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Instagram History, la Memoria della Shoah diventa digital

«La memoria della deportazione non si può fermare». Instagram diventa così Storia. Nel Giorno della Memoria, 121 racconti di milanesi deportati nei campi di sterminio rivivono attraverso le Instagram stories di influencers e testimonial illustri dello spettacolo per ricordare una delle più grandi tragedie del Novecento.

La memoria viene affidata al futuro attraverso il digitale e la Generazione Z, affidando ai giovani la missione di non dimenticare, utilizzando il loro stesso linguaggio contemporaneo, con il progetto “Instagram History”, realizzato dall’agenzia creativa Imille in collaborazione con il Comitato Pietre d’Inciampo e  CTRL Magazine, con il Patrocinio del Comune di Milano e il sostegno della senatrice a vita Liliana Segre, Presidente Onorario del Comitato.

Giorno della Memoria 2.0

Una commemorazione in chiave 2.0 e al passo coi tempi, trasposta anche nel videoclip emozionale che parte dall’orrore del fascismo del 1943 alla Milano deserta del 2020 a causa del lockdown, con le sue strade vuote ma disseminate dalle Pietre d’Inciampo riportanti i nomi delle vittime e degli eroi “affinchè nessuno possa ripercorrere le strade della deportazione”.

L’idea creativa

«Le nuove generazioni con i social consumano ogni giorno una grande quantità di informazioni, spesso in maniera frenetica e superficiale – racconta Paolo Pascolo, CEO de Imille – Con ‘Instagram History’ abbiamo creato una rottura in questo stream riportando alla luce delle storie che potessero far riflettere. La Storia del ‘900 – anche quella più nefasta – è fatta anche dalle singole storie personali di uomini e donne. ‘Instagram History’ dà voce alle vicende di queste persone che – senza nessuna colpa e per il loro coraggio – furono deportate e non tornarono più a casa».

Gli influencers adottano una Pietra d’Inciampo per 24 ore

Un’idea avviata nei mesi precedenti coinvolgendo le scuole di Milano, fino alla 76esima ricorrenza della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, con le stories di Instagram di personaggi famosi che hanno aderito all’iniziativa, tra cui l’ AC Milan, Mahmood, Noemi, Elisa, I Ministri, Selton, Costantino della Gherardesca, Stefano Boeri, Beppe Sala e Ghemon, adottando Una Pietra d’Inciampo per 24 ore.

«Finora riuscivamo a coinvolgere un target di persone oggettivamente di età non giovanissima, che condividevano un ricordo – spiega Marco Steiner, Presidente del Comitato Pietre d’Inciampo di Milano –  L’utilizzo di Instagram ci permette di condividere una memoria avvicinandoci ai giovani: fa inciampare i giovani in qualcosa che non conoscono: potrebbe svilupparsi un effetto domino».

A quasi ottant’anni dalla Shoah, il testimone passa alle giovani generazioni, utilizzando i modi a loro più familiari e congeniali, Instagram in primis.

Il futuro delle città è data driven

La contaminazione memoria-digital-futuro

«L’ambizione de Imille, dalla nascita, è quella di contaminare – evidenzia Simone Tornabene, Partner e Head of Strategy Imille – Che si tratti di ambiti differenti come la brand narrative e il design di interfacce digitali o di linguaggi e contenuti apparentemente distanti, i progetti in cui esprimiamo il meglio del nostro team sono proprio quelli che ci permettono la massima contaminazione.

Il progetto Instagram History è un esempio di questo ed è stato ideale per noi, perché non arrivando da “un cliente” ci ha permesso il massimo grado di libertà. Siamo partiti da alcune domande ardite, chiedendoci se fosse ancora rilevante il dramma delle deportazioni della seconda guerra mondiale per la Generazione Z, ma anche come preservare la memoria di qualcosa dotato di grande fisicità – come le pietre d’inciampo – al tempo del Covid-19, dove ciascuno di noi è confinato in casa. Il risultato è il progetto con cui potete interagire su Instagram».

Un progetto nato a luglio del 2020, come racconta Marta Nava Creative Lead che ha lavorato al copywriting e al concept: «Il Covid ha drammaticamente colpito la generazione legata alla testimonianza della deportazione e il lockdown ha chiuso le persone in casa, ma soprattutto gli studenti, bloccando tutti i progetti legati alla Memoria. Abbiamo pensato di mettere i mezzi e linguaggi dei social network, che sono il punto di forza de Imille, al servizio della nostra città, in un progetto di comunicazione sociale. La responsabilità che abbiamo sentito è stata condivisa subito dagli influencer, che come noi hanno partecipato a Instagram History in maniera personale e a titolo completamente gratuito. Il progetto già oggi viene utilizzato per la didattica nella città di Milano. Speriamo che si possa ampliare nelle altre città e regioni, per trattare quante più storie possibili e raggiungere tutti i nostri studenti anche nella post Covid Era».

Cosa sono le Pietre d’Inciampo?

Le Pietre d’inciampo sono un progetto dell’artista tedesco Gunter Demnig e rappresentano il più grande monumento diffuso d’Europa a ricordo delle vittime dei campi di sterminio nazisti, perseguitate per religione, razza, idee politiche, orientamenti sessuali. Oggi esistono oltre 80.000 Pietre d’Inciampo in 26 Paesi europei, poste davanti la porta della casa nella quale ebbe ultima residenza un deportato: ne ricorda il nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione, la data di morte.

“Ricordare e trasmettere la memoria e i valori che custodisce è un dovere di tutti, che impegna ancora di più chi ha un ruolo politico e amministrativo”, commentano la vice sindaco di Milano Anna Scavuzzo e il presidente del Consiglio comunale Lamberto Bertolé. Le Pietre d’Inciampo milanesi sono ormai diffuse su tutto il territorio urbano e coinvolgono tutte le componenti della cittadinanza, per ricordare chi ha subito atroci ingiustizie.

Consistono in un piccolo blocco quadrato di pietra (10×10 cm), ricoperto di ottone lucente, che permette al passante di notarle tra mille altri ciottoli, creando così un vero e proprio “inciampo”, trasferito poi dall’agenzia creativa in un “inciampo digitale”, una frattura nella comunicazione, imponendosi sulle coscienze, per abbattere l’indifferenza e costringere alla riflessione.

«Spesso quando si parla dei nuovi mezzi di comunicazione si lo si fa parlando in termini negativi e oscuri – afferma Giovanni Nava, Creative Lead Imille, impegnato nell’art direction e nel concept del progetto – I social media sono pericolosi, perché “quello che rimane sui social rimane per sempre”. Instagram History vuole cambiare queste dinamiche non solo portando la Memoria nel linguaggio della mia generazione e della prossima generazione, ma comprendendo le dinamiche dei nuovi media e vuole sfruttandole per permetterci di raggiungere il nostro scopo: quello di far rimanere il ricordo delle storie delle pietre d’inciampo vivo per sempre».

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L’età oscura della rete: quando i follower si trasformano in adepti

Qual è il ruolo politico dei social media? Non si arresta il dibattito sulla censura della rete, conseguente all’esclusione del presidente uscente Donald Trump, bannato da Twitter, Facebook ed Instagram.

Ancora una decisione inedita da parte di Twitter: dopo il giuramento, il profilo ufficiale riservato al presidente degli Stati Uniti d’America, @POTUS, è stato ereditato da Joe Biden, ma completamente azzerato nel numero di followers, al contrario di quanto era accaduto nel passaggio di consegne da Obama a Trump.

Più di 33 milioni di persone, lo scorso 20 gennaio 2021, hanno ricevuto da Twitter una notifica per comunicare la novità che, oltre a Potus, coinvolge tutti gli account istituzionali, compresi quello della first lady @FLOTUS e della White House. A nulla è valso il tentativo di mediazione con i vertici Twitter del direttore della comunicazione digitale di Biden, Rob Flaherty, che ha chiarito la vicenda attraverso un tweet.

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inauguration day - joe biden

La costruzione e deformazione del reale

“Un’ apocalisse culturale”, così la definisce nei suoi libri Andrea Fontana, sociologo della comunicazione, docente universitario e pioniere dello Storytelling aziendale in Italia: «Siamo entrati nell’età oscura delle rete e dei social media che diventano strumenti di costruzione e/o deformazione del reale, modificando comportamenti, consumi e orientando le visioni politiche. È come se da un uso ingenuo e solo performativo dei media sociali stessimo passando ad un utilizzo altamente valoriale e ideologico degli stessi».

Il media diventa così un distorsore o un costruttore del processo sociale, passando da una fase iniziale più romantica e libertaria, in cui i social (pur essendo aziende gestite da privati) si caratterizzavano come piattaforme su cui tutti erano liberi di esprimersi, ad una fase più politicizzata, con linee guida molto stringenti.

I regimi di verità: l’utente da follower ad adepto

Social network sempre più ideologici, quindi, fino a costruire dei “regimi di verità”, contrastando con un approccio ingenuo dell’utente.

«Cosa sono i regimi di verità?  Sono sistemi di credenze su cui un gruppo, un’istituzione oppure un’azienda decide, prende posizione e costruisce il suo “programma di mondo” – evidenzia Andrea Fontana –  E tutto ciò che non è riconosciuto nel “regime di verità” specifico, diventa ostile e quindi corre il rischio di essere escluso, bannato».

Andrea Fontana, sociologo della comunicazione, docente universitario e pioniere dello Storytelling aziendale in Italia

In questo momento si possono individuare almeno due atteggiamenti di fondo. Un primo, considera i social media come aziende private che fanno ciò che vogliono, per cui la decisione di stare in piattaforma è delegata ai singoli fruitori. Il secondo atteggiamento prevede per i social la definizione di una specifica ideologia (non intesa in senso negativo, ma come forte credenza) a cui l’utente deve adeguarsi, trasformandosi da follower in adepto, credente. Tutto ciò che non è coerente, viene espulso.

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«Credo che andremo sempre di più verso i social media come “edificatori di culti”. In questo senso, Trump viene estromesso – continua Fontana – non solo perché ha fatto un’azione deplorevole, ma anche perché rappresenta un “culto contrario” inammissibile rispetto a quello di una piattaforma che non è più neutrale. Va compreso che un regime di verità è un sistema di credenze e di contenuti che noi dovremmo sempre andare a verificare, per evitare un atteggiamento fideistico e ingenuo. Invece anni di polarizzazione ci hanno portato ad essere fanatici che parteggiano per una verità piuttosto che l’altra. Peccato che le verità sono egoiste, devono eliminare i propri avversari, per cui “o tu follower sei un credente, oppure ti elimino”, introducendo così un nuovo paradigma nella gestione dei social media».

