- The Social Dilemma è un docu-drama che ha riportato l’attenzione sul tema degli effetti negativi dei social network, utilizzando strumenti anche poco leciti ma riuscendo a far arrivare il messaggio anche a chi non ne era a conoscenza.
- Un pezzo della soluzione al dilemma infatti è esserne consapevoli: conoscere le tecniche e le modalità con cui gli algoritmi “ci controllano” ci aiuta a farci influenzare di meno.
- Inoltre ci sono 5 ottimi strumenti per proteggerci dagli effetti più negativi dei social network, anche senza arrivare a eliminare il proprio account, che nel film non trovano abbastanza spazio.
Negli ultimi tempi, complice il successo mondiale del recente docu-film Netflix “
The Social Dilemma“, si è riacceso il dibattito su un
tema caldo che a ondate continua a infiammare l’opinione pubblica (e che, puntualmente, finisce poi nel dimenticatoio fino allo scandalo successivo).
Un tema che ci tocca da vicino più o meno tutti: le
conseguenze negative dell’uso dei social network e di gran parte delle piattaforme digitali che utilizziamo abitualmente, sul singolo e sulla società.
Un argomento di cui sentiamo parlare (e che osserviamo quotidianamente nelle nostre vite) da anni, ma che questo progetto firmato
Netflix ha contribuito a portare a un nuovo livello di approfondimento.
In questo “
ibrido tra dramma e documentario” (come lo descrive accuratamente la stessa piattaforma di streaming) si esplora l’influenza pericolosa dei social network sulle nostre vite, tramite la testimonianza di ex-dipendenti delle
big tech companies e altre figure. Puoi leggere la
descrizione completa di The Social Dilemma in questo articolo precedente.
Un
ibrido potente, perché combina la
veridicità dei dati, presentati in perfetto stile documentario, con la narrazione puramente
fiction di un film drammatico. I protagonisti sono i ragazzi di una normale famiglia americana alle prese con la vita quotidiana. Una famiglia che, come tutti, fa grande
affidamento sui social network per definire la propria identità, le proprie credenze, le proprie abitudini, etc. Ma il film “buca lo schermo” e ci porta, sempre in forma di fiction, non solo all’interno della vita di un utente dei social, ma anche nei meccanismi che regolano gli
algoritmi di queste piattaforme.
Così, per spiegare il funzionamento del sistema,
l’algoritmo viene “umanizzato”. All’interno del film prende la forma di tre “stalker” che osservano tutte le mosse dell’utente, divertendosi a inventare sistemi sempre più ingegnosi per
attirare la sua attenzione, alimentare la sua
dipendenza e, in ultima analisi, assoggettarlo al loro volere (ossia, quello degli
advertisers).
L’utilizzo di questa metafora potente rende il film assolutamente
terrificante: difficile guardarlo tutto senza un sentimento di panico crescente nel petto.
Se lavori nel campo della comunicazione, della tecnologia e del design, probabilmente proverai anche una buona dose di
senso di colpa… perché ti renderai velocemente conto che, da un punto di vista professionale, per
giocare a questo gioco hai dovuto spesso accettarne le regole.
E soprattutto, sentirai probabilmente un grande senso di
tristezza per la sensazione di essere assolutamente
impotente davanti a ciò che i social ci stanno facendo.
Ma è davvero così? O ci sono delle
azioni concrete che possiamo compiere, anche senza eliminare la nostra presenza digitale, per
tutelarci?
Quanto fanno male i social network?
La verità è che tutti occasionalmente ci rendiamo conto dell’influenza che i social (ma non solo loro) hanno sulle nostre vite, e spesso ci chiediamo
quanto questo effetto sia negativo.
The Social Dilemma non fa altro che spalancare il vaso di Pandora e
gettarci in faccia per più di un’ora il lato più oscuro di queste piattaforme.
Ingigantendolo anche, e non poco.
Da una parte, le scelte stilistiche di questo film sono discutibili: ricorrere a
tecniche narrative come la musica angosciante e l’allegoria dell’algoritmo cattivo ha il chiaro intento di demonizzare queste piattaforme.
Inoltre le informazioni riportate rappresentano tutte
solo un lato della medaglia, quello “anti-social” incarnato dagli ex-dipendenti pentiti dei giganti del tech.
E infatti i diretti interessati dall’attacco, in particolare
Facebook, hanno ribattuto proprio su queste argomentazioni.
In questa nota rilasciata recentemente accusano i creatori di aver
volontariamente omesso una parte della verità: non ci sono altre voci come quelle degli attuali dipendenti, manca la possibilità di controbattere e di spiegare cosa stanno facendo per risolvere i problemi evidenziati, le
misure anti fake-news o quelle per
proteggere la privacy.
