Nella Giornata Mondiale del Sorriso, celebrata a livello globale il primo venerdì di ottobre, tutto è pensato per strapparcene uno e Coca-Cola ha pensato proprio a tutti. Niente è più immediato di un sorriso per generarne un altro: basta vedere una persona farlo, infatti, per sorridere a nostra volta. Ma c’è chi i sorrisi non riesce a vederli. Se c’è una cosa che quest’anno ci ha insegnato è che c’è sempre un altro modo per far arrivare i sorrisi.
Per dedicare un momento di divertimento a chi il sorriso non lo percepisce con gli occhi, nasce “The Smile Can”, una serie di 5 lattine da 33cl in edizione limitata che riporteranno alcuni messaggi scritti in Braille, co-creati insieme ad UICI, Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti.
Le lattine della felicità
“Se strofini ancora esce il genio”, “Gratta pure, tanto non vinci nulla” sono solo alcuni dei messaggi che saranno presenti sulla serie di lattine, con l’obiettivo di generare un sorriso per ogni Coca-Cola, come recita il payoff.
Coca-Cola è un brand da sempre legato al concetto di felicità, vissuta come fonte di ispirazione anche attraverso progetti che promuovono l’inclusione e il superamento delle barriere, valorizzando le diversità. Attraverso “The Smile Can” Coca-Cola ha scelto di sostenere il centenario della fondazione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, che proprio nel 2020 celebra questo importante traguardo.
“Ottimismo e inclusione fanno da sempre parte del DNA di Coca-Cola” – dichiara Cristina Broch, Direttore Comunicazione e Relazioni Istituzionali per Coca-Cola Italia. “La celebrazione dell’anniversario di UICI è solo il tassello più recente di un percorso che ci vede da tempo impegnati nel promuovere una società più inclusiva dove la valorizzazione della diversità possa essere leva di cambiamenti positivi”.
Coca-Cola e UICI hanno lavorato insieme nel definire i messaggi da leggere in Braille in modo divertente. Condividere i propri sorrisi e sensibilizzare attraverso il linguaggio universale della felicità sull’importanza di questo modo di leggere e scrivere è tra i principali obiettivi dell’Associazione.
“Questa iniziativa esprime qualcosa che noi promuoviamo da tempo, perchè vuole coniugare la sensibilizzazione sui temi della disabilità visiva con la leggerezza di un sorriso” – dichiara il Presidente Nazionale UICI Mario Barbuto.
La campagna integrata di Coca-Cola
Per presentare il progetto, Coca-Cola promuoverà su Linkedin e Youtube un messaggio dedicato a generare sorrisi proprio nella Giornata Mondiale dedicata a questo gesto; le lattine saranno poi presenti durante alcune delle principali iniziative dedicate alla celebrazione del centenario di UICI in tutta Italia. Con il suo messaggio positivo, anche la comunicazione di “The Smile Can” si inserisce perfettamente nella nuova strategia “Come Mai Prima”, la campagna lanciata a fine luglio a livello europeo che invita ad affrontare ogni cosa in modo diverso rispetto al passato, apprezzando da una nuova prospettiva tutto ciò che abbiamo intorno a noi.
In occasione delle celebrazioni del Centenario dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, che riprenderanno il 19 ottobre con l’incontro con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un “villaggio” itinerante toccherà quest’anno diverse città italiane, tra cui Genova, Roma, Milano, Bologna. Si potrà partecipare a esperienze sensoriali e di “donazione della voce”, dimostrazioni con il cane guida per ciechi, sessioni sportive, laboratori educativi e iniziative di sensibilizzazione in cui toccare con mano anche l’edizione limitata di “The Smile Can” di Coca-Cola, e scoprire il mondo della disabilità visiva in una luce di inclusione, indipendenza e creatività.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/the-smile-can-coca-cola.jpg7671520Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-08 16:50:352020-10-12 20:41:10The Smile Can, l’edizione limitata di Coca-Cola per la Giornata Mondiale del Sorriso
I piccoli borghi, essenza d’Italia, si spopolano: sono le grandi città ad offrire maggiori opportunità.
Il marketing territoriale, tramite lo storytelling, aiuta a raccontare la storia e le tradizioni dei cosiddetti Italian Villages e ad attrarre cittadini e turisti.
Arte, design e street art utilizzati come strumenti di valorizzazione delle tradizioni e per la ripartenza.
No, non siamo a Silent Hill, anche se c’è chi li definisce (da tempo) “paesi fantasma”. Non perché siano infestati, ma perché (sempre da tempo) c’è un costante movimento in atto.
Svuotamento dei piccoli comuni, dei cosiddetti borghi d’Italia, che rappresentano l’immagine di chi è partito per cercare fortuna altrove, soprattutto nei grandi centri urbani.
Le scuole chiudono per mancanza di bambini, le banche spostano gli sportelli, il trasporto pubblico è problematico se non addirittura inesistente.
Sì, c’è un’Italia che lotta per non sparire. E, se dovesse davvero dissolversi del tutto, sparirebbe il senso della nazione, composta anche da piccoli mondi antichi, dove c’è ancora il sapore delle vecchie tradizioni e dell’artigianato di un tempo.
Case ad un euro per richiamare gli abitanti, incentivi fiscali per aziende e nuovi residenti. La parola d’ordine è trasformare i limiti, come l’isolamento, in opportunità per turisti e nuovi abitanti. E sono sempre più i piccoli comuni che avviano proprie iniziative per attirarli.
Già, cosa c’entra il marketing contro lo spopolamento dei borghi italiani? Si tratta di una trovata pubblicitaria, magari in stile piano Marshall?
No, o almeno non solo.
Con l’espressione marketing territoriale si indica l’insieme delle strategie finalizzate alla comunicazione turistica, tramite la valorizzazione di un determinato territorio e delle sue caratteristiche naturali e architettoniche.
Uno dei mezzi fondamentali è lo storytelling, poiché di una città viene raccontata la storia: una storia che non può prescindere dalle peculiarità, dal folclore e dalle attrazioni della zona interessata.
Tutta teoria?
No, se si pensa che non molto tempo fa, Airbnb (colosso dell’home sharing) ha lanciato un piano nazionale, Borghi Italiani (Italian Villages), per contribuire alla valorizzazione di questi luoghi e delle loro comunità.
In effetti, far conoscere i piccoli centri dell’Italia rurale (e non solo) ai viaggiatori di tutto il mondo significa accendere i riflettori su paesaggi, tradizioni e saperi unici, oltre che espandere le economie locali, promuovendo un turismo sostenibile, fuori dalle rotte maggiormente battute.
In quest’ambito rientra il recupero di quattro edifici storici attraverso progetti di valorizzazione, nati dalla collaborazione fra Airbnb, le istituzioni e la comunità locale.
È il caso, ad esempio, del progetto pilota di Civita di Bagnoregio, Casa d’Artista, avviato nel 2017.
Casa Greco, edificio storico di Civita parzialmente distrutto a causa di una frana negli anni ’80, è stata convertita in una residenza di artista e servirà come “inspirational place” per comunità di artisti e viaggiatori.
E gli interni sono tutti di design: Le Corbusier, Cassina, Bitossi home, Eligo e Servomuto.
Una boccata d’arte
E se a Casa Greco gli interni sono di design, ci sono altri borghi che hanno utilizzato l’arte come strumento di marketing territoriale.
Venti borghi italiani (uno per ogni regione) ospitano installazioni di arte contemporanea per incentivare il turismo di prossimità e sostenere gli artisti italiani.
Una boccata d’arte, è questo il nome del progetto realizzato da Fondazione Elpis, in collaborazione con Galleria Continua.
Complici il turismo di prossimità di questa strana estate 2020 e la necessità di riattivare i circuiti culturali del Paese, una boccata d’arte porta installazioni di venti artisti italiani nei venti borghi selezionati.
Le installazioni, la maggior parte delle quali realizzate esternamente (giusto per essere COVID-19 free), viaggiano da nord a sud, coinvolgendo un artista per ogni borgo: Elena Mazzi a Cervo (Liguria), Clarissa Baldassarri a Castellaro Lagusello (Lombardia), Antonello Ghezzi a Santo Stefano di Sessanio (Abruzzo), Marta Spagnoli a Ronciglione (Lazio), fino ad arrivare al sud con Claudia Losi a Presicce (Puglia).
Mar(T)keting
E poi c’è la street art. In bilico tra arte contemporanea e vandalismo, tra ammirazione e contestazione, contribuisce anch’essa ad accendere i riflettori sui borghi.
Dozza, borgo dell’Emilia Romagna, è il fiore all’occhiello della street art nei borghi.
In effetti, i suoi murales sono famosi in tutta Italia, anche perché l’evento Biennale del Muro dipinto si svolge lì dagli anni ’60.
Conoscete poi Satriano di Lucania? In Basilicata. Borgo di 2000 abitanti, che conta più di 150 murales, rappresentanti leggende e tradizioni locali.
E il Borgo Marinaro di Schiavonea (Corigliano Rossano)? In Calabria. Lì il protagonista della riqualificazione è il gabbiano di Jonathan Livingstone.
L’ideatore dell’iniziativa denominata “Vivi il Borgo”, Mario Martilotti, punta a far rivivere uno dei più grandi borghi marinari della Calabria, sede, ancora oggi, della cosiddetta pesca artigianale. Si tratta di un paesino di diecimila abitanti, che non molla e riprende vita, grazie soprattutto alla determinazione dei cittadini che tengono alla propria terra.
