Il Prime Day di Amazon si terrà negli Stati Uniti il 13 e 14 ottobre, come suggeriscono alcune email interne trapelate ieri.
Presumibilmente le stesse date varranno anche per l’Italia, ma la data ufficiale si dovrebbe sapere solo domenica prossima, 27 settembre.
Il gigante dell’eCommerce non ha ancora confermato, infatti, dopo aver ritardato l’originale Prime Day, che di solito si tiene a luglio, a causa della pandemia.
Il messaggio ai dipendenti
Secondo quanto riferito da TheVerge un’email interna rivolta ai dipendenti confermava che l’evento annuale di shopping si sarebbe svolto nell’arco di 48 ore (come lo scorso anno), tra il 13 e 14 ottobre.
Un’altra comunicazione indicava poi ai dipendenti del magazzino di Amazon che l’azienda non avrebbe accettato nuove richieste di ferie per il 13-20 ottobre, suggerendo che si aspetta che le spedizioni vengano effettuate soprattutto in queste date, con la necessità quindi di avere tutto il personale a disposizione.
Le fughe di notizie confermano comunque la dichiarazione di Amazon, che era stata costretta ad anticipare che il Prime Day avrebbe avuto luogo nel quarto trimestre, dopo che un manifesto promozionale dell’azienda di elettrodomestici Braun con offerte per il Prime Day “a metà ottobre” era stato diffuso online la scorsa settimana per errore.
Amazon Prime Day e Black Friday
Qualunque sia la data, Amazon probabilmente vuole evitare che le vendite del Prime Day e del Black Friday si sovrappongano. Secondo Tamebay, una pubblicazione per venditori terzi di Amazon, gli accordi del Venerdì Nero dovrebbero iniziare ad apparire su Amazon intorno al 26 ottobre e durare diverse settimane.
Anche in passato il Prime Day è iniziato di lunedì, mentre solo l’anno scorso l’omaggio al consumismo è durato due giorni e, secondo le stime degli analisti, il Prime Day 2019 ha fruttato circa 6 miliardi di dollari.
Reuters ha riferito a luglio che la decisione di ritardare l’evento ha fatto sì che Amazon avesse 5 milioni di dispositivi in più, tra cui la sua popolare linea di altoparlanti intelligenti Echo, che avrebbe dovuto vendere con uno sconto, ma il quinto Prime Day annuale dovrebbe includere molte offerte anche per Apple, oltre ai consueti sconti su televisori, computer portatili, abbigliamento e altro ancora.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/07/amazon-prime-day-2019-2.jpg487882Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-24 07:00:092020-09-25 15:21:52L'Amazon Prime Day 2020 si farà: ecco la data
Novità SEO 2020: tutto quello che è successo nell’ultimo anno nella galassia SEO e che non puoi perderti per restare al passo con gli aggiornamenti di Big G.
Cerchiamo di capire insieme la direzione che Google ha deciso di intraprendere in tema di indicizzazione e posizionamento delle pagine web, con uno sguardo alle novità tecnologiche come la vocal search e gli assistenti vocali.
È vero, mancano quasi 3 mesi a Natale e – grazie a Dio – il 2020 sta per finire. Ma una ripassatina alle principali novità SEO introdotte (o consolidate) nel 2020 non fa mai male. Soprattutto se ti occupi di search engine optimization e contenuti per i motori di ricerca.
Ecco un recap facile, veloce e indolore delle principali novità introdotte da Big G alle quali devi assolutamente prestare attenzione per migliorare il posizionamento del tuo sito web.
1. Google Bert
Principale novità nel panorama SEO del 2020 (in verità uscita a fine 2019) è senza dubbio il rilascio ufficiale anche in Italia dell’aggiornamento di Google: BERT. Vale a dire Bidirectional Encoder Representations from Transformer. È più facile spiegarlo che pronunciarlo!
Si tratta dell’ultima frontiera introdotta da Google in fatto di interpretazione del linguaggio umano da parte di un algoritmo ai fini della composizione dei risultati di ricerca. In sostanza Google ha migliorato il sistema che lavora per consegnare risultati di ricerca sempre più attinenti, precisi e accurati ai navigatori del web, in base ai termini e al linguaggio utilizzati.
E cosa deve fare un SEO specialist per essere conforme al nuovo algoritmo BERT? Niente! La partita la gioca al 99,9% chi scrive o sviluppa il contenuto da posizionare su Google, che deve – come sempre – risultare di qualità e attinente. Se hai scritto il contenuto che la tua audience chiede, non avrai nessun problema a rankare in prima posizione.
BERT, our new way for Google Search to better understand language, is now rolling out to over 70 languages worldwide. It initially launched in Oct. for US English. You can read more about BERT below & a full list of languages is in this thread…. https://t.co/NuKVdg6HYM
Core Web Vitals (o più semplicemente Web Vitals) è il nuovo gruppo di metriche sulle prestazioni di un sito web stabilito da Google. Dei veri e propri “paletti” per favorire lo sviluppo di pagine web in ottemperanza a specifici canoni di User Experience, graditi ai crawler di indicizzazione.
Chi progetta o sviluppa una pagina web, ha una sorta di “manuale tecnico” (e relativi tool) per progettare un’esperienza di navigazione a prova di indicizzazione e posizionamento. Insomma, “come Google comanda”.
Piccolo particolare: a partire dal 2021, l’esperienza di navigazione dell’utente sarà a tutti gli effetti un fattore di ranking. Diventa perciò cruciale avere un sito web ben progettato e strutturato, non solo dal punto di vista dei contenuti, ma della usability e della facilità di navigazione.
3. Google Web Stories
Alla fine anche Google ha ceduto al fascino delle stories. A Mountain View potevano tirarsi fuori dalla corsa all’engagement del Gen Z User? No!
Quella delle Web Stories di Google non è una vera e propria novità, quanto un “rebranding” delle AMP Stories. Uno strumento per fare “visual storytelling for the open web”, come si legge sul sito di Google dedicato ai developer.
Fare SEO con le Web Stories significa sfruttare un’ulteriore opportunità per dare risalto ai propri contenuti informativi, attraverso un format mobile-focused “visivamente ricco” e tap-through.
Ti sarà capitato di fare una ricerca su Google e, dopo aver cliccato sul “risultato zero” (il riquadro in evidenza in cima a tutti i risultati, il cosiddetto featured snippet), di atterrare su una pagina con testo evidenziato.
Questa è l’ultima novità SEO 2020 in casa Google per favorire la lettura da parte degli utenti. Ma non la lettura in senso generico! L’intento è quello di dare rapidamente all’utente, l’informazione che sta cercando sul web.
Google ha ufficialmente introdotto l’evidenziatore giallo che sottolinea le porzioni di testo da cui l’algoritmo compone i featured snippet mostrati in SERP. Così che quando l’utente clicca sullo snippet, viene direttamente indirizzato sulla parte di pagina in cui questo testo compare.
Anche in questo caso la funzionalità di Google è automatica e gli sviluppatori non devono inserire nessun tipo di markup.
Già nel 2019 il motore di ricerca aveva aggiunto due nuovi tag rel – UGC e Sponsored – e cambiato l’interpretazione del rel “nofollow”. Dal 1 marzo 2020, Google ha iniziato a usare il tag rel nofollow come suggerimento anche dal punto di vista del ranking.
Che significa? Con il tag “rel” è possibile comunicare allo spider informazioni aggiuntive sui link in uscita stabilendo una relazione tra le pagine. Ovvero, come deve interpretare Google quel link in fase di scansione?
In questo caso:
rel=”sponsored“, segnala a Google un link a pagamento
rel=”ugc“, indica il collegamento a User Generated Content
rel=”nofollow“, suggerisce allo spider Google di non seguire la pagina web linkata
Secondo l’aggiornamento di marzo, i link con attributo rel=”nofollow” non saranno più completamente ignorati in termini SEO ma si aggiungeranno al complesso sistema di analisi dei link che contribuisce a determinare il ranking di un sito.
