Sotto-tag BOFU (basso) di Funnel

Facebook blocca il presidente Maduro. Il Venezuela attacca: “Totalitarismo digitale”

Facebook congela la pagina del presidente venezuelano Nicolas Maduro. All’origine della scelta del Big tech la violazione delle politiche contro la diffusione di disinformazione su COVID-19.

Infatti, dalle motivazioni evidenziate dal portavoce dell’azienda, il presidente venezuelano avrebbe promosso un rimedio contro il virus, non fondato su evidenze scientifiche e non sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Lo scorso gennaio Maduro ha descritto il Carvativir, una soluzione orale derivata dal timo, come un farmaco “miracoloso” o meglio come “gocce miracolose” nel neutralizzare il coronavirus senza effetti collaterali: affermazione ritenuta falsa, perchè non supportata dalla scienza.

Pagina freezata per 30 giorni e video cancellato

Facebook così ha rimosso il video in cui Maduro promuove il farmaco perché viola la politica contro le false affermazioni, con la possibilità di esporre le persone a gravi danni.

“Seguiamo la guida dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che afferma che attualmente non ci sono farmaci per curare il virus”,

spiega il portavoce Facebook a Reuters. “A causa di ripetute violazioni delle nostre regole, stiamo anche bloccando la pagina per 30 giorni, durante i quali sarà di sola lettura”.

Non sarà interessato dal blocco l’account di Maduro sulla piattaforma di social media per la condivisione di foto Instagram, sempre di proprietà Facebook.

Maduro, che utilizza spesso i social media, inclusi Facebook e Twitter, e talvolta trasmette discorsi su Facebook Live, non potrà postare per 30 giorni. Il presidente venezuelano avrebbe già lo scorso febbraio evidenziato come Facebook avesse “censurato” i video in cui mostrava Carvativir. Più volte si è espresso in passato sull’essere trattato ingiustamente insieme ai suoi alleati dalle società di social media, compresa quella che definisce una “sospensione arbitraria degli account”.

Totalitarismo digitale: la replica forte del governo venezuelano

Il governo venezuelano attacca Facebook di “totalitarismo digitale contro gli Stati sovrani”, dopo aver congelato la pagina del presidente Nicolas Maduro.

In una dichiarazione, il ministero dell’Informazione venezuelano ha negato qualsiasi campagna di disinformazione da parte del presidente, che starebbe invece sostenendo “contenuti volti a combattere la pandemia”.

“Stiamo assistendo a un totalitarismo digitale esercitato da aziende sovranazionali che vogliono imporre la loro legge ai Paesi del mondo”, insiste il Ministro.

LEGGI ANCHESe i social media diventano editori: il pericolo della censura. Intervista ad Alberto Mingardi

 

i social network e la censura

Foto di Bill Kerr

I precedenti fenomeni di censura applicata da Facebook nell’emergenza Covid: da Trump a Bolsonaro

Facebook ritorna con una linea dura, dopo aver bannato Donald Trump, con la chiusura degli account, generando un’ampia discussione globale sul ruolo di censura applicata dai social media e sul ruolo egemone nell’ambito della geopolitica.

Anche il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha dovuto affrontare azioni per i post Covid: lo scorso anno, infatti, Facebook ha cancellato un video del presidente brasiliano Bolsonaro in cui affermava che il farmaco idrossiclorochina fosse totalmente efficace nel trattamento del virus.

A ottobre, Facebook ha cancellato un post in cui Donald Trump sosteneva che il Covid-19 fosse “meno letale” dell’influenza. Un altro post rimosso in agosto, in cui l’ex presidente degli Stati Uniti  affermava falsamente che i bambini fossero “quasi immuni dal Covid-19”.

Frenare la diffusione di fake news per non mettere a rischio la salute globale

Obiettivo è frenare le fake news rispetto al Covid attraverso la rete e i social, dove la disinformazione è spesso diffusa, con migliaia di post anti-vaccino su Facebook e Twitter, secondo l’analisi del Centre for Countering Digital Hate (CCDH) con sede nel Regno Unito. A guidare un gruppo anti-vaccino anche Robert F. Kennedy Jr, nipote dell’ex presidente degli Stati Uniti.

Il presidente del Madagascar Andry Rajoelina lo scorso anno ha promosso una miscela di erbe non provata chiamata Covid-Organics, spingendo l’OMS ad affermare che i rimedi tradizionali dovrebbero avere prove scientifiche a sostegno del loro uso.

I dati del contagio

Il Venezuela ha registrato 155.663 casi confermati di coronavirus, inclusi 1.555 decessi e 144.229 guarigioni, secondo un conteggio corrente della Johns Hopkins University con sede negli Stati Uniti.

Da quando è esplosa a Wuhan, in Cina, nel dicembre 2019, la pandemia COVID-19 ha causato più di 2,78 milioni di vite in 192 paesi e regioni. Secondo i dati raccolti da Johns Hopkins, sono stati segnalati oltre 127 milioni di casi in tutto il mondo, con recuperi che superano i 72 milioni. Gli Stati Uniti, il Brasile e l’India rimangono i paesi più colpiti in termini di casi.

Maduro: petrolio in cambio di vaccini Covid

Non potendo disporre delle risorse bloccate dalle sanzioni Usa, nelle ultime ore Maduro ha proposto che il suo Paese sia autorizzato a pagare forniture di vaccini contro il Covid-19 con petrolio, dato che ingenti risorse finanziarie all’estero sono state bloccate dalle sanzioni unilaterali degli Usa.

“Noi – afferma in un intervento televisivo – siamo pronti e preparati a realizzare questo scambio. Abbiamo anche clienti che sono disposti ad acquistare il nostro greggio e in cambio a saldare il costo dei farmaci per immunizzare la popolazione venezuelana. Non supplicheremo nessuno. Abbiamo dignità e risorse per risolvere i nostri problemi”.

Se la richiesta sarà approvata, il Venezuela secondo Maduro potrà garantire il 100% dei vaccini per la popolazione e anche il pagamento delle 2.400.000 dosi di vaccino dall’Organizzazione mondiale della salute (Oms).

LEGGI ANCHEL’età oscura della rete: quando i follower si trasformano in adepti

Spotify lancia in Italia Ad Studio, la piattaforma pubblicitaria self service

Spotify lancia oggi in Italia Ad Studio, la piattaforma pubblicitaria self-service che permette a chiunque di creare e gestire campagne pubblicitarie audio e video su Spotify. Fare pubblicità diventa, così, ancora più semplice, con annunci audio realizzati da zero, grazie ad un’interfaccia intuitiva, agli strumenti creativi e ai servizi offerti (doppiatori, musiche e analytics) direttamente da Spotify, leader dello streaming on demand, che ha rivoluzionato il modo di ascoltare musica.

La mission, come sempre, è quella di liberare il potenziale della creatività, anche nello scenario italiano, dove il consumo di audio digitale sta superando rapidamente la fruizione della radio: infatti il 61% degli utenti Spotify Free in Italia ascolta audio da mobile, con il trend in crescita del podcast

“Tutta l’opportunità del mercato audio non è ancora colta, soprattutto nell’advertising delle strategie media. Ad Studio è una rivoluzione”,

esordisce Alberto Mazzieri, Director of Sales di Spotify Italia: “È sicuramente un segmento da esplorare. L’audio digitale, lo streaming, offrono opportunità di comunicazione legate al targeting, al tracciamento e alla comprensione dell’audience attraverso i contenuti che definiscono il mood di ascolto.  Un’innovazione assoluta, perché permette di costruire messaggi sfruttando i dati, con un’efficacia superiore”.

L’intelligence Spotify a servizio delle campagne advertising per monitorare l’impatto

Gli inserzionisti Spotify Advertising potranno attingere alla Spotify Audience Network, prevedere stime di impression, reach e frequenza in base al target, ma anche tracciare e gestire tutti i report della campagna. Opzioni di targeting avanzate, per raggiungere il pubblico di riferimento, rivolte a piccole e medie imprese PMI, startup, brand in crescita, ma anche creator digitali, rispetto ad una community, che registra oltre 345 milioni di utenti Spotify in 178 Paesi del mondo, di cui 155 milioni abbonati Premium.

Una rivoluzione per l’industria della pubblicità audio, secondo Alberto Mazzieri: “Il lancio di Ad Studio rafforza il nostro impegno a fornire alle aziende e agli artisti di tutte le dimensioni le opportunità della streaming intelligence di Spotify.  Anche le realtà di piccole e medie dimensioni possono testare facilmente una campagna su Spotify, misurarne l’impatto e sfruttare la potenza dell’audio”.

A partire da un investimento minimo (250€), inserzionisti di ogni tipo e dimensione – imprese locali, concessionarie, catene di supermercati, negozi di elettronica, istituti e università per la promozione di corsi, open day o altre attività – avranno accesso alla streaming intelligence di Spotify. Inoltre, fornendo uno script, la piattaforma aiuterà nella creazione di annunci professionali in sole ventiquattro ore, senza costi aggiuntivi.

LEGGI ANCHE: Trend Audio 2021, l’innovazione Podcast. Spotify annuncia l’acquisizione di Megaphone

Alberto Mazzieri, Director of Sales di Spotify Italia

Dottor Alberto Mazzieri, da quale esigenza nasce Spotify Ad Studio in Italia?