Insomma, non resta che andare e scoprire. Dopotutto, non è necessario il coraggio di Rose e Sharon, le due protagoniste, pioniere del viaggio verso Silent Hill nella famosa pellicola.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/Immagine-del-05-10-20-alle-09.55.jpg442681Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-10-08 15:00:132023-05-15 14:14:54Marketing territoriale: lo storytelling aiuta i borghi d'Italia a riprendere vita
DBInformation entra in Ninja Marketing con l’acquisto del 51% del capitale. Mirko Pallera resta socio e amministratore della società con il 48%.
L’acquisizione della maggioranza di Ninja, edutech company focalizzata sul potenziamento aziendale per la trasformazione digitale, è tappa importante di un processo di sviluppo di DBInformation verso la diversificazione dei propri servizi alle imprese e, in particolare, verso la completa digitalizzazione della propria offerta. L’ingresso di DBI consentirà a Ninja di accelerare la crescita su nuovi settori e mercati.
Lo sviluppo di DBI, l’evoluzione di Ninja
“L’acquisizione della maggioranza di Ninja Marketing è per noi motivo di grande soddisfazione”, ha dichiarato Gianni Vallardi, amministratore delegato di DBI, che ha aggiunto:
“Abbiamo creato le condizioni per un ulteriore e rapido sviluppo di DBI in un campo, come quello della formazione digitale, in grande e continuo sviluppo. Ninja Academy è la realtà più dinamica e creativa presente sul mercato. Il suo fondatore, Mirko Pallera, rappresenta per DBI e per il mercato la massima garanzia di continuità dei programmi in corso e, soprattutto, di espansione delle attività attraverso nuovi progetti, nuovi corsi e tecnologie per la formazione digitale, nuove iniziative di marketing.”
Vallardi ha concluso sottolineando che: “Ninja è tappa importante dello sviluppo di DBI verso la digital transformation dell’azienda, che è già in piena fase di realizzazione con il supporto consulenziale di Alkemy spa. Altri passi seguiranno nella stessa direzione”.
Mirko Pallera, founder e CEO Ninja ha sottolineato: “Tutto nell’Universo si evolve verso una maggiore complessità e consapevolezza e così anche le aziende. Da oggi inizia un nuovo capitolo della saga dei Ninja. Con l’ingresso di un gruppo industriale editoriale e tecnologico come DBI nella compagine sociale ci assicuriamo maggiore solidità finanziaria, maggiore capacità manageriale, maggiore impulso commerciale. A questo si aggiungono la stessa energia di sempre, lo stesso approccio all’innovazione, lo stesso spirito ribelle e soprattutto un team straordinario in grado di realizzare l’impossibile”.
Nato nel 2004, come un pioneristico osservatorio sul marketing non-convenzionale, negli anni Ninja Marketing si è evoluto diventando il punto di riferimento per il marketing e la comunicazione in Italia.
Nel 2010 è stata lanciata anche Ninja Academy, la scuola di formazione nata per guidare i professionisti del futuro. Da quel momento il magazine e la scuola si sono evolute sinergicamente diventando insieme una piattaforma di empowerment professionale e contribuendo a formare giovani talenti che sono diventati affermati professionisti. E oggi l’obiettivo è quello di aiutare le aziende a crescere.
“L’ingresso di DBI in Ninja Marketing consentirà di accelerare i processi di crescita già in corso e di mettere in opera più rapidamente nuovi progetti finalizzati allo scaleup dell’azienda – racconta ancora il CEO di Ninja -. La nostra consolidata esperienza nel campo della formazione digitale si arricchirà e trarrà vantaggio dalla presenza di DBI, dalle sue attività, dal suo ricco data base e dalle ampie relazioni con migliaia di aziende italiane e con decine di migliaia di professionisti di diversi settori”.
Un nuovo CdA
Il nuovo CdA di Ninja Marketing è composto da Mirko Pallera, Adele Savarese, Roberto Briglia, Gianni Vallardi, Edoardo Vallardi.
Alex Giordano, dal 2015 socio di minoranza senza cariche rappresentative e operative, mantiene l’1% del capitale sociale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/ninja-e-dbinformation.jpg7991206Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-07 17:30:352020-10-08 15:01:32DBInformation e Ninja uniscono le forze, per la formazione digitale
Analisi dell’impatto del COVID19: la nuova ricerca realizzata da Extreme ha analizzato l’attività su Instagram di un panel di 600 influencer italiani.
300 specializzati nel settore travel e 300 nel food, confrontando il periodo compreso tra i mesi di maggio/agosto del 2019 e del 2020.
Cambiano i tempi, le situazioni e le condizioni ma c’è sempre un elemento che, ormai, diventa sempre più presente e, diciamolo, a volte invadente. Parliamo, ovviamente, del social media marketing, nello specifico di Instagram che non accenna a calare in termini di popolarità. Non ha bisogno di presentazioni il social delle foto per eccellenza, sappiamo bene che ormai è nel cuore e nella mente di tutti. Diteci la verità, quante volte al giorno siete connessi?
Instagram, il social dei social
“Passano gli anni, cambiano i trend, Mark Zuckerberg rilascia nuove feature per le sue piattaforme, ma il problema principale dei marketer rimane sempre uno: come faccio ad aumentare la follower base del profilo Instagram del mio brand?“ introduce così Daniela Chiorboli il suo articolo dedicato al social. Altro non conferma che il pensiero della maggior parte degli utenti è sempre lì a Instagram, neanche fosse il principe azzurro. Che poi, esiste? Certo, basta cercarlo tra gli utenti giusti!
Instagram, come dicevamo, è il social che comunica per immagini ed è per questo motivo che alcuni settori sono chiaramente più forti rispetto ad altri. Il mondo dei viaggi è quello che spopola, d’altronde come fare a rimanere impassibili vedendo una foto di un tramonto pugliese? Non abbiamo bisogno di fare il giro del mondo per stupirci!
Allo stesso modo, il settore fashion è d’ispirazione per molti: look, consigli, tendenze sono comunicati tramite Instagram e, che piaccia o meno, contano grandi numeri. Ancora, alzi la mano chi tra voi ha tra gli elementi salvati l’immagine di un particolare tipo di pasta o di una torta da leccarsi i baffi? Ebbene sì, il mondo food conquista tutti.
Sì, ma il Covid?
Nei mesi precedenti il dibattito si è spostato sull’impatto che il Covid-19 ha avuto sulle attività social dei travel e food influencer italiani e dei loro follower.
Com’è andata, ve lo diciamo subito: tra stories, foto e dirette, su Instagram i due settori hanno vissuto sulle montagne russe, con picchi e crolli vertiginosi. Infatti, se i foodinfluencer tra maggio e agosto 2020 hanno visto un’impennata del proprio engagement con 17,7 milioni di interazioni, quindi il +32% rispetto allo stesso periodo del 2019, i travel influencer hanno registrato un andamento completamente inverso, con interazioni ridotte del 15,7%, passando in termini assoluti da 23,5 milioni nel 2019 a poco meno di 20 milioni nel 2020.
A rivelarlo è Influencer Italia TRAVEL & FOOD, Analisi dell’impatto del COVID19, una ricerca realizzata da Extreme, azienda italiana specializzata nella web e social media data intelligence. Attraverso il suo osservatorio permanente e ai dati aggiornati della piattaforma di influencer assessment Extreme Social Index, Extreme ha analizzato l’attività su Instagram di un panel di 600 influencer italiani, 300 specializzati nel settore travel e 300 nel food, confrontando il periodo compreso tra i mesi di maggio/agosto del 2019 e del 2020.
Travel vs food
La ricerca ha evidenziato che il numero degli influencer attivi ad agosto 2019 e 2020 ha registrato un calo del 14% nel settore travel e solo del 5,4% nel settore food.
Nonostante la normale decrescita fisiologica di soggetti che abbandonano un’attività così competitiva, il calo nel settore travel sembra essere una conseguenza diretta della pandemia.
I follower, croce e delizia di Instagram
Un andamento confermato anche dall’attività dei follower.
Il tasso di crescita medio dei follower per influencer nell’anno del Covid19 si è fermato all’ 1,76%, contro il 2,38% del 2019. A sottolineare la sofferenza del mondo travel è anche la crescita contenuta dei follower da parte degli account analizzati: da 5,5 milioni a 5,7 milioni di follower (+3,6%).
Viva il food…
La ricerca segnala una riduzione in entrambi i settori sul numero dei post pubblicati: quella dei food influencer appare più contenuta con 14.080 post del 2020, contro i 16.114 del 2019, una percentuale dunque pari al -12,6%. Per i viaggiatori il decremento è stato ancora più significativo, pari al 24% (da 11.600 post a 8.800). Di fatto, un danno per i travel influencer e per tutti i creativi del comparto.
Anche il numero di sponsorizzazioni, con hashtag quali #ad #adv #sponsoredby #supplied sono stati ridimensionati: -33% sul volume dei contenuti pubblicati e -25% sulla media dei post promozionali per travel influencer, così come l’engagement che registra una contrazione del 18,3%. Situazione simile per il comparto food: in negativo le variazioni rispetto al 2019 circa il volume complessivo dei post con sponsorizzazioni (- 18,4%) e i post medi per influencer (-14%).