6. Ottimizzazione delle immagini
C’è una gran bella novità SEO 2020 per quanto riguarda la compressione e la qualità delle immagini caricate sui siti web.
Si tratta del nuovo formato di file immagine AV1 (.avif). Un tipo di immagine super-compressa che Netflix ha già considerato superiore nel rapporto qualità/compressione, rispetto ai formati di immagine JPEG, PNG e anche al più recente WebP.
Il tema della compressione delle immagini per la SEO non è una novità 2020. Google da anni raccomanda quanto sia importante avere un sito web veloce e snello nel caricamento delle immagini per un buon posizionamento.
7. Dati strutturati e ricerca vocale
Il tema “dati strutturati” è stato introdotto da Google ormai da diverso tempo, ma quest’anno è diventato ancor più centrale. Entra in gioco quando si parla di featured snippet, knowledge graph e di ricerche vocali.
Sarà quindi fondamentale, per chi si occupa di SEO, approfondire l’importanza dell’utilizzo dei dati strutturati per posizionarsi meglio nelle ricerche. Sia per rafforzare la SEO come l’abbiamo sempre conosciuta, sia quella rivolta alla voice technology.
Google usa i dati strutturati per tre scopi principali:
riconoscere le entità presenti nella pagina;
comprendere le relazioni tra queste entità;
restituire all’utente la risposta più attinente alla query desiderata.
Quali sono i risultati visibili dall’utilizzo dei dati strutturati?
Prima di tutto, la possibilità di comparire nei rich snippet, le informazioni messe in risalto sulla SERP che compaiono per determinate query di ricerca.
La possibilità di essere posizionati per particolari ricerche a livello locale, per esempio la ricerca di un ristorante in città.
La possibilità di guadagnare ranking per specifiche query di ricerca vocale.
Conoscevi già queste 7 novità SEO del 2020? Quale pensi sia la più importante tra loro?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/listicle-seo-consigli.jpg592848Nicola Onidahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNicola Onida2020-09-23 11:28:402020-09-23 17:49:23Le 7 novità SEO che non puoi ignorare nel recap di inizio autunno
Questo articolo è stato scritto da Tina Daniels, responsabile del reparto di analisi e misurazioni per le agenzie di Google.
Con la pandemia di Coronavirus, i brand hanno dovuto fermarsi a riflettere su come affrontare la crisi e gestire i piani di ripresa al termine dell’emergenza. In generale, il consiglio principale è stato quello di continuare a investire nel marketing, ma quasi tutti gli inserzionisti si sono trovati a ridefinire le priorità e a distribuire diversamente i budget.
In questa delicata situazione, la posta in gioco è alta e per i professionisti del marketing è fondamentale sfruttare al massimo ogni singolo centesimo della spesa pubblicitaria nel modo più efficiente possibile. Questo implica riuscire a raggiungere le persone giuste con il messaggio giusto, nel momento più appropriato.
Per i video advertiser, ciò significa anche entrare in contatto con le persone per un numero adeguato di volte.
Il concetto di efficienza pone sempre più sfide per la TV lineare. Il problema riguarda la frequenza degli annunci e la copertura di pubblico, colonne portanti dell’unità di misura tradizionalmente usata per la TV: l’indice di pressione pubblicitaria (GRP). Per anni, gli inserzionisti sono stati abituati a compensare una diminuzione della copertura pagando di più per una frequenza maggiore e nel corso del tempo, il GRP (Gross Rating Point) è diventato un meccanismo che nasconde sprechi pubblicitari.
In questo periodo di grandi difficoltà, gli inserzionisti dei formati video che fanno affidamento solo sul GRP per raggiungere gli obiettivi delle campagne potrebbero non ottenere il massimo dai loro investimenti. In questo articolo, approfondiremo le cause di questa situazione e scopriremo alcuni passaggi da seguire per pianificare in modo più efficiente la spesa e ridurre gli sprechi.
Le visualizzazioni in calo contribuiscono ad alterare la pubblicazione e aumentare la frequenza
Cosa significa però nella pratica “frequenza maggiore”? La risposta ci viene fornita da un recente studio personalizzato di Nielsen commissionato da Google,Total Ad Ratings (TAR).
Lo studio ha preso in esame 22 campagne video pubblicate su YouTube e sulla TV lineare. Per misurare la frequenza degli annunci su entrambe le piattaforme, gli spettatori sono stati divisi in tre gruppi con lo stesso numero di partecipanti e in base al tempo totale di visualizzazione della TV in diretta e on demand, ovvero telespettatori molto assidui, mediamente assidui e poco assidui.
In media, per quanto riguarda la TV, i telespettatori molto assidui hanno visto un annuncio 26,5 volte nel corso dello studio sulle campagne. I telespettatori mediamente assidui hanno guardato un annuncio 9,6 volte, mentre quelli poco assidui 3,2 volte. Nello stesso periodo delle campagne prese in esame, la frequenza degli annunci su YouTube si è rivelata decisamente inferiore e più uniforme tra i vari segmenti. In media, i telespettatori sia molto che mediamente assidui hanno visto un annuncio 2,6 volte e quelli più occasionali (e le persone che non guardano la TV) 2,5 volte (1).
Frequenza media delle campagne
Fonte: Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR)
TV
YouTube
Una domanda che sorge spontanea in questo momento è, ovviamente, se il recente picco di visualizzazioni della TV in diretta causato dal confinamento a casa abbia migliorato la distribuzione della frequenza tra i vari segmenti di spettatori. I dati suggeriscono che non sia così.
Nelle quattro settimane tra il 16 marzo e il 12 aprile, ad esempio, sono stati i telespettatori molto assidui e mediamente assidui a contribuire maggiormente all’aumento del tempo di visualizzazione (85%). In particolare, il 68% di questo aumento è stato registrato grazie alla popolazione ultracinquantenne(2). Pertanto, nonostante picchi temporanei delle visualizzazioni, secondo eMarketer, la TV lineare continuerà a essere un canale poco efficace per raggiungere gli obiettivi delle campagne video.
Una frequenza elevata influisce sulla qualità della copertura
Con il pubblico della TV lineare sempre più limitato e uniforme, la frequenza elevata fa sorgere un secondo problema: compromette infatti la qualità complessiva della copertura riempiendo i canali televisivi di contenuti adatti ad alcuni segmenti a scapito di altri. Quindi, anche in un periodo in cui un numero maggiore di persone è costretto a casa, non è detto che gli investimenti fruttino qualcosa.
Sempre lo studio TAR personalizzato di Nielsen ha rivelato che il 61% delle impressioni degli annunci televisivi è stato pubblicato per telespettatori molto assidui, che costituivano solo fino al 20% del pubblico di destinazione. Al contempo, appena il 5% delle impressioni degli annunci televisivi è stato generato per telespettatori poco assidui, anche se questi rappresentavano il 44% della popolazione target(3).
Percentuale delle impressioni in TV e su YouTube rispetto alla popolazione target
Fonte: Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR)
Telespettatori molto assidui
Telespettatori mediamente assidui
Telespettatori poco assidui e persone che non guardano la TV
La pubblicazione su YouTube si è rivelata distribuita molto più uniformemente tra tutti i segmenti di telespettatori e particolarmente in linea con la popolazione target. Inoltre, questo studio ha messo in evidenza, in generale, un cambiamento nelle visualizzazioni e una conseguenza dell’abbandono della televisione: l’80% dei telespettatori poco assidui e delle persone che non guardano la TV che hanno visualizzato un annuncio su YouTube ha visto l’annuncio esclusivamente su questa piattaforma.
Questa opportunità incrementale, ovvero la possibilità di raggiungere gli utenti solo su YouTube, è stata riscontrata anche negli altri segmenti di spettatori. Il 25% dei telespettatori mediamente assidui e il 37% di quelli molto assidui che hanno visto un annuncio su YouTube non sono stati raggiunti dalla TV lineare(4).