“È la nostra piattaforma aperta a tutti gli advertiser, per campagne di comunicazione audio o video in autonomia, in pochi minuti e con la possibilità di raggiungere l’audience qualificata di  Spotify: dei 345 milioni di utenti globali, circa  190milioni la utilizzano in modalità free, esposti ai messaggi pubblicitari, raggiungibili attraverso Ad Studio. In Italia ci basiamo sui dati Comscore, che nell’ultimo ultimo trimestre del 2020 ci ha attribuito una media di 11,2milioni di utenti attivi ogni mese, in crescita  rispetto all’anno precedente, anche rispetto ai primi mesi dell’anno. Alla fine del prossimo quarter rilasceremo i dati aggiornati che sembrano confermare i trend in crescita”.

L’esperienza immersiva dell’audio

Audio e podcast sono tra i trend digitali dell’ultimo anno. Come si adegua e reagisce Spotify alle recenti applicazioni che fondano il proprio successo sulla voce?

“Il podcast è uno degli elementi che sta trainando la crescita, sia in termini di ore di consumo che di ascolto, nell’ultimo trimestre duplicate rispetto all’anno precedente. Ad oggi abbiamo 2,2 milioni di titoli podcast in piattaforma (erano 1,9 milioni solo nel terzo trimestre, per cui più di 300 mila in pochissimi mesi. Un trend che registriamo in ambito globale in tutte le Country. Conferma la rilevanza sempre maggiore dell’audio nella vita delle persone”.

Audio significa intimità, svincolata dal dominio dell’immagine?

“L’esperienza audio è molto immersiva e intima, molto più di qualsiasi altro mezzo. Poi si aggiunge il fattore tecnologico: lo streaming ha reso i contenuti audio disponibili in misura molto maggiore e su tantissimi dispositivi. La radio è il diffusore per antonomasia, ma il contenuto attraverso lo streaming si sta evolvendo, cresce il consumo. Spotify ha fatto della “ubiquity”, della disponibilità su più device possibili una colonna della propria strategia, non solo computer e cellulari, ma sempre più anche consolle di gaming, smart speaker, connected tv, automotive. Sono tantissimi i dispositivi che hanno integrato l’app di Spotify, permettendo alle persone di fruire di contenuti in tante situazioni diverse”.

Spotify Italia ha previsto un reparto creativo, un nuovo piano di recruiting per individuare le figure a sostegno delle campagne advertising delle aziende?

“C’è un grande investimento da parte dell’azienda, perché l’opportunità è gigantesca. Ad Studio offre a tutte le imprese, a prescindere dalla dimensione, l’opportunità di accedere alla comunicazione audio come non è mai stato fatto in passato. L’automazione e la possibilità di fare tutto in self service, permette di ottimizzare anche investimenti dal punto di vista creativo”.

Come funzionerà praticamente Ad Studio? Come si realizza uno spot in 24 ore?

“Qualora le aziende non disponessero di un asset audio, la campagna viene prodotta tramite  piattaforma,  caricando il copy (la sceneggiatura scritta) dello spot, con la possibilità di scegliere una voce e una musica poi mixate,  e nel giro massimo di quarantott’ore lo spot audio viene fornito da Spotify per essere utilizzato nella campagna adv. Dietro c’è un network di speaker e doppiatori e lo spot viene fornito gratuitamente, scegliendo la voce e il suono tra una library di generi musicali”.

Ad Studio – L’interfaccia semplice ed intuitiva

Il podcast, nuovo trend audio

Il pubblico italiano come risponde alle potenzialità audio, rispetto a quello internazionale?

“in termini di adozione di nuove tecnologie, sia il singolo utente che le aziende riescono a cogliere abbastanza rapidamente i trend e le opportunità. I numeri lo testimoniano, la piattaforma in Italia cresce in un modo significativo, non solo nell’audience, ma in termini di tempo speso e contenuti caricati. Tra gli esperimenti, abbiamo lanciato il primo podcast Spotify Original, prodotto da Spotify Italia con i The Jackal  per Sanremo, condensato in pochi minuti. Abbiamo avuto un riscontro di pubblico, in cima alla classifica dei più ascoltati in italia. Ciò che accade nella società e nel mondo reale è poi trasposto in contenuti audio”.

Spotify ha lanciato una nuova iniziativa in Usa spinta dal podcast di Obama e Bruce Springsteen. In Italia sarebbe immaginabile una simile operazione? I creator sono giovani o sono trasversali alle diverse fasce di età?

“C’è un segmento altissimo di titoli nuovi che compaiono in piattaforma, aumentano di centinaia di migliaia di mese in mese. Si va dai grandi publisher a chi ha qualcosa da dire, influencer creator, o chi è specializzato in qualsiasi disciplina. Il bello dei podcast che ha ampliato il range di contenuti, prima era solo musica. Coprono qualsiasi argomento: news, informazione, eventi di costume come Sanremo. Il targeting, il tracciamento, consentono comunicazioni efficaci, sulla definizione del mood: sapere chi ci sia dall’altra parte, che cosa stia facendo, se sia in auto o si stia allenando, con  caratteristiche socio-demografiche di utenti loggati alla piattaforma”.

Profiling, produzione dello spot e poi?

“Terzo aspetto la tecnologia avanzata, che permette di creare un’esperienza audio super immersiva. Si pensi al 3D o all’8D, che se ascoltato con auricolari o cuffie è ancora più coinvolgente. Per le aziende e tutte le industry è un’opportunità gigantesca, complementare alla strategia video. L’audio riempie i momenti della giornata in cui il video non è presente, quando si guida, ci si allena, si cucina”.

Musica, UX e bambini

Come può un singolo utente o un’impresa utilizzare la funzionalità Ad Spotify? 

“La piattaforma mette a disposizione tutte le informazioni, è user friendly. Basta usare l’applicazione da desktop o da smartphone, su Ad Studio, e seguire i vari step  per definire gli obiettivi della campagna, l’audience che si vuole raggiungere, il formato audio o video, o entrambi insieme. 1 minuto su 5 speso in piattaforma è passato sul video, sebbene siamo riconosciuti soprattutto per l’audio. Il quel 20% del tempo (su un totale di 2ore e mezzo al giorno trascorso su Spotufy), possiamo erogare messaggi advertising video, molto premium, a schermo pieno”.

Nessun testimonial in Italia per il lancio?

“Desideriamo comunicare la velocità di utilizzo e le caratteristiche tecnologiche. Il testimonial è la piattaforma in sé, che desideriamo diventi familiare a chiunque, con l’ambizione di diventare la piattaforma di comunicazione per l’audio di tutte le aziende, grandi e piccole”.

LEGGI ANCHE: Podcast revolution: raddoppia il consumo su Spotify

eToro verso la quotazione sul Nasdaq. Valutazione da 10,4 milioni

eToro si preparara a quotarsi in borsa. La piattaforma leader mondiale di social trading e brokeraggio multi asset si predispone all’IPO sull’indice tech Nasdaq con il simbolo FTVC, dopo aver annunciato la firma dell’accordo di aggregazione aziendale con FinTech Acquisition Corp V., il veicolo di acquisizione per scopi speciali (SPAC) di Betsy Cohen.

Alla chiusura della transazione, la società che aggrega i due business opererà con il nome di eToro Group Ltd. L’aggregazione con Spac, approvata all’unanimità dai due consigli di amministrazione, si concluderà entro il terzo trimestre del 2021. Si prevede per la società un valore netto implicito stimato di circa 10,4 miliardi di dollari al closing dell’operazione (con un enterprise value implicito per eToro di circa 9,6 miliardi di dollari).

LEGGI ANCHE: Halving Bitcoin: cos’è e come cambierà la vita di miner e investitori?

Trading semplice e trasparente: la mission eToro

“Sin dalla nostra fondazione, la visione di eToro è stata quella di aprire i mercati globali in modo che tutti avessero la possibilità di fare trading e investire in modo semplice e trasparente. Abbiamo sempre immaginato che, un giorno, gli investitori su eToro sarebbero stati in grado di investire in azioni eToro. Oggi abbiamo fatto un enorme passo avanti verso il raggiungimento di tale obiettivo. Siamo la principale rete di social investing al mondo e dominiamo il mercato. I nostri utenti vengono su eToro per investire, ma anche per comunicare tra loro, per vedere, seguire e copiare automaticamente gli investitori di successo di tutto il mondo”, sottolinea Yoni Assia, Chief Executive Officer di eToro.

eToro, fondata a aTel Aviv nel 2006, con sedi legali a Cipro, Israele, Regno Uniti, Stati Uniti ed Australia, è un social network per investimenti con oltre 20 milioni di utenti registrati da più di 100 Paesi, con una social community in rapida espansione in linea con i trend di crescita delle piattaforme di investimento digitale.

“Diventare una società quotata in borsa sosterrà la nostra continua espansione di entrare in nuovi mercati e la nostra offerta di prodotti innovativi per soddisfare le esigenze dei nostri clienti in continua evoluzione”,

afferma Yoni Assia. “Come società per azioni, continueremo a concentrarci sulla nostra missione di consentire alle persone di tutto il mondo di diventare investitori migliori – aggiunge – fornendo loro i migliori strumenti possibili per prendere decisioni di investimento informate e responsabili”.

E conclude: “La giornata di oggi rappresenta una pietra miliare per noi. Desidero esprimere la mia gratitudine per la passione, il duro lavoro, la spinta e la determinazione di tutti i membri del team eToro negli ultimi 14 anni che hanno contribuito alla crescita di questa realtà”.

Il 91% della proprietà sarà detenuta dagli attuali azionisti, investitori, dipendenti eToro

La nuova società nata dall’aggregazione, a fine terzo trimestre 2021 disporrà di una liquidità di 800 milioni di dollari, per finanziare progetti di crescita e sviluppo. Azionisti e dipendenti dell’azienda al momento rimarranno i maggiori investitori nella società aggregata, conservando circa il 91% della proprietà.

