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Inizia a urlare: oggi è il Caps Lock International day

Se vi state chiedendo come mai oggi i social sono pieni di messaggi scritti in maiuscolo, è perché il 22 ottobre è la giornata mondiale del Caps Lock.

Ma non è una vera e propria celebrazione del pulsante a sinistra della nostra tastiera. Si tratta effettivamente di una presa in giro. Tutto nasce nel 2000 quando l’informatico Derek Arnold, stufo di leggere in rete messaggi in maiuscolo, decide di celebrare il 22 ottobre invitando gli utenti a scrivere con il tasto Bloc inserito.

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In molti, della stessa opinione di Derek, hanno deciso negli anni di ricordare questa data. L’eco di questa giornata è cresciuta talmente tanto da far nascere un proprio sito ufficiale e da avere un ampio spazio su Twitter.

Caps Lock in un click

Il tasto che tutti conosciamo Bloc Maiusc è apparso la prima volta sulla tastiera IBM nel 1984.

In seguito, sul web, si è fatta strada la convinzione che per farsi notare, non potendo usare il corsivo, il colore o la dimensione, il metodo più appariscente fosse proprio usare i caratteri in maiuscolo. Nato come segno di distinzione per sottolineare unicità o particolare importanza, nel tempo si è invece trasformato in elemento di disturbo.

La maggior parte di noi prova infatti fastidio nel leggere commenti, opinioni altrui o messaggi scritti in questo modo. Il motivo è semplice: le lettere in maiuscolo ci fanno pensare a qualcosa di urlato, ad una frase gridata, ad un’accusa o ad un affronto. E questo ovviamente non piace a nessuno. Sulle piazze dei social è facile che ciò che scriviamo venga mal recepito: una virgola al posto sbagliato, i puntini di sospensione buttati a manciate qua e là e di libera interpretazione, una frase costruita male. Già non è semplice codificare in modo corretto tutti i pensieri che affidiamo alla tastiera, perché provocare ulteriori fastidi e fraintendimenti dando l’impressione di urlare i nostri pensieri?

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In questo senso va interpretata la giornata del Caps Lock: prendere in giro e tentare di irritare allo stesso modo proprio quegli utenti che abusano di questo tasto. Illuminandoli magari sull’uso corretto della tastiera e delle “regole” di buona comunicazione attraverso lo schermo.

Ma non solo il 22 ottobre: negli Usa anche il 28 giugno si celebra una seconda giornata del Caps Lock. Ribattezzata Billy Mays in onore del presentatore di televendite scomparso nel 2009 e che, come nella sua versione italiana di Roberto “il Baffo” da Crema, sembrava parlasse con il tasto maiuscolo sempre inserito.

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Dunque, ironizziamo pure su questa giornata ma ricordiamo di usare il Bloc Maiusc con parsimonia. Una volta potrebbe essere d’aiuto per enfatizzare il messaggio ma se si esagera potremmo finire nell’affronto e nella provocazione. Ovviamente sempre da tastiera, perché la realtà è tutto un altro tasto.

TikTok: cosa significa FYP e cosa dovresti sapere sul funzionamento del suo algoritmo

  • Scopri il funzionamento dell’algoritmo di TikTok, come si costruisce un design orientato, e cosa accade prima che un video venga pubblicato su TikTok.
  • Inoltre, c’è differenza tra i feed di TikTok e quelli di Facebook: analizziamo le diversità!

 

Capire il funzionamento del suo algoritmo è importante anche se non si è direttamente interessati a TikTok. Sempre più aziende, di tutti i settori industriali si troveranno ad affrontare concorrenti il cui vantaggio competitivo si concentrerà su un algoritmo di apprendimento automatico o machine learning. Ma andiamo nel dettaglio.

Cosa significa FYP?

Probabilmente avrai visto questo hashtag #fyp in molti video TikTok.

Più comunemente #fyp o FYP sta per “pagina personale“. La pagina “For You” è la pagina che viene visualizzata quando apri l’app TikTok sul tuo iPhone o Android. La maggior parte dei TikToker vorrebbe portare i propri contenuti in questa sezione in modo da raggiungere il vasto pubblico presente sulla piattaforma.

Negli ultimi anni, il machine learning ha fatto molti passi avanti ottenendo progressi nell’AI come il GPT-3 (“Generative Pre-trained Transformer”), ovvero un modello di linguaggio autoregressivo che utilizza l’apprendimento profondo per produrre testi di tipo umano. Andando più nel dettaglio, un transformer è una rete neurale che usa tecniche di Natural Language Processing per eseguire un compito. In altri termini si tratta di un modello di computazione linguistico pensato per generare sequenze di parole, codice o altri dati, partendo da un input di partenza.

Questi modelli statistici per produrre risultati rilevanti hanno bisogno di allenarsi con grandi quantità di dati. In questi ultimi mesi, la discussione sull’algoritmo di TikTok lo ha elevato a qualcosa di simile a uno di quei mistici artefatti archeologici presenti nei film di Indiana Jones.

Machine learning TikTok

La maggior parte degli esperti del settore dubita che TikTok abbia sviluppato qualche progresso finora sconosciuto negli algoritmi di raccomandazione per l’apprendimento automatico. In realtà, la maggior parte di loro direbbe che TikTok sta probabilmente costruendo gli stessi approcci standard adottati dagli altri player di mercato.

Ma dove si possono trovare brevi video di meme, di bambini che ballano e fanno singhiozzi, di animali domestici dall’aspetto adorabile, di influencer che sponsorizzano brand, di soldati che corrono su percorsi a ostacoli, di bambini, e così via?

Anche se foste in possesso di questi video, dove potreste trovare dei dati comparabili su come la popolazione generale reagisce ad essi? Al di fuori del set di dati di Musical.ly, che consisteva per lo più in ragazze adolescenti negli Stati Uniti, questi dati non esistevano. TikTok è quindi diventato la sua stessa fonte di dati per l’addestramento, aumentando le analisi man mano che la piattaforma cresceva il suo algoritmo si evoluto. Tutto questo sistema chiuso di auto feedback è stato reso possibile da una delle componenti più importanti della piattaforma: il design!

design thinking: prototype

Un design su misura

La scuola di pensiero dominante quando si parla di design di un applicazione sta nell’eliminare le difficoltà degli utenti facilitandone le operazioni, creando un design intuitivo, ingegnoso ed elegante. Forse nessuna azienda ha incarnato questo più di Apple, che è stata capace di produrre negli anni hardware e software piacevolmente eleganti ma anche sexy per gli utenti.

Ma cosa succede se la chiave per servire al meglio i vostri utenti dipendesse in gran parte dalla formazione di un algoritmo ad apprendimento automatico? E se quell’algoritmo avesse bisogno di un massiccio set di dati per l’addestramento?

In un’epoca in cui l’apprendimento automatico o machine learning è in ascesa, questo è sempre più un obiettivo di progettazione critico. Quando si sviluppa un’applicazione, bisogna infatti considerare prima di tutto come ottimizzare al meglio il funzionamento dell’algoritmo e poi pensare agli utenti. TikTok affascina proprio per questo, è un esempio di applicazione dal design moderno, ottimizzato alla perfezione per il suo algoritmo, capace di creare quello che definirei un esempio di friendly design.

In definitiva, un design che aiuta un algoritmo a migliorarsi, lo fa con il fine di fornire all’utente la migliore esperienza possibile. Questa linea operativa potrebbe essere ancora considerata solo una variante della progettazione incentrata sull’utente, ma per quei team che lavorano su prodotti con una rilevante componente algoritmica, può essere utile riconoscerlo esplicitamente già nelle prime fasi di sviluppo.

Dopo tutto, quando un product manager, un designer e un ingegnere si incontrano per progettare un’applicazione, l’algoritmo non risulta ancora presente ma va tuttavia considerato.

Cosa vede l’algoritmo?

Ma andiamo ora a vedere nel dettaglio cosa intendo per design che ottimizza l’algoritmo dando un’occhiata più da vicino alla pagina denominata “For You Page”.

Visualizzando questo feed notiamo subito una particolarità, in questa sezione l’intero schermo viene riempito da un solo video alla volta. Sì, avete capito bene, solo uno. Viene visualizzato a schermo intero, con orientamento verticale. Questo non è un feed a scorrimento ma viene impaginato in modo efficace. Il video viene infatti riprodotto in autoplay quasi immediatamente (caricando i successivi sullo sfondo in modo che possano apparire velocemente in modo sequenziale).

TikTok For You Page

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Questo design pone una domanda immediata all’utente: cosa ne pensi di questo breve video?

Tutto ciò che fai dal momento in cui il video inizia a riprodursi è un segnale del tuo sentiment verso quest’ultimo. Decidi di passare al video successivo prima che sia terminata la sua riproduzione? Allora dimostri un segnale implicito di disinteresse.