In questo caso però cresce l’engagement del 22,7%: non è difficile da immaginarlo con tutto quello che è stato impastato e sfornato!
…e viva l’Italia
Fino a febbraio 2020 l’attenzione era alta verso l’estero, poi con la chiusura dei Paesi e l’impossibilità o la paura di programmare partenze, qualcosa è cambiato. I travel influencer, per necessità o virtù, hanno riscoperto il proprio Paese. Secondo i dati elaborati, rispetto al panel degli influencer analizzato, durante l’estate del 2020 la Toscana è stata la regione più instagrammata, con 958 post, seguono il Lazio (795 post), il Trentino Alto Adige ( 773), le Marche (769) e il Veneto (713).
Prendendo in considerazione invece l’engagement, la classifica delle preferenze subisce alcune modifiche: se la Toscana rimane ai vertici in con 599.600 like e commenti, la Sicilia ottiene il secondo posto con 589.400, la Lombardia il terzo con 583.000; seguono la Campania con 572.400 e la Puglia con 530.300
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/influencer-marketing-02.jpg9211646Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2020-10-07 16:58:412021-04-07 20:58:3717,7 milioni di interazioni: i numeri di food e travel influencer su Instagram
Segnali di ripresa dal mercato Automotive: il Digital Marketing può essere la benzina giusta per innestare la potenza propulsiva definitiva.
Il 92% degli acquirenti di auto effettua ricerche online prima di acquistare e il formato video è il contenuto preferito dagli utenti.
I dati di vendita del mercato automobilistico fanno ben sperare per il prossimo futuro grazie a una lenta ripresa post-lockdown. È il digital marketing per l’Automotive l’artefice di questa faticosa rimonta? In realtà, il marketing digitale è la via che produttori e distributori hanno deciso di intraprendere già da qualche anno a questa parte. E sembra essere molto più di una semplice tendenza.
Automotive, qual è il polso della situazione?
Partiamo da un dato interessante: secondo gli ultimi rilevamenti di agosto, la domanda di auto sembra essersi stabilizzata rispetto alla voragine che si era aperta a marzo 2020 in concomitanza del lockdown. I mesi tristi di marzo, aprile e maggio sono stati più un mettere in stand-by i consumi delle famiglie italiane, piuttosto che un vero e proprio collasso economico.
Ora, coloro che in precedenza facevano affidamento esclusivamente sul trasporto pubblico o altre forme di mobilità come il ride-sharing, valutano la possibilità di acquistare un’auto nei prossimi mesi. Probabilmente mossi dalla necessità di maggior sicurezza sanitaria negli spostamenti quotidiani, in primis casa-lavoro.
Quello che emerge dal sondaggio condotto da CarGurus è che il 79% degli intervistati non ha rinunciato all’acquisto di una nuova auto, ma sta solo aspettando una situazione economica più stabile.
Ma attenzione a pensare che il concessionario stia lucidando per benino la vetrina del suo salone, in attesa che i clienti si sentano pronti per far visita al suo parco auto. L’Automotive ha smesso già da un po’ di giocare d’attesa e, ancor prima della pandemia, ha scoperto il Digital Marketing. Vediamo come.
Digital Marketing per l’Automotive, le strade si erano già incrociate
Già prima dell’avvento del Covid-19, i principali player Automotive hanno spostato focus ed energie verso il pubblico online. Pur senza calare completamente le serrande della pubblicità sui mass media tradizionali. Le restrizioni legate alle pandemia hanno solo accelerato le strategie di digital marketing già in test qualche anno prima. La digital transformation ha iniziato a fare breccia nelle opinioni di manager e responsabili di distribuzione, soprattutto negli Stati Uniti. Adesso si prova a fare sul serio anche in Italia.
In tanti si chiedono quali siano i KPI rilevanti per poter attuare una concreta strategia di marketing digitale per mercato auto e moto. Ad esempio, Treasure Data ha sviluppato un’indagine per raccogliere informazioni da oltre 30 professionisti del marketing Automotive per avere un’idea di come si svilupperà la “nuova normalità” nel mercato automobilistico. In che modo il digital marketing ottimizza l’Automotive per una ripresa a tutto gas?
L’Automotive si interfaccia con un nuovo consumatore, e lo ha capito
I responsabili marketing delle maggiori case produttrici di automobili hanno capito che il pubblico e i clienti stanno lentamente riversando la loro attenzione verso altri canali di comunicazione. Il fattore generazionale incide anche dal punto di vista della propensione all’acquisto. Chi decide di comprare un’auto, oggi proviene da un background molto diverso rispetto a quello di 20 anni fa. Sono cambiate esigenze, motivazioni, interessi verso uno specifico brand. E non ultimo, è cambiato il funnel di acquisto dell’utente medio tra i 25 e i 45 anni.
Il consumatore oggi sa come muoversi online, ma anche come dialogare in maniera diretta con l’azienda o il concessionario. Pretende un “trattamento” personalizzato: è un consumatore smart! Ergo, case automobilistiche e distributori devono spingere ancor di più sul pedale dell’acceleratore del digital marketing. Come devono farlo?
Il digital marketing per l’Automotive significa non solo rimodulare la comunicazione e i canali mediatici verso cui riversare le campagne di advertising. Ma adottare un vero e proprio metodo di acquisizione, profilazione e analisi dei dati socio-demografici del consumatore. I dati giocheranno un ruolo sempre più importante nella digital transformation dell’Automotive.
Già nel 2015, i player dell’Automotive avevano delineato un nuovo customer journey del cliente medio. I concessionari hanno circoscritto l’arco temporale del processo di acquisto medio dell’auto. Può durare grosso modo dalle 5 alle 12 settimane e in genere si sviluppa in questo modo:
L’utente stila una selezione di veicoli a cui è interessato, in base a ricerche online, recensioni dal web e il grado di fedeltà e apprezzamento verso il brand (in genere da 1 a 3 mesi prima dell’acquisto);
Successivamente, restringe la selezione in una short-list sulla base di pareri e opinioni di amici o parenti (in genere da 4 a 7 settimane prima dell’acquisto);
Il momento del test-drive è circoscritto a una selezione di massimo 3 auto (in genere da 2 a 4 settimane prima dell’acquisto);
Infine, si arriva al momento vero e proprio della scelta (in genere da 1 a 3 settimane prima dell’acquisto).
Ok, dove si inserisce il digital marketing in questo preciso calendario di conversione? Il vero punto di rottura è che la generazione della consapevolezza d’acquisto avviene online. Ecco perché:
Il 92% degli acquirenti di auto effettua ricerche online prima di acquistare.
Il 60% di tutte le ricerche Automotive proviene da un dispositivo mobile e alcune delle principali ricerche da dispositivo mobile sono correlate ai concessionari.
Il 64% degli acquirenti che guarda video online per avere informazioni sull’auto da acquistare, afferma che i nuovi formati video li convincerebbe ad acquistare un’auto senza un test drive.
Grazie a piattaforme come YouTube e alle ricerche su Google, i consumatori hanno accesso a una enorme gamma di contenuti digitali prima di comprare l’auto che cercano. In questo senso, i professionisti del marketing per l’Automotive oggi vedono moltiplicare le opportunità di posizionamento del brand, soprattutto nel momento in cui gli utenti valutano quale sia l’auto migliore per le loro esigenze.
Negli ultimi due anni, il tempo di visualizzazione dei test drive in video su YouTube è cresciuto di oltre il 65%, segnando una tendenza nel consumo di video online simile all’impennata avuta con le recensioni e gli unboxing dell’high tech di alcuni anni fa. Il futuro dello shopping automobilistico si sta decisamente spostando online.
Nuove strategie da sfruttare per il digital marketing nell’Automotive
1. Usa l’integrazione dei dati
Produttori, distributori e rivenditori hanno a loro disposizione una serie sbalorditiva di database contenenti una grossa quantità di dati sui clienti, sulle transazioni e sulle prestazioni di marketing del concessionario.
Rispetto all’offline, la tecnologia digitale fornisce un percorso alternativo fatto di strumenti di gestione dei dati sempre più sofisticati quanto a capacità di acquisire, gestire e attivare informazioni. Dov’è l’utilità di tenere questi dati separati tra loro? Perché non provare a incrociarli per fare previsioni e strutturare una customer journey personalizzata?
Il ruolo di data analysis e CRO specialist sarà ancor più rilevante per poter rispondere in maniera adeguata a una ristrutturazione del digital marketing per l’Automotive e una corretta allocazione del marketing mix.
2. Sfrutta il local business
La catena di vendita dell’Automotive potrebbe sembrare piuttosto complessa e articolata. In realtà, il punto chiave è una corretta gestione del punto vendita grazie a un piano di digital marketing ben organizzato. Se è vero che il processo di acquisto inizia online, resta ancora inconfutabile che la firma del contratto si risolva in concessionaria. Ecco perché il trend della keyword SEO “concessionario auto vicino a me”, continua a riscuotere grande successo!
Il concessionario è l’anello della catena Automotive che deve necessariamente attivarsi con campagne di digital marketing locale. Parlo di ottimizzazione per SEO locale del sito web, sviluppo di campagne di advertising impostate per un pubblico locale, una corretta gestione della vetrina di Google My Business e dei feedback al suo interno.
