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I consumatori chiedono un nuovo brand activism fatto di azioni concrete

  • Durante l’ultima ondata di brand activism è emersa, come non mai, la richiesta di responsabilità e autenticità da parte dei consumatori.
  • La brand self awareness è un antidoto contro l’ipocrisia aziendale e deve per forza andare di pari passo con le dichiarazioni di sostegno alle cause sociali.
  • Le azioni concrete sono ciò che i consumatori chiedono. Al contrario, i brand non faranno altro che mettere in discussione la loro credibilità.

 

Nelle ultime settimane, sulla scia della campagna Black Live Matters, molti brand si sono espressi contro il razzismo. Alcuni hanno semplicemente dichiarato la propria solidarietà, altri – come LegoBen & Jerry’s – hanno invece annunciato azioni concrete. Scelte accomunate dalla stessa volontà di stare “dalla parte giusta della storia”, ma che hanno sortito nel pubblico reazioni diverse. Se alcune aziende sono state infatti lodate per il proprio impegno, altre sono state accusate di ipocrisia e opportunismo.

Brand activism, un fenomeno in crescita

Il motivo per cui il brand activism è un fenomeno in crescita appare chiaro. Secondo un recente sondaggio condotto dalla società di consulenza Edelman, il 60% degli americani boicotterebbe o comprerebbe da un marchio in base alla sua risposta alle proteste contro l’ingiustizia razziale. E il dato è ancora più alto tra i più giovani: il 78% dei millennials ritiene che anche i brand debbano alzare la voce, mentre il 70% delle persone tra i 18 e i 34 anni cambierebbe di conseguenza le proprie scelte di di acquisto. Ma già più di quattro anni fa il 66% delle persone era disposto a pagare di più pur di avere prodotti che rispettassero principi quali ad esempio la sostenibilità ambientale.

I consumatori ritengono che le marche abbiano la possibilità di produrre un impatto concreto sulla società. Lo studio di Sprout Social del 2019, ad esempio, rivela che secondo il 66% delle persone i brand hanno il potere di facilitare un cambiamento reale, mentre il 67% di esse pensa che le loro piattaforme – in particolare i canali social – siano efficaci nell’aumentare la consapevolezza riguardo le problematiche sociali. Insomma, parafrasando Spider-Man, secondo i consumatori da un grande brand derivano grandi responsabilità sociali.

Come ha sottolineato anche l’Outlook report quindi, sempre più la fiducia nel marchio non si basa solo sui suoi prodotti o servizi, ma anche sulle scelte etiche e politiche fatte dall’azienda che vi sta dietro.

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Perché i social media hanno cambiato tutto

Prima della nascita dei social media, i marchi non avevano canali di comunicazione diretta coi proprio clienti. Di conseguenza, i consumatori stessi non si aspettavano prese di posizione su tematiche sociali da parte dei propri brand preferiti. L’avvento dei social network ha invece aumentato le aspettative dei consumatori riguardo l’attivismo dei brand.

Del resto, l’ondata di indignazione in seguito all’uccisione di George Floyd non è stata guidata da testate giornalistiche o istituzioni, ma da persone comuni che hanno iniziato a condividere il proprio sdegno su Twitter e Facebook. In una simile situazione, coesistendo nello stesso spazio digitale, i marchi devono necessariamente inserirsi nelle conversazioni in modo pertinente. Ma non corrono il rischio di apparire opportunisti?

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La domanda di autenticità da parte del pubblico

Molti dei più grandi brand mondiali erano rimasti in silenzio sul tema della violenza razziale fino al momento in cui hanno twittato #BlackLivesMatter. Per questo sono apparsi opportunistici. Certo, meglio tardi che mai. Ma il brand activism va costruito nel tempo, con costanza e soprattutto autenticità. L’autenticità non è qualcosa che può essere presa in prestito o prodotta da un giorno all’altro e il suo punto di partenza è la costruzione dell’attivismo di brand sui valori fondamentali del marchio stesso.

Ma il sostegno a una o più cause non assolve automaticamente i brand dal silenzio su altre problematiche sociali: il silenzio non è più neutrale. Ciò che allora può fare un marchio è inquadrare il proprio sostegno attraverso un approccio intersezionale. Ad esempio, se un brand è impegnato nella sensibilizzazione sul cambiamento climatico, in occasione di campagne contro il razzismo potrebbe sottolineare il concetto di sproporzionalità riguardo le conseguenze dei problemi ambientali sulle persone di colore.

Infine – ma non ultima – fondamentale per l’autenticità è la brand self awareness, la consapevolezza di sé da parte del brand. Un antidoto contro l’ipocrisia aziendale che deve per forza andare di pari passo con le dichiarazioni di supporto. Cioè, inutile twittare contro il razzismo, se al suo interno l’impresa stessa non è impegnata a sradicarlo. Amazon, Ralph Lauren e Next Door sono tre esempi di brand fortemente criticati per aver rilasciato dichiarazioni di sostegno ipocrite, perché in contrasto con problematiche interne.

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Una nuova era per il brand activism

Durante quest’ultima ondata di brand activism è emersa come mai prima d’ora una richiesta di responsabilità. Denunciare il razzismo sui social media non è attivismo di marca senza azioni a sostegno, e le azioni concrete sono ciò che i consumatori chiedono. Se al contrario un marchio è tutto parole e niente azioni, questo non farà altro che mettere in discussione la sua credibilità.

Denunciare l’ipocrisia aziendale non è mai stato così facile. Internet non dimentica mai, anzi sembra fatto apposta per riesumare i problemi del passato e di conseguenza responsabilizzare i brand su ciò che fanno nel presente.

Non basta aprire il libretto degli assegni per effettuare donazioni una tantum. Occorre invece cambiare la politica interna a favore dell’inclusione razziale, rivedere i prodotti perché non siano diffusori di pregiudizi, espandere la responsabilità sociale. Un cambiamento insomma non relegato alle strategie del reparto marketing, ma abbracciato da tutta l’azienda come valore chiave su cui lavorare.