“Come pioniere nell’evoluzione delle Spac, Fintech Masala, la nostra piattaforma sponsor cerca aziende con una crescita fuori misura, controlli efficaci e team di gestione eccellenti ed eToro soddisfa tutti e tre questi criteri – evidenzia Betsy Cohen, presidente del Consiglio di amministrazione FinTech V – Negli ultimi anni, eToro ha consolidato la sua posizione come principale piattaforma di social trading online al di fuori degli Stati Uniti, ha delineato i suoi piani per il mercato statunitense e ha diversificato i suoi flussi di reddito. Ora si trova ad un punto di inflessione della crescita, eccezionalmente posizionata per capitalizzare questa opportunità”.

Il trend in crescita eToro e l’accelerazione della democratizzazione della finanza

Nel 2020, complice la pandemia e nuovi investitori che si affacciano al trading, eToro ha registrato una crescita del 147% rispetto all’anno precedente, con nuovi 5 milioni di nuovi utenti registrati e ricavi lordi per 605 milioni di dollari.

Trend positivo che continua anche nel 2021: solo nello scorso mese di gennaio sono stati più di 1,2 milioni i nuovi utenti registrati e boom di transazioni, con 75 milioni di scambi eseguiti su piattaforma su azioni, ETF, materie prime, forex e criptovalute, contro gli 8 milioni di scambi medi del gennaio 2019.

Tra i diversi asset su cui investire investire, eToro è una delle prime piattaforme regolamentate ad offrire criptovalute, consentendo agli utenti di fare trading in autonomia e in maniera diretta, con un semplice clic e senza costi aggiuntivi.

LEGGI ANCHERobinhood, la startup del trading online che piace ai ragazzi, vale già 5,6 miliardi

Stripe triplica il suo valore, valutazione record da 95 miliardi di dollari

Stripe, la piattaforma di gestione di pagamenti online, triplica il suo valore aziendale nell’ultimo anno e raggiunge una valutazione di 95 miliardi di dollari.

Se l’eCommerce guida le tendenze dei mercati finanziari globali, la società fondata a San Francisco nel 2010 dai fratelli irlandesi John e Patrick Collison, con la sua valutazione record rientra tra le start up private più preziose e di maggior successo della Silicon Valley senza essere quotata in borsa, complici i nuovi trend di pagamenti digitali incentivati dalla pandemia e dal Covid.

Con l’ultimo round di finanziamento, la società ha annunciato di aver raccolto 600 milioni di dollari da Allianz X, Axa, Baillie Gifford, Fidelity Management & Research Company, Sequoia Capital e National Treasury Management Agency (NTMA), raggiungendo i 95 miliardi di dollari.

Una valutazione che, secondo il Financial Times, ha superato gli 80 miliardi di Facebook prima di sbarcare in borsa e i 72 miliardi di Uber precedenti alla sua prima offerta pubblica IPO nel 2019, dietro solo ai cinesi ByteDance (180 miliardi) e Ant Group di Jack Ma.

Rispetto alle altre startup private, Stripe guida la piattaforma di trading Robinhood, che attualmente è valutata in 11,7 miliardi di dollari, con un enorme margine.

LEGGI ANCHE: New Space Economy, un’opportunità di business per le imprese

Verso l’espansione in Europa

Molte aziende, tra cui Amazon, Github, Yelp, Spotify e Uber, utilizzano le soluzioni Stripe per l’elaborazione dei pagamenti, con software di gestione semplice per integrare soluzioni di pagamento all’interno dei siti web, proprio come PayPal.

L’ultimo round di raccolta di capitali resterà a bilancio, in vista dei prossimi obiettivi di espansione, soprattutto verso i mercati europei, come evidenzia anche una nota stampa: “L’azienda utilizzerà i nuovi fondi per investire nelle iniziative europee – in particolare nel quartier generale di Dublino – per supportare la crescente domanda proveniente dalle grandi aziende del ramo Enterprise del Continente e per espandere la propria Rete Globale di Pagamenti e Tesoreria (GPTN)”. A ciò si aggiunge l’investimento in infrastrutture per sviluppare soluzioni di pagamento online per il prossimo decennio.

Dall’inizio della pandemia, Stripe ha aggiunto alla sua piattaforma circa 200 mila nuove compagnie in Europa tra quelle che utilizzano i suoi servizi, gestendo circa 5mila richieste al secondo.

Secondo il Bloomberg Billionaires Index, i fratelli Collison al momento vantano un patrimonio personale di oltre 11 miliardi di dollari ciascuno, che sembra destinato a crescere.

L’ascesa di Stripe

Dopo la creazione della start up nel 2010, i fratelli Collison nel giugno 2010 hanno ricevuto finanziamenti da Y Combinator, un acceleratore di start-up. A seguire, nel maggio 2011, un investimento di 2 milioni di dollari dai venture capitalist Peter Thiel, Sequoia Capital e Andreessen Horowitz. Lanciata ufficialmente al pubblico dopo un’estesa fase beta,  nel febbraio 2012, un investimento da 18 milioni di dollari guidato da Sequoia Capital con una valutazione di 100 milioni. Nel 2016, Stripe è stata valutata in oltre 9 miliardi. A settembre del 2019 ha raccolto 250 milioni di dollari in un nuovo giro di finanziamento raggiungendo un valore aziendale di 35 miliardi di dollari, fino all’attuale cifra del valore di 95 miliardi di dollari, che batte Facebook e Musk prima della loro quotazione in borsa.

LEGGI ANCHE: Canali di crescita per l’eCommerce Marketing nel 2021

customer experience

Customer Experience Design: strumenti concreti e metodi pratici per mappare le esperienze

Quando si parla di customer experience, si cita spesso il design delle esperienze e utilizza (appunto) in abbondanza la parola “design”. Una parola che può sembrare fuorviante e fuori luogo: siamo abituati a pensare al design in termini di progettazione di mobili o altri oggetti molto concreti.

Eccellenze passate e presenti italiane come Alessi, Fiorucci e Kartell hanno per esempio reso approcciabili e disponibili a una vasta fascia di popolazione globale oggetti dal design particolare, rinforzando fenomeni pop, culturale e di costume.

La realtà, però, è diversa: il design è progettazione, e qualsiasi cosa – più e meno tangibile – deve essere progettata. Si progettano incontri, presentazioni, eventi, feste e tanti altri fenomeni, e ciò rende tutti noi un po’ designer. In effetti, secondo David Butler e Linda Tischler, autori di Design to Grow:

Il design consiste nel connettere intenzionalmente elementi al fine di risolvere problemi.

Una progettazione consistente grazie al system thinking

Anche le esperienze di marca dunque possono (o meglio, devono!) essere progettate e disegnate, pur tenendo conto della loro eterogeneità di obiettivi. Elementi da non connettere in maniera disordinata, ma piuttosto integrata con un approccio sistemico chiamato di systems thinking.

Un caso emblematico è quello di Apple: seppur caratterizzato da diversi “pezzi”, alcuni dei quali non proprietari (per esempio, Nike+), il modello di business aziendale riesce a tenere tutti i suoi componenti strettamente collegati e connessi. Prodotti, device, processi, attori si uniscono a network in modo idiosincratico e unico, generando in tal modo un vantaggio competitivo sostenibile e capace di fare la differenza.

Nel design delle esperienze, tale approccio sistemico è garantito da un sistema esperienziale capace di collegare tra loro le due principali tipologie di elementi che compongono qualsiasi sistema, e che dunque esistono anche nel design di una customer experience:

  • Visibili: artefatti digitali, media e canali come un sito web, un’app, un contenuto, un device.
  • Invisibili: di origine profonda, come partnership, processi, cultura organizzativa, significati e valori di marca, etc.

Attraverso la giusta connessione tra elementi visibili e invisibili, il design diventa strategico per un’organizzazione quando aiuta la stessa a crescere – ovvero, se mal definito, se ne limita il successo e la competitività. Sempre più spesso, inoltre, la componente invisibile acquisisce importanza, verso la progettazione di sistemi valoriali complessi. Il design delle esperienze non è da meno, poiché le stesse esperienze non possono essere relegate solo a un semplice gesto creativo-estetico, oppure a una questione tattica con un orientamento di breve termine.

Non è un caso che esistano metodi di CX design capaci di guidare il progettista sui “giusti binari”. A proposito, il prosieguo dell’articolo passerò in rassegna alcune delle metodologie più utili al lavoro quotidiano del Customer Experience Manager.

L’evoluzione del customer journey mapping

Fino a poche decine di anni fa, i customer journey erano disegnati in funzione di modelli come AIDA, acronimo che riassume i quattro passi (attenzione, interesse, desiderio, azione) caratterizzanti il percorso dell’utente verso l’acquisto. Nonostante continui aggiornamenti, oggi tali modelli sono nella maggior parte inefficaci nel guidare i professionisti in modo adeguato.

Il principale limite sta nella linearità del processo, secondo cui l’acquisto da parte del consumatore è determinato da una serie di fasi precedenti, e conclude di fatto la dinamica del rapporto tra lo stesso e l’azienda. Già nel 2009 le ricerche e l’esperienza consulenziale di McKinsey su più di 20.000 utenti in tre continenti e per cinque settori hanno portato a suggerire un nuovo consumer decision journey in 4 fasi:

  1. Il consumatore prende in considerazione un portfolio iniziale di marche, in funzione delle percezioni personali e dell’esposizione ai diversi punti di contatto con il brand.
  2. Procedendo nella valutazione, il consumatore aggiunge o sottrae brand man mano che chiarisce le idee sui propri obiettivi di valore.
  3. Viene finalmente selezionata una marca al momento dell’acquisto.
  4. Le esperienze del consumatore con quanto acquistato arricchiscono il budget di informazioni che andranno a guidare le scelte nel successivo customer journey.