I media diventano così forti protagonisti dei processi di costruzione della realtà socio-politica. «In quest’ottica Twitter si è reso conto di essere un costruttore della percezione collettiva e si è assunto la responsabilità di essere tale. Siamo noi come pubblico che dobbiamo comprendere che adesso i social media attraverso i contenuti che ci portano non si pongono più come editori, ma come agenti politici, esecutori di una certa egemonia culturale, alla quale posso aderire o meno. È un compito di autoformazione e di educazione in senso lato».

limiti dei social

La costruzione o deformazione della realtà

Il problema reale introdotto da Fontana è la consapevolezza, nel dibattito, che i social media costruiscano o deformino una realtà-verità: «Come pubblico spesso fruiamo la conoscenza in moto istintivo e invece dobbiamo diventare razionali e critici. Una foto su un social in questo momento può connotarsi come un gesto altamente filo governativo o contro-rivoluzionario. Perché dietro la pubblicazione di qualsiasi contenuto, testuale o visivo, da parte di qualsiasi gruppo o forza politica c’è sempre una narrativa, una strategia e un modus operandi. Dobbiamo riacquistare il nostro ruolo di soggetti consapevoli che quello che vediamo non è altro che un “prodotto” culturale ed informativo. Un tema vasto, problematico, delicato, che se non gestito bene può portare alle censura dell’informazione, da non affrontare certo con un approccio ingenuo. Se comprendiamo questo, però possiamo assumere una posizione consapevole, per non diventare facili prede dei “costruttori di verità”, oggi trasversali a qualsiasi componente politica, che sia di un partito o di un altro.  Così, Twitter ha scelto la sua verità. Non entro nel merito se sia giusto o sbagliato, ma da utente devo cogliere questo cambio di paradigma e chiedermi: che scopo hanno i contenuti che sto fruendo in questo medium? Basta questa domanda per accorgersi che nell’online ci sono verità in competizione tra loro che orientano le nostre percezioni. E devi scegliere. La domanda che mi pongo da sociologo è: come reagiranno i 74 milioni di americani che hanno votato pro-Trump? Rimarranno indifferenti o la scelta di Twitter avrà conseguenze?».

La gestione del consenso nel conflitto geopolitico

Un’analisi che si apre ad uno scenario molto più vasto, allargandosi al tema del conflitto geopolitico in corso. «Dobbiamo inoltre essere consapevoli, da fruitori maturi di social network, che i media sociali oggi hanno un ruolo nella gestione del consenso geo-politico mondiale. Twitter assumendosi il compito di dare voce o di toglierla – sottolinea Fontana – si è preso il mandato di diventare non solo costruttore di realtà, ma anche di meaning gate-keeper”, perché attraverso la pubblicazione di contenuti, narrative ed immagini del mondo determina il senso e il significato dell’esistere di intere comunità. Questa però è anche la dottrina dei cosiddetti “conflitti asimmetrici” o guerre di V generazione, che si svolge non sul piano fisico e cinetico, ma culturale. E dove vince chi sa imporre il proprio modello culturale di mondo, o regime di verità. Così dalla Russia alla Cina, passando per Usa ed Europa dobbiamo tenere presente che siamo inseriti in queste dinamiche conflittuali dove i social media possono diventare uno strumento di supremazia, oltre che di attacco e difesa. Come sostengono diversi commentatori, uno tra tutti il generale Mini, “questi conflitti sono ibridi, ambigui e non di immediata comprensione“».

La costruzione della percezione e le guerre asimmetriche

Come reagire, quindi, ad una simile deformazione della verità? Attivando un pensiero critico, ricordando che dietro c’è una volontà geopolitica. Centrale il ruolo dell’utente/fruitore, a cui è demandato il compito di interpretare una corrente politica.

«La costruzione/deformazione della comunicazione oggi non solo riguarda le guerre asimmetriche ma rientra anche nelle cosiddette dottrine del “perception management” che richiedono sempre una necessaria decodifica. I social media maneggiano le nostre percezioni. Non solo sono editor, ma agenti politici, costruttori o deformatori della realtà, ma anche della percezione umana. È tutti noi come utenti mai come adesso dobbiamo essere vigili e consapevoli dei prodotti informativi che cerchiamo, consumiamo, scegliamo».

marketing inclusivo

Marketing Inclusivo: come abbracciare le diversità attraverso l’advertising

  • Il 70% degli intervistati da Microsoft afferma di fidarsi maggiormente dei Brand che rappresentano la diversità nei loro annunci
  • Il Marketing Inclusivo considera tutti gli aspetti dell’identità di una persona e tiene conto anche dell’intersezionalità, riconoscendo le sfumature della personalità e delle preferenze dei consumatori
  • La pubblicità inclusiva può aumentare la fiducia e la fedeltà da parte delle persone, migliorando la percezione generale dell’azienda nella società

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita costante del peso dei termini “diversità” e “inclusività” nella nostra società.

Le battaglie portate avanti dalla comunità LGBT+, la maggiore informazione riguardo le diversità di genere, la nascita del movimento BLM, sono solo alcune delle conseguenze di questa evoluzione sociale.

Vivere in una società che ha – finalmente – dato la giusta importanza a questi temi ha comportato degli obblighi da parte delle aziende, ed è da qui infatti che nasce la cultura della D&I – Diversity & Inclusion.

Diversity & Inclusion si riferisce alla serie di iniziative – gestite dal team di Risorse Umane (HR) o incluso dal team dedicato alla D&I all’interno di un’azienda, volte a promuovere un ambiente di lavoro inclusivo e sviluppare una cultura inclusiva tra i dipendenti di una impresa.

LEGGI ANCHE: Da dove cominciare per portare le diversità (e il talento) nel mondo del lavoro

Inevitabilmente, questa cultura inclusiva che si è sviluppata all’interno delle organizzazioni si riflette nelle strategie di Marketing dei Brand.

Che cos’è il Marketing Inclusivo?

Si parla infatti sempre più frequentemente di Inclusive Marketing, che secondo la definizione fornita da HubSpot si riferisce allo sviluppo di “campagne che abbracciano la diversità, includendo persone con background diversi o storie a cui possono relazionarsi. Mentre alcune campagne inclusive si sforzano di rompere gli stereotipi, altre mirano semplicemente a rappresentare le persone nel mondo reale”

Inclusive Marketing


Il Marketing Inclusivo considera tutti gli aspetti dell’identità di una persona:
il colore della pelle, l’identità di genere, l’età, l’orientamento sessuale, il tipo di corporatura, l’etnia, la cultura, la lingua, la religione, lo stato socio-economico e molto altro.

Tiene conto anche dell’intersezionalità, ovvero riconoscere che una singola persona può rappresentare molte identità o dimensioni, riconoscendo le sfumature inerenti alla sua personalità e alle sue preferenze.

Le due discipline di Diversity & Inclusion e di Marketing Inclusivo viaggiano di pari passo: insieme sono in grado di far crescere le opportunità di business e migliorare la vita delle persone all’interno dell’azienda e nel mondo esterno.

Perché il Marketing Inclusivo è così importante?

In uno studio sull’intenzione di acquisto della GenZ – condotto e pubblicato da Microsoftil 70% degli intervistati ha affermato di fidarsi maggiormente dei Brand che rappresentano la diversità nei loro annunci, mentre il 49% ha ammesso di aver smesso di acquistare prodotti di aziende che non rispettano i loro valori.

Marketing Inclusivo

Da questo studio possiamo capire quanto la pubblicità inclusiva possa portare risultati straordinari per un Brand ma soprattutto possa aumentare la fiducia e la fedeltà da parte del consumatore, migliorando la percezione generale dell’azienda nella società.

Sempre Microsoft ha pubblicato un playbook dal titolo “Marketing With Purpose” che raccoglie una serie di dati, consigli e best practice in relazione alle strategie di Inclusive Marketing.

Commentiamo di seguito le tre lezioni più importante che possiamo imparare da questo studio.

#1 Mostrare le diversità senza paura

Una comunicazione inclusiva rappresenta la diversità in modo reale ed autentico, considerando qualsiasi dimensione umana, senza limitarsi solo all’età, al sesso o all’orientamento sessuale o all’etnia.

La pubblicità inclusiva si basa sull’empatia per capire fino in fondo il target di riferimento e rappresentarlo in modo accurato. La rappresentazione autentica della realtà, di fatto, aumenta la fiducia e il supporto del Brand da parte del pubblico.

Le aziende devono fare il possibile per far sentire le persone comprese attraverso l’inclusione: questo significa anche utilizzare immagini autentiche e non stereotipate. La scelta delle immagini è una parte fondamentale per offrire agli utenti un’esperienza significativa e inclusiva.

Un esempio di brand altamente inclusivo in questo senso è Zalando, che per esempio collabora su Instagram con la modella diciottenne Ellie Goldstein, affetta da Sindrome di Down, scelta già da Gucci quest’estate per una campagna di beauty.

 

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#2 Allineare il messaggio pubblicitario ai nove sentimenti di inclusione

In generale, la pubblicità inclusiva evoca due sentimenti principali – gioia e fiducia – ma in modo più ampio si parla di nove sentimenti di inclusione che sono in grado a portare l’utente a provare gioia e fiducia.

Marketing Inclusivo

Se una pubblicità riesce a suscitare in modo genuino e autentico anche solo uno di questi sentimenti, riesce di conseguenza a trasmettere un senso di inclusione che crea fiducia, gioia e lealtà nei confronti del Brand.

Questi nove sentimenti sono:

  • Celebrazione delle persone stesse, dei loro successi o più in generale delle occasioni di festa;
  • Entusiasmo per la vita, per il pianeta, per il quotidiano, etc;
  • Speranza per vincere sfide personali o affrontare problemi sociali;
  • Relax per allentare la tensione o l’ansia che le persone possono provare nel loro quotidiano;
  • Sollievo da preoccupazioni, ansie, problemi personali o sociali;
  • Sicurezza attraverso la creazione di esperienze personali o collettive;
  • Giustizia sforzandosi di agire sempre nel modo giusto;
  • Accettazione della realtà, delle differenze, delle diversità;
  • Chiarezza e trasparenza, senza diffondere ambiguità o confusione.

Un altro punto di contatto emotivo con i consumatori sono i segnali linguistici e le metafore, che evocano sentimenti positivi. Se utilizzati nel giusto contesto e in modo autentico nel testo pubblicitario, che si tratti dei canali social o del sito web, questi possono aiutare il brand a trasmettere un senso di inclusione.

Marketing Inclusivo

#3 Garantire l’accessibilità degli annunci, delle piattaforme e dei contenuti

Infine, è importante controllare che gli annunci, le piattaforme e i contenuti promozionati siano accessibile a tutti.

Non importa quanto sia perfetto un prodotto o quanto – sulla carta – sia inclusivo un messaggio pubblicitario, una persona su quattro in Europa o negli Stati Uniti potrebbe non ricevere il tuo messaggio.

Cosa vuol dire? Secondo le Nazioni Unite, questo è il rapporto tra le persone con disabilità e la popolazione generale: più di un miliardo di persone nel mondo convive con una disabilità.

L’inclusione digitale è fondamentale perché fornisce a tutti l’accesso a servizi, prodotti, dati, informazioni e istruzione, indipendentemente dal tipo di disabilità da cui sono affetti.