Come ridurre gli sprechi pubblicitari: consigli e strumenti
Per chi ha paura che le proprie campagne non stiano raggiungendo efficacemente i segmenti di pubblico di interesse, è necessario adottare tre misure in particolare:
Creare un piano combinato per la TV e il digitale
Con i segmenti di pubblico che consumano sempre più contenuti digitali, puoi utilizzare nuovi strumenti per realizzare un piano applicabile a più canali. Lo strumento di pianificazione della copertura è un ottimo esempio. Questo strumento sfrutta i dati televisivi di Nielsen per aiutare gli inserzionisti a comprendere il potenziale impatto che una distribuzione diversa della spesa per la TV e per YouTube può avere sulla copertura.
Sperimentare per trovare il giusto mix di TV e YouTube
Passare da una mentalità orientata prevalentemente ai contenuti televisivi a una che includa i canali digitali non è facile e non avviene dal giorno alla notte, ma è un passaggio necessario per raggiungere i segmenti di pubblico sulle piattaforme che utilizzano. Fare esperimenti destinando la spesa a video digitali in uno scenario poco rischioso è un buon punto di partenza. Scopri cosa puoi imparare e modifica le tue combinazioni di conseguenza. Anche il team di marketing di Google ha avuto ottimi risultati con questo approccio.
Utilizzare la misurazione multipiattaforma
Oltre agli strumenti di pianificazione utili per determinare il media mix ottimale, sono disponibili anche nuovi modi per effettuare misurazioni accurate tra più canali. Gli studi TAR di Nielsen consentono agli inserzionisti di misurare direttamente la copertura TV in confronto a quella dei video digitali in modo da individuare gli aspetti inefficienti nei loro acquisti.
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Fonti: 1, 3, 4 – Nielsen/Google, meta-analisi di Nielsen, Total Ad Ratings (TAR), commissionata da Google, includente 22 campagne statunitensi su YouTube per telespettatori molto, mediamente e poco assidui o persone che non guardano la TV, comprendenti il traffico in-app di YouTube utilizzando segmenti di pubblico target su computer desktop, dispositivi mobili e TV, e 8 demo, impressioni demo target, Stati Uniti, aprile 2019–dicembre 2019.
2 – Sondaggio NPOWER di Nielsen, campione di spettatori della TV nazionale, persone maggiorenni che utilizzano la televisione (PUT), giorni totali, visualizzazioni fino a 3 giorni (Live +3), telespettatori molto, mediamente e poco assidui e non persone che non guardano la TV, terzili basati sul tempo totale di visualizzazione, Stati Uniti, periodo precedente: 17 febbraio 2020–15 marzo 2020, periodo successivo: 16 marzo 2020–12 aprile 2020.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/tv-advertising-sprechi-marketing.jpg5821218Think with Googlehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngThink with Google2020-09-22 15:30:082021-01-05 15:41:17In che modo i professionisti del marketing possono gestire ed evitare sprechi inutili
Gli utenti online tendono a leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze. Di questo beneficia il populismo, che punta alla polarizzazione.
Uno studio pubblicato su Nature si chiede se il giornalismo può limitare la polarizzazione attraverso la scelta consapevole delle tecniche e delle tipologie dei contenuti.
Lo studio ha dimostrato che il fenomeno della polarizzazione è difficile da contenere, ma fornisce comunque alcuni spunti di riflessione per il mondo del giornalismo.
È ormai risaputo che gli utenti online tendono a selezionare e quindi leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze, unendosi quindi a gruppi che condividono una narrazione comune (echo chambers). Una dinamica che alimenta il tribalismo e non favorisce un dibattito informato, specialmente quando le questioni sono complesse e controverse. Una spirale di cui beneficia soprattutto la politica di stampo populista, accomunata dall’utilizzo intenzionale di un linguaggio infiammatorio e dalla diffusione di idee controverse per attirare l’attenzione e dividere l’elettorato in rozze guerre di “noi” contro “loro”.
Certo, l’attuale mercato pubblicitario online non aiuta. Anzi, favorisce le storie “acchiappa clic” (clickbaiting) e non distingue fra pubblicazioni autorevoli e contenuti deliberatamente faziosi e ingannevoli. E la stessa architettura algoritmica di Internet e dei social media tende a premiare materiale ultra-fazioso, che assume posizioni estreme e polarizzanti.
Modifiche agli algoritmi, iniziative di fact-checking e altri interventi non si sono dimostrati finora efficaci nell’affrontare il problema. Per questo, la polarizzazione gioca ancora un ruolo fondamentale nelle dinamiche sociali online. Ma se si potesse mitigare il problema a partire dalle scelte giornalistiche?Esistono tipologie di contenuti in grado di limitare la retorica divisiva?
Può il giornalismo prevenire la polarizzazione?
Hanno provato a rispondere a questa domanda i ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del programma Arena della London School of Economics (tra cui il Premio Pulitzer Anne Applebaum), in collaborazione con il giornalista Beppe Severgnini e la social media manager del Corriere della SeraAndrea Federica de Cesco.
113 gli articoli che i ricercatori hanno analizzato sia all’interno del sito web della testata che sulla sua pagina Facebook. Contenuti pubblicati tra marzo e dicembre 2018 e tutti inerenti al tema dell’immigrazione, argomento scelto poiché “fortemente polarizzato e diventato identitario nella dialettica politica”, come spiega Walter Quattrociocchi dell’Università Ca’ Foscari.
Obiettivo dello studio, pubblicato su Nature lo scorso mese di luglio, scoprire quali tecniche giornalistiche favorissero un dibattito più civile, attenuassero la polarizzazione e accrescessero la fiducia verso l’attendibilità dei contenuti stessi. Per permettere alla redazioni di pensare un assetto editoriale immune dai giochi polarizzanti del populismo, creando contenuti al tempo stesso popolari e attendibili, in grado di coinvolgere i lettori in modo costruttivo e non divisivo.
Analizzare mezzi, tecniche e temi per misurare la reazione
A partire dalla pagina Facebook del Corriere della Sera, i ricercatori hanno confrontato la quantità di contenuti sull’immigrazione con il numero di migranti effettivi entrati nel Paese, esaminato il sentimento prevalente negli articoli e nei commenti, analizzato metriche quantitative relative al coinvolgimento del pubblico e infine incluso un’analisi delle annotazioni degli oltre 20mila commenti.
Lo studio, in particolare, ha analizzato i contenuti in base a mezzo (puramente visivo, testuale, multimediale, infografica), tecnica (data-driven/fact-checking, editoriale, interesse umano, notizie costruttive, cultura popolare, notizie con contesto e notizie semplici) e tema (criminalità, crisi dei rifugiati, tensioni etniche, cultura e società). Obiettivo, misurare il loro impatto sui commenti degli utenti in termini di tossicità (linguaggio tossico come misura del discorso civile), critica al giornale (critiche esplicite alla credibilità del direttore, del giornalista o del quotidiano stesso in quanto fonti di informazione) e posizione in merito all’immigrazione (pro o contro).
Linguaggio più negativo per i contenuti sull’immigrazione
Per quanto riguarda i risultati direttamente collegati al contesto politico e mediatico, la ricerca evidenzia prima di tutto che, nonostante il numero di migranti arrivati in Italia sia calato drasticamente durante il 2018, il volume di contenuti relativi al tema è invece aumentato. Un fatto che coincide con la formazione di un nuovo governo, nel giugno 2018, e con gli sforzi del ministro dell’interno Matteo Salvini per dare la massima priorità proprio alla questione dell’immigrazione.
Dallo studio emerge che gli articoli sul tema dell’immigrazione coinvolgono molto più di altri, mentre i loro commenti fanno uso di un linguaggio più negativo rispetto a quelli inerenti ad altri temi. In particolare, ottengono il coinvolgimento più alto i contenuti che riguardano Salvini.
Ma cos’ha scoperto la ricerca riguardo alle diverse tipologie di contenuto? Ecco i punti chiave, alcuni dei quali forse inaspettati.
