Finalmente siamo in pausa pranzo, abbiamo un po’ di tempo libero e decidiamo di scaricarci un giochino sullo smartphone. Un rompicapo davvero originale e ce la caviamo anche piuttosto bene!
C’è sempre però quell’annuncio pubblicitario, alla fine di ogni livello, che mostra quel prodotto o servizio di cui non conoscevamo minimamente l’esistenza (e che magari decidiamo di acquistare).
Questa situazione non vi è familiare? Il video advertising è diventato una delle strategie più influenti scelta dai brand per promuovere prodotti e servizi.
Perché il video advertising è sempre più popolare
Criteo è un’azienda tecnologica leader a livello globale che consente ai marketer e agli editori di raggiungere i loro obiettivi grazie alla Commerce Media Platform.
I 2,700 membri del team Criteo collaborano con più di 21.000 marketer e migliaia di editori in tutto il mondo per attivare il più grande insieme di dati commerce al mondo e ottenere migliori risultati di business. Grazie a soluzioni di advertising affidabili e di grande impatto, Criteo offre esperienze più ricche a ogni consumatore.
Il report ha messo in evidenza diversi dati che mostrano il comportamento dei consumatori e le loro nuove abitudini di acquisto. Il sondaggio, con un totale di 1000 persone intervistate in Italia, confronta i dati raccolti all’inizio della pandemia con quelli rilevati negli ultimi mesi, con lo scopo di esaminare come sono cambiate le tendenze dei consumatori in quest’ultimo anno e mezzo e ottenere così ulteriori informazioni sulle nuove abitudini di acquisto.
Alla fine del report ci sono anche una serie di raccomandazioni per migliorare i servizi online ottimizzando le campagne e raggiungere maggiori conversioni (vendite, revenue, leads).
Video advertising in Italia e la sua influenza sui consumatori: un po’ di numeri
In Italia lavisualizzazione dei video è aumentata del 25%.
Le persone trascorrono molte ore al giorno a guardare servizi in streaming e ciò si traduce in un vantaggio per gli inserzionisti. Conoscere questi dati è essenziale per comprendere le abitudini di visualizzazione degli utenti e le loro preferenze sulla pubblicità per i servizi di video in streaming.
Dai dati emerge che 3 persone su 5 guardano servizi di video a pagamento.
Dalle risposte dei 1000 intervistati appare evidente che più della metà trascorre, a settimana, almeno 5 ore del proprio tempo guardando contenuti a pagamento. Tra questi, Netflix, Prime Video e Apple TV.
Seguono poi le dirette in streaming dei gamer. Questo aumento è stato registrato all’inizio del 2020 e tutti gli indicatori mostrano che il trend andrà avanti.
L’originalità dei contenuti fa la differenza
Cosa spinge le persone a scegliere video a pagamento?
Quasi la metà degli utenti italiani dichiara che preferisce guardare video in streaming perché i contenuti sono originali e di qualità. Tra gli altri motivi ci sono anche la possibilità di guardare questi contenuti in modo flessibile sui diversi dispositivi e on demand.
Dove guardare i video in streaming
Quali sono i dispositivi preferiti da chi consuma video in streaming?
La maggior parte dell’utenza, soprattutto i più giovani, si divide tra smartphone e laptop. Non fa certo scalpore che il 77% della GenZ preferisca guardare i video sullo smartphone, ma anche su laptop e PC. Un terzo del campione, invece, utilizza la propria game console.
Cosa influisce nella scelta di un servizio streaming
Nel report di Criteo molto interessanti sono anche le risposte che motivano la preferenza di un servizio streaming rispetto a un altro.
Gli intervistati non hanno dubbi: la prima cosa che motiva la loro decisione è il costo dell’abbonamento, seguito dalla qualità dei contenuti e dalla possibilità di annullare con facilità il servizio.
I servizi in streaming più scelti
I servizi video streaming preferiti sono quelli che comprendono un vasto catalogo di contenuti e prevedono un abbonamento mensile dal costo contenuto.
In questa classifica, troviamo infatti al primo posto Netflix (scelto da più della metà degli intervistati) seguito da Prime Video.
Tutti questi possono aiutare i marketer a definire una strategia personalizzata e vincente nell’acquisizione di nuovi contatti e trasformare gli utenti in potenziali clienti.
Come i marketers possono utilizzare il video advertising
La prima cosa che possiamo dedurre molto chiaramente dai dati del report è che il video è il formato preferito dagli italiani.
Inoltre, le persone preferiscono che un’inserzione compaia prima o dopo il contenuto video perché non vogliono essere disturbati da interruzioni durante la visione.
Altro aspetto fondamentale è che gli annunci video mostrino contenuti pertinenti alle preferenze di chi guarda. Infatti 2 utenti su 5 dichiarano di gradire annunci che forniscono informazioni coerenti e utili.
Da non sottovalutare anche la tipologia d’accesso ai servizi di streaming: 3 persone su 5 usano la stessa mail per accedere a tutti i siti web e app.
Ciò significa che la maggior parte di loro utilizza la stessa mail per accedere ai servizi in streaming e acquistare online. Questa specifica garantisce l’opportunità di connettere la visualizzazione di video ai comportamenti di shopping su tutti i device e i canali, utilizzando indirizzi email privacy-safe criptati.
Ultima considerazione, ma non per importanza, che un marketer deve assolutamente tenere presente è che i servizi di video in streaming influenzano la discovery e le decisioni di acquisto di tutti gli utenti.
Questi video infatti aiutano le persone a scoprire nuovi prodotti e servizi perché dopo la visione del contenuto, ben 2 utenti su 3 cercano sul web quel prodotto/servizio sponsorizzato.