I marketers devono prestare particolare attenzione a questo tema per riconoscere questi ostacoli, incontrare una soluzione e riuscire a includere nella comunicazione anche quella persona su quattro che se no, rimarrebbe esclusa.

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trend visual 2021

I trend visuali del 2021 che devi assolutamente conoscere

Il nostro mondo è cambiato, così come la comunicazione visiva. Nel 2021, i brand e i creatori di contenuti dovranno cercare di indagare sui nuovi bisogni, priorità e punti deboli dei consumatori, ridefinire il concetto di autenticità nella fotografia e trattare il loro pubblico con contenuti video mordi e fuggi e design più dinamici.

Depositphotos ha collaborato con agenzie creative ed esperti del settore in tutto il mondo per interpretare le idee e la visione su dove si sta dirigendo la comunicazione visiva nel prossimo futuro.

Ecco, quindi, quali saranno i trend visuali del 2021 e come possiamo lasciarci ispirare.

1. Simboli di ottimismo

La tendenza è che il pubblico sia più coinvolto e rimanga fedele ai marchi che trasmettono messaggi positivi e ottimisti. Gli elementi essenziali nel 2021 per i creativi sono palette dai colori vivaci che riflettano gioia e speranza per un futuro luminoso, oltre a font arrotondati dall’aspetto amichevole e invitante.

Quest’anno, i marchi saranno anche chiamati a far sentire i consumatori a proprio agio nell’usare le immagini come un vero e proprio linguaggio. Concetti come lo slow living possono essere utilizzati come simboli di ottimismo ed essere apprezzati dal pubblico di tutto il mondo.

Parole chiave: ottimistico, slow living, divertimento

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2. Il benessere, innanzitutto

Oggi, le esigenze dei consumatori ruotano intorno alla salute e al benessere. I marchi e i creatori di contenuti utilizzano immagini che illustrano la cura personale, lo sport e il tempo libero per evidenziare un messaggio pertinente. Non dobbiamo dimenticare i bisogni umani di base, come il dormire bene, l’adeguata assunzione di cibo e la pratica regolare di attività fisica per migliorare la qualità della vita.

Tuttavia, il tema del benessere non è limitato ai messaggi trasmessi dai creativi. La componente visiva della tendenza si basa su soluzioni di colori calmanti ed equilibrati nei design, oltre a foto, illustrazioni e video motivazionali che aiutano a dimostrare che i marchi sono interessati al benessere fisico e digitale del loro pubblico.

Parole chiave: routine, motivazionale, stile di vita

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3. Ricerca di un conforto nella natura

Quando ci sentiamo emotivamente carichi, ci rivolgiamo alla natura, che ci distrae e fa spostare la nostra attenzione su ciò che conta davvero. Nel design, vediamo che questo si riflette sulla tendenza di utilizzare sfumature di base e motivi botanici che aiutano a ridurre i livelli di stress, migliorare l’umore e aumentare la produttività.

Palette di colori ispirate alla natura, foto autentiche ed elementi organici nella grafica animata possono essere una scommessa sicura e stimolante per i design dei siti web nel 2021. Anche le esperienze utente più d’impatto e coinvolgenti possono essere raggiunte con l’inclusione di una traccia audio rilassante. Ad esempio, i suoni accattivanti delle foreste di tutto il mondo riescono a completare in modo coerente un progetto ispirato alla natura.

Parole chiave: rilassante, botanico, accattivante

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4. Empatia virtuale

L’empatia virtuale fatta con le esperienze online può essere il modo più rapido per trasmettere un messaggio importante, cambiare le abitudini dei consumatori e accelerare il cambiamento. È necessario che le storie raccontate dai brand utilizzando VR, AR e MR siano più sincere e autentiche, non solo visivamente accattivanti.

Le aziende e i privati ​​sono spinti a progettare scenari interattivi in ​​cui l’utente gioca un ruolo centrale e gode di un’esperienza multisensoriale come nella vita reale. Solo una totale immersione nell’ambiente dopo un disastro ecologico, conflitti regionali o la vita quotidiana in diversi angoli del mondo può mettere il pubblico in relazione e aiutarlo a diventare più empatico con le questioni locali e con le sfide globali che stiamo affrontando.

Parole chiave: XR, immersivo, narrazione

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5. Autenticità 2.0

Il pubblico è alla costante ricerca di contenuti più autentici. In passato, si cercavano aiuti visivi che traducessero bene le emozioni e le immagini con le quali poter identificarsi, che rappresentassero perfettamente stili di vita frenetici. Ma ora le foto e i video che illustrano questa cultura dell’eccitazione vengono sostituiti da immagini di slow living, lavoro e vacanze a casa.

I creatori di contenuti sono incoraggiati a ripensare a cosa sia l’autenticità, poiché i clienti pensano meno ai beni materiali e più ai valori spirituali. Allo stesso tempo, i marchi sono alla ricerca di modi per comunicare con storie più sincere e coinvolgenti, in cui la scelta di elementi visivi pertinenti è sempre essenziale.

Parole chiave: autenticità, famiglia, espressivo

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6. Estetica cinematografica

Quest’anno, gli artisti che desiderano creare opere sperimentali si ispirano all’estetica cinematografica. Creano foto e video con composizioni che lasciano più spazio intorno ai soggetti per catturare l’ambiente e l’atmosfera, che mostrano grande attenzione ai dettagli, palette di colori tenui e che richiedono quasi sempre una post-produzione minima.

I professionisti sono alla continua ricerca e sperimentazione di nuove tecniche di illuminazione per ottenere l’inquadratura perfetta, inventando modi innovativi per riprendere immagini ispirate a film e programmi TV. Questa tendenza fotografica aumenta il fascino delle immagini, che sembrano essere uscite direttamente dallo schermo di un film.

Parole chiave: ambiente, dolce, dettagliato

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7. Video mordi e fuggi

Con un pubblico in costante crescita di utenti di TikTok e l’introduzione di Instagram Reels, il formato video ‘mordi e fuggi’ è stato semplificato ed è ora perfetto per consumare i contenuti in circolazione. I creatori di contenuti di tutto il mondo sono in grado di mantenere gli utenti coinvolti con una narrativa più autentica e coinvolgente che dura pochi secondi.

I video mordi e fuggi vengono creati con uno smartphone o una fotocamera digitale per risparmiare tempo. Le app di editing video o gli strumenti di Instagram e TikTok sono molto utili per ridurre ulteriormente il tempo tra la creazione e la condivisione. Il nuovo formato video funziona bene anche per i marchi che devono rispondere rapidamente agli eventi, condividere aggiornamenti con contenuti situazionali e raggiungere nuovi segmenti di pubblico.

Parole chiave: verticale, coinvolgente, situazionale

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8. Sincronizzazione audiovisiva

Nel 2021, audio e immagini andranno di pari passo per aiutare i marchi a connettersi meglio con il loro pubblico e lasciare un’impressione buona e duratura. Brevi sequenze di musica nei video, effetti sonori nelle app e tracce integrate nei siti web fanno sì che gli utenti abbiano un coinvolgimento visivo e uditivo per ottenere un’esperienza migliorata con un prodotto specifico, un progetto o anche il marchio stesso.

I clienti dei microstock sono entusiasti di aggiungere effetti sonori e musica ai progetti a tema per una maggiore risposta emotiva. L’audio diventa sempre più un elemento essenziale per le aziende che vogliono avere una parte attiva nella competizione e creare esperienze ambientali indimenticabili, sia online che offline.

Parole chiave: accattivante, astratto, dinamico

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9. Ludificazione – design

Il lockdown in tutto il mondo ha accelerato la digitalizzazione globale, lasciando le persone senza scelta, se non quella di abbracciare la nuova realtà. Man mano che le persone si abituano alla nuova routine online, i designer cercano modi per mantenere gli utenti più coinvolti.

L’integrazione di elementi di gioco su siti web, app e altri progetti è il nuovo modo di concentrarsi sull’utente per i marchi. Sfide tematiche e soggetti animati, badge dei risultati e classifiche stilizzate o esperienze più complesse create con l’aiuto di grafica animata possono aumentare l’immersione dell’utente. L’esperienza d’uso diventa più calma e divertente, anche quando parliamo di attività di routine, come prendersi cura delle finanze, lavorare o fare esercizio fisico.

Parole chiave: interattivo, movimento, animato

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i social network e la censura

Se i social media diventano editori: il pericolo della censura. Intervista ad Alberto Mingardi

Cosa sta accadendo nel mondo dei social media? La recente decisione di Facebook e Twitter di bannare il presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, come fosse un utente qualsiasi, è una scelta che sembra andare ben oltre gli “standard della community” e crea un precedente preoccupante. Ne abbiamo parlato con Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, professore associato di Storia delle Dottrine Politiche all’Università IULM di Milano e autore di “Contro la tribù – Hayek la giustizia sociale e i sentieri di montagna”.

I nuovi media sostituiranno i social tradizionali?

Può un social network censurare le idee? Il caso Trump apre interrogativi sul potere della tecnocrazia ed accendo il dibattito. Quale saranno gli effetti futuri? Assisteremo ad una fuga degli utenti verso i media emergenti?

«La censura di Trump crea un doppio cortocircuito. Equipara di fatto i social network agli editori tradizionali, scegliendo di non dare voce a un utente, esattamente come farebbe l’editore di un quotidiano – sottolinea Alberto Mingardi – L’interrogativo attuale, a fronte  delle problematiche in cui sono coinvolti, tra cui i diritti di copyright, a difendersi sostenendo di non essere editori, d’ora in avanti? Dall’altra, mette in crisi coloro che hanno sempre denunciato i social perché sottratti alla regolamentazione pubblica: Twitter e Facebook si sono, letteralmente, autoregolati. L’espulsione di Trump è un atto eclatante ed apre un dibattito che si svilupperà a lungo».

censura sui social media

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Le Big Tech, nate come espressione del libero mercato, sembrano ormai legate indissolubilmente ai decisori politici, tanto da fornire output non desiderabili, tali da far fallire le proprie stesse premesse. Il risultato è un conglomerato di potere, più vicino alle logiche del crony capitalism che del free market.

Parler in crescita

Alla censura in atto su Twitter e Facebook si è unita l’offensiva contro Parler da parte di Google e Apple (con la rimozione dell’App dai rispettivi store online) e di Amazon dai propri server. La fuga degli investitori, testimoniata dai crolli in borsa delle piattaforme, si tradurrà anche in una fuga degli utenti verso piattaforme alternative? In una logica di libero mercato l’ipotesi diventa realistica, nel momento in cui altri player saranno in grado di offrire servizi altrettanto interessanti. Anche se lo scoglio resterà sempre il solito: la massa critica di persone che andranno ad animare una nuova piattaforma e quanto il valore aggiunto di quest’ultima verrà percepito dagli utenti, sempre più polarizzati in “tribù” distinte e impermeabili tra loro.