Il resoconto di notizie lineare, imparziale e non emotivo, che fornisce un contesto, è la tecnica che suscita il minor numero di commenti critici nei confronti della fonte della notizia.
Le storie di interesse umanoprovocano forti reazioni negative: suscitano un alto numero di commenti anti-immigrazione che spesso contengono un linguaggio tossico e molte critiche alla fonte d’informazione. Forse perché le persone si sentono in questo modo manipolate emotivamente e spinte ad assumere una posizione politica? Da rilevare comunque che la critica è più morbida quando l’articolo riguarda la storia di un singolo immigrato piuttosto che di gruppi.
Le notizie costruttive – contenuti che offrono soluzioni pratiche – ispirano un linguaggio meno tossico sull’immigrazione rispetto ai pezzi d’opinione e agli editoriali.
I contenuti basati sui datisuscitano un livello estremamente basso di fiducia nella fonte della notizia e provocano una grande quantità di commenti anti-immigrazione, ma non necessariamente un linguaggio tossico. Probabilmente, come spiega Quattrociocchi, “alla presentazione dei dati si innesca il meccanismo di rifiuto che porta a dire che essi sono presentati in maniera pretestuosa. Ma il punto più interessante è che in genere ricevono poca attenzione: i dati annoiano”.
Gli editoriali ottengono il maggiore coinvolgimento, mentre gli articoli con riferimenti alla cultura popolare il maggior numero di mi piace.
I contenuti di fact-chekingsuscitano più commenti critici nei confronti della fonte di informazione e più commenti anti-immigrazione rispetto agli articoli di attualità.
Bene video e contenuti multimediali, male le infografiche
E per quanto riguarda le reazioni degli utenti rispetto ai formati?
Le infografiche possono stimolare il dibattito e la discussione, ma ricevono notevoli reazioni negative da parte delle voci anti-immigrazione e suscitano alti livelli di critica alla credibilità della fonte di informazione.
I video suscitano il livello più basso di critica alla credibilità della fonte di informazione. Forse perché “vedere è credere” o perché le voci anti-immigrazione diventano silenziose di fronte a prove video? O ancora magari perché quella del video è la forma di coinvolgimento più passiva (i video generalmente ricevono un basso numero di commenti)?
I contenuti multimediali – combinazioni di video, testo e foto – sono accolti con un grado di coinvolgimento forte e solidale e ottengono buoni risultati anche in termini di critica alla credibilità della fonte.
Quindi? Secondo Quattrociocchi, i risultati dello studio portano prima di tutto a una dura presa di coscienza: “La polarizzazione è una cosa forte, difficile da smussare e da contenere. Le dinamiche di conferma delle proprie idee sono potenti e difficilmente aggirabili, almeno con gli strumenti attuali. Il tribalismo domina il dibattito online creando frizioni e insistendo su fratture che hanno radici profonde: la sfiducia, principalmente”.
In sostanza, la bacchetta magica purtroppo non esiste. Ma i risultati della ricerca possono comunque aiutare le redazioni a essere più consapevoli del potenziale impatto dei loro contenuti sulla qualità del coinvolgimento del loro pubblico. Lo studio invita in particolare a prediligere articoli e servizi “imparziali”, accurati e contestualizzati, meglio se in formato multimediale e in ottica costruttiva, rispetto alle storie ad alto tasso emotivo; dimostra che le infografiche e i contenuti data-driven non sono necessariamente efficaci per convincere i lettori dell’attendibilità delle informazioni fornite; consiglia di evitare opinioni troppo “forti” e poco motivate per prevenire reazioni con un linguaggio tossico. I ricercatori invitano inoltre le redazioni a guardare oltre i mi piace e le condivisioni, per esaminare la qualità del coinvolgimento del proprio pubblico attraverso metriche che non siano più solamente quantitative.
Giornalismo e polarizzazione: provocazioni per il futuro
Insomma, “la lezione è che il giornalismo come lo conosciamo va ripensato e innovato, ma quale sia la via d’uscita ancora non è chiaro”.
Secondo Peter Pomerantsev, direttore del programma Arena della LSE, la battaglia può e deve essere combattuta anche su altri fronti. Per esempio, “esercitando un controllo pubblico più stringente sugli algoritmi e sui modelli di social media che attualmente incoraggiano le posizioni più estreme” e “riformando il sistema ad-tech, per incentivare la creazione di contenuti che non siano semplicemente ‘acchiappa clic’, ma favoriscano una partecipazione più consapevole”.
Certo, nel frattempo, sarebbe auspicabile che la ricerca venisse ampliata da approfondimenti che cercano di capire come il linguaggio e il quadro di riferimento influenzano il coinvolgimento del pubblico. Come mostra un rapporto della LSE, ad esempio, i media europei tendono a descrivere i migranti in termini di nazionalità e di età. Ma cosa cambierebbese dovessero descriverli in base alla loro professione? O se si focalizzassero sulle cause dei fenomeni migratori, invece di limitarsi a informare su quanti arrivano o tentano di arrivare in Europa?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/reazioni_social_articoli_cover.jpg14612048Elisa Bertolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngElisa Bertoli2020-09-22 11:00:122020-09-23 17:51:54Social media e giornalismo: si può prevenire la polarizzazione? Le risposte di uno studio
Le crisi portano progresso, sosteneva Albert Einstein e il design italiano è in prima fila per guidare un nuovo rinascimento delle idee, della creatività e del saper fare.
I nuovi scenari delineati dalla pandemia possono essere sfruttati per innovazioni e per soluzioni adatte alla nuova quotidianità.
Dai pannelli di design in plexiglass alle nuove postazioni di smart working, il genio creativo si fonde con le opportunità post pandemia. Il lato positivo COVID-19 c’è.
La storia insegna che l’altra faccia della medaglia delle crisi sono le opportunità. Giusto per rendere il concetto un po’ pop, in questo caso si potrebbe affermare che “si fa quel che si può, con quello che si ha”. Pane per i denti della creatività italiana.
Dovremmo aspettarci un secondo Rinascimento? Possiamo sperarci. Nel frattempo, le case e le cose vengono rivisitate e adattate alle nuove esigenze imposte dai tempi COVID-19.
In effetti, il Coronavirus ha cambiato e sta cambiando il nostro modo di vivere la socialità. Un metro di distanza ci separa da tutti coloro i quali non sono né congiunti, né familiari e il file rouge che muove la nostra quotidianità è il distanziamento sociale. Trasporto pubblico, uffici, stabilimenti, teatri, negozi, ristoranti, riflettono le nuove esigenze comportamentali.
Cambieranno conseguentemente anche gli spazi che viviamo?
Nuovi scenari
Va in scena il COVdesign che punta a risolvere le necessità quotidiane relative alla pandemia. Scenari noti messi in discussione, nuovi gesti, nuove prospettive che alimentano anche la progettazione di interni e il disegno industriale.
Smart working e mascherine fanno sì che sia attribuito un senso diverso a progetti e oggetti. È ragionevole, dunque, pensare che l’emergenza COVID-19 stia riplasmando case, uffici, città e infrastrutture?
Nonostante i pareri divergenti delle archistar, si fanno spazio alcune innovazioni d’artista al passo coi tempi. Aziende e design sono all’opera.
Il desginer Matteo Cibic, per esempio, firma la collezione COV e lancia alcuni tra i progetti italiani più interessanti legati alla pandemia. Li chiama “fancy transparent socializing panels”, i paraventi di design per essere protetti senza sentirsi isolati, utili soprattutto negli open space.
C’è poi Christophe Gernigon, che con l’idea del “distanziamento socializzante” sperimenta sospensioni isolanti di plexiglass, per restare seduti a tavola in piena sicurezza.
Non mancano le postazioni di lavoro in casa: quinte o angoli per le diverse funzioni, per lavorare da remoto in serenità. Gli spazi domestici vengono dunque riorganizzati per improvvisare postazioni ufficio.
