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Rebranding di agosto: Rolls-Royce, Holsten e il nuovo design di Facebook

  • Rolls-Royce svela la sua nuova identità digitale per un pubblico più giovane e contemporaneo.
  • L’iconica birra Holsten torna alle sue radici, rispolverando gli archivi.
  • Facebook dice addio alla sua modalità desktop classica.

 

Come gli esseri umani, anche le aziende cambiano nel tempo e, quando lo fanno, diventa necessario una riprogettazione o un rebranding del marchio. Sono diverse le situazioni che possono spiegare questo fenomeno, come l’evoluzione dell’azienda o del mercato, l’arrivo di nuovi attori o altri eventi che potrebbero portare l’azienda a reinventarsi, cercando di differenziarsi dalla concorrenza.

Anche un marchio obsoleto può essere l’input per attivare un processo di rebranding. Come per la moda, le tendenze dei marchi vanno e vengono. Quando il marchio di un’azienda sembra antiquato, ha bisogno di essere sistemato. Come detto più volte, non si tratta solo di un cambio logo, il più delle volte parliamo di riprogettazione di un’app o di una piattaforma, di un aggiornamento del packaging o del design generale del brand. Scopriamo i casi più importanti del mese appena concluso.

Il rebranding di Rolls-Royce mostra la nuova identità digitale

Nel mese di agosto, Rolls-Royce ha presentato una versione raffinata del suo emblema Spirit of Ecstasy. La nuova identità visiva, progettata da Pentagram, mostra la famosa statuetta in prima linea rivisitata in chiave digital, una nuova tipografia e una tavolozza di colori aggiornata.

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L’azienda di auto di lusso britannica spera di rimanere fedele alla sua eredità dando al marchio un fascino più moderno. L’identità è stata reinventata per un pubblico più giovane e contemporaneo.

Rebranding Rolls-Royce

Nel corso degli anni, oltre ad automobili di lusso, Rolls-Royce ha ampliato la sua gamma proponendo bagagli, borse e altri accessori di fascia alta per i proprietari delle auto. Il nuovo brand abbraccia l’intera offerta e non riguarda solo il settore auto.

Il look aggiornato dovrebbe adattarsi al mondo digitale poiché secondo Rolls-Royce, la sua base clienti sta diventando sempre più giovane.

Il monogramma distintivo RR è rimasto lo stesso. Il team di Pentagram, guidato da Marina Willer, ha deciso che i dettagli principali, come la doppia “R”, sarebbero rimasti invariati perché hanno un valore inestimabile.

Mentre gran parte dei dettagli 3D sono stati ridotti per rendere il logo compatibile con il digitale, la figura conserva ancora una parvenza di profondità.

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Indizio che segna un cambiamento notevole rispetto all’approccio adottato da molti altri marchi automobilistici negli ultimi mesi.

LEGGI ANCHE: Rebranding di luglio: Toyota, Nissan e la fusione di FCA e Groupe PSA

Il logo aggiornato presenta una base aggiuntiva sotto la statuina, rafforzando il riferimento alla scultura ornamentale che si trova sul cofano dell’auto. La silhouette ora ottimizzata è stata accuratamente ridefinita in base anche alle recenti affermazioni sui corpi delle donne, per non attirare le critiche del pubblico.

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Il cambiamento più notevole è la direzione del logo, che è stato ribaltato orizzontalmente per canalizzare l’idea che, nonostante sia un marchio storico, Rolls-Royce è rivolto al futuro.

Il nuovo wordmark comunica silenziosamente un senso di movimento. Il marchio denominativo è supportato da un nuovo carattere tipografico: Riviera Nights, con le forme delle lettere smussate, sostituisce il carattere aziendale vecchio stile adottato finora.

“Abbiamo esaminato una cinquantina di caratteri tipografici per trovarne uno che rappresentasse il lusso senza essere apertamente decorativo. Doveva anche essere abbastanza semplice da lavorare con tutti gli altri elementi, orchestrati insieme e moderni”.

Nei materiali marketing delle auto, ai nomi viene assegnato un carattere molto distanziato che aggiunge importanza ed enfatizza i vari modelli.

L’iconica birra Holsten torna alle sue radici

Il marchio di birra tedesco Holsten ha rivelato una nuova identità visiva che mira a “rinfrescare il marchio per un mercato contemporaneo”. Poiché la popolarità delle birre artigianali è aumentata vertiginosamente, la nota birra di Amburgo ha perso terreno in quanto molti estimatori ritengono che sia prodotta in serie.

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La riprogettazione è incentrata sul riaffermare l’autenticità del marchio sul mercato, ricollegandolo alle sue radici legate alla città di Amburgo. Il design è stato realizzato a mano per riflettere l’etica del lavoro mercantile che ha costruito la città portuale, dando vita a una nuova identità e a un nuovo modello di packaging.

Il progetto è a cura di un team di Design Bridge che prima di iniziare i lavori si è recato ad Amburgo per farsi un’idea della storia della città, immergendosi negli archivi del birrificio Holsten per raccogliere informazioni chiave sulle radici del marchio. Hanno scoperto che l’icona del cavaliere era stata messa da parte e lucidata nel tempo, quindi hanno aggiunto dettagli al simbolo per dare un senso alla storia della birra. Guarda il video promozionale qui.

Il cavaliere è stato girato per guardare dall’altra parte. “Facendo voltare il cavaliere ora cavalca con orgoglio in avanti – un cambiamento significativo dal precedente guerriero armato obsoleto a un faro di leadership progressista e portabandiera”, afferma Design Bridge. Stesso escamotage utilizzato per lo Spirit of Ecstasy di Rolls-Royce.

L’approccio e il design su misura del rebranding di Holsten ha prodotto un’identità visiva unica e autentica che non sembra imitare qualcosa di esistente.

Gli appassionati di birra noteranno che l’etichetta a forma di scudo è stata rimossa dalla bottiglia e che è stato aggiunto un colore verde acqua “leggero e rinfrescante” per riflettere l’ossidazione della statua del cavaliere che si trova in cima alla torre del birrificio Holsten.

Inoltre, c’è un nuovo wordmark realizzato a mano, che attinge alla tipografia e alle etichette trovate negli archivi Holsten, anche se è estremamente simile alla versione precedente.

Facebook dice addio alla sua modalità desktop classica

Sapevi che Facebook ha introdotto una riprogettazione completa della sua versione desktop a marzo? Se non te ne eri accorto, probabilmente è perché avevi scelto di rimanere alla versione classica.

Rebranding di agosto: Rolls-Royce, Holsten e il nuovo design di Facebook

Il rinnovamento presenta una UX semplificata che vanta tempi di caricamento e di transizioni da una tab all’altra più rapidi, oltre a una modalità scura monocromatica (molto simile a quella offerta recentemente da Twitter). All’inizio la società di Menlo Park aveva reso facoltativo il cambiamento e permetteva agli utenti di passare alla modalità classica se preferivano.

Non importa quanto sei attaccato al vecchio design, presto dovrai vivere con il nuovo Facebook. Gli utenti hanno ricevuto diversi avvisi che l’interfaccia precedente sarà completamente eliminata a partire dal mese di settembre. “La versione classica di Facebook non sarà più disponibile a breve” è il messaggio di notifica.

Se stai già utilizzando l’app, tuttavia, la nuova versione desktop non dovrebbe essere tanto diversa, in quanto è stata concepita come un’estensione dell’interfaccia mobile.

Tra le modifiche principali:

  • Look più pulito, testi più grandi
  • Foto e video da guardare a tutto schermo
  • Pagine, Gruppi ed Eventi da gestire più facilmente
  • Versione Sfondo Nero, meno luminosa e meno brillante, per non affaticare la vista

Molti utenti sono insorti sui social, specialmente su Twitter, dove hanno espresso la loro opinione sul nuovo design.

Uno dei motivi per cui gli utenti odiano così tanto il nuovo design di Facebook è perché lo trovano confuso.

La confusione creata dal nuovo layout sta inducendo alcuni utenti a considerare di rinunciare del tutto al social di Zuckerberg. Purtroppo dovremo dire addio a quell’aspetto che ci ha accompagnato in tutti questi anni e che oramai ci appariva così famigliare.

L’aspetto della nuova interfaccia è moderno e piacevole da guardare. Ma come molti hanno commentato, sembra che gli ingegneri di Facebook stessero copiando il design di Twitter.

Una rassegna di Customer Experience meravigliose da cui farti ispirare

  • Nella CX, dobbiamo passare dal dire al fare
  • Quattro esempi e cinque take-away di Customer Experience da cui imparare
  • Spoiler: non citiamo Netflix, Amazon, Google e gli altri soliti noti

 

Lo sai? Disney non è solo la società di intrattenimento e magia che conosciamo. In effetti, se dico Disney Institute ti viene in mente nulla? Si tratta della società di consulenza, formazione e leadership di Disney, che opera a livello globale su centinaia di clienti da tutto il mondo.

Ma se Disney ‘di mestiere’ crea prodotti di entertainment, cosa c’entra con il Disney Institute?

C’entra, e tantissimo: perché l’azienda ha saputo sfruttare a meraviglia la sua capacità di dare vita a esperienze magiche e meravigliose. Non solo vendendole ai propri giovani e meno giovani clienti consumer, ma anche a manager, executive e amministratori delegati che desiderano progettare CX vivide e memorabili per il proprio business.

La Customer Experience non è per tutti

Già: perché oggi di customer experience parlano tutti, ma solo pochi passano ‘dal dire al fare’. Come dice Gianluca Rizzi sul Sole 24Ore, spesso la customer centricity rimane solo una questione di linguaggio. Solo in poche aziende e in pochi manager riescono a stimolare emozioni profonde sul pubblico, tali per cui lo stesso se ne ricordi per lungo tempo e si fidelizzi al brand. Anche perché progettare esperienze è complesso, e le stesse si dividono tra le seguenti tipologie:

  1. Entertainment: esperienze di puro intrattenimento, come partecipare a un concerto da spettatore o guardare la televisione.
  2. Educational: esperienze progettate a scopo formativo e didattico.
  3. Escapist: esperienze posizionate a cavallo tra le due tipologie citate sopra, ma che presentano livelli di partecipazione e immersività maggiori come suonare in un’orchestra.
  4. Esthetic: esperienze dove le persone sono completamente immerse in un’attività, senza però incidere sul suo corso in modo alcuno – per esempio, la visita a una galleria d’arte.