Sono modelli interessanti, che hanno il grande pregio di riconoscere un percorso più complesso – circolare e caratterizzato da interattività e sotto-percorsi – svolto dall’acquirente per arrivare all’atto di acquisto finale. Il problema forse maggiore deriva dal… nome del modello. Come notano Robert Rose e Carla Johnson nel loro libro Experiences, anche se i brand hanno in fin dei conti a cuore soprattutto la transazione che si completa possibilmente in una decisione di acquisto, il cliente – o meglio la persona – ha tutt’altro in mente Il centro del suo interesse sta nell’esperienza di acquisto, non nell’atto in sé. Traduco dai due autori e, nel caso di Robert, amici:

Il customer decision journey può essere circolare, ma se l’interesse risiede ancora nell’aspetto transazionale, si tratta solo di un funnel che si morde la coda. […] È l’esperienza che conta adesso, ed è sempre l’esperienza che genera il punto centrale del processo. Le persone possono essere fan accaniti, influencer di impatto, e advocate anche senza essere mai stati acquirenti – e magari senza diventarlo mai.

Le analisi di Robert Rose e Carla Johnson procedono parallelamente rispetto agli studi di Brian Solis – oggi Chief Innovation Evangelist di Salesforce – insieme agli ex colleghi di Altimeter sull’evoluzione del customer journey influenzato dal paradigma esperienziale, che hanno portato alla definizione del dynamic customer journey.

Un customer journey “social” insomma, che risente fortemente dell’impatto della Generazione Connessa nelle interazioni con l’azienda. A ogni passo – in particolare dopo avere acquistato e testato il prodotto o servizio – l’utente condivide l’esperienza con le proprie cerchie di amici, follower e contatti.

Esperienze che diventano “atomi informativi” cruciali per orientare le decisioni di acquisto e preferenza di tutti i nodi appartenenti al rispettivo network di contatti. Si generano i “circoli di fiducia” tra persone (circle of trust) attraverso le interazioni digitali. Ecco perché al centro del dynamic customer journey risiede l’influence loop: le esperienze di acquisto e consumo si trasformano in information experience e diventano di importanza cruciale, posizionandosi come contenuti digitali (thread di forum, articoli di blog, post social, recensioni, etc.) online e incidono nella valutazione di altri individui.

Quale è la soluzione per allinearsi con successo al nuovo customer journey dinamico? Occorre organizzare le esperienze di contatto con il proprio pubblico attraverso un approccio proattivo, per evitare sorprese in termini di passaparola negativo e contenuti che ne possono mettere in crisi la reputazione del prodotto, del progetto o addirittura dell’azienda. In altre parole, ciò che le persone esperiscono e desiderano condividere al momento della loro interazione con la marca non è casuale, ma rientra in un disegno più complesso e complessivo di architettura esperienziale.

I customer journey non sono però tutti uguali. Possiamo individuare infatti almeno tre principali tipologie:

  • Impulsive journey: percorsi di scelta e acquisto dove il tempo speso a cercare informazioni è molto limitato. Le esperienze pregresse, i consigli di amici e parenti, la possibilità di testare gli stessi prodotti e la modalità con cui gli stessi sono proposti diventano variabili determinanti per accelerare la decisione finale. Tipiche frasi di persone tendenti ad azioni impulsive suonano così: “… adoro i prodotti con un bel packaging. Quando voglio acquistare, non cerco informazioni in rete. Mi basta chiedere agli amici e procedere all’acquisto al reparto cosmetici…
  • Balanced journey: presentano una componente importante (a livello di tempo, sforzo, materiale preso in considerazione, etc.) di ricerca delle informazioni necessarie per decidere e acquistare. Le emozioni positive attivano la volontà della persona, la quale raffina le proprie scelte attraverso valutazioni cognitive più approfondite. Sono vagliate diverse fonti, così come sono attivati meccanismi di webrooming (l’acquisto in negozio di un prodotto studiato e vagliato prima in rete) e showrooming (l’acquisto online di un prodotto verificato in precedenza in negozio). L’intervento di modelli aspirazionali – sia all’interno della cerchia dei propri amici e conoscenti che proveniente dallo star system – e di stimoli pubblicitari / promozionali riesce spesso a “rompere” l’equilibrio del balanced journey, convincendo il potenziale acquirente con meno informazioni e in un tempo più limitato: “mi piace guardare i blogger e gli youtuber. I prodotti che utilizzano sembrano interessanti ma le informazioni consistono solamente in una breve recensione. Utilizzo Google per ulteriori approfondimenti dai blog. A volte utilizzo anche gli store online per le referenze sui colori disponibili e le valutazioni di prodotto. Appena analizzato il campione e se esiste la disponibilità di un negozio nelle vicinanze, ci vado per provarlo da sola. Altrimenti, percepisco un rischio maggiore e prendo più tempo nel valutare se dovrei davvero acquistare il prodotto. Spesso chiedo anche consiglio agli amici….”.
  • Considered journey: presentano una fase di pre-shopping dilatata, dove chi deve acquistare non si percepisce in questa situazione ma piuttosto come una persona che cerca informazioni sul prodotto da una moltitudine di fonti (news, amici, blog, recensioni, etc.), le quali vanno a comporre il proprio database personale. Esso viene utilizzato nel momento in cui si palesa il bisogno o la voglia di acquisto. Ecco la citazione di una condizione realmente vissuta da una shopper: “normalmente, quando ho un momento libero, leggo forum e bachece e guardo video YouTube anche senza volere.

L’experience scorecard, un valido strumento per ponderare le variabili esperienziali

La mappatura dei customer journey può essere raffinata anche attraverso l’experience scorecard: un metodo semplice ma utile per avere un quadro immediato di un’esperienza sia al momento della sua progettazione che in fase di valutazione e ottimizzazione.

L’experience scorecard è fondata su due principali assi: sulle x devono essere elencati i plus che, secondo il progettista, rendono l’esperienza efficace e di successo per chi la vive (SuccEx). Sull’asse delle y sono invece elencate tutte le dimensioni (DimEx, per esempio i diversi touchpoint, i trigger, etc.) che compongono la stessa esperienza. Il risultato è una matrice come quella che segue.

Una variante introduce un peso per ciascuno dei plus inclusi (eventualmente prevedendo una scala numerica, per esempio da 0 a 10) in funzione dell’importanza o meno assegnata a ciascuno dal progettista di CX. Scopo della experience scorecard è quello di raccogliere feedback e suggestioni dai partecipanti all’esperienza – attraverso survey, focus group, analisi netnografiche, etc. – andando a riempire le singole celle della griglia e comprendendo così se le singole dimensioni esperienziali sono state capaci di “coprire” adeguatamente e palesare i plus dell’esperienza.

Mappare le esperienze in quanto storie

Lo sappiamo: all’interno delle organizzazioni possono emergere numerose idee innovative per creare esperienze coinvolgenti. Ma molte vengono scartate o comunque si arenano, per diverse ragioni più e meno note. Tra queste una ha particolare peso: l’assenza di una metodologia per vagliare le idee prima che esse siano implementate. Incertezze su questo piano possono indurre spesso le imprese ad abbandonare le idee sul nascere. Per risolvere questo limite, Rose e Johnson propongono il metodo dello story mapping: un percorso strutturato per creare e mappare le idee, valutandone il potenziale narrativo in modo preciso e ragionato.

Lo story mapping è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali è ulteriormente articolata al suo interno, come segue:

  1. Il PERCHÉ – ovvero la mission relativa al contenuto dell’esperienza. Si tratta di definire:
  • perché l’esperienza che l’azienda può offrire ha un valore
  • per chi tale esperienza avrà un valore, e per quali ragioni
  • per quali aspetti tale esperienza è unica e diversa da quelle che offrono i concorrenti.
  1. Il COSA – ovvero gli obiettivi di business. Rispetto ai quali occorre indicare:
  • come si configura il successo dell’iniziativa, e come contribuirà al business
  • quali sono esattamente gli obiettivi di business e quanto ci vorrà per raggiungerli
  • in che modo l’esperienza si integrerà nella strategia di business
  1. La STORY MAP – ovvero lo sviluppo dell’esperienza per fasi nel corso del tempo. Che comporta di focalizzare e chiarire:
  • il percorso narrativo, cioè come gli elementi della storia verrano introdotti via via
  • come si potrà dimostrare il successo dell’iniziativa nel raggiungere i suoi obiettivi di business
  • come si bilanceranno esattamente i suoi aspetti di contenuto
  • come verranno utilizzati i vari canali nel corso del tempo

Lo schema fornisce un buon supporto pragmatico al vaglio delle idee, specie quando durante i processi creativi si è passati attraverso diversi momenti di brainstorming che hanno prodotto molte idee tra le quali non si sa quale scegliere. Una mappa che impone di riflettere su una serie di livelli differenti, tutti pertinenti al modo in cui un’esperienza – e la sua storia – possono essere costruite per rispondere alle esigenze strategiche di business.

All’interno del terzo momento di definizione della story map, la voce relativa al bilanciare gli aspetti di contenuto rimanda ai quattro archetipi del Content Creation Management ritenuti di grande aiuto in relazione all’esigenza di categorizzare il contenuto.

  • Promoter: è il contenuto che descrive i propri prodotti e servizi, evidenziando come essi possono soddisfare bisogni e desideri dei customer, promuovendone il valore e lanciando delle call to action;
  • Preacher: è il contenuto che evangelizza il valore dell’esperienza, inducendo a farne la scoperta, ed elevando awareness e engagement di nuovi segmenti di audience;
  • Professor: è il contenuto che soddisfa gli interessi e le passioni dell’audience, dimostrando competenza e autorevolezza, sottolineando il significato dell’esperienza, e con questo educando il pubblico;
  • Poet: è il contenuto che comunica gli aspetti emozionali dell’esperienza, e mira a fare in modo che l’audience provi dei sentimenti particolari, diversi da quelli consueti, inducendo a cambiare la propria prospettiva.