È responsabilità di ciascuna impresa abbracciare e inserire la corporate social responsibility (CSR) all’interno della propria struttura aziendale. Magari non tutte diventeranno B Corps, ma qualche ritocco al modo in cui calcolano il risultato economico aziendale contribuirà a rafforzare la responsabilità interna nei confronti della società.

Insomma, nonostante le reazioni dei brand al movimento Black Live Matters siano state talvolta superficiali, la nuova domanda di responsabilità potrebbe provocare nei marchi riflessioni più profonde e portare infine a cambiamenti sostanziali nell’autenticità del loro attivismo.

Questi valori sono già radicati nel DNA del vostro marchio? Benissimo! Altrimenti, questo è il momento di iniziare.

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Apple potrebbe lanciare due MacBook con processori ARM già nel 2020 (e la rivoluzione è appena iniziata)

  • Durante il WWDC 2020 Apple aveva già annunciato il passaggio dei processori su Mac da Intel agli ARM.
  • Secondo quanto riferito da The Next Web, Cupertino sta pianificando due MacBook con i nuovi processori già per la fine dell’anno.

 

Il divorzio tra Intel e Apple è appena agli inizi. Ecco la più grande novità introdotta con il WWDC del 2020, il consueto appuntamento annuale dedicato agli sviluppatori ed incentrato sulle novità software delle proprie piattaforme.

Decisamente l’evento che tutti gli sviluppatori aspettavano e le novità introdotte sono state davvero innumerevoli, per gran parte dei dispositivi firmati Apple: dell’iPhone, al Watch, sino a coinvolgere il settore computer.

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Nell’aria si respirava già da tempo l’arrivo imminente di importanti novità, ma nessuno o quasi si aspettava un passaggio epocale di questo genere. In molti aspettavano un restyling di iMac, ma così non è stato. A Cupertino è stata svelata la più grande novità di quest’anno: il passaggio dei processori su Mac da Intel agli ARM.

Questi nuovi processori, cugini molto lontani di quelli già utilizzati sui dispositivi portatili di Apple come iPhone e iPad, determineranno una profonda rivoluzione del mercato dei computer.

Il primo su tutti sarà l’inevitabile interruzione dello sviluppo di software delle più importanti software house, altre conseguenze invece riguarderanno strettamente le performance delle macchine, che potrebbero migliorare ad esempio l’autonomia e attrarre nuovi segmenti di mercato. Le risposte a questi ed a ulteriori dubbi saprà fornircele soltanto il tempo.

Già pronti due MacBook

Secondo quanto riferito da The Next Web, Apple sta pianificando due MacBook con processori ARM già per il 2020.

L’analista Apple Ming Chi Kuo ritiene che si tratterà di un MacBook Pro da 13,3 pollici e un nuovo MacBook Air con i chip della casa madre, mentre i due modelli pro da 14 e 16 pollici arriveranno l’anno prossimo.

Si dice anche che Apple annuncerà un iMac riprogettato con un design più simile all’iPad Pro quest’anno, anche se probabilmente non presenterà un processore ARM nel 2020.

I nuovi processori ‘Apple Silicon’

Nasce questo nuovo termine: l’Apple Silicon. Sono stati così definiti i nuovi processori di Cupertino che presto sostituiranno i consueti Intel. In Apple è stata evidenziata una profonda esperienza e studio del settore, che permetterà di produrre processori ad alta prestazione.

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Architettati ad hoc per i propri prodotti, i chip Apple comporteranno un minor consumo energetico, minori costi di produzione, maggior controllo sull’intera architettura dei componenti.

Durante il WWDC sono state presentate anche alcune applicazioni demo, che mostrerebbero la potenza degli ARM e che confermerebbero la capacità di questi chip di offrire un’esperienza d’uso appagante, come: Final Cut, Affinity Photo e Cinema 4D, tutti applicativi molto richiesti dagli utenti Apple.

Ultimo aspetto molto interessante sarà la dimensione di questi chip, varierà in base alle caratteristiche delle macchine sulle quali verranno montati. Dunque molto efficienti ed energivori per Mac più grandi. Più compatti, silenziosi e meno caldi per portatili e dispositivi più piccoli.

Tempistiche e dettagli dei chip Apple

Il cambiamento annunciato durante le WWDC se da un lato ha notevolmente scosso il mercato, dell’altro non ha placato i malumori degli analisti che durante l’evento non sono riusciti a carpire molti dettagli tecnici per offrire fiducia nel futuro dei Mac sia agli utenti che agli sviluppatori di tutto il mondo, che da oggi potranno (e dovranno) servirsi di un nuovo ambiente di sviluppo firmato interamente Apple.

Il passaggio da Intel agli ARM sarà graduale ma già verso la fine di quest’anno, dovremmo poter verificare ed analizzare le conseguenze della scelta.

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Amazon lancia il Dash Cart: un nuovo modello di carrello intelligente

Amazon espande la sua impronta nel mondo reale con uno strumento fisico unconventional. Si chiama Dash Cart ed è una versione intelligente del classico carrello della spesa da supermercato.

È dotato di touchscreen e altre componenti hardware per rilevare automaticamente quali oggetti si inseriscono all’interno e persino quanti prodotti uguali hai scelto dallo scaffale. Quando hai finito di fare acquisti, ti è permesso portare il carrello attraverso una corsia speciale che controlla tutto in digitale senza la presenza di un addetto umano.

Da anni l’azienda cerca di applicare quanto acquisito dallo sviluppo di prodotti basati su Alexa agli store fisici, anche grazie all’acquisizione di Whole Foods e alla crescente rete di negozi Amazon Go (cashless). Tali sforzi stanno ora portando a prodotti ibridi che collegano il digitale e il fisico.

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Dall’Amazon Go al Dash Cart: come cambia la strategia del gigante dell’eCommerce

Il Dash Cart arriverà per primo nel negozio di alimentari di Amazon nel quartiere di Woodland Hills a Los Angeles. Il negozio, confermato per la prima volta l’anno scorso, non è un Amazon Go, il che significa che non ha telecamere, sensori e altre apparecchiature integrate nel soffitto per rilevare automaticamente gli oggetti che togli dagli scaffali.