E ancora una volta i designer si sbizzarriscono: dalla cosiddetta plancia di comando di Patricia Urquiolaalla postazione operativa con vista sul Mediterraneo di Metz e Racine, le soluzioni sono molteplici e super creative.
Design in numeri
Nonostante le opportunità da cogliere un po’ giocoforza, la crisi COVID-19 ha inferto un duro colpo al mondo del design e, in maniera particolare, al comparto legno-arredo. In effetti, le micro imprese del settore hanno perso ad aprile 2020 il 72%del fatturato, assistendo ad un calo della domanda interna ed esterna.
In Italia sono 47.447 le unità locali che operano nel settore legno e mobili, dove in molte delle quali è alta la vocazione artigiana. È da questo tessuto e dell’attività dei maker che nascono creatività e innovazioni. Creatività messa alla prova già durante l’emergenza sanitaria, quando Christian Fracassi (maker e CEO di Isinnova) trasforma la famosa maschera di snorkeling di Decathlon Easybreath in un respiratore, utilizzando la stampa 3D.
Il progetto di Isinnova ha poi ispirato anche un giovane tecnico antincendio di Ravenna, Ottavio Giannella, che ha ideato un raccordo che collega comuni maschere antigas da lavoro a ventilatori polmonari.
Il lato positivo
L’intento non è solo quello di descrivere ciò che il design può fare per rispondere al post COVID-19, ma è di dimostrare come designer e maker svolgano un ruolo fondamentale, soprattutto in tempi di crisi.
In effetti, il design in Italia è nato negli anni ’50 proprio dalla voglia di riscatto post-guerra e, da allora, ha sempre rivestito il ruolo di decodificatore delle necessità umane, nonché di traspositore dei bisogni e desideri dell’uomo nella realtà che lo circonda. E non si limita ad intervenire sull’esteriorità delle cose, ma ne investe anche la funzionalità e il profilo semantico.
Durante quei tempi, non si trattava di progettare oggetti nuovi, ma di sfruttare ingegno e creatività per rispondere ai problemi quotidiani. Ne sono testimonianza la Vespa, la macchina da scrivere Lexicon e la moka Bialetti. Oggetti che rappresentano come le minacce più gravi possano costituire un’opportunità per l’innovazione e la collettività.
Dunque, nella società in cui ci troveremo a vivere post Covid-19, con le sue diverse e mutate esigenze, il design sarà un fondamentale strumento di adeguamento della realtà ai bisogni ed alle aspettative umane.
Chi l’avrebbe mai detto che COVID-19 e design sarebbero stati una perfect combo? Pensarla così aiuta a guardare il lato positivo della pandemia. Per il Rinascimento rimaniamo fiduciosi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/Immagine-del-14-09-20-alle-15.23.jpg419638Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-09-21 17:24:562021-01-05 15:44:06COVID e Design: come la creatività si incastra con le opportunità post crisi
Il content marketing è l’insieme di strategie per creare materiali di valore per gli utenti e può rendere un brand riconoscibile o virale.
Dall’ideazione del concetto alla sua diffusione, sono disponibili tool per semplificare il lavoro ai content creator.
Realizzare un contenuto ad alto potenziale vuol dire chiedersi di cosa gli utenti vogliono sentire parlare, come, quando e dove.
Devo dire la verità: il content è tra le mie branche preferite del marketing. Ma d’altronde alzi la mano chi non ama un contenuto di qualità. Perché, partiamo dalle basi, il content marketing è questo.
È la creazione di materiali, testuali o visuali, che siano di valore per chi ne fruisce. In quanto tale, ha un’importanza fondamentale nella strategia di marketing di un’azienda: permette di generare post potenzialmente virali e di avere una comunicazione immediatamente riconoscibile (Taffo è un ottimo case study).
Taffo è leader nel content marketing. I suoi post sono brevi, non convenzionali e ad effetto, anche e soprattutto quando riguardano temi sociali e non brand-related.
Ma in generale di Content Marketing non ce n’è mai abbastanza.
Anatomia del Content Marketing: ispirazione, realizzazione, revisione e diffusione
Come qualsiasi progetto, anche il content marketing può essere suddiviso in fasi.
Ispirazione. Per prima cosa si pensa al contenuto da veicolare: qual è il topic? Perché? È un tema hot?
Realizzazione. Avuta l’idea geniale, va messa su carta. Pardon, tastiera.
Revisione. Terminata la produzione, si ricontrolla tutto. Che sia con la biro rossa o con un software, questo è uno step imprescindibile che permette di trovare refusi, implementare SEO e leggibilità.
Diffusione. L’ultimo step è quello in cui si manda il post a colleghi, amici e parenti. Ma non solo.
Partendo da questi quattro pilastri, qui sotto raccontiamo strumenti e idee per rendere il content marketing ancora più efficace e divertente, per chi lo riceve e chi lo produce.
Ispirazione: i tool del content marketing per scegliere di cosa parlare
Potrebbe sembrare lo step più semplice, ma scegliere il tema non è facile come sembra. Avrei voluto saperlo agli esami di maturità, prima di impelagarmi in un saggio sui labirinti, o prima di farmi bocciare diversi articoli per i blog aziendali. Ma almeno ora posso testimoniarlo a voi.
Per quanto sarebbe bello poter parlare di quello che ci pare, il content marketing ha come scopo principale quello di catturare e poi coinvolgere il fruitore. Per farlo, la mossa più furba è cavalcare l’hype di qualcosa oppure chiedersi che cosa voglia leggere il lettore.
I topic per il marketing B2C: hype, millennials e zoomers
Per percorrere la prima strada, molto più B2C, ci sono gli evergreen Google Trends, BuzzSumo, Digimind, BlogMeter, che ti permettono di capire quali sono gli argomenti di tendenza mentre scrivi.
Se poi l’intento è quello di fare qualcosa di meno convenzionale, potrebbe essere strategico seguire direttamente le pagine Facebook e Instagram più famose dedicate ai meme (i millennial li adorano) o Tik Tok, luogo di nascita delle challenge (target zoomers). E iniziare a comunicare tramite questi pattern, ad alto valore di buzz.
BarkBox è un brand di cibo, toys e servizi per cani e questo è un ottimo esempio di meme marketing con la celeberrima Kombucha Girl
In aggiunta, per i marketer più nerd, suggerisco di cercare continuamente contenuti o newsletter per rimanere sempre up to date. Personalmente seguo Exploiding Topics (che racconta i trend di ricerca su Google dando più di qualche numero a proposito) e Ziodi Wyncenzo, votata alla spiegazione delle abitudini e dei trend dei teenager di oggi. Ad esempio, avete idea di cosa sia il Checkper uno zoomer?
Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è SvetaMilano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.
Un giovane brand che fa un ottimo utilizzo del content marketing è SvetaMilano, che sul suo profilo Instagram alterna foto di prodotto, making of e citazioni super likable dal target. Questo genere di post sono tra i più pinnati e condivisi.
I topic per il marketing B2B: l’inbound marketing
Mentre il content marketing B2C si basa su argomenti o campagne super catchy e di tendenza, il marketing B2B dovrebbe essere più orientato a risolvere i problemi del target. Prima ancora che si accorgano di averli: è questa la filosofia dell’inbound marketing, di cui la piattaforma HubSpotsi fa principale tool e portavoce.
In pratica, l’idea alla base dell’inbound marketing è di fare in modo che siano i deal a contattare un’azienda, e non il contrario (i.e. outbound). Per fare in modo che ciò accada, ci sono diversi passaggi, primo tra tutti la costruzione di un buyer persona (chi ci legge, chi ci compra) e la definizione degli argomenti che potrebbero interessargli.
Per esempio, sono un’agenzia di cybersecurity: in base ai miei meeting precedenti so che la prima cosa che mi viene chiesta è come funzioni il mio servizio. Colgo l’esigenza, la anticipo, e ci scrivo un articolo sul mio blog aziendale. Ma attenzione: con un articolo non potrò mai spiegare tutto in maniera completa, né renderò autonomo il mio buyer persona, che però sarà grato di aver potuto leggere qualcosa in più gratuitamente.