Questi quattro archetipi corrispondono a quattro modalità in cui l’esperienza può essere vissuta: ognuno può avere una sua ragion d’essere in rapporto a una determinata iniziativa. L’essenziale è essere in grado di calibrarli dando maggior peso all’uno o all’altro nelle varie fasi di sviluppo della Story Map, tenuto conto dei suoi caratteri e scopi specifici.

Come scegliere il giusto metodo?

Non esiste un metodo più o meno corretto per mappare e analizzare le esperienze. Tutto dipende dagli obiettivi del progetto, dal budget, dalle competenze al tavolo e da una miriade di altri fattori.

Un ulteriore elemento che ti suggerisco di esplorare, è l’utilizzo sinergico di più metodi per il tuo customer experience management: potresti ottenere risultati sorprendenti!

Cina, l’Antitrust valuta sanzione record per il gigante del fintech Alibaba

La Cina progetta di domare il gigante tecnologico Alibaba Group Holding Ltd., società fondata dal magnate Jack Ma, versione cinese di Amazon.com Inc.

Secondo alcune fonti, l’Autorità di regolamentazione cinese starebbe ipotizzando anche la cessione di alcuni asset aziendali non legati alla vendita online, oltre alla multa, la più alta nella storia della Cina, che supera i 975 milioni di dollari, cifra che Qualcomm Inc. ha pagato nel 2015 per pratiche anticoncorrenziali.

Alibaba sarà tenuta, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, a porre fine a una pratica che è stata soprannominata “er xuan yi” – letteralmente “scegli uno su due” – in base alla quale, secondo i regolatori, il gigante della tecnologia ha punito alcuni commercianti che vendevano beni su entrambe le piattaforme, Alibaba e le sue rivali come JD.com.

La Cina ridimensione le spinte monopolistiche dei giganti del fintech

Pechino sarebbe determinata, infatti, a combattere le tendenze monopolistiche di gruppi privati, le cui piattaforme di vendita online sono utilizzate da centinaia di milioni di cinesi.

Nel mirino del regime cinese, da oltre un anno insieme alla sua società Ant Group., Jack Ma, l’uomo d’affari più famoso in Cina, con un patrimonio valutato in 58 miliardi di dollari, che nel 1999 ha fondato la società di eCommerce Alibaba in un appartamento di Hangzhou con pochi soldi presi in prestito da amici, dopo un viaggio negli Stati Uniti, intuendo l’opportunità dello scambio di merci online.

alibaba

Jack Ma, founder e ceo di Alibaba

L’ascesa del magnate Jack Ma, oggi nel mirino del regime cinese

Da lì una veloce ascesa per il fondatore Jack Ma, simbolo in Cina del self made man, pioniere del pagamenti elettronici da smartphone, con il servizio Alipay.

L’azienda di e-commerce dovrà affrontare un trattamento più delicato rispetto alla sua affiliata Ant Group Co, a condizione che prenda le distanze da Jack Ma.  I regolatori cinesi si sono già scontrati duramente con Ant, che considerano un rischio per il sistema finanziario, costringendola a fare cambiamenti che ne ostacoleranno gravemente prospettive.

Alibaba, tuttavia, sembra destinata a un trattamento più delicato. Secondo alcuni funzionari, Pechino non vorrebbe schiacciare una centrale tecnologica popolare sia tra le famiglie cinesi che tra gli investitori globali, a patto che si dissoci dal suo fondatore e si allinei più strettamente con il Partito Comunista.

L’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato, non prevede misure tese a paralizzare l’azienda, le cui attività includono vendita al dettaglio online, intrattenimento, media e cloud computing. A differenza di Ant, che le autorità di regolamentazione individuano come “un disgregatore e una minaccia alla stabilità del sistema finanziario”, Alibaba è considerato l’orgoglio della Cina, una vetrina per l’innovazione tecnologica, vitale per l’economia della nazione. L’anno scorso circa 780 milioni di consumatori cinesi, ovvero metà della popolazione del paese, hanno effettuato acquisti tramite le piattaforme dell’azienda.

Adesione all’agenda politica della Cina e correzione comportamento anticoncorrenziale

Duplice sfida per Alibaba: correggere il comportamento anticoncorrenziale asserito dalle autorità di regolamentazione e aderire all’agenda politica del governo. La pressione riflette la volontà della leadership del presidente cinese Xi Jinping di imporre prerogative stataliste sull’economia.

Un’incertezza normativa che sta destabilizzando Alibaba, le cui azioni, quotate a New York e Hong Kong, hanno perso più di 200 miliardi di dollari, ovvero un quarto del loro valore di mercato, dalla fine dello scorso anno dagli inizi della repressione dei leader cinesi nel riconfigurare il proprio rapporto verso i giganti hi-tech del Paese, sottolineando la “preoccupazione per la sicurezza nazionale” per l’enorme posse dei dati, gli enormi profitti e gli effetti in tutti gli aspetti della vita cinese.

Lo stato sostiene l’innovazione e lo sviluppo delle società di piattaforme”,

ha affermato lo scorso 5 marzo il premier cinese all’apertura del Congresso Nazionale del Popolo, evidenziando tuttavia che i giganti dell’innovazione dovranno, allinearsi con lo stato sostenendo cause come l’alleviamento della povertà.

Obiettivo, quindi, impedire alle grandi aziende tecnologiche di monopolizzare il credito e le altre risorse, rafforzando gli sforzi antimonopolio e prevenire l’espansione disordinata del capitale”.

Alibaba in valore finanziari: transazioni per 1 trilione di yuan

Il valore totale delle transazione della merce venduta tramite le piattaforme online cinesi di Alibaba, secondo l’azienda, consiste in 1 trilione di yuan (circa 153,7 miliardi di dollari) secondo le proiezioni al 31 marzo, chiusura dell’anno fiscale.

Con oltre 110.000 dipendenti, Alibaba vanta un’attività di intelligenza artificiale in rapida espansione ed è uno dei principali fornitori cinesi di cloud storage, settori considerati fondamentali per il futuro della Cina (core commerce 62 miliardi; cloud computing 5,7 miliardi; media digitali e divertimento 3,8 miliardi di dollari; tot 949 milioni per l’anno fiscale che termina il 31 marzo 2020).

Secondo le persone vicine all’azienda, l’ufficio personale di Jack Ma avrebbe sospeso la maggior parte delle interazioni con il Comitato centrale del partito con cui era in contatto regolare. Il dipartimento di pubbliche relazioni di Alibaba avrebbe istituito un ufficio per definire un’immagine pubblica che molti regolatori hanno considerato arrogante.

Nel 2015, pochi mesi dopo che Alibaba è stata quotata in borsa alla Borsa di New York in quella che all’epoca è stata considerata la più grande vendita di azioni al mondo, il principale regolatore di mercato cinese ha criticato i suoi sforzi per eliminare le merci contraffatte dalle sue piattaforme.

LEGGI ANCHE: Jack Ma: 15 frasi celebri del founder di Alibaba. E quel video finale, sui sogni

Presidente cinese Xi Jinping

Il conflitto tra Jack Ma e il Partito

Un primo accenno che Jack Ma stesse perdendo il favore di Pechino è arrivato alla fine del 2018, quando il presidente cinese Xi Jinping ha invitato circa 50 imprenditori (tranne Jack Ma) a confutare le critiche secondo cui le sue politiche stessero danneggiando il settore privato. Il gruppo includeva Pony Ma, fondatore di Tencent Holdings Ltd., rivale di Alibaba e proprietario della popolare app WeChat; Robin Li, capo del motore di ricerca Baidu Inc.; Lei Jun, co-fondatore del produttore di smartphone Xiaomi Corp, sottolineando successivamente la missione dell’autorità cinese di trasformare la Cina in una “potenza di Internet“.

Un rapporto divenuto più conflittuale nel maggio del 2020 quando l’Amministrazione cinese per il cyberspazio ha sottolineato in un report, indirizzato alla leadership cinese, quanto Alibaba avesse usato “il capitale per manipolare l’opinione pubblica“.

Autorità e i rivali convinti, quindi, che Alibaba stia usando le sue partecipazioni nei social media, nelle società media e nel suo dipartimento di pubbliche relazioni, per fare pressione contro le politiche governative.

Intanto Jack Ma, scomparso dalle scene dopo il forum economico di Shanghai del 24 ottobre scorso, in cui aveva pesantemente criticato  il sistema bancario cinese, ha già gradualmente ridotto la sua partecipazione in Alibaba, detenendo meno del 5% a luglio. Si è ritirato da presidente di Alibaba nel 2019, sebbene abbia mantenuto un’influenza significativa sull’azienda. Rimane l’azionista di controllo di Ant.

Alla fine gennaio, è riemerso in un video pubblicato online da Tianmu News, in dialogo con gli insegnanti rurali in un evento filantropico. Alibaba ha venduto con successo le sue obbligazioni all’inizio di febbraio. Una parte dei proventi, ha detto la società, sarà utilizzata per progetti che coinvolgono “edifici verdi, in risposta alle crisi Covid-19, energie rinnovabili“, tutte priorità del governo.