Questo è un supermercato “normale”, come quelli in cui tutti facciamo acquisti ogni giorno, solo che ha carrelli della spesa fatti appositamente per l’uso tecnologico.

Il negozio è attivo e funzionante per soddisfare gli ordini di generi alimentari online, ma lo spazio fisico non è ancora aperto al pubblico; Amazon afferma che punta ad aprire il negozio entro la fine dell’anno. Il negozio si unisce alla rete Whole Foods di Amazon e al suo negozio di alimentari Amazon Go di formato più grande, aperto a Seattle a febbraio.

Non è chiaro perché Amazon stia optando per un negozio più tradizionale, visti i suoi oltre due dozzine di negozi Go. Da un lato, potrebbe essere perché il modello Go è difficile da ridimensionare alle necessità di un negozio di alimentari più grande della classica drogheria. La nuova sede di Woodland Hills si trova infatti sul sito di un ex Toys “R” Us , che è sicuramente molto più grande di un Amazon Go.

C’è poi un’ulteriore domanda relativa alla privacy: forse l’approccio di monitoraggio e sorveglianza del formato Go non è appetibile come quello di un carrello intelligente che un consumatore deve scegliere di utilizzare.

Detto questo, sembra che ridimensionare il suo approccio senza casse, sia dal punto di vista della privacy sia da quello tecnico, una sfida che Amazon sta cercando di superare, e il carrello è lo strumento giusto per farlo in modo gestibile e scalabile rapidamente.

Come funzionerà il Dash Cart

Per ora, l’azienda non è pronta per utilizzare la tecnologia Dash Cart per grandi spese. Quindi il dispositivo può gestire fino a circa due buste di articoli, ma non può essere utilizzato per una spesa familiare che arriva a riempire per intero il carrello. Ciò significa che il negozio di Woodland Hills avrà carrelli standard e corsie di pagamento standard per tutti i clienti che acquistano più di quello che il Dash Cart consente.

dash cart amazon

Come spiegato da The Verge , il Dash Cart grazie a telecamere, una bilancia e sensori di visione e peso computerizzati può determinare non solo il tipo di articolo, ma anche la quantità.

Il carrello elabora l’ordine solo alla fine del percorso nel supermercato e solo dopo aver effettuato l’accesso al proprio account Amazon. Il carrello ha anche uno scanner coupon integrato e supporta la funzionalità di liste della spesa di Alexa.

Quando finisci di fare acquisti, poi, le corsie Dash Cart dedicate ti consentono di uscire dal negozio senza dover gestire i pagamenti.

Se il Dash Cart dovesse essere un successo tra i consumatori, Amazon potrebbe lanciare questo modello anche altrove, rivoluzionando anche la spesa di tutti i giorni, dopo aver trasformato il nostro modo di fare shopping online.

Come costruire la credibilità di un sito web: regole e consigli

Regole e consigli per costruire la credibilità online di un sito web

  • I visitatori che approdano sul tuo sito web decidono in pochi secondi se rimanere o andarsene, per questo l’esperienza dell’utente va curata.
  • Consigli utili per creare fiducia e credibilità nel proprio sito web e non far scappare gli utenti, ma condurli fino alla conversione.

 

Stiamo scoprendo l’acqua calda se diciamo che le persone comprano i prodotti di un marchio se lo conoscono, ne hanno almeno sentito parlare e quindi si fidano. Non è solo il prezzo ad entrare in campo o quanto è attrattiva la tua pubblicità, il rapporto che instauri con il consumatore ha un ruolo importantissimo e la parola chiave è: fiducia.

In questo articolo ti spieghiamo una serie di tattiche ninja proprio per rendere il tuo sito web altamente credibile per le persone che lo visitano, anche per la prima volta.

LEGGI ANCHE: La personalizzazione è la chiave dello shopping online.

Come costruire la credibilità di un sito web

Design e prestazioni del sito

Appena gli utenti atterrano sul tuo sito web, dovranno decidere se rimanere o andarsene. Uno dei motivi che incide fortemente è la velocità di caricamento della pagina. La parte tecnica è importante e una volta che tutti i contenuti si saranno caricati velocemente, allora il primo test è passato con successo.

Ora oltre alle prestazioni tecniche, bisogna valutare anche se la pagina è attraente agli occhi dell’utente e se trova in poco tempo proprio quello che si aspetta e stava cercando.

Le percezioni principali che il visitatore deve subito provare perché si senta rassicurato, devono essere chiare:

  • Rassicurazione sulle transazioni sicure;
  • Percezione che il prodotto sia accuratamente descritto;
  • Convinzione che i tempi di spedizione sono brevi e verranno rispettati grazie ad adeguate informazioni su termini e condizioni.

Oltre a queste tre informazioni principali assicuratevi di conoscere bene il vostro consumatore per potergli proporre proprio quello di cui ha bisogno.

  • Il design è importante, ma va pensato sulle caratteristiche del nostro consumatore. Spesso idee creative e brillanti non si spostano con la nostra tipologia di utente. Quindi attenzione a studiare tutto in sua funzione;
  • Impostate in modo chiaro tutte le informazioni di contatto e rendetele sempre ben visibili. Non inserite solo la mail, per generare maggior credibilità, scrivi anche indirizzo completo, numero di telefono e tutti i dettagli normalmente indicati;
  • Il linguaggio e la terminologia usata sul sito web, devono essere coerenti con l’audience di riferimento. Parla la lingua dei tuoi consumatori, non perderti in tecnicismi, inglesismi o costruzioni particolari solo perché è cool. Il tuo pensiero deve sempre andare ai tuoi utenti e a semplificare al massimo il dialogo con loro, perché i messaggi arrivino in modo forte e chiaro;
  • Come sempre attenzione anche a refusi ed errori grammaticali. Sembra scontato, ma la nostra credibilità e professionalità deriva anche da questo.