«Twitter e Facebook ci ricordano tutti i giorni come sia cambiato Internet – continua Mingardi – Speravamo fosse uno spazio aperto, nel quale potesse svilupparsi un dibattito più razionale e sereno, invece i social replicano, in certi casi inasprendola, la tribalizzazione anche politica che si riscontra nelle nostre società. Il cerchio delle cose che leggiamo si restringe. Gli algoritmi dei social media aiutano ciascuno di noi a costruire la propria echo-chamber, impermeabile a qualsiasi contaminazione di altre opinioni».

censura su Trump

Alberto Mingardi

Professor Mingardi, l’assenza di dibattito radicalizza ogni utente sulle proprie posizioni? La comfort zone dei propri amici diventa quella del proprio algoritmo di gradimento.


«La frequentazione assidua di queste piattaforme rinforza le convinzioni di ogni utente, un po’ come un tempo si faceva comprando in edicola l’Unità e il Giornale. Solo che qualsiasi quotidiano, anche il più schierato, è plurale negli argomenti trattati: nei media tradizionali c’era sempre l’articolo di cricket in un magazine stampato per gli appassionati di calcio.

Nel nuovo mondo polarizzato, alcune tribù hanno avuto più successo di altre, come nel caso di quella dei sostenitori di Donald Trump nel 2016. Quattro anni fa nessuno o quasi si sarebbe aspettata l’elezione del candidato repubblicano, che aveva costruito un grande seguito su Twitter (memorabile la sua battuta al raggiungimento del milione di follower: “È come avere il New York Times, senza pagare per il suo bilancio in dissesto”). La sua lezione non è stata sprecata e nel frattempo anche i democratici si sono messi al lavoro per recuperare terreno. La comunicazione politica è diventata così sempre più aggressiva, intollerante, tribale».

censura dei social media su Trump

Riconoscere una fake news

Le fake news bastano a censurare il post di un account privato. Chi decide e come si riconosce una notizia fake?
«Quando ti metti a definire una fake news non ne esci più. Cos’è realmente? Alcune sono evidenti, altre meno. Dove comincia la “balla” e dove inizia l’opinione? È un lavoro che possono fare i fact checkers, ma anche costoro debbono crearsi una reputazione “sul mercato”: guai se diventano censori ufficiali.
Le misure di contrasto alle fake news riprendono anche un po’ il target dei social, riflettono gli utenti: FB, che è più popolare e trasversale ha lasciato più libertà di circolazione delle idee rispetto a Twitter, che ha filtri più coerenti con la sua base utenza».

Serve una normativa? Molti decisori politici invocano un provvedimento che ponga limiti allo strapotere delle piattaforme social.
«Regolare decisioni arbitrarie di soggetti privati, come le Big Tech, con le decisioni, altrettanto arbitrarie, della politica e della legge? Forse non è la soluzione migliore. Bisognerebbe scommettere sulla diversificazione e sul mercato: se le persone non si troveranno bene in una piattaforma, migreranno in un’altra piattaforma, quando qualcuno proporrà loro offerte alternative e altrettanto credibili. Si pensi alla crescita di Linkedin, che è una specie di porto sicuro dalle polemiche più urlate. Vedremo come evolverà Parler, ora che Twitter ha cacciato Trump».

censura dei social media

I social media diventano editori proprio nel momento in cui la fiducia nei media tradizionali è al minimo storico.


«L’assenza di fiducia nei media tradizionali non per forza è un fatto positivo: le grandi testate hanno anche una funzione di scrematura dei punti di vista, l’opinione di mio cugino vale meno di quella del fondo del Wall Street Journal. Si presume che chi scrive per queste testate abbia una capacità di analisi maggiore. I grandi media hanno la funzione di dirti che ci sono cose che meritano la prima pagina e altre che stanno bene a pagina 25, una funzione preziosa, ben diversa dalla home di un social, che invece è basata su una scala di importanza personalizzata per i gusti di ciascuno di noi.

La crisi dell’editoria, e dei media tradizionali in generale, ha portato questi editori a motivare la propria tifoseria, tribalizzando a loro volta l’informazione: solo un altro modo per tamponare l’emorragia di lettori e ascoltatori, una strategia che tuttavia non sembra funzionare molto. Quello delle tifoserie è un gioco che, ad esempio, è stato chiaro per tutto il 2020 con l’isterismo pandemico, alimentato dai media tradizionali in una rincorsa perversa agli umori dei social».

censura

Attrarre l’audience

Il problema dell’autorevolezza, non riguarda solo i media ma anche la comunicazione politica. La pazienza delle persone è poca, l’intrattenimento è tutto: tempo una frazione di secondo si deve decidere se scrollare la home o soffermarsi su un tema.

«La comunicazione politica dovrebbe portare a conoscere qualcuno che mi somiglia ma che, per preparazione su certi temi e capacità, è meglio di me. Questo era il vecchio approccio: attualmente, nella sfiducia generalizzata, la gente si accontenta di intrattenimento: se lo show è divertente mi accontento, anche se i protagonisti non sono migliori di me e forse sono perfino peggio.

Il problema è che finché concedo il 5% del Pil all’intrattenimento (cinema, teatro, Netflix…) la situazione rientra nella normalità, ma se noi scegliamo i politici come in base alle loro doti di entertainment, stiamo scegliendo persone, sulla base di questo criterio, per affidargli metà del PIL; questa eventualità, che si sta concretizzando nelle nostre società attuali, diventa un problema.

Alberto Mingardi, Contro la tribù

Alberto Mingardi, Contro la tribù: Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna, Alberto Mingardi, Marsilio, 2020

La narrazione mainstream è ormai un “framing” preciso che esclude ogni altra “versione dei fatti”, censurandola dalla storia ed escludendo ogni revisionismo? 

C’è sempre una realtà, tra le tante possibili, che diventa mainstream a discapito di altre. Eppure non sempre la versione che sopravvive è anche la più aderente ai fatti. Prendi l’esempio del Titanic: uno sceneggiatore del film di James Cameron trovò che un banchiere, a bordo, era rimasto sulla nave che colava a picco citando il posto al suo maggiordomo. Ne discussero con il regista e gli altri autori ma scelsero di non inserirlo nel film. Perché? Forse perché erano convinti che le persone non si sarebbero appassionati alla vicenda, forse perché gli sembrava troppo strano che un riccone potesse essere anche una persona animato da tanto spirito di sacrificio. In un caso o nell’altro, vediamo un approccio ideologico magari non “scelto” apertamente ma senz’altro pervasivo e penetrato a fondo nelle nostre società».

A proposito di Hollywood: in prima fila, nelle proteste contro Trump, artisti, intellettuali, influencers e celebrità. Sembra cambiato poco da fine anni ’60, quando contro Nixon iniziò una vera e propria rivolta, capeggiata dalle star.

«Gli artisti, gli intellettuali da sempre sono stati “contro” il potere costituito, offrendo spesso una visione alternativa, ma la cose dai tempi di Nixon sono cambiate moltissimo: le proteste di ieri hanno gettato le fondamenta culturale dell’establishment di oggi. Molto spesso la ribellione è di maniera e in realtà perfettamente coerente con presupposti ideologici comunemente accettati, soprattutto nel mondo della comunicazione e dello showbiz. C’è un conformismo dell’anticonformismo».

Trump

Abbiamo citato Parler che, come altre piattaforme, si sta affacciando nel mercato dei social media. Se la soluzione non può arrivare dallo Stato, dovrà arrivare giocoforza dal mercato: nuove applicazioni, oppure…

«La mia proposta è far pagare la gente per scrivere. Un piccolo pedaggio. Sembra una proposta scandalosa e irricevibile ma se ci pensi non lo è: un tempo il costo per comunicare le proprie idee, o mandare a quel Paese qualcuno era alto. Se avevi un reclamo da fare a un’azienda, ad esempio, dovevi prendere carte e penna e perdere tempo e soldi per la spedizione della lettera. Oggi il costo di una comunicazione di questo tipo è irrisorio, il tempo di due minuti per scrivere un tweet; l’utente consumatore si ritiene invincibile e spesso comunica alle aziende con una certa aggressività, pretendendo risposte esaustive e in tempo reale. Per non dire dei commenti agli articoli di giornale: una sfilza di vaffa, neanche troppo infiorettati. Ma questa veemenza perché non viene utilizzata nei confronti degli operatori pubblici? Perché sui social media e online si trasferiscono le nostre aspettative della realtà: dalle aziende private e dai brand ci aspettiamo efficienza, mentre nei confronti dello Stato non abbiamo aspettative, perché siamo già abituati alla sua inefficienza. Insomma, e se tornassimo a fare pagare alla gente il francobollo?».

Essere vegani, dai social alla tavola: la ricerca di TheFork ispirata al Veganuary

A pochi giorni dall’inizio della challenge Veganuary, che ogni gennaio incoraggia le persone a seguire uno stile di vita vegano per un mese, TheFork, l’app leader per la prenotazione dei ristoranti online a livello globale, ha coinvolto la sua community in un sondaggio dedicato a questa scelta alimentare. Il 19% dei rispondenti ha dichiarato di conoscere l’iniziativa e di questi l’8,5% ha aderito dal 1° gennaio. Il 27% degli utenti che invece ne hanno appreso attraverso il sondaggio, hanno dichiarato che avrebbero partecipato a seguito del questionario.

Veganuary e dieta vegan: il ruolo dei social media

L’importanza che l’alimentazione vegan sta assumendo nella dieta di molte persone d è testimoniata non solo dalle adesioni record del Veganuary 2021 (500.000 nella prima settimana), ma anche dall’ampia conversazione che esiste circa l’argomento sui Social Media. Basti pensare che su Instagram le menzioni per l’hashtag #vegan superano i 105 milioni e quelle per #veganuary sono più di 1 milione. Diversi personaggi noti sono diventati ambassador della dieta vegana, da volti più internazionali come Joaquin Phoenix, Ariana Grande e Miley Cyrus, fino a star italiane come ad esempio Simona Ventura, Paola Maugeri o ancora Anna Oxa. I dati raccolti da TheFork lo confermano: il 30% sostiene di aver approfondito la propria sul veganesimo grazie ai Social Media.

I motivi principali per la scelta di una dieta vegana

Se i social media rappresentano una fonte di conoscenza del veganesimo, le motivazioni principali di chi sceglie uno stile alimentare vegan sono: la salvaguardia degli animali, la riduzione del proprio impatto ambientale sul pianeta e infine motivi di salute. Il 34% dei rispondenti ritiene infatti questo tipo di alimentazione più sana.

Le tipologie di ristoranti più apprezzati

Se invece si parla di ristoranti ad attrarre maggiormente gli utenti sono quelli che offrono una cucina vegetariana (71%), vegana (17%) o la meno nota crudista (6%), ossia una dieta che prevede il consumo di soli alimenti crudi.

Vegano ma non solo, qualche indirizzo di TheFork

La Luce, Poianella di Bressanvido, (VI) – Orto di famiglia, agricoltori locali e cucina naturale. La Luce è un ristorante dai sapori autentici in cui scoprire il vero gusto delle ricette vegetariane e vegane. Questo ristorante offre il servizio di consegna a domicilio. Puoi ordinare chiamando direttamente da TheFork.