Le sfide future per Alibaba

Alibaba dovrà ancora affrontare delle sfide. Una legge sulla sicurezza dei dati potrebbe costringerla a fornire i dati dei consumatori al governo centrale. La società ha ricevuto di recente un certificato governativo che lo riconosce come un “modello” per sradicare la povertà. Nel frattempo, Jack Ma è stato escluso da un elenco di dirigenti d’azienda compilato dallo Shanghai Securities News controllato dal governo. Il messaggio che la Cina vuole trasmettere è di seguire non l’uomo, ma il Partito.

LEGGI ANCHE: La Cina ridimensiona i giganti fintech e intanto Jack Ma torna in un video

Royal Family, la gestione della crisi analizzata dagli esperti italiani

Come si gestisce una comunicazione di crisi, soprattutto quando la protagonista è Sua Maestà Queen Elizabeth, in risposta all’accusa di razzismo emersa nel corso dell’intervista di Harry e Meghan ospiti di Oprah Winfrey e rimbalzata alle cronache mondiali?

Qual è la strategia di “brand” di Buckingham Palace per ridimensionare l’insinuazione di razzismo? Soprattutto, cosa significa veramente il discorso della Regina che, lontano da ogni tradizione, sorprende e rilascia una delle sue dichiarazioni più personali e intense, sottolineando la sua più “profonda tristezza”?

Dal testo dello “statement”, dal ripetersi costante del termine “family” all’interno del comunicato ufficiale della casa reale, al pathos emozionale della regina che sveste il suo ruolo ufficiale per assumere quello di nonna: noi di Ninja abbiamo deciso di decifrare la comunicazione e di allargare l’analisi al contributo delle più influenti esperte di relazioni pubbliche in Italia, per comprendere come sia possibile gestire una comunicazione di emergenza travolgente.

Comprendere, inoltre, i retroscena e i sottintesi nascosti, come il rivolgersi ad Harry e Meghan chiamandoli per nome: scelta, questa, che secondo i più validi commentatori britannici potrebbe insinuare il dubbio della perdita per la giovane coppia, dei titoli reali come Duca e Duchessa di Sussex, pur restando “sempre membri della famiglia molto amati“.

Lo Statement

Se gli esperti concordano sul messaggio di amore e sostegno di una nonna devota che si rivolge al suo amato nipote, come evidenzia tanta stampa britannica, molti in realtà credono che offra più domande che risposte.

Una comunicazione ufficiale che non lascia irrisolta l’accusa di razzismo, espressa in quella “preoccupazione su quanto sarebbe stato scuro il colore della pelle di Archie” di un componente della royal family, evidenziata da Meghan durante lintervista con Oprah Winfrey, andata in onda domenica negli Stati Uniti, con record di ascolti (17,1 milioni, in base ai dati preliminari Nielsen) e seguita da circa 11,1 milioni di britannici sintonizzati in diretta.

“Le questioni sollevate, in particolare quella della razza, sono preoccupanti – afferma la Regina – Sebbene alcuni ricordi possano variare, vengono presi molto sul serio e saranno affrontati dalla famiglia in privato”.

LEGGI ANCHEAddio alla corona: ecco come hanno reagito i brand alla #MegExit

Il “comunicato Windsor capolavoro” e la demolizione dell’operazione Markle-Winfrey

“La capacità della Regina Elisabetta di crisis management sono note e possono poggiare su oltre mezzo secolo di esperienza. Dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, dalla Thatcher a Diana, tante volte la Corona è stata al centro delle polemiche, ma l’inossidabile Regina è sempre riuscita ad uscirne fuori con rinnovato vigore”, evidenzia Valentina Fontana, partner Visverbi.

Un “comunicato Windsor capolavoro”, per come ha accolto e, quindi, placato sul nascere le polemiche nate dall’intervista di Meghan Markle con Oprah Winfrey.

“Sì c’era anche Harry, ma come attore non protagonista. Per l’ennesima volta sono state le donne a mettere in crisi la Casa Reale. Stavolta con l’accusa più difficile da gestire, quella di razzismo, che colpisce al cuore una Casa reale storicamente non esente da colpe su un tema tanto doloroso e divisivo – continua Valentina Fontana -Così, aver accolto le critiche e garantito che sul razzismo non vi è discussione nemmeno a Corte, la Regina Elisabetta è riuscita a parare l’accusa da un punto di vista personale. Il resto è stato lasciato nelle mani della stampa britannica e non solo, molto solerte nella demolizione dell’operazione Markle-Winfrey e nella ridicolizzazione di Harry. Un doppio binario di comunicazione che se non può in alcun modo attutire lo scandalo, potrà nel tempo riassorbirlo. In fin dei conti già il padre di Elisabetta ebbe un problema con un’americana, per giunta divorziata e per la quale il fratello di Re Giorgio, padre di Elisabetta, abdicò al trono. La storia si ripete. E a volte come farsa. Vedremo se questa volta Karl Marx ci prende”.

Valentina Fontana

Lo storytelling esemplare di Oprah

Si muove da un altro punto di vista l’analisi di Elettra Zadra, Founder & Ceo di Elettra Pr, analizzando lo scontro tra codici di comunicazione molto diversi tra loro che rispondono ad esigenze differenti e lo storytelling esemplare come solo una maestra della narrazione come Oprah poteva fare.

“Lo scontro tra codici vede da un lato il complesso protocollo comunicativo della Monarchia il cui “never complain never explain” è da anni in contrasto con un mondo dell’informazione fortemente mutato che riempie i vuoti con speculazioni incontrollate e talvolta incontrollabili; dall’altro due membri della Casa Reale che hanno scelto il mondo delle celebrity hollywoodiane come palcoscenico della propria vita”, esordisce Elettra.

Mondi, al netto di pregi e di difetti, con esigenze comunicative inconciliabili tra loro. Per le celebrity l’immagine è tutto. La crescita e il mantenimento della notorietà è parte del proprio lavoro e non può prescindere da una strategia di comunicazione che tenga conto degli obiettivi e della fase in cui si trova la propria carriera.

Meghan e Harry hanno firmato contratti milionari con Netflix e Spotify che avranno bisogno di fare grandi numeri, la qual cosa necessita che, nel bene o nel male, di loro si parli molto. Meghan questo lo sa bene e Oprah è la migliore maestra che si possa desiderare. Per la Monarchia, invece, la comunicazione è una questione estremamente complessa così come lo è l’istituzione nella sua interezza. L’esigenza di mantenere alto il posizionamento impone codici molto rigidi che saranno sempre inconciliabili con i tempi della comunicazione contemporanea, ma la ricerca di un nuovo e adeguato equilibrio è oggi la sfida più grande che devono affrontare e vincere i comunicatori della Corona”.

La breve e concisa risposta della Regina Elisabetta imposta dalla forza mediatica dell’intervista e dalla gravità delle accuse ha già qualcosa di innovativo: “La rapidità, la risposta è stata veloce rispetto agli standard – spiega Elettra – l’empatia che rivolta in primis verso Meghan e Harry per la sofferenza vissuta ha lo scopo di raggiungere anche tutti coloro che sono vittime di razzismo che si aspettano dallo Stato interventi forti in loro difesa e, infine, la rassicurante  fermezza di riportare la cosa sotto un apparente controllo, dentro le mura di Buckingham Palace. Gli inglesi si sono già schierati con la Regina, il mondo con Meghan e Harry, i codici di comunicazione hanno già ottenuto parte del risultato atteso, Oprah lo sapeva e ancora una volta ha fatto la differenza”.

Elettra Zadra

Così un brand come la monarchia inglese gestisce le sue crisi

“L’intervista di Harry e Meghan Markle rilasciata a Oprah, la regina indiscussa dei talk a stelle e strisce, è una delle controversie comunicative più affascinanti degli ultimi anni, forse decenni”, commenta Francesca Caon, autrice del libro “I dieci comandamenti delle PR”.

Controversa per un gran numero di motivi. Innanzitutto per il seguito stratosferico della conduttrice americana che garantisce, per sua stessa natura, il fuoco della discordia tanto caro al pubblico. In secondo luogo perché ad essere al centro della bufera mediatica non è una famiglia qualunque, ma la dinastia britannica che produce re e regine da centinaia di anni.

“Un vero e proprio brand, quello della monarchia, che siamo stati abituati a conoscere attraverso apparizioni ufficiali, merchandising, serie televisive fortemente orientate alla celebrazione e un rebranding in chiave pop particolarmente riuscito – spiega Francesca Caon – Con l’intervista ad Oprah si è aperto uno spiraglio più intimo, che al di là della veridicità delle dichiarazioni ci porta nel dietro le quinte di un mondo antichissimo e altrimenti chiuso in modo ermetico, perfettamente sigillato dietro la facciata delle sue ritualità”.

Ad aumentare la pressione su Buckingham Palace è senza dubbio il filone narrativo del razzismo ai danni di Meghan e Archie, condito dai timori circa la pelle scura di quest’ultimo, e vero leitmotiv di tutta l’intervista a CBS.

“La risposta della regina Elisabetta si è fatta attendere, quanto basta per generare attesa, ed è di grande interesse la scelta comunicativa di non firmare il primo comunicato stampa ufficiale redatto dallo staff. Una grave crisi reputazionale come questa (non la prima affrontata dai Reali inglesi, a dire il vero) richiede una strategia netta ma misurata, protettiva ma anche accomodante e in un qualche modo calda, cioè non macchiata da toni impersonali”.

Le difficoltà vissute dalla coppia, quelle che hanno costretto Harry e Meghan a ritirarsi in California, diventano così fonte di tristezza “nell’apprendere fino in fondo quanto siano stati difficili gli ultimi anni per loro”.

“Con grande genialità le accuse di razzismo vengono al tempo stesso ridimensionate, se non negate in toto, eppure prese tremendamente sul serio, ma affrontate in privato”.