3. Assicurati che i tuoi collaboratori siano digital-friendly
Il concessionario non può più essere il salone auto in cui il venditore si presenta al cliente in giacca e cravatta per intraprendere una trattativa estenuante. I tuoi collaboratori devono essere tanto smart quanto lo sono i clienti che si trovano davanti. Sono persone che hanno già guardato qualsiasi tipo di video-recensione su YouTube dell’auto dei loro sogni. Hanno letto ogni tipo di articolo di descrizione tecnica. Hanno trascorso ore e ore sui forum e sul sito della casa produttrice per analizzare ogni singola specifica dell’auto. Forse la conoscono meglio del concessionario!
Il compito di chi lavora in concessionario, è solo quello di trasferire l’esperienza utente dall’online all’offline. E farlo nella maniera meno “traumatica” possibile. In un mondo in cui la digital transformation per Automotive è la prassi, l’auto è già stata venduta online e il cliente si reca in concessionario solo per assicurarsi che il suo processo di acquisto esista davvero. Il venditore deve solo accompagnarlo nell’ultimo step del funnel di conversione. Possibilmente, il personale che lavora in concessionaria dovrà padroneggiare il linguaggio di comunicazione online, dal saper gestire una diretta social al saper negoziare in modalità videoconferenza, come spiega MotorK.
4. Sfrutta la potenza del video
Un dato interessante che emerge da una ricerca di Pixability in collaborazione con Google, è che tra i primi 200 video di auto più visti dal 2017 al 2018, quelli che generano maggior engagement tra gli spettatori sono i video pubblicati da creator e video-maker indipendenti. Si tratta di professionisti del social video marketing che hanno la passione e la giusta conoscenza tecnologica per presentare all’utente online l’auto dei loro sogni, nei minimi dettagli. Surclassando i video corporate delle case automobilistiche del calibro di Mercedes, Volkswagen, Ford. Questo riflette la fiducia e la connessione personale tra gli utenti online – YouTube in particolare – e i creator per l’Automotive.
Integrazione Digital Marketing e Automotive, 3 casi di successo
1. L’integrazione dei dati CRM per BMW Mini
In collaborazione con Universal McCann, BMW Mini ha ideato un sistema per ottimizzare i metodi di engagement del proprio target: adulti interessati a un veicolo di fascia premium. Mini ha scansionato i dati delle persone inseriti nel loro sistema CRM, o perché già clienti o perché avevano dato il consenso al trattamento dei dati dopo aver visitato un canale del brand. Mini ha dunque utilizzato la digital automation per ottimizzare attività di marketing come l’invio di messaggi e notifiche push personalizzate sui dispositivi mobile. Ciò ha aumentato di 3 volte la conversione dell’utente, riducendo il costo per acquisizione del lead fino al 75%.
2. Come Opel ha sfruttato Facebook Marketplace
Nel 2018, la casa automobilistica tedesca voleva aumentare il traffico sul sito web di Opel Occasions, il portale dove poter trovare veicoli Opel usati certificati. Quando Facebook Marketplace è diventato disponibile come posizionamento pubblicitario, Opel Netherlands ha collaborato con Greenhouse, la sua web agency di riferimento, per trarne vantaggio. Sono state create campagne di Facebook Ads con obiettivo pubblicitario Conversioni ed è stata impostata la ricerca sul sito web come principale evento di conversione.
I gruppi di inserzioni mostrati su Marketplace e nella sezione Notizie hanno ottenuto prestazioni migliori rispetto a quelli mostrati solamente nella sezione Notizie. Risultati: un 20% in meno sul costo per conversione; il 27% in più sulle conversioni dalle inserzioni mostrate su Marketplace; il 15% di copertura in più sulla sezione Facebook Marketplace.
3. TikTok, BTS e Hyunday
Con oltre tre miliardi di visualizzazioni, #PositiveEnergyChallenge è stato uno dei trend TikTok più popolari dell’estate 2020. L’agenzia coreana Global Business Solutions (GBS) ha pensato bene di lanciare la campagna per conto di Hyunday con il supporto della boy band coreana BTS. Il risultato è stato un vero e proprio crack mediatico. In particolare, la casa automobilistica di Seul ha trovato il modo per comunicare la visione del brand alle nuove generazioni: promuovere la sostenibilità ambientale e condividere maggiore consapevolezza sulle auto a idrogeno. Hyunday ha da tempo consolidato la partnership con i BTS per promuovere il suo marchio EV, IONIQ, rilasciando una serie di canzoni sulle principali piattaforme video e social.
Come spiega Wonhong Cho, Executive Vice President e Global Chief Marketing Officer di Hyundai Motor Company:
Hyundai Motor e BTS collaborano per diffondere il valore della positive energy che perseguono insieme oltre che alla promozione di un veicolo specifico. La nuova gamma IONIQ è la risposta di Hyundai Motor ai problemi ambientali e alle global community legate alla sostenibilità, di cui i Millennial e le generazioni della Gen-Z sono i principali sostenitori, e vogliamo dimostrare il nostro impegno con un’attenzione sempre maggiore verso i veicoli elettrici.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/Digital-Marketing-e-Automotive.jpg9601280Nicola Onidahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNicola Onida2020-10-06 17:42:172020-10-07 18:26:19Digital Marketing e Automotive: cosa sapere per iniziare e 3 casi di successo
“The Social Dilemma” è il documentario più chiacchierato del momento. Ma di cosa parla?
La parola a chi ha reso possibile la nascita e la diffusione dei social media, ma si è pentito di averlo fatto.
Avete mai letto “Frankenstein” di Mary Shelley?
La storia la conosciamo tutti. Il romanzo è uno dei capolavori della letteratura gotica e considerato come uno dei testi pionieri del genere fantascientifico. Era il 1816, un anno in cui si verificarono anormalità climatiche e fu ricordato come l’anno senza estate. In una villetta nelle campagne svizzere, si riunì un gruppo d’intellettuali inglesi, tra cui la Shelley, che aveva appena 19 anni, suo marito Percy Shelley, uno dei poeti più importanti del periodo romantico, Claire Clairmon, la sorellastra della scrittrice, Lord Byron e John William Polidori.
In un pomeriggio freddo e piovoso, costretti in casa a causa del mal tempo, si sfidarono in una gara letteraria per scrivere una storia sul soprannaturale. Qui nacque il nostro capolavoro, “Frankenstein”, colui che sfidò le leggi divine per oltrepassare i confini di ciò che è lecito per compiere qualcosa di grande: donare la vita a chi non ne ha più.
In questa gara d’inchiostro, inoltre, Polidori scrisse “Il vampiro”, un’opera che, in futuro, avrebbe ispirato Bram Stoker con il suo “Dracula”.
Siamo noi il prodotto?
Quanti di noi, leggendo quest’incredibile storia, hanno provato pena per il “mostro” nato dal genio, o follia, punti di vista, del dottor Victor Frankenstein? Una creatura spaventosa, dagli occhi umidi e dal colore giallastro ma bramosi di sapere, di domande che non hanno avuto risposte da colui che lo ha messo al mondo. Un essere spaventato, bombardato da stimoli che non aveva mai provato, che non sapeva nemmeno che esistessero, che non aveva chiesto. Una condizione d’infelicità perenne che si trasforma in paura, e chi non proverebbe pietà per una simile situazione?
In “The Social Dilemma” si parla di questo. Siamo il prodotto di moderni Frankenstein bombardati da impulsi, scosse e desideri di cui ignoravamo l’esistenza, ma che adesso non riusciamo a farne a meno.
Sono settimane che “The Social Dilemma” impazza sui nostri profili social. Chi consiglia di vederlo, chi lo ama, chi lo odia, chi lo trova orrendo e chi una genialata, insomma come sempre l’opinione della rete si divide, ma se non lo avete ancora visto, ritagliatevi un’ora e mezza per capire davvero di cosa tratta.
Un successo tale, da diventare un pericolo? Chissà, fatto sta che Facebook (per ora l’unico tra i big del web) si è sentita in dovere di rispondere alla accuse con un comunicato ufficiale, che potete leggere qui.
Per il resto, giudicate da soli, senza farvi influenzare dal chiacchiericcio generale. Noi intanto proviamo ad analizzare più a fondo “The Social Dilemma”.
Comincia con una frase dell’artista Pablo Picasso, così giusto per rompere il ghiaccio, una premessa che suona un po’ come minaccia, o avvertimento:
«Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione».
La prima reazione che abbiamo è quella di sentirci un po’ a disagio e chiederci cosa accadrà in questa ora e mezza, ma poi tutto diventa chiaro. L’intento è uno, dare una spiegazione a un dilemma che ci stiamo ponendo da un po’ di tempo su come la tecnologia, la sua evoluzione e le potenzialità dell’intelligenza artificiale impatteranno sulle nostre vite.
Ci hanno sempre raccontato dei miracoli del progresso e del potere della connessione. Sono anni che le grandi aziende hi-tech ci narrano la favola d’Internet, di quanto stia a cuore a Facebook e agli altri social media creare relazioni tra le persone e poi, all’improvviso, crolla tutto.
Alla fatidica domanda se tutto questo ha una falla, se questo flusso di bit e byte è andato troppo oltre, gli occhi dei geni della Silicon Valley si incupiscono, velandosi di rimorso, e noi siamo lì, basiti, distratti dallo smartphone che vibra per l’ennesima notifica, fissiamo lo schermo del PC ed emettiamo un impercettibile e laconico “Ah”.
