La notizia è dello scorso martedì: TikTok lascia Hong Kong.
In un momento storico in cui la questione di Hong Kong è entrata nelle nostre case attraverso le immagini dei TG, si tratta di una news dalle connotazioni chiaramente politiche. Ma non solo.
Anche il marketing, infatti, è fortemente influenzato dal macro-ambiente di un mercato, e quindi anche dalla politica. Perciò, prima di riflettere su quali saranno le conseguenze di questa storia dal nostro punto di vista, facciamo un breve ripasso dei retroscena in senso ampio.
TikTok e Hong Kong: cosa c’è dietro
Hong Kong è una
regione amministrativa speciale della Cina. Ciò significa che nonostante la sua riannessione alla Cina nel 1997, Hong Kong di fatto mantiene autonomia decisionale su diversi settori, tra cui l’economia: il fatto che costituisca un porto franco per l’occidente lo si deve proprio a questo.
Non è invece autonoma rispetto alla difesa o alla politica estera (tenetelo a mente per dopo).
Hong Kong insomma è sì Cina, ma è anche qualcos’altro: abitudini, cultura… Persino la lingua parlata è diversa.
Hong Kong vista dall’alto: una New York orientale
L’equilibrio con la Cina non è mai stato facile. Da un anno a Hong Kong si protesta contro una
legge sull’estradizione fortemente voluta dal governo centrale, che, in risposta alle rivolte ne ha emanata una nuova in maggio: la Security Law, una sorta di ordinamento sulla libertà di parola che potrebbe mettere a tacere tutti i dissidenti.
Il problema principale di questa legge, e che non è piaciuto alle
Big Tech, risiede nella scarsa chiarezza del suo contenuto, che non elencando in maniera precisa ciò che è vietato, permetterebbe a Pechino di
controllare e sanzionare i contenuti degli utenti senza troppe restrizioni.
In seguito alla diffusione di maggiori dettagli a proposito nei giorni scorsi, martedì TikTok ha deciso di uscire da Hong Kong, in modo tale da
eludere le regole sull’utilizzo dei dati cui altrimenti avrebbe dovuto sottostare.
Ma se TikTok è cinese, perché lo avrebbe dovuto fare?
TikTok: storia breve dell’app
Nata
nel 2016 nel bacino tecnologico di
ByteDance – un gigante del mondo cinese con le mani in pasta un po’ ovunque – è diventata virale un paio di anni dopo. Se vi ricordate, in quel periodo da noi impazzava
Musically, con cui poi
Douyin si è fuso creando effettivamente la versione internazionale Tik Tok.
Nel 2019 Tik Tok ha “fatto il botto” in tutto il mondo e anche in Italia, dove, complice il lockdown e la noia dell’audience costretta a casa, ha visto
un aumento quasi del 300% tra il marzo 2019 e marzo 2020, passando
da 1,8 a 7 milioni di utenti (dati Comscore MMX Multiplatform).
Il fatto è che questo successo internazionale è stato possibile anche perché le due applicazioni sono lievemente diverse.
TikTok o Douyin: gemelli eterozigoti
First things first: Douyin è in cinese e gira su server cinesi con regole cinesi. Come tutte le app in Cina, è soggetto a controlli da parte del governo.
TikTok no: il posizionamento scelto dall’app, per quanto possa suonare incredibile, è diverso. In quanto
rivolto a mercati occidentali, la policy è di mantenere una linea sulla privacy simile a quella dei giganti di Facebook & Co.
Tuttavia, ci sono delle similitudini tra i due:
entrambi sono basati sulla creazione di brevi video divertenti di massimo 15 secondi e il cui scopo è quello di diventare virali.
Il marketing con Douyin
Douyin è prima di tutto un’app che viene utilizzata dagli utenti per divertirsi, ma è anche un mezzo di marketing. Questa è l’aspetto che interessa alle aziende. Come tanti brand hanno provato recentemente a lanciare challenge o collab su TikTok per diventare virali, la stessa cosa è successa in Cina molto tempo prima.
Le aziende fanno marketing su Douyin, ma attenzione: se ora pensate “ok, voglio aprire il mio canale Douyin per vendere in Cina”, vi stoppo subito. Non è cosa da nulla: per farlo
occorre avere un’identità legale in Cina. Dior o tutti i brand che lo usano ne hanno una, per questo vedrete online articoli che parlano della loro strategia.
Tuttavia, voglio anche rassicurarvi:
un tempo era così anche per WeChat. Poi
Tencent (la casa madre) si è gradualmente aperta all’estero e ora è possibile avere un account aziendale anche se si è un’azienda non cinese e fare marketing verso i
mainlanders.
Perché, infine, considerate che fare marketing verso Cina Mainland e Hong Kong non è la stessa cosa: si tratta di
target completamente diversi, con diversa lingua, diverse abitudini e mezzi di comunicazione e questo comporta la necessità per l’emittente di rivedere il messaggio in maniera importante.
Se il vostro
aim è di conquistare entrambi:
good luck, è una bella corsa ad ostacoli ma non impossibile.
TikTok fuori da Hong Kong: e ora?
Ma alla fine della fiera, cosa comporta tutta questa storia per noi markettari?
Non è facilissimo prevederlo ora. TikTok fa parte di quel gigante di ByteDance, è cinese, e sebbene preferiremmo non considerare tutto questo, la sua mossa avrà ripercussioni sugli equilibri tra Cina e Hong Kong.
Potremmo dire, citando Maccio Capatonda, “e a me, che me ne frega a me?” E invece ve ne fregherà, perché
da sempre Hong Kong è il nostro punto di contatto commerciale con la Cina e gli scenari che potrebbero delinearsi sono differenti. Visti dal punto di vista macro,
non è da escludersi la possibilità che ci siano conseguenze per i paesi e le imprese che si schierano chiaramente a favore di Hong Kong.
Di conseguenza, nel micro e per tutti noi markettari che ad esempio pensavamo di poter fare Ads targettizzati al pubblico di Hong Kong tramite Facebook, questo un giorno potrebbe non essere possibile, perché magari anche Facebook lascerà per sempre il porto. E allora dovremmo ripensare ancora una volta le piattaforme con cui comunicare al target, e come si dice, chi vivrà vedrà.