La regina getta quindi una luce opaca sulla concretezza delle accuse, puntando il dito contro le versioni discordanti circa l’accaduto, ma mostra al contempo una profonda coscienza sociale nei riguardi di una tematica che lei stessa definisce “preoccupante” perché tuttora attualissima e molto sentita dalla popolazione.

“E poi la formula di chiusura che, sebbene intrisa di cortesia formale, rende la Royal Family difficilmente attaccabile: ‘Harry, Meghan e Archie saranno sempre membri della famiglia e molto amati’. Scacco matto al re, anzi, al duca di Sussex“.

Francesca Caon

LEGGI ANCHEIl debutto su Instagram della Regina Elisabetta è un successo che fa concorrenza ai più quotati influencer

Milano Digital Week 2021. Il digitale da bene essenziale a bene comune

Sostenibilità, uguaglianza, diritti ed inclusione: sono i quattro asset intorno a cui si sviluppa la quarta edizione di Milano Digital Week, in programma dal 17 al 21 marzo in modalità esclusivamente online.

Un format rinnovato, ispirato al tema della “Città Equa e Sostenibile”, in riferimento a Milano che si propone come “laboratorio di transizione sostenibile”.

“Milano Digital Week vuole raccontare, far vivere e testimoniare sui temi della digitalizzazione”,

esordisce Roberta Cocco, Assessora alla Trasformazione digitale e Servizi civici del Comune di Milano, nel corso della conferenza stampa streaming di presentazione.

Ripartire, quindi, dalla riflessione sulla trasformazione digitale in atto nel nostro Paese e nel mondo, determinata dalla crisi pandemica e dal conseguente lockdown, che ha rivoluzionato il modo di vivere, di lavorare, di relazionarsi.

In programma 650 eventi gratuiti

Cinque giorni di confronto sul digitale, che diventa elemento di connessione sociale, economica, ambientale, ma anche veicolo di cambiamento epocale e acceleratore di processo (con focus su educazione, lavoro, diritti e uguaglianza digitale, arte, musica, cultura tech, sviluppo sostenibile e ambiente).

Oltre 650 eventi online, di cui 400 proposti da aziende e privati che hanno risposto alla call pubblica lanciata a dicembre (divisi per i quattro cluster tematici), più di 200 speaker, più di 150 tra conferenze, webinar, talk e lectio magistralis per la manifestazione promossa dal Comune di Milano – Assessorato alla Trasformazione digitale e Servizi civici – e realizzata da IAB Italia, Cariplo Factory e Hublab, con il sostegno del main partner Intesa Sanpaolo.

“Un numero di eventi oltre ogni aspettativa – insiste l’assessore Roberta Cocco –  La modalità streaming ci permette di raggiungere una platea più ampia superando eventi fisici. Eventi ed iniziative saranno presenti on demand, per cui ogni spettatore potrà costruire e personalizzare il proprio palinsesto e creare una propria digital week. Leitmotiv sarà dimostrare che il digitale è strumento di inclusione”.

Opening. Data Language | Il Linguaggio dei dati

Ad inaugurare l’intenso programma della Milano Digital Week l’opening conference sul linguaggio dei dati, in cartellone mercoledì 17 marzo alle 18, per presentare la strategia Data-driven di Milano, che culminerà nell’anteprima della Dashboard della Città, con l’intervento del  sindaco Giuseppe Sala e di Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale.

Non solo sfida dell’innovazione, ma anche dei diritti digitali. “Si parla di integrazione di dati, ma è essenziale garantire protezione e sicurezza informatica ai cittadini. Negli ultimi 12 mesi abbiamo imparato che il digitale è essenziale come strumento di inclusione e sostenibilità. Deve essere un diritto, una delle condizioni indispensabili della ripartenza”, conclude l’assessore.

Digitale per unire, come evidenzia Carlo Noseda, presidente IAB italia: “L’evoluzione tecnologica ha consentito la business continuity, ha reso possibile il reinventarsi di molte realtà imprenditoriali, ma anche ai bambini di imparare a distanza. Se in parte   ha unito, è stato però anche motivo di divisione. Nel 2021 dobbiamo colmare il divario digitale, non cittadini di serie A e di serie B, ma occorre un digitale al passo con la tecnologia, eccellente per tutti”. E aggiunge: “In futuro sogniamo un’Italia Digita Week”.

eventi digitali di design

Educazione digitale e re-skilling

Nuove competenze, skilling e re-skilling, ma anche favorire un passaggio di conoscenza tra le generazioni: sono alcuni degli obiettivi dell’iniziativa che coinvolge istituzioni, università, centri di produzione del sapere, luoghi di informazione e di ricerca, associazioni e aziende, start up, realtà piccole e grandi.

Insieme tutti gli attori della trasformazione digitale, uniti per far conoscere ai cittadini (e non solo agli esperti del settore ) il proprio know-how e i vari volti di una città che, anche attraverso il digitale, sta cercando con determinazione di raggiungere un nuovo punto di equilibrio.

Si sofferma sul concetto di creazione di valore a favore di un sistema più sostenibile, oltre il tradizionale paradigma dell’economia lineare, Carlo Mango Consigliere Delegato Cariplo Factory: “Durante la crisi economica e sociale degli ultimi mesi, cittadini e imprese hanno toccato con mano quanto il digitale sia uno strumento di inclusione e partecipazione. Milano Digital Week punta a inquadrare la trasformazione digitale in una prospettiva di sviluppo equo e sostenibile, per privilegiare la condivisione, il riuso e il riciclo. Se è vero che le crisi rappresentano anche un’opportunità, sono l’occasione per sfruttare il potenziale della trasformazione digitale per creare un modello di crescita orientato all’interesse collettivo”.

Oltre all’hackathon in programma per l’opening innovation, MDW sarà anche l’occasione per il lancio del progetto “Digitarsi” organizzato dalla fondazione Cariplo Factory, con un budget di 800mila euro destinato a percorsi educativi degli studenti delle scuole superiori.

LEGGI ANCHE: Mai come adesso c’è bisogno di persone in grado di cambiare

Le 4 lectio magistralis

E se la cultura ha visto chiudere i propri spazi fisici ed emozionale, la Milano Digital Week prevederà 4 lectio magistralis con autori di fama internazionale in una chiave globale su temi trasversali della sostenibilità e dei diritti legati all’evoluzione tecnologica:  dal mondo del digitale con Cass Sunstein, professore alla Harvard Law School e autore di “Come avviene il cambiamento” (Einaudi) che offre uno spaccato sulla società, sul ruolo cruciale delle norme sociali e sul loro frequente collasso (17 marzo ore 19.00). A seguire Alec Ross, consigliere dell’amministrazione Obama per l’innovazione e docente alla Columbia University, con la lectio “Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni” (Feltrinelli) tratteggia le prospettive dei prossimi anni per aiutarci a trovare il proprio posto nel nuovo mondo (18 marzo ore 19.00). Ece Temelkuran, giornalista attivista politica turca e autrice di “Come sfasciare un paese in sette mosse” (Bollati Boringhieri) che delineerà nel suo incontro come, in sette mosse, una nazione possa trasformarsi in una dittatura e come la digitalizzazione dell’informazione e i social media abbiamo giocato un ruolo fondamentale in questo processo (19 marzo ore 19.00). A chiudere Benjamin Labatut, saggista e scrittore cileno con una riflessione profonda sulla nascita della scienza moderna ispirata dal suo ultimo libro “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” (Adelphi), 20 marzo ore 19.00.

Sostenibilità e digitale da bene essenziale a bene comune

“Fin dalla sua prima edizione, nel 2018, Milano Digital Week ha cercato di unire tutti i puntini della città. Ha messo insieme tante esperienze e tanti attori, grandi e piccoli, aziende e individui, associazioni e Accademia, con caratteristiche differenti ma sempre orientati alla collaborazione e al confronto – commenta Nicola Zanardi, Presidente Hublab e curatore di Milano Digital Week – Il passaggio obbligato a un’edizione completamente digitale ha addirittura aumentato la sua biodiversità di competenze e anche di utopie – arrivando a quasi 700 eventi. Dobbiamo dire grazie a milanesi e non, che hanno continuato a dare il loro contributo di visione e intelligenza. A mettersi in rete, a guardare a uno sviluppo che è, prima di tutto, un passaggio di conoscenza alle generazioni successive, presupposto essenziale per mitigare ogni tipo di disuguaglianza. L’obiettivo rimane lo stesso: da bene essenziale, il digitale deve diventare sempre di più “bene comune”.

Il digitale, quindi, sempre più a servizio delle comunità. “Lo spirito che accompagna le numerose iniziative previste per questa edizione è proprio quello di rendere il digitale il più inclusivo possibile, perché diventi come l’acqua e l’elettricità: alla portata di tutti – spiega Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia – Una ripresa sostenibile non potrà infatti, che passare da una condivisione di conoscenze e dalla riduzione del divario digitale esistente sia tra Paesi sia all’interno dei confini nazionali, come all’interno delle città garantendo un più equo accesso a tutte le persone”.

LEGGI ANCHE: Sinapsi Digitali Intelligenza Artificiale, i trend 2021 di un mercato in fortissima crescita

Deliveroo, quotazione in borsa e fondo premio da 18milioni per i rider

Deliveroo, la piattaforma inglese leader dell’online food delivery, annuncia la propria quotazione alla Borsa di Londra, dopo l’aumento del giro d’affari provocato dalla pandemia, con una valutazione iniziale di oltre 7 miliardi di dollari, di cui una piccola quota riservata ai clienti. Nello stesso giorno dell’offerta pubblica iniziale (IPO) sarà lanciato, in contemporanea, il Fondo “Thank You Fund” da 18 milioni di euro (22,2 milioni di dollari) per ricompensare i rider che hanno realizzato un numero di consegne record.