A seguire, elencherò quattro diversi case study di aziende leader nella customer experience da cui prendere spunto e ispirazione. Anche perché dobbiamo iniziare a pensare e progettare i prossimi mesi in cui (si spera) torneremo alla normalità, e la sfida è aperta.

Ti prometto che spazierò tra diverse industry, e soprattutto non citerò mai Amazon, Apple e Coca-Cola! ?

Alcuni esempi di Customer Experience ben progettate

Resort di Club Méditerranée

Esperienze e partecipazione sono da sempre fonte di valore, e un primo esempio sarà per molti molti familiare: il Club Méditerranée. Questo colosso è stato per lunghi anni all’avanguardia dell’industria turistica proprio per la capacità di proporre un universo esperienziale che andava molto al di là della normale offerta di beni e servizi per le vacanze.

In cosa consiste l’esperienza di partecipazione proposta dal Club Méditerranée? Tra gli altri, negli aspetti seguenti:

  • Abbandono commerciali tipici: la sostituzione del denaro con le collane di perline colorate è stata un’innovazione geniale per far allontanare i clienti dalle tentazioni e dallo stress delle spese estive.
  • Generosa distribuzione di prodotti e servizi unbranded: con l’eccezione del brand del Club stesso, ai clienti viene risparmiata la presenza delle marche, che nella vita quotidiana assillano la gente con migliaia di messaggi ogni giorno. La disponibilità di cibo pressoché illimitata fa entrare in un mondo dell’abbondanza e innalza il senso di appagamento.
  • Spettacoli e messe in scena: i palcoscenici del Club Méditerranée sono i luoghi di performance musicali, teatrali, d’intrattenimento svariatissime e di qualità, con forti capacità di coinvolgimento. Quello della teatralità è in effetti un tema caro per la progettazione di customer experience memorabili. Per citare un esempio parallelo, nella boutique Gucci Wooster, Gucci sperimenterà nuove modalità di servire la clientela. I visitatori saranno accolti da un gruppo di ambasciatori del marchio: i Gucci Connectors, in funzione di narratori, il cui scopo sarà quello di coinvolgere i clienti nella particolare narrativa della marca.
  • Rituali, giochi ed esperienze collettive: dal canto al ballo allo sport, il pubblico dei clienti è continuamente sollecitato a prendere parte diretta alle esperienze suggerite, contribuendo in modo diretto alla loro costruzione e riuscita.
  • Ritorno alla natura: le scelte geografiche del Club privilegiano luoghi di straordinaria bellezza naturale, invitando i clienti a immergersi in habitat al tempo stesso primitivi e tutelati e a vivere a fondo l’esperienza del relax.
  • Incontro e socializzazione: sia le attività collettive che altri espedienti (come le tavole per mangiare da decine di persone) spingono i clienti a uscire dal loro isolamento e provare nuovi contatti e amicizie.

Infrequent Flyers Club di Tigerair

Nel 2014 la filiale australiana di McCann ha ideato e sviluppato per la compagnia aerea low-cost Tigerair Infrequent Flyers Club. Una campagna di comunicazione creativa e intelligente fatta partendo da un insight: a causa dell’elevato costo del biglietto, il 77% degli australiani vola meno di tre volte all’anno.

In risposta a un dato così deprimente per una compagnia aerea locale, la stessa ha così pensato e promosso un nuovo loyalty program: un club online che si è dimostrato capace di arricchire i database aziendali con più di 500.000 nuovi contatti, presentato in un modo scherzoso e con una serie di servizi (o meglio, disservizi) opposti a quelli proposti dai programmi dedicati ai passeggeri che utilizzano di frequente gli aerei:

  • necessità di scegliere
  • stampare e ritagliare la membership card
  • possibilità di visionare dal sito web il menu dedicato, ma con la necessità però di doverlo cucinare a casa propria

Considerata la sua effettiva, enorme inutilità, la stessa card si è di fatto trasformata in un memorabilia esperienziale capace di suscitare l’ilarità dell’utente e, al contempo, di spingerlo a valutare la compagnia aerea con un occhio differente rispetto al passato per fuggire dalla possibilità di subire davvero una simile esperienza. ?

VR Distillery Experience di Jack Daniel’s

Se da un lato progettare esperienze ha un costo per le aziende, d’altra parte tale sforzo costituisce un investimento ancora maggiore, per via del grande numero di variabili progettuali necessarie e della loro forte taratura sulle specificità del singolo individuo. La sfida diventa allora comprendere in che modo ottimizzare il trade-off. Media e strumenti digitali offrono ancora un’elevata scalabilità da cui trarre vantaggio.

Grazie all’evoluzione esperienziale, un brand e un’icona culturale come Jack Daniel’s ha compiuto un vero miracolo commerciale: mantenere nel tempo il prodotto immutato nella sua ricetta originale, senza però scalfire la propria iconicità e coolness grazie alla continua innovazione nelle esperienze proposte ai pubblici. Esempio eccellente è la VR Distillery Experience: un video immersivo dove l’utente connesso può ascoltare la storia del celebre whiskey e al contempo guardare le immagini proposte durante la narrazione con panoramiche a 360°, immergendosi così di fatto in essa da protagonista. L’interlocutore può dunque “perdersi” all’interno del mondo di marca, ma è posto al contempo in una condizione più attiva, calato come protagonista della narrazione capace di giocare una parte significativa all’interno della storyline.

Supermarket of the Future di Barilla

Uno dei più grandi orgogli italiani, è Barilla. Un’azienda che nei decenni è stata capace di reinventarsi sempre, andando al passo con i tempi e comprendendo in pieno – cavalcandole! – le mutazioni culturali.

E proprio in queste settimane, proprio Barilla sta dando vita a un progetto che non solo guarda il futuro, ma lo accelera: si tratta del Supermarket of the Future aperto a Milano, progettato da Carlo Ratti Associati. Un supermercato con etichette aumentate, monitor che offrono informazioni nutrizionali sugli alimenti e tanto altro ancora.

I take-away di Customer Experience

Quali linee progettuali possiamo trarre da questa carrellata di casi interessanti, digitali e non solo, dedicati alla customer experience?

  1. Effetto WOW: la prima emozione per efficacia del marketing, è la sorpresa. E allora studia il cliente e… sorprendilo!
  2. Stimoli positivi: soprattutto in questo periodo, i clienti non vogliono avere bad vibes. allontana le emozioni negative, avvicina quelle positive.
  3. Memorabilia: lascia sempre un artefatto – possibilmente fisico – che il cliente può posizionare all’interno della propria quotidianità, e conseguentemente ricordarsi della bella esperienza.
  4. Portafoglio di esperienze: progettata la prima esperienza e nel rispetto della brand consistency, prendici gusto. Riuscire a creare un ricco portafoglio di esperienze correlate e integrate tra loro non solo rafforza e rende più vivace la brand promise, ma genera anche risultati di business sorprendenti attraverso nuove forme di ricavi e nuovi modi di interagire con i pubblici. Come integrare al meglio le diverse esperienze, in un’ottica di portafoglio e ottimizzazione? Attraverso l’individuazione di connettori esperienziali capaci di fungere da collante e filo rosso per le esperienze di marca – pensa alla sicilianità per Dolce&Gabbana.
  5. CX totale: se l’esperienza in sé è fondamentale, i memorabilia sottolineano l’importanza della più ampia gestione e ottimizzazione anche delle fasi successive al momento di erogazione della CX. È la stessa esperienza che lo richiede: gli effetti sulle persone non si esauriscono infatti durante la sua fruizione.
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Il Design Thinking per far crescere il tuo business (e guardare al futuro con meno incertezza)

  • Secondo una survey di McKinsey, il 90% dei dirigenti concorda sul fatto che il COVID-19 avrà un impatto significativo sulle esigenze dei clienti e potrebbe presentare nuove opportunità, ma solo il 21% ritiene di avere ciò che è necessario per innovare il proprio modello di crescita.
  • L’approccio strutturato e creativo del design thinking può aiutare le aziende a riconnettersi con i propri consumatori, innovare e uscire da una fase di stallo.

 

Cambiamento, innovazione, incertezza. Da quando è arrivato il Covid-19, queste tre parole sembrano sfrecciare tra i corridoi delle aziende, sia quelle vuote, con i dipendenti dislocati in smart working, sia quelle piene, che hanno cercato di ripristinare una sorta di “normalità distanziata”.

Il Covid-19 ha accelerato il cambiamento? Ha dato uno sprint all’innovazione? Non per tutti.

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Nei prossimi paragrafi analizzeremo la situazione di stallo che molte aziende stanno vivendo, in contrasto a un cambiamento veloce di abitudini dei consumatori. Proporremo successivamente l’approccio pratico del design thinking e del Proof of Concept per riconnettersi ai bisogni delle persone e innovare in modo agile e a piccoli passi, riducendo il rischio di fallimento.

LEGGI ANCHE: Accelerazione digitale e Post COVID-19: come si evolveranno le tecnologie

Business Continuity e prudenza

In questi mesi di incertezza alcune aziende hanno visto una grande opportunità di cambiamento, innovazione e guadagno, hanno intrapreso nuovi percorsi e agito sul loro business model. Altre invece, hanno tirato i remi in barca, adottando un approccio prudente, tagliando le spese e rimandando gli investimenti a un futuro meno incerto.

Secondo una survey di McKinsey dello scorso aprile, su più di 200 aziende il 90% dei dirigenti concorda sul fatto che il Covid-19 avrà un impatto significativo sulle esigenze dei clienti e potrebbe presentare nuove opportunità, ma solo il 21% ritiene di avere ciò che è necessario per innovare il proprio modello di crescita.

Negli ultimi mesi, eccetto le aziende del settore pharma e medical, tutte le altre hanno ridotto significativamente gli investimenti in innovazione.

