potenti e difficilmente aggirabili, almeno con gli strumenti attuali. Il tribalismo domina il dibattito online creando frizioni e insistendo su fratture che hanno radici profonde: la sfiducia, principalmente”. 

In sostanza, la bacchetta magica purtroppo non esiste. Ma i risultati della ricerca possono comunque aiutare le redazioni a essere più consapevoli del potenziale impatto dei loro contenuti sulla qualità del coinvolgimento del loro pubblico. Lo studio invita in particolare a prediligere articoli e servizi “imparziali”, accurati e contestualizzati, meglio se in formato multimediale e in ottica costruttiva, rispetto alle storie ad alto tasso emotivo; dimostra che le infografiche e i contenuti data-driven non sono necessariamente efficaci per convincere i lettori dell’attendibilità delle informazioni fornite; consiglia di evitare opinioni troppo “forti” e poco motivate per prevenire reazioni con un linguaggio tossico. I ricercatori invitano inoltre le redazioni a guardare oltre i mi piace e le condivisioni, per esaminare la qualità del coinvolgimento del proprio pubblico attraverso metriche che non siano più solamente quantitative.

Giornalismo e polarizzazione: provocazioni per il futuro

Insomma, “la lezione è che il giornalismo come lo conosciamo va ripensato e innovato, ma quale sia la via d’uscita ancora non è chiaro”. 

Secondo Peter Pomerantsev, direttore del programma Arena della LSE, la battaglia può e deve essere combattuta anche su altri fronti. Per esempio, esercitando un controllo pubblico più stringente sugli algoritmi e sui modelli di social media che attualmente incoraggiano le posizioni più estremeriformando il sistema ad-tech, per incentivare la creazione di contenuti che non siano semplicemente ‘acchiappa clic’, ma favoriscano una partecipazione più consapevole”.

Certo, nel frattempo, sarebbe auspicabile che la ricerca venisse ampliata da approfondimenti che cercano di capire come il linguaggio e il quadro di riferimento influenzano il coinvolgimento del pubblico. Come mostra un rapporto della LSE, ad esempio, i media europei tendono a descrivere i migranti in termini di nazionalità e di età. Ma cosa cambierebbe se dovessero descriverli in base alla loro professione? O se si focalizzassero sulle cause dei fenomeni migratori, invece di limitarsi a informare su quanti arrivano o tentano di arrivare in Europa?

COVdesign design COVID-19

COVID e Design: come la creatività si incastra con le opportunità post crisi

  • Le crisi portano progresso, sosteneva Albert Einstein e il design italiano è in prima fila per guidare un nuovo rinascimento delle idee, della creatività e del saper fare.
  • I nuovi scenari delineati dalla pandemia possono essere sfruttati per innovazioni e per soluzioni adatte alla nuova quotidianità.
  • Dai pannelli di design in plexiglass alle nuove postazioni di smart working, il genio creativo si fonde con le opportunità post pandemia. Il lato positivo COVID-19 c’è.

 

La storia insegna che l’altra faccia della medaglia delle crisi sono le opportunità. Giusto per rendere il concetto un po’ pop, in questo caso si potrebbe affermare che “si fa quel che si può, con quello che si ha”. Pane per i denti della creatività italiana.

Dovremmo aspettarci un secondo Rinascimento? Possiamo sperarci. Nel frattempo, le case e le cose vengono rivisitate e adattate alle nuove esigenze imposte dai tempi COVID-19.

In effetti, il Coronavirus ha cambiato e sta cambiando il nostro modo di vivere la socialità. Un metro di distanza ci separa da tutti coloro i quali non sono né congiunti, né familiari e il file rouge che muove la nostra quotidianità è il distanziamento sociale. Trasporto pubblico, uffici, stabilimenti, teatri, negozi, ristoranti, riflettono le nuove esigenze comportamentali.

Cambieranno conseguentemente anche gli spazi che viviamo?

Nuovi scenari

Va in scena il COVdesign che punta a risolvere le necessità quotidiane relative alla pandemia. Scenari noti messi in discussione, nuovi gesti, nuove prospettive che alimentano anche la progettazione di interni e il disegno industriale.

Smart working e mascherine fanno sì che sia attribuito un senso diverso a progetti e oggetti. È ragionevole, dunque, pensare che l’emergenza COVID-19 stia riplasmando case, uffici, città e infrastrutture?

Nonostante i pareri divergenti delle archistar, si fanno spazio alcune innovazioni d’artista al passo coi tempi. Aziende e design sono all’opera.

Il desginer Matteo Cibic, per esempio, firma la collezione COV e lancia alcuni tra i progetti italiani più interessanti legati alla pandemia. Li chiama “fancy transparent socializing panels”, i paraventi di design per essere protetti senza sentirsi isolati, utili soprattutto negli open space.

covid

C’è poi Christophe Gernigon, che con l’idea del “distanziamento socializzante” sperimenta sospensioni isolanti di plexiglass, per restare seduti a tavola in piena sicurezza.

Non mancano le postazioni di lavoro in casa: quinte o angoli per le diverse funzioni, per lavorare da remoto in serenità. Gli spazi domestici vengono dunque riorganizzati per improvvisare postazioni ufficio.

