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Giveaway e Lead Generation: da semplici follower a contatti profilati

  • Prima su Facebook, adesso su Instagram, in futuro su TikTok: la sinergia tra social e giveaway non cessa di esistere.
  • Gli obiettivi che si possono raggiungere attraverso un giveaway sono tanti e diversi: dalla fidelizzazione di nuovi fan alla comunicazione di valori e mission aziendale.

 

I giveaway e i contest sui social sono una delle strategie utilizzante da brand e influencer per portare a segno diversi obiettivi di marketing. Infatti spesso si pensa che sia una pratica utilizzata solo per acquisire follower ma non è così.

Le motivazioni sono più funzionali e per comprenderle spesso si deve guardare il quadro complessivo della strategia messa in moto da team interni e consulenti marketing. Gli obiettivi che si possono raggiungere attraverso un giveaway sono:

  • Fidelizzare i nuovi fan;
  • Acquisire il contatto della community;
  • Aumentare la portata dei post organici sui social;
  • Aumentare il numero di followers;
  • Veicolare valori e mission aziendale;
  • Apparire meno distanti ai bisogni e necessità dell’audience.

Che cos’è un social giveaway?

In Italia è un concorso a premi a tutti gli effetti, in quanto si tratta di regalare qualcosa in cambio di un’azione dell’utente, atta a promuovere i propri prodotti o servizi.

Il giveaway è spesso associato ai social, anche se è possibile strutturarlo su altre piattaforme. Focalizzandoci sui social, il brand crea uno o una serie di post in cui si chiede agli utenti di effettuare delle azioni, chi le svolge potrà partecipare all’estrazione per vincere dei premi.

Di solito si richiede di:

  • seguire la pagina promotrice dell’iniziativa;
  • mettere like al post;
  • commentare il post.

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In alcuni casi, per aumentare l’effetto virale, può essere richiesto di taggare due o tre amici nel commento del post.

I premi possono essere dei gadget, l’uso esclusivo di qualche servizio, prodotti in serie limitata, ecc.

Come già accennato sopra, i giveaway sono dei concorsi a premi e per questo dobbiamo seguire delle regole nel rispetto delle leggi e delle tutele per le aziende e gli utenti.

LEGGI ANCHE: Consigli, esempi e regole da seguire per contest e give away su Instagram

Giveaway in Italia, come creali legalmente

La questione Server italiani

La legislazione italiana è molto attenta a come vengono gestiti i dati generati da un concorso a premi. Per “dati” non si parla solo di nome, cognome, indirizzi email, numeri telefonici e qualsiasi altro campo richiesto in un form di contatto (assente in un contest sui social) ma anche di quelli generati per poter partecipare al contest: commento del post, like, nome utente, ecc.

Spesso, erroneamente, si fa la distinzione che se non chiedi nessun dato personale non è considerato concorso a premi. Questa affermazione, in base a cosa abbiamo appena scritto sopra, è totalmente falsa. Il Ministero dello Sviluppo Economico, ente che garantisce il corretto svolgimento dell’iniziativa, deve poter verificare ogni criterio di partecipazione compreso, ad esempio, i commenti sotto il post. Per poterlo fare la normativa indica esplicitamente che i server su cui vengono registrati tali dati devono risiedere in Italia.

I server più vicini di Facebook e Instagram sono in Irlanda, come si risolve questa problematica? Affidandosi a software certificati dal MiSE che attraverso il mirroring registrano i dati in Italia.

Il regolamento del contest

Risolto il problema server, se vogliamo indire un giveaway dobbiamo mettere per iscritto la modalità di partecipazione, come si svolge l’estrazione, i soggetti coinvolti, i premi messi in palio e tutto ciò che è importante non solo ai fini burocratici, ma sopratutto per gli utenti che devono avere visione trasparente di ciò che accade.

Il regolamento di un giveaway deve indicare:

  • soggetti promotori;
  • durata del concorso;
  • ambito territoriale di svolgimento del contest;
  • modalità di svolgimento;
  • modalità di Assegnazione Premi;
  • valore commerciale dei premi messi in palio e relativo montepremi;
  • termine del contest;
  • dati della Onlus alla quale devolvere gli eventuali premi non assegnati.

Chi può fare un Giveaway

In quanto concorso a premi, solo le aziende iscritte al registro della camera di commercio possono indire un giveaway. Non sono permesse onlus, associazioni no profit e privati.

Cosa altro dobbiamo fare per non trasgredire le regole?

  • Dichiarare il concorso al Ministero dello Sviluppo Economico;
  • Compilare il modulo PREMA CO/1;
  • Effettuare l’estrazione del vincitore in presenza di un notaio o funzionario della Camera di Commercio;

Giveaway per la Lead Generation: come far diventare i fan dei contatti profilati

Fino a qui abbiamo tenuto in considerazione una meccanica interamente svolta all’interno dei canali social. Come sappiamo in questo caso non è possibile richiedere ai nostri fan l’indirizzo email, il numero di telefono o qualsiasi altro contatto in modo da poterlo inserire all’interno dei nostri database di contatti per fare attività di newsletter, email marketing, retargeting, o semplicemente contattarli per qualsiasi motivo commerciale.

Per convertire i fan in utenti profilati dobbiamo creare un funnel di conversione attraverso una landing page. Ecco come:

  • creiamo un post in cui invitiamo i nostri fan a partecipare al giveaway;
  • li indirizziamo verso una landing page e al suo interno ci sarà un form di registrazione;

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  • il form di registrazione dovrà richiedere nome, email e qualsiasi altro field (anche se personalizzato) che ci aiuti a profilare al meglio l’utente;
  • tutti gli utenti registrati potranno essere estratti in modo casuale da un software certificato;

  • definizione del vincitore;
  • scaricamento della lista dei partecipanti o integrazione diretta nel CRM aziendale.

La scelta del software per organizzare un giveaway diventa fondamentale per evitare non solo problemi burocratici, ma anche per garantire agli utenti che tutto sia regolare.

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Accelerazione Digitale: 3 punti da considerare per la prossima strategia marketing

  • Il know-how digitale acquisito dai consumatori è un’enorme opportunità per le future pianificazioni marketing: dall’interazione con i social media alle newsletter informative. Esistono tanti modi per raggiungere il proprio target e coinvolgerlo.
  • Essere utile e rispondere alle necessità del cliente, creando con lui un rapporto di valore e fiducia di lungo termine è essenziale, per questo gli sforzi di un’attuale strategia marketing dovrebbero concentrarsi anche sullo sviluppo delle relazioni con i consumatori.

 

Anche le strategie di marketing sono state colpite dal COVID-19.

Se è vero che per “fare del buon marketing” è necessario comprendere le esigenze dei propri clienti, allora non può passare inosservato che negli ultimi sei mesi il modo di vivere delle persone si è modificato. E di conseguenza anche le loro abitudini e le propensioni di acquisto.

Gli strumenti di marketing rappresentano il miglior veicolo per farsi conoscere sul mercato di riferimento: negli ultimi tempi e soprattutto nel periodo di lockdown, poter attirare ugualmente il target verso i propri canali social, i siti web o le piattaforme di eCommerce, è stato fondamentale per il benessere di molte aziende.

Il know-how digitale acquisito, sempre nel medesimo periodo, dai consumatori è e sarà un’enorme opportunità per le future pianificazioni: dall’interazione con i social media alle newsletter informative. Esistono tanti modi per raggiungere il proprio target e coinvolgerlo, l’importante è avere le idee chiare e svilupparle all’interno di un piano strutturato.

Ecco alcuni consigli per le prossime strategie di marketing, per ripartire, consolidare i rapporti già esistenti con i clienti ed attirarne di nuovi.

Tre consigli per la prossima strategia di marketing

1. Parola d’ordine: qualità

Che si tratti di contenuti per i social network, della predisposizione di uno shooting fotografico per la campagna vendite di un prodotto o del posizionamento del proprio sito web: è importante garantire agli utenti la qualità durante le varie fasi del customer journey.

Ultimamente, ad esempio, le ricerche e gli acquisti online sono cresciuti in maniera esponenziale. Potrebbe rivelarsi molto utile essere presenti con il sito web aziendale nella parte superiore della pagina dei risultati di un motore di ricerca, oppure avere a disposizione un sito web veloce e user friendly, dove gli utenti possono arrivare con facilità alla fase finale d’acquisto. Secondo una recente ricerca Google, infatti, i siti più veloci garantiscono che un numero maggiore di clienti proseguirà fino alla fase del pagamento.

Ottimizzare le fasi che portano all’acquisto di un prodotto nel caso di un e-commerce, migliorare la navigazione di un sito web informativo o attivare un’accurata strategia SEO (Search Engine Optimization o ottimizzazione per i motori di ricerca) sono solo alcune delle azioni che possono creare nuovi collegamenti di qualità e stimolare le conversioni.

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2. Creare una strategia marketing partendo dalla relazione di valore con i propri clienti

Essere utile al cliente e rispondere alle sue necessità, creando con lui un rapporto di valore e fiducia di lungo termine.

Gli sforzi di un’attuale strategia marketing dovrebbero concentrarsi anche sullo sviluppo delle relazioni con gli attuali e i futuri clienti, attraverso campagne pubblicitarie che diano valore alla reputazione aziendale, con agevolazioni e attenzioni dedicate agli utenti (ad esempio estendendo il periodo di tempo per il reso gratuito in caso di e-commerce), rispondendo rapidamente ai dubbi degli utenti sui vari canali di comunicazione, cercando nuovi touch point con il pubblico.