L’hai guardato più di una volta, lasciandolo riprodurre un paio di volte? Sembra che qualcosa ti sia piaciuto. Hai condiviso il video attraverso il pannello di condivisione integrato? Un altro forte indicatore di un sentimento positivo. Se tocchi l’icona del LP che gira in basso a destra e guardi altri video con la stessa canzone, questo è un segnale aggiuntivo rispetto ai tuoi gusti. Sei entrato nella pagina del profilo del creator? Hai guardato altri suoi video e li hai seguiti? Oltre a goderti il video, forse apprezzi il personaggio.

Cosa accade prima che il video venga pubblicato?

Ma facciamo un passo indietro, per capire insieme cosa accade prima ancora di guardare i video, capiamo come l’algoritmo TikTok li “visioni” assegnandogli dei tag. Nelle prime fasi di vita dell’app qualche membro del team operativo di TikTok assegnava tag o etichette rilevanti manualmente, ora invece viene fatto in modo automatico.

Il video riguarda il ballo? La sincronizzazione labiale?  Un gattino? Uno scoiattolo? È comico? Il soggetto è un maschio o una femmina? Di che età, all’incirca? È un video di gruppo? Dove è ambientato? Quali filtri o effetti visivi vengono utilizzati? Se si tratta di cibo, di che tipo? E così via. Tutte queste etichette diventano caratteristiche che l’algoritmo può ora vedere grazie alla Vision AI (un sistema molto avanzato di intelligenza artificiale e deep learning). Schematizzando il processo, quanto segue è cosa succede quando posti un nuovo contenuto.

Algoritmo TikTok Content Flow

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L’algoritmo può anche vedere ciò che TikTok già conosce di te. Quali tipi di video ti sono piaciuti in passato? Quali informazioni demografiche o psicografiche si conoscono su di te? Dove guardi il video? Che tipo di dispositivo avete? E così via. Oltre a questo, quali altri utenti sono simili a te?

Ma torniamo al preciso momento nella quale guardi un video sul tuo cellulare. L’algoritmo FYP può ora chiudere tutti i loop di feedback, memorizzando tutte le azioni eseguite su quel preciso contenuto, comprendendo il tuo stato d’animo, i tuoi gusti e tutti gli attributi del video che ti piace cosi tanto.

TikTok Feed vs Facebook Feed

Tutto fantastico? Facciamo ora una differenziazione interessante, contrapponendo ciò che l’algoritmo FYP di TikTok analizza con ciò che un algoritmo di raccomandazione comparabile analizza sulla maggior parte degli altri feed dei social network.

L’interfaccia utente predefinita dei più grandi social network è oggi il feed a scorrimento verticale infinito, per esempio Facebook funziona in questo modo. Invece di servirvi di un contenuto alla volta, questa applicazione visualizza più elementi sullo schermo contemporaneamente. Scorrendo verso l’alto però, l’algoritmo non può “vedere” su quale storia si appoggeranno i tuoi occhi, e anche se potesse farlo non comprenderà mai se il tuo orientamento verso quella storia/post sia positivo o negativo.

Facebook Feed, scermata a confronto con TikTok

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Se si pensa che l’interfaccia utente ideale va ad eliminare le difficoltà di navigazione allora il feed a scorrimento infinito è l’ideale perché offre un senso di controllo disinibito del ritmo di consumo. La fisica simulata che ne risulta dallo sfogliare un feed con il pollice e vederlo scorrere verso l’alto con l’esatta velocità di rotazione del tuo gesto iniziale dà la possibilità a chi naviga di visionare oltre una mezza dozzina di tweet o di elementi del feed di Facebook in pochissimo tempo.

D’altra parte, forse non ti dispiacerebbe leggere un post alla volta se questi fossero più mirati? Tutto possibile ma non nell’ottica attuale perché Facebook non sa esattamente quali tipi di post ti interessano realmente.

Anche se su un post l’utente facesse delle attività, giudicarne il sentiment è una sfida. La maggior parte delle app ha solo meccanismi di feedback positivi, dato che applicazioni come Facebook, Instagram e Twitter sono costruite attorno alla socialità delle persone, è quindi ovvio il motivo per la quale queste piattaforme non possiedono (o non possiedono più) pulsanti di antipatia (dislike).

Anche TikTok non ha un pulsante esplicito per il downvote, ma, visualizzando un solo video alla volta, gli algoritmi riescono a dedurre la mancanza di interesse degli utenti per ogni singolo video. Un rapido strisciare in alto prima che il video sia stato completato corrisponde alla strisciata a sinistra su Tinder, insomma non siamo piaciuti.

Pensaci un attimo, se clicchi su un post Facebook non commentando o non mettendo “mi piace”, come può Facebook giudicare il tuo sentiment nei confronti di quel post? Forse il pensiero di poter dissentire violentemente qualcuno commentando un post, può portare al pensiero di essere inopportuni agli occhi di amici o conoscenti.

TikTok non solo cattura segnali di sentiment da parte dei suoi utenti, ma ne raccoglie anche un volume enorme per ogni navigazione.
Nel peggiore dei casi, alcuni video potrebbero annoiarti, ma eliminare la categoria risulta semplicissimo, e poiché l’algoritmo ascolta attentamente il tuo feedback, potresti anche divertirti a eliminare i video sapendo che l’applicazione registrerà la tua opinione e agirà di conseguenza.

proteggerti dai social media

Chi è arrivato prima di TikTok?

A tal proposito, TikTok non è l’unica applicazione con un’interfaccia ottimizzata per il compito di abbinamento che mostra un video alla volta. Prima di TikTok, avevamo un’intera categoria in cui era dominante l’UI in stile audition-style one-item-at-a-time: Tinder ha ideato quello che sembra un design primitivo su un’interfaccia utente touchscreen per il voto binario.

Concludendo, Bytedance viene spesso definita come la società dagli algoritmi misteriosi, e TikTok nelle ultime settimane è stato descritto come il risultato di tale magia nera. Molti sono arrivati al punto di dire che TikTok non varrebbe la pena di acquistarlo se l’algoritmo non fosse incluso. Questo è un errore, secondo me. Sì, la riqualificazione dell’algoritmo delle raccomandazioni del FYP potrebbe richiedere così tanto tempo che alcuni utenti rinuncerebbero al suo utilizzo.

Non intendo banalizzare questo compito. Ma la vera magia è il modo in cui ogni elemento del design e dei processi di TikTok si connettono tra loro per creare un set di dati con cui l’algoritmo si allena quotidianamente per raggiungere il massimo delle prestazioni forse mai raggiunte prima da un social network.

haters

Che cos’è la scala di Allport e perché ha a che fare con gli hater online

  • La scala di Allport definisce pregiudizi e discriminazioni utilizzando 5 livelli.
  • Uno studio recente ha trovato un livello elevato di invidia tra le persone che scrivono commenti d’odio (gli haters).
  • In termini di discriminazioni e pregiudizi siamo più tolleranti con la comunicazione politica rispetto al Marketing.

 

Recenti studi hanno cercato di definire i predittori psicologici degli haters. Chi sono? Quali sono le caratteristiche personali che li contraddistinguono?
Sorokowski, Kowal e altri ricercatori hanno pubblicato di recente il loro studio che analizza commenti negativi online nei confronti di atleti polacchi durante le Olimpiadi invernali in Corea del Sud nel 2018.

Dall’indagine psicologica svolta su 94 utenti, analizzando i livelli di narcisismo, psicopatia, frustrazione, machiavellismo e invidia, è emerso che i livelli di invidia più alti erano marginalmente significativi. Questo risultato fornisce una importante indicazione: le persone che si impegnano in comportamenti d’odio online sono caratterizzate da alti livelli psicopatici, non hanno però alti livelli di tratti comunemente associati a comportamenti distruttivi.

Già nel 1954 lo psicologo cognitivista Gordon Allport identificò varie sfumature e sfaccettature di pregiudizi e discriminazioni. Fu allora che creò la scala di Allport.

Un metro di misura per i pregiudizi: la scala di Allport

Prima di approfondire le teorie di Allport è necessario definire il pregiudizio:
“ciò che è familiare è preferito”. Ciò che è estraneo è considerato come qualcosa di inferiore, meno qualitativo. Per esempio il pregiudizio etnico è fondato su generalizzazioni ed è inflessibile, perché ignora volutamente le reali caratteristiche dei singoli individui. Allport ha identificato 5 livelli per valutare il grado di discriminazione e pregiudizio.

1. Le rappresentazioni negative degli haters

Maldicenza, l’uso di stereotipi, la ridicolizzazione, il discredito e i discorsi d’odio sono caratteristiche di questo primo livello. Queste rappresentazioni negative sono create da un gruppo (ingroup) verso un altro gruppo (outgroup) giudicato “diverso”. La propaganda politica sovranista spesso utilizza questi mezzi pericolosi per influenzare le persone. Anche al di fuori dal mondo politico sono diffusi gli stigma sociali.

Di recente Pantone ha lanciato il colore “red period” per superare i stereotipi legati alle mestruazioni. L’azienda leader nel campionario dei colori vuole “incoraggiare le persone che hanno le mestruazioni a sentirsi orgogliose di ciò che sono”.