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Selezione Naturale, Torino – “Fruit, music and vegetable”. Queste tre parole ben descrivono l’atmosfera di Selezione Naturale, un ristorante completamente dedicato alla materia prima, che viene rigorosamente da produttori locali, e alla cucina vegetariana e vegana. Questo ristorante è aperto a pranzo e offre servizio di consegna a domicilio e asporto.

L’OV – Osteria Vegetariana, Firenze – Prendete i migliori piatti della tradizione toscana e uniteli al gusto di una cucina vegetale. Otterrete così la prima osteria vegetariana di Firenze: ambiente moderno e di design e un menù tutto da provare. Questo ristorante è aperto a pranzo.

Solo Crudo, Roma – “Raw cooking and gentle cooking”, cucina cruda e gentile. Cosa significa? Che i piatti di questo ristorante sono crudi oppure preparati con cotture particolari. Il risultato? Un menù gustoso, sano e davvero originale. Questo ristorante è aperto a pranzo.

Lo Famo Sano, Pomigliano d’Arco (NA) – Un nome ironico ma sicuramente evocativo. Da Lo Famo Sano il menù è interamente vegetariano e vegano, composto da piatti preparati con la materia prima locale e soprattutto con creatività. Questo ristorante è aperto a pranzo.

influencer marketing

Come TikTok e le Stories di Instagram stanno facendo crescere il valore degli Influencer

  • Nell’ultimo anno il mercato dell’Influencer Marketing è cambiato profondamente e le sole attività di sponsorizzazione su TikTok sono cresciute del 130%
  • Secondo una ricerca condotta da Klear, la quota di mercato dell’industria degli influencer della Generazione Z è cresciuta del 9%
  • Con il passaggio dai post ai contenuti brevi (come le stories) i creator di Instagram e TikTok hanno visto incrementare il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente

 

Secondo la ricerca State of Influencer Marketing, condotta da Klear, il 2020 è stato l’anno del cambiamento.

La pandemia provocata dal Covid-19 ha colpito le vite di tutti noi modificando molti aspetti della nostra quotidianità.

La stessa fruizione della rete e dei contenuti social è cambiata e questo cambiamento ha messo in moto un processo di adattamento e innovazione anche per creators e marketers.

Nonostante il periodo poco favorevole, gli investimenti pubblicitari in influencer marketing sono stati ingenti. Gli influencer hanno incrementato il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente, confermando il potenziale di questo settore. La sola piattaforma TikTok ha visto un’attività di sponsorizzazione del 130% in più rispetto all’anno precedente. Insomma, il settore continua ad affermarsi e ad essere importante nella strategia di marketing mix.

Tiktok

Quali settori e categorie di influencer sono cresciuti nell’ultimo anno su Instagram e TikTok

Secondo l’ONIM, Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing, il mercato degli influencer è maturo.

Nel 2020 i settori più interessati alle collaborazioni sponsorizzate su Instagram e TikTok sono stati (in ordine):

  1. Moda
  2. Fitness
  3. Fotografia
  4. Lifestyle
  5. Beauty
  6. Viaggi
  7. Famiglia
  8. Food
  9. Fai da te
  10. Design.

I settori che hanno più risentito della crisi sono stati Food e Viaggi. Indubbiamente la loro penalizzazione è stata dettata dai vari lockdown.

Nella stessa ricerca di Klear condotta su un campione di 5mila influencer, si legge che l’utilizzo dell’hashtag #ad nei post di Instagram è diminuito del 19% su base annua mentre l’utilizzo delle Stories sponsorizzate è cresciuto del 32%. Questo significa che il consumatore è più interessato a contenuti instant rispetto a post statici.

Le stories di Instagram sono contenuti più facili da monitorare per la conversione.

Sebbene Instagram sia sempre stata considerata una piattaforma utile al raggiungimento degli obiettivi di brand awareness e consideration, l’utilizzo delle stories ha fatto emergere la possibilità di monitorare il conversion rate di una campagna di Influencer Marketing.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Basti pensare al fatto che all’interno delle stories è possibile aggiungere un link per monitorare l’atterraggio alla pagina web dedicata. Inoltre si possono inserire adesivi, domande, sondaggi ed altri elementi utili all’engagement. In una campagna di Influencer Marketing il creator può registrare un video in cui prova un prodotto e/o un servizio e ingaggiare il pubblico con un contenuto di impatto inserito all’interno della sua routine.

Questo genere di storytelling non si può costruire con la pubblicazione di uno o più post, non si possono inserire link e al di là della pubblicazione del video, non essendo il post un contenuto istantaneo, perde il suo spazio nella veloce narrazione quotidiana dell’influencer.

TikTok, invece, è il social che è stato più scaricato nell’ultimo anno. Tra i trend emersi nella ricerca di Klear vi è lo spazio che la Generazione Z si sta ritagliando nel mercato dell’Influencer Marketing. Sebbene la crescita dei contenuti sponsorizzati #ad non ci sia stata nella maggior parte dei mercati, quello degli influencer tra i 18 e i 24 anni è salito del 9% rappresentando oggi il 31% dell’intero comparto.

I marketers e i brand non possono fare a meno di considerare che i giovani e i giovanissimi aumenteranno sempre più il loro potere di acquisto, quindi investire in questo campo sarà inevitabile.

generazione Z - Tiktok

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La Generazione Z è formata dai nativi digitali che sono a proprio agio con le espressioni neutrali di genere, sono più istruiti rispetto ai membri delle altre generazioni e hanno valori sociali e politici progressisti. Questi dati possono essere utilizzati dai brand per la scelta dei social da presidiare e degli argomenti da trattare.

Nonostante i problemi e i limiti che la piattaforma TikTok ha avuto negli USA, sono molti i brand che hanno messo gli occhi sui creator della Gen Z e il loro passaggio da Instagram al social TikTok ha contribuito alla crescita di molti di essi. Il social media dei video musicali ha spinto Instagram a rilasciare la funzione Reel. Solo questa scelta di contenuto dovrebbe essere indicatore della crescente importanza che TikTok avrà nell’allocazione dei budget social.

influencer performance Tiktok

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Il valore degli influencer sui consumi

Le scelte dei consumatori sono fortemente orientate dagli influencer e dalle loro storie.

Secondo una ricerca condotta da Valassis sul mercato americano, inglese e tedesco, il 51% degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato un prodotto o un servizio dopo averlo visto utilizzato o promosso da un influencer. Secondo lo studio, l’Influencer Marketing sta avendo un maggiore impatto sugli acquisti perché il tempo di fruizione dei social da parte dei consumatori è aumentato durante la Pandemia.

Il 35% dei consumatori americani, infatti, sostiene di aver effettuato un acquisto non pianificato dopo aver visto qualcosa sui social mentre e il 21% ha dichiarato di aver effettuato un acquisto consigliato da un influencer da quando è iniziata la pandemia. Questi numeri ci fanno capire e percepire il reale potere che i creator hanno sui consumatori e viceversa.

Secondo I trend dell’Influencer Marketing 2021, ricerca condotta da Buzzoole, emerge chi riesce a costruire un’identità distintiva e riconoscibile. Agli influencer non serve essere onnipresente su tutti i canali ma sceglierne alcuni in cui costruire un legame forte con la propria community.

L’attivismo sociale degli influencer di Instagram e TikTok

L’impatto che le nostre scelte hanno nel mondo si riflettono anche sul fatto che i brand e gli influencer si stanno addentrando nel campo dell’attivismo sociale.

Nella ricerca di Klear condotta analizzando i profili social di 100 compagnie si legge che l‘80% dei brand ha supportato sui social la causa #BlackLivesMatter. Nella stessa ricerca si legge anche che il 65% dei consumatori afferma che smetterebbe di seguire un influencer che dice o fa qualcosa non in linea con la propria etica e i propri valori personali.

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Alcuni consumatori stanno abbracciando marchi sostenuti dagli influencer che riflettono la loro consapevolezza sociale. Dunque il futuro dei brand dovrà essere sempre più etico perchè saremo sempre più connessi e consapevoli. Le nostre scelte influenzeranno e saremo influenzati. Diventeremo tutti creator, tutti portatori di valore ed ognuno di noi sarà capace di invertire la rotta e cambiare le tendenze del mercato.

Quando i brand toccano i fili dell’alta tensione: La Molisana e altri illustri scivoloni

  • Le parole contano e i brand lo sanno. Cosa succede però quando i messaggi non funzionano come dovrebbero?
  • Il caso La Molisana e altri brand che hanno toccato i fili dell’alta tensione

 

Abbiamo un rapporto complicato con le parole. Ci svegliamo la mattina mugugnando qualcosa, e la sera andiamo a dormire farfugliando sottovoce pensieri e desideri. Durante il giorno è un continuo giro di parole, con noi stessi e con gli altri. Iniziamo a parlare da piccolissimi per esprimere i nostri bisogni, per comunicare ma soprattutto per creare un legame con chi ci circonda. Le parole sono potenti, ma spesso le sottovalutiamo.

La famosissima citazione, ripresa ovunque, di Oscar Wilde nella sua celebre opera “Il ritratto di Dorian Gray” affermava che l’unica cosa peggiore di far parlare male di sé è quella di non far parlare affatto di sé. Cosa significa esattamente? Parlarne bene o parlarne male non importa, l’importante è che se ne parli.

Se il noto scrittore fosse vissuto nell’epoca dei social network, non siamo certi che la penserebbe ancora in questo modo.

Il caso La Molisana: cosa è successo

È un pomeriggio invernale di pioggia e freddo umido, hai appena spento il PC dopo 8 ore di smart working e decidi di fare uno spuntino. Apri la porta del frigo e arrivi alla triste conclusione: il frigorifero è vuoto. Spulci in ogni cassetto, setacci ogni angolo degli scaffali, ma nulla.

Quindi ti armi di felpa, cappello e cappotto e ti avvii con poco entusiasmo al supermercato. Nel reparto pasta, senza nemmeno guardare prendi distrattamente qualche pacco a caso e continui il  giro. Poi a casa decidi di seguire una ricetta scritta e suggerita sulla confezione per gustare un bel piatto con un tipico “sapore littorio”. In che senso?!?

Le “Tripoline”, le “Bengasine”, le “Assabesi” e le “Abissine”, sono questi i formati di pasta che hanno fomentato la polemica legata al pastificio La Molisana. I nomi scelti ricordano chiaramente la stagione del colonialismo italiano in Africa degli anni ‘30, eventi che non sono certo da celebrare, anzi. Ma la storia non può essere cancellata, il passato è importante perché ci ricorda ciò che siamo stati, nel bene e nel male, e ci insegna che possiamo migliorare e andare oltre. 