HubSpot funziona in modo tale da costruire dei “percorsi di marketing” che portano il buyer persona dal primo approccio al contatto con la forza vendita di un’azienda: il buyer persona viene traghettato da un contenuto all’altro fino ad arrivare a uno stage in cui accetterà di buon grado di ricevere la chiamata del sales che lo contatterà. E in tutto questo rimarrà traccia del suo percorso, così da apprendere in futuro di cosa parlare.
Non basta scrivere su Word: i tool di content marketing per la realizzazione e la revisione dei contenuti
Superato il timore da foglio bianco e prodotto il contenuto, arrivano in aiuto gli strumenti per l’editing dei propri scritti. Primo tra tutti, WordPress. In un loop vagamente alla Inception, vi sto scrivendo utilizzando WordPress un paragrafo dedicato a WordPress. La verità è che se riportassimo semplicemente i nostri articoli scritti su Word online, mancherebbero della revisione necessaria a renderli appetibili per il web.
Oltre a permettere di editare un testo in maniera strategica (inserendo titoli, immagini e link in un modo che su Word, Open Office o Pages non è possibile percorrere), WordPress infatti ha incorporato nel sistema di editing anche un software per il controllo della leggibilità e della SEO.
Me lo diceva sempre la mia professoressa di italiano: no periodi lunghi, no (troppe) subordinate e no incisi. Non l’ho ancora fatto del tutto mio, ma questo è un insegnamento concreto per tutti i content creator in ascolto. Google infatti premia i contenuti più leggibili, che WordPress stesso ti permette di ottenere revisionando la lunghezza delle frasi e dei paragrafi. Una volta che il testo è a prova di lettore pigro (frasi brevi e semplici), WordPress ti dà un bel bollino verde e ti fa sapere che il lavoro è ok.
Terminato il lavoro di revisione sintattica, ci si può concentrare sulla SEO. Per farlo ci sono tantissimi tool, anche meno focalizzati sull’analisi della SEO di un singolo blog ma più sull’interezza di un sito (SEMrush, Moze molti altri), ma tra i più utili va segnalato Yoast, che è incluso nel pacchetto premium di WordPress.
Yoast segnala all’editor una sorta di To do listdelle keyword (e.g. “usa la keyword almeno 8 volte”) e le eventuali lacune nella sua strategia, permettendogli di produrre un contenuto che verrà trovato. Come questo (Inception edizione Ninja Marketing).
Analisi SEO dell’articolo attuale (prima che termini l’editing e la revisione). Inception x3.
Il peggio è passato: manca solo da diffondere il contenuto
Come Rocky Balboa dopo aver salito la scalinata, stanchi ma soddisfatti: ce l’abbiamo fatta. Il post è pronto, va solo diffuso. Massivamente, si spera.
CRM, Email Marketing e Social Media sono i tre pilastri che a questo punto del percorso non dovrebbero mai mancare. Con il primo (Salesforcee Hubspot sono i più famosi) si realizza una sorta di rubrica 2.0. a cui inviare i contenuti. Il CRM funziona in effetti proprio come un incubatore di contatti provenienti da diverse “rubriche”: eventi aziendali, clienti fisici e e-commerce (nel caso del B2C), iscrizione a newsletter, etc. Una volta inseriti nella loro totalità, i contatti devono essere smistati per definirne i contenuti di interesse.
Qui entra in gioco l’email marketing, di cui MailChimpe GetResponsesono i leader del mercato. Tramite questi tool, è possibile inviare una newsletter e trackarne la performance (quante views? Quanti click? Quanti abbandoni?).
Anche quando sponsorizzano qualche prodotto (spesso), i post di Freeda ottengono molti like e commenti che accendono il dibattito degli utenti. Chapeau!
Infine, ci sono i canali di proprietà dell’azienda, primi tra tutti i social media. Pensateci un po’, come siete arrivati a questo articolo? Probabilmente tramite LinkedIn o Facebook, che sono sicuramente i tool più interessanti dal punto di vista B2B e B2C.
Ma non solo: ormai anche Instagram è un’ottima cassa di risonanza per i contenuti, soprattutto se in ambito propriamente editoriale. L’universo Vice e Freeda ne hanno fatto un mantra: l’effetto Word of Mouth si crea tramite i social, mica con Google.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2017/10/emailmarketing.jpeg7201080Cecilia Lorussohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCecilia Lorusso2020-09-21 11:32:202021-01-05 15:32:12Tool, idee e strategie di Content Marketing per catturare (tutti) gli utenti
Entro il 2022 in Italia ci sarà bisogno di 2,5 milioni di nuovi occupati e il 75% delle aziende reagirà alla crisi prodotta dal Covid-19 con attività di re-skilling.
Da questi dati nasce l’idea del nuovo spazio di Phyd, digital venture di The Adecco Group, nel cuore di Milano, dedicato a orientamento e percorsi di up-skilling e re-skilling per studenti, professionisti e imprese attraverso esperienze Phy-gital.
La location è stata ideata e costruita con un investimento di oltre 6 milioni di euro, compresa la realizzazione della piattaforma, e ha l’obiettivo di formare e valorizzare il capitale umano con le nuove skill richieste dalla costante trasformazione che il mercato del lavoro sta conoscendo.
Il futuro del lavoro (e delle competenze)
Secondo il World Economic Forum, nei prossimi 3 anni, a livello globale, l’evoluzione del mondo del lavoro – accelerata dalla tecnologia, dal digitale e dell’automazione – determinerà la nascita di 133 milioni di nuove opportunità occupazionali, a fronte di 75 milioni di posti di lavoro destinati a scomparire. Unioncamere stima che solo in Italia, ci sarà bisogno di 2,5 milioni di occupati in più.
L’impatto della crisi economica legata alla pandemia rischia di avere un impatto al ribasso su queste stime, ma il tema delle competenze diventerà ancor più cruciale. Secondo il dossier 2020 Unioncamere-ANPAL, il 75% delle aziende italiane dichiara che, per fare fronte alla crisi, nei prossimi sei mesi metterà in campo azioni di reskilling del personale già presente in azienda. Questo produrrà un’ulteriore accelerazione del processo di riconversione e rafforzamento delle competenze del capitale umano, anche per favorire l’allineamento alle nuove forme organizzative del lavoro.
Secondo Andrea Malacrida, Fondatore di Phyd e Country Manager di The Adecco Group in Italia: “Il tema dell’aggiornamento professionale continuo rappresenta uno dei punti centrali per il mondo del lavoro del futuro. Nei prossimi anni, anche a seguito dell’emergenza sanitaria appena vissuta, il mondo del business subirà cambiamenti ancor più repentini di quelli che abbiamo vissuto fino ad ora e solo chi riuscirà a coltivare le proprie competenze professionali, aggiornandole e sviluppandone di nuove, avrà l’opportunità di rimanere appetibile sul mercato del lavoro”.
Fondamentale, dunque, l’acquisizione di nuova conoscenza, sia tecnica che trasversale, tanto per gli studenti quanto per i professionisti. Le soft skill, in particolare, sono destinate ad avere un impatto determinante sulle retribuzioni, fino a incrementare uno stipendio di oltre il 40%.
Inoltre, resta attuale la criticità rappresentata dalla distanza che separa le competenze richieste dal mercato con quelle proposte dai programmi scolastici e universitari: lo skill mismatch impatta negativamente sia sui lavoratori che sulle aziende, frenando la crescita dell’intero sistema-Paese. Nel settore ICT, per esempio, il gap tra domanda e offerta di competenze è attualmente del 18%.