Percorrere nuove strade nel vasto mondo del marketing digitale: potrebbe essere il momento giusto per costruire una newsletter mensile con cui descrivere come si stanno riprendendo le attività in azienda o anticipare alcune novità su prodotti e servizi.

Inoltre in questa fase diventano ancora più importanti gli UGC (user-generated content), i contenuti generati dagli utenti sui social network: stimolare l’interazione del cliente per creare un forte legame con esso.

accelerazione digitale

3. Informare con chiarezza e monitorare il sentiment degli utenti

Gli utenti ricercano, si informano, valutano la posizione geografica e gli orari di apertura di un’attività commerciale, leggono le recensioni degli altri utenti.

Quelle elencate sono solo alcune delle informazioni che i consumatori cercano online prima di recarsi fisicamente presso il negozio, il ristorante o il wine bar scelto per una determinata occasione o per quel preciso acquisto.

Aggiornare costantemente la clientela e il potenziale target attraverso informazioni chiare sul proprio sito web, sui social network, sulle schede informative presenti sul web, deve diventare un’attività chiave, soprattutto in un momento di ripartenza come quello che si sta vivendo in Italia.

Stesso discorso vale per il monitoraggio delle recensioni degli altri utenti: avere piena consapevolezza di ciò che le persone pensano della propria azienda ed avere un piano per fronteggiare le eventuali critiche negative.

LEGGI ANCHE: Perché fare SEO post Covid è più importante che mai

email marketing coronavirus

Riassumendo

Nonostante le difficoltà di questo percorso di ripresa, potrebbe essere il momento giusto per consolidare la propria presenza online, implementare strumenti digitali e stabilire di conseguenza nuovi metodi di connessione e di conversione delle persone.

L’importante è farlo con un occhio alla qualità del contenuto, creando interazione e fornendo sempre chiare informazioni.

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Contact Tracing App: dall’Italia al resto d’Europa, funzionano davvero?

  • Le contact tracing app dovevano servire all’Italia e all’Europa per riaprire i confini, anche in vista dell’estate. Ma qual è la situazione?
  • In Italia, l’app funziona da giugno ma il tasso di adozione è più basso di quanto necessario; in Europa le cose non vanno meglio, con una situazione frammentata e l’assenza di un modello di interoperabilità tra Paesi.
  • Harvard Business Review ha identificato alcuni punti su cui concentrarsi per stimolare l’adozione delle app che è in ritardo, come le “app di comunità” e gli incentivi all’utilizzo.

 

Ci siamo: l’estate più strana del secolo è finalmente arrivata.

Ha avuto un enorme punto di domanda fin dall’inverno, quando il virus che ha colpito il mondo ci ha messo tutti “in attesa” a tempo indeterminato. Eppure niente, neppure una pandemia, può fermare il sole, il caldo e la voglia di vacanza.

Alla fine, si sta facendo quasi tutto ciò che si pensava non si sarebbe potuto fare: i confini della maggior parte dei Paesi d’Europa sono aperti, in maniera più o meno chiara. Le persone stanno partendo per le vacanze come ogni anno, anche se su scala più locale. E mentre il Coronavirus continua a mietere vittime (anche se fortunatamente in Europa a livelli molto ridotti), noi torniamo a una parvenza di normalità.

Come? Uno dei metodi che sembrava avrebbero dovuto garantire alla nostra estate un aspetto “normale” era l’utilizzo delle Contact Tracing Apps.

L’Italia, come il resto del mondo, si è lanciata alla velocità della luce nella creazione della sua app di tracciamento, ed è effettivamente riuscita a farla uscire ai primi di giugno in tempi record, attestandosi tra le prime in Europa nell’impresa.

C’è stato un gran frastuono di voci, molte a favore, molte altre critiche dell’App sviluppata da Bending Spoons. Troppi, in realtà, gettavano benzina sul fuoco a sproposito, alimentando preoccupazioni sulla privacy che erano già state più che risolte, come avevamo visto in questo articolo dedicato.

Ma poi, più niente. Molti di noi l’hanno scaricata, e lei se ne è stata silente nei nostri smartphone, ricordandoci della sua esistenza solo quando per qualche motivo disattivavamo il Bluetooth e lei ci avvisava con una notifica che il suo funzionamento era sospeso.

Ci era stato detto che per essere efficace avrebbe dovuto essere scaricata da più di metà della popolazione.

Ci era stato detto che per poter aprire i confini europei, la maggior parte degli Stati avrebbero dovuto dotarsene.

Infine, ci era stato detto, ormai circa un mese fa, che un sistema di “interoperabilità” tra le varie applicazioni disponibili nei vari Paesi europei sarebbe stato la chiave per un’estate quasi normale (il documento dell’Unione Europea con le specifiche per l’interoperabilità è datato 12 giugno 2020).

E ora che ci siamo, qual è la situazione? Quali app dovrebbero scaricare i vacanzieri in partenza per altre località europee? Quali risultati stanno portando nei vari Paesi che le hanno adottate?

LEGGI ANCHE: Perché non è la privacy la giusta preoccupazione sulle contact tracing app

La situazione in Italia: qual è il livello di adozione dell’app Immuni?

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La contact tracing app italiana, Immuni, è operativa ormai da circa due mesi.

L’app ha avuto una gestazione travagliata con critiche poco costruttive e problemi ante-litteram. Poi, finalmente, un parto speranzoso con 500mila download nel primo giorno; successivamente, primi giorni di vita costellati di piccoli o grandi ostacoli.

Poi, silenzio.

Quello che sappiamo, è che dopo averla scaricata e attivata, il suo ruolo è proprio quello di… non fare niente. L’app stessa ti ricorda di “aprirla periodicamente per verificare che sia attiva“, il che sicuramente non la fa percepire come una presenza oppressiva, ma dall’altra parte non aiuta a far capire la sua utilità.

Sappiamo che funziona tramite tecnologia Bluetooth Low Energy, riuscendo così a rispettare la privacy perché non registra posizione né altri dati sensibili.

Si è adeguata, così come la maggior parte d’Europa, al sistema predisposto da GoogleApple Decentralised Privacy-Preserving Proximity Tracing (DP-3T), modello decentralizzato più sicuro perché i dati vengono conservati sullo smartphone e non nei server.

Se un utente che ha installato l’app risulta positivo, il sistema invia ai dispositivi con cui è entrato in contatto una notifica di esposizione. Quest’informazione non ha conseguenze, nel senso che non vengono allertate le autorità né date particolari indicazioni al ricevente su cosa debba fare (teoricamente, auto-isolarsi o effettuare un tampone).

LEGGI ANCHE: 500 mila download nel primo giorno per l’app Immuni

E come sta andando l’app Immuni in Italia?

Secondo le dichiarazioni rilasciate a inizio agosto dalla ministra per l’innovazione Paola Pisano, “oggi i cittadini che hanno scaricato Immuni sono 4,6 milioni. Finora ha contenuto due focolai, 63 persone sono risultate positive e, poiché avevano scaricato Immuni, individuandole sono state inviate notifiche a più di 100 persone“.

Questi numeri sono sicuramente positivi, ma sono tremendamente al ribasso rispetto a quanto ci avevano prospettato come minimo indispensabile: si tratta di circa il 12% della popolazione in grado di utilizzarla.

Per essere davvero efficace, servono altri numeri.
Purtroppo molti italiani continuano a non fidarsi, nonostante abbia superato i testi sulla privacy effettuati ad esempio da AltroConsumo.

Complici diverse complicazioni, come la mancata chiarezza sull’iter da seguire in caso di notifica di esposizione, e il dibattio negativo che si è sviluppato intorno all’app, c’è ancora molta strada da fare per arrivare al cuore (o allo smartphone, in questo caso) degli italiani.
E il governo lo sa, infatti assicura di star mettendo in campo ulteriori misure comunicative e non per spingere l’adozione massiccia.

Insomma, in Italia bene ma non benissimo. E nel resto d’Europa?

LEGGI ANCHE: L’app Immuni si può scaricare (ma è già allarme ransomware)

Contact Tracing app in Europa: quali soluzioni nell’Unione e cosa funziona?

europa covid

Quasi tutta l’Europa si è attivata nella direzione delle contact tracing app come supporto per contenere la diffusione del Coronavirus, ma le modalità e i risultati sono stati estremamente frammentati e diversi.

Alla base c’è proprio un problema di “unione“: ovviamente ciascun Paese si è lanciato nella corsa agli armamenti digitale in autonomia.

Per fortuna molti hanno adottato il sistema di Google e Apple, rendendo la tecnologia sottostante quantomeno simile, ma per il resto ogni Stato ha fatto da sé, creando un sistema frammentato che non è in grado di dialogare a livello europeo.

Secondo i dati riportati da Reuters, nell’UE, Austria, Croazia, Danimarca, Germania, Italia, Irlanda, Lettonia e Polonia hanno lanciato applicazioni che utilizzano lo standard Google-Apple. Altri nove Paesi dell’UE hanno in programma app basate sullo stesso sistema (UK ha deciso di recente di concentrarsi su questo, mentre prima doveva sposare il modello decentralizzato). Al di fuori dell’Unione, applicazioni simili sono ora attive in Svizzera, Irlanda del Nord e Gibilterra.

Francia e Ungheria hanno lanciato un diverso tipo di app che memorizza le informazioni su un server centrale. La conseguente spaccatura degli standard significa che sarà difficile far funzionare tutte le app in tutta Europa senza soluzione di continuità.

Come funzionano le contact tracing app in Europa?