Presenting “Period”, a new red shade created to break the stigma around menstruation and promote period positivity….

Pubblicato da Pantone su Martedì 29 settembre 2020

2. Evitamento ed emarginazione: nascono i pregiudizi

Il secondo livello consolida il primo, gli stereotipi diventano pregiudizi. Il disprezzo e lo stigma sociale incentivano l’evitamento e l’emarginazione.
Il gruppo interno (ingroup) tende ad evitare il contatto con i “diversi” dell’altro gruppo, eliminando persino il contatto visivo. Questo comporta l’emarginazione e l’isolamento di chi non fa parte del gruppo interno. Purtroppo non mancano gli esempi anche in questo livello: la costruzione di muri ed il sequestro della nave Sea Watch, per citarne due.

Muro messicano

Il muro in Messico costruito dagli Stati Uniti.

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3. Censura e discriminazione

Le parole e gli atteggiamenti si trasformano in subordinazioni costanti e divieti: ai gruppi esterni è limitato o negato l’accesso alle opportunità che la comunità offre, a partire dall’istruzione per arrivare fino alla sanità pubblica. Quando i diversi provano a far valere le loro ragioni, saranno ignorati o ostacolati.

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4. Violenza fisica ed aggressioni

L’estremismo era già iniziato nei livelli precedenti, in questo livello sfocia in violenze ed aggressioni fisiche. Pestaggi, agguati, stupri o danni alle proprietà delle persone del gruppo esterno.

5. Eliminazione fisica

La storia ci ha insegnato che purtroppo sono stati vari i periodi di sterminio, di genocidio, ma al giorno d’oggi dimentichiamo velocemente. Dimentichiamo che questi fatti non devono più ripetersi, dimentichiamo che dobbiamo togliere il potere a chi non fa della pace il suo obiettivo primario, a chi non rispetta le etnie, i generi, le religioni e tutti gli orientamenti sessuali.
La storia si ripete e anche nel 2020 non mancano i crimini di matrice discriminatoria.

Marketing vs. comunicazione politica: due pesi, due misure

Annamaria Testa individua una differenza importante nella percezione della comunicazione. Alle aziende si chiede correttezza e rispetto nella loro comunicazione pubblicitaria, discriminazioni e pregiudizi non devono intercorrere neanche per errore involontario. Siamo invece molto più tolleranti con la comunicazione politica:

“…che un politico pratichi costantemente i discorsi d’odio, o arrivi a incoraggiare implicitamente perfino l’aggressione fisica, sembra meno grave. Fa meno impressione, suscita meno scandalo e viene considerato solo (solo??) come un brutto espediente retorico per catturare consenso. Una sgradevole conseguenza della necessità di farsi sentire e di mantenersi visibili sui social network. Insomma: è come se da consumatori, e nei confronti delle aziende, si potesse oggi essere molto più attenti alla correttezza che da cittadini, e nei confronti della politica. È un paradosso sul quale varrebbe la pena di riflettere, ma sul serio.” (Annamaria Testa)

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Haters gonna hate

Per evitare gli ultimi livelli della scala Allport è importante quindi non sottovalutare i fatti, anche se appartenenti al primo livello. Ovviamente non è sottinteso che un episodio del primo livello andrà necessariamente a concludersi nel quinto livello.

Tuttavia è necessario essere coscienti dei pregiudizi in corso, per non passare con il tempo ad un livello superiore. Curare una comunicazione corretta e contrastare comportamenti e comunicazioni ostili e discriminatori aiuta ad evitare una pericolosa escalation.

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Installazioni contro il cambiamento climatico: l’arte contribuisce alla sensibilizzazione

  • Il mondo dell’arte si interroga da tempo sul futuro dell’ambiente.
  • Dal “Climate Clock” di settembre 2020 all’opera di Banksy del 2009, ecco le opere d’arte sul cambiamento climatico da conoscere.

 

“L’arte può mandare un messaggio potente e quando risuona si connette con noi in un modo molto più forte e profondo delle parole”. Queste sono le parole di Doug Francisco che ha ideato gli iconici cortei di persone in tonaca rossa e volto dipinto di bianco, i Red Rebel Brigade, in risposta alla crisi climatica e ai disastri ambientali, appartenenti ormai alla nostra quotidianità.

Il mondo dell’arte, tuttavia, non è da poco che si interroga sul futuro dell’ambiente, rendendoci consapevoli dei rischi a cui stiamo andando incontro. Già a partire dagli anni ’60, con la nascita del movimento ambientalista e con la presa di coscienza di quanto fosse grande l’impatto dell’uomo sull’equilibrio del Pianeta, furono molti gli artisti che produssero opere volte a sensibilizzare.

Il capolavoro Spiral Jetty di Robert Smithson (1970), una scultura integrata con la natura e soggetta ai suoi cambiamenti, lanciava già a quei tempi un messaggio importante per la salvaguardia dell’ambiente.

Oggi l’attivismo degli artisti per il clima è ancora più forte. Se negli anni ’60 si viveva già in uno stato di impoverimento dell’ecosistema, la situazione attuale ci sta sfuggendo di mano: le emissioni di anidride carbonica, che continuiamo a produrre, hanno raggiunto livelli record ed il clima globale ne sta risentendo, portando a conseguenze inimmaginabili fino a mezzo secolo fa.

Ecco le opere più recenti degli artisti portavoce del cambiamento climatico. Opere che si pongono il mero obiettivo di aumentare la consapevolezza dei cittadini dell’imminente punto di non ritorno, oltre il quale non possiamo fare più nulla per salvaguardare il mondo dalla catastrofe.

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“Climate Clock” – Gli artisti per il clima Gan Golan e Andrew Boyd. 2020

Su un grattacielo di New York nei giorni scorsi è apparso un orologio con un conto alla rovescia, che stava ad indicare il tempo mancante all’umanità prima del “punto di non ritorno”, ovvero tra 7 anni e 100 giorni.

Secondo i calcoli compiuti, dopo il primo gennaio 2028, se non si interviene in tempo, la temperatura media globale potrà superare la soglia di 1,5-2 ° C con conseguenze disastrose per l’ambiente.

Sul sito Web del progetto di Gan Golan e Andrew Boyd, realizzato in concomitanza con la Settimana del Clima, è presente un ulteriore conto che traccia la crescente percentuale di energia mondiale fornita dalle fonti rinnovabili. È, inoltre, presente un how-to per realizzare un proprio “Climate clock”.

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Instagram. Climate Clock World

“Climate Change Stamps” – Design e clima by Berry Creative. 2020

I francobolli creati dallo studio Berry Creative e commissionati dalle Poste finlandesi raffigurano immagini di volatili e nuvole di neve che si trasformano rispettivamente in scheletri ed in temporali se vengono riscaldate con un dito della mano.

Queste piccolissime opere d’arte sul cambiamento climatico sono state stampate con un inchiostro reattivo al calore e che trasforma il colore: ad esempio, le immagini nere che rappresentano i volatili, se riscaldate, diventano trasparenti andando a rivelare gli scheletri stilizzati sottostanti.

Queste immagini nascoste rivelano come sarà il nostro futuro “se non agiamo velocemente per combattere il cambiamento climatico”.

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Instagram. Berry Helsinki

“Melting Panters” – Zoo Tampa (Florida). 2020

Una scultura in cera raffigurante una pantera in fusione, e che si scioglierà progressivamente nei prossimi giorni, è stata installata nel mese di settembre 2020 allo Zoo Tampa in Florida.

Questa opera biodegradabile, realizzata da Bob Partington in collaborazione con Zubi Advertising, vuole evidenziare le minacce del cambiamento climatico e sottolineare l’urgenza di azioni volte ad attenuarne le conseguenze, come la riduzione netta delle emissioni di carbonio nell’atmosfera.

Come afferma Yoca Arditi-Rocha, direttore del CLEO Institute, “più calore equivale a meno animali selvatici. Più calore vuol dire minore qualità di vita per tutti”.

Questa scultura di Partington rientra in una vasta campagna di sensibilizzazione. Altre sculture in fusione verranno installate nei prossimi mesi in tutta la Florida.

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“Ice Watch” – Olafur Eliasson. 2018

24 blocchi di ghiaccio sono stati lasciati sciogliere davanti alla Tate Modern di Londra nel 2018 dall’artista Olafur Eliasson. Ognuna di esse si è sciolta più o meno lentamente a seconda del tempo.

Lo scopo principale di questa installazione è stato quello di richiamare l’attenzione sullo scioglimento dei ghiacciai artici, ma un altro fine è stato anche quello di permettere alle persone, attraverso il contatto con i blocchi di ghiaccio, “di creare un legame più o meno profondo con ciò che li circonda, ispirando in loro cambiamenti radicali”.

“Ice Watch” è stato realizzato in concomitanza del vertice dei leader mondiali per il COP24 di Katowice (Polonia).