Le reazioni

Quello che ha fatto infuriare molte persone, però, è stata anche la descrizione e la motivazione per la scelta di questi nomi, una didascalia che fino a qualche giorno fa era presente sul sito dell’azienda e che era online dal 2018, ma che ora è stata rimossa, come sono stati cancellati e revisionati anche i nomi dei formati di pasta.

parole brand

Probabilmente il ricorso allo storytelling celebrativo, come ci tiene a sottolineare la scheda descrittiva delle Abissine, è quello che ha urtato di più il popolo del web e non solo, pronto a boicottare l’azienda e i suoi prodotti se non fosse intervenuta subito.

Le reazioni però non sono state tutte negative, molti si sono schierati a favore de La Molisana, accusata sui social di essere fascista e di esaltare la parentesi colonialista italiana. In primis un articolo apparso su “Il Gambero Rosso” che ha preso le parti del brand definendo l’attacco subito un’aggressione senza senso e legittimando la scelta di questi nomi per descrivere un tipo di formato storico di pasta che, secondo il Gambero Rosso, va tutelato e protetto, e non stigmatizzato.

Certo è che La Molisana non è l’unico pastificio ad aver associato a un certo tipologia di pasta queste nomenclature, altri lo hanno fatto e i prodotti gastronomici italiani degli anni ‘20 e gli anni ‘30 che conservano ancora questi nomi sono diversi.

Come ha risposta La Molisana

Rossella Ferro è una figura chiave del nuovo volto del brand La Molisana, oltre a esserne la responsabile marketing, e le sue scuse insieme a quelle degli altri membri dell’azienda non sono tardate ad arrivare.

In un comunicato stampa del 5 Gennaio, si legge il rammarico riguardante i formati di pasta Abissine Rigate e Tripoline che hanno rievocato, citiamo testualmente, in maniera inaccettabile una pagina drammatica della storia italiana.  L’azienda ha poi provveduto alla sostituzione dei nomi e i dei contenuti testuali dei formati in questione.

L’errore sarebbe nato da una svista, quello di non ricontrollare le schede affidate all’agenzia di comunicazione.

Parole e brand: errori da non ripetere

La Molisana non è l’unica azienda a essere stata per giorni nell’occhio del ciclone mediatico. I brand sanno quanto siano importanti le parole, ma a volte commettono dei veri e propri disastri, anche se le intenzioni sono ben diverse. Ricordate il caso Pandora di qualche anno fa?

Pandora accusata di sessismo

Natale 2017, un momento clou per i brand. Il COVID-19 non esisteva ancora e tutti eravamo indaffarati tra lavoro, impegni e la lista per i regali natalizi. Come in ogni ricorrenza, i brand preparano le proprie campagne marketing, tra parole sdolcinate e, purtroppo, cliché vecchi e superati.

Il messaggio di Pandora arrivò molto chiaramente alle orecchie e agli occhi di tutti, specialmente a quelli delle donne.

parole brand

A caratteri cubitali, impossibile da non notare, questo cartellone affisso nella metropolitana di Milano, suggeriva cosa regalare a una donna. Un messaggio che, come l’azienda danese ha tenuto a precisare, è stato travisato, perché l’intento era quello di evitare di far regali convenzionali ma andare oltre e acquistare dei gioielli. Perché le donne amano i gioielli. E basta? Viene da chiederci ripensando alla vicenda.

Dalla padella alla brace insomma (per restare in tema).

Altro giro, altra corsa, altro brand.

H&M razzista? La felpa incriminata

Dicono che la bellezza sia negli occhi di chi guarda. Ma allora lo è anche il pregiudizio? Fino a un certo punto.

Era il 2018, e H&M, la grande catena di abbigliamento low cost, pubblicizzava una felpa in grado di provocare una vera e propria polemica social. Un bambino di colore con una calda felpa verde per proteggersi dalle fredde temperature invernali e la scritta “Coolest monkey in the jungle”, cioè “La scimmia più cool della giungla”. Al di là della dicitura opinabile, il brand fu subito accusato di razzismo e di aver diffuso un messaggio di cattivo gusto.

Ovviamente le immagini pubblicitarie furono immediatamente ritirate con tanto di scuse da parte l’azienda, che invece ha sostenuto di credere fortemente nell’inclusività e nella diversità.

Barilla e il concetto di famiglia tradizionale

Sempre a proposito di pasta, uno dei commenti più imbarazzanti fu quello di Barilla di qualche anno fa.

Alla domanda sul perché nei suoi spot non venivano mai mostrate coppie omosessuali, Guido Barilla, ai microfoni di Radio 24, spiegò le sue motivazioni, dicendo che Barilla si rivolgeva alla famiglia tradizionale e per questo non avrebbe incluso nelle sue pubblicità persone omosessuali.

La cosa più spiacevole fu quella di rimarcare la sua posizione aggiungendo che “se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca“. Il gelo.

È inutile dire che la questione non è la fermezza nel credere in un tipo di famiglia, ma di annullare completamente tutte le altre e di non legittimarle. Le sue parole scatenarono un vero putiferio, seguito poi dalle scuse dell’azienda.

Due anni fa una piccola svolta: una collaborazione tra Barilla e il brand streetwear GCDS ha dato alla luce un cortometraggio sul rispetto della diversità e l’inclusione, ispirato ai retroscena technicolor dei film anni ’60.

Dolce & Gabbana e la crisi con la Cina

I brand di moda sono quelli che, negli ultimi anni, hanno più volte sperimentato crisi e malumori, ma per quale motivo? Le ragioni sono davvero tante, ma ci si lamenta soprattutto per i retroscena del campo della moda, un mondo che esalta canoni di perfezione troppo alti, e spesso drastici.

Noti marchi come Dolce & Gabbana, Patrizia Pepe, Victoria’s Secret e Carpisa hanno avuto i loro tempi duri.

Vi ricordate quando il brand Dolce & Gabbana girò e fece circolare in Cina tre video che ritraevano una donna cinese mentre mangiava tipici cibi italiani come pizza e pasta, con le bacchette? La campagna per sponsorizzare l’imminente sfilata fu accusata di banalizzare la cultura cinese raffigurando, inoltre, le donne cinesi in modo stereotipato e razzista.

Oltre al boicottaggio della nota maison, venne annullata anche la sfilata che doveva tenersi pochi giorni dopo a Shanghai. A tutto questo, dobbiamo poi aggiungere la comparsa di una serie di messaggi offensivi rivolti ai cinesi dall’account Instagram di Stefano Gabbana che però ci tenne a sostenere che quelle parole non erano sue.

Come si concluse la vicenda? D&G cercò di sistemare la situazione, pubblicando un video di scuse per aver interpretato male e offeso la Cina, Paese di cui sono, come hanno tenuto a sottolineare, innamoratissimi.

Come non comunicare: il caso Patrizia Pepe

Forse nel 2011 i contenuti social non avevano ancora la forza virale di oggi, ma qualcosa si stava già muovendo. Svariati commenti sotto una foto promozionale del brand Patrizia Pepe fecero infuriare il social media manager o chi si occupava della gestione dei profili social del marchio.

Le persone lamentavano un’eccessiva magrezza della modella protagonista della campagna, accusando la casa di moda di promuovere un canone di bellezza nocivo, stereotipato e superato.

Alzare la voce con aggressività per difendere le proprie idee e le proprie posizioni non è mai la strada giusta, soprattutto per un brand.

Alcuni di questi, quando si sentono minacciati, non riescono a gestire le crisi e si approcciano alla community in maniera troppo impulsiva e impetuosa. Anche in questo caso non sono mancate le dovute scuse da parte dell’azienda.

Victoria’s Secret e lo stop alle sfilate

Victoria’s Secret è un brand statunitense di abbigliamento femminile noto soprattutto per le creazioni di lingerie e prodotti di bellezza. Dal 1995 fino al 2019 il brand ha dato vita a uno show, seguitissimo, in cui la maggior parte delle super modelle più quotate del mondo hanno sfilato mostrando fiere e impeccabili sulla passerella i modellini striminziti del patinato marchio. 

Ma il sipario, dopo ben 24 anni, è calato su questa passerella per tanti motivi. Nel 2018, durante un’intervista fu chiesto se anche le modelle Lgbt e taglie forti avrebbero potuto finalmente sfilare, ma il chief marketing officer Ed Razek asserì che non rientravo nelle fantasie che lo show intende vendere.

Ma soprattutto, i ritmi che venivano richiesti erano massacranti per le modelle. Prima di ogni sfilata, non ingerivano cibi solidi, come la stessa Adriana Lima confessò al Daily Telegraph. Affermò di nutrirsi con solo frullati proteici nei 9 giorni precedenti allo show, e che nelle 12 ore prima della sfilata, eliminava addirittura anche i liquidi. 

Carpisa e l’infelice proposta dello stage

Un’idea che se studiata diversamente avrebbe potuto lanciare un messaggio positivo, soprattutto per i più giovani, si è trasformata inesorabilmente in un boomerang contro Carpisa. 

La proposta era quella di “vincere” uno stage acquistando una borsa Carpisa, partecipare a un concorso, elaborando un piano di comunicazione, e sperare di essere scelti. Il compenso? Un forfait di 500 euro.

Carpisa toppò alla grande perché l’argomento “lavoro” è uno dei più delicati da trattare, specialmente quando si parla di stage. Inoltre, il messaggio di acquistare un prodotto per “sperare” di ottenere in cambio un lavoro non è il massimo, soprattutto se ci si riferisce a un pubblico giovane che ogni giorno combatte con una precarietà diventata ormai insostenibile.

Un’iniziativa trattata davvero con superficialità che fece infuriare il mondo del web a cui l’azienda ha risposto (anche in questo caso) con le più sentite scuse. 

Spostiamoci adesso su un altro tema dibattuto e motivo d’imbarazzo per molte aziende. Purtroppo il razzismo continua a essere un problema gravissimo e spesso i brand hanno navigato senza rotta in acque davvero insidiose. Ecco tre casi che fanno parte a pieno titolo di questa raccolta di scivoloni illustri: Uliveto, Pomì e easyJet.

Uliveto e la foto delle azzurre

Dopo la finale dei mondiali di pallavolo femminile persa dalle azzurre contro la Serbia, il brand Uliveto decise di ringraziare le giovani giocatrici per il loro brillante percorso pubblicando una foto celebrativa, manifestando così gratitudine e orgoglio. Peccato per gigantografia di una bottiglietta d’acqua proprio sulle due atlete di colore, Miriam Sylla e Paola Egonu.

Coincidenze? La bufera si abbatté violentemente sull’azienda, che a sua volta si difese asserendo che Uliveto non fa alcun tipo di distinzione. L’attenzione ai dettagli è una cosa che, specialmente in comunicazione, non si può sottovalutare.

Pomì e i pomodori made in Padania

pomodori pomi in lombardia

Quando qualche anno fa venne alla luce lo scandalo della “Terra dei Fuochi”, le reazioni furono tante. Manifestazioni di solidarietà, certo, ma non mancarono episodi di vero e proprio sciacallaggio.