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I funzionamenti variano. L’applicazione tedesca Corona Warn è stata scaricata più di 16 milioni di volte (su una popolazione di 83 milioni) e consiglia agli utenti di rivolgersi a un medico; gli svizzeri condividono un numero verde da chiamare; mentre in Irlanda gli utenti possono scegliere di condividere il proprio numero di telefono ed essere richiamati da un operatore.

Ma funzionano? Bella domanda. Il compromesso del Bluetooth tra utilità e privacy è il nodo centrale, perché non rende possibile ad esempio individuare l’ora e il luogo esatti degli eventi a rischio.

Le app più orientate alla privacy (tra cui Immuni) rendono impossibile per i loro amministratori monitorare il numero di notifiche di esposizione che passano attraverso il sistema – rendendo difficile misurare se le app svolgono il lavoro a cui sono destinate.

In realtà, il framework di Google-Apple potrebbe consentire il monitoraggio delle notifiche di esposizione. Questo è ad esempio stato abilitato nell’app irlandese, che ha anche degli add-on come un “tracciatore di sintomi”, dove gli utenti possono condividere volontariamente informazioni su come si sentono, aiutando le autorità sanitarie a mappare la pandemia. Forse anche per questo l’app è stata scaricata dal 30% della popolazione.

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Un’unica app di contact tracing per tutta l’Europa? Non quest’estate

L’UE, come dicevamo, si è mossa per spingere nella direzione dell’interoperabilità in vista dell’estate e dei flussi di persone in movimento da un Paese dall’altro. Ma, a parte l’evidente ritardo del farlo a metà giugno, riuscirci “a posteriori” è sicuramente più complesso. Il risultato è che non esiste al momento in Europa un reale interscambio di dati tra le app di tracciamento per il Covid-19.

Se un viaggiatore intra-europeo vuole essere allertato di possibili esposizioni al di fuori del territorio nazionale, dovrà scaricare l’app di quello specifico Paese (con ovvie difficoltà, a partire dalla lingua).

E in autunno? Le speranze sono buone perché nei prossimi mesi questo passaggio fondamentale venga fatto, ma il problema non sarà comunque risolto: se l’Italia e l’intera Europa in generale non riusciranno a spingere un utilizzo dell’app più ampio di quanto non è successo finora, la loro utilità rimarrà comunque limitata (anzi, c’è chi sostiene che possano essere controproducenti perché rischiano di creare un falso senso di sicurezza).

contact tracing app europa

Come far utilizzare di più le contact tracing app?

Posto che il problema base della privacy venga neutralizzato (come ad esempio con Immuni è successo), perché le persone non scaricano e utilizzano le app di tracciamento? Perché tutta questa difficoltà nell’adozione di un sistema che ha un bassissimo impatto sul singolo, ma potenzialmente un grande impatto sulla comunità?

In primis, c’è il paradosso della privacy: più alta è la percezione che la privacy dell’utente è protetta, più persone adotteranno un’app di contact-tracing; ma una maggiore protezione della privacy pone dei limiti all’efficacia dello strumento nel tracciare la diffusione del virus, rallentando così la diffusione dell’app.

Poi ci sono i “negazionisti” che non credono alla pericolosità del virus e alla necessità di contenerlo. E i cosiddetti “astenuti“, che nel dubbio (pur assolutamente aleatorio) che possa danneggiarli preferiscono purtroppo non fare niente. Infine c’è chi non ha capito come funziona, chi ha paura di ricevere una notifica e non sapere cosa fare dopo, e così via.

Ma tutti gli altri? Qual è il problema?

Harvard Business Review ha pubblicato un articolo molto interessante a riguardo.

Secondo l’analisi, quando l’adozione è volontaria, le app per la ricerca di contatti presentano il classico problema dell’uovo e della gallina – o “partenza a freddo” – sperimentato da qualsiasi piattaforma alla ricerca di forti effetti di rete: non hanno praticamente alcun valore finché non raggiungono una massa critica di utenti.

Lo stesso vale per le app di tracciamento Covid-19. Invece di lanciarle in modo ampio e indiscriminato, dovremmo dispiegarle in comunità altamente focalizzate, contenute, affini, dove sarebbero immediatamente utili: famiglie, comunità religiose, luoghi di lavoro, scuole, bar e ristoranti, spiagge, hotel, treni, aerei, ecc.

App di comunità e incentivi

Un esempio di “app di tracciamento di comunità” è quello di UBI Banca: i suoi dipendenti utilizzano UBISafe, la sua applicazione per la ricerca di contatti, a partire dal 1° luglio e al loro rientro in ufficio. L’applicazione è stata installata automaticamente sugli smartphone aziendali, e gli altri saranno stimolati a utilizzarla. Questo può permettere all’app di raggiungere una penetrazione molto elevata, rendendola più efficace.

Altri modi per rendere un’app di tracciamento istantaneamente preziosa sono quello di fornire informazioni sul livello di contagio locale, in modo che gli utenti conoscano i rischi, e quello di includere una funzione di tracciamento dei sintomi in modo che gli utenti possano inserire i loro e ricevere informazioni su quando cercare aiuto medico (come succede in Irlanda).

Infine, sarebbe più probabile che le persone adottassero l’app se ci fossero aspettative concrete di essere così testate più rapidamente e senza costi aggiuntivi nel caso in cui ricevano la notifica di essere stati esposti al virus.

Certamente c’è ancora molto da fare: sia da parte dei cittadini, che non dovrebbero giocare all’assenteismo, ma informarsi e decidere su basi logiche di scaricare o meno l’app; sia da parte dei governi e dei produttori di queste app, che dovrebbero impegnarsi per renderle più utili per il pubblico, anche a livello europeo.

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Rebranding di luglio: Toyota, Nissan e la fusione di FCA e Groupe PSA

Rebranding di luglio: Toyota, Nissan e la fusione di FCA e Groupe PSA

  • Toyota svela una nuova identità visiva come parte del percorso aziendale verso un mondo sempre più digitale
  • Nissan si unisce a BMW e Volkswagen e sostituisce ufficialmente il suo emblema tridimensionale con un logo piatto e bidimensionale
  • FCA Group e Groupe PSA compiono un passo importante e annunciano la ragione sociale del nuovo Gruppo.

 

Una strategia di rebranding ha il potere di creare cambiamenti significativi in un’organizzazione allineando le percezioni del mercato, migliorando i processi e l’attenzione nei confronti degli stakeholder.

Dopo le riprogettazioni con loghi tridimensionali dall’effetto cromato, in stile anni ’80/’90, le case automobilistiche da Nissan a Toyota stanno tornando a un design piatto per mantenere coerenza nel mondo digitale.

Il rebranding di Toyota digital first

Toyota Motor Europe, come tanti altri marchi del settore automobilistico, punta su una riprogettazione “piatta” del suo logo. Toyota si unisce a un lungo elenco di case automobilistiche che hanno abbandonato il design 3D per un logo flat nel tentativo di modernizzare i loro marchi.

rebranding toyota

Il nuovo logo e il marchio, rivisitati dall’agenzia The&Partnership per la divisione Europa di Toyota, vedono il nome della casa automobilistica rimosso e il suo vecchio design 3D appiattito. Quel che rimane è un emblema 2D semplificato composto da tre ovali sovrapposti.

rebranding

Questo cambiamento, secondo The&Partnership e Toyota, si avvale del riconoscimento visivo del marchio tra i consumatori europei, significa che non è più necessario dichiarare chiaramente il nome per essere identificato.

I loghi bidimensionali semplificati si replicano meglio sugli schermi e in miniatura come sulle icone delle app, questo spinge i designer ad abbandonare i loghi tridimensionali che erano popolari tra le case automobilistiche negli anni ’80 e ’90.

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È la prima volta che la casa automobilistica giapponese lancia un nuovo logo dal 2005 ed è la prima volta che rinnova la sua identità visiva dal 2009.

Tuttavia, l’Head of Art di The&Partnership Dan Beckett non considera questa ondata di design piatto come una “tendenza”, ma piuttosto una soluzione pratica alla crescente questione della leggibilità in un momento in cui la digitalizzazione ha preso il sopravvento.

Realizzare loghi con un aspetto lucido e tridimensionale, vent’anni fa era abbastanza di moda. Soprattutto nel settore automobilistico dove i loghi dei marchi, per loro stessa natura, prendevano forma nel mondo reale attraverso oggetti argentati lucidi e incollati sui lati delle auto.

“Con l’avvento dei punti di contatto digitali del marchio, e in particolare dei piccoli schermi mobile, tutti quegli smussi e difficili sfumature hanno permesso che i loghi diventassero delle piccole macchie grigie, indistinguibili l’una dall’altra. Quindi non la vedo come una nuova tendenza, la vedo come la soluzione logica a un problema universale creato da una tendenza diversa” ha dichiarato Beckett.

Il marchio è stato commissionato per garantire “longevità in un mondo digitale”, oltre a mantenere la sua identità visiva in linea con l’espansione sui veicoli elettrificati, sulla vendita al dettaglio online e sui nuovi modelli di proprietà.

“Oltre a rimodernare il marchio, abbiamo anche cercato di dare una sensazione più premium mentre lavoravamo duramente per semplificare l’architettura del marchio e creare un sistema di progettazione che sarà scorrevole attraverso i punti di contatto di oggi e di domani. Toyota ha recentemente fatto grandi passi avanti nella progettazione del prodotto e volevamo davvero vederlo riflesso nell’identità visiva”, ha continuato Becket.

Il progetto di rebranding è stato avviato a luglio 2019 e ha coinvolto The&Partnership in collaborazione con Toyota Motor Europe per oltre un anno per creare un kit di strumenti online a cui accedere, per coloro che lavorano con il brand.