La startup della consegna di cibo a domicilio, di cui Amazon detiene il 16%, rivela l’intenzione di premiare i riders con dei bonus che oscillano da 210 a 11.500 euro.

Il boom del delivery provocato dal lockdown sul bilancio finanziario

In occasione della comunicazione dell’imminente Ipo, la società divulga anche la performance finanziaria e operativa realizzata nel 2020 con il boom del delivery. Complice il lockdown e l’emergenza pandemica, Deliveroo ha registrato un aumento del 64% del valore lordo delle transazioni elaborate su piattaforma (GTV), con un salto da 2,5 miliardi nel 2019 a 4,1 miliardi di sterline (5,7 miliardi di dollari nel 2020). Il tasso di esecuzione (run-rate) del solo quarto trimestre 2020 ammonta ad oltre 5 miliardi di sterline. La forte crescita è stata stimolata da un aumento dei clienti attivi per mese e da un maggiore coinvolgimento della base di utenti, corrispondente a circa 6 milioni di consumatori attivi mensili, con un flusso in crescita costante.

«Oggi Deliveroo è molto più grande di quanto avrei mai pensato possibile – sottolinea il CEO Will Shu, fondatore della società – Stiamo costruendo cucine delivery-only (solo per le consegne), consegniamo prodotti alimentari, costruiamo strumenti per i ristoranti per portarli nell’era digitale. Nonostante tutto ciò che abbiamo realizzato, crediamo davvero di essere ancora all’inizio”.

E aggiunge: “Molte cose sono cambiate da quando abbiamo intrapreso la nostra attività otto anni fa, nel 2013, ma due cose restano costanti: l’essere focalizzati sempre sul cliente e su tutto ciò che riguarda il cibo”.

Will Shu

LEGGI ANCHE: Da passatempo a strumento utile: come sono cambiati uso e percezione delle app durante la pandemia

I conti in rosso e la valutazione ‘eccessiva’ da 7miliardi

Nel corso dell’anno, Deliveroo ha ridotto le perdite a 223,7 milioni di sterline, rispetto ai 317 milioni del 2019, sollevando tuttavia dubbi rispetto alla sua valutazione da 7 miliardi di dollari, “eccessiva per un’azienda che è ancora a molti anni dal profitto”, come  evidenzia la Warwick Business School. E, soprattutto, con i conti in rosso.

I settori della ristorazione e dell’alimentare rappresentano un mercato potenziale di 1.200 miliardi di sterline nei 12 mercati in cui Deliveroo è presente, di cui secondo le stime solo il 3% delle vendite sarebbe online.

Le prospettive di crescita potenziale del mercato del delivery

L’online food delivery presenta un enorme potenziale di crescita, secondo l’azienda, che insiste: «Quando nei mercati è stato possibile tornare a consumare pasti nei ristoranti in seguito al lockdown, abbiamo continuato a registrare un coinvolgimento dei consumatori e una frequenza degli ordini molto forti».

Deliveroo conta circa 100.000 riders e 115.000 commercianti di prodotti alimentari in 12 mercati in tutto il mondo.

Il “Thank You Fund” sarà attivato a livello globale nel giorno della quotazione in borsa e coprirà circa 36mila rider, individuati sulla base del numero di ordini consegnati e premiati secondo una fascia progressiva compresa tra i 550 e gli 11.500 euro. Tutti i rider che abbiano lavorato con Deliveroo per almeno un anno e completato 2mila ordini riceveranno, riceveranno 210 euro, mentre il bonus medio oscillerà intorno ai 550 euro.

“I rider sono il cuore del nostro business e noi vogliamo premiare il loro impegno, che ha aiutato Deliveroo a diventare quella che è oggi – afferma Will Shu – La loro dedizione ci ha permesso di crescere e di offrire la migliore esperienza di food delivery al mondo, oltre a permettere alle persone di stare al sicuro a casa nel corso della pandemia globale”.

food

LEGGI ANCHE: TripAdvisor e Deliveroo insieme per il food delivery

L’intervento della magistratura a tutela dei lavoratori impegnati nella consegna a domicilio

Se Deliveroo, Glovo, Uber Eats e Foodora sono finiti nel mirino della Procura di Milano, che ha condotto una maxi indagine sul trattamento dei fattorini, prevedendo sanzioni per 733 milioni di euro per le principali aziende di delivery che operano in Italia e l’assunzione di 60mila rider con contratto di lavoro coordinato e continuativo, anche nel Regno Unito la Corte Suprema ha emesso una sentenza secondo cui i conducenti di Uber dovranno essere classificati come ‘lavoratori’ e non come appaltatori indipendenti, con diritto alle ferie e alle pensioni pagate. Questo potrebbe avere effetti, quindi, anche sulle consegne da asporto a domicilio, provocando un aumento dei costi del servizio sia per i ristoratori che per i clienti.

La quotazione in borsa sul modello della doppia classe

L’offerta iniziale in borsa prevederà una struttura di azioni a doppia classe per i primi tre anni dalla quotazione, replicando il modello delle big tech che hanno consentito ad esempio a Mark Zuckerberg di mantenere il controllo per Facebook. Shu riceverà 20 voti per azione, mentre gli investitori ordinari avranno un solo voto per azione. L’accordo scadrà dopo tre anni. Successivamente, Deliveroo passerà ad una struttura a classe unica. L’azienda precisa, inoltre, di voler rimanere concentrata sugli investimenti per generare crescita nel nascente mercato dell’online food market e di voler continuare a investire nel suo marketplace principale migliorando l’esperienza di consumo.

LEGGI ANCHE: Amazon mette 575 milioni su Deliveroo: sì, il futuro è nelle consegne a domicilio

Reddit nomina Drew Vollero CFO e si prepara a quotarsi in borsa

Reddit nomina Drew Vollero, ex dirigente di Snap Inc, primo Chief Financial Officer (CFO). L’incarico del nuovo direttore finanziario coincide con la prospettiva di quotazione in borsa del sito di social news, intrattenimento e forum, fondato sul concetto di networking tra community.

“Ci stiamo pensando. Stiamo lavorando per quel momento”:

sottolinea l’amministratore delegato di Reddit, Steve Huffman in risposta alle sollecitazioni della stampa sull’ipotesi di un’eventuale istanza di offerta pubblica iniziale (IPO) dei titoli della società sul mercato finanziario. Ancora nessuna tempistica ufficiale per il deposito, però: “Diventare pubblico è qualcosa a cui pensiamo, ma non abbiamo piani specifici e un calendario”, dichiara il portavoce.

Drew Vollero entrerà ufficialmente in carica come direttore finanziario a fine mese e si occuperà di fiscalità, audit, pianificazione finanziaria, pubblicità, finanziamento delle vendite, approvvigionamento e relazioni con gli investitori.

Il compito di Vollero – 55 anni e più di 30 anni di esperienza in ruoli finanziari in Mattel Inc, Yum Brands, Taco Bell, PepsiCo, Snap e Allied Universal – consisterà nel condurre Reddit verso il processo di creazione della società per azioni, come accaduto nel 2017 con Snap, accompagnando l’azienda verso la sua IPO da 33 miliardi di dollari.

La crescita registrata da Reddit nel 2020 e il piano recruiting: raddoppiare i dipendenti nel 2021

“Il 2020 è stato un anno fondamentale”, afferma Huffman, che delinea anche il piano di recruiting. Infatti, in relazione a quanto dichiarato a The Wall Street Journal, a Vollero seguirà l’assunzione di molti nuovi dirigenti, con la previsione di raddoppiare il numero di dipendenti a 1.400 nel 2021.

Gli introiti pubblicitari sono aumentati del 90% nel quarto trimestre in confronto all’annualità precedente. Più di 52 milioni di utenti attivi visitano Reddit ogni giorno, oltre 100.000 le comunità tematiche o forum secondari ospitati in piattaforma. A dicembre la società ha acquisito Dubsmash, un’App social incentrata sui video per competer con TikTok.

Nel mese scorso, l’azienda ha raccolto 250 milioni di dollari di nuovo capitale (il più grande round di venture capital), con una valutazione stimata in 6 miliardi di dollari, ovvero il doppio rispetto ai due anni precedenti.

LEGGI ANCHEElon Musk inserisce #bitcoin nel profilo Twitter e il titolo vola

Super Bowl

Reddit, il caso GameStop e lo spot durante il Super Bowl

Una crescita esponenziale favorita dal balzare di Reddit all’attenzione della cronaca nelle scorse settimane per il caso GameStop dopo che i day trader si sono uniti sul popolare forum “Wallstreetbets” del sito web, innescando il rally di molti titoli allo scoperto, con effetto una fortissima oscillazione al rialzo di titoli come GameStop e AMC a Wall Street.

Interesse fortissimo suscitato da Reddit anche in occasione del Super Bowl, quando ha acquistato uno spot pubblicitario di appena 5 secondi con il lancio del claim, in riferimento al caso GameStop:

“Quando le persone si uniscono davanti a qualcosa a cui tengono, succedono cose potenti”.

Huffman, tra i co-fondatori di Reddit, è tornato a gestire il sito nel 2015, lavorando per frenare l’incitamento all’odio e all’abuso digitale, rinnovando i termini di servizio per mettere fuori legge i contenuti nocivi di alcuni forum.

Obiettivo, espresso da Huffman, è di utilizzare i finanziamenti per espandere l’attività, incluso il team finanziario, ma soprattutto rendere Reddit più mainstream, migliorando il prodotto, in linea con competitor come Facebook e Twitter.

LEGGI ANCHE: Quando un brand perde la propria Missione: il caso Robinhood