Una vasta porzione del territorio campano compreso tra Napoli e Caserta ha visto un aumento considerevole di patologie mortali per gli abitanti della zona dovute all’inquinamento, da parte di gente senza scrupoli.

In questo contesto arriva lo scivolone di Pomì, che in un momento delicato come quello, diffuse una campagna di comunicazione incentrata esclusivamente sulla provenienza dei suoi pomodori, in terreni localizzati in Padania, sottolineandone più volte l’origine con comunicati stampa e immagini promozionali ad hoc.

Il problema non è affatto specificare la provenienza dei propri prodotti, ma approfittare di una problematica così grave per emergere. Molti si indignarono per questa presa di posizione, boicottando il prodotto, specialmente al Sud. 

La rivalità Nord e Sud Italia è uno degli argomenti più tristi della nostra storia, e utilizzare questa polarizzazione in comunicazione, oltre che sgradevole, dovrebbe essere ormai superato.

easyJet e l’offensivo spot sulla Calabria

Le illazioni sul Sud Italia non si fermano qui: stavolta ci mette il suo anche easyJet.

In uno spot finalizzato a rilanciare il territorio calabrese e a movimentarne il turismo, la compagnia aerea aveva pubblicato una descrizione denigratoria e fuorviante nei confronti di una delle regioni italiane più ricche di storia e bellezze artistiche. 

easyJet è riuscita ad attirare solo malumori, critiche e l’indignazione, e non solo della Calabria. Le scuse della compagnia sono arrivate dopo poco, ma il problema rimane: perché alcuni brand  utilizzano luoghi comuni per raccontare i prodotti e servizi che vendono?

Ognuno di questi esempi può insegnarci qualcosa sul valore delle parole e il rispetto verso le persone.

Cosa sta cambiando nelle persone

Per anni siamo stati spettatori di pubblicità sessiste, di spot e jingle inopportuni che rasentavano il razzismo, canoni di bellezza alterati e spesso dannosi, soprattutto per i più giovani, e cose a cui non facevamo tanto caso perché abituati a vederle distrattamente. Per fortuna la società stessa si evolve, cambia e non smette mai di farsi domande.

C’è chi però crede che tutti questi contraddittori siano figli di un politically correct esagerato, che limiti le idee e la creatività, che sia una sorta di bavaglio soffocante, e la linea di confine tra ciò che è offensivo o meno, sta diventando sempre più sottile.

È vero che “non si può dire più nulla”?

La verità è che dimentichiamo il potere delle parole. Siamo così concentrati su quello che vogliamo dire che facciamo caso solo al contenuto ma mai al tono e al modo di parlare. Vogliamo così tanto dire la nostra opinione che ci dimentichiamo di metterci dal punto di vista degli altri. Abbiamo così timore dell’ignoto, dell’altro e di quello che non sappiamo, che preferiamo attaccare piuttosto che provare ad ascoltare.

Chiudiamo la nostra carrellata con un po’ di speranza e con una campagna che invece vuole inspirarsi e far breccia sulla sensibilità delle persone.

Abbracci da Barilla per gli infermieri e le loro famiglie

In questo mese di gennaio, Barilla ha realizzato una limited edition dei suoi famosi biscotti, gli Abbracci, per supportare gli infermieri e le loro famiglie donando loro il 100% dei ricavi. Un gesto di solidarietà per chi, tutti i giorni e da quasi un anno, sta lavorando senza sosta, anteponendo la vita degli altri alla propria. 

I medici, gli infermieri, tutte le persone che lavorano in ambito medico e in strutture sanitarie stanno facendo il possibile e tenendo duro, aiutando e supportando le persone più fragili e colpite da questo maledetto virus. Un piccolo gesto da parte delle aziende, anche simbolico, per supportare chi ne ha bisogno. 

abbracci barilla infermieri

Ovviamente le polemiche non sono mancate: c’è chi parla di un’astuta mossa di marketing e chi invece crede nei gesti spontanei, anche se provengono da colossi dell’economia italiana.

catalogo ikea

L’anno di IKEA, fatto di sostenibilità e digitale per un presente migliore

  • La sostenibilità non è più un optional per i brand e IKEA lo ha voluto dimostrare con un gesto importante quest’anno, dando l’addio al suo tradizionale catalogo cartaceo
  • Ma anche gli oggetti e l’arredamento costituiscono un patrimonio da non disperdere e le scelte dell’azienda vanno sempre di più in questa direzione

 

È l’anno della sostenibilità. Il 2020 che volge al termine ci dà una certezza: i brand  promettono di essere più sostenibili, dal food, al fashion, passando dall’automotive, fino ad arrivare al design. Un esempio su tutti è quello del colosso svedese dell’arredamento, con il claim “diamo una seconda vita ai mobili IKEA usati”. 

Infatti, il furniture brand, fino al 6 dicembre ha attuato il Green Friday: riportando i mobili precedentemente acquistati, ad esempio una libreria BILLY che non serviva più, o un tavolo NORDVIKEN, che ormai era diventato troppo piccolo per la famiglia, si aveva una valutazione economica mentre all’oggetto era garantita una seconda vita. Per tutti i soci, c’era la supervalutazione del 50%, dunque una forte convenienza.

Stando più tempo in casa vi siete resi conto di dover liberare un po’ di spazio? Il #BuyBackFriday vi aspetta dal 27 novembre al 6 dicembre. E se siete Soci IKEA Family potete ricevere una supervalutazione del 50% e riportare i vostri mobili usati IKEA fino al 28 febbraio 2021. Insieme rendiamo il Black Friday più sostenibile. #SiamoFattiPerCambiare

LEGGI ANCHE: Investire su sostenibilità e responsabilità sociale oggi è ancora più importante per i brand

I nuovi trend per i consumatori

L’idea ha tenuto conto del periodo particolare: vari studi e ricerche avevano già fatto intendere che gli acquisti per il Black Friday 2020 sarebbero stati molto diversi, sia in qualità e sia soprattutto in quantità, rispetto a quelli degli ultimi anni.

D’altronde, oggi non ti dispiacerebbe buttare via gli oggetti usati? Magari vorresti ripararli, riutilizzarli o riciclarli, ma non sempre hai il tempo o semplicemente non sai come fare.

IKEA pensa a un’economia circolare, che significa ridurre al minimo gli scarti e rigenerare le risorse attraverso il noleggio, la restituzione e il riacquisto dei mobili, aiutando i clienti a riparare, riutilizzare e riciclare la la mobilia obsoleta, o a rivenderla per darle una seconda vita.

D'altronde, oggi a chi non dispiace buttare via gli oggetti usati?

Come è emerso da una ricerca di TrustPilot, incentrata sul comportamento d’acquisto dei consumatori, in occasione del Black Friday e del Cyber Monday, circa il 21% del campione, (su 1600 intervistati), avrebbe acquistato come ha fatto di solito, mentre il 20% sarebbe stato assente, infine il  15% del campione aveva espresso l’intenzione di spendere meno del solito, mentre soltanto il 9,8% aveva avuto tra le previsioni quella di spendere maggiormente.

C’è un dato che più di tutti contribuisce a mettere in evidenza un senso di incertezza provato dai consumatori: in un momento in cui ogni forma di pianificazione sembra essere inutile, il 35% degli intervistati aveva risposto di  non sapere se avrebbe sfruttato o meno le offerte dei due eventi.

Alle possibilità di risparmio, i più  desideravano coniugare più attenzione verso l’ambiente e la categoria home avrebbe ricoperto una buona fetta degli acquisti prefestivi. Trascorrendo più tempo in casa ci si potrebbe essere accorti, del resto, di dover liberare un po’ di spazio, come recita il post dedicato all’IKEA Green Day sulla pagina Facebook.

La sostenibilità di IKEA

Credits: Ogilvy, Stati Uniti per IKEA.

L’estetica green di IKEA

Le festività potrebbero essere sempre un po’ più verdi e IKEA vuole rendere più facile quest’anno così anomalo. Invece di concentrarsi su vendite e promozioni durante il Black Friday, ha scelto e di attirare l’attenzione sulle sue iniziative sostenibili.

Nell’estetica distintiva e di marca delle Guide di assemblaggio IKEA, il rivenditore ha lanciato una serie di nuove “Guide verdi”, ciascuna con un prodotto sostenibile collegato a una delle sue varie iniziative di sostenibilità. Le guide includono la messa in evidenza di sedute sostenibili con sedie in legno rinnovabile e plastica riciclata, l’importanza di risparmiare energia con luci natalizie a LED e come i consumatori possono ridurre i loro rifiuti di legno, attraverso contenitori di stoccaggio riutilizzabili.

Queste illustrazioni sono state mostrate in forma aggregata su tutti i canali di proprietà di IKEA, nonché presentate da influencer, attraverso una campagna social ADV.

Ikea: luci nel presente e nel futuro

Una sfida ambiziosa, quella di Ikea: permettere a più di 1 miliardo di persone di vivere una vita quotidiana migliore rispettando i limiti del pianeta.

Ad esempio, tutto l’assortimento di prodotti per l’illuminazione di IKEA ora è a LED ad alta efficienza energetica e tutto il cotone che utilizzano nei prodotti proviene da fonti più sostenibili. C’è un forte investimento nell’energia , per produrre, entro il 2021, una quantità di energia rinnovabile pari a quella consumata. Ma non abbiamo ancora finito; abbiamo appena cominciato… si legge sul loro sito web.

L’obiettivo è quello di  diventare un business circolare e avere un impatto positivo sul clima: per questo Ikea si è ripromessa di utilizzare più materiali ecosostenibili e riciclati, di eliminare gli scarti delle nostre attività e di cambiare il modo in cui vengono progettati i prodotti e i servizi offerti alla clientela. Questo permetterà di prolungare la vita dell’oggettistica e dei mobili così da considerarli risorse per il presente e per il futuro.

Addio al catalogo IKEA, tra consumi online e sostenibilità

IKEA dopo 70 anni abbandona anche il catalogo cartaceo, lo manda in pensione per lasciare spazio solo al digitale. Dal 1° gennaio 2021 il catalogo di carta dei prodotti dell’azienda svedese non verrà più prodotto. Per informarsi, restano il sito e la nuova App.

«Cambiare pagina è stato di fatto un processo naturale da quando l’utilizzo dei media e i comportamenti dei clienti sono cambiati» – afferma Konrad Grüss, Amministratore Delegato di Inter Ikea Systems B.V. – «e per raggiungere e interagire con la maggioranza delle persone, continueremo a fornire ispirazione con le nostre soluzioni per l’arredamento della casa in modi nuovi».

Con alle spalle una storia straordinaria, il primo catalogo Ikea realizzato e curato di persona dal fondatore Ingvar Kamprad aveva in copertina la poltrona Mk con imbottitura in pelle, uno dei primi successi dell’azienda svedese. Con la sparizione del catalogo si chiude anche un’era di consumi basata sul contatto fisico con il prodotto già a partire dallo sfogliare le pagine del catalogo in famiglia per decidere l’acquisto. Il pubblico di riferimento di Ikea è principalmente formato da giovani famiglie e coppie che arredano la prima casa, ed il trend per gli under 30 è ormai focalizzato sugli acquisti online.