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Allo studio di design è stato dato un brief in quattro punti: essere lungimiranti, dare priorità al display mobile, garantire all’azienda un aspetto più “premium” e offrire coerenza in tutte le parti dell’azienda e dei suoi sotto-marchi.

Rebranding di luglio: Toyota, Nissan e la fusione di FCA e Groupe PSA

L’agenzia ha anche progettato una tipografia su misura, chiamata Toyota Type, sia per i formati digitali che fisici. Il font sans serif presenta una tavolozza colori monocromatica con un accento rosso come “cenno distintivo” per la casa automobilistica.

“Il design comunica semplicità, trasparenza e modernità”, si legge in un comunicato Toyota. “È perfettamente adattato allo spazio digitale ma ugualmente efficace nel mondo fisico”.

Questo nuovo carattere tipografico accompagna diversi cambi di nome nelle diverse aree di business di Toyota: “Toyota Insurance Management” diventa “Toyota Insurance Services” e “Toyota Plus” è stato ribattezzato in “Toyota Approved Used”.

rebranding

Il nuovo logo sarà distribuito su tutte le comunicazioni interne ed esterne del marchio in Europa, mentre l’attuale logo continuerà ad essere utilizzato sui veicoli Toyota.

Anche l’attuale segnaletica del rivenditore rimarrà inalterata, sarà rivista nella strategia Toyota 2025.

Nissan cambia identità visiva dopo 20 anni

Il marchio automobilistico giapponese Nissan ha aggiornato il suo logo all’inizio del mese di luglio: una versione piatta e più stilizzata del suo emblema precedente, che vantava un effetto rialzato e realistico.

rebranding nissan

Mentre il nome della società è rimasto invariato al centro, all’interno scompare la scatola rialzata, poiché il precedente aspetto del rettangolo sovrapposto su un cerchio è stato semplificato.

Il carattere è stato perfezionato, le lettere sono state allungate per creare uno spazio intermedio che offre un’estetica più pulita.

Rebranding nissan

Nissan ha debuttato con il nuovo logo sul SUV elettrico Ariya, tutti i futuri veicoli completamente elettrici del marchio presenteranno una versione illuminata del design.

È la prima volta in 20 anni che l’azienda cambia la sua identità visiva. L’ultima revisione aveva visto il marchio trasformarsi nella versione 3D.

Vi ricordate quando il logo era costituito da un cerchio rosso intercettato da una sezione rettangolare blu stampata con il nome Nissan?

La vecchia identità rappresentava la bandiera del Giappone

Il progetto di rebranding è durato tre anni. Il processo è stato avviato nel 2017 dal vicepresidente senior Nissan del design globale Alfonso Albaisa. Il brief prevedeva di aggiornare l’identità del marchio dell’azienda con qualcosa di “sottile, leggero e flessibile”.

“L’ispirazione nasce dalle scoperte della scienza, della tecnologia e della connettività. In che modo queste hanno apportato cambiamenti fondamentali per i clienti“, ha dichiarato Albaisa.

La necessità di illuminare il logo Nissan sui prossimi modelli completamente elettrici ha presentato al team sfide tecniche, tra cui la corretta valutazione dello spessore del contorno dell’emblema in modo che possa creare una finitura “nitida” quando illuminata, oltre a rispettare i regolamenti governativi.

Doveva anche mantenere la sua presenza audace quando non era illuminato, se utilizzato in modo digitale, su carta o dai concessionari.

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Il team ha iniziato il processo di progettazione in 3D, redigendo prima il badge del marchio illuminato, prima di svilupparlo in una forma 2D piatta per rappresentare il marchio su tutto il resto delle sue piattaforme.

“L’effetto complessivo della riprogettazione è una transizione da un aspetto industriale spigoloso a un aspetto raffinato, familiare e adatto al digitale”, ha affermato la casa automobilistica. “Il nuovo logo di Nissan simboleggia l’impegno dell’azienda a continuare a innovare per le nuove generazioni di clienti”.

Il logo apparirà anche nei concessionari. Sono state progettate quattro iterazioni del logo per adattarsi al meglio ai diversi scopi. Questi includono un logo bianco 2D e un logo nero 2D, nonché un logo bianco 3D con effetto ombra e un logo bianco 2D con ombra.

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STELLANTIS: il nome del nuovo gruppo formato da FCA e Groupe PSA

FCA Group e Groupe PSA compiono un passo importante e annunciano la ragione sociale del nuovo Gruppo.

In vista del completamento della fusione 50:50 come definito nel Combination Agreement annunciato il 18 dicembre 2019, Peugeot SA (“Groupe PSA”) e Fiat Chrysler Automobiles NV (“FCA”) annunciano che la ragione sociale del nuovo gruppo sarà Stellantis.

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STELLANTIS deriva da “stello” che significa “illuminato dalle stelle”. Trae ispirazione da questo nuovo e ambizioso allineamento di marchi automobilistici leggendari e forti culture aziendali che, riunendosi, stanno creando un nuovo leader nell’era della mobilità, preservando allo stesso tempo tutto il valore eccezionale costruito nel tempo dalle singole parti.

STELLANTIS combinerà la scala di un’azienda veramente globale con un’ampiezza e una profondità eccezionali di talenti, know-how e risorse in grado di fornire soluzioni di mobilità sostenibile per i prossimi decenni.

Le origini latine del nome rendono omaggio alla ricca storia delle società fondatrici, mentre l’evocazione dell’astronomia cattura il vero spirito di ottimismo, energia e rinnovamento alla guida di questa fusione che cambia l’industria.

Il processo di identificazione del nuovo nome è iniziato subito dopo l’annuncio dell’accordo di fusione. Il senior management di entrambe le società è stato strettamente coinvolto, supportato da Publicis Group.

stellantis

Il nome STELLANTIS verrà utilizzato esclusivamente a livello di Gruppo, come marchio aziendale. Il prossimo passo nel processo sarà la presentazione di un logo che con il nome diventerà l’identità del marchio aziendale. I nomi e i loghi dei marchi costituenti del gruppo STELLANTIS rimarranno invariati.

Il completamento del progetto di fusione dovrebbe avvenire nel primo trimestre del 2021, dopo l’approvazione da parte degli azionisti di entrambe le società nelle rispettive assemblee generali straordinarie e la soddisfazione dell’antitrust e di altri requisiti normativi.

Podcast revolution: raddoppia il consumo su Spotify

  • Spotify diventa leader nel mercato dei Podcast, con il 21% di abbonati.
  • La tendenza del momento è in crescita anche in Italia.

 

Le ore di ascolto di Spotify sono tornate allo stesso livello a cui erano prima della pandemia. La ripresa è stata più forte nelle aree in cui la diffusione del virus sembra rallentare e l’azienda ha anche dichiarato che il consumo complessivo e la crescita dei podcast sono più che raddoppiati.

Nonostante una perdita complessiva di 356 milioni di euro nel periodo del lockdown, il Wall Street Journal riporta che c’è stato un aumento degli abbonati paganti.

Nel complesso, Spotify ha detto che ora ha 299 milioni di utenti attivi mensili, con un aumento del 29 % rispetto all’anno scorso, mentre gli abbonati sono aumentati del 27% arrivando a 138 milioni.

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Spotify e la crescita dei Podcast

Una scommessa audace

Un anno fa Spotify ha fatto una scommessa costosa. Ha sborsato centinaia di milioni di dollari per entrare nel business dei podcast acquistando l’applicazione per la creazione di questo formato audio Anchor e la società di produzione Gimlet. Per un’azienda che in quell’anno non era ancora redditizia (in perdita di circa 200 milioni di dollari), è stata una mossa coraggiosa.

Quelle costose acquisizioni stanno cominciando a dare i loro frutti. Circa il 19% degli utenti attivi mensili di Spotify ascolta i podcast, in crescita rispetto al 16% dello scorso trimestre. L’azienda ha dichiarato di raggiungere 286 milioni di utenti attivi mensili, che si traduce in circa 54,3 milioni di ascoltatori di podcast.

Con l’arrivo della pandemia da Coronavirus, il consumo di podcast è cambiato immediatamente. Spotify ha notato un calo di ascoltatori che si sintonizzavano dalle loro auto o dai dispositivi indossabili. Questo probabilmente perché non erano più pendolari al lavoro. Nel frattempo, il tempo di ascolto intorno ad attività come cucinare e fare le faccende domestiche è improvvisamente aumentato. C’è stato anche un aumento dei podcast relativi al benessere e alla meditazione.

“Dai nostri dati emerge chiaramente che le routine mattutine sono cambiate in modo significativo”, ha detto l’azienda con la pubblicazione delle performance finanziarie trimestrale. “Ogni giorno ora sembra il fine settimana”.

Questo cambiamento improvviso non era qualcosa che l’azienda poteva prevedere e avrebbe potuto avere conseguenze preoccupanti. Il Chief Content and Advertising Business Officer di Spotify, Dawn Ostroff, ha detto però che il servizio di streaming sta diventando ancora più forte nonostante la pandemia:

Penso che una volta che le cose torneranno alla normalità e la gente tornerà a usufruire dei podcast in mobilità, le abitudini che si stanno formando ora resteranno, questo permetterà loro di avere ancora più tempo per consumare i podcast in tempi e modi diversi. Gli utenti di Spotify hanno ascoltato i podcast più tardi del solito all’interno della giornata e lo stanno facendo attraverso un maggior numero di dispositivi domestici come televisori e console di gioco.