Come spiegato da Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia: “Lo skills mismatch è un fenomeno che in Italia sta diventando davvero rilevante e urgente. […] Non si tratta solo di implementazione di nuove tecnologie come il Cloud Computing o l’Intelligenza Artificiale, ma di avere le giuste competenze per cogliere tutte le opportunità di sviluppo che il digitale offre. Un recente studio Microsoft ha rilevato per esempio che le organizzazioni che traggono maggior valore dall’adozione dell’AI sono quelle che non puntano solamente sull’automazione e sull’efficienza operativa ma anche sulla formazione”.
Phyd Hub nasce con l’idea di permettere a studenti e lavoratori di vivere un’esperienza phy-gital e rappresenta la naturale evoluzione della piattaforma digitale Phyd, che, attraverso le soluzioni di Intelligenza Artificiale di Microsoft, misura l’attitudine e l’occupabilità di una persona rispetto ad una professione, ricavandone il grado di adeguatezza e rilevanza (employability index).
Proprio come la piattaforma, anche la location di Phyd Hub, aperta a tutti, offre contenuti poliedrici, inserendoli nella cornice di un luogo progettato in modo inedito. Lo spazio, organizzato su più livelli, ospiterà incontri, eventi, opportunità di networking e percorsi di up-skilling e re-skilling caratterizzati da un denominatore comune: interpretare nel modo più ampio il futuro del lavoro attraverso attività di career gym, preparazione ai colloqui e di controllo del curriculum vitae.
Situata nel centro di Milano, in via Tortona, la nuova location si caratterizza per un palinsesto di contenuti cross-generazionali che si svilupperà ogni anno nell’arco di 44 settimane e sarà incentrato sui temi del future of work, del life long learning e delle skill emergenti. Tra i partner di contenuti formativi anche Ninja Academy.
Phyd Hub è organizzata su più livelli per dare spazio a una dimensione immersiva che segna il passaggio dal mondo fisico esterno a quello phygital della nuova piattaforma e un’area training pensata per la formazione individuale; infine il luogo dedicato all’apprendimento verticale per piccoli gruppi e quello più esteso che ospiterà corsi, workshop, talk ed eventi.
Manlio Ciralli, Chief Executive Officer di Phyd, ha dichiarato: “Phyd nasce con l’obiettivo di nutrire la conoscenza attraverso un percorso di esperienze e fruizione che coniuga fisico e digitale. L’obiettivo primario è quello di dare alle persone la possibilità di porsi in uno stato di aggiornamento continuo. […] L’ambizione di amplificare – attraverso l’intelligenza artificiale – le opportunità di conoscenza e l’accesso ai contenuti senza distinzioni territoriali e, attraverso il luogo fisico, di mantenere la prossimità tra le persone laddove il networking e lo scambio di esperienze rappresenta di per sé uno strumento di miglioramento, contaminazione e conoscenza”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/phyd-hub-2.jpg7361198Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-18 13:59:092020-09-21 21:13:38A Milano nasce Phyd Hub, un nuovo spazio tecnologico che guarda al futuro del lavoro
Diversi studi hanno dimostrato come una scelta più varia attiri le persone, ma una selezione più limitata di prodotti faciliti la conversione.
I clienti di oggi richiedono meno informazioni ma più chiare, dirette e focalizzate su un’unica caratteristica.
Over comunicare può rivelarsi un boomerang per un business e per la conversion? I consumatori desiderano davvero essere “travolti” da innumerevoli contenuti?
Nel mondo di oggi dove tutto cambia in modo molto rapido, in cui siamo costantemente connessi e desideriamo ricevere risposte con velocità e chiarezza, la regola è solo una: “less is more”.
Che si parli di una landing page, del lancio di una nuova linea di prodotti, o ancora di un sito web di servizi, tutto deve essere costruito con uno ed unico obiettivo.
È stato dimostrato come troppe opzioni, o troppi messaggi, portino le persone ad avere una scelta così vasta da non essere in grado di prendere una decisione, causando dunque un mancato acquisto e una mancata conversione.
In merito a questo tema esiste uno studio psicologico molto interessante “Jam Study” condotto da Sheena Iyengar, S.T. Lee Professore di Economia presso il Dipartimento di Gestione della Columbia Business School: la ricerca è stata condotta in un supermercato in un sabato pomeriggio esponendo un primo gruppo di persone a 24 gusti di marmellata, e secondo gruppo a sole 6 opzioni della stessa marmellata.
Alla fine dell’esperimento solo il 3% delle persone appartenenti al primo gruppo aveva acquistato un barattolo di marmellata, mentre il 30% dei consumatori appartenenti al secondo era riuscito a concludere un acquisto.
Ciò dimostra che di sicuro una scelta più varia attira l’attenzione delle persone, ma che una selezione più limitata facilita la vendita, e dunque la conversion.
Capiamo ora insieme come migliorare un’esperienza d’acquisto per renderla più immediata e più efficace.
Sì ai dettagli, no all’eccesso
La quantità non è tutto.
Una pagina prodotto per essere efficace deve contenere le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso. Potrebbe sembrare un’affermazione banale, ma guardando e analizzando diversi brand e prodotti online non sembra essere così scontato.
L’errore che spesso viene commesso è questo di voler dire tutto per non omettere nessuna delle selling propositions.
In realtà decidere un solo obiettivo e un solo punto di forza, spiegato in modo conciso e dettagliato, potrebbe davvero fare la differenza e convincere il nostro consumatore a concludere un acquisto.
Un’altra soluzione per incrementare le conversioni, è rappresentata dall’utilizzo dei video, in pagina prodotto o sulle pagine di contenuto principali, per spiegare più caratteristiche e punti di forza.
Affinché un video sia efficace, deve essere pensato in modo da:
1. contenere le informazioni chiave all’inizio;
2. spiegare i benefici che potrà ottenere l’utente;
3. prevedere e rispondere a domande che potrebbero sorgere.
Una risorsa a sorpresa: le recensioni dei propri clienti
Mai pensato che potesse essere una soluzione? In realtà, nonostante la digitalizzazione, il passaparola è ancora un elemento importante da non sottovalutare. Un cliente soddisfatto del prodotto è più propenso a lasciare un feedback positivo e può indirettamente contribuire ad un aumento delle vendite.
Bisogna prestare attenzione ai seguenti punti per ottenere benefici e aumentare la conversion attraverso le recensioni:
1. recensioni brevi: lasciare troppo spazio al giudizio e ai suggerimenti può generare confusione e perdita di focus. La soluzione migliore è quella di pensare ad uno spazio con un numero di caratteri limitati, sufficienti per esprimere un’opinione diretta, chiara, semplice.
2. Spazio alla recensioni negative; sembrerebbe un controsenso ma per dare l’impressione che le recensioni siano vere e non frutto di un piano di comunicazione studiato ad hoc, è importante lasciare spazio ai feedback negativi anche per un obiettivo di miglioramento costante.
Social sharing?
Ultimi, ma non meno importanti le call to action di condivisione; sono sempre di più i brand che scelgono di fornire questa opzioni ai propri clienti, ma bisogna sempre essere molto attenti a non abusarne.
Nel momento in cui non si è certi di quale sia il social network più adatto, è controproducente inserire tutti i social per paura di sbagliare. Ci sono diversi dati interessanti che possono essere d’aiuto per la nostra conversion. Uno ad esempio riguarda la demografica, che ci permette di capire quale o quali sono i social media più utilizzati dai nostri consumatori.
È fondamentale, non usare opzioni già fornite all’interno dei plug-in, ma scegliere call to action allo sharing personalizzate e create pensando in primis ai propri consumatori e alle loro abitudini di interazione sui social e di condivisione.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/dubbi-conversione.jpg6711208Harukahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngHaruka2020-09-18 12:09:062020-09-22 11:03:57Conversion e contenuti: troppe opzioni possono trasformarsi in un boomerang
Oggi il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€. Le abitudini del consumatore post-lockdown si sono profondamente trasformate.
La crisi sanitaria ha inevitabilmente accelerato la trasformazione digitale dei brand ed ecco quello a cui bisognerebbe pensare.