Assicurano che il loro obiettivo non è quello di renderci dipendenti dalle piattaforme, ma
aiutarci a restare in contatto con ciò che ci interessa. E che non è vero che, come invece affermano i protagonisti di
The Social Dilemma, “se non stai pagando per utilizzare un prodotto, vuol dire che il prodotto sei tu”: Facebook e gli altri social sostengono che il loro
modello di business basato sulla pubblicità esista per permettere a tutti di utilizzarlo gratuitamente.
La verità però è che quest’ultima affermazione è un po’ come dire che
il mangime è gratis per il bestiame da allevamento. C’è qualcosa che stride.
Ed è evidente che i social network stanno effettivamente avendo
effetti devastanti sugli individui più deboli, come i ragazzini, e sulla società in generale (come il problema delle
Fake News legate al Covid ci ha tristemente dimostrato).
Insomma, il dubbio che
The Social Dilemma sia un po’
“calzato” per trasmettere un messaggio negativo c’è, ed è legittimo. Le tecnologie non sono intrinsecamente negative, né lo sono i loro creatori, e d’altronde i social aiutano quotidianamente miliardi di persone e aziende ad essere più connesse, più informate e più unite.
Ma dall’altra parte era
importante che un messaggio come questo arrivasse “alle masse”: molte persone non si sono mai poste questo problema, e vedere questo docufilm è stato come ricevere come sveglia uno schiaffo. Ed è questa, almeno in parte, la soluzione che cerchiamo.
La soluzione al dilemma: conoscere per proteggersi
È innegabile che i social network possono fare male, ed è vero che sfruttano meccanismi del nostro cervello volti a creare una
sorta di “dipendenza”. Il modello di business basato sulla pubblicità non avrà forse come prodotto noi come
persone, ma certamente
la nostra attenzione sì.
Il vero pericolo però, la situazione in cui gli effetti di quanto sopra possono essere più devastanti, è quella in cui
noi ne siamo all’oscuro. Quanto più siamo ignoranti nei confronti del funzionamento “tecnico” dell’algoritmo che decide cosa mostrarci, quanto
più rischieremo di cadere nelle trappole che il film ci mostra:
- Credere che tutti la pensino come noi;
- Vedere solo un lato della verità;
- Condizionare l’idea stessa del nostro valore, di ciò che è vero e ciò che non lo è.
Qual è l’antidoto, quindi,
la soluzione al “dilemma”?
Conoscere.
E se per farci arrivare il messaggio forte e chiaro gli autori del documentario hanno voluto calzare la mano, per me va bene. Perché sono riusciti, forse per la prima volta, a entrare davvero nelle nostre teste.
Cose come lo
scandalo di Cambridge Analytica ci avevano fatto storcere il naso e avevano contribuito ad alimentare un’idea malsana tipo: “
Mark è un cattivone, Facebook è pericoloso“.
Ma pochi,
pochissimi hanno veramente capito cosa sia successo lì, le dinamiche vere.
Quello che
The Social Dilemma invece fa benissimo è questo:
entrare nel tecnico, mostrarci i meccanismi più complessi, con un linguaggio semplice. Ok, addirittura
semplicistico forse. Ma forse è l’unico che la stragrande maggioranza di noi può capire, quando l’argomento è così complesso.
Il vero problema di questo docufilm?
Quello che manca, a mio parere, è una
soluzione.
Insomma, dopo un’ora e mezza di musica angosciante e persone che con sguardo triste raccontano quanto sia malvagio ciò che avviene dentro ai nostri smartphone, ci si sente un po’
abbandonati. Senza speranza.
Mentre scorrono i titoli di coda, i protagonisti provano a dare qualche consiglio per migliorare la situazione, ma l’
hype è ormai finito e la sensazione è quella di
spegnere il computer con tante domande e nessuna risposta.
Come facciamo a proteggerci dalle conseguenze negative dei social media? Cosa possiamo fare per “combattere”, a parte forse cancellare i nostri account?
Abbiamo il potere di cambiare le cose?
Quello che il film Netflix forse non fa capire abbastanza bene è che
sì, possiamo fare molto.
E il primo passo lo abbiamo già fatto prendendo consapevolezza del problema.
Alcuni altri, invece, sono qui sotto.
LEGGI ANCHE: C’è ancora spazio per i brand sui social media? Il vero dilemma è questo
5 cose che puoi fare subito per riprendere il controllo dei tuoi social
1. Non cancellarti dai social se non senti che sia la cosa giusta per te
Prendi però consapevolezza del problema, e aiuta altri a fare lo stesso.
Una delle principali “call to action” del film è proprio questa: “
contribuisci alla conversazione“. Andando a visitare il
sito suggerito alla fine dei titoli di coda (sì, lo hanno messo proprio nascosto) ci si trova in un’interessante lettura.
Vengono forniti
strumenti per alimentare la conversazione, come un gioco virtuale o delle guide per le discussioni.
Consigli per riprendersi il proprio “spazio digitale” e strumenti utili.
Persino un
plug-in del browser (
Ad Observer) per condividere con i ricercatori gli annunci che vedi sui social media e contribuire ad esporre le tecniche di micro-targeting e responsabilizzare gli inserzionisti.