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E ancora una volta i designer si sbizzarriscono: dalla cosiddetta plancia di comando di Patricia Urquiola alla postazione operativa con vista sul Mediterraneo di Metz e Racine, le soluzioni sono molteplici e super creative.

Design in numeri

Nonostante le opportunità da cogliere un po’ giocoforza, la crisi COVID-19 ha inferto un duro colpo al mondo del design e, in maniera particolare, al comparto legno-arredo. In effetti, le micro imprese del settore hanno perso ad aprile 2020 il 72% del fatturato, assistendo ad un calo della domanda interna ed esterna.

In Italia sono 47.447 le unità locali che operano nel settore legno e mobili, dove in molte delle quali è alta la vocazione artigiana. È da questo tessuto e dell’attività dei maker che nascono creatività e innovazioni. Creatività messa alla prova già durante l’emergenza sanitaria, quando Christian Fracassi (maker e CEO di Isinnova) trasforma la famosa maschera di snorkeling di Decathlon Easybreath in un respiratore, utilizzando la stampa 3D.

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Il progetto di Isinnova ha poi ispirato anche un giovane tecnico antincendio di Ravenna, Ottavio Giannella, che ha ideato un raccordo che collega comuni maschere antigas da lavoro a ventilatori polmonari.

Il lato positivo

L’intento non è solo quello di descrivere ciò che il design può fare per rispondere al post COVID-19, ma è di dimostrare come designer e maker svolgano un ruolo fondamentale, soprattutto in tempi di crisi.

In effetti, il design in Italia è nato negli anni ’50 proprio dalla voglia di riscatto post-guerra e, da allora, ha sempre rivestito il ruolo di decodificatore delle necessità umane, nonché di traspositore dei bisogni e desideri dell’uomo nella realtà che lo circonda. E non si limita ad intervenire sull’esteriorità delle cose, ma ne investe anche la funzionalità e il profilo semantico.

Durante quei tempi, non si trattava di progettare oggetti nuovi, ma di sfruttare ingegno e creatività per rispondere ai problemi quotidiani. Ne sono testimonianza la Vespa, la macchina da scrivere Lexicon e la moka Bialetti. Oggetti che rappresentano come le minacce più gravi possano costituire un’opportunità per l’innovazione e la collettività.

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Dunque, nella società in cui ci troveremo a vivere post Covid-19, con le sue diverse e mutate esigenze, il design sarà un fondamentale strumento di adeguamento della realtà ai bisogni ed alle aspettative umane.

Chi l’avrebbe mai detto che COVID-19 e design sarebbero stati una perfect combo? Pensarla così aiuta a guardare il lato positivo della pandemia. Per il Rinascimento rimaniamo fiduciosi.

Tool, idee e strategie di Content Marketing per catturare (tutti) gli utenti

  • Il content marketing è l’insieme di strategie per creare materiali di valore per gli utenti e può rendere un brand riconoscibile o virale.
  • Dall’ideazione del concetto alla sua diffusione, sono disponibili tool per semplificare il lavoro ai content creator.
  • Realizzare un contenuto ad alto potenziale vuol dire chiedersi di cosa gli utenti vogliono sentire parlare, come, quando e dove. 

 

Devo dire la verità: il content è tra le mie branche preferite del marketing. Ma d’altronde alzi la mano chi non ama un contenuto di qualità. Perché, partiamo dalle basi, il content marketing è questo.

È la creazione di materiali, testuali o visuali, che siano di valore per chi ne fruisce. In quanto tale, ha un’importanza fondamentale nella strategia di marketing di un’azienda: permette di generare post potenzialmente virali e di avere una comunicazione immediatamente riconoscibile (Taffo è un ottimo case study).

Content Marketing_Taffo

Taffo è leader nel content marketing. I suoi post sono brevi, non convenzionali e ad effetto, anche e soprattutto quando riguardano temi sociali e non brand-related.

Ma in generale di Content Marketing non ce n’è mai abbastanza.

Anatomia del Content Marketing: ispirazione, realizzazione, revisione e diffusione

Come qualsiasi progetto, anche il content marketing può essere suddiviso in fasi.

  1. Ispirazione. Per prima cosa si pensa al contenuto da veicolare: qual è il topic? Perché? È un tema hot?
  2. Realizzazione. Avuta l’idea geniale, va messa su carta. Pardon, tastiera.
  3. Revisione. Terminata la produzione, si ricontrolla tutto. Che sia con la biro rossa o con un software, questo è uno step imprescindibile che permette di trovare refusi, implementare SEO e leggibilità.
  4. Diffusione. L’ultimo step è quello in cui si manda il post a colleghi, amici e parenti. Ma non solo.

Partendo da questi quattro pilastri, qui sotto raccontiamo strumenti e idee per rendere il content marketing ancora più efficace e divertente, per chi lo riceve e chi lo produce.

Ispirazione: i tool del content marketing per scegliere di cosa parlare

Potrebbe sembrare lo step più semplice, ma scegliere il tema non è facile come sembra. Avrei voluto saperlo agli esami di maturità, prima di impelagarmi in un saggio sui labirinti, o prima di farmi bocciare diversi articoli per i blog aziendali. Ma almeno ora posso testimoniarlo a voi.