The Social Dilemma: la parola agli esperti, quelli veri
“The Social Dilemma” è un documentario di Jeff Orlowski, un regista statunitense di 36 anni, già noto per aver diretto “Chasing Coral “, un documentario sulla progressiva sparizione delle barriere coralline, e “Chasing Ice”, altro documentario del 2012 che mostra i disastrosi effetti del riscaldamento globale sui ghiacciai del Polo Nord. Trovate tutti i suoi lavori su Netflix, compreso l’ultimo, “The Scocial Dilemma”.
Qual è lo scopo del regista? Vuole far luce, vuole darci risposte, sbatterci in faccia la verità su cosa c’è dietro la macchina, all’apparenza perfetta, dei social media.
E voi direte, ma lo sappiamo come funziona, non è nulla di nuovo, siamo consapevoli della massiccia presenza della tecnologia nelle nostre vite. Va bene, ma se a raccontarvi di come funzionano gli algoritmi, la magia della persuasione, i risvolti negativi psicologici sulle persone e la monetizzazione che c’è dietro ai like e ai cuoricini svolazzanti, siano proprio coloro che sono stati i dirigenti di Facebook, Google, Pinterest, Instagram e Twitter?
Connessi in rete ma disconnessi nella realtà
Come un racconto, dove fabula e intreccio si fondono in un ibrido tra documentario e dramma, la storia comincia accompagnati dalla voce di Tristan Harris, informatico che ha lavorato come esperto di design in Google, ora presidente e co-fondatore del Center for Humane Technology.
Tristan si occupa di etica applicata alla tecnologia e ci confida apertamente i pericoli della dipendenza che i social e i sistemi di navigazione come Google possono creare in noi, riportandoci la sua esperienza. La sua voce, insieme a quella di tanti altri protagonisti che hanno fatto parte di quel sistema, ci sconcerta, ma allo stesso tempo ci mette l’ennesima pulce nell’orecchio.
Vogliamo capire il motivo di tutto questo. Il mondo sta davvero impazzendo?
Il testimone passa a Tim Kendall, ex presidente di Pinterest, che ha lavorato come responsabile della monetizzazione in Facebook per alcuni anni e ci spiega il modello pubblicitario dei social media. Ci svela come fanno i social a monetizzare e la dipendenza che creano, da cui è sempre più difficile uscire.
I social targettizzano i nostri interessi, ci vendono, e siamo noi a dar loro il consenso, con i nostri like e le nostre preferenze.
“Se non stai pagando per il prodotto, il prodotto sei tu”
Ci stanno dicendo, senza giri di parole, che siamo un bersaglio vivente da bombardare con immagini e parole, siamo da stimolare in continuazione per tener viva la nostra attenzione e concentrala tutta sullo smartphone.
Smetto quando voglio, forse
In “The Social Dilemma” è illuminante l’intervento di alcuni specialisti tra cui la dottoressa Anna Lembke, psichiatra specializzata in dipendenze. È lei a spiegarci cosa avviene chimicamente nel nostro cervello, ed è tutto riconducibile al rilascio di dopamina.
Ogni volta che pubblichiamo qualcosa sui nostri profili social, viviamo nella trepidante attesa di ricevere approvazione, una reazione, un like dai nostri amici. Quando cominciano a fioccare cuoricini, il nostro cervello produce una scarica di dopamina, che ci fa provare una piccolissima sensazione di piacere e ci porta a ricontrollare ciò che abbiamo pubblicato e a scrollare la bacheca, nella speranza di riprovare quel brivido.
I social sfruttano la vulnerabilità della psiche umana attraverso la manipolazione. Restando connessi, veniamo stimolati continuamente, un po’ come funziona con le slot machine. Tiriamo la leva e veniamo risucchiati in un vortice infinito.
Solo due settori chiamano i loro clienti utilizzatori: le droghe illegali e i software.
The Social Dilemma e l’appello ai più giovani
Inutile dire che i più colpiti da questo sistema d’incessante ricerca dell’approvazione sono proprio i più giovani. Stiamo parlando della Generation Z, ossia tutti quei ragazzi nati tra la metà o la fine degli anni ’90, fino al 2010.
Sono i più ansiosi, quelli che corrono meno rischi di tutti, che socializzano meno e preferiscono vivere in una sorta di bolla che li protegge da tutto ciò che li circonda. Una generazione senza confini fisici e mentali, ma che tende a crearsi continuamente dei limiti.
A partire dal 2011, anno in cui abbiamo raggiunto l’apice per la diffusione dei social media, c’è stato un aumento della depressione, di fenomeni di autolesionismo e dei suicidi, soprattutto tra gli adolescenti. Un clima d’insicurezza, di non accettazione, dovuto a canoni di bellezza irreali, ottenuti soltanto attraverso dei filtri finti creati su queste piattaforme.
Negli ultimi mesi, soprattutto a causa del COVID-19, abbiamo toccato con mano sempre di più quanto le fake news siano pericolose e fuorvianti. Le teorie che gridano al complotto, alla ribellione contro il sistema, tutto ciò che è cospirazionista si diffonde sui social sei volte più velocemente rispetto alle notizie reali. Il motivo? La verità è noiosa.
Nel mondo dei social media, dove tutti siamo diventati la caricatura di noi stessi, non c’è spazio per la realtà, ma si preferisce l’apparenza. Credere a teorie cospirazioniste per mostrarsi più furbi, perché se pochi ci credono significa che nessuno ha davvero capito come va il mondo. Si cerca continuamente di emergere, si ha costantemente bisogno di sentirsi speciali, ma nel modo sbagliato.
Più andiamo avanti nella visione del documentario e più riusciamo a collegare i fili tra loro e la trama prende sempre più forma. Le informazioni non sono uguali per tutti, ci spiegano. Con il sistema di geolocalizzazione e in base alla conoscenza delle nostre preferenze, Google decide cosa mostrarci. Sono in nostri feedback che scelgono. Gli algoritmi sono predittivi, si basano su previsioni grazie ai nostri dati.
Crediamo di vedere ciò che vogliamo, ma sono solo gli algoritmi che ci manovrano, e ne è un esempio Youtube con i video “consigliati per te”. Siamo spinti, tramite il rilascio dei nostri dati, a essere guidati, manovrati e manipolati nel vedere e ascoltare determinati contenuti.
Stiamo perdendo il diritto al confronto, al dialogo, crediamo di essere connessi tra noi ma ci stiamo allontanando sempre di più. Non parliamo con chi la pensa diversamente da noi perché siamo ingabbiati nella nostra bacheca popolata da persone che la vedono esattamente come noi, perché è quello che i social ci mostrano. I nostri stessi interessi, le nostre preferenze che noi abbiamo stabilito. L’oggettività è annullata.
Gli utenti sui social tendono a leggere solo le informazioni che sono allineate al loro sistema di credenze. Ciò comporta la diffusione del populismo che punta alla polarizzazione.
Cosa possiamo fare?
La minaccia esistenziale non è però la tecnologia, ma la sua abilità nel tirar fuori il peggio della società. Le piattaforme sono le uniche responsabili? No, le abbiamo create noi e possiamo fare meglio di così.
Gli esseri umani possono cambiare i sistemi della tecnologia. La nascita di internet segnò un punto di svolta, era un luogo nato per sperimentare, era un posto creativo, non è stato realizzato per permettere alla società di scivolare nel caos.
La paura più grande di tutti gli intervistati è la stessa: la destabilizzazione e la corrosione del sistema sociale.
Può l’intelligenza artificiale risolvere questi problemi? No, dobbiamo farlo noi, e dobbiamo farlo ora.
Ma…
“The Social Dilemma” non sta puntando il dito contro la tecnologia, ma sul suo utilizzo errato. Ci sono stati mostrati in 90 minuti, con dati alla mano, le problematiche dei social media, ciò che causano e la mancanza di regolamentazione dei modelli imprenditoriali.
Non ci sono leggi al passo coi tempi che garantiscano la tutela della privacy digitale. Ci sono in ballo interessi monetari che minano la libertà delle persone. Siamo noi contro uno schermo, siamo noi che cediamo noi stessi per cosa?
Jaron Lanier, considerato un pioniere dell’ambito della realtà virtuale, ha scritto diversi libri, tra cui “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social”. In “The Social Dilemma”, alla fine del documentario, ci ricorda una cosa importante:
sono le persone critiche i veri ottimisti
Esponiamoci, e non perché lo dice qualche influencer, o l’invasato di turno in qualche video contro l’uso delle mascherine. Informiamoci da fonti attendibili, leggiamo libri, guardiamo film, documentari. Cerchiamo di avere la nostra opinione, ma soprattutto ascoltiamo anche quella altrui.
Cosa possiamo imparare (o meglio non dimenticare) da The Social Dilemma?
Ogni prodotto artistico ha la sua forma, il suo tono, la sua voce. Può piacere o essere disprezzato, dipende da noi. Forse amerete “The Social Dilemma”, o lo odierete. Molti non avranno apprezzato le interviste intervallate dal “dramma” familiare creato appositamente per mostrare cosa avviene in una famiglia media a contatto coi social. Altri troveranno ipocrita la scelta di Netflix di mandar in onda un documentario che denuncia gli algoritmi predittivi quando è essa stessa a utilizzarli.