“Quello che abbiamo visto attraverso la pandemia è che le persone stando a casa, ascoltano i podcast in gruppo”, ha detto Ostroff. “Ci è stato chiaro che ci sono reali opportunità nel consumo familiare.

Anche se i livelli di consumo sono tornati al pre-pandemia, i luoghi dove la gente ascolta Spotify sono ancora diversi. L’ascolto in auto resta inferiore rispetto a prima della pandemia, ad esempio, anche se, secondo quanto riferito, è in aumento.

Spotify e la crescita dei Podcast

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Spotify: il 21% degli ascoltatori ora lo usa per i Podcast

Il Wall Street Journal osserva che il numero di utenti attivi mensili che ascoltano i podcast ha visto un piccolo aumento dal 19 al 21%, ma la quantità di contenuti dei podcast consumati è più che raddoppiata.

Apple è stata a lungo il protagonista dominante nel consumo di podcast, ma Spotify è in aumento di popolarità tra gli ascoltatori. Ostroff ha detto che Spotify è “davanti a Apple” in più di 60 mercati e ha indicato i dati tracciati dalla società di tecnologia podcast Voxnest, mostrando che tra gennaio e maggio, i podcast di Spotify sono stati utilizzati più frequentemente di quelli di Apple in molti paesi come Canada, Germania, Francia, Messico e Spagna.

Il podcasting è sempre più il modo in cui le persone passano il tempo, cercando di educare se stessi, cercando di diventare più esperti in qualcosa, cercando di avere compagnia in un momento in cui sono costrette a stare sole.

Per Spotify, la crescita dei podcast è un’ottima notizia, anche se si tratta di una parte relativamente piccola del suo fatturato complessivo. L’azienda continua a fare grandi investimenti nel settore.

Il mese scorso infatti, ha firmato con uno dei podcast più popolari al mondo,The Joe Rogan Experience, per un accordo di licenza esclusiva pluriennale, dal valore di più di 100 milioni di dollari, secondo le indiscrezioni.

I podcast sono la tendenza del momento

La realtà dei fatti è che il mondo del podcast non è più un qualcosa di nicchia, ma sta ormai diventando una vera e propria tendenza. Spotify sta registrando un aumento nella creazione di podcast, con 150.000 nuovi podcast realizzati a marzo rispetto a febbraio. “Forse alcuni di quei produttori di podcast rimarranno e continueranno a creare contenuti anche dopo la ripresa della vita e torneremo a un’esistenza un po’ normale”, ha detto Ostroff.

Spotify e la crescita dei Podcast

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Anche in Italia finalmente il trend è in aumento

Il podcast è nato nel 2004 e da allora ha faticato ad imporsi nell’uso quotidiano della gente. In modo ancor più lento è cresciuto in Italia. Da un’analisi di Voxnest, in Italia a fine 2019 si è arrivati a consumare 160.000 ascolti quotidiani. Da uno studio di Nielsen per Audible, sono stati circa 12 milioni i fruitori nell’ultimo anno in Italia, e in costante aumento soprattutto nella fascia di età compresa tra i 18 e i 40 anni.

Fino a quattro anni fa i podcast italiani più popolari erano soltanto repliche di programmi radiofonici. Adesso i produttori iniziano a creare prodotti specifici favorendo la crescita dei Podcast nel Bel Paese.

Per questo 2020 le previsioni parlano di una crescita davvero importante iniziata sicuramente nel periodo di lockdown, ma anche e soprattutto grazie all’aumento della pubblicità nel settore.

Non ci resta che aspettare che il boom avvenuto soprattutto negli Stati Uniti, possa verificarsi anche nel nostro paese. E voi? Siete già dei divoratori di podcast oppure no? E avete già ascoltato il podcast di Ninja dedicato a idee e business che cambiano il mondo con Mirko Pallera?

yescapa viaggiare in camper digital

Voglia di libertà e digitale: così questa estate non si rinuncia a viaggiare

  • Il digital è la parola chiave per l’industria del turismo: dopo il lockdown si ha voglia di libertà.
  • Un’estate 2020 alla ricerca di luoghi inesplorati e poco affollati!

 

Sicurezza. Questa è la parola chiave che le persone hanno scelto per le vacanze estive 2020, in un momento davvero particolare e inatteso, che ha ci ha costretto a rivedere abitudini e piani. Ma dopo i lunghi periodi di lockdown a livello globale c’è un sentimento che emerge con altrettanta forza: la voglia di libertà, che da sempre per l’uomo significa viaggiare.

Se per lo shopping le abitudini dei consumatori si sono dirottate sugli acquisti di prossimità nei piccoli negozi e sull’eCommerce, il digitale ci ha permesso anche di conoscere un nuovo modo di lavorare e avere relazioni sociali.

Ma con il periodo estivo alle porte anche per l’industria del turismo, il digital è diventato un tema chiave.

Messo da parte il viaggio come lo abbiamo conosciuto finora, si è tornati a parlare di turismo di prossimità: il turista torna a riscoprire il suo Paese e a ripartire dalle origini per esplorare il mondo.

Eppure questo non è l’unico modello scelto dai viaggiatori in questa estate 2020.

yescapa viaggiare in camper digital

Viaggiare digitale in sicurezza

Come dicevamo, la parola chiave è diventata sicurezza e nessun luogo oggi sembra esserci sicuro come casa. Ecco allora che c’è chi sceglie di partire “portandosi la casa dietro”.

Viaggiare in camper si delinea come la soluzione più sicura per le prossime vacanze estive: distanziamento sociale garantito e libertà di movimento assicurata, sono dati dalla possibilità di viaggiare e di sostare al di fuori dei circuiti turistici standard. In questo scenario d’eccezione dove l’attenzione alle regole sanitarie e sociali è di primaria importanza, i camper rappresentano una delle alternative di viaggio più interessanti.

Viaggiare digitale in camper

A confermarlo sono i dati registrati nel mese di giugno dalla piattaforma europea per la condivisione di camper tra privati Yescapa.

Dalla fine del lockdown la piattaforma, arrivata in Italia da due anni, ha quadruplicato il traffico degli utenti sul sito che, a partire dal 3 giugno, ha registrato un aumento del 150% di visite (circa 50mila visite a settimana), rispetto allo stesso periodo nel 2019, con richieste di iscrizione e di prenotazioni confermate sia da veterani del viaggio in camper, sia da chi ha scelto di provare l’esperienza “on the road” per la prima volta.

Record storici sono stati registrati nelle prime due settimane di giugno: se in Europa le prenotazioni confermate sono salite a 6.000 (+200% rispetto allo stesso periodo del 2019), in Italia le conferme hanno raggiunto un aumento del 120%, rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente, con oltre 2.000 richieste nel mese di giugno.

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I neofiti del camper

Aumentano anche le iscrizioni di nuovi utenti che al momento della prenotazione si dichiarano alla loro prima esperienza in camper: giugno 2020 vede un incremento del 45% dei neofiti del viaggio itinerante, indicatore inequivocabile di come questa estate il turismo di movimento sarà la scelta per coloro che vorranno e potranno viaggiare entro i confini nazionali.

Grande incremento si registra anche sul versante dei nuovi veicoli iscritti al sito (+150%). Tra le motivazioni incentivanti si ritrovano sia la possibilità di ammortizzare le spese di manutenzione annuale del mezzo e ottenere una fonte di reddito complementare (oltre 200mila euro sono stati già versati ai proprietari italiani nel post-lockdown), sia la nuova copertura assicurativa che supera la limitazione dei 25 anni di età per i veicoli fino ad ora presenti sulla piattaforma.

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Destinazione Italia

È l’Italia e il turismo locale la scelta per il 99% dei prenotati sulla piattaforma di camper sharing: se nel 2019 il 46% del turismo in Italia era composto da stranieri che sceglievano lo Stivale come meta di vacanza, quest’anno il trend è determinato soprattutto da italiani che scelgono di restare entro i confini nazionali per sostenere l’economia locale ma anche per scoprire le bellezze del proprio territorio.

Milano, Torino, Roma e Napoli sono le città con il maggior numero di ricerche di veicoli che partiranno per il Sud Italia, le Isole (Sardegna e Sicilia) e le Dolomiti: queste le destinazioni maggiormente ricercate dagli utenti della piattaforma.

Il ritrovato turismo domestico di questa stagione estiva tenderà a viaggiare con più frequenza tra luglio e la fine di settembre, prediligendo weekend lunghi – da giovedì a lunedì – a discapito delle due settimane di solito considerate.

“Quest’estate sarà caratterizzata da una forte concentrazione di turismo domestico e il viaggio in camper, da sempre sinonimo di evasione e ricerca di libertà verso destinazioni poco affollate a contatto con la natura, risponde perfettamente a questa tendenza”, commenta Dario Femiani, country manager Italia di Yescapa.

Si parla oggi di undertourism, cioè quella modalità di viaggio contrapposta all’overturism, per cui i viaggiatori andranno a cercare posti inesplorati, poco affollati, “nuovi”. Una bella opportunità per quei comuni che ospitano borghi storici poco valorizzati o per spazi nella natura in cui organizzare attività di esplorazione.

Insomma un viaggio più consapevole per un viaggiatore più attento, perché in fondo: “Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non può finire in nessun altro posto, no?”.

natale facebook insights

L’attesa del Natale per i brand inizia adesso: ecco gli insight di Facebook per prepararsi

  • Per i brand il periodo natalizio implica la possibilità di aumentare vendite e fatturato, soprattutto quest’anno.
  • Facebook ha lanciato nelle ultime settimane un centro di ricerca e pianificazione che offre un’ampia gamma di risorse e statistiche per supportare i professionisti di marketing.