Per quanto sarebbe bello poter parlare di quello che ci pare, il content marketing ha come scopo principale quello di catturare e poi coinvolgere il fruitore. Per farlo, la mossa più furba è cavalcare l’hype di qualcosa oppure chiedersi che cosa voglia leggere il lettore.

I topic per il marketing B2C: hype, millennials e zoomers

Per percorrere la prima strada, molto più B2C, ci sono gli evergreen Google Trends, BuzzSumo, Digimind, BlogMeter , che ti permettono di capire quali sono gli argomenti di tendenza mentre scrivi.

Se poi l’intento è quello di fare qualcosa di meno convenzionale, potrebbe essere strategico seguire direttamente le pagine Facebook e Instagram più famose dedicate ai meme (i millennial li adorano) o Tik Tok, luogo di nascita delle challenge (target zoomers). E iniziare a comunicare tramite questi pattern, ad alto valore di buzz.

Content Marketing_BarkBox.

BarkBox è un brand di cibo, toys e servizi per cani e questo è un ottimo esempio di meme marketing con la celeberrima Kombucha Girl

LEGGI ANCHE: Brand a misura d’uomo: gli strumenti tech per avvicinarsi alle persone

In aggiunta, per i marketer più nerd, suggerisco di cercare continuamente contenuti o newsletter per rimanere sempre up to date. Personalmente seguo Exploiding Topics (che racconta i trend di ricerca su Google dando più di qualche numero a proposito) e Zio di Wyncenzo, votata alla spiegazione delle abitudini e dei trend dei teenager di oggi. Ad esempio, avete idea di cosa sia il Check per uno zoomer?

Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è Sveta Milano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.

Content Marketing_Sveta Milano

Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è Sveta Milano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.

I topic per il marketing B2B: l’inbound marketing

Mentre il content marketing B2C si basa su argomenti o campagne super catchy e di tendenza, il marketing B2B dovrebbe essere più orientato a risolvere i problemi del target. Prima ancora che si accorgano di averli: è questa la filosofia dell’inbound marketing, di cui la piattaforma HubSpot si fa principale tool e portavoce.

In pratica, l’idea alla base dell’inbound marketing è di fare in modo che siano i deal a contattare un’azienda, e non il contrario (i.e. outbound). Per fare in modo che ciò accada, ci sono diversi passaggi, primo tra tutti la costruzione di un buyer persona (chi ci legge, chi ci compra) e la definizione degli argomenti che potrebbero interessargli.

Per esempio, sono un’agenzia di cybersecurity: in base ai miei meeting precedenti so che la prima cosa che mi viene chiesta è come funzioni il mio servizio. Colgo l’esigenza, la anticipo, e ci scrivo un articolo sul mio blog aziendale. Ma attenzione: con un articolo non potrò mai spiegare tutto in maniera completa, né renderò autonomo il mio buyer persona, che però sarà grato di aver potuto leggere qualcosa in più gratuitamente.

LEGGI ANCHE: Cosa si aspettano i più giovani dal tuo Content Marketing

HubSpot funziona in modo tale da costruire dei “percorsi di marketing” che portano il buyer persona dal primo approccio al contatto con la forza vendita di un’azienda: il buyer persona viene traghettato da un contenuto all’altro fino ad arrivare a uno stage in cui accetterà di buon grado di ricevere la chiamata del sales che lo contatterà. E in tutto questo rimarrà traccia del suo percorso, così da apprendere in futuro di cosa parlare.

Non basta scrivere su Word: i tool di content marketing per la realizzazione e la revisione dei contenuti

Superato il timore da foglio bianco e prodotto il contenuto, arrivano in aiuto gli strumenti per l’editing dei propri scritti. Primo tra tutti, WordPress. In un loop vagamente alla Inception, vi sto scrivendo utilizzando WordPress un paragrafo dedicato a WordPress. La verità è che se riportassimo semplicemente i nostri articoli scritti su Word online, mancherebbero della revisione necessaria a renderli appetibili per il web.

Oltre a permettere di editare un testo in maniera strategica (inserendo titoli, immagini e link in un modo che su Word, Open Office o Pages non è possibile percorrere), WordPress infatti ha incorporato nel sistema di editing anche un software per il controllo della leggibilità e della SEO.

LEGGI ANCHE: Perché fare SEO post Covid è più importante che mai

No frasi lunghe, no incisi, sì keyword (tante)

Me lo diceva sempre la mia professoressa di italiano: no periodi lunghi, no (troppe) subordinate e no incisi. Non l’ho ancora fatto del tutto mio, ma questo è un insegnamento concreto per tutti i content creator in ascolto. Google infatti premia i contenuti più leggibili, che WordPress stesso ti permette di ottenere revisionando la lunghezza delle frasi e dei paragrafi. Una volta che il testo è a prova di lettore pigro (frasi brevi e semplici), WordPress ti dà un bel bollino verde e ti fa sapere che il lavoro è ok.