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Instagram. Studio Olaffur Eliasson

“Sinking House” – Katey Burak e Rob Higgs. 2019

Gli artisti Katey Burak e Rob Higgs del gruppo ambientalista Extintion Rebellion con la loro opera del 2019, una piccola casa galleggiante nel Tamigi che sembrava affondare nel fiume, hanno voluto lanciare un messaggio chiaro e forte non soltanto al governo britannico, ma a tutto il pianeta.

Tra le opere d’arte sul cambiamento climatico, “Sinking House” vuole sensibilizzare sul tema dello scioglimento dei ghiacciai e dell’innalzamento del livello dei mari. L’obiettivo è stato anche quello di ricordare quanto sia essenziale iniziare sin da ora delle azioni importanti ed efficaci per combattere il riscaldamento globale.

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“Aerocene” – Tomás Saraceno. 2018

“Aerocene” è un progetto, che è diventato poi una fondazione, ideato dall’artista argentino Tomás Saraceno ed il cui nome trae ispirazione da “Antropocene”, un termine diffuso negli ultimi anni per indicare il periodo in cui viviamo, nel quale prevale l’azione distruttiva dell’uomo sull’ambiente.

“Aerocene” si pone in contrasto con Antropocene. L’Aerocene dell’artista vuole essere un modo di vivere, di agire che sia alternativo e sostenibile, pratico e pragmatico seppur visionario e utopistico.

Nel 2018 Saraceno ha organizzato attività di lancio di sculture aerosolari che si libravano in aria grazie al calore del Sole e alle radiazioni infrarosse della superficie terrestre. Lo ha fatto con l’obiettivo di lavorare a stretto contatto con l’atmosfera e l’ambiente in maniera etica e sognando un’era libera da combustibili fossili. Da allora si è sviluppata una comunità artistica interdisciplinare ed internazionale (la Aerocene Foundation) volta a cambiare le forme di mobilità e relazione con il pianeta.

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Instagram. Thomas Saraceno

“I don’t believe in global warning”– Bansky. 2009

Apparsa su un muro vicino al Ponte Oval nel quartiere di Camden a Londra, quest’opera del nostro supereroe Banksy è stata realizzata in occasione del fallimento della conferenza di Copenaghen sul clima.

Io non credo al riscaldamento globale” è una scritta ironica le cui ultime parole sembrano affondare in acqua ed appartiene ad una serie di lavori dell’artista realizzati nei dintorni del canale.

L’ironia di Bansky è intrisa di un presentimento funesto e, a distanza di 11 anni, sempre più reale.

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Ancora TikTok: un breve recap se hai perso le puntate precedenti

  • Il presidente americano Donald Trump aveva annunciato lo stop al download di TikTok.
  • Il ban è stato rinviato per permettere ad Oracle e Walmart di finalizzare l’accordo con il partner cinese.
  • Cosa significa per gli inserzionisti un eventuale ban di TikTok.

TikTok negli Stati Uniti, oggi, continua a funzionare.
Questa è stata la decisione di Donald Trump, presidente in carica che ha deciso di far slittare di una settimana il blocco del download e del funzionamento di TikTok negli USA, precedentemente annunciato.

Il 6 agosto, Trump emetteva un Ordine Esecutivo in cui scriveva che “la diffusione negli Stati Uniti di applicazioni mobili sviluppate e di proprietà di aziende della Repubblica Popolare Cinese continua a minacciare la sicurezza nazionale, la politica estera e l’economia degli Stati Uniti“.

Il 7 agosto 2020 sul sito di TikTok veniva rilasciata una dichiarazione in risposta all’ordinanza, che lasciava intuire la possibilità di un accordo: “il testo dell’Ordine evidenzia come la decisione si sia basata su ‘report’ che non vengono nominati né citati, su timori non circostanziati che l’app ‘potrebbe’ essere utilizzata per campagne di disinformazione e su preoccupazioni relative alla raccolta dati, che però effettuiamo secondo gli stessi standard di settore utilizzati da migliaia di altre app in tutto il mondo. Abbiamo già chiarito che TikTok non ha mai condiviso i dati dei suoi utenti con il Governo cinese, né censurato alcun contenuto su richiesta di quest’ultimo. Rendiamo infatti disponibili nel nostro Transparency Center le linee guida di moderazione e il codice sorgente dell’algoritmo, un livello di assunzione di responsabilità in cui non si è impegnata nessuna azienda equivalente. Abbiamo perfino espresso la nostra volontà di valutare la totale cessione della nostra filiale negli Stati Uniti a un’azienda americana.

La scelta di rinviare il ban di TikTok è stata presa per permettere ad Oracle e Walmart di completare l’accordo di acquisizione.

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TikTok connette la generazione Z ai brand.

TikTok, la sicurezza prima di tutto

La sicurezza dei cittadini americani rappresenta uno dei capisaldi delle promesse elettorali di Donald Trump che ha trovato espressione anche nel blocco delle app cinesi, accusate dal presidente americano di spiare e rubare i dati dei cittadini statunitensi.

TikTok, Oracle e Walmart, cosa prevede l’accordo

TikTok ha scelto Oracle come trusted technology provider. L’azienda di Larry Ellison avrà il 12.5% di TikTok Global, la società creata ad hoc per il controllo di gestione statunitense. Dunque Oracle sarà partner tecnologico mentre Walmart partner commerciale. Insieme, le due aziende statunitensi, deterranno il 20% della società prima che essa sia quotata in borsa. ByteDance conserverà la proprietà e la gestione dell’algoritmo.

Qualche tempo fa, anche Microsoft aveva provato ad acquisire quote di TikTok ma senza ottenere successo.

Si pensa che non sia un caso che l’azienda di Larry Ellison, uno dei pochi sostenitori dell’amministrazione Trump in Silicon Valley, abbia trovato un accordo con la società cinese.

tiktok

Cosa cambia per gli inserzionisti di TikTok?

Secondo Sensor Tower, società di informazioni sul mercato e sulle prestazioni delle app mobili, durante la pandemia l’app TikTok è stata scaricata 65 milioni di volte.

Il successo dell’app è innegabile ed è resa possibile grazie alla qualità del suo algoritmo che sta attirando l’attenzione degli altri player nel settore dei social media. Facebook infatti ha iniziato a corteggiare i talenti di TikTok offrendo ai suoi dipendenti paghe più alte e benefit per passare al colosso di Menlo Park. Google invece sta testando funzionalità simili a TikTok introducendo su YouTube, YouTube Shorts.

È proprio l’algoritmo di TikTok a rendere il social così competitivo. Se nonostante l’accordo con Oracle, TikTok mantiene inalterato il suo algoritmo, il vantaggio per i marketer non è così immediato. Alex Brownsell, media editor di WARC ha espresso alcune perplessità circa il valore aggiunto che la partnership tra Oracle e TikTok possa portare agli inserzionisti. “La tecnologia rivolta agli utenti di TikTok, in particolare il suo motore di raccomandazione di contenuti personalizzati, è la migliore del settore. È quindi difficile capire come Oracle, in qualità di nuovo arrivato nel settore degli annunci, anche se con esperienza nel software martech, possa davvero spostare l’ago della bilancia dal punto di vista di un inserzionista”.

Con l’introduzione del partner americano Oracle, la pubblicità su TikTok potrebbe diventare più semplice in quanto l’azienda possiede la piattaforma di gestione dati e sarà proprietaria delle analisi di marketing. Per gli utenti non cambierà nulla dal punto di vista della struttura del social: potranno continuare a girare i loro video così come fanno adesso.

Per comprendere gli effetti che, invece, la scomparsa di TikTok dal panorama americano potrebbe comportare, dobbiamo guardare al caso Indiano. Lì il ban di TikTok ha portato al crollo del mercato dell’influencer marketing e ha posto gli influencer indiani nella condizione di dover considerare l’utilizzo di altri applicativi come Reels. Ma questi non possedendo le stesse caratteristiche di TikTok ha portato l’allontanamento degli adolescenti dalla piattaforma digitale.

Reels vs TikTok

Alcuni grandi marchi come Ralph Lauren, Walmart, Chipotle e altri, hanno messo TikTok al centro della propria strategia digitale prevedendo grossi investimenti. Con le dovute ragioni, visto che al NewFront, TikTok si è presentata come la piattaforma alternativa a Hulu e YouTube.

Dunque i vantaggi dell’uscita dalle scene americane del social media non sono così evidenti come le perdite che potrebbe comportare. Lato marketer bisognerebbe riconsiderare l’utilizzo del social media nella propria strategia di branding, mentre lato creator ciò significherebbe una perdita di opportunità. Tutto si traduce in una considerevole catastrofe economica per la pubblicità in America.

Nelle ultime settimane, alcune star di TikTok si stanno già affacciando ad altri social per la creazione di video musicali. Tra queste, Charli D’Amelio, ha cominciato ad utilizzare Triller, un’altra app concorrente.