 

Mai come quest’anno le aziende di tutto il mondo e con molta probabilità anche noi utenti, non vediamo l’ora che arrivi dicembre, per varie motivazioni. La prima è perché finalmente si chiuderà l’anno definito da molti “horribilis”, la seconda perché arriverà il periodo natalizio e con esso la possibilità di aumentare vendite e introiti che quest’anno hanno subito gli effetti del Covid-19.

E allora anche se questo è il momento di pensare alle vacanze, diventa fondamentale iniziare a pianificare con anticipo la migliore strategia per massimizzare le opportunità di business.

Secondo quanto pubblicato in un recente sondaggio condotto da Pinterest le persone nel mondo non vedono l’ora che arrivi il periodo delle vacanze natalizie e si augurano, pandemia permettendo, di poterlo vivere accanto ai propri cari e amici.

È difficile fare previsioni ma abbiamo tutti bisogno di qualcosa per guardare al futuro con ottimismo e dicembre sembra un obiettivo realistico per tornare alla normalità.

Anche Facebook ha lanciato nelle ultime settimane un centro di ricerca e pianificazione che offre un’ampia gamma di risorse e statistiche per supportare i professionisti di marketing nella pianificazione di campagne natalizie di successo.

Il primo importantissimo strumento messo a disposizione da Facebook è una dashboard interattiva per approfondire i dati statici, che consente di avere numerose informazioni sulle principali tendenze stagionali relative alle fasi di scoperta, ricerca e acquisto degli utenti nei diversi mercati mondiali.

Dati che rappresentano un ottimo spunto per pianificare le strategie di comunicazione e vendita di cruciale periodo dell’anno.

natale marketing

Un Natale (su Facebook) tutto da scoprire

Ottimi spunti e interessanti studi statistici possono essere consultati da una dettagliatissima guida che Facebook ha messo a disposizione di tutti.

Ecco alcuni dei dati che le aziende dovrebbero tenere presente per pianificare le campagne di marketing per Natale 2020.

Maggiore fiducia nell’eCommerce

La pandemia scoppiata a inizio 2020 ha forse segnato il momento di svolta per le vendite online in particolare nel nostro paese. Abbiamo finalmente visto prendere confidenza con gli acquisti online anche generazioni di utenti over 60, che precedentemente non avevano mai acquistato online, per timori di sicurezza o limiti di conoscenza.

A causa del COVID-19 molti consumatori anche nei prossimi mesi preferiranno acquistare prodotti online piuttosto che recarsi fisicamente in un negozio e cercheranno servizi convenienti e contact less capaci di garantire esperienze di acquisto sicure.

Secondo quanto riportato dal report fornito da Facebook, circa il 56% degli intervistati  globali vorrebbe effettuare acquisti online con la funzione click-and-collect, ovvero la possibilità di acquistare un prodotto online e ritirarlo in un punto fisico.

natale estate

Incentivare gli acquisti emozionali

Durante le diverse crisi economiche vissute negli ultimi 20 anni nel mondo, quello che diversi studi hanno evidenziato è che le persone tendono a cercare gratificazione nei momenti difficili concedendosi piccole coccole a prezzi accessibili.

facebook christmas insight

Secondo una ricerca condotta da Euromonitor tra il 2008 e il 2011 a seguito della recessione, le vendite per smalti per unghie erano cresciute di circa il 30% negli Stati Uniti e del 10% in Europa Occidentale.

Un’idea proposta da Facebook soprattutto nel periodo natalizio, potrebbe essere quella di partire da una domanda: cosa in realtà può permettersi di acquistare il mio acquirente in questo momento?

È abbastanza probabile che la tendenza a concedersi un bene di lusso accessibile sia più alta in questo periodo, poiché gli utenti sono maggiormente predisposti a concedersi regali per sé e per gli altri.

Come possiamo guidare gli utenti in questa scelta?

Facebook offre diverse opportunità: dalle inserzioni dinamiche che permettono di far vedere all’utente giusto, il prodotto giusto attraverso la visualizzazione automatica di prodotti che hanno trovato interessanti sul nostro sito, sull’app o altrove online.

Oppure altra importate opportunità è data dalle inserzioni in realtà aumentata che consentono agli utenti di provare in anteprima un prodotto prima di acquistarlo.

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Pianificare promozioni anticipate

L’emergenza sanitaria del COVID-19 ha avuto nei mesi passati un forte impatto sulle aziende e sulla forza lavoro a livello globale. Una recessione economica che molto probabilmente potrà avere effetti che si prolungheranno anche nei prossimi mesi. Tuttavia non tutte le persone ne verranno influenzate allo stesso modo.

Secondo quanto evidenziato dal report di Facebook, circa il 53% delle persone che sono state intervistate in tutto il mondo afferma che il COVID-19 avrà poco o nessuno impatto sulle loro finanze, mentre il 43% si aspetta che l’impatto sarà forte o addirittura drammatico.

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Per questo diventa fondamentale sfruttare la forza delle promozioni commerciali.

Quasi 1 su 3 degli intervistati a livello globale ha affermato di voler aspettare che i prodotti siano scontati prima di effettuare un acquisto. Sarà importante pianificare questi mesi per avere la forza di sfruttare al meglio giornate come il Black Friday o il Cyber Monday, oppure proporre promozioni costruite attorno al nostro brand, prima del periodo natalizio.

Accessibilità, autenticità, azione

Sicuramente più di ogni altro anno gli utenti saranno attenti al prezzo, alle promozioni e alle offerte, anche se questi erano aspetti che già consideravano anche prima della pandemia globale.

Un aspetto importante a cui tutti i brand dovranno dare sempre più maggiore importanza saranno la responsabilità sociale e l’autenticità.

Le persone vogliono sentirsi vicini alle marche e sono sempre più attente alle azioni che queste intraprendono sia online che offline. Sono sempre più curiose a scoprire il lato umano e se i brand riusciranno a comprendere i loro bisogni e i loro principi, le persone saranno orgogliose di supportarli e sostenerli.

Secondo quanto evidenziato dall’analisi di Facebook, gli utenti considerano ugualmente importante ricevere promo e sconti quanto contenuti veri, autentici e informativi.

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Durante il COVID-19 diversi marchi hanno cambiato modo di comunicare, dialogare, coinvolgere i propri utenti, reagendo in maniera proattiva al momento di difficoltà.

Una media del 65% degli intervistati ha affermato che la risposta efficace di un marchio alla crisi, avrebbe sicuramente ripercussioni positive sulla possibilità di scegliere quel marchio in futuro.

Sicuramente il Natale 2020 sarà diverso rispetto alle precedenti vacanze natalizie, ma ci sarà sempre la stessa voglia di festeggiare, stare insieme e fare felici amici e familiari con acquisti e regali.

I brand però dovranno essere ancora più attenti a concentrarsi verso i valori che caratterizzano la loro marca, mostrando maggiore sensibilità verso i continui cambiamenti di questo periodo storico e riuscendo al tempo stesso attraverso nuove idee, nuovi formati e nuove forme di comunicazione ad ispirare le persone e a farle sentire vicino alla marca.

Storia del selfie: dal significato sociologico al suo impatto sul marketing

  • Il 21 luglio si è celebrato il National Selfie Day: scopriamo come e quando nasce il selfie e qual è il suo significato sociologico e il suo impatto sul marketing.
  • Il selfie non è solo un modo di farsi foto, ma è diventato sempre di più uno strumento, un concetto, una tendenza sociale che ci svela molto della società digitale in cui siamo immersi.

 

Al mare, a lavoro, in strada, in auto. Celebrities e persone comuni: oggi chiunque scatta selfie e lo fa in ogni momento della propria giornata. Con i social media, il modo di scattare le foto è completamente cambiato: non fotografiamo più il mondo intorno a noi, ma ci fotografiamo nel mondo. Ciò che cambia è la prospettiva, siamo noi al centro e tutto il resto attorno. Filtriamo oggetti, luoghi e persone attraverso i nostri “sorrisoni” social postati ad ogni ora del giorno e della notte.

Il 21 luglio si è celebrato il National Selfie Day, ma come e quando è nato il selfie e qual è il suo significato sociologico e il suo impatto sul marketing?

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Il primo selfie della storia VS il selfie moderno

Era il 1839 quando Robert Cornelius, di Philadelphia, scattò un selfie con una fotocamera dagherrotipica ritrovando nelle nuove tecnologie la tradizione secolare dell’autoritratto.

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Alla base di questa azione c’è la volontà di “osservarsi” e la vanità di fare di noi stessi un’opera d’arte, tutte caratteristiche insite da sempre all’interno dell’animo umano.

E infatti, il selfie moderno condivide con il primo selfie della storia (più o meno) la stessa matrice. Nel 2013 il termine “selfie” entra a far parte del dizionario di Oxford e il suo utilizzo cresce del 17.000%. Lo smartphone è il vero artefice dello sviluppo del selfie all’interno della nostra società contemporanea. Che sia per vanità, per comodità o per moda il selfie ha generato una mania che ha rovesciato (letteralmente) la sceneggiatura visiva.

Grazie al selfie, Instagram, che è un social che si basa proprio sulle immagini ed è costellato da questi autoritratti, è cresciuto esponenzialmente ed è diventato ciò che rappresenta oggi per noi. Proprio su Instagram, infatti, sono state generate le prime vere tendenze legate al selfie grazie agli hashtag #duckface e #Iwokeuplikethis.