Terminato il lavoro di revisione sintattica, ci si può concentrare sulla SEO. Per farlo ci sono tantissimi tool, anche meno focalizzati sull’analisi della SEO di un singolo blog ma più sull’interezza di un sito (SEMrush, Moz e molti altri), ma tra i più utili va segnalato Yoast, che è incluso nel pacchetto premium di WordPress.

Yoast segnala all’editor una sorta di To do list delle keyword (e.g. “usa la keyword almeno 8 volte”) e le eventuali lacune nella sua strategia, permettendogli di produrre un contenuto che verrà trovato. Come questo (Inception edizione Ninja Marketing).

Content Marketing_Yoast

Analisi SEO dell’articolo attuale (prima che termini l’editing e la revisione). Inception x3.

Il peggio è passato: manca solo da diffondere il contenuto

Come Rocky Balboa dopo aver salito la scalinata, stanchi ma soddisfatti: ce l’abbiamo fatta. Il post è pronto, va solo diffuso. Massivamente, si spera.

CRM, Email Marketing e Social Media sono i tre pilastri che a questo punto del percorso non dovrebbero mai mancare. Con il primo (Salesforce e Hubspot sono i più famosi) si realizza una sorta di rubrica 2.0. a cui inviare i contenuti. Il CRM funziona in effetti proprio come un incubatore di contatti provenienti da diverse “rubriche”: eventi aziendali, clienti fisici e e-commerce (nel caso del B2C), iscrizione a newsletter, etc. Una volta inseriti nella loro totalità, i contatti devono essere smistati per definirne i contenuti di interesse.

Qui entra in gioco l’email marketing, di cui MailChimp e GetResponse sono i leader del mercato. Tramite questi tool, è possibile inviare una newsletter e trackarne la performance (quante views? Quanti click? Quanti abbandoni?).

Anche quando sponsorizzano qualche prodotto (spesso), i post di Freeda ottengono molti like e commenti che accendono il dibattito degli utenti. Chapeau!

LEGGI ANCHE: Email marketing: i trend da conoscere per il 2020

Infine, ci sono i canali di proprietà dell’azienda, primi tra tutti i social media. Pensateci un po’, come siete arrivati a questo articolo? Probabilmente tramite LinkedIn o Facebook, che sono sicuramente i tool più interessanti dal punto di vista B2B e B2C.

Ma non solo: ormai anche Instagram è un’ottima cassa di risonanza per i contenuti, soprattutto se in ambito propriamente editoriale. L’universo Vice e Freeda ne hanno fatto un mantra: l’effetto Word of Mouth si crea tramite i social, mica con Google.

week in social

Week in Social: dallo stop a TikTok e WeChat alla Business Suite di Facebook

Sì, è successo davvero. Dopo settimane in bilico e in attesa di un accordo che salvasse le operazioni della piattaforma video in un mercato importante come quello statunitense, alla fine Trump ha tenuto fede all’ordine esecutivo e da domani non sarà più possibile scaricare TikTok e WeChat dagli app store US.

Ma nel mondo dei social questa settimana non è successo solo questo. Come ogni sabato, abbiamo raccolto per te le principali notizie e novità del settore, per un recap da veri Specialist.

Universo Facebook

Facebook ha lanciato Business Suite. Si tratta di una nuova dashboard per aiutare le aziende a gestire la loro attività su Facebook e Instagram sia da desktop che da mobile.

Attualmente, Business Suite include strumenti come quelli dedicati alla pubblicazione, alla messaggistica, agli insight e le funzionalità pubblicitarie, migliorando l’esperienza di gestione di un’azienda attraverso le applicazioni del social.

Per iniziare a usare Business Suite, che sarà rilasciato gradualmente da settembre bisogna collegare prima gli account Facebook e Instagram, se non lo sono già. Una volta fatto ciò, sarà possibile sfruttare le caratteristiche principali del prodotto per:

  • visualizzare gli aggiornamenti e tutti gli avvisi critici, i messaggi, i commenti e le altre attività di Facebook e Instagram che richiedono attenzione all’interno della schermata iniziale di Business Suite, consentendo così di stabilire facilmente le priorità e gestire l’attività aziendale durante l’intera giornata.
  • Programmare la pubblicazione nel feed in modo incrociato tra Facebook e Instagram.
  • Visualizzare gli insight sulla reach, l’engagement e la performance dei post su Facebook e Instagram.
  • Prendere in considerazione la possibilità di sponsorizzare un post per far sì che più persone lo vedano e si impegnino con quei contenuti.

Per accedere a Business Suite, basta accedere all’account Facebook associato all’azienda. Poi, se ne hai diritto, sarai automaticamente reindirizzato a Business Suite quando visiterai business.facebook.com su desktop.

Chi sta già utilizzando l’applicazione Pages Manager su cellulare, vedrà automaticamente l’opzione per accedere a Business Suite. L’opzione non è attualmente destinata a coloro che utilizzano Ads Manager per la pubblicità.

Facebook Creator Studio ha anche aggiunto la funzione ‘Crea post di test’. Secondo quanto raccontato con uno screenshot da Matt Navarra su Twitter, sarà possibile provare fino a 4 variazioni di post, che vengono mostrate ad una piccola % del proprio pubblico.