Ma intanto il conflitto geopolitico tra Cina e Stati Uniti pare sia stato superato, o almeno questo si evince dalle ultime vicende. 10mila nuovi posti di lavoro, una sede probabilmente in Texas e un controllo totalmente americano pare abbiano rassicurato Trump che ha benedetto il nuovo accordo tra Oracle, Walmart e ByteDance.

Una partnership con TikTok può essere l’occasione giusta per entrare in un mercato non ancora saturo di possibilità in quanto si stima che negli Stati Uniti, il social network abbia superato i 100 milioni di iscritti.

Intanto, mentre una sentenza del tribunale ha sospeso l’ordine esecutivo, il giudice non ha però rinviato l’udienza prevista a novembre. Ciò non solo vieterà alle persone di scaricare l’app, ma ne impedirà completamente l’utilizzo anche a coloro che già l’hanno scaricata.

Reels

Instagram Reels: pro e contro della nuova funzione

    • Reels è simile alle Instagram Stories, ma più utile per il remarketing.
    • Puoi pubblicare video usando fino a 30 hashstag e 2.200 caratteri.
    • Gli Insights sono ancora limitati, ma i Reels offrono più strumenti di condivisione.

 

Reels è uno dei nuovi formati per i contenuti Instagram, che ti consente di condividere video di 15 secondi (e ora fino a 30 secondi), in stile TikTok, nell’apposito feed della sezione Esplora. Si tratta di una delle tante strategie di Facebook, proprietario di Instagram e WhatsApp, per implementare piattaforme o strumenti che “mancano all’appello” tra i social e servizi di chat già in suo possesso.

Stavolta, Instagram vuole competere con TikTok, che è particolarmente popolare tra la Gen Z  (la generazione che va dai nati nel 1997 ai teenager di oggi) come piattaforma di condivisione video, e che già nell’ottobre 2019 aveva largamente superato i 500 milioni di iscritti, con una platea globale che, oggi, dall’Asia attraversa l’Europa e raggiunge gli Stati Uniti.

Lanciati per la prima volta in Brasile alla fine del 2019, gli Instagram Reels sono ora disponibili su iOS e Android in oltre 50 Paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Giappone. Molti creator stanno sperimentando Reels, pur mantenendo la loro presenza su TikTok.

Tra i marchi che hanno già aderito ci sono Sephora (cosmetici), Walmart (catena statunitense di vendita al dettaglio) e Beardbrand (toeletta da uomo).

Reels vs TikTok

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Reels e Tik Tok, differenze e similitudini

TikTok è nato in Cina nel 2016 col nome di Douyin. Inizialmente era stato commercializzato anche col nome di “Musical.ly” nel 2014, quando Alex Zhu e Luyu Yan lo crearono a scopo educativo. Musical.ly era destinato agli adolescenti e comprendeva musica, video, suoni e voci da doppiare. Includeva anche Live.ly, piattaforma per lo streaming video. Nel 2017 l’azienda cinese ByteDance, sviluppatrice dell’aggregatore di notizie Toutiao, acquistò Musical.ly unendola a Tik Tok, e mantenendo quest’ultimo come nome commerciale.

Facebook non è riuscito ad acquisire la piattaforma, e ha quindi puntato su qualcosa di simile, i Reels, che grazie all’integrazione con Instagram hanno portato molti dei contenuti del Tik Tok occidentale (Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda) su questa piattaforma. Spesso, nei Reels si nota il marchio di TikTok, proprio perché molti dei contenuti dell’app sono stati “travasati” in Reels.

Reels VS Instagram Stories

I Reels e le Instagram Stories sono simili per formato (verticale, 16:9), ma hanno caratteristiche molto diverse. Per creare un Reel, è sufficiente accedere alle Stories e scorrere in basso fino alla voce “Reels”.

Chi è abituato alla pagina “Per te” di TikTok, su Instagram troverà un “punto di atterraggio” nella parte superiore della scheda Esplora. Basta toccare il primo Reel in alto per accedere all’intero feed Reels.

Con questa nuova aggiunta, Instagram ora presenta cinque formati diversi per i contenuti: post, Stories, Live, IGTV e Reels. In merito a Reels, alcuni utenti segnalano una maggiore copertura e coinvolgimento, anche quando condividono gli stessi contenuti usando altri formati su Instagram.

Reels pro e contro

Ma come funzionano, nel dettaglio, i Reels? Vediamo insieme alcuni pro e contro.

I PRO di Instagram Reels

  • Reels offre diversi strumenti di modifica con effetti AR (realtà aumentata), controlli di velocità e l’opzione per allineare più clip e ottenere transizioni più nitide.
  • I Reels possono essere condivisi su Esplora e dalle Stories. Quando carichi un Reel, puoi anche pubblicarlo nel tuo feed. Tutti i Reel appariranno in una sezione dedicata del tuo profilo, come accade per IGTV. Inoltre, garantiscono maggiori strumenti di condivisione
  • Se includi un audio originale (suoni registrati nel video), l’audio verrà attribuito a te e altri utenti potranno utilizzarlo per creare nuovi Reels.
  • Chi vuole utilizzare Reels nella strategia di marketing deve tener presente che, in genere, le nuove funzioni danno la priorità ai contenuti che veicolano, e questo vale anche per Instagram Reels.
  • Come per i post, puoi usare fino a 30 hashstag, e 2.200 caratteri.
  • Si tratta di uno strumento ottimo per il remarketing, perché aiuta la creazione di segmenti di pubblico in target.

I CONTRO di Instagram Reels

  • Tuttavia, non è ancora possibile programmare i propri Reels.
  • A differenza di TikTok, su Reels i video, possono durare fino a 30 secondi.
  • Proprio come le Stories a cui siamo abituati, spariscono dopo 24 ore se non li inserisci nel tuo feed, mentre su TikTok restano visibili nei profili e nei suggerimenti.
  • Su TikTok gli utenti possono “duettare” tra loro e caricare i brani direttamente nell’app, mentre su Reels queste funzioni non sono supportate.
  • Non puoi aggiungere collegamenti esterni o link “swipe”.
  • Attualmente, le uniche statistiche che puoi vedere sono Views, Mi piace e Commenti. Gli Insights di TikTok risultano molto più completi per il profilo e i singoli post.

Controversie

La storia di Reels e TikTok non è priva di numerose controversie. Il 2 luglio 2020, il gruppo di hacktivisti Anonymous ha denunciato la pericolosità dell’app:

Cancellate TikTok in questo stesso momento e se conoscete qualcuno che lo usa, spiegategli che non è nient’altro che un malware nelle mani del governo cinese, intento in una colossale operazione di sorveglianza di massa“.

Tanto che numerosi divieti in Europa, India e Stati Uniti hanno iniziato a diffondersi, per culminare il 6 agosto, quando Trump ha firmato due ordini esecutivi che vietano le “transazioni” statunitensi con TikTok e WeChat alla sua società madre, ByteDance, come annunciato da AP News. Sempre nell’agosto 2020, Facebook ha presentato ufficialmente Reels.

Il 17 agosto 2020, inoltre, Oracle è entrata nella corsa per acquisire TikTok, mentre lo stesso TikTok ha annunciato, come apparso anche su Reuters, che intende avviare un’azione legale per contestare il divieto degli ordini esecutivi USA.

LEGGI ANCHE: TikTok presenta For Business, uno spazio in cui la creatività incontra la community

Reels è utile?

In sostanza, la nuova funzionalità di Instagram dovrebbe offrire un’alternativa a TikTok come, a suo tempo, avvenne per le Instagram Stories rispetto a Snapchat. Ma gli imprenditori continuano a chiedersi: “Vale la pena investire nei Reels per il piano di marketing? E in che misura?“.

Generalmente, quando una funzionalità è stata lanciata da poco offre maggiori prospettive di crescita, pur con tutte le limitazioni che Reels presenta ancora rispetto a TikTok. Inoltre, se hai un eCommerce e vuoi che gli utenti ti seguano in vario modo senza lasciare la piattaforma, concludendo l’acquisto prodotti, Reels potrebbe esserti utile per ampliare il potenziale pubblico. Anche molti influencer hanno già cominciato a usarlo con successo, quindi potrebbe entrare nella tua strategia in quest’ottica specifica.

Se sei in dubbio, l’unica soluzione è testarlo e confrontarlo con TikTok per individuare lo strumento migliore per te.

Il nuovo delivery della casa editrice Zanichelli consegna a casa perle di cultura italiana

  •  L’iniziativa di Zanichelli porta a casa di chi ha fame di cultura, gratuitamente e a domicilio.
  • Le cartoline delle etimologie di 21 parole per il lancio del nuovo vocabolario di lingua italiana Zingarelli 2021.

 

Il 2020 sarà ricordato per tante cose mai accadute prima, ma soprattutto per la capacità dell’essere umano di tirare fuori dal cilindro grandi idee. Forse ne avevamo un gran bisogno.

In un anno in cui le certezze non hanno più la stessa valenza del passato, c’è un’immenso potere strategico e culturale che si fa spazio.

Di conseguenza molti brand hanno dato forma a nuovi progetti per rimanere sulla cresta dell’onda e guadagnare nuove opportunità.