Il lockdown ha messo in discussione le abitudini di consumo degli italiani. I consumatori hanno colto l’occasione per cimentarsi in nuove modalità di acquisto, spingendo i brand a digitalizzare i punti vendita, a diventare omnicanale e a promuovere un’esperienze integrata.
Ma quali cambiamenti hanno vissuto i consumatori durante il contenimento e quale lezione possono trarne i marketer? Ce lo spiega un’infografica di Splio.
Prima del lockdown
Device
Smartphone. L’mCommerce è un trend in crescita: gli acquisti online tramite mobile per il settore dell’abbigliamento nel 2019.
Nel 2019 gli acquisti tramite smartphone hanno rappresentato il 40% delle vendite online totali generano 12,5 miliardi. In alcuni casi il mobile arriva a rappresentare il principale device di acquisto: 50% nell’abbigliamento, 48% nel beauty e 49% nell’arredamento.
In-store
Interazioni fisiche. Vetrine e shopping sono attività legate soprattutto al tempo libero: gli italiani che preferiscono effettuare il primo acquisto nel negozio fisico.
I punti vendita fisici rimangono fondamentali come hub di scoperta ed esperienza dei prodotti. Toccare e sentire la merce, e ottenere subito i prodotti desiderati e sconti. Il primo acquisto infatti avviene in-store per la maggior parte degli italiani.
Canale
Drive-to-store. Le vendite offline trainano il settore retail.
L’eCmmerce B2C ha pesato il 7,3% delle vendite totali del settore retail, mentre il 92,7% delle vendite continua ad avvenire nel negozio fisico, confermandone l’importanza chiave.
Fedeltà
Carte fisiche. L’utilizzo della carta fedeltà è molto ampio.
Il 74% della popolazione italiana è iscritto almeno a un programma fedeltà presso un rivenditore. Il 44% è iscritto a un numero di programmi compreso tra 2 e 5. Tuttavia, il tasso medio di attività dei membri dei programmi fedeltà in Itala è solo del 40%.
Pagamento
Contanti. Le transazioni contactless sono ancora inferiori alla media mondiale.
Nonostante l’entusiasmo per i pagamenti contactless, che hanno generato nel mondo oltre 3,5 miliardi nel 2019, l’Italia rimane tra i primi paesi europei per pagamento in contanti, confermandosi la modalità più utilizzata.
Computer. Il carrello medio da PC supera i 75%, mentre il carrello medio da mobile è inferiore ai 75€.
Seppur gli acquisti online da smartphone siano in costante crescita (50% durante il lockdown), il carrello medio è superiore per gli acquisti avvenuti da computer, specialmente durante la settimana. Durante il contenimento si è registrata una flessione dei carrelli per entrambi i dispositivi, evidenziando però che i consumatori acquistano con lo smartphone anche da casa, ma spendono di meno.
In-store
Distanziamento sociale. La sicurezza fa il suo ingresso nella customer experience.
Gli italiani propensi a visitare i soli punti vendita provvisti delle migliori condizioni di igiene e sicurezza. Indossare una mascherina, limitare i contatti fisici e rispettare il distanziamento. I consumatori oggi vivono un’esperienza di successo in-store grazie alle misure sanitarie preventive e grazie alla digitalizzazione del punto vendita. Il 51% degli italiani, infatti, desidera trovare in negozio un maggiore utilizzo delle tecnologie digitali.
Canale
Omnicanale. Abitudini di acquisto in piena trasformazione: i nuovi consumatori italiani che hanno acquistato online nei primi 4 mesi del 2020.
Il lockdown ha avuto il merito di modificare le abitudini di acquisto degli italiani, ora più propensi agli acquisti online per proteggersi dai rischi sanitari. Si stima che l’eCommerce in Italia raggiungerà i 22,7 miliardi di fatturato nel 2020 (+26% rispetto al 2019), con un crescente utilizzo del Click & Collect (+349% registrato in maggio in Italia) e del proximity commerce.
Fedeltà
Carte dematerializzate. La digitalizzazione come esperienza di fidelizzazione. Percentuale di carte fedeltà installate nel Mobile Wallet che vengono conservate e raramente disinstallate. I clienti post-lockdown desiderano smaterializzare il più possibile le carte fedeltà per minimizzare il concetto fisico. Nel 2019 il 63% di possessori di smartphone ha digitalizzato nel Mobile Wallet almeno un contenuto: primo da tutti la carta fedeltà, gli strumenti di pagamento, infine i buoni sconto.
Pagamento
Contactless. Pagamento senza contatto. Gli italiani che hanno utilizzato il pagamento contactless con facilità a causa dell’emergenza sanitaria. Il lockdown ha avuto il merito di aver incrementato l’utilizzo del pagamento contactless. Si stima che a causa della pandemia, quasi la metà (45%) della popolazione abbia ridotto l’utilizzo del contante e il 17% abbia sperimentato il pagamento contactless per la prima volta. È giunto il momento del mobile wallet, che oltre a consentire di effettuare il pagamento, permette ai consumatori di beneficiare immediatamente dei vantaggi fedeltà.
Come cambia il comportamento del consumatore post-lockdown e quali azioni devono intraprendere i marketer
A causa dell’emergenza sanitaria assistiamo a una profonda trasformazione dei modelli di consumo. La crisi sanitaria ha inevitabilmente accelerato la trasformazione digitale dei brand, con un’anticipazione media di 5/6 anni, ponendoli davanti a nuove sfide necessarie per rispondere alle esigenze mutate del consumatore post-lockdown.
Digitalizzazione del punto vendita, omnicanalità, fidelizzazione, esperienza in-store, contactless. Questi sono solo alcuni dei fattori che brand e marketer dovrebbero riconsiderare oggi, nel cosiddetto “new normal”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/09/2-1.jpg430640Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-18 10:39:472020-09-22 14:53:52Identikit del consumatore post-lockdown: da dove partire per conquistarlo
Mettere al centro dell’economia i Progetti e di conseguenza la Gestione dei Progetti (Project Management) significa stravolgere in molti casi processi, pratiche e abitudini che hanno caratterizzato molte imprese: fare un progetto oggi non è più semplicemente “fare quanto richiesto”, ma “generare valore”.
Se pensiamo alla situazione attuale, la crisi sanitaria ed economica del 2020, la buona gestione dei progetti diventa una questione ancora più importante: commettere degli errori nell’economia del progetto significa ridurre i margini e compromettere l’impresa stessa.
Per fare questo però dobbiamo ripensare il modo in cui viene fatto Project Management.
Si tratta di un cambiamento importante perché richiede un cambiamento nei Project Manager, nella considerazione dei Progetti e nei team che si trovano a dover realizzare questi progetti: come spesso accade non è un cambiamento di strumenti, ma è un cambiamento radicale nella cultura aziendale.
Se dovessimo identificare il cambiamento principale nella gestione dei progetti in questi decenni troveremmo la risposta in un cambio di prospettiva da parte del Project Manager (PM).
Infatti possiamo distinguere tra:
una visione Tradizionale, nella quale al PM viene chiesto di raggiungere i risultati definiti inizialmente rispettando tempi e costi;
una visione Moderna, nella quale al PM viene chiesto di generare valore attraverso uno o più progetti rispettando tempi e budget.
E questo piccolo cambiamento ha un impatto enorme sul modo in cui vengono gestiti i progetti.
Vuoi saperne di più sul nuovo ruolo del Project Manager?
Se vuoi approfondire l’argomento e saperne di più su quale è il nuovo ruolo del Project Manager in azienda, puoi scaricare la Guida Interattiva Ninja dedicata ai membri PRO.
Se non sei ancora iscritto, approfitta del free risk trial period, grazie al parere di Piero Tagliapietra, consulente in Digital Strategy e Project Management, potrai:
avere una panoramica sulle principali metodologie di Project Management;
valutare quale sia l’approccio ottimale per i tuoi progetti;
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/10/google.jpg600900Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-09-17 15:00:002020-09-17 12:24:22Verso la Project Economy: come gestire oggi progetti e team in azienda
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