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LEGGI ANCHE: Come cambiano le abitudini di acquisto dei consumatori durante l’emergenza Covid-19

La prudenza emerge anche in ambito startup. Dall’inizio del Covid-19 si è registrat0 un meno 20% di finanziamenti di Venture Capital a livello globale e un atteggiamento più severo degli investitori che esaminano il potenziale delle startup.

Come biasimare del resto un comportamento prudente di un imprenditore, che in pochi mesi si è trovato davanti una situazione fuori controllo, i titoli in borsa crollare e anche le più grandi aziende vacillare.

Dall’altra parte tuttavia i bisogni dei consumatori sono cambiati e stanno nascendo nuove esigenze. Per quanto possiamo tirare i remi in barca è impossibile chiudere gli occhi e non assecondare un processo di cambiamento in atto.

Riconnettersi ai consumatori

Ciò di cui le startup e le imprese hanno bisogno per innovare sono: adattamento al mercato del prodotto/servizio (product-market fit) e buy-in (sia che provenga da Venture Capital esterne o stakeholder interni).

Con product-market fit intendiamo un prodotto che incontra i bisogni dei consumatori e del mercato. Potreste pensare che non sia una novità, è vero, ma sarete stupiti nel sapere che ben il 70% delle startup fallisce, tra i motivi principali, proprio per la mancanza di product-market-fit. Succede anche nelle grandi aziende, pensiamo ai Google Glass, un’innovazione che non ha incontrato il favore del mercato.

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LEGGI ANCHE: Come cambiano le regole del Business nella recessione guidata dal Covid-19

Il Covid-19 ha amplificato la disconnessione tra prodotti/servizi e mercato. Oggi anche se disponiamo di dati storici sui nostri clienti, potrebbero non essere più validi, perché la pandemia ha modificato i loro comportamenti ed è necessario quindi indagare su nuovi problemi e bisogni che incontrano. Per esempio sono aumentati di importanza nel processo decisionale fattori come la sicurezza, la convenienza, il prezzo. Questa situazione tradotta in un caso pratico, ha portato per esempio nelle strutture turistiche una maggiore flessibilità sui termini di cancellazione delle prenotazioni.

Un altro punto da considerare è la corsa al digitale, con aziende, soprattutto retail, che trasferiscono il loro business in portali online, puntando tutto sulle esperienze digitali modello Amazon. Sicuramente è un aspetto importante, ma non è detto che sia la soluzione e l’innovazione migliore per tutti. Percorrerla senza indagare potrebbe portare a investimenti sbagliati. Proprio in questo contesto di incertezza il design thinking rivela il suo grande potenziale.

Cos’è il Design Thinking

Il design thinking è un approccio e una filosofia, un processo creativo, strutturato, human-centric focalizzato sulla soluzione di problemi complessi in modo veloce, collaborativo, innovativo. Si può applicare ad ogni progetto, che sia la logistica del magazzino, la creazione di un nuovo prodotto, ma anche un progetto di vita (Life Design).

La persona nel design thinking è al centro del processo e si sviluppano soluzioni per risolvere suoi problemi e bisogni. Secondo il design thinking nel problema si nasconde l’opportunità.

L’approccio è usato da moltissime grandi e piccole aziende, come Google, Apple, General Electric, Airbnb, IBM. Alcune delle quali hanno creato anche processi personalizzati di Design Thinking, come il Design Sprint di Google.

Il modello e processo più conosciuto è quello della Stanford University (guida completa), che prevede cinque fasi: empathize, define, ideate, prototype, test.

Il processo nel design thinking non è rigido e da intendersi a ciclo continuo e non lineare. I risultati ottenuti nella fase di test, per esempio potrebbero non essere quelli sperati e in questo caso si inizia di nuovo con la fase uno di ricerca con gli utenti, oppure si può tornare indietro nella fase prototipo e aggiungere nuove funzionalità al prodotto da testare e così via.

Vediamo ora in modo dettagliato ogni fase.

LEGGI ANCHE: Cos’è il design thinking e come funziona, spiegato con un esempio concreto

Empathize

Lo scopo di questa prima fase di ricerca è comprendere i bisogni e i problemi degli utenti, mettersi nei loro panni, ascoltarli attivamente, osservarli e immedesimarsi nel problema senza giudicare.

Esistono diverse tecniche e strumenti per empatizzare con i propri clienti e utenti:

  • Interviste
  • focus group
  • survey
  • user test
  • ricerca etnografica
  • osservazione sul campo

Define

In questa fase del design thinking si fa chiarezza. Si uniscono le informazioni raccolte nella fase uno, si analizzano e sintetizzano per la definizione del problema o problemi (problem statements). Si definiscono inoltre gli elementi e obietti SMART (specific, measurable, attainable, relevant, time-bound) per giungere alla soluzione.

I metodi e strumenti che possono essere utilizzati sono: user stories, personas, diagramma di affinità.

Ideate

Nella fase di ideazione si generano idee creative, fuori dagli schemi, con lo scopo di esplorare più soluzioni diverse ai problemi definiti in precedenza. In questa fase si coinvolgono più persone anche appartenenti a team esterni e diversi proprio per favorire la contaminazione di idee. Possono nascere in questa fase idee per creare il product-market fit, oppure qualcosa di totalmente nuovo.

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design thinking: brainstorming

Metodi e strumenti che possono essere utilizzati in questa fase: brainstorming, storyboard, mindmap.

Prototype

Infine dalla raccolta, analisi e sintesi di idee si estraggono quelle che si ritengono più fattibili e con un impatto maggiore. Si costruiscono quindi dei prototipi.

Il prototipo è da intendersi come una bozza economica, flessibile, semplice e veloce della soluzione. Serve per testarne le funzionalità insieme all’utente, senza rischiare grandi investimenti o perdite di tempo.

design thinking: prototype

Può essere realizzato in qualsiasi modo, anche i più creativi a seconda del prodotto o servizio: su carta, con il DAS, con una simulazione del servizio attraverso role-playing, con oggetti stampati a basso costo in stampa 3-D. L’ideale è che l’utente possa interagire con il prototipo.

Per esempio nel caso di un software, possono essere riprodotti su carta diversi prototipi su cui l’utente può lavorare, per far capire ai designer come esegue delle attività.

Test

Con il prototipo in mano testiamo la soluzione con il gruppo e la nicchia di utenti con cui abbiamo empatizzato nella fase uno. Concretamente in questa fase, mentre l’utente testa la soluzione raccogliamo feedback che ci porteranno in diverse direzioni, o a realizzare il prodotto finale su quel prototipo oppure tornare alla fase di ideazione con nuove idee da prototipare e testare, o ancora a modificare il prototipo aggiungendo altre caratteristiche.

Il vero valore aggiunto del design thinking è la riduzione del rischio, lavorando a fasi iterative e coinvolgendo direttamente l’utente finale nel progetto. Quest’ultimo ci fornisce risposte prima di fare un grande investimento e ci permette di realizzare un servizio o un prodotto di cui ha veramente bisogno.

LEGGI ANCHE: Come creare dashboard strategiche grazie al Design Thinking

Il design thinking di Uber Eats

Uber Eats è una startup e piattaforma di food delivery lanciata da Uber nel 2014 a San Francisco. Il servizio è presente in oltre 650 città del mondo con la mission di fornire cibo buono, senza sforzo e ovunque.

Uber eats utilizza l’approccio design thinking. Per entrare in empatia (Empathize) con gli utenti, i designer di Uber Eats visitano regolarmente i lavoratori dei ristoranti, i corrieri e si siedono a casa dei loro clienti mentre ordinano il cibo. Nel momento in cui devono lanciare un nuovo prodotto, intervistano i futuri clienti e li osservano mentre utilizzano prodotti concorrenti. Si mettono insomma nei loro panni, guardando al servizio con il loro punto di vista e individuando così problemi ed esigenze che possono risolvere.

design thinking uber
Successivamente nella fase di definizione (Define), i designer raccolgono le osservazioni e definiscono il problema, non semplicemente da un punto di vista logistico, ma con le informazioni raccolte sul campo osservando direttamente gli utenti e i partner con le difficoltà anche emozionali che incontrano.

Nello step ideate si coinvolgono persone provenienti da team diversi (es. marketing e sviluppo) per incoraggiare l’ideazione e la creatività da prospettive e esperienze differenti. Le sessioni di ideazione hanno per esempio portato alla creazione dei ristoranti virtuali Uber Eats.

Si passa poi al prototipo (Prototype) e alla fase di test. Funzionalità sulla piattaforma come “Più richiesti” sono state originariamente proposte come esperimento dal team operativo di Toronto di Uber Eats. Dopo aver sviluppato, rilasciato e convalidato rapidamente i vantaggi di questa funzionalità, designer e sviluppatori hanno collaborato per creare la versione finale con i feedback ricevuti e lanciarla nei mercati globali.

Proof of Concept

Per ridurre ulteriormente il rischio di investimento oppure per presentare la propria idea con lo scopo di convincere internamente o esternamente a proseguire e investire negli step successivi, si può unire il processo di design thinking a quello del proof of concept.

Una prova di concetto (POC) è un piccolo esercizio per testare l’idea o l’ipotesi di design. Lo scopo principale dello sviluppo di una POC è dimostrare la funzionalità e verificare un determinato concetto o teoria, che può essere raggiunto nello sviluppo. La prova di concetto è diversa dalla prototipazione, in quanto quest’ultima è già una bozza del prodotto e servizio, ne testa le funzionalità, l’interazione. Mentre una POC mostra che un prodotto o una funzionalità può essere sviluppata, un prototipo mostra come verrà sviluppato.

prototype
Il grande vantaggio nella prova di concetto è arrivare a un risultato in una fase ancora precedente del prototipo e concretizzare velocemente l’idea senza concentrarsi già sul prodotto o servizio da realizzare. La POC può essere nell’aspetto anche totalmente diversa dal prototipo, perché come abbiamo detto lo scopo è testare il concetto.