LEGGI ANCHE: 10 cose che dovresti sapere prima di lanciare un business online

Trasparenza e autenticità

Un altro punto cardine che incide sulla credibilità del nostro sito web, è la trasparenza. L’utente deve percepire che siamo noi, che siamo reali e autentici e deve fidarsi per comprare sul nostro sito web.

  • Inserisci una pagina ‘chi siamo’ completa, personalizzala e presentati come se stessi prendendo un caffè con il tuo interlocutore e dovessi spiegargli in modo genuino chi sei e cosa fai;
  • Sii reale e non ridicolo, non cercare di esasperare caratteristiche o esagerare. Come si dice ‘il troppo stroppia’ e non è credibile. Attieniti ai fatti, a documentare e raccontare quello che fai, piuttosto che esagerare con l’essere autoreferenziale;
  • Mostra chi lavora nel tuo team e cosa fate, fai vedere il dietro le quinte dell’azienda e mettiti a nudo proprio per far percepire l’autenticità della tua attività: tutto ciò che solo tu puoi mostrare, ti rende unico!

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Riprova sociale e sicurezza

Infine è importante mostrare testimonianze, consumatori soddisfatti e partner per generare quella che viene definita: riprova sociale.

Secondo il principio di riprova sociale spiegato da Robert Cialdini le persone attribuiscono importanza all’opinione di una voce esperta e credibile, ma dall’altro canto con i social media ci sono anche le riprove sociali che si basano sul comportamento di un gruppo di amici, utenti o cittadini a cui una persona si sente in qualche maniera legata o affine, e che emergono più chiaramente nelle dinamiche della social economy.

Ecco perché è importante inserire sul tuo sito web recensioni (meglio se con un punteggio alto) e testimonianze di altri utenti che hanno comprato i tuoi prodotti o servizi. I visitatori nel vedere l’esperienza e l’opinione di altre persone si sentiranno rassicurati.

Inoltre se hai dei partner che collaborano con te o segui dei clienti, puoi inserire i loro loghi e daranno credibilità al tuo lavoro.

Se invece ci sono blogger o riviste che hanno parlato di te e della tua attività puoi citarle e farne bella mostra sul tuo sito web.

Tutto ciò può contribuire a generare fiducia nel tuo sito web e nella tua attività.

Non ti resta che tornare sul tuo sito web e controllare se hai già inserito tutti questi punti, come sei messo a credibilità verso i tuoi utenti?

turismo covid-19

Breve guida 2020 per le PR nel settore hospitality

Subdolo e invisibile, il Covid-19 ha sconvolto il mondo del lavoro.

Di più: lo ha rivoluzionato proiettando tutte le categorie professionali in un futuro che, senza pandemia, avrebbe richiesto decenni per delinearsi.

In particolare è stato il settore turistico a essere travolto da questa situazione di emergenza, per questo abbiamo pensato a una piccola guida per le attività che affronteranno la stagione turistica più anomala di sempre.

Le aziende dell’hospitality hanno più bisogno di PR rispetto alle altre

Ciononostante, come dopo ogni shock sociale di proporzioni epocali, le conseguenze rischiano di essere pesantissime e gli strascichi molto dolorosi.

Come prevedibile, le attività basate sull’accoglienza del pubblico sono quelle destinate a pagare il prezzo più alto per i protocolli anti Coronavirus.

Tuttavia non è la prima volta che il settore hospitality si trova a dover fronteggiare delle crisi legate a virus di varia natura.

Un’evenienza simile era già occorsa durante l’epidemia di SARS tra il 2002 e il 2004, quando la disdetta delle prenotazioni negli hotel di tutto il mondo superò abbondantemente il 50% e quasi 10 milioni di turisti rinunciarono per paura alle proprie vacanze, generando una perdita per tutto il settore compresa tra i 30 e i 50 milioni di dollari.

Dopo appena due anni di incertezza, l’industria del turismo e della ristorazione ha fatto registrare una crescita con pochi precedenti.

Nel 2006, il settore hospitality ha influito sul prodotto interno lordo mondiale per un totale di 5.160 miliardi di dollari.

A dimostrazione che non importa quanto sono pesanti: le crisi sono sempre passeggere.

Ciò che dev’essere permanente, piuttosto, è la capacità di trarne un vantaggio competitivo sul medio e lungo periodo.

Grazie alle cloud technologies come i software che gestiscono le prenotazioni, i pagamenti contactless e addirittura le nuove app che contingentano gli ingressi fornendo informazioni aggiornate in tempo reale, il mondo del turismo dispone di strumenti per il rilancio che non possono più essere sottovalutati.

Proprio ora, nel mezzo di un impatto devastante che rischia di cancellare milioni di posti di lavoro, le strutture più colpite sono quelle che necessitano più di tutte di strategie di relazioni pubbliche efficaci in relazione all’unicità del periodo storico.

Tre imperativi da rispettare nell’hospitality

1. Riportare i vecchi clienti all’interno delle attività

Le conseguenze del Coronavirus, un po’ acceleratore di processi già in atto e un po’ rivoluzione sistemica con pochi precedenti in epoca moderna, non hanno risparmiato nessun settore.

Persino il marketing sta subendo un cambio di paradigma che fino a pochi mesi fa sarebbe risultato impensabile.

digital pr

Anche le relazioni pubbliche non fanno eccezione.

La nuova sfida per le realtà turistiche e della ristorazione non è più cercare nuovi clienti, ma far tornare quelli vecchi all’interno delle proprie attività.

Per riuscirci, le strutture del settore hospitality dovranno mutare radicalmente e in tempi brevi il proprio modo di comunicare: con il turismo straniero e gli spostamenti internazionali ancora incerti, l’obiettivo dev’essere quello di riavvicinare i clienti storici, quelli più affezionati, ricordando loro i motivi che li hanno spinti a scegliere un hotel o un ristorante piuttosto che un altro.

Mantenere attivo un contatto diretto è più importante che promuoversi urbi et orbi con una comunicazione aggressiva.