Nel 2014 il Pew Research Center ha pubblicato uno studio in cui rivelava che più di un quarto degli americani ha pubblicato almeno un selfie online, sottolineando come la pratica del selfie sia molto più comune tra i Millennials (nati tra gli anni 80 e il 2000).

Il selfie dal punto di vista sociologico

Il selfie non è solo un modo di farsi foto, ma è diventato sempre di più uno strumento, un concetto, una tendenza sociale che ci svela molto della società digitale in cui siamo immersi e in cui, tutti noi, viviamo quotidianamente.

Prima che le nuove tecnologie fossero alla portata di tutti, l’autoritratto era una pratica relegata alla pittura. Lo smartphone lo ha liberato dal mondo dell’arte e lo ha consegnato alle masse. Secondo Herbert Marcuse l’atto del selfie rappresenta una forma di “razionalità tecnologica”: abbiamo la possibilità di fare i selfie e, di conseguenza, li facciamo anche perché la nostra cultura – in qualche modo – si aspetta che noi lo facciamo.

I social media hanno reso la nostra quotidianità una realtà costantemente mediata e mostrata agli altri. Il selfie – un’immagine pensata per essere condivisa – in questa ottica, non è un atto individuale, ma sociale e rappresenta la nostra costante interazione con le persone che – direttamente o indirettamente – fanno parte della nostra vita. Attraverso i social però possiamo decidere quale immagine consegnare agli altri e il selfie è il primo atto che ci consente di creare la nostra immagine digitale. 

Il sociologo Erving Goffman descrive questo come un processo di impression management, letteralmente “gestione dell’impressione”. Sì, perché attraverso i social siamo sempre in grado di gestire il nostro “io” digitale, accentuando o diluendo aspetti del nostro carattere o della nostra fisicità. Questo processo è motivato da ciò che in sociologia viene definita “desiderabilità sociale”, la volontà (o il bisogno) di fare una buona impressione sugli altri.

Il selfie dal punto di vista del marketing

Del grande valore del selfie non poteva non “approfittare” il marketing che ci ha visto, fin da subito, grandi potenzialità per connettere brand e celebrities con il proprio pubblico in un modo totalmente nuovo.

Purezza visiva, creatività e novità sono i tre elementi alla base del successo del selfie nell’ambito del marketing digitale. Sono tante le campagne che si sono sviluppate proprio attorno ad esso e hanno avuto un grande successo.

The Walking Dead: #DeadYourSelf

Una delle serie Tv più amate degli ultimi anni, The Walking Dead deve il suo grande successo anche alle sue campagne pubblicitarie super coinvolgenti e ben realizzate attraverso i social. Nel pieno del suo successo, la rete AMC ha sviluppato un’app che permette ai fan sfegatati della serie di trasformare il proprio volto in quello di un terrificante zombie. Incoraggiando gli utenti a condividere i selfie sui social attraverso l’hashtag #DeadYourSelf la serie ha ottenuto un ottimo livello di coinvolgimento ed ha cavalcato l’onda del suo già ampio successo.

Beats By Dre: #SoloSelfie e il video in stile “ciambella”

Nel 2014, per lanciare le sue nuove cuffie Solo2, il brand Beats si è ispirato al video di Karen X e ha spinto influencer e fan ad emulare il “Donut Selfie”, un modo di fare video facendo girare solo lo smartphone attorno a sé, riprendendo la forma di una ciambella. Il tutto, ovviamente, sfoggiando un paio delle nuovissime cuffie.

Le immagini e il video super accattivanti hanno contribuito a far ottenere alla campagna 10,6 milioni di visualizzazioni in poche settimane. 

Volvo: #SelfieForSafety

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Basata sul concetto di sicurezza, la campagna di Volvo #SelfieForsafety è stata lanciata nel 2019. Volvo ha chiesto alle persone di farsi un selfie in auto, con la cintura di sicurezza, utilizzando l’hashtag della campagna.

L’iniziativa ha avuto un bel po’ di successo, ma soprattutto è stata utile per capire che ben 4 persone su 10 indossano la cintura di sicurezza in modo errato.

Il selfie oggi è una pratica in declino?

Nel 2016 sono stati caricati online 24 miliardi di selfie. Nel 2018, invece, il numero è sceso a 94 milioni. Cosa sta succedendo? La pratica del selfie è in declino?

Come tutte le mode c’è il rischio che anche il selfie subisca delle battute d’arresto. Soprattutto perché in molti, negli anni, hanno demonizzato il selfie come pratica, talvolta, pericolosa o perché sostengono che la mania di mostrarsi continuamente agli altri potesse influire negativamente sulla psiche umana, soprattutto dei più giovani.

Inoltre, i fotografi professionisti non hanno mai definito il selfie una vera forma d’arte e per questo l’hanno criticato aspramente.

Eppure, negli ultimi mesi, abbiamo assistito ad una sorta di rinascita del selfie. Tantissimi i volti degli utenti che ogni giorno pubblicavano selfie “in maschera” sui propri profili social. Complice il tempo che abbiamo passato a casa, senza troppi impegni, e la “nuova immagine” di noi stessi dietro alle mascherine che – man mano – sono diventate sempre più alla moda e originali, il selfie è tornato in auge e di certo non scomparirà. Almeno per ora.

Come tutte le pratiche sociali, ovviamente anche il selfie se usato nel modo giusto può rappresentare una grande risorsa social e pubblicitaria.

fake news immagine

Guida pratica per combattere la disinformazione: ecco come riconoscerla

  • Quasi ogni giorno qualche notizia viene travisata o modificata e, grazie al suo potere virale, diventa una fake news.
  • I social network stanno provando ad arginare il problema, diventato più impellente che mai durante il Coronavirus, ma non basta.
  • TikTok lancia una campagna per insegnare la media literacy: ecco come scovare e combattere le fake news in un elenco di cose da fare.

 

Qualche tempo fa ho ricevuto un messaggio che mi avvisava di un evento astronomico molto interessante che avrebbe dovuto avvenire la notte tra il 27 e il 28 luglio: una “luna rossa”, causata da nientedimenoche l’eclissi più lunga del secolo.

E così come me, migliaia di altre persone hanno letto lo stesso testo su Whatsapp o addirittura su testate come Repubblica e Sky24. Ma quando sono andata a cercare più informazioni online, mi sono trovata davanti a un ironico dejavù: la fantomatica eclissi non ci sarebbe stata, perché ha in realtà avuto luogo 2 anni fa.

Un errore di data, probabilmente. O forse uno scherzo. Fatto sta che, per quel magico potere della viralità online su cui ancora abbiamo così tanto da comprendere, la notizia ha iniziato a rimbalzare di Whatsapp in Whatsapp, di sito in sito, fino a diventare una fake news.

Fa niente – un errore innocente, una bufala che non ha fatto del male a nessuno. Giusto?

Giusto. Ma anche sbagliato. Perché mi ha fatto riflettere, insieme alle tante notizie più o meno false che ho visto specialmente durante i mesi di lockdown girare sui social o persino arrivarmi su WhatsApp, su quanto sia facile manipolare la realtà online.

Una piccola informazione omessa, come l’anno della data, può portare tutta Italia a condividere una notizia palesemente falsa.

O ancora, un luogo mancante può invece far sì che il video di un cerbiatto filmato nel 2016 (e già stato oggetto di fake news nel 2018) torni a diventare virale come caso di “natura che si riprende i suoi spazi” durante la quarantena. E così via, in una sequenza a cui ormai siamo fin troppo abituati.

LEGGI ANCHE: Il Coronavirus sui social: come evitare le fake news (e non farsi prendere dalla psicosi)

A chi spetta il controllo sulle fake news?

Quando parliamo di errori in buona fede come questi, ci si può fare su una risata. Ma quando invece c’è del dolo dietro la creazione o la manipolazione di un contenuto, non c’è niente da ridere.

In casi del genere, un post sui social può arrivare ad essere veicolo di odio razziale, di disinformazione medica, o addirittura influenzare la scelta di un partito politico piuttosto che un altro.

Tanto è il potere dell’informazione. E tanto è facile cadere nella trappola di un piccolo, innocente “condividi”.

E se è ovvio il ruolo di giornalisti e professionisti della comunicazione, che dovrebbero fare da filtro e procedere sempre alla verifica di ogni fonte, sono spesso proprio i canali ufficiali a sbagliare e a “convalidare” una fake news per errore o per fretta.

È quindi compito e dovere del singolo imbarcarsi in un percorso di analisi e di scoperta degno di un vero e proprio detective per verificare la veridicità di ciò che si trova davanti ed, eventualmente, se abbia senso condividerlo.

La cattiva notizia? Non è facile, specialmente in alcuni casi. Quella buona? È una questione di abitudine, di “mindset”; una volta capito quali sono i passaggi concreti da compiere per identificare una fake news, e allenato il nostro investigatore privato personale a farlo un paio di volte, diventa molto più facile riuscirci.

come interrompere fake news

La guerra dei social alle Fake News

Negli ultimi anni, dopo scandali su scandali e situazioni sempre più gravi di proliferazione delle Fake News online, i social media hanno iniziato a prendere in mano il problema.

C’erano già stati diversi timidi tentativi, ma quest’anno un evento globale ci ha messo davanti ad una vera e propria esplosione incontrollata del problema: l’epidemia di Covid-19.

Già le informazioni di per sé erano sparse e disorganizzate, a volte apertamente contraddittorie tra loro anche quando venivano da fonti ufficiali; la corsa alla “breaking news”, il panico generalizzato e anche la mala fede di singoli e alcune aziende hanno fatto il resto.