Ci sono difetti e pregi, come in ogni cosa. Ma “The Social Dilemma” ci mostra una cosa reale, sviscerata da chi ha creato, sviluppato e alla fine, rinnegato quei sistemi. Quello che possiamo imparare, la cosa più importante da far nostra è che siamo persone, non dati, non algoritmi e che siamo noi a decidere chi essere, cosa guardare, fare e ascoltare.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/netflix-cover.jpg506779Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2020-10-06 11:02:552020-10-07 18:08:09The Social Dilemma: cosa possiamo imparare dall’ultimo successo di Netflix
Questo mese partiamo dal rebranding di Richard Ginori: arte e ospitalità italiana dal 1735.
Per la terza volta nella storia, anche Intel cambia il suo logo e presenta i nuovi processori di 11a generazione.
Dal logo a un nuovo font proprietario, Scarpa evolve la sua immagine visiva per rilanciare il proprio sviluppo internazionale.
Diventiamo sempre un po’ nostalgici quando un marchio che amiamo cambia look. Rappresenta un segno del tempo passa ma anche un modo per attirare la nostra attenzione e farci appassionare a nuovi racconti aziendali.
Un nuovo marchio non prende vita cambiando semplicemente colori, suoni e logo. La strategia di rebranding deve essere un processo che unisce, oltre a dover essere allineata allo scopo aziendale. Per evitare insidie che possono far deragliare l’intero progetto, occorre pianificare in anticipo. Il tempo garantisce che la strategia sia implementata nella maniera più fluida ed efficiente possibile.
Ecco la selezione dei rebranding più importanti dell’ultimo mese, tra nuovi percorsi narrativi e contesti sempre più innovativi e moderni.
Il rebranding totale di Intel
Per la terza volta nella sua storia, Intel rinnova la sua identità con un logo minimalista. Il nuovo design sostituisce il precedente utilizzato dall’azienda dal 2006 in varie forme.
La prima caratteristica evidente è l’abbandono dell’ellisse che da sempre accompagna il gigante di Santa Clara. Il brand, che di recente è stato nominato da Forbes tra quelli con maggiore valore al mondo, rompe col passato e compie un salto nel futuro.
Il logo originale di Intel, introdotto nel 1968 (a sinistra). Il logo più recente dell’azienda, introdotto nel 2006 (a destra)
Il nuovo logo dal design minimal, con font più sobri e il quadrato come tema dominante accompagna l’aggiornamento di tutto l’ecosistema prodotti, dai server Xeon ai chip di memoria Optane.
L’aspetto più minimalista è parte di un’importante revisione del marchio, che secondo Karen Walker, Chief Marketing Officer di Intel, aiuta il gigante della tecnologia a fare meno affidamento alla sua eredità o al suo vortice iconico:
“L’aspetto del brand di Intel è significativo e ispirato alla celebre frase di Robert Noyce: “Non sentirti gravato dal peso della storia. Vai fuori e realizza qualcosa di speciale”. Questa frase è stata a lungo una fonte di ispirazione e invocazione in tutta l’azienda; è nel DNA di Intel. Il mantra che è stato la stella polare di generazioni di lavoratori verso la realizzazione di qualcosa che avesse un impatto significativo nel mondo”.
Il nuovo logo mostra un aspetto fresco e sintetizza molti elementi dei design precedenti, inclusa la “i” con il cappuccio quadrato.
Oltre al blu, utilizzato da decenni e ancora parte integrante dell’identità, il marchio si sposta verso una tavolozza di colori più ampia, aggiungendo un blu chiaro che verrà utilizzato insieme all’arancione, al nero e al giallo nelle pubblicità e in altre attività di marketing. La tavolozza colori consente inoltre a Intel di localizzare il marketing in base ai colori che risultano efficaci nei diversi mercati. Ad esempio, il rosso è importante in Giappone, quindi il marketing di Intel nel paese includerà più rosso.
L’azienda ha revisionato anche l’iconico “bong” a cinque note, il piacevole sound logo in coda a tutte le sue pubblicità.
Tuttavia, la nuova campagna è pensata per essere di natura più olistica, il nuovo look sarà infatti integrato all’intero sistema di Intel, dal packaging alle campagne digitali.
Il rebranding di Intel riflette l’impegno del marchio a rispondere alle sfide più importanti a livello globale:
“Il nostro mondo sta affrontando sfide diverse da tutte quelle che abbiamo incontrato finora. Il bisogno urgente di un’azione per risolvere il cambiamento climatico; il profondo digital divide; la mancanza di categorie sottorappresentate, di inclusione e di uguaglianza nel settore tecnologico; la pandemia e la richiesta di una nuova era di responsabilità sociale condivisa. Per affrontare tutto questo, abbiamo alzato l’asticella per noi stessi e fatto evolvere la nostra strategia di responsabilità d’impresa per aumentare la portata del nostro lavoro con gli altri per creare un mondo più responsabile, inclusivo e sostenibile, attivato grazie alla tecnologia e alle nostre azioni collettive”
Bob Swan, CEO di Intel.
Brand identity rinnovata per Richard Ginori che diventa Ginori 1735
Dal 1735 Richard Ginori rappresenta la massima espressione dell’eccellenza italiana nella creazione artistica di alta qualità in porcellana pura. L’azienda storica di Sesto Fiorentino ha annunciato che a partire da settembre opererà con un nuovo nome: Ginori 1735.
Parte del Gruppo Kering, la leggenda della porcellana fiorentina opera ininterrottamente da 285 anni producendo stoviglie in porcellana e altri elementi per la casa. Ginori vuole portare l’arte nella vita di tutti i giorni e la vita di tutti i giorni nell’arte per creare nuovi mondi affascinanti.
L’azienda nasce nel 1735 come atelier artigianale che apre la strada all’arte e all’artigianato della porcellana sotto l’egida del marchese Carlo Ginori, appena fuori Firenze.
Nel corso dei secoli, l’atelier ha evoluto il suo processo e la sua produzione unendo tecniche antiche e visione del mondo contemporaneo per produrre articoli per la casa innovativi e sorprendenti sotto la direzione di visionari come Giovanni Gariboldi, Gio Ponti e, più recentemente, Alessandro Michele.
L’iconica corona Ginori che segna il retro delle stoviglie rappresenta la più sofisticata fusione di artigianato e arte. Questa sfacciata combinazione di gusto è sempre stata al centro del marchio. La modifica del nome è supportata da una presentazione visiva e una brand identity rinnovata:
La nuova firma incarna l’audace combinazione di eredità e innovazione, presentando Ginori 1735 in lettere eleganti, sinuose e sicure. La corona rimane, come segno distintivo e scintillante che autentica e garantisce ogni pezzo di porcellana. Il restyling supporta l’evoluzione di Ginori come marchio di lifestyle e design globale, specializzato in stoviglie e articoli per la casa, rigorosamente in porcellana artigianale di altissima qualità.
“Oggi stiamo tornando alle nostre radici, cambiando nome e investendo nella nostra eredità di portare un profondo senso del luogo, un modo aggraziato e uno spirito effervescente a tutti coloro che abbracciano la nostra missione. Richard Ginori è ora, e ancora una volta, Ginori 1735”
ha dichiarato il presidente e CEO Alain Prost.
Ginori 1735 è progettato sia per celebrare il profondo patrimonio dell’azienda sia per significare una rinnovata attenzione ai gusti e allo stile di vita in evoluzione della prossima generazione di consumatori di lusso.
Nuovo posizionamento e brand identity per il 135° compleanno di Avon
Avon rafforza la sua brand image con un importante cambiamento. L’azienda mondiale, leader nel settore beauty nel canale della vendita diretta di cosmetici, dal 2019 parte del Gruppo Natura &Co, lancia la nuova campagna “Watch Me Now”.
Avon evolve il suo posizionamento per rispecchiare al meglio il brand di oggi: un marchio di bellezza innovativo, audace e inclusivo.
“Watch Me Now segna l’inizio di un nuovo capitolo per Avon. Avon si occupa di bellezza da 135 anni e siamo solo all’inizio. Continuiamo e continueremo ad innovarci ed evolvere, investendo nella ricerca, nello sviluppo di prodotti e nelle persone, per garantire che la bellezza sia democratica e accessibile a tutti” ha dichiarato Angela Cretu, CEO di Avon.
Lanciata a settembre, in occasione del 135° compleanno di Avon, “Watch Me Know” è un chiaro riferimento all’heritage di Avon come un’azienda orientata e guidata da un obiettivo comune e preciso: utilizzare il potere della bellezza per creare opportunità di business e sostenere importanti cause sociali al femminile tra cui la violenza sulle donne, la violenza di genere e il cancro al seno. La nuova campagna celebra il successo delle persone che nella vita hanno dovuto lottare per emergere.
“Watch Me Now” include una nuova identità visiva e un rinnovamento del logo, oltre ad un “tone of voice” più audace e sicuro di sé, che risulta essere più stimolante per i milioni di consulenti di bellezza e clienti del marchio.
Il nuovo logo è già apparso su prodotti e brochure e include alcuni riferimenti alle curve del logo originale Avon degli anni ‘30, con una nuova sfumatura di colore che ricorda i lineamenti del viso di una donna.
Piccolo refresh per il tridente Maserati
Il 2020 sembra essere l’anno dei rebranding dell’auto. Da BMW a Nissan passando per Rolls Royce, le case automobilistiche ci hanno incantato con i loro restyling di tendenza. Adesso tocca al marchio di auto di lusso Maserati che a settembre ha rivelato un logo aggiornato, che abbellirà la nuova auto sportiva MC20.