Sul piano delle PR è consigliabile piuttosto un lavoro di manutenzione, atto a mantenere stabile il prestigio del brand e fortificare la lealtà dei clienti storici, quelli che già conoscono le qualità distintive della struttura e non intendono rinunciarvi.

LEGGI ANCHE: Undertourism e turismo di prossimità, le nuove tendenze per viaggiare ai tempi del Coronavirus

2. Comunicare sicurezza

Come dimostrano i dati che vengono diramati ogni giorno dalle istituzioni competenti, l’emergenza Covid-19 non è ancora finita.

Verosimilmente saremo tutti chiamati a conviverci fino alla creazione di un vaccino in grado di farci tornare a una parvenza di normalità, ma fino ad allora una parte di noi manterrà sempre alta l’allerta.

pagamenti contactless coronavirus

Durante i mesi di quarantena, oltre la metà della popolazione mondiale si è vista costretta a rinunciare alla propria quotidianità.

La lontananza dalle persone care, che siano amici o parenti o congiunti, ha lasciato una traccia importante nella psiche collettiva.

È proprio qui che le PR possono diventare il miglior alleato delle strutture del settore hospitality, le più a rischio in assoluto.

Oggi più che mai è di fondamentale importanza immedesimarsi nel potenziale cliente per intuirne le esigenze e ragionare come lui.

Fin dalle riaperture generali abbiamo infatti assistito a un paradosso che però non deve sorprendere: molte persone vivono ancora immerse in un clima di paura e diffidenza.

Ed è così che nonostante il rispetto delle normative sugli assembramenti e il distanziamento sociale da mantenere, molte realtà faticano ancora a riportare fisicamente la clientela all’interno delle strutture.

Il motivo? Una comunicazione poco efficace.

Chi si appresta a scegliere un tavolo al ristorante o la stanza di un hotel, le precauzioni prese per abbattere il rischio di contagio preferisce vederle piuttosto che limitarsi a leggerle.

A livello di PR, dunque, adottare il concetto astratto di sicurezza e recitarlo come un mantra è indispensabile ma non più sufficiente: l’aspetto visuale, foto e video che dimostrano il lavoro fatto per rendere i locali perfettamente adeguati, giocherà un ruolo primario per chi vuole distinguersi.

Riuscire a comunicare gli sforzi messi in atto contribuisce a generare un clima sereno e disteso, che non a caso è il fine ultimo di chi cerca un’esperienza confortevole durante una vacanza o una semplice cena.

Questo, ai tempi del Coronavirus, è doppiamente vero. E in futuro sarà la norma.

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coronavirus igiene mani

3. Enfatizzare i propri punti di forza

Se in tempi meno turbolenti i punti di forza costituivano un biglietto da visita molto importante per le strutture alberghiere e della ristorazione, oggi rappresentano un plus determinante sul quale concentrare le proprie strategie di relazioni pubbliche.

Il Covid-19 sta determinando un nuovo modo di concepire le interazioni umane attraverso gli spazi.

sharing economy e Covid-19

I divieti di assembramento e le distanze minime di sicurezza da mantenere, se ben sfruttate, possono trasformarsi in una straordinaria opportunità per garantire massima privacy e relax dopo mesi psicologicamente non facili da gestire.

Mare o montagna, città o campagna, non esiste angolo notiziabile che le PR non possano trasformare in un’arma a proprio vantaggio.

Le strutture possono così riorganizzare i servizi migliorando quelli che già erano gli aspetti strategici dominanti nella propria offerta.

Spazi aperti, spiagge più confortevoli, escursioni in montagna o gite in barca: sarà proprio il potenziamento del servizio e la sua comunicazione intelligente, secondo le prerogative della struttura, a fare la differenza.

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TikTok lascia Hong Kong: ecco cosa c’è da sapere se fai marketing

La notizia è dello scorso martedì: TikTok lascia Hong Kong.

In un momento storico in cui la questione di Hong Kong è entrata nelle nostre case attraverso le immagini dei TG, si tratta di una news dalle connotazioni chiaramente politiche. Ma non solo.

Anche il marketing, infatti, è fortemente influenzato dal macro-ambiente di un mercato, e quindi anche dalla politica. Perciò, prima di riflettere su quali saranno le conseguenze di questa storia dal nostro punto di vista, facciamo un breve ripasso dei retroscena in senso ampio.

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TikTok e Hong Kong: cosa c’è dietro

Hong Kong è una regione amministrativa speciale della Cina. Ciò significa che nonostante la sua riannessione alla Cina nel 1997, Hong Kong di fatto mantiene autonomia decisionale su diversi settori, tra cui l’economia: il fatto che costituisca un porto franco per l’occidente lo si deve proprio a questo.

Non è invece autonoma rispetto alla difesa o alla politica estera (tenetelo a mente per dopo).

Hong Kong insomma è sì Cina, ma è anche qualcos’altro: abitudini, cultura… Persino la lingua parlata è diversa.

Hong Kong vista dall’alto: una New York orientale

L’equilibrio con la Cina non è mai stato facile. Da un anno a Hong Kong si protesta contro una legge sull’estradizione fortemente voluta dal governo centrale, che, in risposta alle rivolte ne ha emanata una nuova in maggio: la Security Law, una sorta di ordinamento sulla libertà di parola che potrebbe mettere a tacere tutti i dissidenti.

Il problema principale di questa legge, e che non è piaciuto alle Big Tech, risiede nella scarsa chiarezza del suo contenuto, che non elencando in maniera precisa ciò che è vietato, permetterebbe a Pechino di controllare e sanzionare i contenuti degli utenti senza troppe restrizioni.

In seguito alla diffusione di maggiori dettagli a proposito nei giorni scorsi, martedì TikTok ha deciso di uscire da Hong Kong, in modo tale da eludere le regole sull’utilizzo dei dati cui altrimenti avrebbe dovuto sottostare.

Ma se TikTok è cinese, perché lo avrebbe dovuto fare?