Dal punto di vista delle funzionalità, Facebook introduce anche Watch su Messenger. La nuova funzione ‘Watch Together’ permette di guardare i video di Facebook con amici e familiari e vedere le loro reazioni in tempo reale attraverso le video chiamate di Messenger e le Messenger Rooms.

Intanto Facebook ha anche annunciato nuove regole per i gruppi. Dopo vari report su come questi spazi facilitano la diffusione della disinformazione e dei discorsi di odio, il social rimuoverà i gruppi nei quali si incita la violenza e ridurrà l’esposizione di quelli che condividono ripetutamente contenuti classificati come fake.

La misura arriva anche in seguito all’ultimo boicottaggio da parte di alcune celebrità di fama mondiale come Kim Kardashian e Leonardo Di Caprio.

Novità su Instagram

Instagram aggiunge le didascalie automatiche per i video di IGTV. La funzione si colloca nell’ambito di un più ampio sforzo per migliorare le sue opzioni per i caption, basato sull’AI e per ora disponibile in 16 lingue.

In arrivo anche una funzione per le FAQ su Instagram. La piattaforma sarebbe a lavoro su una feature di domande frequenti per gli account Business che consentirebbe una risposta più immediata ai quesiti dei follower.

Nuove opzioni su WhatsApp

L’app di messaggistica istantanea sta testando una funzione per permettere agli utenti di impostare diversi background per le diverse chat.

Mondo TikTok

Prima di passare alla news più succosa della settimana social, un breve reminder sui dati utili. TikTok infatti questa settimana ha dichiarato per la prima volta il numero di utenti mensili in Europa: 100 milioni.

tiktok

E finalmente eccoci. Trump cancella WeChat e TikTok dagli app Store americani. Dal 20 settembre, infatti, sarà impossibile scaricarle su smartphone le due app o i loro aggiornamenti. Ma la mossa del presidente potrebbe danneggiare anche le aziende USA, in primis Apple e Google.

Dopo molte minacce, alla fine la decisione si è concretizzata, “per salvaguardare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, si legge in una nota ufficiale del Dipartimento del Commercio USA. Secondo il governo i divieti “proteggono gli utenti negli Stati Uniti eliminando l’accesso a queste applicazioni e riducendo notevolmente la loro funzionalità”.

Intanto il Governo è anche in attesa di prendere una decisione sull’offerta proposta di ByteDance e Oracle per le attività statunitensi di TikTok, che nel fratttempo commenta in una nota: “Siamo in disaccordo con la decisione del Dipartimento del Commercio, e siamo delusi dal blocco dei nuovi download da domenica e sul divieto di uso dell’app TikTok dal 12 novembre”.

Pianeta Twitter

Twitter ha diffuso ‘Holiday Hub’. Si tratta di un mini-sito con lo scopo di aiutare i marketer a prepararsi per la stagione delle vacanze invernali, con consigli e strumenti per mappare le loro campagne.

Twitter testa anche gli audio clip nei messaggi diretti. Dopo aver rilasciato una funzione per aggiungere clip audio nei tweet nel mese di giugno, il social sta ora testando i DM audio con alcuni utenti in Brasile.

Galassia YouTube

YouTube offre nuovi strumenti pubblicitari. Con l’aumento del tempo di visione dei contenuti della piattaforma sugli schermi delle home TV, il gigante del web ha aggiunto alcuni nuovi tool per aiutare gli inserzionisti a raggiungere segmenti di pubblico più specifici.

YouTube lancia ‘Shorts’ in India. La piattaforma video ha annunciato il prossimo lancio della funzione in stile TikTok. Si tratta per ora solo di una versione beta.

Intanto la piattaforma video pianifica anche il lancio delle conversioni Engaged-View per la fine dell’anno. Misureranno quando qualcuno guarda almeno 10 secondi di un annuncio skippable e si converte, entro un numero di giorni prestabilito.

In breve dai social

Il primo video musicale girato su Snap Spectacles. Il clip è stato realizzato per accompagnare il singolo di Bosco “4 luglio” ed è tutto basato sugli effetti di realtà aumentata di Snapchat.

I nuovi trend su Pinterest. Il social ha rilasciato alcuni dati sulle principali tendenze in quest’ultimo trimestre del 2020. I pinner continuano a riflettere soprattutto su crescita personale e benessere mentale, con significativi picchi sui temi legati alla “positività” (+64%).

Conversion e contenuti: troppe opzioni possono trasformarsi in un boomerang

  • Diversi studi hanno dimostrato come una scelta più varia attiri le persone, ma una selezione più limitata di prodotti faciliti la conversione.
  • I clienti di oggi richiedono meno informazioni ma più chiare, dirette e focalizzate su un’unica caratteristica.

 

Over comunicare può rivelarsi un boomerang per un business e per la conversion? I consumatori desiderano davvero essere “travolti” da innumerevoli contenuti?

Nel mondo di oggi dove tutto cambia in modo molto rapido, in cui siamo costantemente connessi e desideriamo ricevere risposte con velocità e chiarezza, la regola è solo una: “less is more”.