Il primo aggiornamento riguarda il “tridente” di Maserati, in attività dal 2005. È sparito il fulmine che colpisce la parte inferiore dell’originale, insieme al bordo ovale. Sebbene il rebranding non sia rivoluzionario, anche un piccolo cambiamento è destinato a non passare inosservato dai fan più sfegatati.
In generale il design è più moderno, equilibrato ed elegante. In effetti, eliminando elementi decorativi come il bordo e il fulmine, sembra aderire alla tendenza di semplificare il suo logo esistente, proprio come Rolls Royce.
Insieme al logo aggiornato, l’MC20 presenta una nuova versione del wordmark Maserati. Anche in questo caso, le modifiche sono impercettibili: il testo è stato leggermente affinato con elementi decorativi ridotti, riducendo l’effetto “scritto a mano” dell’originale e creando un aspetto più aerodinamico e contemporaneo.
La banca dell’oggi: Widiba rinnova la sua immagine
Banca Widibapresenta la nuova brand identity, il nuovo sito e lancia nuovi servizi open che completano l’offerta per i clienti e per la consulenza finanziaria. A sei anni dalla nascita e a un anno dalla ridefinizione del concetto di banca come ecosistema finanziario, la società del Gruppo MPS, continua a investire nel cambiamento e nell’innovazione.
La sua forma e la sua immagine evolvono nel segno della continuità innovativa che la caratterizza da sempre. Da oggi Banca Widiba si presenta al mercato con una brand identity completamente rinnovata in tutti i suoi elementi: un nuovo logo, una nuova immagine coordinata, un nuovo sito e un piano di restyling degli uffici della consulenza finanziaria in tutta Italia.
Il concept è frutto della combinazione di due elementi che hanno contribuito alla definizione del design: un profondo studio di posizionamento e una ricerca di mercato sulle abitudini e caratteristiche del moderno consumatore di servizi bancari e finanziari; l’utilizzo delle tecniche più avanzate di grafica ed experience digitale.
Il nuovo posizionamento ha l’obiettivo di rispecchiare in modo coerente la crescita e l’evoluzione di Banca Widiba. Il processo di realizzazione si è svolto, come di consueto, in modalità partecipativa con gli stakeholders, con il coinvolgimento di dipendenti e consulenti.
Il rebranding passa anche dal sito che, rinnovato nella grafica e nella instant-usability, presenta un nuovo look & feel pulito ed essenziale. La piattaforma è stata ridisegnata nel suo concept e nelle sue immagini seguendo i principi dello Z-layout, che asseconda il movimento oculare sugli schermi, permettendo di ridurre lo scroll del 30%, mantenendo il focus sui contenuti più importanti e rendendone più semplice la comprensione.
Scarpa completa il rebranding con Landor
Nuova immagine coordinata per Scarpa: dal logo a un nuovo font proprietario, l’azienda di Asolo evolve la sua immagine visiva per rilanciare il suo sviluppo internazionale. Un’operazione volta a modernizzare tutti gli elementi visivi associati al brand.
Le immagini a supporto della comunicazione alternano uno stile entusiasmante per le fotografie e un disegno dal carattere più tecnico per illustrare le caratteristiche uniche dei prodotti.
La società rimane ancorata alla lunga tradizione di eccellenza, coraggio e innovazione, simboleggiata dal pay-off “No Place Too Far”, che rimane l’unico elemento immutato del precedente sistema di identità.
Il logotipo è stato ottimizzato e reso più moderno ed espressivo senza perdere i suoi tratti distintivi. Il simbolo si è trasformato da una semplice rappresentazione del prodotto (originariamente due scarponi contrapposti) ad un segno che rimanda all’arrampicata e alla crescita personale.
Il look & feel generale risulta fresco e sfidante grazie a una color palette più estesa. La tipografia proprietaria, disegnata ad hoc e declinata in una serie flessibile di pesi e varianti, rappresenta simbolicamente i valori principali del brand: immaginazione, sperimentazione e adattabilità. Attraverso a particolari caratteri alternativi, che trasmettono tecnicità e modernità, il font diventa un vero e proprio strumento di auto generazione dell’intera gamma degli oltre 120 brand di prodotto, raggiungendo un perfetto bilanciamento tra unicità e family feeling.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/rebranding-intel-ginori-avon-maserati-widiba-scarpa-10.jpg6531160Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2020-10-05 14:22:552021-07-21 14:57:50Rebranding di settembre: Intel, Ginori e Maserati
Google lancia la sua università online, costringendo (forse) anche le università tradizionali a reinventarsi.
La proposta di Google sembra avere parecchi punti di forza, ma è davvero tutto oro quello che luccica?
Google ha lanciato la sua università online, con corsi basati sui Google Career Certificates, destinati a studenti che intendono laurearsi nelle professioni più richieste oggi nel mondo digitale.
La notizia è di qualche settimana fa e nel frattempo c’è stato modo di approfondire e verificare l’argomento, magari anche con qualche raffronto con l’offerta delle università tradizionali.
Questo è quello che abbiamo provato a fare anche nelle redazione di Ninja, andando ad analizzare una serie di caratteristiche dal piano di studi al prezzo.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalle certificazioni Google.
Google University
Non sono lauree brevi, ma corsi intensivi che hanno lo stesso valore di un percorso universitario tradizionale. Il costo contenuto permette a un numero più elevato di studenti di frequentarli e il fatto che siano online evita costi di trasferimento e strutture da gestire.
Today @google is rolling out a comprehensive new digital jobs program to help Americans get back to work, break down educational barriers by prioritizing skills, and support the country’s economic recovery. Details in my post and highlights below.
L’obiettivo di Google, come riportato dalla stessa azienda, è quello di offrire opportunità di lavoro a coloro che non possono permettersi la rata di un college americano. Come ha affermato Kent Walker, vice presidente senior per gli affari globali di Google, infatti, i corsi si basano su programmi già esistenti in azienda e servono per specializzare le persone senza laurea che lavorano nel settore IT.
L’offerta tradizionale
Le università e i corsi di specializzazione in presenza e online che tutti siamo abituati a frequentare partano da un modello completamente diverso da quello di Google. Certamente sono più onerosi, ma garantiscono anche uno sviluppo di competenze più trasversali.
Certamente non tutte le università attuano programmi per l’inserimento immediato nel mondo del lavoro, e dunque non offrono stage e apprendistato, ma il percorso spalmato su un periodo di tempo più prolungato punta a offrire un maggiore approfondimento su diverse discipline.
Google vs. tutti
Abbiamo selezionato due corsi di studi tradizionali di facoltà italiane (pubbliche e private) per operare un confronto con l’offerta formativa di Google. Ed ecco cosa è emerso:
Al momento la proposta di Google sembra avere parecchi punti di forza, tra cui la durata del percorso e la sua economicità.
C’è chi critica la mossa, sostenendo che una società privata non può e non deve paragonarsi a un’istituzione universitaria. C’è chi invece lo vede come uno sprono per gli istituti tradizionali, per reinventarsi e avvicinarsi di più alle esigenze del mondo del lavoro.
Ma davvero basta un corso di studi online per imparare un mestiere come quello dell’UX Designer (per esempio), o invece servono ore, ore e ancora ore di esperienza su campo? E voi che cosa ne pensate?
We’re still hearing a lot of enthusiasm for Google Career Certificates & we’ve had a number of questions from people asking how to sign up. Visit our certificates page to receive notifications & learn more about scholarships & enrollment. #GrowWithGoogle
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/05/google-campus.jpg569856Monica Brignolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMonica Brignoli2020-10-04 11:54:272020-10-05 21:09:12Google University o università tradizionali? Due modelli a confronto
Come ogni fine settimana, torna l’appuntamento con le principali news da l mondo dei social media.
Dalle novità sui gruppi di Facebook agli strumenti aggiornati di Pinterest per lo shopping, ti ricordiamo tutto quello che devi assolutamente conoscere questa settimana.
Galassia Facebook
Facebook ha deciso di spingere i Gruppi nel news feed. Il social ha annunciato che gli utenti inizieranno a vedere anche le discussioni che non seguono nel loro feed di notizie, e che i gruppi pubblici potranno essere trovati anche al di fuori della piattaforma, sui motori di ricerca come Google.
Tra le novità sul social anche una nuova integrazione tra i servizi di messaggistica. La piattaforma sta già testando la possibilità per chi ha un account Instagram di usare Messanger, anche se non possiede un account Facebook. Sta lavorando per integrare anche il servizio WhatsApp allo stesso modo.
Proprio su WhatsApp arriva anche un nuovo aggiornamento consentirà di eliminare immagini e video sui device di altre persone. Si tratterà in pratica di messaggi che si autodistruggono dopo essere stati visualizzati.
Su Messenger, invece, in vista di Halloween, l’app di messaggistica pubblicherà ogni venerdì un pacchetto di adesivi a tema e rilascerà nuovi effetti AR e 360, per regalare un po’ di divertimento virtuale su Messenger Rooms, in un anno che probabilmente non permetterà il classico dolcetto e scherzetto.