Babbly

Un esempio di prova di concetto è quella realizzata dalla startup Babbly. Maryam Nabavi, un ingegnere aerospaziale il cui figlio ha mostrato difficoltà con lo sviluppo del linguaggio, ha avuto l’idea di sviluppare Babbly, un’app basata sull’intelligenza artificiale che consente ai genitori di monitorare lo sviluppo del loro bambini e analizzare le loro abilità linguistiche e sociali. I wireframe realizzati come prototipo non erano sufficienti per convincere le VC a investire. Volevano la prova che potesse effettivamente sviluppare un algoritmo in grado di identificare la vocalizzazione di bambini e adulti. Nabavi ha quindi realizzato una Proof of Concept in poche settimane, grazie a cui, Babbly è stata in grado di chiudere $ 250.000 di finanziamenti e vincere diversi premi, prima ancora che il prodotto fosse sul mercato.

Per le startup testare le idee con una Proof of Concept permette di attirare investimenti dimostrando la validità dell’idea. Per le aziende affermate con un prodotto già sul mercato, lo sviluppo di una Proof of Concept può essere utile per testare nuove idee di funzionalità, senza dover bruciare i soldi e il tempo necessari per costruirle completamente.

Uscire dalla fase di Stallo

Lavorare in modo agile e veloce non è facile per molte aziende. La prospettiva di allinearsi attorno a un’idea e capire che prima di arrivare alla risposta giusta si potrebbe fallire fa paura e molte aziende vogliono solo le risposte giuste. Questo porta all’inerzia e allo stallo verso l’innovazione, aggravata dall’incertezza di un periodo, che non ha risposte giuste.

Rischiare ora con investimenti avventati è una follia, rimanere fermi lo è allo stesso tempo. Gli approcci di Design Thinking e Proof of Concepts forniscono in modo molto concreto, veloce e flessibile una strada per cambiare senza stravolgere l’azienda e andare oltre le reticenze di manager e imprenditori che cavalcano il detto “abbiamo sempre fatto così”.

instagram stories

Branded Content su Instagram, come usarli correttamente

  • I branded content su Instagram sono post o stories pubblicati in partnership con un brand, ma sono diversi dalle ads.
  • Per lavorare con i branded content, devi prima configurare opportunamente il tuo account.
  • Con Brand Collabs Manager puoi trovare suggerimenti utili e visualizzare gli Insights dei contenuti partner.

 

Vuoi collaborare con brand e influencer per creare contenuti Instagram, o lanciare campagne di influencer marketing? In questo articolo vedremo la differenza tra branded content e post sponsorizzato, come gestire e analizzare le partnership e come taggare un Business Partner in un post o nelle Stories. Scoprirai anche uno strumento che ti aiuterà a trovare potenziali creator con cui collaborare.

Branded Content

Cosa sono i Branded Content su Instagram?

Il “branded content” appare quando un creator o un editor pubblicano contenuti e dichiarano di aver ricevuto un compenso per quel post. Questa divulgazione nei contenuti brandizzati non è facoltativa. Le normative FTC richiedono di dichiarare se stai promuovendo contenuti per cui sei stato, in qualche modo, compensato.

Tuttavia, i branded content non sono ads. I post sponsorizzati sono ciò che vedi quando si tratta di un’advertisement vero e proprio. I branded content o le partnership sono semplicemente sistemi utilizzati dagli influencer per creare contenuti dopo aver ricevuto una sorta di “sostegno” finanziario.

Uno dei principali vantaggi dei contenuti brandizzati e di Brand Collabs Manager è che sia i brand, che gli influencer hanno accesso alle informazioni, in modo che il partner non dipenda al 100% dall’influencer per i dati sulle prestazioni post.

Approvare o richiedere partnership con l’account Business o Creator

Per lavorare con i branded content su Instagram, devi prima configurare il tuo account per utilizzarli. Taggare un partner del tuo brand è diverso dal modo in cui tagghi normalmente le persone in un post di Instagram.

Per accedere alle impostazioni dei branded content nel tuo account, vai al tuo profilo aziendale o creator e tocca il pulsante a tre righe nell’angolo in alto a destra. Quindi seleziona Impostazioni nella parte inferiore del menù.

Branded Content su Instagram, profilo

Se hai un profilo aziendale, tocca l’opzione Business nella schermata successiva. Se sei un profilo creator, seleziona Creator. Ora vedrai una serie di opzioni, tra cui Branded Content. Se non vedi queste opzioni, probabilmente hai un profilo personale: i branded content sono disponibili solo per gli account aziendali e i creators.

L’opzione “branded content” consiste nell’approvare manualmente i tag. Per impostazione predefinita, l’impostazione è già attiva ma puoi disattivarla se vuoi consentire a chiunque di taggarti.

Quando selezioni Richieste di tag, vedrai eventuali richieste in sospeso da account che vogliono taggarti.

Per visualizzare un elenco dei tuoi partner, tocca Partner commerciali approvati. Se desideri aggiungere un brand partner, cerca il nome dell’account nella barra di ricerca e tocca il nome del brand per aggiungerlo al tuo elenco di account approvati.

Impostare Brand Collabs Manager

Facebook ha recentemente lanciato uno strumento chiamato Brand Collabs Manager, e dato che Instagram è un marchio Facebook, lo strumento può essere usato anche per i contenuti su Instagram.

Brand Content Manager, branded content

L’impostazione di Brand Collabs Manager funziona meglio da desktop piuttosto che da smartphone. Dopo aver effettuato l’accesso al tuo account Facebook, accedi a facebook.com/collabsmanager.

La pagina verrà visualizzata per impostazione predefinita nella visualizzazione creator. Se hai un profilo aziendale Instagram, fai clic sull’opzione Iscriviti come inserzionista.

Facebook ti presenterà un elenco di pagine aziendali che gestisci. Seleziona la pagina Facebook collegata all’account Instagram che vuoi utilizzare. Digita il tuo indirizzo email, seleziona la casella Accetto i termini di servizio e quindi Invia.

Taggare un Business Partner nei post

Dopo aver impostato Brand Collabs Manager e aver configurato i tuoi partner per i branded content, sei pronto per iniziare a creare contenuti con loro.

Per taggare un brand partner in un nuovo post del feed di Instagram, crea il post come faresti normalmente. Nella schermata Nuovo post, clicca Impostazioni avanzate. Quindi seleziona Tag Business Partner.

Branded Content nei post

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A questo punto, digita il nome dell’account con cui vuoi collaborare. Se il nome dell’account appare disattivato, non ti ha ancora approvato. In tal caso, tocca il nome e seleziona Invia richiesta. L’account del brand potrà vedere la richiesta di tag.

Appena il tuo account viene approvato, il nome del partner sarà selezionabile quando lo cerchi in Tag Business Partner. Dopo aver toccato il nome, il tuo partner verrà elencato accanto a Tag Business Partner nella schermata Impostazioni avanzate.

Ora termina il post e pubblicalo. Una volta finito di pubblicarlo, vedrai l’etichetta “Paid Partnership With” sul contenuto.

Se, invece, sei proprio tu il brand che qualcun altro sta taggando nei  contenuti, gli altri dovranno seguire questi stessi passaggi per configurare il tagging.

follower su instagram

Taggare un Business Partner nelle Instagram Stories

Ora vedremo come creare Instagram Stories con i branded content. Vai alla schermata Stories: seleziona un’immagine o scatta una foto, poi seleziona l’icona del link nella parte superiore dello schermo. Vedrai più opzioni, a seconda delle funzionalità del tuo account, ma quella che t’interessa è Tag Business Partner. Cerca il nome del marchio che desideri associare e, quando lo vedi, selezionalo. Potrai vedere quell’account elencato come Partner con marchio etichettato. Tocca il segno di spunta in alto a destra nella schermata per procedere.

Completa la story con gif, filtri e adesivi che desideri utilizzare. Quindi pubblicala, e vedrai l’etichetta “partnership a pagamento” nella parte superiore dello schermo.

Anche il tuo partner riceverà una notifica, e potrà vedere il post in cui lo hai taggato. Tuttavia, il partner non può condividere il post nelle sue stories. Eventualmente puoi menzionarlo, ma comunque non potrà essere condiviso nelle Instagram Stories di quell’account.

Se sei stato taggato in una story come brand partner, riceverai una notifica da Instagram. Tocca l’opzione Branded Content nella schermata Attività. Leggi la notifica per vedere la storia in cui sei stato taggato e, nell’angolo in basso a destra della storia, tocca il pulsante con tre punti per aprire un menù a comparsa. Se pensi di essere stato taggato in modo improprio e non si trattava di una partnership a pagamento, puoi scegliere Rimuovi dal post per rimuovere quell’affiliazione di partnership a pagamento.

facebook instagram post perfetto

Trovare nuovi creator per le collaborazioni

Una delle caratteristiche più divertenti di Brand Collabs Manager è che puoi trovare suggerimenti per i creator con cui collaborare. Scorri verso il basso nella homepage per visualizzare un elenco di creator suggeriti.

Vai su Visualizza tutti i creator per avere l’elenco completo di potenziali partner del tuo brand. Otterrai alcuni semplici dati della pagina Facebook di ogni account, incluso il numero dei follower e il coinvolgimento medio dei post, per sapere come agiscono su Facebook.

Se trovi un creator adatto per i branded content, clicca sulla miniatura per visualizzare ulteriori informazioni sulle performance della sua pagina Facebook. Vedrai un elenco di altri partner con cui ha collaborato in precedenza, esempi di branded content che hanno creato e le metriche per la loro pagina Facebook, inclusi i dati demografici target.

Se selezioni Contatto, verrà visualizzato un modulo preformattato che ti consentirà di inviare a quel creator un messaggio diretto per proporgli una partnership con te.

Brand Content Manager Insights

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Scoprire gli Insights dei branded content

In Brand Collabs Manager, puoi anche visualizzare gli Insights per qualsiasi branded content in cui sei stato taggato o che hai creato tu stesso.

Al centro della homepage vedrai i dati sul rendimento dei tuoi post. Clicca Visualizza tutti i post per andare alla scheda Insights. Puoi anche accedere dalla barra di navigazione a sinistra.

Nella dashboard di Insights puoi alternare tra due opzioni, nell’angolo in alto a destra:

  • Pubblicato da Partners mostra tutti i contenuti che altre persone hanno creato taggandoti;
  • Pubblicato da te mostra tutti i contenuti brandizzati che hai creato.

Al momento, le metriche in questa scheda sono molto generiche in termini di reach, impressions ed engagement, ma potranno darti qualche indicazione su come sta andando il post.