TikTok: storia breve dell’app

Nata nel 2016 nel bacino tecnologico di ByteDance – un gigante del mondo cinese con le mani in pasta un po’ ovunque – è diventata virale un paio di anni dopo. Se vi ricordate, in quel periodo da noi impazzava Musically, con cui poi Douyin si è fuso creando effettivamente la versione internazionale Tik Tok.

Nel 2019 Tik Tok ha “fatto il botto” in tutto il mondo e anche in Italia, dove, complice il lockdown e la noia dell’audience costretta a casa, ha visto un aumento quasi del 300% tra il marzo 2019 e marzo 2020, passando da 1,8 a 7 milioni di utenti (dati Comscore MMX Multiplatform).

Il fatto è che questo successo internazionale è stato possibile anche perché le due applicazioni sono lievemente diverse.

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TikTok o Douyin: gemelli eterozigoti

First things first: Douyin è in cinese e gira su server cinesi con regole cinesi. Come tutte le app in Cina, è soggetto a controlli da parte del governo.

TikTok no: il posizionamento scelto dall’app, per quanto possa suonare incredibile, è diverso. In quanto rivolto a mercati occidentali, la policy è di mantenere una linea sulla privacy simile a quella dei giganti di Facebook & Co.

Tuttavia, ci sono delle similitudini tra i due: entrambi sono basati sulla creazione di brevi video divertenti di massimo 15 secondi e il cui scopo è quello di diventare virali.

Il marketing con Douyin

Douyin è prima di tutto un’app che viene utilizzata dagli utenti per divertirsi, ma è anche un mezzo di marketing. Questa è l’aspetto che interessa alle aziende. Come tanti brand hanno provato recentemente a lanciare challenge o collab su TikTok per diventare virali, la stessa cosa è successa in Cina molto tempo prima.

Le aziende fanno marketing su Douyin, ma attenzione: se ora pensate “ok, voglio aprire il mio canale Douyin per vendere in Cina”, vi stoppo subito. Non è cosa da nulla: per farlo occorre avere un’identità legale in Cina. Dior o tutti i brand che lo usano ne hanno una, per questo vedrete online articoli che parlano della loro strategia.

Tuttavia, voglio anche rassicurarvi: un tempo era così anche per WeChat. Poi Tencent (la casa madre) si è gradualmente aperta all’estero e ora è possibile avere un account aziendale anche se si è un’azienda non cinese e fare marketing verso i mainlanders.

Perché, infine, considerate che fare marketing verso Cina Mainland e Hong Kong non è la stessa cosa: si tratta di target completamente diversi, con diversa lingua, diverse abitudini e mezzi di comunicazione e questo comporta la necessità per l’emittente di rivedere il messaggio in maniera importante.

Se il vostro aim è di conquistare entrambi: good luck, è una bella corsa ad ostacoli ma non impossibile.

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TikTok fuori da Hong Kong: e ora?

Ma alla fine della fiera, cosa comporta tutta questa storia per noi markettari?

Non è facilissimo prevederlo ora. TikTok fa parte di quel gigante di ByteDance, è cinese, e sebbene preferiremmo non considerare tutto questo, la sua mossa avrà ripercussioni sugli equilibri tra Cina e Hong Kong.

Potremmo dire, citando Maccio Capatonda, “e a me, che me ne frega a me?” E invece ve ne fregherà, perché da sempre Hong Kong è il nostro punto di contatto commerciale con la Cina e gli scenari che potrebbero delinearsi sono differenti. Visti dal punto di vista macro, non è da escludersi la possibilità che ci siano conseguenze per i paesi e le imprese che si schierano chiaramente a favore di Hong Kong.

Di conseguenza, nel micro e per tutti noi markettari che ad esempio pensavamo di poter fare Ads targettizzati al pubblico di Hong Kong tramite Facebook, questo un giorno potrebbe non essere possibile, perché magari anche Facebook lascerà per sempre il porto. E allora dovremmo ripensare ancora una volta le piattaforme con cui comunicare al target, e come si dice, chi vivrà vedrà.

Celebrities Culture: la fine di un’era?

  • Tra la fine degli anni novanta e primi duemila le celebrities hanno influenzato opinioni e consumi.
  • L’era dei social ha reso queste persone più accessibili e creato la consapevolezza che le loro azioni possono influenzare i cambiamenti di domani, sociali e culturali.

 

Celebrities culture: un fenomeno nato agli inizi degli ’80, negli Stati Uniti, grazie al canale musicale MTV ha reso la vita di cantanti e icone pop più glamour, determinando l’inizio l’era del culto dell’immagine.

Durante la fine degli anni novanta e i primi anni duemila, abbiamo assistito ad una crescita continua del mercato delle celebrità, la cui influenza ha toccato tutti gli aspetti della vita televisiva e non.

L’arrivo di internet, e soprattutto dei social media, ha poi amplificato il panorama delle star, determinando l’arrivo delle cosiddette self-made celebrities.

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Nuove star che, attraverso la continua esposizione, non solo della propria immagine ma anche delle proprie qualità o idee imprenditoriali, hanno dato il via al fenomeno (e all’industria) degli influencer.

Le star dunque non sono persone solo ricche ma, in particolare per il pubblico americano che ha dato vita a questa “evoluzione pop del divismo”, ma personaggi che hanno ottenuto (e saputo gestire) l’attenzione delle persone influenzandone opinioni e consumi.

Pensiamo solo al settore del fashion, e a come la moda dei primi anni duemila sia stata fortemente influenzata dalle scelte di stile di numerosi cantanti.

Celebrities culture: la fine dell’apparenza

La pandemia non ha risparmiato nessuno dal distacco netto ed improvviso dalla realtà vissuta fino al giorno prima.

E così come ha cambiato i nostri consumi e il nostro modo di vivere, ha reso le vite tutte uguali tra le mure di casa.

Il culto delle celebrità si è sgretolato a poco a poco durante i periodi di lockdown: le persone hanno considerato il modo di agire di tanti loro idoli poco coerente con la realtà.

Diversi personaggi famosi si sono trovati spiazzati, vedendo i loro milioni di fan non apprezzare più la loro immagine, ma anzi reputare le loro azioni offensive e non coerenti con il mondo il reale, nonostante lo #StayPositive o l’#AndraTuttoBene.

Dalla cultura dell’immagine alla cultura dei valori

La domanda è: abbiamo ancora bisogno del mondo di apparenze a cui eravamo abituati prima?

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Ad oggi non c’è una risposta corretta: non è pensabile per le star né rimanere in silenzio prima che passi la tempesta, né dare consigli senza agire veramente.

La comunità nell’era dei social non dimentica i fatti e le azioni concrete.

Diversi brand hanno scelto di agire e anche per le celebrità è venuto il momento della cultura del fare.

Fare non vuol dire invitare i propri fan a compiere un azione o a prendere una posizione restando in disparte ma esserci in prima persona. L’era di Internet ha fatto emergere una nuova tendenza: quella del self-made.

“Metterci la faccia”, portare avanti una causa o un ideale non solo per dimostrare di esserci, ma credendo davvero che la loro immagine possa contribuire al cambiamento.

Il fenomeno delle star ha un potere sulla società di grande valore perché può influenzare il pensiero di molti e stimolare un cambiamento; lo sforzo di queste persone dovrebbe spostarsi da un obiettivo solo di consumo, verso uno stimolo nel portare un cambiamento nella società in cui vivono.

Finora un grande esempio in questo senso è stato quello del movimento #MeeToo, che vedeva però coinvolte in prima persona tante celebrità nello scandalo. La partecipazione attiva alla protesta era quindi una scelta con una chiara consequenzialità.

I social media hanno avuto il potere di abbattere un muro invisibile tra le star e noi: possiamo vedere come vivono, possiamo interagire con loro. Allo stesso modo perché il fenomeno muti e sopravviva, anche le celebrities devono esporsi ed essere umane. Combattere in modo genuino per gli ideali, mostrarsi per quello che sono, fragilità comprese.

Twitter

Il nuovo progetto segreto di Twitter è una piattaforma in abbonamento

Twitter sta preparando una sorta di servizio in abbonamento per la sua piattaforma e sta reclutando ingegneri per lavorarci. Finora si sa davvero poco sul progetto di subscription, ma il potenziale potrebbe essere straordinario.

In un annuncio di lavoro sul sito di Twitter per ingegneri software senior full-stack si legge che il lavoro riguarda “un nuovo team, nome in codice Gryphon”.

L’annuncio descrive quindi il progetto: “Stiamo costruendo una piattaforma di abbonamento, che potrà essere riutilizzata anche da altri team in futuro. Questa è la prima volta per Twitter! ” L’ingegnere lavorerà con il team di Twitter.com e Payments. La descrizione originale della posizione aperta è poi stata modificata per dire semplicemente che la società è alla ricerca di un “ingegnere Android” e ora non si fa menzione di Gryphon.

Le ipotesi su Twitter in abbonamento

Per ora sappiamo quindi che il Team Gryphon lavorerà su una piattaforma di abbonamento che a differenza di qualsiasi altro precedente servizio su TwitteR avrà una meccanismo di pagamento integrato.

Tra le ipotesi sul nuovo servizio di subscription di Twitter vi è una sorta di versione premium del sito. Twitter è principalmente conosciuto come social media che guadagna dall’advertising e dietro questa mossa potrebbe esserci la scelta di capitalizzare con nuove idee in un momento di irritazione generale verso la pubblicità sui social da parte di brand e utenti.

twitter

Un’altra possibilità è che Twitter stia lavorando a un servizio di abbonamento simile a Patreon che si rivolge al rapporto tra utenti. Quindi in futuro ci si potrebbe iscrivere a un account Twitter superiore per ricevere un qualche tipo di vantaggio. Non ci sono molte prove a favore di questa ipotesi, eccetto una frase nell’elenco di requisiti su LinkedIn che ricorda tra le priorità per questa figura il desiderio di: “aiutare gli utenti a raggiungere i propri obiettivi”.

Intanto, anche il mercato azionario ha preso atto della possibile novità facendone salire la quotazione: la CNBC riporta che le azioni di Twitter sono saltate dopo che è stata scoperta per la prima volta questa notizia.

Week in Social: dalle nuove funzioni di WhatsApp Business agli annunci su TikTok

Puntualissime, anche questa settimana, le ultime novità dal mondo dei social che non puoi assolutamente perdere.

Pronto a scoprire cosa ci riserva il fantastico mondo di Facebook, TikTok, LinkedIn & co.? Cominciamo!

I nuovi update per far trovare la tua azienda su WhatsApp

Oltre ad implementare le nuove funzioni Shopping di Facebook e Instagram, Mark Zuckerberg sta rapidamente espandendo la sua strategia eCommerce anche all’interno di WhatsApp.

Così, già da questa settimana, la tua azienda può contare su due nuove funzionalità per promuovere al meglio la propria presenza  sulla piattaforma.

Come?

Prima di tutto, crea il tuo QR code business e inseriscilo sul packaging, le etichette dei prodotti, o i materiali promozionali relativi al tuo business.

Come spiegato da WhatsApp:

In passato, quando le persone si imbattevano in un’attività che trovavano interessante, dovevano aggiungere il numero WhatsApp ai contatti prima di avviare una chat. Ora, possono semplicemente scansionare il QR code che l’azienda espone sull’insegna, sulla confezione prodotto o sulla ricevuta e contattarla”.

Inoltre, WhatsApp ha aggiunto i link al servizio catalogo, una nuova funzione che ha lo scopo di agevolare la condivisione delle schede prodotto aziendali tra i vari utenti.

“Da ora, per condividere un catalogo o un articolo è sufficiente copiare il link e inviarlo su WhatsApp o su altri social”.

LEGGI ANCHE: Come funzionano e come utilizzare i cataloghi dei prodotti per WhatsApp Business

TikTok estende il suo servizio di annunci self-service a tutti i business

Pochi giorni fa, TikTok ha reso noto il lancio della sua piattaforma di annunci self-service a livello globale.

Le soluzioni pubblicitarie self-service di TikTok offrono ai marketer gli strumenti per attingere ai contenuti creativi della community, raggiungere un nuovo pubblico e ottimizzare gli investimenti attraverso una piattaforma semplice ed intuitiva”.

Se già gestisci campagne pubblicitarie attraverso altri social media, il servizio di self-service TikTok ti sembrerà molto familiare.

Come puoi osservare, le opzioni di creazione delle sponsorizzate, sono sempre le stesse, inclusi campagne e gruppi di annunci, opzioni di targeting, budget e pianificazione, ecc.

A questo si aggiungono gli strumenti creativi automatizzati come i modelli dei video e i tool di auto-editing, tutti processi utili a semplificare la creazione di contenuti personalizzati e rendere le tue campagne più dinamiche attraverso una combinazione di contenuti fissi e video.

Facebook lancia corsi gratuiti dedicati al community management

In arrivo in casa Facebook l’ultima novità per i social media manager: una serie di corsi gratuiti su Blueprint dedicati al community management.

Il programma copre una serie di elementi chiave, tra cui:

  • Creare una comunità online – definire gli i valori e gli obiettivi della community.
  • Best practice per la gestione delle audience – compreso lo sviluppo del brand, il lancio della community e la promozione di partnership
  • Fornire contenuti pertinenti: monitorare i trend emergenti e pianificare attività mirate.
  • Creare engagement: strategie e strumenti per promuovere il coinvolgimento del pubblico.

Open To Work e Offerig Help: come cercare e far trovare lavoro su LinkedIn

In un recente articolo del suo blog, il colosso di Microsoft lancia Open To Work, una nuova funzione dedicata a chi cerca lavoro o vuole supportare la ricerca altrui.

“Attivando l’opzione, la tua foto profilo verrà aggiornata con una cornice verde denominata #OpenToWork, in modo che chiunque veda il tuo profilo sappia che sei aperto a nuove opportunità di lavoro.

Per aggiungere la cornice #OpenToWork, segui questi tre semplici step.

  • Clicca sulla tua foto profilo e seleziona l’opzione “Mostra ai recruiter che sei aperto al lavoro”
  • Inserisci le tue preferenze sulla posizione lavorativa che cerchi e la relativa categoria di appartenenza
  • Attraverso l’opzione “scegli chi può vedere che cerchi lavoro” decidi chi può visualizzare la tua disponibilità: solo i recruiter o tutta la comunità LinkedIn.

Se non sei interessato a nuove opportunità lavorative, puoi sempre dare una mano agli altri.

Ecco come. Inizia un nuovo post e fai clic sul pulsante “Offri aiuto”posizionato in basso a destra del composer LinkedIn: ti verrà fornito un elenco di opzioni tra cui scegliere in che modo stai cercando di fornire supporto.

  • #OfferingHelp: aiuto generale, career coaching
  • #OfferingHelp: referral
  • #OfferingHelp: revisione curriculum

Di seguito, alcuni esempi concreti di utenti LinkedIn che hanno già usato questa opzione.

La nuova reaction “Support” di LinkedIn

Nello stesso blog post, LinkedIn annuncia il rollout della nuova reaction “Support”, un’ opzione di risposta emoji che offre un ulteriore modo per interagire con i post, in particolare  con quelli relativi al COVID-19, per i quali una risposta come “Like” o “Insightful” non sembra davvero appropriata.

Questo update sottolinea ancora una volta quanto le reaction rappresentino un trend in forte ascesa, un modo di comunicare sempre più diffuso che, ovviamente, le varie piattaforme puntano ad implementare.

aw lab

AW LAB annuncia la finale del contest IS ME Music Edition

L’edizione 2020 di AW LAB IS ME Music Edition, la seconda del contest ideato da AW LAB, è stata la prima nel suo genere totalmente gestita in live streaming.

La partecipazione degli aspiranti artisti ha raggiunto il record, in soli tre mesi, di 5.000 adesioni tra Italia e Spagna, segnando il nuovo orizzonte dei talent show musicali on-line.

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aw lab music

La finale

Martedì 14 luglio dalle 18.00 alle 19.00 si terrà la finale, ripresa in diretta streaming da un innovativo studio che, grazie ad una particolare scenografia, renderà immersiva l’esperienza dei protagonisti e degli spettatori.

I nove finalisti, di cui 5 ragazze, si sfideranno in diretta dinnanzi ad una giuria d’eccezione composta dagli special guest dell’evento Dani Faiv, Ensi e Low Kidd, dai manager dei top brand internazionali di sneaker adidas, Diadora,
Nike, Puma e dal management di Sony Music.

I concorrenti verranno anche giudicati dal pubblico collegato in streaming, una vera e propria giuria popolare che potrà dire la sua tramite un link web che sarà comunicato in diretta, incidendo sul risultato finale.

Oltre al premio principale, si concorrerà per il Premio #PLAYWITHSTYLE, che
consentirà al pubblico di votare il miglior video tra tutti i partecipanti al contest, e per la nuova categoria #LOUDER, nata dall’iniziativa promossa da AW LAB durante il Pride.

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aw lab

E per i vincitori?

Il vincitore di AW LAB IS ME Music Edition 2020 coronerà il sogno di produrre il proprio singolo grazie all’art direction di Low Kidd, di poterlo distribuire con il supporto di SONY MUSIC e promuoverlo insieme ad AW LAB che si occuperà della produzione del video clip.

Ecco i nomi di tutti i ragazzi che si sfideranno il 14 luglio: Malalingua, Cleo, Matteo Sica, Adrianaiè, Gabriel Jonah, Giordana Petralia, Rosie Neko, Zangel e Aroxa.

Questi ultimi in collegamento dalla Spagna. I loro singoli sono già ascoltabili su Spotify nella playlist IS ME targata Sony.

Per seguire la finale in diretta basta collegarsi alla pagina Instagram di AW LAB @awlab