Quella dell’IKEA Green Friday, insomma, non è stata certo un’iniziativa isolata o solo simbolica. Dopo la tempesta che nel 2018 sradicò ettari ed ettari di alberi tra Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, IKEA ha provato a recuperare parte di quel legno e lo ha utilizzato per la realizzazione di un’edizione speciale delle librerie BILLY: con ogni acquisto i clienti potevano partecipare a delle campagne per il rimboschimento della zona. “#EffettoVAIA” era il titolo della campagna di comunicazione collegata:

 

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IKEA ha posizionato, infatti, alcune delle stesse BILLY in edizione limitata nei parchi romani fino all’8 novembre 2020; le ha riempite di libri sui temi di ecologia, sostenibilità, economia circolare, cambiamento climatico e invitato chiunque vi si imbattesse a condividere sui social foto, Storie, post con l’hashtag dedicato nell’intento di sensibilizzare il largo pubblico.

LEGGI ANCHE: Trend 2021: un cambio di prospettiva su vita, tecnologia e business

La casetta su ruote: lo smart working mobile e sostenibile

kea e la casa del futuro dopo il coronavirus

È arrivata la casetta Ikea sulle ruote, pensata per i nomadi digitali: per cambiare stile di vita, per fare smart working in modo sostenibile e per viaggiare lavorando.

Le tiny house sono quelle case piccole piccole, di massimo 30 metri quadrati. Affascinano sempre di più e nell’ultimo lustro sono diventate parecchio popolari tra coloro che cercano una vita semplice e piena, spesso nomade. Ora è arrivata anche la versione firmata Ikea, una mini-dimora mobile.

La caettta Ikea sulle ruote ha una superficie di 17,37 metri quadri. È stat pensata dall’azienda svedese di arredamento per il suo “Tiny Home Project”, caratterizzato da un’edilizia sostenibile che rispetti l’ambiente.

Ikea, insieme alla statunitense Escape Homes, che negli anni si è specializzata in case di piccole dimensioni, ha infatti ideato una piccola casa su ruote. Il progetto mira a promuovere la sostenibilità attraverso l’inclusione e l’innovazione.

L’esterno comprende un rivestimento in legno di ispirazione giapponese, noto come Shou Sugi Ban. Lo stesso materiale, cioè legno di pino prodotto in modo sostenibile, si trova anche all’interno con le pareti dipinte di bianco per dare una sensazione di spaziosità. Anche il pavimento è in legno.

«La strategia Positive People and Planet di Ikea è la nostra tabella di marcia», ha detto la responsabile per la sostenibilità dell’azienda svedese, Jennifer Keesson, «vogliamo soddisfare i bisogni delle generazioni di oggi senza compromettere quelli delle generazioni future».

Rendere il pianeta un posto migliore

È importante tenere la porta del frigo sempre chiusa, usare le luci a LED e fare la raccolta differenziata dei rifiuti. Suona familiare?

Se anche tu hai a cuore il riciclo e cerchi sempre di evitare sprechi di acqua, di cibo e di elettricità… complimenti, sei l’attivista di casa. Anche IKEA si impegna a dare il suo contributo per un pianeta più sostenibile, e insieme possiamo fare ancora di più.

stories instagram test

Le novità di Instagram che non avresti dovuto perdere nell’ultimo anno

  • Instagram è un social media in continuo aggiornamento e nel 2020 ha rilasciato nuove feature per rendere l’esperienza degli utenti più immersiva
  • In particolare il social ha sostenuto le piccole imprese colpite dalla crisi provocata dalla Pandemia da Covid-19 e ispirandosi a TikTok ha rilasciato nuove funzionalità

 

Come ogni dicembre tiriamo le somme facendo un riepilogo di cosa è successo durante l’anno e in questo caso lo facciamo dando uno sguardo ai social media.

Il 2020 ha portato tanti cambiamenti e ciò ha influito sul nostro modo di stare sui social, di sfruttarli per raggiungere obiettivi di business nuovi e diversi spinti dalla situazione economico-sociale.

Instagram, come social network frequentato da 1 miliardo di utenti attivi al mese, non ha potuto fare a meno di evolversi e aggiornarsi rispetto al cambiamento del mercato e del contesto sociale regalandoci nuove feature, nuovi contenuti e modi diversi per intrattenere, stare insieme a distanza, stimolare il comportamento d’acquisto e sostenere le piccole e medie imprese.

Ecco tutte le novità di Instagram del 2020

Instagram aggiorna l’archivio delle Stories

Già da molto tempo Instagram salvava le Stories dell’utente in Archivio. Da quest’anno ha iniziato a salvare le stories creando un vero e proprio calendario. L’interfaccia visiva ricorda proprio quella del calendario organizzato mensilmente su base giornaliera. Per l’instagramer è possibile visualizzare a ritroso le proprie stories fino alla prima pubblicazione. Ma non è tutto! Grazie alla geolocalizzazione, alla funzione Calendario è stata abbinata la creazione di una mappa dei luoghi in cui le stories sono state scattate.

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Buon Compleanno Instagram!

Il 6 ottobre 2020 Instagram ha compiuto 10 anni. A un decennio dalla sua nascita, il social network continua ad evolversi rilasciando nuove funzionalità per essere al passo con i cambiamenti sociali, di mercato e per mettersi in pari con la concorrenza.

In occasione del suo decimo compleanno, Instagram ha dato agli utenti la possibilità di personalizzare l’icona dell’app.

Interfaccia diversa e icone personalizzabili sono solo alcuni dei cambiamenti di layout. La home del social network continua ad aggiornarsi al rilascio di nuove funzionalità. Sono cambiati i menù per il caricamento dei contenuti ed è stata introdotta la scheda negozio che permette alle aziende di creare la propria vetrina e agli utenti di acquistare direttamente su Instagram. Al momento non è ancora possibile completare una transazione economica ma a Menlo Park ci stanno già lavorando.

LEGGI ANCHE: Instagram Reels: pro e contro della nuova funzione

Instagram sostiene le piccole imprese colpite dalla crisi

Durante i vari lockdown Instagram ha rilasciato alcuni sticker per sostenere il personale sanitario impegnato in prima linea alla lotta al Covid-19. Lo sticker relativo al personale medico è stato EROIINCORSIA che permette di taggare le stories di medici e infermieri che lavorano nei reparti covid degli ospedali. Un altro sticker rilasciato proprio durante il primo lockdown è stato IORESTOACASA. L’obiettivo di questo tag era ed è quello di invitare gli utenti a limitare le proprie uscite e rapporti fisici per sostenere la diminuzione della diffusione del virus condividendo foto e scatti in casa. Utilizzando gli sticker EROIINCORSIA ed IORESTOACASA è possibile taggare le proprie stories che in automatico confluiscono in una macro storia che le raccoglie tutte.

 

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Avendo più tempo da trascorrere sui social e potendo uscire di meno per acquistare prodotti, Instragram ha permesso agli utenti di Ordinare cibo tramite la piattaforma grazie alla funzione ORDINI DI CIBO. Questa feauture è stata sviluppata per le attività ristorative che per lunghe settimane e mesi hanno chiuso l’apertura al pubblico. Grazie a questa funzione è possibile aggiungere un pulsante nella tab di Instagram che permette di Ordinare Cibo. Inoltre questa funzione è stata molto utile per quelle attività che potendo vendere cibo solo ad asporto o a domicilio hanno trovato un modo per promuovere i nuovi servizi tramite le stories aggiungendo ORDINI DI CIBO come tag.

Per sensibilizzare gli utenti di Instagram a creare spazi gratuiti di visibilità per le aziende in difficoltà, è stato rilasciato lo sticker Compra a Km0. Tramite questo adesivo è possibile taggare i negozi in cui si sono acquistati i prodotti immortalati testimoniando la propria vicinanza all’attività regalando una clip tra le stories del proprio profilo.

Un’ultima ma non ultima feature rilasciata per sostenere le piccole imprese è BUONI REGALO. Gli utenti hanno la possibilità di acquistare buoni regalo convertibili in prodotti e/o servizi alla riapertura dell’attività commerciale chiusa.

Questa sensibilità che Instagram vuole trasferire agli utenti non è una novità di quest’anno. Già nel 2019 il social network rilasciava la funzione DONAZIONE per permettere agli instagramer di taggare cause sociali e raccogliere fondi al loro sostegno.

Instagram & Facebook verso l’eCommerce

Pare che Instagram e tutto l’universo di Facebook si stiano avvicinando sempre più al mondo delle e-commerce. Tra le novità del 2020 c’è stato il lancio delle Advertising nelle IGTV e della funzione Shopping implementanta per i Reels.

adv su igtv

Il 7 febbraio 2020 Jane Manchun Wong, tecnologa attenta alle news e i trend della Silicon Valley twittava “Instagram is working on IGTV Ads to let influencers monetize their content by running short ads on their IGTV Videos.

Instagram permette infatti agli influencer di monetizzare i propri contenuti rendendo possibile la visualizzarzione di brevi ads nei video delle loro IGTV. Se da un lato questa funzione permette un’incremento economico ai creator, lato utente un’ennesimo posizionamento pubblicitario può portare l’allontanamento dal social.

La novità più interessante di quest’anno, a mio parere è stata proprio l’implemento dei REELS. Per permettere ai suoi utenti di creare video con sottofondo musicale, Instagram ha preso spunto dal concorrente TikTok. Essendo un nuovo content, il social network sta regalando una bella impennata di visibilità organica ai Reels. Lato creator e aziende può essere utile sfruttare questa chance in un momento in cui i social stanno diventando sempre più paid network.

Per chiudere in bellezza il 2020, Instagram ha annunciato che aziende e creator potranno taggare i prodotti anche nei Reels con la funzione Branded Content.

LEGGI ANCHE: Social media marketing: 25 previsioni che segneranno il 2021

Esperienza personalizzata su Instagram

Instagram premia il tempo di permanenza. Per coinvolgere gli utenti e permettere loro di passare più tempo sul social, Instagram ha aumentato il tempo delle Dirette portandole a 4 ore.

Tra le altre feature rilasciate nel 2020 c’è la funzione Utenti con cui interagisci di meno che permette di verificare quali sono i profili con cui si è interagito di meno negli ultimi 90 giorni. L’obiettivo della funzione è di definire l’esperienza utente sempre più personalizzata. Per rendere più divertente la messaggistica in direct, invece, quest’anno è stata implementata la risposta alle stories con GIF.

instagram stories come usarle

Oltre le novità di Instagram 2020, cosa ci aspetterà nel 2021?

Se il 2020 è stato ricco di novità in casa IG, il 2021 si prospetta altrettanto interessante.

Tra le news delle ultime settimane vi sono la funzione Guide che consente agli utenti di creare guide di viaggio e raccomandazioni sui prodotti, e Watch Together per guardare insieme ad amici video contenuti su IGTV, Reels, programmi TV, film e video.