Per un normale post nel feed di Instagram, vedrai anche i dati demografici del pubblico, tra cui età e sesso.

Per le Instagram Story, la scheda Insights dei post mostrerà la reach e le impressions. Clicca sulla scheda Story Metrics per vedere Tocchi in avanti, Tocchi indietro, Uscite e Risposte.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

In sintesi

Dopo aver letto questo articolo, saprai configurare e gestire professionalmente i branded content come un influencer, sarai in grado di usare Brand Collabs Manager per visualizzare i tuoi suggerimenti e trovare potenziali influencer e creator con cui collaborare.

ecommerce post covid

Alla ricerca dell’eCommerce perfetto: cosa vogliono le persone oggi?

  • Nel settore eCommerce, a maggio 2020 sono stati registrati 2 milioni di utenti in più rispetto all’anno precedente, mentre per fine 2020 ci si aspetta una crescita del 26%.
  • Quando pensiamo all’eCommerce, il nostro Top of Mind è Amazon.
  • Scopriamo i fattori chiave di un buon eCommerce dal punto di vista dei consumatori in era post-covid.

 

Che in Italia le imprese dovessero digitalizzarsi non l’avrebbe dovuto far capire il Covid, ma tant’è. Ci è voluta una pandemia, ma sono tantissime le aziende che ora stanno correndo una maratona – senza alcun riscaldamento – per arrivare all’obiettivo “digitale”.

L’eCommerce, lo scrivono da Il Sole 24 Ore ad Agi, è cresciuto. Assurdo scrivere “grazie al” Covid, ma le cifre parlano chiaro: a maggio 2020 sono stati registrati 2 milioni di utenti in più rispetto all’anno precedente, mentre per fine 2020 ci si aspetta una crescita del 26% yoy (Netcomm). E allora, cosa stiamo aspettando? Prendiamo tutti quanti la rincorsa e buttiamoci su Amazon… O no?

Mai come ora, con i reparti finance dalla parte del marketing, è importante valutare bene tutte le possibilità ma soprattutto inquadrare cosa desiderano realmente gli utenti.

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Crescita e-commerce durante il periodo del lockdown

Partiamo dalle basi: lo standard irraggiungibile di Amazon

Quando pensiamo all’eCommerce, il nostro Top of Mind – ciò che nel marketing è il primo ricordo del consumatore – è Amazon.

Il gigante delle vendite online negli anni ha stabilito un benchmark da inseguire. I suoi pilastri sono tre: prezzo, disponibilità e comodità per l’acquirente. Non poco, direte voi. Attraverso grandissime quantità, Amazon è riuscito a settare degli standard irraggiungibili per i competitor eCommerce: consegna in 24 ore (o addirittura in giornata), prezzo più basso che ovunque e un servizio post vendita incredibile.

E allora cosa può fare un rivenditore per mettere sul tavolo un valore aggiunto rispetto ad Amazon? E come può farlo online?

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eCommerce post Covid, round 1: consegna in 24 ore versus risparmio al consumatore

Partiamo analizzando il servizio top di Amazon: la consegna in 24 ore. Durante il lockdown anche il tycoon ha dovuto rinunciare a questo pilastro, venendo meno al patto di consegna giornaliera ma anche al catalogo pressoché illimitato di merci.

Pensiamoci bene, come ci siamo sentiti? Dopo un breve sbuffo infantile, personalmente ho cliccato su Acquista e pensato “vabbè, arriverà tra una settimana. Intanto io sono a casa sana e salva”. La pandemia insomma ha portato a rivalutare un po’ questo servizio negli eCommerce post Covid. Senza contare che la consegna 24 ore in Amazon avviene praticamente solo sui prodotti aventi il servizio Prime (sì, ho fatto i compiti) e che per il consumatore ha un valore aggiunto solo su una serie di prodotti.

Porto un esempio sul banco: l’altro giorno ho comprato su Depop una borsa di un marchio Made in Italy iper costoso. L’ho pagata 500€, invece di 1.700€, perché era stata usata una volta o due e la venditrice non sapeva più che farsene. Aspetterò 10 giorni e ho pagato anche 20€ per la consegna. Ma credete che mi interessi qualcosa? No, perché si tratta di un bene di lusso, per cui risparmio tantissimi soldi, perciò i tempi brevi di consegna assumono un peso infinitesimale. Risparmio 1, consegna breve 0.

E-commerce e offline

Alla ricerca dell’eCommerce post Covid perfetto: nei panni dell’utente online

Consegna gratuita e risparmio al consumatore sono solo la punta dell’iceberg. Posto che su questi fattori non tutti possano essere competitivi, quali potrebbero essere i servizi differenzianti?

Ovviamente dipende dal settore. Ci sono alcune industry più mature di altre: prendiamo il fashion e l’arredamento. È ovvio che dal fashion mi aspetti determinati tool, che nell’arredamento (ma anche nell’automotive, per dire) non possono essere replicati. Per questo motivo, mi perdonino gli altri settori, prenderò il fashion come esempio di partenza, dal momento della ricerca a quello del servizio di customer care.

La ricerca della borsa perfetta

First things first, essere trovati online. Da consumatrice, mi aspetto che i primi risultati se digito “borsa in pelle nera” siano sensati. Ad oggi, se su Google uso questa keyword i primi risultati sono ADV di vari e-commerce. Ne apro uno dei primi, scartando Wish (non sapevo vendesse oggetti in vera pelle: parola d’ordine “posizionamento“).

La prima cosa che vedo è un banner che mi dice che ho il 10% di sconto. La mia reazione istantanea è di trovarlo vagamente aggressivo, ma poi la metto da parte pensando che mi piaccia l’idea di avere uno sconto per il mio primo acquisto. Quindi, take note, anche se i best in class lo fanno già da tanto: un discount da mostrare al primo click è un ottimo biglietto da visita.

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Filtri di ricerca, foto prodotto, sostenibilità e tracciabilità

Ora mi trovo nella pagina su cui mi ha dirottata l’ADV e ho davanti una ventina di borse di pelle. Non nere, però. Fortunatamente, a sinistra ho un filtro che mi permette di selezionare il colore desiderato, e clicco su Nero, Borse a mano.

Di quelle presentate me ne colpisce solo una, è un secchiello. Non cercavo quello, ma lo valuto lo stesso (finisce sempre così…). Mi piace che sul sito ci siano foto da diverse angolazioni, misure, composizioni… Se devo spendere, voglio conoscere pure cosa mangiava il vitello da cui è stata fatta la pelle. Anzi, non solo. Oltre alla tracciabilità, voglio sapere se è un prodotto sostenibile.

Con la pandemia ho sviluppato un briciolo di coscienza sui consumi e ora penso che il minimo che un’azienda possa fare sia essere più sostenibile nei confronti di questo povero pianeta.

I dettagli fanno la differenza: un personal shopper e la body inclusivity

Oltre a questo, cerco l’immagine della borsa indossata. Ce n’è una su un modellino disegnato, ma non rende bene l’indossabilità. Questo è molto importante: se fosse un abito una condizione sine qua non sarebbero almeno un 3-4 foto sulla modella, con dei consigli sulla vestibilità.

In merito a quest’ultimo, voglio citare come best in class Shein, che, nonostante il basso costo dei capi permetterebbe di pensare “vabbe’, se non mi sta pazienza”, ha una sezione in cui inserendo le proprie misure si può avere il consiglio di taglia.

Aggiungo che per una vera body inclusivity (che è un trend topic di questi tempi) sarebbe bello vedere il capo su diverse conformazioni. La butto lì, come starebbe quel maglioncino a una ragazza magra, una normopeso, e una leggermente in sovrappeso? Ma mi rendo conto che sto sognando ad occhi aperti: mi è capitato di vedere preventivi per gli shooting e so che è un’attività incredibilmente costosa.

Però, mi viene da dire che si potrebbe ovviare il problema inserendo una sezione di consigli di vestibilità, del tipo: consigliato per un fisico a “pera”, sta bene ai “rettangoli”. Forse oggi è fantascienza e sarebbe anche a rischio di critiche sul body shaming, ma come offline si trovano le commesse a consigliarti un modello, sarebbe bello avere un personal shopper anche online, come servizio differenziante.

E-commerce_Shein_Vestibilità

Recensioni, pagamento online, politiche di ritorno, Click & Collect

Torniamo alla borsa. L’ho vista: mi piace. Ora la prima cosa che cerco è una sezione dedicata alle recensioni. Voglio sapere cosa pensano del marchio e del prodotto le ragazze che hanno comprato prima di me. Le trovo! Le leggo, tutte positive. La metto nel carrello, applico il mio sconto.

Ma prima mi viene in mente un ultimo dettaglio: la politica di ritorno! Com’è? Zalando offre il reso gratuito, impareggiabile, chissà se anche questo negozio lo fa.

Ecco, lo fa. Ho 30 giorni per ripensarci, clicco anche sulla pagina dei dettagli per apprendere che se il prodotto fosse fallato avrei 48 ore da avvenuta consegna per notificarlo, e ok. Torno al mio carrello, le opzioni di pagamento sono innumerevoli: carta di credito, alla consegna, bonifico, PayPal… Se non fosse una simulazione la comprerei per davvero!

L’ultima opzione che guardo per dare il mio voto all’eCommerce di borse è se è possibile effettuare in qualche modo il Click & Collect: un trend in voga da diverso tempo ma che col Covid ha assunto un valore ancora maggiore. Poter scegliere online, risparmiare le spese di spedizione e eventualmente anche i tempi di attesa, se avesse anche questo (non lo ha) sarebbe promosso a pieni voti come perfetto e-commerce post Covid.

Fattori differenzianti di un eCommerce post Covid: Limited Edition e customizzazione

Facendo un brainstorming per questo articolo un altro paio di features che mi erano venute in mente erano le Limited Edition e la customizzazione. In Cina è una tendenza che va da parecchio: ad esempio, solo tramite Mini Program WeChat Longchamp rende disponibile la customizzazione della sua celeberrima Pliage. Oppure, sempre Longchamp (la ricerca della borsa perfetta è stata lunga e tortuosa) ogni anno per il Capodanno Cinese rende disponibili delle Limited Edition in collaborazione con Mr Bags che sono ispirate all’oroscopo cinese. Sono acquistabili online, e guess what, vanno a ruba.