Come realizzare il lancio del nuovo vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2021?

L’idea della casa editrice Zanichelli è stata quella di cavalcare l’ondata di delivery a cui il lockdown ci ha abituati ed utilizzarla per uno scopo culturale, ma anche etico.

Cibo per la mente Zanichelli

Il progetto Cibo per la mente di Zanichelli

Il progetto Cibo per la mente si propone di consegnare cultura a domicilio coinvolgendo sette città italiane, grazie all’ausilio di speciali postini Zanichelli.

Utilizza le dinamiche del food delivery per farne uno strumento di divulgazione della lingua italiana, attraverso le sue etimologie.

I postini Zanichelli consegneranno un milione di cartoline per raccontare 21 etimologie attraverso parole e illustrazioni del venezuelano Fernando Cobelo.

Fernando Cobelo ha curato anche le grafiche del dizionario in uscita il prossimo anno.

Zanichelli Ciboperlamente Zingarelli

Chi desidera ricevere a casa una cartolina potrà scegliere (tramite la piattaforma dedicata) tra diverse tipologie di menu-parole: tradizionale, per bambini, del giorno, d’autore, esotico, dello chef.

Zanichelli Cibo per la mente

Il servizio è totalmente gratuito e le cartoline raccontano le curiosità lessicali, che saranno anche uno dei focus del nuovo Zingarelli 2021, dove trovano spazio 400 parole che vantano etimologie particolarmente significative, indicate dal simbolo grafico di un alberello (alludendo alle radici della lingua). Insieme a queste deliziose etimologie Zanichelli offre 3 mesi di dizionari digitali gratis.

LEGGI ANCHE: Un Vocabolario gigante nelle piazze italiane

La fame di cultura

Cibo per la mente stimolerà a giocare con le parole, stuzzicando l’appetito di cultura dei lettori. Quando si conosce l’etimologia di una parola, la si usa nel modo più adeguato e si impara ad amarla.

I postini si muoveranno in bici a Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Cagliari, secondo un calendario settimanale già definito per distribuire quante più cartoline possibili. Inoltre i corrieri in bicicletta fanno capo ad agenzie che tutelano e garantiscono il loro lavoro.

Se non vivete in una di queste città, potrete riceverle direttamente per posta, ordinandole online dal menu preferito: l’ordine sarà recapitato in packaging realizzato con materiale riciclato da Comieco, il Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi.

Il progetto è nato in tempo di lockdown, di consegne a domicilio e voglia di nuovi progetti” spiega il sito dell’iniziativa “Il nostro obiettivo è semplice: portare a casa di chi ha fame di cultura, gratuitamente e a domicilio, tantissime etimologie della lingua italiana sotto forma di cartoline illustrate”.

Le etimologie

In attesa del vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2021, ecco alcune etimologie che potreste ricevere a casa.

L’etimologia della parola EGREGIO, per esempio, deriva dal latino ‘egregiu’= fuori dal gregge.

Tra i menù disponibili, troviamo quello dello Chef, ovvero “gli amanti dei sapori unici” con le parole più curiose, come la parola FORSE che a leggerne l’etimologia potremmo pensare di averne perso la vera accezione da decenni. Deriva infatti dal latino forsit, fors sit = “destino sia”.

forse Zanichelli etimologia

La parola NOSTALGIA, invece, rimane legata ancora alla sua etimologia, dal greco “dolore per il ritorno”.

Zanichelli

proteggerti dai social media

La soluzione al Dilemma: come proteggerci dai social?

  • The Social Dilemma è un docu-drama che ha riportato l’attenzione sul tema degli effetti negativi dei social network, utilizzando strumenti anche poco leciti ma riuscendo a far arrivare il messaggio anche a chi non ne era a conoscenza.
  • Un pezzo della soluzione al dilemma infatti è esserne consapevoli: conoscere le tecniche e le modalità con cui gli algoritmi “ci controllano” ci aiuta a farci influenzare di meno.
  • Inoltre ci sono 5 ottimi strumenti per proteggerci dagli effetti più negativi dei social network, anche senza arrivare a eliminare il proprio account, che nel film non trovano abbastanza spazio.

 

Negli ultimi tempi, complice il successo mondiale del recente docu-film Netflix “The Social Dilemma“, si è riacceso il dibattito su un tema caldo che a ondate continua a infiammare l’opinione pubblica (e che, puntualmente, finisce poi nel dimenticatoio fino allo scandalo successivo).

Un tema che ci tocca da vicino più o meno tutti: le conseguenze negative dell’uso dei social network e di gran parte delle piattaforme digitali che utilizziamo abitualmente, sul singolo e sulla società.

Un argomento di cui sentiamo parlare (e che osserviamo quotidianamente nelle nostre vite) da anni, ma che questo progetto firmato Netflix ha contribuito a portare a un nuovo livello di approfondimento.

In questo “ibrido tra dramma e documentario” (come lo descrive accuratamente la stessa piattaforma di streaming) si esplora l’influenza pericolosa dei social network sulle nostre vite, tramite la testimonianza di ex-dipendenti delle big tech companies e altre figure. Puoi leggere la descrizione completa di The Social Dilemma in questo articolo precedente.

The_Social_Dilemma

Un ibrido potente, perché combina la veridicità dei dati, presentati in perfetto stile documentario, con la narrazione puramente fiction di un film drammatico. I protagonisti sono i ragazzi di una normale famiglia americana alle prese con la vita quotidiana. Una famiglia che, come tutti, fa grande affidamento sui social network per definire la propria identità, le proprie credenze, le proprie abitudini, etc. Ma il film “buca lo schermo” e ci porta, sempre in forma di fiction, non solo all’interno della vita di un utente dei social, ma anche nei meccanismi che regolano gli algoritmi di queste piattaforme.

Così, per spiegare il funzionamento del sistema, l’algoritmo viene “umanizzato”. All’interno del film prende la forma di tre “stalker” che osservano tutte le mosse dell’utente, divertendosi a inventare sistemi sempre più ingegnosi per attirare la sua attenzione, alimentare la sua dipendenza e, in ultima analisi, assoggettarlo al loro volere (ossia, quello degli advertisers).

L’utilizzo di questa metafora potente rende il film assolutamente terrificante: difficile guardarlo tutto senza un sentimento di panico crescente nel petto.

Se lavori nel campo della comunicazione, della tecnologia e del design, probabilmente proverai anche una buona dose di senso di colpa… perché ti renderai velocemente conto che, da un punto di vista professionale, per giocare a questo gioco hai dovuto spesso accettarne le regole.

E soprattutto, sentirai probabilmente un grande senso di tristezza per la sensazione di essere assolutamente impotente davanti a ciò che i social ci stanno facendo.

Ma è davvero così? O ci sono delle azioni concrete che possiamo compiere, anche senza eliminare la nostra presenza digitale, per tutelarci?

Quanto fanno male i social network?

Screenshot da The Social Dilemma

La verità è che tutti occasionalmente ci rendiamo conto dell’influenza che i social (ma non solo loro) hanno sulle nostre vite, e spesso ci chiediamo quanto questo effetto sia negativo.

The Social Dilemma non fa altro che spalancare il vaso di Pandora e gettarci in faccia per più di un’ora il lato più oscuro di queste piattaforme. Ingigantendolo anche, e non poco.

Da una parte, le scelte stilistiche di questo film sono discutibili: ricorrere a tecniche narrative come la musica angosciante e l’allegoria dell’algoritmo cattivo ha il chiaro intento di demonizzare queste piattaforme.

Inoltre le informazioni riportate rappresentano tutte solo un lato della medaglia, quello “anti-social” incarnato dagli ex-dipendenti pentiti dei giganti del tech.

E infatti i diretti interessati dall’attacco, in particolare Facebook, hanno ribattuto proprio su queste argomentazioni.

In questa nota rilasciata recentemente accusano i creatori di aver volontariamente omesso una parte della verità: non ci sono altre voci come quelle degli attuali dipendenti, manca la possibilità di controbattere e di spiegare cosa stanno facendo per risolvere i problemi evidenziati, le misure anti fake-news o quelle per proteggere la privacy.
Assicurano che il loro obiettivo non è quello di renderci dipendenti dalle piattaforme, ma aiutarci a restare in contatto con ciò che ci interessa. E che non è vero che, come invece affermano i protagonisti di The Social Dilemma, “se non stai pagando per utilizzare un prodotto, vuol dire che il prodotto sei tu”: Facebook e gli altri social sostengono che il loro modello di business basato sulla pubblicità esista per permettere a tutti di utilizzarlo gratuitamente.

La verità però è che quest’ultima affermazione è un po’ come dire che il mangime è gratis per il bestiame da allevamento. C’è qualcosa che stride.
Ed è evidente che i social network stanno effettivamente avendo effetti devastanti sugli individui più deboli, come i ragazzini, e sulla società in generale (come il problema delle Fake News legate al Covid ci ha tristemente dimostrato).