Come utilizzare il video advertising e generare più risultati commerciali
Abbiamo ormai appurato che il pubblico è più ricettivo a questo canale lungo tutto il customer journey, dalla discovery all’acquisto.
Per raggiungere i risultati commerciali desiderati è infatti importante targetizzare i consumatori sull’intero shopping journey, definendo l’audience corretta per ogni obiettivo: una campagna poco mirata non sarà efficace. Ed è proprio qui che entra in gioco Criteo: una realtà all’avanguardia che con la sua Commerce Media Platform dispone di strumenti e servizi di awareness, consideration e conversione in grado di raggiungere e convertire l’utenza.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/Video-advertising-2.jpg10801920Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2021-12-06 12:34:302021-12-09 09:57:30Video Advertising: come il video è diventato il formato pubblicitario preferito dei consumatori
Spotify ha presentato Wrapped 2021 svelando gli artisti, gli album, le canzoni, le playlist e i podcast che i 381 milioni di utenti della piattaforma hanno ascoltato di più durante l’anno.
Ecco i risultati completi di Spotify Wrapped 2021 a livello globale e italiano.
A guidare la classifica mondiale come artista più ascoltato troviamo per il secondo anno consecutivo Bad Bunny, il rapper che ha completamente cambiato la musica latina. Completano il podio i BTS e Drake, seguiti da Justin Bieber e The Weeknd.
Con il record della canzone più lunga che abbia mai raggiunto la prima posizione nelle classifiche, Taylor Swift è l’artista donna più ascoltata su Spotify nel 2021, seguita da Ariana Grande e Olivia Rodrigo.
I Måneskin rappresentano l’Italia nel mondo, conquistando la posizione 58 della classifica Globale dei Top Artist con oltre 2 miliardi di stream.
A guidare la classifica mondiale delle canzoni con il maggior numero di stream troviamo “drivers license” di Olivia Rodrigo, che conferma il suo status di star planetaria. Al secondo e terzo posto: “MONTERO (Call Me By Your Name)” di Lil Nas X e “STAY” di The Kid LAROI (con Justin Bieber).
Completano la top five: “good 4 u”, sempre di Olivia Rodrigo, e Levitating (con DaBaby) di Dua Lipa. In top ten, invece, c’è anche Beggin’ dei Måneskin, la canzone italiana più ascoltata di sempre sulla piattaforma.
L’album del 2021 di Spotify è “SOUR” di Olivia Rodrigo, seguito da “Future Nostalgia” di Dua Lipa e “Justice” di Justin Bieber. Quarto e quinto posto vanno rispettivamente a “=” di Ed Sheeran e “Planet Her” di Doja Cat.
La playlist editoriale più ascoltata su Spotify è Today’s Top Hits, che si aggiudica la prima posizione per il secondo anno consecutivo.
I più ascoltati in Italia su Spotify
Il rapper di Cinisello Balsamo Sfera Ebbasta, già top artist nel 2018, è l’artista più ascoltato in Italia, seguito da BLANCO, il diciottenne rivelazione della musica italiana.
A seguire Rkomi, Guè e Capo Plaza. Rientrano in top 10 anche i Måneskin, la band romana che continua a rappresentare l’Italia nel mondo, all’ottavo posto.
Madame è la più ascoltata tra le artiste in Italia seguita da Dua Lipa e Ariete. Le artiste italiane Annalisa, Alessandra Amoroso ed Elisa sono presenti nella top 10 rispettivamente in sesta, ottava e decima posizione.
La canzone più ascoltata dell’anno è “malibu” di sangiovanni. La canzone è seguita dai tormentoni dell’estate “MI FAI IMPAZZIRE” e “Notti In Bianco” di BLANCO. Chiudono la top 5 “LA CANZONE NOSTRA” di MACE ︎(con BLANCO & SALMO) e “NUOVO RANGE” di Rkomi (con SFERA EBBASTA)
L’album con il maggior numero di stream è TAXI DRIVER di Rkomi, seguito da “Blu Celeste” di BLANCO e “MADAME” di Madame. Rispettivamente, invece, in quarta e quinta posizione ci sono “PLAZA” di Capo Plaza e “Famoso” di Sfera EBBASTA.
Hot Hits Italia è la playlist italiana più ascoltata su Spotify nel 2021
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/wrapped-2021.jpg536957Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-12-03 11:35:362021-12-06 13:31:40Spotify presenta Wrapped 2021: gli artisti, le canzoni, gli album e i podcast più ascoltati dell’anno
Tutto pronto per la premiazione del BEA Italia Festival 2021: poche ore al fischio d’inizio!
Per i 18 anni del premio di ADC Group, il regalo più bello: il ritorno delle celebrazioni ‘dal vivo’ con una dinner ceremony powered by FeelRouge – Balich Wonder Studio Business Unit Events and Brand Experiences.
BEA Italia Festival 2021
Un finale col botto quello che chiuderà il BEA Italia Festival 2021, con una dinner ceremony che segna il ritorno alle celebrazioni in presenza per le premiaizoni della XVIII edizione del BEA Italia.
A fare gli onori di casa il presidente di ADC Group Salvatore Sagone affiancato dal presidente di giuria Gianmaria Restelli, Responsabile Comunicazione Esterna e Corporate Image di Gruppo Unipol. La conduzione della cerimonia è affidata a Marco Maccarini.
Durante il galà verranno consegnati i premi assegnati dalla giuria di aziende composta da 42 manager, che si è riunita lunedì 29 e martedì 30 novembre in occasione delle digital live presentation delle agenzie finaliste.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/BEA-Italia-2021.jpg10801920Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2021-12-02 16:17:592021-12-29 16:15:10Non perdere la premiazione della XVIII edizione del BEA Italia Festival 2021
Mentre vorticosamente veniamo risucchiati dalle informazioni sul Metaverso, mondi dematerializzati e contatti virtuali, negli annunci stampa di novembre esplode l’out-of-home.
Complice la riduzione delle restrizioni in alcuni Paesi, Amazon e Volkswagen, tra gli altri, si sono lanciati in ardite execution dai risultati formidabili. L’advertising fisico permette, al momento e forse molto più di altri canali digitali, di lasciar correre l’ispirazione e la creatività e immaginare forme totalmente nuove di comunicazione con le persone.
Per esempio, ascoltare i suoni della natura mentre si aspetta l’autobus, come ha fatto E.ON in Ungheria.
Godiamoci insieme la selezione degli “annunci molto fisici” di questo mese.
Prime Video promuove il lancio dell’epica serie fantasy The Wheel of Time con un’affissione in 3D in live-action creata da Amplify e con la star della serie Rosamund Pike.
È la prima volta che un cartellone anamorfico viene utilizzato da una società di intrattenimento per promuovere una serie.
Prime Video ha debuttato in Piccadilly Circus, a Londra, il 15 novembre, ma l’out of home apparirà anche in siti iconici nei mercati chiave, tra cui il Big Kahuna di New York City a Times Square e il Cross Shinjuku Vision di Tokyo.
Advertising Agency: Amplify, London, United Kingdom
H&T Pawnbrokers – Ready to be loved again
H&T Pawnbrokers è il più grande banco dei pegni del Regno Unito e ha diffuso la sua nuova campagna natalizia, “Ready to be loved again“.
Si tratta del primo prodotto pubblicitario che il marchio ha lanciato in collaborazione con M&C Saatchi da quando ha iniziato a lavorare con l’agenzia all’inizio di quest’anno.
La nuova campagna festiva di H&T cerca di guidare le vendite di gioielli con diamanti pre-loved. Spinge anche le persone che potrebbero non aver mai pensato di acquistare regali da un’agenzia di pegni a considerarla come un modo per regalare qualcosa di unico a un amico o a una persona cara.
M&C Saatchi ha lavorato a stretto contatto con H&T per sviluppare una serie di straordinarie execution, ognuna delle quali porta in vita il concetto di pre-loved fondendo una fotografia vintage in bianco e nero con un’immagine moderna a colori.
Advertising Agency: M&C Saatchi, London, United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland
Media Agency: M&C Saatchi Performance
Photography Studio: Horton Stephens Productions
Photographer: Nick Dolding
I migliori annunci stampa di novembre: Santander – Santander cashback campaign
Santander ha installato rubinetti giganti dai quali zampillano monete su alcuni cartelloni a Londra e Manchester per pubblicizzare l’offerta della banca di cashback mensile sulle bollette domestiche.
L’obiettivo è promuovere in modo memorabile l’offerta. Sembra che sia stato centrato in pieno.
Pubblicità esperienziale creata da Engine Creative, Regno Unito per Santander, nella categoria: Finanza.
Advertising Agency: Engine Creative, UK Creative
Strategy Director: Nicola Dyball
Account Management: Nick Pawlak, Marianne Roberts, Tom Butler, Shannel Darko
Agency Senior Project Manager: Chelsea Chapman
Agency Designer: Aaron Pacey
Production Co: Posterscope, MediaCo
Artworking: Hogarth
Media planning/buying: Carat
E.ON Hungary Group – Budapest tram stops feature music generated by living plants
L’agenzia pubblicitaria ACG e E.ON hanno creato dei “paradisi verdi sonori” come parte della campagna dell’azienda, focalizzata sull’importanza di combattere il cambiamento climatico.
Grazie alle installazioni uniche, i passeggeri che transitano alle fermate del tram nelle piazze Széna e Szent Gellért non solo sono accolti da piante vive, ma possono anche immergersi nel suono della natura: la musica alle fermate viene infatti generata dalle biovibrazioni delle piante.
Advertising Agency: ACG Budapest, Hungary
Creative Group Head: Rita Alberti
Copywriter: Tímea Maróti
Art Director: Dániel Kitai
Head of Studio: Mihály Harazin
Account Director: Petra Kriston
Senior Account Manager: Szilvia Kránicz
Senior Social Media Manager: Csilla Erdei
PR Group Head: Brigitta Kedves
PR Specialist: Bálint Mikola
Sound Studio: Avidio System
Out-of-Home Partner: JCDecaux Hungary
Creative Director: László Nagy
Integration Director: Bianka Bujdosó-Nagy
Volkswagen Commercial Vehicles – BRING THE SHUTTERS DOWN ON OVERWORKING
Volkswagen Commercial Vehicles e Mental Health UK portano avanti il loro messaggio #DownTools direttamente in strada con una serie di sorprendenti lavori di street art.
I dipinti sono stati realizzati dal noto artista di murales Peter Barber e appaiono sulle serrande di una tintoria, di una macelleria e di una panetteria, condividendo il messaggio “Abbassiamo le serrande sul superlavoro” insieme all’hashtag #DownTools.
Advertising Agency: BBH, United Kingdom
Head of Marketing Press and Public Relations: Kate Thompson
National Communications and PR Manager: Laura Bignall
Communications Manager: Louise Willis
Communications Manager: Matthew Mann
BBH Creative Team: Luke Till, Lawrence Bushell
BBH Creative Director: Remco Graham
BBH Strategist: Thandi Mbire
BBH Strategy Director: Selina Khuu, Aparna Bangur
BBH Senior Account Director: Andrew Connolly
BBH Account Manager: Arabella Johnston, Caitlin Quigley
BBH Account Executive: Amber Sidney-Woollett
Film Credits
BBH Producer: Nikola Oksiutycz
Production Company: Spindle
Director: Spencer MacDonald
Executive Producer: Lou Gagen
Producer: Mike Carr
DoP: Jake Scott
Post Production
Editor/Editing House: Rich Woolway
Post House: Framestore
Post Producer: Jake Saunders
Sound: 750mph
Sound Studio Engineer: Marcin Pwalik
Print Credits
BBH Producer: Beth Mechem
Down Tools Designer: Rob Wilson
Shutters Illustrator: Toby Triumph
Shutters Photographer: Dan Sims
Shutters Install Team: Peter Barber
Media agency: PHD
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/annunci-stampa-di-novembre.jpg540958Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-12-02 13:50:462021-12-29 16:03:20Amazon, Volkswagen e Santander: i migliori annunci stampa di novembre
Social Media Trends 2022: per grandi e piccoli brand comunicare attraverso i social media dal prossimo anno sarà impegnativo.
C’è un forte cambiamento che bolle in pentola e gli esperti sono sicuri che il piatto sarà presto servito nel giro di qualche mese (per alcuni la tavola è già stata imbandita).
Forse non tutte le grandi società hanno colto le principali innovazioni che stanno trasformando il modo di fare social media marketing.
Tuttavia il mix perfetto tra innovazione tecnologica ed evoluzione relazionale legata agli effetti della pandemia sulla società, è pronto a scatenare i suoi effetti.
Tutto conduce a una macro-dinamica generale: il passaggio – neanche tanto graduale – dal Social Listening come lo abbiamo sempre conosciuto, alla Conversational Intelligence.
C’era una volta il Social Listening
Cos’è il Social Listening? Si tratta di una serie di tecniche e strumenti che permettono di mappare tutti i termini associati al proprio marchio e comprenderne il valore positivo, neutrale o negativo.
Oggi i dati confermano che solo una piccola minoranza di utenti online commenta o condivide effettivamente i contenuti: la stragrande maggioranza di tutti i media online viene consumata passivamente.
Ci piace tanto guardare, ma non sempre partecipiamo al dibattito o esponiamo le nostre idee o sensazioni.
Ciò rende molto difficile monitorare le conversazioni che avvengono, per esempio, tramite Instagram Stories, LinkedIn, TikTok o messaggi privati in generale, e questo può distorcere le informazioni che si ottengono.
Un esempio di dashboard su Talkwalker relativa al Social Sentiment del brand Coca-Cola.
Come rimediare a un gap che sembra incolmabile?
Trasformando il Social Listening in uno strumento di Intelligence che aiuta le imprese a prendere decisioni più consapevoli sulla base delle mutevoli esigenze dei clienti.
Benvenuta Conversational Intelligence
Gli sviluppi del marketing omnicanale e della gestione sinergica delle diverse piattaforme di comunicazione d’impresa, permettono di colmare i gap del Social Listening con la Conversational Intelligence.
Grazie ai progressi raggiunti dall’intelligenza artificiale è possibile incrociare dati e analizzare su larga scala informazioni rilevanti sulle conversazioni attorno a uno specifico brand.
Dall’analisi del social sentiment, delle discussioni sul web, del visual analysing fino al clustering delle conversazioni in piattaforma.
Tutte queste informazioni aiutano un’azienda a migliorare il ROI delle campagne di marketing online. Ottimizzare l’esperienza del cliente, dall’inizio del customer journey fino alla sua fase conclusiva, così da riprodurre la miglior esperienza di brand possibile in fase di engagement, conversione e fidelizzazione.
Le aziende innovative devono essere in grado di analizzare rapidamente questa massa critica di conversazioni tra utenti online e clienti. Ottenendo così una visione a 360 gradi delle mutevoli preferenze e dei comportamenti di quelli che sono i player decisivi per la reputazione e il successo di un marchio sul web.
La Conversational Intelligence va oltre l’ascolto sociale, oltre le intuizioni dei media, oltre le tradizionali ricerche di mercato. I brand possono accelerare la loro attività online, restare rilevanti all’interno dei social trend ed essere percepiti come thought leader del proprio settore.
È il sistema perfetto per ascoltare e monitorare la voce del cliente in tempo reale. Altrimenti si rischia di restare fuori da quella che è definita l’Era del Consumatore.
Conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro
La massima di Tucidide, storiografo ateniese del 400 a.C., è ancora attuale.
La transizione da Social Listening a Conversational Intelligence è il frutto di una naturale evoluzione sociale ed economica: anche se le aziende continuano a detenere una grande rilevanza decisionale, sono i consumatori a guidare le scelte e i temi della comunicazione di brand.
Valori, identità e azioni assumono un ruolo imprescindibile nelle scelte quotidiane di ciascuno di noi. La centralità delle persone nella strategia di marketing di un’azienda sarà sempre più decisiva.
Ecco perché è bene conoscere come grandi aziende e noti brand dovrebbero comportarsi sui social media.
Cosa conta davvero nella relazione digitale con il proprio pubblico? Come direbbero negli USA, cosa separa the best from the rest del social media marketing del 2022?
Le tendenze 2022 decisive per la sorte dei brand sui social media
Ecco alcuni dei trend che, assieme a molti altri, vengono illustrati, analizzati e rivisti in chiave strategica dal report di Talkwalker per una corretta comunicazione social a partire dal prossimo anno.
Quali saranno le tendenze che porteranno un brand al successo?
TikTok leader indiscusso
TikTok diventerà il leader dei social media e le piattaforme online non potranno fare altro che adattarsi a questa egemonia.
Gli utenti chiedono sempre più contenuti personalizzati, un servizio rapido, fluido e un’esperienza di brand migliore. Le nuove generazioni esprimono un senso di urgenza senza troppi fronzoli.
Le caratteristiche tecniche di TikTok si prestano perfettamente ai nuovi canoni di comunicazione di marca tra utenti e organizzazioni.
Generare viralità, rafforzare la community e lanciare una comunicazione d’intrattenimento su TikTok funziona molto meglio che sugli altri social tradizionali.
Il Programmatic Advertising e l’intero scenario dell’industria pubblicitaria dovranno farsi trovare pronti davanti ai cambiamenti che porterà con sé la Cookie Apocalypse.
Gli annunci social dovranno agire su meccanismi differenti man mano che i cookie avranno un margine d’azione sempre più ridotto.
I cookie stanno morendo e molti brand hanno già intonato il loro de profundis.
Quale impatto porterà questo cambiamento sul futuro della pubblicità sui social?
In che modo i brand potranno continuare a offrire servizi personalizzati e allo stesso tempo rispettare regole e disposizioni che proteggono dati e informazioni sensibili?
La Conversational Intelligence è l’elemento che ci permette di dire che la partita è ancora tutta da giocare.
Accorciare il Buyer Circle sui social
Se è vero che la pandemia ha spinto le persone a cercare online le risposte alle proprie esigenze di consumo, il Social Media Trends 2022 di Talkwalker esamina in maniera approfondita come le diverse piattaforme online stiano affrontando il tema del social commerce.
Esiste un modo per rendere ancora più fluido il customer journey di un’azienda e facilitare la vendita tramite social? Come stanno elaborando questa esigenza – sempre più evidente – le grandi piattaforme online?
Accorciare il ciclo di conversione è possibile, ed è utile farlo lì dove l’utente è più attivo e a contatto con il brand online.
Il Content Marketing post-pandemico
La creazione di contenuti di marca nell’era post-pandemica è un altro elemento che non può prescindere dalle esigenze dei consumatori.
Le dinamiche di chiusura, quarantena e distanziamento hanno innalzato fortemente i livelli di consumo di contenuti online.
Si può dire che la pandemia abbia creato un mondo di consumatori di contenuti online.
Le persone nutrono maggiori aspettative nella fruizione di contenuti. Sensibilità, inclinazioni e gusti diventano sempre più raffinati.
I nuovi livelli cognitivi e una maggiore confidenza con video, dirette streaming e on demand plasmeranno il content marketing del futuro.
Alla ricerca dei nostri Metaversi
Il metaverso continuerà a essere un argomento di conversazione tra il pubblico online e offline.
I diversi sviluppi hanno fatto passi da gigante sulla strada verso un un mondo virtuale online che incorpora realtà aumentata, realtà virtuale, avatar olografici 3D, video e altri mezzi di comunicazione.
Man mano che lo studio sul metaverso si espande, si aprono scenari – prima impensabili – in mondi alternativi iperreali che coesistono tra loro.
Si può dire che i metaversi saranno la futura connessione tra consumatore e brand. Potremmo fluttuare a bordo della navicella di Rick Deckard e districarci nei meandri dello skyline di Blade Runner, ma a massima definizione e interagendo con i nostri brand preferiti.
Conversational Intelligence, come valutare il presente per prepararsi al futuro
Queste sono solo alcune delle tendenze chiave che Talkwalker ha analizzato nel suo report e che aziende e organizzazioni devono attendersi nel 2022.
Sebbene sia molto complesso prevedere esattamente come andranno le cose, sulla base di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni è possibile prendere coscienza di alcuni evidenti indicatori sulle tendenze che stanno influenzando il modo di comunicare online con le persone.
Stiamo ancora cercando di adattare le nostre abitudini alle evoluzioni post-pandemiche e sotto molti aspetti il momento appare decisivo e carico di cambiamenti significativi per la società, così come l’abbiamo finora considerata.
Il futuro della ripartenza potrebbe aprire nuove importanti opportunità, soprattutto per coloro che prestano attenzione all’evoluzione delle relazioni interpersonali nel mondo digitale e desiderano allinearsi con le tendenze evolutive per facilitare la crescita e l’esposizione mediatica del brand.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/Social-media-trends-2022.jpg10801920Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2021-12-02 10:30:002022-03-22 11:24:25Social Media Trends 2022: cosa devono sapere i brand per puntare al successo
Fino a due anni fa, in Italia, l’82% dei dipendenti lavorava in ufficio, il 12% in modalità ibrida, il 6% da remoto. Il lavoro flessibile non faceva parte dei piani aziendali.
Secondo le ultime indagini Randstad nel 2021 siamo passati al 32% di lavoratori in ufficio, 31% in modalità ibrida e 38% da remoto. L’86% delle aziende ha confermato la modalità a distanza nel 2021 e due terzi lo farà in futuro con un mix tra presenza e remoto. Mediamente, oggi lavora in modalità “agile” il 54% della forza lavoro per 2,5 giorni a settimana.
Sette aziende su dieci (71%), inoltre, hanno progettato di consentire un pieno ritorno in ufficio su base volontaria entro la fine dell’anno, mentre il 47% non sono ancora sicure di quando termineranno i protocolli anti-COVID e solo un 10% prevede di fermarli prima del 2022.
Questi i trend secondo Willis Towers Watson, che prevede che nei prossimi anni solo due dipendenti su cinque lavoreranno in azienda: nel dettaglio il 42% in presenza, il 35% in modalità ibrida e il 23% da remoto.
La modalità ibrida e di lavoro flessibile, ovvero sia da remoto sia in presenza, tra due anni resterà comunque più diffusa di quella completamente a distanza. In questi mesi sta iniziando un riassestamento della percentuale di dipendenti che lavorano solo da remoto (tra due anni scenderanno dal 38% al 23%), mentre stanno aumentando di contro quelli che lavorano in presenza (tra due anni saliranno dal 32% al 42%) e in modalità ibrida (dal 31% al 35%).
In uno studio americano segnalato dal World Economic Forum, alcuni ricercatori stimano che la forza lavoro ibrida aumenterà la produttività nell’economia post-pandemia del 4,6%. La maggior parte di tale guadagno verrà da una riduzione del tempo di spostamento.
In questo sondaggio meno del 30% degli intervistati afferma che tornerà completamente alle attività pre-COVID; il resto rimane diffidente nei confronti dei trasporti di massa, degli ascensori affollati e dei pasti al chiuso.
Lo studio prevede che, nel complesso, il 20% delle giornate lavorative complete sarà eseguito da casa dopo la fine della pandemia. Il lavoro a distanza è fattibile per metà dei dipendenti e il piano aziendale tipico prevede che quella metà trascorra due giorni – il 40% – della settimana lavorativa a casa.
Il management aziendale segnala la volontà di avere i dipendenti in loco almeno tre giorni alla settimana per motivi che mettono in gioco la motivazione, la collaborazione e la cultura del posto di lavoro. “Per la maggior parte dei lavoratori, l’economia post-pandemia comporterà più WFH [Work From Home] rispetto all’economia pre-COVID, ma notevolmente meno di quanto vorrebbero”.
Come afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano «Lo smart working è una tendenza ormai inarrestabile. Nei prossimi mesi, tuttavia, assisteremo a dinamiche differenziate tra grandi imprese, PMI e PA. Nelle grandi imprese si andrà verso un consolidamento e un’estensione del lavoro agile, con modelli che prevedranno un equilibrio tra lavoro in presenza e in ufficio che lascerà un forte livello di flessibilità ai lavoratori».
Il dibattito e le strategie su come applicare i “Nuovi Modi di Lavorare” sono all’ordine del giorno su tutti i tavoli aziendali.
Di piccole e grandi imprese. Il cigno nero pandemico ha inevitabilmente messo alla luce l’importanza del come lavorare. E interrogarsi sui processi, sugli stili e sugli strumenti è un esercizio oneroso, che si accompagna all’inevitabile attenzione al COSA, ovvero gli obiettivi di performance economica e produttiva da raggiungere.
Lavoro flessibile tra Smart working, Remote Working, Home Working, Telelavoro ed Hybrid Working
Mentre sperimentiamo uno status ibrido organizzativo, in questi mesi si vivono paradossi e situazioni surreali: negli uffici dove si dovrebbe stare insieme, spesso si continua ad essere isolati tra una videocall e l’altra; abbiamo acquisito la conoscenza di numerosi strumenti digitali che dovrebbero permetterci una giornata di lavoro più duttile, ma non siamo mai stati così poco “smart” (se non addirittura al limite del burnout digitale); a livello emotivo lo stato di estenuazione e abbattimento fisico e psichico dovuto al periodo di emergenza che abbiamo vissuto si traduce in rilassamento e in un “languore” soprattutto sul piano professionale; non stiamo coinvolgendo le nuove generazioni nel confronto con i senior nel formulare gli stili di lavoro del futuro.
Non possiamo biasimare del tutto le decisioni manageriali di questo periodo, in fondo ci troviamo in una piena e nuova rivoluzione del lavoro e ce ne sarà ancora per molto.
Il periodo è sperimentale, e necessariamente si andrà per tentativi (si spera iterativi e incrementali), di innovazione.
L’evoluzione del lavoro a distanza
Nel guardare a questa evoluzione, purtroppo, molti sono vittime delle etichette mediatiche che vengono attribuite allo “smart working”, confuso sprovvedutamente con l’“home working”, il “telelavoro” o il “remote working”, che sono state le effettive modalità di lavoro sperimentate durante la pandemia.
Senza essere pedissequi è bene ricordare in ogni occasione la traduzione italiana che viene fatta di questo termine, soprattutto in termini legislativi (già prima del Covid-19):“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
In questa giungla terminologica la speranza è che ci sia la possibilità di recuperare la dimensione vera dello smart working, per la quale si impara ad essere nel posto migliore in cui poter raggiungere i risultati oppure, nel caso in cui dobbiamo prevalgono altri interessi (come, ad esempio, il work-life balance) si impara a lavorare al meglio nella condizione in cui ci si trova.
Il nodo cruciale dell’applicazione del lavoro flessibile e agile non può passare solo per i vincoli orari e spaziali su cui tutti ci siamo fissati per inevitabili motivi tecnici, normativi o sindacali.
Il cuore del problema è sulla riformulazione di “fasi, cicli e obiettivi”: perché ci siamo accorti che lavorare “a distanza” ottimizza e semplifica alcune cose, ma ne inficia altre; perché incontrarsi fisicamente contribuisce alla creatività, forse alla motivazione, e di certo alla cultura aziendale, al senso di appartenenza e, probabilmente al perché lavorare presso un brand anziché un altro.
La grande scommessa allora per le aziende e il management è quella di mettere mano ai processi di lavoro: alcuni cristallizzati da decenni e semplicemente riconfermati negli audit di qualità di anno, in anno; altri più avanzati e già declinati nei team di lavoro ma tutti da rodare e migliorare alla luce delle difficoltà tecniche oggettive, o delle resistenze al cambiamento delle popolazioni aziendali.
Oppure no?
Può essere una strategia innescare una restaurazione dei processi consolidati e ben rodati del 2019? Magari anche solo per far respirare ai dipendenti il “ritorno alla normalità”, il conforto delle routine di una volta.
Sarebbe possibile privilegiare la sicurezza psicologica della propria popolazione aziendale e la cura di quei collaboratori che trovano nel lavoro “rifugio” dalle difficoltà di gestione familiare; oppure maggiore focus favorito dal workplace (anziché dallo strapuntino ricavato in un angolo di casa, sollecitati continuamente dalle faccende domestiche) e anche maggiore tempo per sé (magari proprio nel tragitto casa-lavoro).
Non possono esserci risposte univoche per tutte le aziende e per tutti i gruppi di lavoro. In ogni azienda ci sono persone disorientate dall’idea di non avere più una propria scrivania con i propri talismani, o intimorite dal dover prenotare tramite app una postazione di lavoro nel proprio headquarter in cui si sono recati per 20 anni, ed entusiasti del “full remote” che non metterebbero mai più piede in quel luogo, se non per cause di forza maggiore.
Lavoro flessibile: il south working e il nuovo rinascimento del nomadismo digitale
Sono comunque molte le persone che riportano un senso di gratificazione e soddisfazione all’idea che potranno anche in futuro gestire parte della loro attività lavorativa non in sede: la combinazione di flessibilità oraria e flessibilità “geografica” fa sentire meglio le persone, almeno sulla carta. Ma perché?
C’è un’idea sottesa di libertà e di personalizzazione nel lavoro flessibile: poter scegliere in autonomia, avere capacità decisionale nel poter scegliere di volta, in volta il contesto privilegiato per portare a termine un compito o un progetto, o attribuzione di responsabilità e fiducia nell’altro.
Non è un caso che per i dipendenti aziendali alcune riflessioni si siano coagulate sull’idea del lavoro non necessariamente in uffici incardinati in zone urbane (nel nostro Paese storicamente nel Nord Italia).
Stiamo parlando del south working, un lavorare delocalizzato per aziende del Nord o comunque di tutto il mondo; prevalentemente al Sud o, come è avvenuto per molti nelle “seconde case” al mare, in montagna o dai parenti in provincia. Un’idea che implica a livello di sviluppo sociale una rinascita dei borghi e delle provincie soprattutto nel Meridione, e dove le difficoltà del lavoro da remoto si equilibrano con un minore costo e una maggiore qualità della vita.
Con questo approccio si prefigura un mercato del lavoro molto più inclusivo quello che trasmette offerte di lavoro “100% anywhere” soprattutto per i giovani che spesso non hanno la possibilità di trasferirsi nelle grandi città.
Ma dietro l’idea del southworking è ben radicata una filosofia molto attuale: adattare la professione al proprio stile di vita, e non il contrario.
La community dei Nomadi Digitali lo ha previsto già da dieci anni quanto il modello sano e sostenibile di lavoro sia collegato a godere di maggiore libertà nella gestione del tempo e di avere la possibilità di spostarsi secondo le proprie necessità.
Le ragioni che oggi spingono le persone al “nomadismo digitale” sono molteplici, e si tratta di una tendenza crescente non solo tra i giovani, anzi.
Come emerge dal “Primo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, anche nel nostro Paese il fenomeno nomadi digitali sta assumendo dimensioni considerevoli e non incontra più solo l’entusiasmo dei giovani “millennials” che vogliono girare il mondo come backpackers, con lo zaino sulle spalle. Questo stile di vita e di lavoro è sempre più ambito da persone di tutte le età, con esperienze professionali differenti, ma soprattutto da una forte prevalenza di donne (54% contro il 46 degli uomini) che in questo modo riescono a gestire meglio il work-life balance.
Non sono solo nerd e travel blogger: tra gli amanti del lavoro flessibile sono in crescita anche professionalità che operano in settori come l’architettura, il servizio clienti, l’eCommerce, le risorse umane, oltre agli storici ambiti informatici e di comunicazione digitale.
A definirsi “nomadi digitali” sono soprattutto i freelance e i liberi professionisti (il 41% degli intervistati), ma non sono da meno anche i lavoratori dipendenti (38%), mentre una percentuale più ridotta è quella rappresentata dagli imprenditori (8%).
Colpisce tra i dati che la motivazione che spinge i più giovani a diventare nomadi digitali è la possibilità di muoversi liberamente nello spazio, mentre tra gli adulti prevale la maggiore flessibilità nella gestione del tempo.
Dalla ricerca emerge che le persone interessate al lavoro flessibile e al nomadismo digitale mostrano di aver assunto, anche a seguito della maggiore esperienza di remote working accumulata durante la pandemia, una marcata e diffusa consapevolezza che questo nuovo stile deve essere sostenuto anche da un cambiamento culturale nel mondo delle imprese.
La Great Resignation e la fuga dall’azienda verso il lavoro flessibile
Ma che succede se i desideri di nomadismo digitale collidono con le politiche di smart working che i datori di lavoro non stanno adottando, preferendo un ritorno all’ “Old Normal” del 2019 senza valutare forme di lavoro flessibile?
Quanto conta lo smart working e la riformulazione dei processi verso il lavoro flessibile con la Great Resignation?