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E tu? Sei veramente pronto a vendere online?

tiktok

La vendita di TikTok negli Stati Uniti potrebbe complicarsi: la Cina dovrà approvare l’operazione

  • Venerdì scorso la Cina ha aggiornato l’elenco delle tecnologie soggette a restrizioni all’esportazione.
  • Un’aggiunta all’elenco era costituita dalle tecnologie per la “raccomandazione di servizi informativi personalizzati basati sull’analisi dei dati”, che potrebbero essere collegate all’applicazione TikTok di ByteDance.
  • ByteDance ha dichiarato di aver preso atto della modifica del regolamento sulle esportazioni e che “l’azienda si atterrà rigorosamente alle leggi”.

ByteDance ha detto che seguirà le regole recentemente modificate della Cina in materia di esportazione di tecnologia – il che potrebbe rendere più complicata qualsiasi vendita delle operazioni di TikTok negli Stati Uniti.

Venerdì, infatti, il governo cinese ha aggiornato la sua lista di tecnologie soggette a restrizioni sull’esportazione per includere una serie di aree che vanno dal riconoscimento vocale al design dei chip.

Le aziende che desiderano esportare le tecnologie presenti nell’elenco, infatti, devono ottenere una specifica licenza dal governo, secondo il Ministero del Commercio cinese. E l’elenco delle esportazioni non veniva aggiornato dal 2008.

Uno degli elementi soggetti a restrizioni oggi sono le tecnologie per la “raccomandazione di servizi informativi personalizzati basati sull’analisi dei dati”, secondo una traduzione di CNBC della lista delle esportazioni.

bytedance tiktok

Cosa significa per TikTok

TikTok ha spesso parlato del suo algoritmo di raccomandazione che presenta agli utenti video basati su una serie di fattori coma la posizione geografica.

Dopo che la Cina ha pubblicato l’elenco aggiornato delle esportazioni, l’agenzia di stampa statale Xinhua ha reso nota un’intervista con Cui Fan, un professore della China University of International Business and Economics e consulente commerciale del governo.

Il professore ha quindi spiegato che probabilmente ByteDance dovrà passare attraverso la procedura di licenza. Non importa chi sia il nuovo proprietario di TikTok, ByteDance avrà probabilmente bisogno di trasferire il codice del software dalla Cina all’estero e potrebbe avere bisogno di fornire anche servizi tecnici.

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Domenica, ByteDance ha replicato dicendo di aver preso atto della modifica del regolamento sulle esportazioni e che “l’azienda si atterrà rigorosamente alle leggi”.

“Stiamo studiando i nuovi regolamenti che sono stati rilasciati venerdì. Come per ogni transazione transfrontaliera, seguiremo le leggi applicabili, che in questo caso includono quelle degli Stati Uniti e della Cina”, ha detto il General Counsel di ByteDance Erich Andersen in una dichiarazione separata.

tiktok

La vicenda finora

Ricordiamo che il 6 agosto, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva emesso un ordine esecutivo che vieta qualsiasi transazione con ByteDance soggetta alla giurisdizione degli Stati Uniti entro 45 giorni. La portata del divieto non è chiara. Trump ha poi emesso un ordine separato il 14 agosto, dando a ByteDance 90 giorni per cedere le operazioni statunitensi di TikTok.

Microsoft e Walmart si sono uniti per fare un’offerta per TikTok, mentre anche Oracle è in corsa per aggiudicarsi il business statunitense.

Nel frattempo, TikTok ha citato in giudizio il governo degli Stati Uniti la scorsa settimana per l’ordine esecutivo di Trump del 6 agosto, sostenendo che l’imminente divieto impedisce alla società di avere un giusto processo, come garantito dal Quinto Emendamento.

Washington continua a sostenere che TikTok rappresenta una minaccia alla sicurezza nazionale perché potrebbe inviare dati americani in Cina.

Escape room team building

Il fenomeno Escape Room: dal Team Building ai giochi da tavola

  • Le Escape Room sono arrivate in Italia solo nel 2015 diventando subito un fenomeno di successo.
  • Non solo intrattenimento ma anche un valido strumento di Team Building.
  • Un’idea intermediale che si è sviluppata anche nel mondo dei libri e dei giochi in scatola.

 

Sei in una Escape Room, a un metro da te trovi un lucchetto che chiude una cassa. Per trovare la combinazione hai solo un foglio di carta con scritto: “Trova l’ultima cifra della serie numerica e utilizza il codice per aprire il lucchetto – 4 7 5 6 ?

Quella appena descritta è una classica situazione da Escape Room, fenomeno che sta crescendo sempre di più ampliando i propri orizzonti nelle applicazioni più varie: dagli strumenti di team building ai libri passando anche per i giochi in scatola. Ma andiamo con ordine.

Cosa sono le Escape Room?

Per Escape Room si intende un gioco in cui i partecipanti devo sfruttare le loro abilità logiche, deduttive e fisiche per riuscire a risolvere una serie di enigmi che li porteranno alla vittoria: uscire dalla stanza prima dello scadere del tempo.

Stranger Things escape room

Si tratta, quindi, di un “gioco evento” in cui i giocatori si trovano fisicamente all’interno di una stanza (a volte possono essere anche più di una o, addirittura, un intero edificio o area). Le stanze sono sempre a tema, si va dall’horror all’avventura passando anche per stanze ispirate alle serie tv più famose come Stranger Things o La Casa di Carta.

Come fenomeno, quello delle Escape Room, prende spunto da diversi format televisivi degli anni ’80 / ’90 in cui i concorrenti erano messi alla prova con giochi di abilità e logica. Un esempio tutto italiano è il programma di Rai 1 Luna Park (andato in onda dal 1994 al 1997).

Altro elemento di ispirazione sono stati i numerosi videogame “punta e clicca” dove si dovevano risolvere indovinelli utilizzando gli oggetti. Un esempio il famosissimo The Secret of Monkey Island del 1990.

Monkey Island

La prima Escape Room nacque nel 2008 dalla mente di Takao Katoe, si svolgevano all’interno di bar e locali dove venivano inseriti oggetti e indizi. In Europa arrivarono nel 2011, prima in Ungheria. In Italia arrivarono nel 2015, prima a Torino e poi in tutte le principali città.

Escape Room in Italia: alcuni dati

Escape Room in Italia, i dati

Fonte: www.nonoia.it

Team Building in una Escape Room

Oltre ad essere un ottimo passatempo con gli amici, le Escape Room sono anche ideali per attività di team building. Grazie alla loro struttura, sono perfette per rafforzare il team e vi spieghiamo perché: 

Stimolano il pensiero laterale

Le Escape Room ci proiettano in un mondo straordinario rompendo la routine lavorativa. Il team viene catapultato fuori dalla comfort zone dell’ufficio in una situazione fantastica, misteriosa o horror.

Inoltre gli enigmi proposti sono spesso risolvibili solo se si ribaltano i normali schemi logici: mettere i giusti cappelli sulla cappelliera seguendo le foto poste sul muro di fronte, trovare il codice di un lucchetto sfogliano un libro o ancora ruotare delle manopole per aprire una porta segreta. 

Questo approccio stimola il pensiero “fuori dagli schemi” e la creatività mettendo in luce aspetti nascosti dei membri del nostro team. Possiamo scoprire che il nostro vicino di tavolo è bravissimo con gli anagrammi e la nostra collega è abilissima a trovare gli oggetti nascosti.

Obiettivo comune, collaborazione necessaria

Nell’ambiente lavorativo, solitamente, si hanno obiettivi specifici: ognuno di noi ha delle mansioni da svolgere e delle responsabilità individuali. In una Escape Room no. O tutti vincono o tutti perdono, non ci sono mezze misure.

Tutto il team deve necessariamente fare gioco di squadra per poter vincere, sabotare gli altri vuol dire perdere e anche non impegnarsi attivamente. 

Power rangers team building

Addio agli schemi gerarchici

Come abbiamo detto prima, le Escape Room ci portano all’interno di realtà particolari: una casa infestata da spiriti maligni, un laboratorio del 1800, il sottosopra di Stranger Things. In un contesto come questo anche le dinamiche di ufficio crollano.

In una Escape Room cambiano le dinamiche tra persone, il modo di parlarsi e anche quello di “dare gli ordini”. Non ci troviamo più a lavoro ma in un ambiente totalmente differente dove, in pochissimo tempo, dobbiamo risolvere intricati puzzle. 

Ecco allora che la stagista diventa leader, il capo un abilissimo esecutore e il nostro vicino Nerd il motivatore del gruppo.

L’importante è riflettere

Che si vinca o no, le Escape Room sono un importantissimo strumento di analisi e riflessione. Una volta finita l’attività è importante riunirsi e riflettere su quello che è successo: come sono state risolte le difficoltà? In cosa abbiamo perso tempo? Quale aspetto devo migliorare? Quali skill pensavo di non avere e invece mi hanno sorpreso?

Non solo, questa esperienza può essere anche molto utile per chi si trova a capo del team: quali sono state le “crepe” del mio team? Su quali abilità il mio team è carente e va rafforzato? Ci sono elementi di disturbo? Quali sono le abilità che non avevo notato nei membri del mio team?

Escape Room 2.0: dai libri ai giochi da tavola

Le Escape Room sono diventate, in poco tempo, un vero e proprio fenomeno mondiale, tanto da attirare l’attenzione anche di case editrici di libri e di giochi da tavolo.

La casa editrice Il battello a vapore ha da poco distribuito una collana di libri dal titolo Escape Book. Si tratta di una coraggiosa e ben riuscita trasposizione su libro dell’esperienza Escape Room. Le regole, ovviamente, sono state adattate ma il succo resta lo stesso: riuscire a raccogliere indizi per risolvere gli indovinelli e saltare di pagina in pagina verso l’happy ending.

Escape room book

Abbiamo provato uno dei volumi della collezione, l’esperienza non è niente male: divertente, veloce e immersiva. La difficoltà è ben calibrata e il libro risulta godibile fino alla fine. Paragonarlo ad una Escape Room è impossibile perché si tratta di due esperienze totalmente differenti: da un lato un’attività collettiva e immersiva, dall’altro un’attività più personale.