2. Fai pulizia (“decluttering“)
Letteralmente significa “
selezionare degli oggetti inutili, che non usiamo più per poi cederli o barattarli, così da guadagnare spazio in casa“, ma è un concetto applicabile ad ogni ambito della vita, inclusi i social.
Uno dei primi metodi che si possono seguire è quello di
disattivare le notifiche, soprattutto tutte quelle che non ci avvisano di qualcosa di urgente.
Hai davvero bisogno di una
notifica che ti interrompa mentre lavori o studi per comunicarti che qualcuno ti ha lasciato un cuore su Instagram? Ecco, no. Giocando con le
impostazioni è possibile riacquisire in buona parte il controllo.
Come dice uno dei protagonisti di
The Social Dilemma,
disattivare le notifiche è una buona idea “per lo stesso motivo per cui non giri con dei biscottini in tasca”.
3. Insegna agli algoritmi ciò che ti interessa, e non lasciare MAI che siano loro a scegliere per te
Questo è uno dei consigli più intelligenti che ho trovato. Gli algoritmi dei social (e non solo) funzionano secondo un
modello predittivo in base alle tue scelte precedenti.
Non è cattiveria, non c’è nessuno stalker, ma ogni volta che clicchi sul “
video suggerito” alla fine di quello che stavi guardando su
YouTube non fai altro che
contribuire alla targettizzazione che una macchina sta facendo di te.
Non cascarci! Ci sono anche delle
estensioni per Chrome che bloccano questo genere di distrazione.
Lo stesso discorso vale ad esempio per
Facebook: puoi “superare” la volontà dell’algoritmo, che ti mostra ciò che
lui pensa sia interessante per te, andando sulle pagine e le persone che segui e di cui vuoi ricevere prioritariamente gli aggiornamenti,
cliccando su “segui” e poi su “mostra per primi”.
Così sarai tu a scegliere sempre di più il tuo
feed.
4. Limita il tempo che trascorri sui social. Ma per poterlo fare, devi rendertene conto
Dobbiamo iniziare a
esercitare la nostra volontà quando si tratta di social media, come decidere di non dedicarvi più di un tot di minuti al giorno, ma a volte la volontà da sola non basta.
Ti è mai capitato di
andare in bagno con lo smartphone in mano e….puff, la successiva cosa che sai è che è passata mezz’ora e tu sei ancora lì seduto? Ecco.
Per evitare tutto questo e “addestrare” il nostro cervello al giusto mindset possono essere utili
app come YourHour: puoi partecipare alle
sfide (ad esempio, sai stare 4 ore senza telefono?), visualizzare
report delle tue attività, identificare il tuo
livello di dipendenza, utilizzare un
timer che ti segnali quando superi certi parametri o addirittura blocchi completamente l’utilizzo.
Lo trovi
estremo? Non lo è. Come ogni
dipendenza servono strumenti seri per interromperla.
E come spiega The Social Dilemma, anche se ti sembra non sia così,
quella dei social è una vera e propria dipendenza perché sono stati strutturati per attivare le stesse
aree del cervello!
5. Segui persone con cui non sei d’accordo
Ti senti di far parte di un certo partito politico, credo religioso o altro
argomento “polarizzante”? Ottimo.
Fai uno sforzo deliberato e
inizia a seguire almeno 5 persone o organizzazioni che appartengono alla fazione opposta. Potrà sembrarti frustrante in principio, ma leggere opinioni divergenti ti allenerà alla pazienza e alla comprensione di argomentazioni differenti.
Soprattutto però
eviterà che si crei la pericolosissima “bolla” per cui, come spiegano in
The Social Dilemma, chi si dimostra
interessato al fatto che la terra sia piatta comincia a vedere intorno a sé solo persone che la pensano allo stesso modo, convincendosi che
quella sia la
verità.
6. Fai la tua parte
Infine, se sei un professionista che lavora con i social media, un designer, un IT guy che progetta siti ed app che devono catturare l’attenzione dell’utente, un giornalista o similare…ricordati che
è anche compito tuo fare scelte etiche.
Ogni volta che scrivi un titolo
clickbaiting, che ti inventi un modo per richiamare l’attenzione, che scegli un utilizzo che ti pare poco etico del tempo dell’utente online, fermati e rifletti.
È davvero così che deve andare? C’è una soluzione migliore? Quale?
Puoi rifarti per esempio all’
Ethical Design Manifesto.
La verità è che
possiamo fare poco, è così.
Servirà ben altro per superare questi problemi, saranno necessarie
regolamentazioni internazionali,
multe salate,
commissioni d’inchiesta.
Bisognerà
ripensare totalmente i modelli di business che abbiamo adottato come società, perché sono spesso malati.
Ma la tua voce conta, la tua azione conta, e nessuno può farla al posto tuo.
E secondo me è questo che dovrebbe ricordarci
The Social Dilemma.
Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti.