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streetwear in cina

I numeri dello Streetwear in Cina: sul podio Supreme, Nike e Off-White

  • Tra i consumatori di streetwear, il 60% proviene da Cina, Corea e Giappone. La Cina, tra questi, è il mercato con maggiore complessità di adattamento di marketing
  • Il consumatore di streetwear in Cina è più attento ai fattori di presenza social del brand e esperienza online rispetto alla media e più incline a una spesa maggiore
  • Tra i brand stranieri di streetwear in Cina i best in class sono Nike e Adidas, tra i rimandati al prossimo appello Supreme, Off-White, Vetements

 

Ormai non si può più ignorare né relegare a sotto-cultura: lo Streetwear è un segmento sempre più importante per il mondo del fashion. Secondo le stime più attuali di PwC è un settore che vale 185 miliardi di dollari, circa il 10% del totale del fatturato Apparel & Footwear.

Ma al di là dei dati quantitativi, se ci si guarda intorno è facile accorgersi di quanto lo Streetwear sia sempre più in vista: dalla collaborazione di Louis Vuitton e Supreme, North Face e Gucci e al sorprendente successo della limited edition di Lidl.

Streetwear in Cina: a che punto è il marketing dei big oltre Muraglia?

Come abbiamo visto nell’articolo sull’ABC dello Streetwear, tra i risultati delle analisi relative al target vi era una preponderanza geografica in Corea e in Cina. Questa analisi, data la vastità del mercato e la crescente importanza dei suoi consumatori per l’industria fashion, sarà invece dedicata allo state of art dello streetwear in Cina.

Con buona pace della Corea, che sebbene al primo posto tra le provenienze geografiche dei fan dello streetwear, ha quasi un miliardo in meno di potenziali consumatori (fascia 15-54 in Cina, dati Index Mundi 2018) e un e-commerce a valore di “soli” 46 miliardi (la Cina li ha fatturati in un paio di giorni durante l’ultimo Single Day).

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Fashion e Cina: un connubio esplosivo non solo per lo streetwear

Prima di addentrarci nelle strategie di marketing dei brand streetwear in Cina, concentriamoci un po’ sul contesto. Secondo i dati Statista più aggiornati le revenue del settore fashion 2021 in Cina avranno un valore di 330.633 milioni di dollari. Nel 2025, secondo le stime del CAGR 2021-2025, il valore dovrebbe arivare a 454.046 milioni, con uno sbilanciamento del fatturato sul segmento Apparel (con una proiezione di 310.915 milioni nel 2025).

Streetwear in Cina_Valore Fashion_Statista

Proiezione valore Fashion Industry, dati aggiornati post Covid (Statista 2020)

Oltre al valore del mercato, un dato interessante è quello relativo al numero di utenti del settore: a essere in cerca di Apparel saranno 873 milioni nel 2025. Quelli dell’e-commerce, per intenderci, sono già oggi 926 milioni e saranno 1 miliardo e 2 entro 5 anni. Perciò, se già oggi c’è quasi un pareggio tra vendite online e offline (52% versus 48%), in futuro in Cina ci sarà un 55% solo su online (Statista, 2020).

Streetwear in Cina_Sales Channel_Statista

Proiezione divisione vendite online-offline Statista 2020 (dati aggiornati post Covid)

Anche il target d’età sarà quello giusto: oggi il 50% degli utenti fashion ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni.

Streetwear in Cina: attenzione ai social e all’esperienza offline

Tra i dati che il report di PwC e Hypebeast mettono a disposizione (2019) è possibile estrapolare le risposte dei più di 40.000 partecipanti per paese. Ed è quello che faremo, a partire da uno dei dati che interessa di più le aziende di streetwear, cioè i fattori alla base della scelta di un prodotto.

Troviamo al primo posto la qualità e il design del prodotto (81%), seguito da Brand Legacy (63%), Creative Director (49%), immaginario contro-corrente del brand (33%), presenza social media (31%), valore resell (25%) e esperienza offline (8%).

In Cina, troviamo lo stesso podio ma una diversa distribuzione dei valori: al quarto posto la presenza social (41%), seguito da immaginario contro-corrente (33%), valore resell (23%) e esperienza offline (13%). Oltre la Muraglia, apparentemente hanno un rilievo maggiore la presenza social e l’esperienza offline. Imprevedibile? No, anche perché la prima scelta di utente social cinese non è Instagram, ma WeChat.

Streetwear in Cina_Fattori interesse

Fonte: Hypebeast & PwC (2019)

A riprova di ciò, mentre il 94% dei rispondenti USA ha indicato Instagram come quasi unica piattaforma di utilizzo per la ricerca di informazioni, in Cina l’86% ha dichiarato di utilizzarla, con l’aggiunta di un 40% che ha indicato WeChat. Probabilmente, se i brand di streetwear cominciassero a comunicare propriamente anche sui social occidentali, il divario sarebbe maggiore.

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Perché e quanto si acquista lo streetwear in Cina

Se si confrontano le risposte al quesito “Perché ti piace lo streetwear” tra consumatori occidentali (USA e EU) e asiatici, emerge un’altra forte differenza di consumo. Mentre i primi sono molto legati al senso di Community (40% lo ha messo in cima alla lista), in Asia solo il 12% lo reputa un fattore chiave. Di contro, il 41% di consumatori cinesi e giapponesi ha indicato il “political statement” come key factor.

Anche in termini di spesa, ci sono delle differenze tra West e East:

  1. Meno di 100 dollari al mese: West 33%, East 21%
  2. 500-1.000 dollari al mese: West 9%, East 18%

Insomma, gli asiatici spendono di più, anche per singolo prodotto: tra i rispondenti coreani e cinesi, il 20% spende tra 300 e 500 dollari per prodotto, mentre la media occidentale (USA e EU) si attesta tra i 100 e i 300 (61% rispondenti). Un bel target, quello cinese.

I numeri dei Top of Mind

Nel 2019, i brand Top of Mind sono risultati essere nell’ordine Supreme, Nike, Off-White, Adidas, Bape, Stussy, Carhatt, Vetements e Palace.

Vediamo quali sono i canali di marketing presidiati in Cina:

Streetwear in Cina_Chart

Presidio dei canali digital per i brand di streetwear in Cina. Raccolta ed elaborazione dati a cura di Emilia Cozzocrea e Cecilia Lorusso (gennaio 2021)

Streetwear in Cina: Nike & Adidas Best in Class

Per interpretare questa tabella realizzata, un paio di cenni ai must have del marketing in Cina: un sito web tradotto e hostato in Cina, un presidio su Baidu (motore di ricerca principale in Cina) tramite campagne PPC, WeChat, Weibo e altri canali social per generare awareness e un miniprogram o uno store su Tmall per vendere. Si tratta di una check list semplificata (per alcuni può essere interessante valutare altri marketplace o strategia), ma dice molto del grado di localizzazione del marketing dei brand.

Come possiamo vedere dalla chart, i best in class sono evidentemente Nike e Adidas, che forti anche di una presenza fisica importante, hanno implementato tutti i canali possibili in Cina. In tabella non è riportato il loro canale su JD.com, altro leader marketplace in Cina.

Streetwear in Cina_Nike

Il miniprogram WeChat di Nike

Streetwear in Cina: Supreme, Off-White e Vetements rimandati al prossimo appello

Invece, dando uno sguardo a chi è bravo ma non si applica, spiccano tra i meno presenti Supreme, Off-White e Vetements. Soprattutto i primi due, che in Cina hanno un grandissimo successo, si trovano in una situazione particolarmente caotica.
Oltre a non avere un sito web in lingua, non hanno nessun canale social di proprietà, permettendo in questo modo ai rivenditori più o meno (meno) autorizzati di aprirne di non ufficiali. Tali canali, che recano comunque spesso anche la dicitura “official”, lasciano piena libertà di comunicare sul brand. Un’occasione sprecata di Brand Awareness ma anche un forte rischio. Stesso tema per l’e-commerce: dove i brand non hanno aperto un proprio flagship store, arrivano i rivenditori non autorizzati, che rivendono il prodotto senza nessun controllo da parte dell’azienda.

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La triste storia di Supreme in Cina

Ma forse, il più sfortunato tra tutti in Cina è Supreme, che oltre ad avere innumerevoli account social fasulli, ha dovuto anche risolvere un problema ben più grande: quello di un fake store Supreme a Shenzhen.

La storia risale al 2018, quando ancora Supreme non aveva depositato il marchio in Cina. A farlo, è stato Supreme Italia, un’azienda inglese che ai tempi aveva sfruttato questa “disattenzione” da parte di Supreme per registrare il marchio Supreme Italia e aprire flagship store del brand in Cina. Com’è finita la vicenda? A maggio Supreme ha vinto la causa e ha registrato il marchio in Cina, ma il caso è aperto. Ad oggi, la piazza digital è ancora lasciata al caso.

trend visual 2021

I trend visuali del 2021 che devi assolutamente conoscere

Il nostro mondo è cambiato, così come la comunicazione visiva. Nel 2021, i brand e i creatori di contenuti dovranno cercare di indagare sui nuovi bisogni, priorità e punti deboli dei consumatori, ridefinire il concetto di autenticità nella fotografia e trattare il loro pubblico con contenuti video mordi e fuggi e design più dinamici.

Depositphotos ha collaborato con agenzie creative ed esperti del settore in tutto il mondo per interpretare le idee e la visione su dove si sta dirigendo la comunicazione visiva nel prossimo futuro.

Ecco, quindi, quali saranno i trend visuali del 2021 e come possiamo lasciarci ispirare.

1. Simboli di ottimismo

La tendenza è che il pubblico sia più coinvolto e rimanga fedele ai marchi che trasmettono messaggi positivi e ottimisti. Gli elementi essenziali nel 2021 per i creativi sono palette dai colori vivaci che riflettano gioia e speranza per un futuro luminoso, oltre a font arrotondati dall’aspetto amichevole e invitante.

Quest’anno, i marchi saranno anche chiamati a far sentire i consumatori a proprio agio nell’usare le immagini come un vero e proprio linguaggio. Concetti come lo slow living possono essere utilizzati come simboli di ottimismo ed essere apprezzati dal pubblico di tutto il mondo.

Parole chiave: ottimistico, slow living, divertimento

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2. Il benessere, innanzitutto

Oggi, le esigenze dei consumatori ruotano intorno alla salute e al benessere. I marchi e i creatori di contenuti utilizzano immagini che illustrano la cura personale, lo sport e il tempo libero per evidenziare un messaggio pertinente. Non dobbiamo dimenticare i bisogni umani di base, come il dormire bene, l’adeguata assunzione di cibo e la pratica regolare di attività fisica per migliorare la qualità della vita.

Tuttavia, il tema del benessere non è limitato ai messaggi trasmessi dai creativi. La componente visiva della tendenza si basa su soluzioni di colori calmanti ed equilibrati nei design, oltre a foto, illustrazioni e video motivazionali che aiutano a dimostrare che i marchi sono interessati al benessere fisico e digitale del loro pubblico.

Parole chiave: routine, motivazionale, stile di vita

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3. Ricerca di un conforto nella natura

Quando ci sentiamo emotivamente carichi, ci rivolgiamo alla natura, che ci distrae e fa spostare la nostra attenzione su ciò che conta davvero. Nel design, vediamo che questo si riflette sulla tendenza di utilizzare sfumature di base e motivi botanici che aiutano a ridurre i livelli di stress, migliorare l’umore e aumentare la produttività.

Palette di colori ispirate alla natura, foto autentiche ed elementi organici nella grafica animata possono essere una scommessa sicura e stimolante per i design dei siti web nel 2021. Anche le esperienze utente più d’impatto e coinvolgenti possono essere raggiunte con l’inclusione di una traccia audio rilassante. Ad esempio, i suoni accattivanti delle foreste di tutto il mondo riescono a completare in modo coerente un progetto ispirato alla natura.

Parole chiave: rilassante, botanico, accattivante

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4. Empatia virtuale

L’empatia virtuale fatta con le esperienze online può essere il modo più rapido per trasmettere un messaggio importante, cambiare le abitudini dei consumatori e accelerare il cambiamento. È necessario che le storie raccontate dai brand utilizzando VR, AR e MR siano più sincere e autentiche, non solo visivamente accattivanti.

Le aziende e i privati ​​sono spinti a progettare scenari interattivi in ​​cui l’utente gioca un ruolo centrale e gode di un’esperienza multisensoriale come nella vita reale. Solo una totale immersione nell’ambiente dopo un disastro ecologico, conflitti regionali o la vita quotidiana in diversi angoli del mondo può mettere il pubblico in relazione e aiutarlo a diventare più empatico con le questioni locali e con le sfide globali che stiamo affrontando.

Parole chiave: XR, immersivo, narrazione

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5. Autenticità 2.0

Il pubblico è alla costante ricerca di contenuti più autentici. In passato, si cercavano aiuti visivi che traducessero bene le emozioni e le immagini con le quali poter identificarsi, che rappresentassero perfettamente stili di vita frenetici. Ma ora le foto e i video che illustrano questa cultura dell’eccitazione vengono sostituiti da immagini di slow living, lavoro e vacanze a casa.

I creatori di contenuti sono incoraggiati a ripensare a cosa sia l’autenticità, poiché i clienti pensano meno ai beni materiali e più ai valori spirituali. Allo stesso tempo, i marchi sono alla ricerca di modi per comunicare con storie più sincere e coinvolgenti, in cui la scelta di elementi visivi pertinenti è sempre essenziale.

Parole chiave: autenticità, famiglia, espressivo

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6. Estetica cinematografica

Quest’anno, gli artisti che desiderano creare opere sperimentali si ispirano all’estetica cinematografica. Creano foto e video con composizioni che lasciano più spazio intorno ai soggetti per catturare l’ambiente e l’atmosfera, che mostrano grande attenzione ai dettagli, palette di colori tenui e che richiedono quasi sempre una post-produzione minima.

I professionisti sono alla continua ricerca e sperimentazione di nuove tecniche di illuminazione per ottenere l’inquadratura perfetta, inventando modi innovativi per riprendere immagini ispirate a film e programmi TV. Questa tendenza fotografica aumenta il fascino delle immagini, che sembrano essere uscite direttamente dallo schermo di un film.

Parole chiave: ambiente, dolce, dettagliato

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7. Video mordi e fuggi

Con un pubblico in costante crescita di utenti di TikTok e l’introduzione di Instagram Reels, il formato video ‘mordi e fuggi’ è stato semplificato ed è ora perfetto per consumare i contenuti in circolazione. I creatori di contenuti di tutto il mondo sono in grado di mantenere gli utenti coinvolti con una narrativa più autentica e coinvolgente che dura pochi secondi.

I video mordi e fuggi vengono creati con uno smartphone o una fotocamera digitale per risparmiare tempo. Le app di editing video o gli strumenti di Instagram e TikTok sono molto utili per ridurre ulteriormente il tempo tra la creazione e la condivisione. Il nuovo formato video funziona bene anche per i marchi che devono rispondere rapidamente agli eventi, condividere aggiornamenti con contenuti situazionali e raggiungere nuovi segmenti di pubblico.

Parole chiave: verticale, coinvolgente, situazionale

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8. Sincronizzazione audiovisiva

Nel 2021, audio e immagini andranno di pari passo per aiutare i marchi a connettersi meglio con il loro pubblico e lasciare un’impressione buona e duratura. Brevi sequenze di musica nei video, effetti sonori nelle app e tracce integrate nei siti web fanno sì che gli utenti abbiano un coinvolgimento visivo e uditivo per ottenere un’esperienza migliorata con un prodotto specifico, un progetto o anche il marchio stesso.

I clienti dei microstock sono entusiasti di aggiungere effetti sonori e musica ai progetti a tema per una maggiore risposta emotiva. L’audio diventa sempre più un elemento essenziale per le aziende che vogliono avere una parte attiva nella competizione e creare esperienze ambientali indimenticabili, sia online che offline.

Parole chiave: accattivante, astratto, dinamico

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9. Ludificazione – design

Il lockdown in tutto il mondo ha accelerato la digitalizzazione globale, lasciando le persone senza scelta, se non quella di abbracciare la nuova realtà. Man mano che le persone si abituano alla nuova routine online, i designer cercano modi per mantenere gli utenti più coinvolti.

L’integrazione di elementi di gioco su siti web, app e altri progetti è il nuovo modo di concentrarsi sull’utente per i marchi. Sfide tematiche e soggetti animati, badge dei risultati e classifiche stilizzate o esperienze più complesse create con l’aiuto di grafica animata possono aumentare l’immersione dell’utente. L’esperienza d’uso diventa più calma e divertente, anche quando parliamo di attività di routine, come prendersi cura delle finanze, lavorare o fare esercizio fisico.

Parole chiave: interattivo, movimento, animato

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Credits: Depositphotos #402236770

I primi rebranding del 2021: Burger King, Pfizer, Coursera e SEMrush

  • Il più grande rebranding di Burger King dopo 20 anni
  • Dopo 70 anni, Pfizer si libera dell’ovale e punta su un nuovo simbolo a forma di DNA
  • La nuova identità minimal di Coursera, perché l’apprendimento ha il potere di trasformare positivamente il mondo
  • Il restyling di SEMrush: colori vivaci per riflettere l’approccio al lavoro energico e innovativo

Per molte aziende, il periodo difficile di pandemia ha significato lavorare in un clima turbolento, alcune hanno dovuto infatti fare i conti con il problema della sopravvivenza. Per altre, si tratta dell’anno dei cambiamenti, della svolta positiva. Ecco i primi casi di rebranding che hanno destato la nostra attenzione all’alba del nuovo anno.

Burger King cambia la sua identità con un look retrò

Il 2021 si apre con il rebranding di Burger King che lancerà una nuova identità nel corso dei prossimi mesi.


Il rebranding è progettato da Jones Knowles Ritchie di New York. Oggi la nota catena di fast food sta facendo un balzo in avanti introducendo un design visivo completamente nuovo che sarà presente in tutti i touchpoint.

Ispirato al cibo vero e delizioso, l’aspetto più moderno segna il primo rebranding completo in oltre 20 anni e rappresenterà in modo più autentico i valori di Burger King nel mondo.

Il progetto digital-first vede recenti miglioramenti della qualità del cibo, attraverso la rimozione dalle voci di menù di coloranti, aromi e conservanti, e altre sostanze artificiali. Un ambizioso impegno per la sostenibilità ambientale.

Combinando gusto e qualità attraverso il design, ogni elemento è stato intenzionalmente reinventato per riflettere meglio il nuovo viaggio gastronomico di Burger King. I principi di progettazione catturano le caratteristiche uniche del marchio: appetitoso, grande e audace, scherzosamente irriverente e orgogliosamente vero.

rebranding

Logo evolution

Dal lancio dell’attuale logo nel 1999, il colosso americano è passato a un linguaggio di design più moderno e compatibile con il digitale. Gli elementi ricordano le guerre degli hamburger degli anni ’80, ma attirano i consumatori più giovani che desiderano un design vintage. Per ora, il rebranding è in fase di lancio nel sistema statunitense, e presto si farà strada a livello globale.

Il nuovo logo minimalista sposa perfettamente l’evoluzione di Burger King e rende omaggio al patrimonio del marchio con un design raffinato, semplice e divertente.

Tra le chicche che attirano l’attenzione l’affascinante monogramma: la “B” di Burger viene tagliata come un panino e racchiude il ripieno a forma di “K”.

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I colori selezionati sono ricchi e audaci, ispirati all’iconico processo di cottura alla griglia Burger King e agli ingredienti freschi. La nuova fotografia è iper strutturata e punta sull’aspetto sensoriale del cibo.

rebranding

Il nuovo font del marchio proprietario di Burger King è appunto chiamato “Flame”, e si ispira alle forme del cibo (arrotondate, audaci, gustose) e alla personalità irriverente del marchio.

Anche i pack mostrano con orgoglio il nuovo logo, insieme ad allegre illustrazioni degli ingredienti.

Le nuove divise del personale mescolano uno stile moderno e confortevole con colori e grafiche distintivi. I veri membri dello staff compaiono nella nuova pubblicità di Burger King.

Il rebranding di Pfizer che trasforma il suo logo dopo 70 anni

Fondata nel 1849, Pfizer è una delle più grandi aziende biofarmaceutiche a livello internazionale. È conosciuta in tutto il mondo per farmaci come Zoloft, Lipitor, Viagra e molti altri. Oggi più che mai l’azienda è al centro dei riflettori per il suo vaccino anti-covid, il BioNTech che è diventato il primo ad essere approvato dopo varie sperimentazioni. La società durante il corso del 2020 ha sospeso il suo progetto di rebranding per concentrarsi sulla comunicazione per la pandemia, nonché sugli sforzi di produzione e distribuzione dei vaccini. A novembre, Pfizer ha nuovamente rivolto la sua attenzione al rifacimento dell’identità e ha agito rapidamente per completare e pubblicare il logo e i nuovi materiali marketing a inizio anno. Il progetto porta la firma di Team di New York.

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Pfizer ha incaricato lo strategic design studio di Brooklyn per creare una nuova identità per riflettere la loro evoluzione da impresa diversificata ad azienda biofarmaceutica mirata e innovativa; da impresa commerciale a leader scientifico di prima classe.

rebranding

Logo evolution

Con un logo che era rimasto pressoché invariato per oltre 70 anni, era fondamentale che la nuova identità di Pfizer riflettesse sia la storia dell’azienda che il suo brillante futuro. L’azienda è nel mezzo di un enorme processo di trasformazione.

La novità che si nota a primo impatto è un potente simbolo unificante – l’elica del DNA.

Gli scienziati vedono il DNA come l’essenza di tutta la vita, il codice e il motore del potenziale umano.  Ogni filo porta con sé le istruzioni affinché un organismo possa svilupparsi, sopravvivere e prosperare. Il DNA di un’azienda rappresenta il suo passato, il suo presente, la sua etica e il suo potenziale.

rebranding

Il nuovo logo Pfizer sblocca l’iconica forma della “pillola” per rivelare una doppia elica che si muove a spirale verso l’alto.

Il pittogramma, adesso a lato, trasmette un senso di movimento ascendente. La forma rotante ispira progresso, cambiamento e ribaltamento di vecchie realtà alla ricerca delle innovazioni del domani.

brand guide

Guidelines

L’azienda ha iniziato a promuovere il nuovo design in una campagna pubblicitaria. Come parte del rebranding, Pfizer ha lanciato un video legato al messaggio “Science Will Win” e un’iniziativa per i media a pagamento. Qui gli scienziati che indossano dispositivi di protezione individuale stanno lavorando sodo mentre il narratore legge una sceneggiatura che umanizza la scienza: “Se vuoi salvare gli esseri umani dalla malattia, chiedi alla scienza”. La clip si conclude con il nuovo logo e il mantra aziendale: “la scienza vincerà”.

Immagini audaci per una scienza che plasma il mondo. Le foto mostrano persone reali.

new look

La nuova identità di Pfizer è stata progettata per essere digital frist, consentendole di muoversi senza problemi su tutti i punti di contatto.

Lo storico blu Pfizer è stato trasformato in una vibrante tavolozza bicolore che indica l’impegno di Pfizer sia per l’innovazione scientifica che per il benessere dei pazienti.

La scelta di Noto Sans come nuovo font del marchio riflette questa dualità.

Sviluppato originariamente da Google per internazionalizzare Internet, Noto Sans è progettato per essere visivamente armonioso in più di 800 lingue. Esprime senso di apertura, energia e raffinatezza.

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L’evoluzione della Brand Identity di Coursera

A cavallo del nuovo anno, anche Coursera svela la sua nuova identità. L’azienda fornisce l’accesso universale alla migliore istruzione del mondo, collaborando con le migliori università e organizzazioni per offrire corsi online. Oggi Coursera vuole ribadire il suo impegno a rendere l’apprendimento accessibile, inclusivo e di impatto per tutti. La nuova identità esprime il potere e il potenziale di ogni studente e di ogni opportunità di apprendimento.

Dal 2012 a oggi, Coursera si è evoluta in una piattaforma di apprendimento globale in cui oltre 75 milioni di studenti accedono per apprendere competenze rilevanti per il lavoro e guadagnare credenziali per il proprio avanzamento di carriera.

Il marchio Coursera doveva riflettere questa crescita. Al centro della nuova identità troviamo lo sviluppo delle proprie capacità e la possibilità di vivere le proprie passioni.

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La scritta si evolve dall’infinito alla C e rappresenta il punto di ingresso all’intera gamma di opportunità di apprendimento su Coursera, dai progetti ai corsi gratuiti, fino ai diplomi professionali. La C mette in luce un mondo di possibilità e fornisce agli studenti un percorso che inizia dalla scoperta e porta dritto al risultato.

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La nuova tavolozza colori attinge al mondo naturale per creare un’esperienza calma, edificante e dinamica.

Coursera è un gateway per alcune delle istituzioni di apprendimento più venerate al mondo, era quindi necessaria una palette in armonia con i partner.

Il marchio celebra la diversità e la sua community. Prende vita dalle esperienze degli studenti di tutto il mondo.

Tra i caratteri tipografici selezionati ci sono Source Sans Pro e Noto Sans Pro (come in Pfizer).

L’architettura del marchio è in grado di comprendere l’intero ambito delle crescenti collaborazioni che Coursera ha costruito nel corso degli anni.

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Nuovo logo e identità visiva per SEMrush

SEMrush, la piattaforma per la gestione della visibilità online e il content marketing, svela un nuovo logo e il restyling della propria identità visiva.

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Nata nel 2008, come uno strumento unico per gestire progetti SEO oggi SEMrush è a tutti gli effetti una piattaforma potente di gestione della visibilità online. La strategia di rebranding vuole riflettere l’evoluzione e lo sviluppo dell’azienda in tal senso.

Il design del logo appare rinnovato e moderno, reinventa e semplifica l’elemento principale.

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Come parte dell’immaginario visivo di SEMrush troviamo la palla di fuoco, che simboleggia la scintilla creativa che accende il motore del marketing.

“SEMrush è una scintilla che mette in moto il marketing. E ora la nostra identità visiva funge da estensione al nostro impegno per migliorare la visibilità online dei nostri clienti” ha dichiarato il CEO Oleg Shchegolev.

SEMrush utilizza anche un nuovo carattere tipografico personalizzato e una tavolozza colori vivaci per riflettere l’approccio innovativo ed energico al lavoro.

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La nuova identità è stata implementata nella homepage e nei materiali marketing e nei prossimi mesi sarà visibile su tutti i prodotti SEMrush.

Marketing Automation, i vantaggi del workflow

Automazione nei processi aziendali: per cominciare bisogna allenarsi

I processi che le aziende devono affrontare ogni giorno tanto lato marketing quanto lato vendite e supporto clienti, sono spesso dispendiosi in termini di tempo e soggetti a errori. Per questo, per crescere in modo sostenibile, sempre più aziende scelgono di standardizzarli e automatizzarli.

Mentre i flussi di lavoro CRM promettono un servizio efficiente e coerente, la loro implementazione può essere un’operazione davvero scoraggiante. Tuttavia, seguire alcune semplici pratiche aiuta a evitare le insidie e snellire i processi. Il segreto, come in tutte le attività umane, è l’allenamento e l’applicazione pratica, possibilmente in un ambiente di training prima di andare “in produzione”.

Uno strumento molto utile in questo senso può essere, ad esempio, Goldfish, il nuovo prodotto di vtenext: un ambiente in cui imparare, allenarsi e testare l’automazione dei processi aziendali.

Ma prima di partire con qualche utile consiglio, consideriamo un celebre esempio nell’automazione dei processi aziendali.

automazione crm

Flussi di lavoro CRM nella cultura pop

Nel 1954, un venditore porta a porta di nome Ray Kroc ricevette un ordine insolitamente grande di frullatori da uno stand di hamburger a San Bernardino, California. Quando visitò il ristorante, rimase stupito dal volume di pasti che il piccolo ristorante era in grado di servire ai suoi clienti.

Ray notò alcune cose dello stand che spiccavano:

  • gli hamburger potevano essere prodotti più velocemente di qualsiasi altro chiosco;
  • la qualità dei pasti, il tempo di preparazione e l’esperienza del cliente erano molto affidabili e omogenei;
  • i processi erano stati suddivisi in compiti semplici e ben definiti che richiedevano poca formazione specifica.

Quello era il primo ristorante McDonald’s, che Ray poi rilevò per avviare un franchising. Oggi chiameremmo quei processi “flussi di lavoro” e nello specifico “CRM Workflow” nel caso fossero orientati al cliente.

Anche se non tutti possono raggiungere lo stesso successo di McDonald’s, se si seguono alcuni semplici consigli è possibile migliorare i processi aziendali, grazie all’automazione.

McDonald's pubblicità

Suggerimenti per i processi aziendali

Ci sono tre tappe essenziali che sarebbe bene seguire quando si vanno a definire i processi aziendali e la loro automazione:

  1. Pianifica i flussi di lavoro. Dedicare un po’ di tempo alla definizione di ciò che i flussi di lavoro devono consentire di fare, ti permetterà di semplificare tutte le fasi successive.
  2. Scegli il sistema e gli strumenti giusti per te. Per trovare ciò che fa al caso tuo dovresti innanzitutto guardare alle persone e scegliere sulla base di ciò che può funzionare per il team, ma anche non tralasciare il budget: alcune soluzioni come Goldfish ti consentono di testare tutto in modo gratuito; impara allenandoti e guardando video tutorial gratuiti già inseriti all’interno dell’ambiente di lavoro, lasciati guidare da wizard ed esempi concreti e, una volta imparato, esporta i tuoi processi.
  3. Assicura il successo del flusso di lavoro. Monitorare i flussi è essenziale per accertarti che continuino a funzionare e rendere più produttivo il lavoro del team.

Ed ora ecco alcuni consigli utili da tenere accuratamente presenti.

goldfish automazione

1. Misura due volte, taglia una

Prima di automatizzare, trova l’efficienza. L’automazione in sé non rende più efficienti, per diventarlo bisogna trovare la giusta combinazione per il proprio caso specifico e soprattutto misurare tutto sulla base dei risultati. I flussi di lavoro possono ridurre la quantità di risorse utilizzate in un processo, ma solo tu puoi determinare se ne vale la pena.

Stabilisci un benchmark e poi fai un audit di tutti i tuoi processi per vedere quali soddisfano i tuoi standard. Parla con le risorse che eseguono effettivamente ciascuna delle operazioni e scopri dove ci sono inutili sprechi di impegno e denaro.

2. Rendi tutti degli High Performer

Prima che McDonald’s acquistasse qualsiasi macchina o assumesse personale, c’è stato un periodo di prove ed errori in cui ha stabilito le migliori pratiche per il suo ristorante. Molte ricette e processi sono stati tentati prima di trovare quelli ottimali su cui investire.

Allo stesso modo, prima che le aziende crescano in modo esplosivo, c’è un periodo di scoperta per identificare “la formula” da usare per replicare il proprio successo.

Qual è la tua formula?

Nella maggior parte delle aziende, c’è una certa selezione naturale che avviene quando il personale svolge lo stesso compito in parallelo. Il personale più produttivo tende a crescere e diffondere le sue buone abitudini al resto del team. Le aziende più innovative usano A/B test per mettere in competizione tra loro due versioni dello stesso processo e vedere quale vince.

3. Incorporare l’approccio dell’automazione in tutti i processi

Alcuni processi sono più complessi. Potrebbero biforcarsi in percorsi diversi per adattarsi a scenari comuni che il business deve affrontare. Affinché i flussi di lavoro abbiano successo, bisogna identificare i percorsi più comuni e costruire le decisioni che determinano i percorsi nei processi aziendali.

Ci sono diversi vantaggi nel fare questo: uno di questi è che verrà ridotto il numero di persone necessarie per realizzare un determinato processo. La logica, cioè, è integrata nel processo e anche se il suo “architetto” non c’è più, il processo può continuare a dare risultati.

I vantaggi dell’automazione nei processi aziendali

La creazione di flussi di lavoro CRM standardizzati per l’azienda è assolutamente necessaria oggi per espandere il tuo business in modo sostenibile. Può ridurre drasticamente il carico sul personale senza compromessi e, in molti casi, anche migliorare l’esperienza del cliente.

Inoltre, il monitoring puntuale di processi favorisce l’individuazione di colli di bottiglia in un’ottica di miglioramento continuo, garantisce la possibilità di adattare tempestivamente i processi interni ai cambiamenti interni/esterni, migliora la comunicazione interna e abbatte eventuali barriere, conservando uno storico delle informazioni scambiate e scoprendo subito dove il processo si è bloccato.

Il tempo e le risorse che libererai grazie all’automazione dei processi aziendali ti daranno spazio per respirare, sperimentare e, in ultima analisi, far crescere l’azienda.

streetwear

ABC dello Streetwear Marketing: chi, come, dove

  • Lo Streetwear vale 185 miliardi di dollari (PwC 2019) e rappresenta il 10% del fatturato totale di Apparel & Footwear
  • Il target è prevalentemente giovane, uomo e per il 60% asiatico
  • Per raggiungerlo, Instagram e YouTube si accompagnano a forum di settore e piattaforme di resell
  • Con il “drop” model, lo Streetwear si assicura consumatori disposti a un forte effort di tempo o denaro

Ormai non si può più ignorare né relegare a sotto-cultura: lo Streetwear è un segmento sempre più importante per il mondo del fashion. Secondo le stime più attuali di PwC (2019) è un settore che vale 185 miliardi di dollari, circa il 10% del totale del fatturato Apparel & Footwear.

Ma al di là dei dati quantitativi, se ci si guarda intorno è facile accorgersi di quanto lo Streetwear sia sempre più in vista. Dalla collaborazione di Louis Vuitton e Supreme (quella che forse ha avuto più risonanza) a quelle di Prada, Valentino, Gucci con i vari stilisti più spallati nel settore. Si potrebbe quasi parlare di Streetwear washing. Sembra quasi che per “svecchiarsi” e raggiungere la Gen Z, sia i grandi gruppi (LVMH, Kering) sia le varie maison siano disposte a perdere un po’ di allure borghese per riconvertirsi a un nuovo concetto di esclusività.

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L’ABC dello Streetwear Marketing: chi, come, dove. I protagonisti, il target e il marketing dello streetwear

Oggi vogliamo capire chi sono i protagonisti (who, chi è leader nel settore), chi il target (whom, a chi si rivolgono i brand), come (how, il marketing) e dove (where, con quali formule retail) lo fanno.

I protagonisti

Ricordo il momento in cui ho colto l’importanza dello Streetwear per il settore, ed è stato quando ho visto il video di Fedez che presentava a Barengo la sua collezione infinita di capi streetwear. Con un semplice logo, un capo Supreme può terminare nel giro di poche ore, essere rivenduto nel resale market passando da un valore di 158$ a un minimo di 500$ (Hypebeast, PwC 2019).

Ecco perché di fronte ai grandi del settore fashion, iper logati e dunque iper riconoscibili (Louis Vuitton, Gucci, Burberry) si stanno facendo sempre più spazio altri brand, più giovani, rivolti a un target più ampio e inclusivo e meno legati a una tradizione storica importante.

In principio erano Stussy e Supreme (lo racconta molto bene qui Federica Salto). Oggi c’è una batteria di brand provenienti da tutto il mondo (il Giappone è un’area molto profilica) pronti a conquistare una folla di millennial e zoomer in cerca di “esclusività”.

Senza voler indugiare troppo sulla storia dello streetwear nella moda (per cui anche quest’altro articolo di Federica Salto può funzionare da bussola), vediamo quelli che sono i leader del settore. Per farlo, facciamo riferimento al Brand Ranking di Hypebeast, che nell’ultimo report con PwC ha elencato le seguenti preferenze (su una coorte di 40.000 partecipanti):

  • Supreme (78%)
  • Nike (68%)
  • Off White (65%)
  • Adidas (45%)
  • BAPE (37%)
  • Stussy (33%)
  • Palace (28%)
  • Carhatt (22%)
  • Vetements (22%).

La classifica, che è stata stilata chiedendo ai partecipanti di indicare quale brand rappresentasse di più lo streetwear, riflette tutto sommato quello che è stato lo storico (Supreme si può effettivamente considerare come il primo vero brand di Streetwear comunemente inteso) e le spinte del settore (il Footwear – main ambito di Nike e Adidas – è effettivamente un segmento trainante).

Il target dello Streetwear Marketing: 1 consumatore su 5 è donna

Il pubblico dello streetwear è abbastanza omogeneo. Vi è, come facile intuire dal tipo di prodotto, una preponderanza maschile (81% versus 18% – il restante è non-binary). Ma se già oggi quasi 1/5 dei consumatori è donna, non è difficile prevedere che tale segmento possa crescere ancora. Le collaborazioni con i grandi marchi e lo stile no-gender potrebbero essere la chiave di volta per allargare ancora di più il bacino di affezionate.

Forse non acquirenti, ma consumatori giovanissimi

Volgendo l’attenzione all’età, si ritrova una concentrazione del target attorno alla fascia di età 16-25, un cluster che contiene circa il 60% del totale dei consumatori del genere. Il restante 40% è suddiviso in 26-30 (18%), 31-15 (10%) e over 35 (7%).

Una prima riflessione che viene naturale fare è che nonostante il prezzo degli item sia discretamente alto, la maggior parte dei consumatori è giovanissimo. D’altronde, una delle prime cose che si insegna ai futuri markettari è che non sempre il consumatore finale è il decisore o l’acquirente.

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In fila per Supreme: il target tipo. Giovani, uomini e disposti ad aspettare. Fonte: New York Times

Made in America, ma nel cuore di Coreani e Cinesi

Dal punto di vista geografico, se si pensa che lo Streetwear ha avuto origine negli USA ci si troverà un po’ confusi di fronte alle statistiche sulle nazionalità: al primo posto ci sono Corea e Cina (insieme al Giappone compongono circa il 60% del totale dei consumatori), seguiti da Europa (20%) e Nord America (14%).

Perché lo streetwear è così forte in Asia

Per rimettere assieme i pezzi e capire il perché di questa forte preponderanza Asian ci sono diversi fattori da considerare, primo tra tutti il fatto che il Giappone sia casa di diversi marchi del settore – BAPE tra i più popolari.

Secondariamente, una riflessione va mossa rispetto a tutto quello che lo streetwear rappresenta e per chi lo fa. Da un punto di vista socio-politico, offre ai giovani consumatori un’uniforme (il cui concetto torna) tramite la quale comunica il proprio punto di vista politico: sovversivo per il 41% dei consumatori cinesi e giapponese.

Da un punto più culturale, invece, lo streetwear offre una sorta di cartellino lampeggiante che comunica appartenenza ad un élite. Come vedremo poco qui sotto, lo streetwear marketing altro non è che esclusività e criterio della scarsità: tutti vogliono un accessorio in edizione limitata per poter dire Io lo possiedo. In mercati in via di espansione e in cui l’individualismo è un concetto del tutto nuovo e tende a camuffarsi nel contrario collettivismo (oltre Muraglia in maniera esemplare), poter dire di far parte di un gruppo – ristretto – è tutto quello che un giovane consumatore possa volere.

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Streetwear Marketing: le 4P dei brand

Se analizzare dal punto di vista strategico l’intera proposta di marketing dello streetwear non è possibile in poche righe, individuare elementi comuni a tutti i brand lo è. Prendendo come punto di partenza il marketing mix come composto da Product, Promotion, Place e Price, si possono evidenziare i seguenti capisaldi.

I prodotti top dello streetwear

Il report di PwC ha indigato sia dal punto di vista delle aziende che dei consumatori quali sono i prodotti top. All’interno dell’industry il tre segmenti più performanti sono le felpe (67%), le tshirt (67%) e il footwear (66%). Parallelamente, se si chiede ai consumatori di indicare quale sia il prodotto che più probabilmente compreranno il footwear (62%) ha la meglio su tutto, confermando la strategia delle aziende.

Dai forum a Instagram: la comunicazione dello streetwear

Quando si parla di streetwear si parla di nuove generazioni, quando si parla di nuove generazioni si parla di community social.

A partire dai primi anni 2000, prima dell’avvento di Facebook & Co, si sono sviluppati una serie di Forum frequentati dai cultori dei brand (NikeTalk, Strictly Supreme, etc) e incentrati sullo scambio di informazioni in merito ai prossimi drop e luoghi di compravendita dei prodotti. Evidentemente, il tipo di presidio di questi mezzi era squisitamente gestito dall’utente.

I forum sono un importante touchpoint passivo per i brand, all’interno dei forum è tutto UGC e le potenzialità di marketing riguardano quasi solo esclusivamente il social listening.

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Col tempo questo tipo di forum si è trasferito sui social media che oggi sono anche il punto di incontro tra target e brand. Da un lato ospitano le vecchie community (Facebook in particolare), da un lato offrono ai marchi la vetrina per comunicare con i consumatori.

Oggi, alla domanda “su quale piattaforma ti informi”, le persone rispondono quasi tutte Instagram (96%), seguito da YouTube (42% – il canale di Barengo è un case study esemplare). E questo non fa altro che rendere il bacino di consumatori potenzialmente più ampio: se prima occorreva visitare forum di nicchia per venire a contatto di un marchio street, oggi basta avere un account Instagram. Prima o poi il logo di Supreme ci colpirà: la nicchia non è più tanto nascosta.

Flagship store, modello “drop” e resale: le chiavi dello Streetwear Marketing

Quando si pensa allo Streetwear, uno dei primi ricordi top of mind sono le file infinite alle porte dei flagship store. I flagship store sono per diversi brand il principale punto di contatto e di vendita coi consumatori. Il dato di PwC ne conferma il rilievo, con il 60% delle aziende che lo indica come “parte importante della brand strategy” e un ulteriore 25% a definirlo “abbastanza” importante.

D’altra parte, ci sono anche brand che puntano solo sul digital, come Anti Social Social Club o Brain Dead, che vendono esclusivamente online. Una scelta che in maniera lungimirante riduce i costi per l’azienda e che in epoca Covid è sicuramente premiante (tra pochi mesi potremo anche dire quanto, dati alla mano).

Il “drop model”

Che poi sia digital, quello che accumuna queste scelte è la strategia di fondo: il modello “drop”. Tale modello ha avuto origine con James Jebbia, che ispirato da quello che facevano i brand in Giappone, ha suggerito di replicarlo per i suoi brand, prima con Stussy (co-fondato con Stussy stesso) e poi con Supreme. Oggi i drop rendono i consumatori più inclini a visitare lo store più spesso e attenti alla comunicazione del brand. A proposito delle code di fronte al negozio e di drop, il 54% degli intervistati di PwC ha dichiarato di essere disposto ad aspettare in fila per accaparrarsi un pezzo.

Croce e delizia dello Streetwear Marketing: il resale

Chi non è disposto ad aspettare, molto probabilmente sarà disposto a comprarlo a un prezzo più alto su e-commerce specializzati nella rivendita dei prodotti second-hand.

Il 70% dei consumatori ha acquistato circa un quarto dei propri prezzi in resale e sebbene questo possa sembrare a prima vista un inconveniente lato brand, per diversi motivi non lo è totalmente: il 69% delle aziende trova il resale un modello di business da valutare.

Ma soprattutto, il resale è un barometro concreto della domanda del mercato. Il decuplicare dei prezzi e la costante presenza di un target disposto a strapagare il prodotto è il più chiaro indice di apprezzamento e fidelizzazione dei consumatori. Che, o sono disposti a un effort di tempo facendo la fila al negozio (i medio-basso spendenti), o sono disposti a un effort di denaro ricomprando su StockX, Grailed o sui vari gruppi Facebook e nei forum di settore (alto spendenti).

E in Cina?

Poco più sopra si è parlato della forte connotazione asiatica del target dello streetwear. La maturità del segmento di consumatori è comparabile a quella del positioning dei brand nella Country? Con il prossimo articolo scopriremo status quo del più grande segmento luxury emergente nel più grande mercato emergente attuale, la Cina.

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Social Media Trend 2021: ecco le 5 tendenze chiave del prossimo anno

  • Nel 2021 i marketer più saggi continueranno a spingere sulla customer acquisition, ma contemporaneamente lavoreranno anche per offrire esperienze innovative che si integrino con i comportamenti d’acquisto
  • Il 2020 è stato un anno particolarmente importante per una generazione da sempre ignorata dai digital marketer, i baby boomer, e questo fattore resterà anche nel nuovo anno. A dirlo è l’ultimo report di Hootsuite

 

“Nessuno di noi può dire che il 2020 fosse in qualche modo prevedibile. Una pandemia globale, il collasso economico, le rivolte per l’uguaglianza razziale e la crisi climatica l’hanno reso un anno difficile e buio.
Ma dove c’è il buio, c’è anche la luce. C’è resilienza, innovazione e creatività. E c’è sempre una strada per tornare a crescere.”

Queste sono le parole di speranza con cui Tom Keiser, CEO di Hootsuite, apre l’ultimo Report annuale sui trend globali dei Social Media.

11.189 addetti al marketing sono stati intervistati per identificare le 5 tendenze chiave dei Social Media per il 2021.

Vediamole insieme.

I Social Media come catalizzatori per la customer experience

Non sorprenderà scoprire che dalla ricerca sia emersa l’acquisizione clienti come obiettivo principale nel 2021. Il 73% dei marketer ha dichiarato che sarà il risultato primario da raggiungere attraverso i social media – un dato che l’anno scorso era solo al 46%. La brand awareness prende il secondo posto sul podio, seguita dalla conversion dei lead già acquisiti.
Del resto, la pandemia globale in corso e il taglio dei budget ha messo un peso non indifferente sulle spalle di chi si occupa di canali digitali.

Ma, se da un lato è comprensibile l’impiego di risorse per massimizzare il ROI, dall’altro è fondamentale ricordare che la pandemia ha fatto scivolare in basso nelle priorità il fattore customer experience. E solo il 23 % degli intervistati considera il miglioramento di quest’area un risultato auspicabile per il prossimo anno.

Si tratta di un problema diffuso, perché le esperienze online offerte dalla maggior parte delle aziende sono ancora altamente transazionali (in quanto destinate, in origine, a integrare le esperienze degli utenti, non a sostituirle). Ma le transazioni da sole non creano brand memorabili o una crescita a lungo termine. E stare seduti ad aspettare che le cose tornino alla “normalità” invece di costruire per il futuro metterà le aziende in un grave svantaggio competitivo.

Considerando dunque che molte delle esperienze tangibili sono quantomeno messe in pausa, le aziende dovranno adattare la loro presenza online per colmare il gap – e qui entrano in gioco i social media.

I marketer più saggi continueranno a spingere sulla customer acquisition, ma contemporaneamente lavoreranno anche per offrire esperienze innovative che si integrino con i comportamenti d’acquisto e le esigenze dei clienti, immutate e fondamentali.

Volete avere un assaggio di quello che succederà? Guardate al mondo eCommerce, che sta già ridisegnando l’esperienza del cliente online con i social al centro. Del resto, la natura stessa dei social media ruota attorno alla scoperta, alla connessione e al divertimento, elementi che ai clienti mancano fortemente in assenza di esperienze ed eventi di persona.

Un nuovo approccio alle conversazioni

Avete presente quelle campagne di comunicazione dal tono eccessivamente sentimentale che sono circolate in primavera? Alla fine sono risultate tutte talmente simili tra di loro che le persone hanno iniziato a deridere i brand. Inoltre, l’eccessivo protagonismo delle aziende ha trascurato una verità fondamentale che spesso dimentichiamo: il motivo principale per cui usiamo i social media è quello di connetterci con gli altri.

Negli ultimi anni siamo stati tutti abbastanza ossessionati dall’idea di costruire delle relazioni one-to-one con gli utenti, ma come sottolinea Jerry Daykin, EMEA media director di GSK Media, “la realtà è che la maggior parte delle persone non vuole avere rapporti personali con molte aziende”.

Nel 2021 dunque i brand più intelligenti capiranno come inserirsi nella vita delle persone sui social media. E troveranno modi creativi per partecipare alle conversazioni invece di cercare di condurle, creando contenuti che sfondino il muro dell’indifferenza.

Come? In primo luogo ascoltando, prima di “parlare” – integrando altre fonti a quelle social, a seconda del differente comportamento della buyer persona. In secondo luogo, prendendo in considerazione le metriche corrette rispetto agli obiettivi di engagement e conversione.

La rivincita dei baby boomer

Il 2020 è stato un anno particolarmente importante per una generazione da sempre ignorata dai digital marketer: i baby boomer.

Complice la pandemia, questa fascia anagrafica ha iniziato a “frequentare” di più i social network, giocare online, effettuare pagamenti virtuali che prima evitava. Si sono sviluppate nuove forme di alfabetizzazione digitale che si stanno trasformando in nuove abitudini destinate a restare.

Secondo i dati del Report Digital 2020, il 70% degli internauti di età compresa tra i 55 e i 64 anni afferma di aver acquistato qualcosa online nell’ultimo mese e il 37% ha intenzione di continuare a farlo più frequentemente quando sarà finita l’emergenza. Inoltre, sebbene la crisi economica abbia diminuito anche la loro capacità di spesa, nel complesso hanno mostrato una minore fragilità finanziaria rispetto alle giovani.

Nel 2021, le aziende non potranno più ignorare né trascurare le generazioni più anziane sui social media. Segmentando le audience in modo intelligente, i marketer più saggi includeranno questa audience nelle loro strategie digitali capitalizzando questo crescente entusiasmo tecnologico. E superando gli stereotipi che vogliono i Baby Boomer fuori da Facebook, Instagram e YouTube.

Conoscere la propria community per quantificare il ROI

È semplice per le aziende pensare di poter raggiungere facilmente potenziali clienti attraverso i social. Dopotutto, dice l’Annual Report, più di quattro miliardi di persone sono attive sulle varie piattaforme, di cui oltre 450.000 nuovi utenti solo negli ultimi 12 mesi (il che equivale a una crescita annua superiore al 12%) Eppure, in un’indagine di 2.162 marketer e dirigenti che Hootsuite ha condotto con Altimeter per il Social Transformation Report, il 54% ha dichiarato di non essere sicuro che i propri follower siano particolarmente qualificati.

Perché? Semplice: non si sa con chi si interagisce. Non si conosce la propria fanbase.

Per cambiare questa situazione, l’unica via efficace è l’integrazione dei dati. La ricerca ha scoperto che solo il 10% dei marketer ritiene ha avviato processi di integrazione dei dati social nei sistemi aziendali come Adobe, Marketo o Salesforce. Ma senza di essi, è spesso difficile ricostruire comportamenti di acquisto o di conversione in generale – né quantificare in modo davvero accurato il ROI dei social media.

Insomma, i vostri clienti sono là fuori, e potete effettivamente usare i social media per creare relazioni più solide con loro. Dovete solo migliorare nel costruire un sistema integrato – e il 2021 è la finestra perfetta di opportunità per farlo accadere.

Il 2021 è l’anno del Purpose

Tra le ricadute economiche ed emotive del COVID-19, la proteste contro razzismo e brutalità della polizia, e i cambiamenti climatici che hanno causato gli incendi in Australia e in Nord America, le aziende di tutto il mondo sono state invitate a schierarsi. Sono state spinte a prendere posizione su questioni che non avevano mai affrontato o a cui stavano iniziando timidamente ad approcciarsi.

Prendete nota, perché si tratta di un trend in forte crescita: il brand positioning deve cambiare, per adattarsi alla mentalità e alle aspettative del target più giovani.

Nell’indagine annuale di Deloitte su Millennials e Gen Z, il 60% degli intervistati ha dichiarato di avere intenzione di acquistare prodotti e servizi da grandi aziende che si sono prese cura della loro forza lavoro e hanno influenzato positivamente la società durante la pandemia.

Solo le aziende Purpose-driven saranno dalla parte giusta della storia negli anni a venire, ma attenzione: non è qualcosa che si può falsificare o semplicemente imitare. La comunicazione sui social media, da sola, non può compensare la mancanza di un vero scopo di marca profondamente radicato in un’organizzazione.

Ed è qui che molti sono caduti nel 2020.

Il desiderio (comprensibile) di rispondere alle pressioni dell’opinione pubblica e di contribuire positivamente a queste conversazioni ha finito per generare azioni impulsive, molte delle quali sono risultate ipocrite agli occhi della fanbase.

LEGGI ANCHE: Brand-purpose: “la gente non compra quello che fai, ma perché lo fai”

social media trends

Se quest’anno ha messo alla prova i brand sulla loro capacità di reagire, il 2021 è l’anno in cui dovranno dimostrare di avere a cuore la società e l’impatto che possono portare.

Attenzione però, perché questa direzione deve partire dai vertici: se i CMO non stanno già lavorando attivamente per creare un’organizzazione realmente orientata allo scopo, non potranno aspettarsi che i loro team di marketing riproducano sui social media qualcosa che non c’è.

Lapidario, in questo senso, è Michael MCGoey, Senior Manager Enterprise Partnership di Twitter, che afferma: “La voce del consumatore si sta esprimendo in modo diverso da qualsiasi altro momento della storia; è più forte di quanto non lo sia mai stata. I brand che sono in grado di ascoltare, e di plasmare i loro messaggi in un modo che questa narrazione sia autentica, sopravviveranno e cresceranno. Quelli che non sono sensibili ai tempi in cui ci troviamo, semplicemente non manterranno i propri clienti“.

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SEO Trend 2021: le 10 tendenze da tenere d’occhio il prossimo anno

  • Nel 2021 Google attribuirà ancora più rilevanza ai siti web che offrono una user experience ottimale
  • Tra i SEO trend 2021, la ricerca vocale e l’indicizzazione mobile-first giocheranno un ruolo di primo piano
  • Gli algoritmi di Google saranno in grado di interpretare il linguaggio naturale in modo sempre più avanzato

 

Chi si occupa di SEO lo sa bene: si tratta di una materia in continua evoluzione, in cui è fondamentale essere sempre al passo con gli aggiornamenti degli algoritmi di Google.

Avere un sito ben posizionato e facilmente navigabile dagli utenti è fondamentale in ogni strategia di marketing: di tutti gli utenti che navigano il web, il 70-80% si concentrano sui risultati organici ignorando quelli a pagamento. Di questi, solo una piccolissima percentuale arriva a visualizzare i risultati dalla terza pagina in poi.

Negli anni, i motori di ricerca hanno affinato sempre di più i loro strumenti di crawling e ranking, e ciò implica che in una strategia SEO son sempre di più gli elementi che acquistano rilevanza a livello di indicizzazione.

Nel 2021 assisteremo all’impennata di alcune tendenza già in corso da alcuni anni, a cominciare dalle implementazioni degli strumenti di AI e gli assistenti vocali, che avvicinano sempre i di più i criteri di ricerca su Google al linguaggio naturale.

Andiamo a vedere tutti i trend SEO 2021 sui quali dovrai costruire la tua strategia il prossimo anno.

1. AI: RankBrain

Alla fine del 2015, Google ha lanciato RankBrain, l’algoritmo che ha preso il posto di Pagerank, con lo scopo di migliorare la qualità dei risultati di ricerca che il motore associa ad una determinata query.

Da allora, quest’intelligenza artificiale ha cambiato il modo in cui gli utenti interagiscono con il web, andando anche a modificare i fattori di ranking che rendono rilevanti dei risultati di ricerca nella SERP, piuttosto che altri.

Rankbrain è basato su un sistema di apprendimento automatico, creato con lo scopo di “insegnare a se stesso”, senza bisogno di qualcuno che lo programmi, e capace di creare collegamenti tra le parole e le frasi.

Affinché la tua strategia SEO risulti efficace, assicurati che il sito sia ben ottimizzato per Rankbrain. Come far sì che ciò avvenga? Rendendo impeccabile l’esperienza di navigazione dell’utente. In altre parole, devi rendere il sito leggibile dal crawler, i contenuti ben organizzati, fare attenzione alle dimensioni dei file e ridurre al minimo i tempi di caricamento delle pagine.

2. La ricerca vocale

Secondo le previsioni, entro il 2022 più del 55% delle famiglie possederanno uno smart speaker. Negli ultimi anni, è stata registrata una crescita esponenziale dell’utilizzo degli assistenti vocali, come Siri, Alexa, Google Assistant.

La tecnologia di ricerca vocale non sta cambiando solo il modo in cui gli utenti trovano le informazioni nel web, ma diventa sempre più rilevante anche per i marchi che vendono online i loro prodotti e servizi.

Ottimizzare i propri contenuti per la ricerca vocale garantisce una migliore rintracciabilità del sito, sia che la query venga digitata sia che venga pronunciata ad alta voce. Ma quali sono le dritte da seguire per ottimizzare il sito per gli assistenti vocali? La prima è sicuramente quella di prediligere le frasi lunghe alle keyword. Questo perché quando l’utente digita la query nella barra del motore di ricerca utilizza keyword come “Ricetta risotto alla milanese”; ma se si rivolge all’assistente vocale, utilizzerà frasi più lunga e dal suono più naturale, come: “Come si prepara il risotto alla milanese?”

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LEGGI ANCHE: Cosa sapere per prepararsi all’indicizzazione Mobile First di Google 

3. Mobile first indexing

Ad oggi, si stima che entro il 2025 oltre il 70% degli utenti navigherà sul web accedendo esclusivamente da dispositivi mobili. Per questo, Google continua a implementare l’indicizzazione mobile-first, che significa essenzialmente che il motore di ricerca attribuisce sempre maggior rilevanza alla versione mobile del sito.

Se le pagine del tuo sito non sono ottimizzate correttamente per i dispositivi mobile, questo potrà rivelarsi estremamente penalizzante, perché il tuo sito potrebbe non comparire proprio tra i risultati in SERP.

Come verificare che il tuo sito venga scantinato correttamente dallo smartphone agent? La Search Console di Google è sicuramente il primo strumento che può esserti d’aiuto, tramite lo strumento di ispezione degli URL.

È molto importante fare attenzione ai contenuti in lazy-loading, vale a dire tutti quei contenuti che non vengono caricati al lancio della pagina, ma presuppongono un’interazione da parte dell’utente (click o scrolling): se non vengono ottimizzati correttamente, Googlebot non riuscirà a riprodurre questi contenuti e pagina del tuo sito sarà caricata solo a metà.

4. Google EAT

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LEGGI ANCHE: Cos’è Google E-A-T e cosa significa per i tuoi contenuti di qualità

L’acronimo denota i tre criteri fondamentali affinché Google attribuisca rilevanza ad un contenuto: Expertise (Esperienza), Authoritativeness (Autorevolezza), Trustworthiness (Affidabilità).

In parole povere, il tuo sito deve essere riconosciuto da Google come fonte autorevole su un determinato argomento, ed è un principio che acquista ancora più importanza per tutte quelle aziende che appartengono alla categoria YMYL, “Your money, your life”, ovvero che operano in settori quali finanza, sanità, sicurezza ecc.

Per garantire una qualità alta dei contenuti, la prima cosa da fare è creare delle buyer personas, che ti aiutino a capire quale tipologia di clienti consulterà il tuo sito. Una volta delineato chiaramente il target a cui stai parlando sarà più facile capire quali contenuti possono essere più d’appeal e quali meno. È molto importante effettuare anche una ricerca approfondita del search intent, per mappare il viaggio dell’utente e capire com’è arrivato sul tuo sito e perché.

5. Long content

Secondo il report State of Content Marketing, pubblicato da Semrush, i contenuti testuali dalle 3000 parole in su ottengono il triplo delle visualizzazioni e condivisioni e circa 3,5 volte più backlink.

Affinché vi sia un aumento del traffico sul sito, è necessario non solo rendere il sito autorevole su un argomento, ma anche creare contenuti che coinvolgano e che siano facili da condividere, e mantenere gli utenti coinvolti nel tempo.

Per facilitare la scansione dei contenuti da parte del motore di ricerca, è buona norma suddividere l’articolo in sezioni e utilizzare H2 e H3, molto importanti sopratutto per la scansione mobile, e assicurarsi che i backlink rimandino a fonti autorevoli e pertinenti.

6. Featured Snippets

I Featured Snippet, o snippet in primo piano, sono quelli che appaiono nella parte superiore dei risultati di ricerca di Google, sopra gli altri risultati organici e sotto gli annunci a pagamento. A differenza degli altri snippet, sono più grandi e includono spesso anche un’immagine.

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Lo scopo dei featured snippet è fornire rapidamente una risposta alla query di ricerca, in modo che l’utente non debba cliccare su uno dei risultati, ma possa apprendere direttamente dalla SERP l’informazione che sta cercando.

Se Google mostra la pagina del tuo sito web in uno snippet in primo piano per una o più query, ci sarà un aumento significativo di traffico che il tuo sito genera. Inoltre, un altro dei vantaggi dello snippet in primo piano da non sottovalutare, è quello di sottrarre traffico ai competitor.

Dal 2021, Google attribuirà ancora più rilevanza agli snippet in primo piano: dunque, nella creazione dello snippet, cerca sempre parole chiave pertinenti, senza tralasciare anche le ricerche correlate, importanti per capire cosa cercano le persone che arrivano sulla tua pagina.

7. Video

Secondo Cisco, i contenuti in formato video supereranno tutti gli altri in termini di fruizione e, di recente, sono stati inclusi da Google anche nei featured snippet.

Ad oggi, Youtube è il sito più visitato al mondo, con 33 miliardi di visite al mese. Dunque, se la tua strategia SEO non include contenuti video, il 2021 sarà l’anno giusto per cominciare.

Per ottimizzare i tuoi video, organizzali in sezioni e ottimizza il contenuto mediante titles, description e tags. Molto utile ai fini dell’indicizzazione, inserire anche una trascrizione del parlato.

Le keyword che usi nell’indicizzazione dei tuoi video sono fondamentali: se stai ottimizzando un video per YouTube, ad esempio, può esserti di grande aiuto digitare l’argomento dei tuoi video nella barra di ricerca e guardare i risultati restituiti dalla piattaforma. In questo modo sarà molto più semplice comprendere l’intento di ricerca delle persone che guarderanno i tuoi contenuti.

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8. Immagini

La ricerca dei contenuti visivi su Google continua ad evolversi sempre di più: se le immagini sul tuo sito non sono ottimizzate correttamente, dovresti rimediare quanto prima.

Una corretta indicizzazione, non solo ti permetterà di posizionarti in alto nei risultati di ricerca su Google Immagini, ma ti consentirà anche di implementare la visibilità e l’ottimizzazione complessiva del tuo sito.

Oltre ad utilizzare immagini pertinenti con il contenuto della pagina, è molto importante l’uso degli alt tag, mediante i quali il crawler del motore di ricerca andrà a catalogare le immagini e ad associarle ad una determinata categoria.

9. Keyword Correlate

A differenza di ciò che molti pensano, non sono solo le keyword principali ad essere importanti, ma anche le correlate.

Questo perché la SEO semantica e l’ottimizzazione del Search Intent diventano sempre più importanti.

Dunque, è bene aver chiaro il contesto della query, in modo da fornire informazioni sempre più pertinenti ai motori di ricerca, tramite parole chiave principali e secondarie, semanticamente correlate tra loro. In altre parole: non concentrarti sulle singole keyword, ma ottimizza il tuo contenuto per gruppi di argomenti.

10. Local SEO

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La stragrande maggioranza delle ricerche su Google, sono effettuate dagli utenti con lo scopo di trovare prodotti o servizi nella propria zona. La SEO locale, sta acquistando sempre maggiore importanza, in parte dovuta all’aumento delle ricerche a zero click (cioè quelle in cui gli utenti ricevono risposta dalla SERP), che secondo gli esperti diverranno la nuova normalità.

Molte delle ricerche a zero click sono ricerche locali, in cui viene mostrato in SERP il cosiddetto local pack, vale a dire il blocco si informazioni su un’attività geolocalizzata, visibile sulla SERP.

Il primo passo per costruire il local pack della tua attività è creare una pagina su Google My Business. Assicurati di curare anche la tua strategia di backlink e, se non sai da dove iniziare, prendi del tempo per studiare quella dei tuoi competitor.

Digital-first e consumatore totale: ecco cosa considerare per fare Marketing Intelligence

Esperienze, esperienze e ancora esperienze: quando si parla di marketing tutto ruota attorno alla capacità di deliziare il consumatore calandolo in una Customer Experience che non si esaurisca con il consumo del prodotto, ma sappia essere duratura nel tempo. Una CX che cominci durante il processo decisionale e assuma una forma circolare.

Una sfida sempre più complicata che non può prescindere dalla capacità di analizzare e comprendere i dati che – anche e soprattutto attraverso le interazioni digitali – ognuno di noi produce.

La centralità dell’approccio data-driven è di fatto un fattore imprescindibile per chi voglia evitare di perdere competitività: oggi, questo riconduce a un insieme di best practice organizzative che, se adeguatamente adottate e fatte proprie, consentono di fare un salto di qualità nella progettazione di esperienze memorabili, che sono parte integrante del concetto di Marketing Intelligence.

Salesforce ne ha tratteggiato i caratteri fondamentali in un whitepaper intitolato appunto “Manuale di Marketing Intelligence”, pensato per capire come organizzare al meglio la fase di misurazione.

Prima di entrare però nel dettaglio di come si possano fare proprie le tecniche di Marketing Intelligence è necessario fare un passo indietro e capire meglio l’oggetto della nostra analisi, identificando quale sia il motivo per cui non si può più evitare di adottarle.

Il “consumatore totale”

Come dicevamo in apertura, oggi i consumatori non sono figure che si accontentano, anzi: pretendono di interagire con le proprie marche preferite in maniera efficiente e memorabile, anche attraverso quei touchpoint che sembrano poco preziosi e ininfluenti al fine di sviluppare la propria preferenza d’acquisto.

Questa pretesa è diventata evidente nel 2020, quando con la pandemia da COVID-19 e le tante restrizioni imposte dai governi, molti si sono rivolti al digitale per soddisfare i propri bisogni: si pensi che rispetto al 2019, secondo la quarta edizione del report State of the Connected Customer in media il 58% delle interazioni con i brand quest’anno è avvenuto online, registrando un aumento di 17 punti anno su anno.

Questo passaggio massivo a un approccio digital-first si è portato dietro una variante nel percepito dell’utente, che ha cominciato a vivere il consumo come un viaggio dove tutto è connesso, e in cui ogni passaggio dev’essere fluido e piacevole. Nel digitale questo avviene naturalmente, perché il medium è in grado di mappare totalmente l’azione di chi lo usa: le persone, insomma, usando di più il web si sono abituate ad avere tutto su misura, in tempi relativamente brevi.

Così come avviene mentre si naviga online, nell’esperienza (anche offline!) del consumatore la percezione è evoluta: non esistono più processi composti da silos a compartimenti stagni in cui si svolgono azioni sconnesse fra loro, ma passaggi di stato che si portano dietro un altissimo tasso di personalizzazione

Un cambio di paradigma che obbliga a concepire il consumatore come una figura tridimensionale da comprendere – letteralmente – da tutti i punti di vista e con cui  interfacciarsi: una definizione che gli calza a pennello è “totale”, cioè che vive ogni aspetto della propria esperienza giudicandone gli esiti e lasciandosi influenzare da essi.

Questo porta a concepire la Customer Experience come un flusso da monitorare costantemente, anche in maniera dinamica: un risultato che solo l’integrazione dei sistemi di CRM nell’attività di tutte le funzioni aziendali può garantire

Dal Sales al Customer Care, al Marketing all’IT, tutti gli attori coinvolti nella costruzione dell’esperienza devono poter contare su sistemi snelli di analisi e controllo, che permettano insomma di mappare e agire tempestivamente in funzione dei comportamenti e delle reazioni che vengono osservati.

Non è un caso che le parole chiave su cui si deve concepire il proprio sistema di Customer Relationship Management siano Innovazione, Integrazione e Intelligenza Artificiale: tre concetti interconnessi per un’evoluzione dell’azienda reale e proficua.  

Ognuna di queste keyword non può esistere senza l’altra: se interiorizzate da tutte le anime aziendali e scaricate a terra in processi nuovi, il risultato sarà un mapping dei dati in grado di condurre all’elaborazione di azioni puntuali ed efficaci, possibilmente con poco impatto in termini operativi.

Fra mindset digitale e monitoring a 360°

A un consumatore che diventa totale non si può che rispondere con un’azienda che sa muoversi a 360°, certamente non escludendo la necessità di automatizzare tutti i processi allo scopo di ottimizzare il lavoro umano e minimizzare l’effort in termini di tempi: basti pensare che nel 2019, secondo la sesta edizione dello State of Marketing, l’84% dei marketer riferisce di aver usato l’AI nell’ultimo anno, rispetto al 29% del 2018. Un trend che presenta un incremento del 186%, e che ci attendiamo nel 2020 si confermi.

Su queste basi, è chiaro che lo scopo arrivi a essere non solo l’agire in maniera puntuale e customizzata con azioni mirate sul profilo e – direbbe Brian Solis – sul momento di verità più idoneo, ma addirittura a predire i suoi comportamenti per deliziarlo da subito efficacemente.

Un processo tipicamente digitale, in cui la tecnologia assume un ruolo rilevante, e questo non è affatto un elemento secondario: secondo il report sullo stato dell’IT, il 58% dei consumatori sottolinea come proprio la tecnologia abbia radicalmente cambiato il modo in cui si aspettano che le aziende interagiscano con loro.

Questo dato è particolare, perché non sottintende solo un ruolo dei device, ma anche un cambio nelle abitudini e nelle relazioni.

La maggior parte delle persone ormai è abituata a vivere esperienze che potrebbero essere definitive come frutto di un approccio digitale, in cui i brand devono comportarsi come riescono a fare ad esempio su un sito di eCommerce, dove attraverso i comportamenti di navigazione dell’utente si è in grado di suggerire contenuti e suggerire azioni più adatte al suo profilo.

Questo deve avvenire non solo quando si naviga sul web, ma anche altrove, secondo quella logica omnichannel che negli anni abbiamo imparato a conoscere, ma che ancora non tutte le aziende hanno effettivamente calato a terra in azioni concrete.  

Detto in altre parole, se le persone cominciano a ragionare in termini digitali trasferendo le stesse possibilità anche offline, allora in maniera totalizzante l’azienda deve saper sviluppare processi di relazione che siano fortemente connotati secondo le modalità digital. 

Ecco perché è utile attrezzarsi per affrontare il marketing in maniera più “intelligente”: e qui torniamo al punto di partenza.

Le tre fasi dell’attività di Marketing Intelligence

Definire un comportamento prima che accada non è immediato: per arrivare a capire cosa accade, prima che accada, si deve costruire una struttura in grado di osservare e mappare il consumatore in tempo reale, costruendo uno storico da cui partire per profilarlo adeguatamente.

Per riuscirci l’azienda, oltre a dotarsi delle infrastrutture idonee, deve essenzialmente seguire tre step.

Fase 1: Integrazione e gestione dei dati

Per prima cosa, è necessario fare in modo che si riducano le fonti di approvvigionamento e gestione di tutti i dati: mediamente, un professionista chiamato a svolgere analisi di marketing arriva a usarne più di dieci, con un notevole dispendio in termini di energia.

Efficientare questa fase diventa essenziale, perché non solo permette di ridurre i tempi, ma anche perché si può avere una visione d’insieme più completa, che può portare anche a conclusioni diverse e più precise. E molto spesso questo si traduce, anche, in risultati ottenuti.

Fase 2: Analisi e ottimizzazione dei dati

Chiaro che con una struttura totalmente integrata, in grado di rilasciare report più completi e in tempi decisamente minori, è più semplice poi ottimizzare lo spending delle campagne attivate, in particolare (è ovvio) quelle che riconducono a piattaforme digitali. Non solo: anche tutte quelle azioni che si rientrano sotto il cappello di marketing automation, come ad esempio notifiche push via email che si attivano in funzione di una determinata azione, possono essere ottimizzate e messe a sistema in maniera più puntuale. Al centro di tutto c’è l’efficacia: perché il consumatore totale non si accontenta!
Per mettere in piedi questo processo è indispensabile partire da una reportistica che sia facile da analizzare e che venga originata da un’osservazione del dato il più possibile agile: senza, è difficile poi poter agire con precisione.

 

Fase 3: Allineamento e collaborazione

Marketing Aautomation non è solo azionabilità del consumatore, ma anche generazione di materiali utili a tutte le funzioni in tempi molto più stretti. Insomma, c’è un fronte esterno ma anche un fronte interno, ed entrambi sono importanti per riuscire ad essere più efficienti e produttivi: questa elasticità, come dicevamo nei paragrafi precedenti, deve essere propria di tutte le funzioni aziendali. Se tutte accedono alla stessa base dati ottenendo report riconducibili alle stesse matrici di senso, possono collaborare poi meglio costruendo azioni più sinergiche. Anche qui, l’obiettivo centrale non è solo costruire esperienze di valore per il consumatore, ma farlo con il massimo dell’efficienza.

Alla luce di tutto questo, la Marketing Intelligence si può riassumere come quel quid in più che può veramente permettere alle aziende di fare un balzo avanti nella propria operatività di tutti i giorni: il consumatore evolve continuamente, e non si può non tenerne conto. Per questo non si può rischiare di rimanere indietro perdendo terreno decisivo per reggere il confronto!

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Strategie di re-engagement con l’Email Marketing

Quanta fatica costruire un database di contatti qualificati e quanto impegno e dedizione per ingaggiare il proprio audience attraverso campagne di Email Marketing efficaci! Sono molti gli investimenti delle aziende in questi termini ed è quindi forte l’interesse a riconquistare quegli utenti che sembrano essersi “disamorati” e non seguono più un brand.

Possiamo dire che il fattore economico è centrale quando si parla di “riattivazione”: gli utenti inattivi sono infatti il risultato di tempo e denaro profuso dal brand per attirare l’attenzione delle persone. E, dato che costa di più attirare nuovi clienti rispetto a quelli acquisiti, è fondamentale risvegliare il bacino di contatti inattivi o semplicemente assonnati.

Un patrimonio per così dire “dormiente” che può essere recuperato attraverso una strategia efficace che MailUp illustra nel terzo capitolo della collana MailUp Data, “Strategie di re-engagement”, interamente dedicato alle campagne di riattivazione.

Queste campagne sono rivolte a quella parte di database composta dagli utenti definiti inattivi, cioè coloro che nel corso del tempo hanno sospeso ogni forma di interazione con le campagne email che ricevono da un determinato brand.

Le performance medie registrate dalle campagne di riattivazione risultano nettamente più basse rispetto ai valori medi delle normali campagne di comunicazione via email. Nulla di sorprendente: è perfettamente comprensibile e prevedibile che il tasso di risposta di un target completamente inattivo sia prossimo allo 0.

Vediamo però come si traducono questi dati in termini di conversione, che nel caso specifico delle campagne in esame corrisponde alla riattivazione dell’utente contattato.

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Gli utenti riattivati

Se esaminiamo l’efficacia delle campagne in termini di percentuale degli utenti riattivati sul totale degli utenti in target notiamo che a ottenere migliori risultati sono gli invii manuali.

L’altra distinzione da fare a livello di invio è quella tra DEM e newsletter perché le DEM mostrano una maggiore efficacia.
I mercati B2B e B2C presentano valori mediani di riattivazione molto simili mentre, se si prendono in considerazione i differenti settori merceologici, si nota come il settore Moda presenti una variabilità di performance in termini di riattivazione molto ridotta. Al contrario, il settore Turismo ottiene risultati con più alta variabilità.

Se suddividiamo il campione tra i brand che dispongono di un e-commerce e i clienti che non lo utilizzano, vediamo che i primi riescono a riattivare una percentuale di utenti maggiore. Questo risultato potrebbe essere attribuito a una maggiore attenzione da parte delle aziende che utilizzando un e-commerce per il recupero dei clienti che hanno perso interesse e non acquistano più.

Gli oggetti più efficaci

Se è vero che l’oggetto è tra i fattori chiave nel determinare il successo o il fallimento di una campagna email, lo è ancora di più nel caso di una campagna di riattivazione. La subject line ha un compito difficile: catturare l’attenzione dell’utente che da un periodo ormai prolungato di tempo ha perso interesse per le comunicazioni che riceve su base più o meno periodica da un determinato mittente.

Poche parole devono essere in grado di comunicare l’intento dell’email, farla risaltare rispetto non solo ai messaggi di altri brand, ma anche rispetto agli altri messaggi dello stesso brand che si sono rivelati finora inefficaci.

Vediamo allora quali sono gli oggetti delle campagne prese in esame che hanno ottenuto i migliori risultati in termini di utenti riattivati sul totale degli utenti presenti nei rispettivi target di invio.

Tutti i casi elencati corrispondono a messaggi mirati, specifici, personalizzati e a volte accattivanti, che riescono a risvegliare porzioni non irrilevanti di database inattivo. Al contrario, tra i messaggi che hanno ottenuto i risultati peggiori rientrano quelli che hanno puntato su una comunicazione molto generica e ordinaria, a volte accompagnata da uno sconto. Queste campagne hanno ottenuto tassi di riattivazione sotto l’1%.

Proviamo ora a ribaltare la prospettiva di osservazione e posizioniamoci dal lato degli utenti oggetto delle campagne in questione, cioè gli utenti inattivi, o dormienti, da risvegliare.

La maggior parte del target considerato ha ricevuto solo una comunicazione prima di riattivarsi, disiscriversi o essere escluso da questo target.

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Progettare una campagna di riattivazione

Questo studio ha messo in evidenza la diffusione delle campagne di riattivazione, le modalità di utilizzo, la loro efficacia e gli effetti che possono avere sui rispettivi destinatari.

Ecco i passaggi chiave da mettere in pratica nello strutturare una corretta strategia di riattivazione.

Identificare gli inattivi

Gli utenti inattivi sono gli iscritti al database che non aprono o non cliccano sulle email da un determinato periodo di tempo. Ci sono alcuni fattori da tenere in mente per definire il periodo di tempo da considerare:

  • Tipo di comportamento. La tendenza generale è quella di considerare la mancanza di apertura e di clic, ma è possibile includere nella valutazione anche il comportamento d’acquisto (periodo trascorso dall’ultimo acquisto) o di navigazione sul sito (ad esempio, dall’ultimo accesso all’area personale).
  • Frequenza. Il periodo di inattività può variare anche in base alla frequenza d’invio delle email. Se l’invio è giornaliero, ad esempio, un ragionevole tempo di inattività può aggirarsi intorno ai 90 giorni. Se invece l’invio è mensile, il periodo di inattività da considerarsi tale potrebbe essere più lungo (da 6 mesi a 1 anno).
  • Customer lifecycle. Come per la frequenza, la lunghezza del ciclo di vita del cliente influenza il periodo da considerare. L’acquisto di automobili, ad esempio, prevede un ciclo di vita molto lungo, mentre per prodotti di consumo quotidiano il ciclo di vita è di pochi giorni o settimane.

Definito il proprio concetto di “utente inattivo”, è il momento per il passo successivo.

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Creare una strategia

Una strategia efficace di riattivazione è quella in grado di inviare messaggi che contengano contenuti rilevanti per il destinatario e degli incentivi che favoriscano l’interazione. Bisogna ricordare che gli iscritti non hanno reagito ai messaggi mandati in precedenza, quindi è opportuno valutare e apportare dei cambiamenti alle comunicazioni in modo da garantire l’interazione. Tre sono gli aspetti principali su cui intervenire.

Contenuto

È essenziale rivedere i contenuti e inviare email che siano differenti dal solito standard. L’obiettivo è sorprendere il destinatario e gli strumenti a disposizione sono molti:

  • Sondaggi e survey. Se fai le giuste domande i risultati potranno dirti qualcosa in più sugli interessi dei tuoi utenti inattivi e potrai usare queste informazioni per catturare la loro attenzione.
  • Coupon e promozioni. Inviare promozioni personalizzate per avere un tasso di conversione alto.
  • Raccomandazioni di prodotto o aggiornamenti di prodotto. Ricordare ai tuoi destinatari cosa possono trovare di nuovo e cosa potrebbero perdere.
  • Concorsi e competizioni online. Sfruttare l’effetto social per favorire il passaparola e migliorare l’engagement.

Stile e tono

Parola d’ordine: osare. Quindi provare a catturare l’attenzione dell’utente anche con espedienti visivi, e con un tono amichevole e scherzoso.

Cadenza

Identifica le tempistiche migliori per inviare le tue campagne di riattivazione. Se, ad esempio, hai definito un lasso temporale di inattività pari a 3 mesi, la strategia potrebbe essere inviare il primo messaggio dopo un mese e mezzo di inattività e provare a “riprendere” l’utente prima che sia troppo tardi.

Un’altra opzione è provare a sospendere gli invii per un breve periodo di tempo, per poi riprendere con le normali attività. Questa tattica mira a sfruttare l’effetto “assenza”, per evitare l’assuefazione e rendere più desiderate e attese le comunicazioni successive.

Impostare gli automatismi

Il modo più efficace di strutturare una campagna di riattivazione è costruire un flusso di comunicazioni automatiche, impostando condizioni di innesco, tempi di attesa e azioni da intraprendere a fine flusso. È possibile scegliere autonomamente quante email inviare prima di definire un utente definitivamente “decaduto”: meglio comunque non superare le 3 comunicazioni.

In questo modo la pulizia del database è effettuata in modo continuativo, puntuale e completamente automatico.

Monitorare i risultati

Come capire se la campagna di riattivazione sta funzionando bene oppure no? È importante ricordare che gli obiettivi e, quindi, le metriche da considerare a questo proposito sono parzialmente diversi da quelli delle normali campagne email.

Le classiche metriche, come tasso di apertura e CTR, parlano del successo del singolo messaggio, mentre in questo contesto l’attenzione deve essere posta sul comportamento a lungo termine dell’utente. In breve: se l’utente apre l’email di riattivazione, ma torna subito dopo a ignorare le altre comunicazioni, la campagna avrà buoni tassi di apertura ma un pessimo risultato complessivo.

Di norma, la percentuale di utenti che queste campagne riescono ad attivare non è molto alta, si aggira attorno al 10% ma, in ogni caso, attività di questo tipo portano all’azienda una serie di benefici, sia in termini economici che non. È fondamentale ricordare sempre che ogni strategia va adattata e contestualizzata al proprio settore e al proprio database utenti. Una definizione precisa di ogni aspetto tattico e i test periodici delle campagne attivate sono la chiave per non disperdere risorse e ottenere risultati tangibili.

Per approfondire tutte le tecniche di riattivazione dei contatti inattivi, puoi scaricare il nuovo ebook di MailUp “Strategie di re-engagement” a questo link.

social intelligence

Come trasformare i contenuti web e le conversazioni social in dati, informazioni e insight utili per il business

Con l’espressione Social Media Intelligence si intendono tutte le analisi che utilizzano i contenuti prodotti in rete dagli utenti attraverso ogni tipo di fonte web e social per scoprire il “mood” espresso dal popolo della rete rispetto alla propria azienda e ai competitor. Non solo, questi dati sono essenziali per intercettare nuovi trend ed esigenze di mercato. Per i brand e le imprese, la Social Media Intelligence è uno strumento importante poiché consente di attivare strategie digitali mirate ottimizzando i budget investiti.

In questo scenario Extreme – azienda italiana specializzata nella web e social media data intelligence – ha saputo cogliere l’opportunità per progettare e fornire servizi innovativi e completi, al pari dei propri competitor internazionali, mirati anche alle PMI soprattutto in ambito italiano.  

social intelligence

Un progetto ambizioso quello di Extreme, che prende forma nel 2003 e che dopo tre anni di attività di ricerca e sviluppo avvia il suo percorso nel mondo del web e della social media data intelligence.

In oltre 10 anni di attività, con oltre 300 progetti realizzati nel mercato nazionale e internazionale e oltre 1000 attivazioni dei suoi servizi di social intelligence, l’azienda ha messo a punto un sistema integrato di tecnologie, analisi dati, metodologie di lavoro e automazione che sfrutta la forza dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione continua.

Weblive 4.0, la piattaforma che analizza i big data

 Gli strumenti di ascolto e analisi che l’azienda mette a disposizione sono tantissimi:

  • soluzioni per monitorare l’analisi dei contenuti e delle immagini su web e social
  • servizi per l’influencer marketing
  • progetti di analisi e ricerche di mercato
  • data rooms labs, progetti di ricerca e osservatori di mercato
  • API stream data “as a service” per system integrator
  • analisi delle immagini e analisi real time degli stream video

Oggi attraverso l’utilizzo della piattaforma Weblive 4.0 è possibile comprendere e monitorare in maniera agevole e funzionale tutto ciò che accade sui social e sul web grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale in grado di esplorare e analizzare ovunque e in maniera automatica milioni di contenuti in tempo reale costituiti da testi e immagini provenienti da siti di news, blog, forum, canali social come TikTok, Twitter, Instagram, Facebook, YouTube, Reddit, LinkedIn, Pinterest, Tumbler e molto altro ancora, sempre nel rispetto del GDPR e dei vincoli imposti dalle diverse piattaforme social. 

Weblive 4.0 oltre a svolgere le attività di monitoraggio e analisi a livello globale delle diverse fonti web e social consente anche di creare e condividere grafici, dashboard e report immediati, scoprire e misurare cosa accade online su temi, campagne, prodotti, brand, hashtag e competitor del proprio mercato di rifermento.

social intelligence

Social Media Intelligence e il potere delle immagini

Se un’immagine vale più di 1.000 parole, gli oltre 3 miliardi d’immagini che ogni giorno vengono condivise sui social media hanno molto da dire. La conversazione dei consumatori in rete è infatti sempre più visiva. In tutti i canali, il modo in cui gli utenti dei social media “parlano” di marchi, prodotti e di qualsiasi altro argomento ha molto più a che fare con la fotocamera dello smartphone che con le tastiere.

Per questo la piattaforma Extreme WebLive 4.0 integra un potente motore di analisi delle immagini in grado di comprenderne il contenuto, riconoscere oggetti, celebrity e loghi.

Chi ha già scelto i servizi di Extreme?

Extreme si propone con un modello di business che punta alla flessibilità dei servizi e dell’offerta commerciale, alla qualità del supporto per i clienti e alla formazione.

Sono tante le aziende che collaborano con Extreme impegnate in diversi settori, come pure le organizzazioni e la pubblica amministrazione centrale e locale. Nel tempo sono stati avviati progetti in partnership con il mondo accademico nazionale e internazionale ma anche attività di ricerca e complessi progetti on premises in contesti mission-critical.

Come ottenere il massimo dalla Social Media Intelligence

La raccolta dei dati dal web e dai social media, con la piattaforma WebLive 4.0 comporta diversi vantaggi e consente alle aziende e ai brand di essere più incisivi e competitivi nel mercato.  Ciò consente di estrapolare conoscenza e dati rispetto al “mood” espresso dalla rete.

Cosa è possibile monitorare e analizzare?

  • Analisi Competitiva
  • Strategia creativa
  • Ricerca di prodotto

L’importanza della Web e Social Media Intelligence

L’overflow informativo che caratterizza il nostro tempo fluido non può più essere sottovalutato o ascoltato in maniera discontinua e disaggregata.

Osservare, porre attenzione, raccogliere feed, tracciare trend, definire nuove strategie e raggiungere obiettivi sempre più complessi deve diventare un modus operandi di ciascuna realtà. Ecco perché dotarsi di piattaforme intelligenti come Weblive 4.0 può significare partire con il piede giusto!