Cambiamo genere con il gioco da tavola Mystery House distribuito in Italia da Cranio Creations. Questo interessante gioco da tavola vuole riportare nel salotto di casa l’esperienza delle Escape Room attraverso la riproduzione tridimensionale della casa da cui dovrete fuggire.

Mystery House

Il gioco ha appena vinto il Premio Toy Award 2020 alla fiera Spielwarenmesse di Norimberga, il più importante evento del settore dei giocattoli rivolto ad appassionati, startupper e grandi distribuzioni.

Mystery House non è il solo gioco a tema, per citarne alcuni della serie Escape Room (sempre di Cranio Creation), che vede diverse ambientazioni come quella Jumanji o parco giochi dell’orrore. 

Exit, di Giochi Uniti, è un gioco da tavolo che emula l’esperienza Escape Room con una modalità particolare: il gioco, una volta completato, può essere buttato. Questo perché giocando si vanno a modificare dei componenti del gioco (si aprono delle buste, si strappano delle carte, ecc.). In questo modo il gioco è un’esperienza che può essere vissuta una volta sola (buona la prima!).

Il gioco Unlock – Escape adventures, di Asmodee Italia, si sviluppa sia attraverso le carte che con un’app che oltre a fare da timer, svolge la funzione di sblocco degli enigmi. Inoltre, grazie alle musiche coinvolgenti, l’atmosfera è assicurata.

Con mani ferme e decise ti avvicini al lucchetto e inserisci la corretta serie numerica: 4 7 5 6 e per ultimo il 3. La soluzione è facilissima, ogni numero è la somma delle lettere del numero precedente. Quattro ha 7 lettere, sette ne ha 5, cinque ne ha 6 e per finire sei ne ha 3. Il lucchetto scatta, apri la cassa e…

gaming 5G

Gaming a velocità 5G: a San Pietroburgo lo potranno testare per un mese

Beeline, Nokia e Qualcomm Technologies Inc. hanno annunciato il lancio della rete 5G pilota presso l’area portuale SevKabel di San Pietroburgo.

I cittadini presenti avranno l’opportunità di testare le capacità della rete 5G attraverso un’esperienza di realtà virtuale o un gioco online realizzato dal cloud service Beeline Gaming.

Le capacità della rete 5G

Questa sarà la prima rete 5G pilota di lunga durata di Beeline a San Pietroburgo disponibile per i consumatori.

La rete è realizzata utilizzando le apparecchiature commerciali di Nokia, compreso il modulo di sistema, i sistemi di antenna 5G AirScale e un router 5G/WiFi (CPE) supportato dal sistema Modem-RF Qualcomm® Snapdragon™ X55 5G.

Per la dimostrazione delle capacità delle reti 5G a San Pietroburgo Beeline ha inoltre ricevuto una deroga temporanea per l’utilizzo della banda mmWave (26-28 GHz).

“La tecnologia 5G mmWave offrirà significativi vantaggi ai consumatori e rappresenta una rivoluzione nella connettività mobile: non solo apporta enormi miglioramenti alle velocità di download, ma riduce anche in modo significativo la latenza, abilitando esperienze di gioco online, multiplayer e interattive finora impossibili sui dispositivi mobili. La piattaforma mobile Snapdragon 5G di Qualcomm ha tutto ciò di cui gli utenti hanno bisogno per poter ottenere esperienze di gaming dai livelli qualitativi inediti, inclusi video HDR, rendering veloce e sistema Modem-RF Snapdragon X55 5G”, commenta Yulia Klebanova, Vice President of Business Development, Qualcomm Europe, Inc.

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facebook gaming

La nuova rete è un gioco

Più di 500 giochi sono disponibili nel servizio – alcuni di essi anche gratuitamente. Ma perché partire proprio dal gaming?

Il gioco online è una delle aree di intrattenimento più esigenti in termini di tecnologia. La bassa latenza e l’elevata velocità di trasferimento dei dati sono tra le più importanti sfide e tra i  fattori di successo per molti giochi.

Il servizio di cloud gaming Beeline Gaming basato su GeForce NOW di NVIDIA consente di eseguire i moderni giochi più impegnativi con modalità ultra, su qualsiasi dispositivo (anche obsoleto) grazie all’utilizzo di potenti server remoti.

Le reti 5G forniscono la stabilità e la velocità che consente tali prestazioni, prima raggiungibili solo attraverso l’uso di reti cablate.

Nell’area 5G VR Gaming, i giocatori potranno combattere tra loro nello spazio virtuale. Il gioco sparatutto creato da un team di District Zero Studios si svolgerà in modalità multigiocatore PvP (giocatore contro giocatore) per i giocatori in movimento libero. Occhiali virtuali Oculus Quest di ultima generazione per scenari multigiocatore, combinati con le più recenti tecnologie di rete wireless Beeline, integrate dal Distretto Zero

Questa combinazione tecnologica dà ai giocatori un’esperienza profondamente immersiva che permette la libera circolazione senza cavi scomodi e attrezzature ingombranti.

L’apparecchiatura sarà collegata a reti 5G e aiuterà i giocatori a ottenere un nuova esperienza mostrando i vantaggi delle nuove tecnologie evitando totalmente la sgradevole sensazione di divario tra ciò che viene compiuto attivamente e ciò che viene visualizzato, sincronizzando completamente le azioni dei giocatori con le immagini e le risposte del gioco.

tiktok ceo

Il CEO di TikTok si dimette

Kevin Mayer, l’amministratore delegato di TikTok, ha annunciato le sue dimissioni, poco più di 100 giorni dopo essersi unito alla squadra della più grande applicazione per i video brevi del mondo a metà maggio.

La notizia è arrivata solo pochi giorni dopo la mossa di TikTok di fare causa al governo degli Stati Uniti per il suo imminente divieto. L’app, di proprietà della cinese ByteDance, è in un clima di tensioni tra Pechino e Washington, che accusa l’app di rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Il 6 agosto, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per chiudere TikTok se ByteDance non venderà le operazioni statunitensi dell’app. L’applicazione ha tempo fino a metà novembre per vendere.

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testate giornalistiche tiktok

Perché il CEO ha lasciato

“Ci rendiamo conto che le dinamiche politiche degli ultimi mesi hanno cambiato in modo significativo la portata del ruolo di Kevin e rispettiamo pienamente la sua decisione. Lo ringraziamo per il suo tempo in azienda e gli facciamo i nostri migliori auguri“, ha detto un portavoce di TikTok in una dichiarazione a TechCrunch.

Il New York Times aveva riferito in precedenza che Mayer – ex dirigente anche per Disney – aveva già annunciato la sua decisione in una nota ai dipendenti, in quanto TikTok è stato messo sotto pressione dall’amministrazione Trump per i suoi legami con la Cina.

Mayer “non aveva previsto la misura in cui TikTok sarebbe stato coinvolto nelle tensioni tra Cina e Stati Uniti”, ha detto al Financial Times, e l’esecutivo “non ha firmato per questo”.

Vanessa Pappas, attualmente direttore generale di TikTok, diventerà il capo ad interim.

L’incombente vendita di TikTok ha attirato l’interesse degli investitori in tutti i settori, da Microsoft che ha annunciato pubblicamente la sua intenzione fino al meno atteso offerente Oracle.

south working

South Working: una moda o l’inizio della fine del lavoro in ufficio?

  • Il South Working è una modalità di lavoro che ha preso piede post lockdown e prevede di lavorare per aziende “del Nord” vivendo al Sud, con tanti vantaggi.
  • Ci sono tanti vantaggi ma anche rischi, specialmente per le grandi città che si vedono spopolate: è una moda o un cambiamento destinato a cambiare le nostre vite?
  • I pro e i contro sono difficili da bilanciare: la crisi delle città aiuta la rinascita dei borghi, le difficoltà del lavoro da remoto si equilibrano con una maggiore qualità della vita, l’outsourcing si contrasta con la specializzazione.

 

Dì la verità: quest’anno, controllare le mail la mattina e fare qualche telefonata di lavoro prima di andare al mare, o a goderti in altro modo il mese di agosto, ha un altro sapore.

Non ti fa sentire uno stacanovista pentito, anzi ha un che di nuovo, esotico, ti fa sentire un “south worker“.

Piccoli assaggi e prove tecniche di lavoro da remoto che, complici il Coronavirus e l’estate, hanno portato alla ribalta un concetto noto da tempo a chi si considerava o aspirava ad essere un nomade digitale: la qualità della vita ha un valore economico tutto suo.

Il lavoro da remoto potrebbe liberare dalla schiavitù del pendolarismo, delle città affollate, dei prezzi gonfiati, permettendo di vivere in luoghi in cui la vita costi meno e sia più piacevole. In Italia, questo è ovviamente stato identificato con il tanto bistrattato “Sud“.

Una zona geografica che da secoli vede un’emigrazione selvaggia verso il “Nord”, con le sue grandi città e i centri dell’economia, di giovani e meno giovani in cerca di università quotate e possibilità di lavoro. Un flusso che è stato quasi inarrestabile, nonostante timidi tentativi di incentivare la crescita del Meridione da parte di diversi governi, fino a che…

Fino a che il Coronavirus non ha colpito l’Italia. E allora le stazioni e gli aeroporti delle grandi città del Nord si sono riempiti di esuli in fuga, alcuni prima della quarantena, altri, tantissimi, dopo, quando la mobilità tra regioni è stata ripristinata ma le restrizioni hanno continuato a incentivare il lavoro da remoto.

E ora? Adesso che l’estate è quasi finita? Tantissimi non hanno avuto ferie o ne hanno avute poche, ma hanno ugualmente scoperto la possibilità di lavorare dalla “casa giù e di godersi pausa pranzo e aperitivo in riva al mare. E la maggior parte di loro, come ci si poteva aspettare, non vorrebbe tornare.