Che si parli di una landing page, del lancio di una nuova linea di prodotti, o ancora di un sito web di servizi, tutto deve essere costruito con uno ed unico obiettivo.

È stato dimostrato come troppe opzioni, o troppi messaggi, portino le persone ad avere una scelta così vasta da non essere in grado di prendere una decisione, causando dunque un mancato acquisto e una mancata conversione.

In merito a questo tema esiste uno studio psicologico molto interessante “Jam Study” condotto da Sheena Iyengar, S.T. Lee Professore di Economia presso il Dipartimento di Gestione della Columbia Business School: la ricerca è stata condotta in un supermercato in un sabato pomeriggio esponendo un primo gruppo di persone a 24 gusti di marmellata, e secondo gruppo a sole 6 opzioni della stessa marmellata.

LEGGI ANCHE: La content strategy del less is more

Alla fine dell’esperimento solo il 3% delle persone appartenenti al primo gruppo aveva acquistato un barattolo di marmellata, mentre il 30% dei consumatori appartenenti al secondo era riuscito a concludere un acquisto.

Ciò dimostra che di sicuro una scelta più varia attira l’attenzione delle persone, ma che una selezione più limitata facilita la vendita, e dunque la conversion.

Capiamo ora insieme come migliorare un’esperienza d’acquisto per renderla più immediata e più efficace.

Sì ai dettagli, no all’eccesso

La quantità non è tutto.

Una pagina prodotto per essere efficace deve contenere le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso. Potrebbe sembrare un’affermazione banale, ma guardando e analizzando diversi brand e prodotti online non sembra essere così scontato.

L’errore che spesso viene commesso è questo di voler dire tutto per non omettere nessuna delle selling propositions.

In realtà decidere un solo obiettivo e un solo punto di forza, spiegato in modo conciso e dettagliato, potrebbe davvero fare la differenza e convincere il nostro consumatore a concludere un acquisto.

Un’altra soluzione per incrementare le conversioni, è rappresentata dall’utilizzo dei video, in pagina prodotto o sulle pagine di contenuto principali, per spiegare più caratteristiche e punti di forza.

Affinché un video sia efficace, deve essere pensato in modo da:

1. contenere le informazioni chiave all’inizio;
2. spiegare i benefici che potrà ottenere l’utente;
3. prevedere e rispondere a domande che potrebbero sorgere.

Una risorsa a sorpresa: le recensioni dei propri clienti

LEGGI ANCHE: Social customer care: perché i clienti scontenti lasciano recensioni negative?

Mai pensato che potesse essere una soluzione? In realtà, nonostante la digitalizzazione, il passaparola è ancora un elemento importante da non sottovalutare. Un cliente soddisfatto del prodotto è più propenso a lasciare un feedback positivo e può indirettamente contribuire ad un aumento delle vendite.

Bisogna prestare attenzione ai seguenti punti per ottenere benefici e aumentare la conversion attraverso le recensioni:

1. recensioni brevi: lasciare troppo spazio al giudizio e ai suggerimenti può generare confusione e perdita di focus. La soluzione migliore è quella di pensare ad uno spazio con un numero di caratteri limitati, sufficienti per esprimere un’opinione diretta, chiara, semplice.

2. Spazio alla recensioni negative; sembrerebbe un controsenso ma per dare l’impressione che le recensioni siano vere e non frutto di un piano di comunicazione studiato ad hoc, è importante lasciare spazio ai feedback negativi anche per un obiettivo di miglioramento costante.

Social sharing?

Ultimi, ma non meno importanti le call to action di condivisione; sono sempre di più i brand che scelgono di fornire questa opzioni ai propri clienti, ma bisogna sempre essere molto attenti a non abusarne.

Nel momento in cui non si è certi di quale sia il social network più adatto, è controproducente inserire tutti i social per paura di sbagliare. Ci sono diversi dati interessanti che possono essere d’aiuto per la nostra conversion. Uno ad esempio riguarda la demografica, che ci permette di capire quale o quali sono i social media più utilizzati dai nostri consumatori.

È fondamentale, non usare opzioni già fornite all’interno dei plug-in, ma scegliere call to action allo sharing personalizzate e create pensando in primis ai propri consumatori e alle loro abitudini di interazione sui social e di condivisione.

Credits: Depositphotos #47831101

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Fenomeno Pet influencer: ecco chi sono gli animali più seguiti di Instagram

  • Lo avresti mai detto che sui social ci sono animali che hanno più follower degli umani?
  • I pet influencer più seguiti guadagnano grazie a collaborazioni con brand come Google, Mercedes Benz e Purina che sborsano cifre esorbitanti per i loro scatti.
  • Ecco chi sono i più seguiti. No, non c’è solo il cane della Ferragni!

 

Instagram si sa, è il social che mette in mostra l’ego di ognuno, diventato ormai il regno degli influencer. Facile farlo studiando pose e provando il profilo migliore. Meno facile, ma di sicuro più soddisfacente, è mettere in posa il proprio amico peloso. Lo avreste mai detto che sui social ci sono animali che hanno più follower degli umani?