It’s spooky season ? We’re releasing a #Halloween-themed sticker pack and dropping new AR effects & 360 backgrounds every Friday to bring a little virtual fun to your celebrations with friends, family, and trick-or-treaters alike. #MessengerRoomspic.twitter.com/GP0XngbeY7
Sempre Facebook, infine, rimuove l’opzione del modello di attribuzione di 28 giorni per gli Ads. L’aggiornamento avverrà a partire dal 12 ottobre. L’attribuzione sarà di 7 giorni come impostazione predefinita, per rispettare i nuovi parametri di privacy.
Mondo Pinterest
Arriva il Festival dei Creator. Pinterest ha annunciato un nuovo evento che fornirà approfondimenti su come costruire una presenza sulla piattaforma e massimizzare l’engagement.
La piattaforma per la ricerca visuale, ha anche aggiunto diverse funzionalità per lo shopping. Arriveranno prima nel Regno Unito e negli Stati Uniti e renderanno più facili gli acquisti per i Pinner che visitano la piattaforma alla ricerca di ispirazione.
In breve
Twitter espande l’uso dei tweet vocali. Il social ha anche riaffermato il suo impegno ad aggiungere i sottotitoli automatici per i tweet vocali il prima possibile, in ottica di inclusione.
TikTok aggiunge più formati di duetto. Per facilitare nuove opportunità di collaborazione, la piattaforma per i video brevi ha aggiunto tre nuove opzioni alla sua popolare opzione di interazione Duets.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/05/week-in-social-1.jpg374626Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-10-04 11:14:332020-10-27 10:46:22Week in Social: dal Festival dei Creator su Pinterest alle novità per i Gruppi su Facebook
Amazon ha lanciato Amazon Luxury Stores, una sezione esclusiva a cui per ora possono accedere solo alcuni Prime members in US.
Questa nuova funzione potrebbe riposizionare Amazon e renderlo una nuova tappa per gli shopper online del lusso, cambiando il ruolo degli eCommerce proprietari.
Le conseguenze nel marketing potrebbero riguardare uno shift negli investimenti economici e di effort dei brand.
Ma Amazon non è il primo ad aver pensato a un “corner” di lusso: Tmall ha già da anni il “Tmall Luxury Pavillon”. Vediamo le differenze e quello che possiamo imparare.
La notizia è recente: Amazon ha aperto una sezione über esclusiva dedicata al lusso, Amazon Luxury Stores. Quando ne ho letto la prima volta nella mia mente si è affacciata una sensazione simile a quella dei protagonisti di Dark, un deja vu. Perché non mi suonava nuova? Un paio di scorse rapide nella memoria e ho capito: Tmall, il rivale oltre Muraglia, ha una sezione simile da anni.
Ma andiamo per ordine, prima di dare avvio a un confronto finale tra big del settore, capiamo insieme come funziona e quali sono aspetti must know della vicenda e conseguenze per i marketer.
Amazon Luxury Stores: una selezione così esclusiva che per ora è solo negli Stati Uniti
First things first: come accedere ad Amazon Luxury Stores? Questa è stata proprio la mia prima preoccupazione, accingendomi a fare ricerca per questo articolo. E quello che ho scoperto, googlando Amazon Luxury Store e cliccando sopra la pagina di Amazon è che venivo subito rilocalizzata sulla pagina US dell’azienda.
Ecco la mia prima amara scoperta. Per accedere alla nuova sezione devi essere negli Stati Uniti, store view sul resto del mondo per ora non sono all’orizzonte.
Oltre a ciò, la sezione non è aperta a tutti i residenti degli Stati Uniti, ma solo a chi ha ricevuto l’invito dal Tycoon americano.
Per ora, tutto ciò che sappiamo sulla selezione di brand presenti su Amazon Luxury Stores è che il grande protagonista è Oscar De La Renta. Che, tramite l’iniziativa di Amazon ha dato accesso anticipato a una nicchia di utenti alla nuova collezione FW 2020. Il lancio è stato comunicato attraverso un video su Instagram con protagonista Cara Delevingne sul canale del brand.
Le successive presenze – come si legge sulla landing – saranno una selezione di well-established and sought-after emerging luxury brands, quindi sia grandi pilastri che marchi emergenti.
Cosa significa tutto questo per il marketing
Possiamo provare ad immaginare le conseguenze in termini di marketing? Sì, basta guardare ad Oriente, dove l’eCommerce proprietario è già un vecchio ricordo. A titolo esemplare prendiamo la Cina, in cui più dell’85% delle vendite online fa capo ai tre leader tra i marketplace (Tmall, JD.com e Pinduoduo, dati Statista 2020).
Quote di mercato dei marketplace in Cina (Statista, 2020)
Nella user journey cinese, che potrebbe rappresentare per l’occidente un di punto di arrivo in termini di integrazione digitale, l’utente non è più interessato a portare a termine il suo acquisto su un sito di tipo proprietario. E’ abituato ad andare direttamente su Tmall a cercare il prodotto per nome e concedersi al migliore offerente.
Questa però non è certo una novità: succede già in occidente e da diverso tempo. Il tema del controllo dei prezzi è in auge da anni e riguarda tutti coloro che vedono il proprio prodotto venduto a prezzo iper scontato da terze parti. Tra cui i rivenditori su Amazon.
Difatti l’idea di aggregare tutto il mondo del lusso in una vetrina è un’ottima idea, bisogna riconoscerlo. Dà all’utente una visione di insieme, un pit stopunico e comodo e soprattutto una trustability che non può avere nel momento in cui si deve recare negli store dei singoli rivenditori terzi. (Sarà vera quella borsa? Mi viene dato un certificato?)
Cosa potrebbe cambiare con gli Amazon Luxury Stores
Ciò che cambierà veramente se gli Amazon Luxury Stores prenderanno piede saranno gli investimenti e le strategie nel marketing.
Se prima un brand era obiettivamente più interessato a rendere “appetibile” il proprio e-commerce proprietario, ora una parte dell’effort economico e strategico sarà orientato a ottenere un buon posto nella nuova vetrina Amazon e a capire come portarci traffico.
Se prima una strategia cross-channel era orientata a portare tutto il traffico di Instagram al sito proprietario per convertire, se prima per calcolare il ROI la fonte principale di informazioni era il sito proprietario, ora ci saranno anche i dati del Luxury Store di Amazon da calcolare.
Ma prima di Amazon Luxury Stores c’era il Tmall Luxury Pavillon
Per trarre delle vere e proprie conclusioni su Amazon Luxury Stores dovremmo aspettare che diventi accessibile a più utenti, che vengano rilasciati dei primi dati sulle vendite e di poterli testare con mano.
Tuttavia, possiamo fare qualche ipotesi sul tipo di tool di marketing che dovremmo imparare ad usare. Come? Sempre guardando ai più grandi con l’impresa di Jack Ma, Alibaba.
Prima di tutto, gerarchia: Alibaba è l’azienda a cui fanno capo Taobao, Tmall e Alibaba.com (per il comparto B2B). I tre marketplace – che la fanno da padrona in Cina – si differenziano per posizionamento e target. Il primo si può paragonare a un eBay (C2C), il secondo ad Amazon (marketplace B2C generalista), il terzo a niente di simile in occidente, è una piazza dedicata al B2B di varie industry.
User journey dell’utente cinese nell’ecosistema Alibaba (Taobao, Tmall Luxury Pavillon)
Nel primo schermo qui sopra l’homepage di Taobao: al suo interno si possono trovare sia prodotti venduti da rivenditori privati, sia i prodotti venduti sui flagship store ufficiali (e non) dei brand. Un po’ come su Amazon da un certo punto di vista. Le icone in alto indirizzano l’utente verso varie sezioni dell’ecosistema Alibaba: la prima icona (il gattino) indirizza a Tmall, la terza a Tmall Global (per le vendite cross border). Dall’homepage è possibile poi arrivare alla seconda schermata, che è il Luxury Pavillon di Tmall.
Il Tmall Luxury Pavillon e i flagship store di Tmall: le differenze con gli Amazon Luxury Stores
Il Luxury Pavillon di Tmall è quanto di più simile esista agli Amazon Luxury Store: una landing page che aggrega diversi brand di diversi comparti del lusso. Il pavillon è una sorta di vetrina e trampolino di lancio per i brand che vogliano testare il mercato: per accedervi non è necessario curare né aprire un proprio store, il tutto è curato più o meno completamente dalla piattaforma.
I Tmall Flagship Store
Dalla homepage di Taobao è possibile anche possibile ricercare un brand o prodotto all’interno della barra di ricerca. I risultati appaiono come nel terzo screen sulla destra: in alto ci sono i risultati sponsorizzati, che appartengono alla sezione a pagamento “Starshop”, una funzionalità di Tmall che rimanda ai flagship store ufficiali gli utenti.
Oltre a Starshop, l’ecosistema Alibaba mette a disposizione degli utenti numerosi altri tool per emergere all’interno della folla generalista: Weitao, una sorta di sezione di content marketing orientata al branding all’interno del proprio store e Good Goods, presidiato interamente dai prodotti consigliati dagli influencer.
Ecco, contestualmente allo sviluppo degli Amazon Luxury Stores, quello che possiamo immaginarci è il rilascio di nuove funzionalità di marketing e la nascita di nuove strategie, tutte atte a traghettare una nuova fetta di mercato in una nuova piazza digitale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/10/amazon-luxury-stores.jpg6531000Cecilia Lorussohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCecilia Lorusso2020-10-02 10:41:032020-10-06 11:07:49Amazon Luxury Stores: un nuovo posizionamento per il gigante dell'eCommerce?
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