Ma questa cosa del South Working è sostenibile? È una moda, qualcosa che ci dimenticheremo nuovamente con i primi freddi? O è piuttosto il sintomo di un cambiamento epocale nel mondo del lavoro? I primi fiocchi di neve che scateneranno quella che sarà una valanga, che cambierà per sempre il volto delle nostre città, il modo in cui cresciamo i figli, l’aspetto degli uffici, l’economia del Paese e l’ecosistema di equilibri del mondo intero?

 

Il movimento del South Working

Il termine South Working, come abbiamo visto, è solo la più recente evoluzione di altri concetti preesistenti, primo tra tutti quello di Nomadismo Digitale. Solo che di solito chi si riferiva a questo termine intendeva un flusso di lavoro fatto principalmente di freelance o di dipendenti di aziende remote che si spostavano in altri Paesi, nonostante non fosse certo l’unica modalità. Il concetto su cui invece il termine South Working si concentra è che quell'”altrove” in cui la vita costa meno ed è più piacevole può essere estremamente vicino, in Italia – al Sud o nei tanti piccoli borghi, laghi, montagne e colline di cui il nostro Paese è pieno.

Avevamo parlato in un precedente articolo di come l’Italia non fosse abbastanza attraente per i nomadi digitali stranieri, rendendo ad esempio impossibile per noi fare una campagna come quella delle Barbados per attirare questo target. Ma il concetto di South Working inverte la rotta e va a pescare proprio tra gli italiani, promettendo loro uno stile di vita più rilassato, più piacevole e meno costoso.

Ne è autrice Elena Militello, che insieme ad altri ragazzi che aderiscono all’associazione Global Shapers del World Economic Forum ha deciso di impegnarsi per rendere la sua visione realtà. Come ha riportato in un’intervista a Repubblica, “un mondo nel quale alle persone sia consentito per periodi più o meno lunghi di trasferirsi al sud dove la qualità della vita è più alta e il costo molto più basso mantenendo il proprio posto nelle aziende attuali”.

Un sogno bellissimo, condiviso da molti, inclusa me – milanese di origine ma marchigiana di adozione, per pura scelta di qualità della vita.

Un sogno appoggiato dai tanti lavoratori che quest’estate, appunto, non vivranno l’assenza di vacanze in maniera così negativa grazie alle possibilità concesse dallo smart working imposto dal Covid.

Un sogno osservato con interesse dalle varie località del Sud (o dei piccoli borghi, che ci vedono una possibilità di destagionalizzazione e di “rivincita” nell’attirare i talenti dal Nord.

 

Il lavoro da remoto tra utopia, innovazione e crisi

Ma anche una pericolosa possibilità da evitare o da contenere, secondo altri. Come il sindaco di Milano, che vede questa “fuga” dalla sua città come un pericoloso precedente, e incita a “tornare al lavoro” gli smart workers. Attirando una comprensibile valanga di critiche sui social.

Ma in verità la faccenda è seria: effettivamente questo cambiamento, se permanente, può portare a svolte epocali al modo di vivere che conosciamo. Le città potrebbero dover cambiare volto, vedendo sfumare milioni e milioni di euro di indotto portati dai lavoratori residenti, dai pendolari, da chi pranza al bar sotto l’ufficio, chi prende metropolitana e treno ogni giorno, etc.

Ma gli effetti positivi? La riduzione dell’inquinamento? Del traffico? Il calo dei prezzi eccessivamente gonfiati da anni? La redistribuzione della ricchezza nel resto del Paese? Il miglioramento nella qualità della vita dei cittadini, se anche solo il 10% di loro lavorasse da remoto?

Dire che il lavoro da remoto sia un male perché rischia di portare un cambiamento difficile per alcuni aspetti, promettendo però in cambio grandi miglioramenti su altri, è come dire che avremmo dovuto fermare l’avanzata del Personal Computer perché rischiava di cannibalizzare posti di lavoro umani.

Bisogna decidere che prezzo si è disposti a pagare per il progresso, quanto la nostra sia solo paura del cambiamento, cosa si possa fare per garantire il benessere anche di quelle fasce di popolazione che saranno impattate negativamente, a fronte di quelle che invece vivranno un ritorno positivo.

È una valutazione difficile, perché mettere sul piatto della bilancia i pro e contro di quella che rischia di essere una rivoluzione culturale prima di tutto non è semplice. Ma vogliamo provarci, cercando di portare argomentazioni da entrambe le parti.

 

Lavoro da remoto per tutti: i vantaggi e i limiti del nuovo mondo che potremmo creare

Come lo ha definito l’Economist, questo potrebbe essere un momento tipo “Avanti Coronavirus”/”Dopo Coronavirus“. Che il lavoro stesse cambiando era noto a tutti, ma che i tempi della transizione sarebbero stati così rapidi era impensabile tanto quanto lo era l’idea di un virus che ci richiudesse tutti in casa.

Ora invece, in pochi mesi, è cambiato tutto. Le aziende si sono dovute dotare per forza delle infrastrutture tecnologiche base per rendere possibile lo smart working, pena il blocco completo delle attività se non lo avessero fatto. Anche culturalmente il passaggio è stato rapido: dall’essere considerato una scelta per lavativi e “femminucce”, ora è stato sdoganato.

L’ufficio non come gabbia ma come scelta

I contro sono molti per il lavoro in sé, come la maggior parte delle persone si è resa conto in questi mesi: lavorare da remoto non è una cosa facile (qui la nostra guida interattiva) , specialmente farlo in pianta stabile. Le videochiamate non hanno la spontaneità degli incontri di persona, il cameratismo tra colleghi è più difficile da alimentare, la creatività anche. Molte aziende hanno fatto grandi investimenti in immobili che rischiano di veder svuotati.

Eppure, dall’altra parte, i vantaggi sono innegabili: le ricerche dimostrano un generale incremento della produttività, contro ogni pronostico, maggiore soddisfazione e più responsabilità individuale. Servono nuove normative e capacità gestionali per evitare il rischio di burnout o l’aumento esponenziale delle ore lavorate, ma questi sono aspetti legati all’abitudine e all’evoluzione delle modalità, prevedibili e necessari in ogni grande cambiamento.

Secondo Fiorella Crespi, a capo dell’Osservatorio sullo Smart Working del Polimi, che ha registrato un passaggio da 2 milioni di lavoratori agili prima del Covid ad 8 nella fase successiva: “Deve esserci una cultura aziendale che sappia creare dei momenti di aggregazione, compresi quelli virtuali. Bisogna avere dei manager capaci. Ci sono compagnie che lo fanno da anni con successo, ad altri servirà tempo per trovare la quadra e non è detto che ci si riesca sempre”.

 

La crisi delle città, la rinascita dei borghi

I costi per le aziende di abbassano insomma, ma anche per gli impiegati, che a parità di stipendio possono ridurre le spese di viaggio, per il cibo, etc. Le città quindi tornano vivibili, meno affollate, meno costose, con ridotte emissioni di CO2 e tutto ciò che accompagna.

È innegabile che per città come Milano, che hanno basato tutta la propria crescita sull’attrazione dei talenti per il lavoro, rischia di essere uno shock, ma forse vedere la crisi di alcuni centri di potere come effetto negativo è non guardare il quadro completo. Questa supremazia ha avuto effetti devastanti per anni su altre città e regioni, con uno spopolamento progressivo e inarrestabile, una stagionalità estremamente aggressiva e dannosa dei flussi turistici, la concentrazione di tutte le attività intorno a un solo settore (il turismo, l’agricoltura, etc).

L’espansione del lavoro da remoto potrebbe rappresentare la possibilità di riequilibrare la disparità tra Nord e Sud, tra grande e piccolo, tra forte e debole, in un circolo virtuoso che toglie in alcuni punti per restituire in altri.

 

I rischi dell’outsourcing al Sud come dall’India

Da molti è stato indicato come grosso rischio del “south working” il fatto che le aziende possano decidere, a parità di assenza dall’ufficio, di assumere i propri talenti non al sud Italia ma a questo punto direttamente in Paesi dal costo della manodopera basso, come l’India o la Romania.

Di nuovo, un’argomentazione valida ma un po’ miope, perché questo processo è già in corso in maniera massiccia: intere linee produttive vengono delocalizzate in questi Paesi, con manodopera a basso costo acquisita in blocco.

È certamente una minaccia del futuro del lavoro, che però l’aspetto remoto non enfatizza in modo particolare, spingendo anzi verso una specializzazione delle competenze utile in ambito lavorativo, e allargando il bacino delle possibilità lavorative al di fuori di quelle rinchiuse in una data area geografica.

Come risponde la stessa Militello in un’intervista, “il target principale di un progetto come South Working è rappresentato dai lavoratori altamente qualificati, che apportano un elevato valore aggiunto alle aziende per cui lavorano. E che, perciò, dovrebbero resistere meglio alle trasformazioni dirompenti del mercato del lavoro che si prospettano”.

Trasformazioni che tra l’altro rischiano di essere impattate molto di più dall’intelligenza artificiale, dal machine learning e dalla robotica su cui potrebbe puntare l’Unione Europea, che non dal lavoro da remoto al Sud.

Insomma, per argomentazione negativa se ne può trovare una positiva, uguale e contraria.

Quale strada prenderemo? Sarà veramente questo il futuro del lavoro? Riusciremo a superare tutte le difficoltà e i preconcetti e a vedere un mondo dove il lavoro non è svolto “dove” o “quando”, ma “come”?

Oppure questa moda del South Working si spegnerà con la fine dell’estate, al cadere delle prime foglie dagli alberi? O all’arrivo del vaccino contro questo virus, che ci ha forzati a guardare ciò che pensavamo impossibile e a realizzarlo?

Sono domande che non hanno risposta, ma è difficile pensare sia un estremo che l’altro: sia che ci sarà un’adozione di massa dello smart working (a meno di non introdurre una decisa azione di incentivi verso i datori di lavoro), sia che si tornerà a lavorare come prima.

Il più probabile decorso è che, dopo questa impennata iniziale, la curva torni ad abbassarsi… ma una volta scoperta la possibilità di fare una cosa in modo diverso, è difficile far finta che non sia così.

E probabilmente questo cambiamento epocale, in cui risultato finale è ignoto a tutti, ha avuto un’impennata imprevista che non potrà durare di pari intensità, ma è ormai ben avviato e non si può fermare.