Così negli ultimi mesi sono proliferati esperti, farmaci miracolosi, informazioni di dubbia qualità, etc etc. Tutte amplificate e ingigantite dal gigantesco palcoscenico su cui tutti ci esibiamo: i social media.

Tra le misure prese dai giganti del web,

  • Twitter ha deciso di eliminare i contenuti che apertamente promuovevano cure fasulle o negavano quanto detto dalle fonti ufficiali;
  • Facebook ha creato una sezione ufficiale dedicata alla racconta di informazioni ufficiali sul Coronavirus, posizionata in cima al News Feed;
  • Reddit ha ospitato sessioni di domande e risposte ufficiali tenute da esperti di vari ambiti.

In generale, qualsiasi sistema di “sorveglianza” si può basare su un misto di Intelligenza Artificiale (che individua determinate parole chiave, ad esempio) e di supporto degli utenti, tramite la possibilità di “segnalare” i contenuti fake.

Ma è abbastanza? Chiaramente no. WhatsApp ad esempio si sottrae a questa possibilità grazie al fatto che i messaggi sono crittografati – una cosa essenziale per la nostra privacy, ma uno scudo meraviglioso per le fake news che possono essere diffuse qui.

Cosa serve quindi? È necessaria quella che viene definita “media literacy“.

A scuola di Media Literacy

L’Unione Europea la definisce ufficialmente come “la capacità di accedere ai media, di comprendere e valutarne criticamente i diversi aspetti a cominciare dai loro contenuti, di creare comunicazione in una varietà di contesti”. Ed è a tutti gli effetti una capacità che si deve apprendere tramite studio ed esercizio, esattamente come qualunque altra, tanto che dovrebbe essere insegnata nelle scuole.

E infatti, dove questo tema è stato seriamente introdotto nelle politiche locali dai governi è dove le fake news hanno iniziato ad avere meno seguito.

paesi con resistenza alle fake news

I Paesi nordici e in particolare la Finlandia che, grazie ad un programma implementato dal governo fin dalle scuole elementari per incoraggiare il pensiero critico online, si è posizionata prima per capacità di resistere alla disinformazione e alle fake news.

Verso l’educazione digitale: entra in campo TikTok

La soluzione quindi è una sola: educare, ed educarci, a riconoscere le fake news e a difenderci da esse, stroncandole sul nascere.

L’ultimo arrivato a provarci è TikTok, il social network che è decisamente arrivato alla ribalta quest’anno e che accoglie soprattutto giovani e giovanissimi, e che su questo argomento ha lanciato una campagna di influencer marketing molto originale.

In una serie di video divertenti e originali, gli influencer della piattaforma affrontano il tema della media literacy nel modo scanzonato che ha determinato il successo dei brevi video che contraddistinguono questo social.

E quindi, con il loro aiuto e integrando il tutto con qualche informazione aggiuntiva, proviamo a stilare una breve guida per identificare, smascherare e debellare ogni fake news che possa arrivare davanti ai nostri occhi.

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La guida anti Fake News: come impedire alle notizie false di passare sotto i nostri radar

  1. Rallenta e ragiona: ogni qualvolta che un contenuto che sembra “troppo XXX per essere vero” ti capita davanti, fermati e chiediti: c’è qualcosa di strano? Le fake news che hanno maggior carica virale sono quasi sempre quelle che suscitano una forte reazione emotiva, positiva o negativa. Storie che sembrano troppo ridicole o che confermano in maniera cieca un pregiudizio diffuso sono ottimi veicoli di falsità. Da ultimo, se un contenuto del genere ti incita a spendere soldi per qualcosa, tutti i tuoi allarmi mentali da fake news dovrebbero iniziare a emettere suoni e luci all’unisono.
  2. Identifica la fonte: non importa da chi arriva il messaggio e quanto affidabile ti sembra la pagina. Non ti fermare alle apparenze, leggi bene l’URL (molti siti di fake news somigliano a note testate con qualche tipo di typo nel nome) e se serve cerca di capire chi è l’autore. Controlla anche la data, e se ci sono link di approfondimento prova a seguirli per vedere se il sito originario è affidabile o meno. Come regola generale, considera che se arriva su WhatsApp e ti sembra un testo copiato e incollato, allora è quasi sicuramente fake.
  3. Fai le domande giuste: nella stragrande maggioranza dei casi basta copiare e incollare il testo ricevuto su Google per scoprire in pochi secondi se si tratta di una notizia vera o di un fake.

    combattere fake news tiktok

  4. Dai un feedback se non è affidabile: su tutti i social c’è la possibilità di “segnalare” i contenuti inappropriati, e le fake news hanno una voce specifica. Se invece il messaggio ti arriva da un parente o amico, faglielo notare personalmente: è importante che le notizie false vengano smantellate con la stessa intensità virale con cui si diffondono.
  5. Confronta più fonti: se si tratta di una notizia vera ma che ti pare esagerata o falsa, prova a verificare come ne parlano altre testate, idealmente verifica anche in inglese perché spesso i media italiani amano fare sensazionalismo.
  6. Se sei in dubbio…non condividere! Se nonostante la tua breve ricerca non riesci a capire se la notizia è vera o falsa, nel dubbio evita di condividerla e di supportare il meccanismo virale. Soprattutto se i motivi che ti spingono a condividere sono negativi (rabbia, tristezza, accuse…). È anche compito tuo fermare le fake news, ed è una scelta che ciascuno di noi deve fare personalmente.
  7. Bravo. Ora ripeti da capo per la volta successiva. Ogni volta che stai per premere “condividi” o “inoltra”, una vocina dovrebbe attivarsi nel tuo cervello e dirti: “sei proprio sicuro sicuro sicuro?”
strumenti di google per giornalisti

Tool di Google per i giornalisti, nasce una nuova suite

  • Da un paio d’anni, la Google News Initiative mette a disposizione dei giornalisti tool gratuiti, partnership e programmi pensati ad hoc per loro.
  • All’interno di questa “iniziativa di collaborazione con il mondo dell’informazione”, in queste ultime settimane è nata una nuova suite di strumenti gratuiti per l’analisi e l’interpretazione dei dati di Google Analytics.

 

Google, si sa, ha posato i propri occhi sulle redazioni giornalistiche già un paio d’anni fa. Da allora, attraverso la Google News Initiative, “iniziativa di collaborazione con il mondo dell’informazione”, continua a proporre ai giornalisti di tutto il mondo tool e occasioni sempre nuove per “crescere nell’era digitale”.

Principalmente, la Google News Initiative è pensata su tre binari. Il primo è quello dedicato ai prodotti, ovvero i tool di Google per i giornalisti. Il secondo è quello delle partnership, strette “con chi si occupa di informazione per affrontare le sfide di settore e di business”. Infine i programmi, “per favorire l’innovazione nel mondo dell’informazione”.

Tra questi ultimi, ad esempio, il Google News Lab, la Google News Initiative Innovation Challenge, il Google News Initiative Cloud Program e il Digital News Innovation Fund. Ma anche occasioni di formazione come la Google News Initiative Fellowship e il centro di formazione online, con più di 40 lezioni dedicate ai prodotti e ai tool di Google per i giornalisti. Ma quali sono gli ultimi rilasciati?

Tool Google per giornalisti

I nuovi data tool di Google per i giornalisti

Negli ultimi due anni, la Google News Initiative ha “lavorato con migliaia di organizzazioni giornalistiche per aiutarle a trasformare i dati in informazioni commerciali concrete. News Consumer Insights e Realtime Content Insights hanno aiutato le aziende editoriali a fidelizzare i lettori e ad aumentare la redditività”.

Nelle ultime settimane, questi due tool pensati da Google per i giornalisti sono stati rilasciati nella loro versione 2.0, e ad essi si è aggiunta anche la News Tagging Guide. È nata così una vera e propria nuova suite di strumenti gratuiti “che aiuteranno le redazioni giornalistiche a semplificare e comprendere meglio i dati, per migliorare la strategia digitale”.

Tool Google per giornalisti

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News Tagging Guide

La News Tagging Guide (NGT) è un tool gratuito che aiuta i giornalisti a sfruttare al massimo il potenziale di Google Analytics, individuando le metriche di engagement che contano per l’audience e la crescita dei ricavi. Semplifica l’implementazione tecnica di Google Analytics attraverso tag pronti per essere copiati e incollati all’interno del proprio sito web e amplifica le raccomandazioni e gli insight ottenuti attraverso gli altri due tool.

strumenti di google per giornalisti

News Consumer Insights 2.0

Il tool News Consumer Insights 2.0 (NCI) identifica le opportunità di ottimizzazione del reader funnel per aumentare la redditività e costruire relazioni più strette con i propri lettori. Dà accesso ad approfondimenti personalizzati e a raccomandazioni attuabili sulla base dei propri dati di Google Analytics.

Tool Google per giornalisti

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Realtime Content Insights 2.0

Nel giornalismo soprattutto digitale, il tempismo, si sa, è tutto. Identificare in tempo reale quali sono gli articoli e i video più visualizzati dai lettori e quali sono gli argomenti in tendenza a livello nazionale è allora essenziale per riuscire a intercettare “in diretta” l’intesse della propria audience. Il tool Realtime Content Insights 2.0 (RCI), pensato per tutte le redazioni che utilizzano Google Analytics, risponde a queste esigenze. E la sua data visualization è semplice, adatta anche a chi coi dati non ha sempre un buon rapporto.

E voi avete già iniziato a utilizzare i tool di Google per i giornalisti? Cosa ne pensate?