Insomma, il dubbio che The Social Dilemma sia un po’ “calzato” per trasmettere un messaggio negativo c’è, ed è legittimo. Le tecnologie non sono intrinsecamente negative, né lo sono i loro creatori, e d’altronde i social aiutano quotidianamente miliardi di persone e aziende ad essere più connesse, più informate e più unite.

Ma dall’altra parte era importante che un messaggio come questo arrivasse “alle masse”: molte persone non si sono mai poste questo problema, e vedere questo docufilm è stato come ricevere come sveglia uno schiaffo. Ed è questa, almeno in parte, la soluzione che cerchiamo.

social effetti negativi

La soluzione al dilemma: conoscere per proteggersi

È innegabile che i social network possono fare male, ed è vero che sfruttano meccanismi del nostro cervello volti a creare una sorta di “dipendenza”. Il modello di business basato sulla pubblicità non avrà forse come prodotto noi come persone, ma certamente la nostra attenzione sì.

Il vero pericolo però, la situazione in cui gli effetti di quanto sopra possono essere più devastanti, è quella in cui noi ne siamo all’oscuro. Quanto più siamo ignoranti nei confronti del funzionamento “tecnico” dell’algoritmo che decide cosa mostrarci, quanto più rischieremo di cadere nelle trappole che il film ci mostra:

  • Credere che tutti la pensino come noi;
  • Vedere solo un lato della verità;
  • Condizionare l’idea stessa del nostro valore, di ciò che è vero e ciò che non lo è.

Qual è l’antidoto, quindi, la soluzione al “dilemma”?

Conoscere.
E se per farci arrivare il messaggio forte e chiaro gli autori del documentario hanno voluto calzare la mano, per me va bene. Perché sono riusciti, forse per la prima volta, a entrare davvero nelle nostre teste.

Cose come lo scandalo di Cambridge Analytica ci avevano fatto storcere il naso e avevano contribuito ad alimentare un’idea malsana tipo: “Mark è un cattivone, Facebook è pericoloso“.
Ma pochi, pochissimi hanno veramente capito cosa sia successo lì, le dinamiche vere.

Quello che The Social Dilemma invece fa benissimo è questo: entrare nel tecnico, mostrarci i meccanismi più complessi, con un linguaggio semplice. Ok, addirittura semplicistico forse. Ma forse è l’unico che la stragrande maggioranza di noi può capire, quando l’argomento è così complesso.

Il vero problema di questo docufilm?
Quello che manca, a mio parere, è una soluzione.
Insomma, dopo un’ora e mezza di musica angosciante e persone che con sguardo triste raccontano quanto sia malvagio ciò che avviene dentro ai nostri smartphone, ci si sente un po’ abbandonati. Senza speranza.

Mentre scorrono i titoli di coda, i protagonisti provano a dare qualche consiglio per migliorare la situazione, ma l’hype è ormai finito e la sensazione è quella di spegnere il computer con tante domande e nessuna risposta.

Come facciamo a proteggerci dalle conseguenze negative dei social media? Cosa possiamo fare per “combattere”, a parte forse cancellare i nostri account?
Abbiamo il potere di cambiare le cose?

Quello che il film Netflix forse non fa capire abbastanza bene è che sì, possiamo fare molto.

E il primo passo lo abbiamo già fatto prendendo consapevolezza del problema.

Alcuni altri, invece, sono qui sotto.

LEGGI ANCHE: C’è ancora spazio per i brand sui social media? Il vero dilemma è questo

5 cose che puoi fare subito per riprendere il controllo dei tuoi social

come proteggerci dai social

1. Non cancellarti dai social se non senti che sia la cosa giusta per te

Prendi però consapevolezza del problema, e aiuta altri a fare lo stesso.

Una delle principali “call to action” del film è proprio questa: “contribuisci alla conversazione“. Andando a visitare il sito suggerito alla fine dei titoli di coda (sì, lo hanno messo proprio nascosto) ci si trova in un’interessante lettura.

Vengono forniti strumenti per alimentare la conversazione, come un gioco virtuale o delle guide per le discussioni. Consigli per riprendersi il proprio “spazio digitale” e strumenti utili.

Persino un plug-in del browser (Ad Observer) per condividere con i ricercatori gli annunci che vedi sui social media e contribuire ad esporre le tecniche di micro-targeting e responsabilizzare gli inserzionisti.

2. Fai pulizia (“decluttering“)

Letteralmente significa “selezionare degli oggetti inutili, che non usiamo più per poi cederli o barattarli, così da guadagnare spazio in casa“, ma è un concetto applicabile ad ogni ambito della vita, inclusi i social.

Uno dei primi metodi che si possono seguire è quello di disattivare le notifiche, soprattutto tutte quelle che non ci avvisano di qualcosa di urgente.

Hai davvero bisogno di una notifica che ti interrompa mentre lavori o studi per comunicarti che qualcuno ti ha lasciato un cuore su Instagram? Ecco, no. Giocando con le impostazioni è possibile riacquisire in buona parte il controllo.

Come dice uno dei protagonisti di The Social Dilemma, disattivare le notifiche è una buona idea “per lo stesso motivo per cui non giri con dei biscottini in tasca”.

3. Insegna agli algoritmi ciò che ti interessa, e non lasciare MAI che siano loro a scegliere per te

Questo è uno dei consigli più intelligenti che ho trovato. Gli algoritmi dei social (e non solo) funzionano secondo un modello predittivo in base alle tue scelte precedenti.

Non è cattiveria, non c’è nessuno stalker, ma ogni volta che clicchi sul “video suggerito” alla fine di quello che stavi guardando su YouTube non fai altro che contribuire alla targettizzazione che una macchina sta facendo di te.

Non cascarci! Ci sono anche delle estensioni per Chrome che bloccano questo genere di distrazione.

Lo stesso discorso vale ad esempio per Facebook: puoi “superare” la volontà dell’algoritmo, che ti mostra ciò che lui pensa sia interessante per te, andando sulle pagine e le persone che segui e di cui vuoi ricevere prioritariamente gli aggiornamenti, cliccando su “segui” e poi su “mostra per primi”.

Così sarai tu a scegliere sempre di più il tuo feed.

4. Limita il tempo che trascorri sui social. Ma per poterlo fare, devi rendertene conto

Dobbiamo iniziare a esercitare la nostra volontà quando si tratta di social media, come decidere di non dedicarvi più di un tot di minuti al giorno, ma a volte la volontà da sola non basta.

Ti è mai capitato di andare in bagno con lo smartphone in mano e….puff, la successiva cosa che sai è che è passata mezz’ora e tu sei ancora lì seduto? Ecco.

Per evitare tutto questo e “addestrare” il nostro cervello al giusto mindset possono essere utili app come YourHour: puoi partecipare alle sfide (ad esempio, sai stare 4 ore senza telefono?), visualizzare report delle tue attività, identificare il tuo livello di dipendenza, utilizzare un timer che ti segnali quando superi certi parametri o addirittura blocchi completamente l’utilizzo.

Lo trovi estremo? Non lo è. Come ogni dipendenza servono strumenti seri per interromperla.
E come spiega The Social Dilemma, anche se ti sembra non sia così, quella dei social è una vera e propria dipendenza perché sono stati strutturati per attivare le stesse aree del cervello!

5. Segui persone con cui non sei d’accordo

Ti senti di far parte di un certo partito politico, credo religioso o altro argomento “polarizzante”? Ottimo.

Fai uno sforzo deliberato e inizia a seguire almeno 5 persone o organizzazioni che appartengono alla fazione opposta. Potrà sembrarti frustrante in principio, ma leggere opinioni divergenti ti allenerà alla pazienza e alla comprensione di argomentazioni differenti.

Soprattutto però eviterà che si crei la pericolosissima “bolla” per cui, come spiegano in The Social Dilemma, chi si dimostra interessato al fatto che la terra sia piatta comincia a vedere intorno a sé solo persone che la pensano allo stesso modo, convincendosi che quella sia la verità.

6. Fai la tua parte

Infine, se sei un professionista che lavora con i social media, un designer, un IT guy che progetta siti ed app che devono catturare l’attenzione dell’utente, un giornalista o similare…ricordati che è anche compito tuo fare scelte etiche.

Ogni volta che scrivi un titolo clickbaiting, che ti inventi un modo per richiamare l’attenzione, che scegli un utilizzo che ti pare poco etico del tempo dell’utente online, fermati e rifletti.
È davvero così che deve andare? C’è una soluzione migliore? Quale?

Puoi rifarti per esempio all’Ethical Design Manifesto.

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La verità è che possiamo fare poco, è così.

Servirà ben altro per superare questi problemi, saranno necessarie regolamentazioni internazionali, multe salate, commissioni d’inchiesta.
Bisognerà ripensare totalmente i modelli di business che abbiamo adottato come società, perché sono spesso malati.

Ma la tua voce conta, la tua azione conta, e nessuno può farla al posto tuo.
E secondo me è questo che dovrebbe ricordarci The Social Dilemma.

 

Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti.