I pet influencer più seguiti addirittura guadagnano grazie ai loro musetti, ai loro teneri difetti e anche grazie al loro temperamento davanti alla macchina fotografica. Infatti non poche sono le collaborazioni con brand come Google, Mercedes Benz e Purina che sborsano cifre esorbitanti per i loro scatti. Sembra un’assurdità eppure c’è una motivazione: quella della stretta relazione tra marketing ed emotività.

Una bella immagine soprattutto se tenera, richiama infatti sentimenti buoni, caldi e di felicità. Una semplice o per quanto banale foto di un cucciolo scatena nella maggior parte delle persone un senso di serenità e questo i brand lo hanno capito molto bene, cogliendo subito l’occasione per tentare e persuadere lo spettatore attraverso nuovi canali emotivi e psicologici.

Ecco chi sono gli animali più seguiti, i più simpatici e i più teneri.

Jiff Pom, il pet influencer più seguito – 10 milioni di follower

Jiff sembra un orsacchiotto ma è un cucciolo di Pomerania ed è tra i primissimi pet influencer più famosi al mondo. Il cagnolino, oltre che comparire in un video della cantante Kate Perry, vanta molte partnership con famosissimi brand, tra cui TikTok, Target e Banana Repubblic. Per ogni suo post sui social Jiff guadagna circa 45 mila dollari. Tutti spesi in ossetti da sgranocchiare.

 

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Nala Cat: – 4,3 milioni di follower

Nala è un gatto meticcio dai curiosi occhioni azzurri. È proprio il suo piccolo difetto di strabismo a renderla famosa. Pluripremiata, è diventata testimonial di una linea di mangime che prende addirittura il suo nome.

Nala, per ogni suo post guadagna circa 19,8 mila dollari.

 

Doug the Pug – 4 milioni di follower

Si definisce il “re della cultura pop”, Doug è il carlino più simpatico al mondo. Tra un’apparizione come testimonial di Mercedes Benz, Feebreze e Claire’s e un’altra come imprenditore del suo merchandising, la pet celebrity riesce anche a posare per il suo profilo Instagram.

I suoi scatti – che valgono ognuno 17,7 mila dollari – sono buffi, le sue espressioni ironiche e goffe. Indossa parrucche, tutine divertenti e gioca con i suoi amici follower. È facile riconoscerlo anche come guest star ai Country Music Awards come testimonial ufficiale di Dentastix.

 

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“Me after getting my third coffee of the day” -Doug

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Juniper the Fox – 2,9 milioni di follower

La dolce volpe rossa nordamericana è stata salvata e introdotta in ambiente umano, un po’ particolare rispetto a quello selvatico. Juniper si mostra sempre sorridente e non teme di passare in secondo piano.

Nel suo profilo, infatti, ospita altri simpatici pet influencer tra cui suo fratello Fig, con cui convive e con cui condivide cibo, morbidi cuscini e forse anche il guadagno di 13,54 mila dollari per ogni loro post.

LEGGI ANCHE: Top model avatar e virtual influencer saranno il futuro della pubblicità?

 

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Baby Juniper, the forest spirit

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Tecuaniventura – 2,2 milioni di follower

I bulldog inglesi sono buffi e divertenti di natura. Sono famosi per le loro espressioni imbronciate a causa delle pieghe del muso e per essere goffi anche se pieni di energia.

Questo dog blogger si trova in Russia e si presenta indossando buffe tutine, sicuro verso l’obbiettivo come un vero poser. Ha un muso molto espressivo e proprio come un fashion addicted sembra divertirsi con le diverse mise. Per ogni prova vestito, proprio come i veri influencer, guadagna circa  9,94 mila dollari ed ovviamente è testimonial di diversi brand.

 

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Когда живёшь в большой и шумной собачьей семье, постоянно происходят разные неожиданности. Кто-то пил и разлил воду, кто-то, шутя, погрыз бабушкино кресло. А сегодня, один мохнатый зверь с рыжим носом, совершенно случайно перевернул любимую Карамелькину герань. Но делать что-то надо, пока не вернулась с работы мама. Нужно быстро все убрать и привести дом в порядок. В этом Карамельке помогает Mr. Proper для домов с питомцами. Это – новое средство для мытья полов, которое убирает до 100% грязи от домашних животных и обладает технологией удаления запахов (не маскируя их). А ещё он совершенно безвреден для домов с четвероногими??! И к тому же, средство не оставляет разводов и не требует смывания. Запомните, друзья, про Mr. Proper для домов с питомцам. Карамелька плохого не посоветует! #MrProper #ХозяинНичегоНеУзнает #спонсорPG #dog #englishbulldog #собака #russia #москва #россия #vladivostok #владивосток #vdk #бульдог #английскийбульдог #питер #хабаровск #новосибирск #краснодар #моясобака #собакару #собакадругчеловека #собакаулыбака #собакадруг

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Tuna – 2,1 milioni di follower

Tonno, questo è l’insolito nome per il cagnolino dal sorriso più famoso. Il suo muso visto di profilo ricorda quello di un piccolo squalo a causa della sporgenza dei suoi denti.

Il suo simpatico ghigno lo ha reso così celebre tanto da comparire in svariati meme che hanno fatto il giro del mondo. In più, Tuna collabora con associazioni benefiche per il salvataggio di animali e ha anche un merchandising con una linea di oggetti che porta il suo nome. La sua stramba dentatura gli fa guadagnare circa 9,8 mila dollari a post.

Mr Pokee – 1,8 milioni di follower

Il riccio diventato una leggenda. Un influencer un pò spinoso certo, ma teneramente e sempre di buon umore ci ha mostrato bellissimi paesaggi in compagnia dei suoi a-mici.

Purtroppo Mr Pokee non è più tra noi ma le sue avventure continuano grazie al suo compagno Herbee che porta alto il nome e la fama del suo caro amico.

 

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On a scale of 1-10 how excited are you for fall? ? Herbee is a solid 10 ? I’d say Audree is about a 6.5 ??

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Pumpkin the Raccon – 1,3 milioni di follower

Pumpink è un procione paffutello, salvato e addomesticato in casa dove vive con i suoi fratelli cani, oltre che con gli umani, ovviamente. Pestifero e divertente, il procione è molto goloso e gli scatti lo ritraggono spesso con le mani nel sacchetto… di patatine, di popcorn e di mirtilli.

Questo simpatico pet influencer non ha contratti di marketing, se non quello con l’associazione benefica Baark, che si occupa di salvataggio animali. Ha però lavorato molto per il suo personal branding tanto da avere ottenuto un libro in suo onore  “Pumpkin: The Raccoon Who Thought She Was a Dog” ed esser apparso in speciali tv americani, dedicati agli animali.

 

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One day 2020 will be just a memory. Until then #wearadamnmask and wash your hands ❤️

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Diddy Kong e Yeti Kong the Marmosets – 907 mila follower

Diddy e Yeti, che di cognome fanno Kong, sono due minuscole scimmiette di origine sudafricana diventate famose anche grazie al video di LADbible nel 2016.

Sul loro profilo compaiono sempre allegre, le immaginiamo anche un po’ dispettose e che si divertono a compiere azioni vagamente umane. Hanno stretto collaborazioni con Two Hats Beer Company e Klique.

 

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“I turned 5 today! Having a relaxing birthday bath and then a big birthday treat!! ? ?” – Diddy Kong

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Hamlet the Piggy – 368 mila follower

Hamlet è un tenero porcellino ben predisposto a posare come una star. Vanitoso, sfoggia diversi look, parrucche colorate ed eccentrici occhiali da sole. Vive in casa e si comporta come un cagnolino, segno che ogni animaletto ama stare in nostra compagnia e che, anche se non è propriamente opportuno, riesce ad adattarsi in spazi diversi dal proprio habitat naturale.

Hamlet è stato adottato come animale da terapia, aiutando la sua proprietaria nei critici momenti della sua epilessia. Pet influencer insolito, su Instagram vanta sponsorizzazioni per gli snack Tostito, la linea di cuffie NFL di Bose e l’obiettivo iPhone Ollo Clip.

 

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Happy Wednesday! You’re halfway there!

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Buckley the highland cow – 74,2 mila follower

Scendiamo molto nella classifica ma anche questa bufaletta merita una menzione, a dimostrazione che tutti possono diventare influencer. Buckley è rimasta orfana appena nata e accudita nella fattoria della sua famiglia umana vive insieme a sua sorella, la capretta Ralphy. Un esempio di grande amore, non solo quello umano ma anche quello tra specie diverse.

Questa bella storia d’amicizia è raccontata anche nel libro A true story about kindness, friendship and being yourself. La natura mostra amore e non fa distinzioni di razza o identità. Bisognerebbe prenderlo come esempio.

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Matilda – 386 mila follower

Menzione particolare per un pet influencer tutto italiano. Il bulldog francese di Chiara Ferragni, non poteva non seguire le orme della sua famosa proprietaria. Il profilo di Matilda non spicca però per le sue qualità fashion o per pose particolari. Gli scatti sono semplici e raccontano in modo non spettacolare la sua quotidianità. Insieme a Chiara e al resto della famiglia, ovviamente, che gli fa guadagnare popolarità e like.

Insomma, ci vuole fortuna anche a nascere cane.

 

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Si torna a casa ✈️

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I maggiori pet influencer italiani

In Italia, altri animali da compagnia che vantano più follower di alcuni influencer umani, sono i cani dei vip che godono della luce riflessa dei loro proprietari più ammirati. Troviamo Audrey, il cane di Donatella Versace con 30 mila follower. Seriosa e dall’atteggiamento composto, come una modella. Con 20 mila ci sono Lilly e Leone, barboncini che non spiccano di particolare bellezza come invece la loro mamma umana Michelle Hunziker.

Mia, Piero e Megan con l’account I Pieri creato dalla loro proprietaria Elisabetta Canalis, hanno raggiunto più di 15 mila follower. Di sicuro il pet influencer più simpatico, e già lo dice il nome, è Gatto Morto. Anche se non è figlio d’arte vanta 11 mila seguaci. Il suo profilo è composto di  frasi sarcastiche e soprattutto da pose da cui trae il suo nome. A pancia e zampe in su. E immobile.

 

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Non svegliate il Gatto che è Morto.

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