Week in Social: dalle novità per Reels all’integrazione tra YouTube e Shopify

Non c’è fine settimana che tenga senza il recap Ninja delle principali notizie dal mondo dei social.

Ecco quindi tutto quello che non devi assolutamente perderti questa settimana.

Tutto sul nuovo Design del sito di Facebook

Universo Facebook

Facebook ha annunciato un nuovo Centro risorse per la salute emotiva, in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale. Il social ha annunciato il lancio di nuovi strumenti per supportare la crescita della consapevolezza su questi temi.

Sul fronte Instagram

Nuove funzionalità audio in arrivo per Reels. Instagram aggiunge un’opzione per salvare i suoni in-app da utilizzare poi nei propri clip, la condivisione delle collezioni via DM e la ricerca per suoni e musica. Il social segue così un trend sempre più evidente che enfatizza tutte le funzioni audio.

Instagram starebbe anche lavorando sulla possibilità di visualizzare le metriche degli ultimi 30 giorni, per agevolare la vita ai social media manager, secondo quanto riportato da alcuni analisti.

Infine, la piattaforma ha annunciato un nuovo update per la sua app separata Threads, che aggiunge una completa integrazione della messaggistica istantanea.

Ultimo aggiornamento, non meno importante dalla settimana: Instagram nasconderà automaticamente i commenti offensivi. Anche in questo caso si tratta di un’opzione sempre più utilizzata dalle tante piattaforme di condivisione online, per arginare attraverso l’automazione e l’intelligenza artificiale il fenomeno degli hate speech. L’azienda ha spiegato che i commenti che saranno nascosti saranno simili a quelli che sono stati segnalati dagli utenti in passato.

LEGGI ANCHE: Come le aziende possono parlare il linguaggio dell’ottimismo per coinvolgere le persone (e tutelare il brand)

Mondo YouTube

YouTube testa un’integrazione con Shopify. Pensata per il merchandising dei creator, la funzione dovrebbe permettere di vendere direttamente tramite video, trasformando la piattaforma in una sorta di enorme catalogo.

YouTube Smartphone

In linea con quanto sta accadendo anche sugli altri social, la piattaforma testa nuovi avvisi sui commenti potenzialmente dannosi. Per incoraggiare interazioni più rispettose la piattaforma farà comparire un prompt proponendo di rivedere la risposta prima che venga pubblicata.

Pianeta Twitter

Twitter vuole rendere la funzione ‘Quote Tweet’ predefinita. Il social cerca in questo modo di far sì che un numero maggiore di utenti aggiunga i propri pensieri ai retweet.

E per aiutare a migliorare la scoperta di nuovi account, la piattaforma sta sperimentando nuove opzioni per aggiungere istantaneamente tutti gli account con un solo tocco e rimuovere facilmente quelli che non si vogliono più seguire.

Come le aziende possono parlare il linguaggio dell’ottimismo per coinvolgere le persone (e tutelare il brand)

Pinterest ha recentemente pubblicato una nuova guida che si concentra sul potere della positività sui social media, soprattutto per quanto riguarda la costruzione del brand online.

Mentre altri social network usano l’engagement come incentivo chiave, la piattaforma di ricerca visuale propone un’altra strada: “Se i social media ci hanno insegnato una cosa, è che i contenuti non filtrati guidano la negatività. Senza moderazione intenzionale, le piattaforme costruite sulla connessione delle persone hanno – alla fine – solo polarizzato le persone. Il fatto è questo: la rabbia e la divisività possono incoraggiare le persone a scorrere il feed. Ma non inducono le persone a comprare. Gli ambienti negativi rendono le persone meno propense a ricordare, meno propense a fidarsi e meno propense ad acquistare dai marchi.

Quindi, è davvero possibile generare coinvolgimento e interazione essendo  stimolando il dibattito e la risposta. Ma questo aiuta davvero a cambiare i risultati della tua azienda?

La guida di Pinterest si concentra su come i marchi possono massimizzare la risposta dei consumatori adottando un approccio positivo.

Per saperne di più e andare più a fondo abbiamo rivolto qualche domanda ad Adrien Boyer, Country Manager di Pinterest Francia, Sud Europa e Benelux.

LEGGI ANCHE: Da dove cominciare per portare la tua azienda su Pinterest

Come tutelare la brand safety sui social

Se all’inizio si ricercavano online contenuti relativi alla pandemia per informarsi, questa ricerca si è poi trasformata in qualcosa di più morboso. Come è possibile quindi evitare che questo avvenga? E per i business, come è possibile tutelare la propria brand safety in questo contesto?

Questa è una domanda molto importante perché sempre più brand chiedono dove compaiono le loro pubblicità. Pinterest punta ad essere un luogo di ispirazione e per questo si sta impegnando per creare uno spazio sicuro e positivo per utenti e brand. Anche sulla disinformazione esiste una politica a riguardo che si concentra sul divieto di disinformazione sanitaria, inclusi consigli anti-vaccinazione o false cure per malattie croniche o terminali.

Dall’inizio della pandemia, la piattaforma si è impegnata a rimuovere qualsiasi informazione errata sul COVID-19, inclusi i vaccini. Sono vietate inoltre la pubblicità su Pinterest di informazioni false o fuorvianti sul Coronavirus.

Per garantire agli utenti l’accesso a informazioni utili su questa questione importante e affinché i brand siano visibili in un ambiente affidabile, la piattaforma ha anche implementato un’esperienza di ricerca personalizzata COVID-19, che consente all’OMS, al CDC e ad altre organizzazioni sanitarie di aggiungere contenuti alle loro bacheche COVID-19, che diventano automaticamente parte dei risultati di ricerca quando gli utenti cercano termini correlati al COVID-19. In questo modo, i Pinner sono collegati alla realtà dei fatti e vengono sfatati falsi miti con informazioni autorevoli da fonti affidabili.

In quanto piattaforma per trarre ispirazione e pianificare i momenti della vita, Pinterest è sempre stato un luogo di positività, con quasi 9 Pinner settimanali su 10 che affermano che sia “un’oasi online”. Per i consumatori e, di conseguenza, per i brand.

Gli sforzi di social e più in generale delle piattaforme di condivisione, in termini di moderazione dei contenuti sono notevoli oggi.  Ma è importante tenere presente soprattutto che Pinterest è diverso dalle piattaforme social, perché è più simile ai “personal media” che ai “social media”.

Le persone non vanno su Pinterest per trasmettere i propri pensieri ed opinioni politiche a un social network; qui le persone sono in cerca di idee da scoprire, salvare e mettere in pratica. Il contenuto sulla piattaforma è intrinsecamente diverso dalla maggior parte dei contenuti social.

E questo per l’azienda inizia dall’aiuto ai 400 milioni di utenti mensili globali a scoprire nuove idee e prodotti da acquistare per la loro vita quotidiana.

Ora più che mai, le persone sono alla ricerca di luoghi in cui ispirarsi e trovare risposte alle sfide attuali. In effetti, gli utenti di Pinterest hanno il 20% di probabilità in più rispetto al resto della popolazione di avere il benessere mentale ed emotivo come top of mind durante la pandemia.

Se le persone trovano contenuti che non dovrebbero essere su Pinterest, sono incoraggiare a segnalalo. Il rapporto con gli utenti diventa così una leva fondamentale per evolvere gli standard e utilizzare strumenti proattivi per trovare e rimuovere i contenuti.

Inoltre, la piattaforma chiede consiglio ad esperti esterni su come migliorare le policy e la loro applicazione.

Ottimismo e positività nelle campagne dei brand

Pinterest si è sempre presentato come un luogo positivo e da quando è iniziata la pandemia, questo è diventato ancora più vero. Le ricerche e l’interesse per la “positività” sono aumentate del 65% da questo periodo dell’anno scorso, ai massimi livelli nella storia della piattaforma.

Ora più che mai, infatti, le piattaforme sono responsabili della creazione e della promozione di esperienze online positive per i consumatori. Non è più solo una questione di contenuto pubblicitario, ma anche di contesto pubblicitario.

La recente ricerca della piattaforma mostra che le campagne pubblicitarie che emergono in un ambiente online più positivo determinano un impatto in ogni fase della canalizzazione di acquisto. Al contrario, gli ambienti negativi rendono le persone meno propense a ricordare, meno propense a fidarsi e meno propense ad acquistare dai brand.

Infatti, 6 adulti su 10 concordano sul fatto che è più probabile che ricordino i brand che incontrano online quando si sentono positivi, e si fidano anche, si sentono positivi e alla fine acquistano dai  brand  che vedono in ambienti positivi.

Allo stesso modo, 2 adulti su 3 concordano che è responsabilità di un brand fare pubblicità in luoghi sicuri e positivi ed evitare contenuti negativi. (Fonte: usertesting.com, luglio 2020). Pertanto, è fondamentale per i brand assicurarsi che i propri annunci vengano visualizzati in una posizione positiva e in mezzo a una pandemia globale, l’adiacenza degli annunci è più importante che mai.