Tra aprile e giugno di questo anno ci sono state 484mila dimissioni, in crescita dell’85% rispetto al 2020. Il numero di rapporti di lavoro dipendente cessati per dimissioni del lavoratore è in forte aumento, sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto agli anni passati. E nel mondo del lavoro ci si inizia a chiedere se in questa “grande rassegnazione”, sicuramente accelerata dall’esperienza pandemica, sia implicata anche l’esperienza frustrante del lavoro da remoto “forzato” degli ultimi tempi.
Oltre alle dinamiche di tipo economico (come la crisi di alcuni settori come il turismo e la ristorazione che hanno costretto molti a migrare verso settori in crescita come il green, il digitale e la salute), l’eterno tema delle retribuzioni troppo basse rispetto ad altri Paesi Europei e gli effetti della Yolo Economy (con un’impennata di oltre 14o.000 aperture di P.IVA nel nostro Paese nel secondo trimestre 2021 – che riguardano giovani fino ai 35 anni) il tema del come tornare a lavorare incide e non poco su questi effetti.
Il World trade Index 2021 di Microsoft ha rilevato che più del 33% della forza lavoro globale intendeva lasciare il proprio datore di lavoro attuale entro il 2021 e il 38% prevedeva di trasferirsi cogliendo l’opportunità di lavorare da remoto. Valori più alti tra i Gen Z che addirittura in un caso su due hanno valutato seriamente la possibilità di lasciare i propri datori di lavoro.
Un altro fattore che potrebbe spiegare il trend in crescita delle dimissioni è quindi la fine dello smart working per 1,5 milioni di dipendenti: 800mila privati già tornati in presenza al 100% e 700mila dipendenti statali.
Le stime dell’Osservatorio sul lavoro agile del Politecnico di Milano segnalano per circa 4 milioni di lavoratori la volontà delle aziende di consolidare la modalità di lavoro ibrida. Emerge comunque che l’84% delle persone punta al lavoro agile e oltre il 50% lo vorrebbe per più di 3 giorni alla settimana. In moltissimi dichiarano che la qualità della vita è migliorata e che questa esperienza ha permesso loro di acquisire nuove competenze.
Secondo questa analisi, lo smart working rimarrà o sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende, dove aumenteranno sia i progetti strutturati sia quelli informali; nel 62% delle PA, in cui prevalgono le iniziative strutturate ma anche molta incertezza sul futuro e nel 35% delle PMI, fra cui prevale un approccio informale ed è però forte la tendenza a tornare indietro.
È bene ricordare che sebbene molti lavoratori di età e provenienze demografiche diverse esprimano il desiderio di continuare a lavorare da casa, i lavoratori altamente istruiti e ad alto reddito avranno un’opportunità molto maggiore di farlo.
Agile Working e nuove generazioni
Lo smart working sembra allora essere diventato più una leva per la retention delle persone in azienda, mentre sembrava essere solo una leva di attraction per i nuovi talenti nel 2019, laddove il lavoro flessibile rappresentava un fattore «determinante» per la scelta del lavoro “solo” per il 62% dei candidati.
Secondo un’ultima ricerca di Radical HR Club, su 600 HR Manager sembrano esserci dati confortanti rispetto al fatto che il 90% delle aziende rispondenti fa Smart Working, dando in alcuni casi anche piena libertà e autonomia nella scelta e 7 HR su 10 hanno guidato questa trasformazione nell’organizzazione.
Rimane ancora una fetta importante di aziende in cui la leadership è ancorata a vecchi schemi di pensiero e diverse aziende iniziano a perdere talenti per la mancanza di fiducia nelle persone.
Come abbiamo visto, la possibilità di avere spazio geografico e flessibilità di tempo per la conciliazione lavoro-vita personale è un fattore determinante per tutte le generazioni.
Non è possibile immaginare un New Way of Working senza coinvolgere tutte le generazioni nel disegno di quello che sembra essere davvero una nuova rivoluzione del lavoro. Fruire nel pieno benessere dei luoghi e degli stili di lavoro nel futuro, rinnovare il concetto di workplace, ma soprattutto rendere efficaci ed efficienti i tanti strumenti digitali che abbiamo a disposizione, (senza dimenticare quelli analogici).
Le forme di lavoro ibride verso le quali ci si sta dirigendo, suggeriscono un modo di lavorare più umano e più armonioso con la nostra vita personale e professionale. Il mindset più efficace è quello in cui i dipendenti vengono trattati da adulti di cui fidarsi e non come individui da controllare. Le aziende devono fidarsi delle loro persone.
Come in tutti i fenomeni sociali, però, la popolazione aziendale tenderà a disporsi su una curva gaussiana, dove ci sarà un quinto di estremisti del “full remote” e un’altra di “conservatori” che vorrebbero ritornare alle modalità che abbiamo utilizzato fino al 2019. Come fare per implementare correttamente lo smart working, comprendendo tutte i valori e le istanze generazionali?
Rimane importante conoscere da vicino i processi di lavoro delle persone che collaborano nell’organizzazione, perché non è detto che una policy di giorni/periodi/ore di smart working vada bene per tutti nello stesso modo.
È fondamentale valutare il valore aggiunto della presenza fisica per ogni singola attività, a livello di funzioni, di sedi e di team. Con una stima (e perché no, un’autovalutazione bottom-up che coinvolga tutte le generazioni) sarà possibile distinguere le attività eseguibili in full-remote da quelle in presenza, così come la possibilità alle persone di auto-organizzarsi in base ai task settimanali.
Contemporaneamente sarà necessario lavorare sui gap che innesca il lavoro ibrido o remoto, rispetto al senso di appartenenza con il brand, di collaborazione e apprendimento reciproco.
Il lavoro agile nel pieno senso del termine non può non piacere che a tutte le generazioni. Lavorare per obiettivi condivisi, autodeterminati nei gruppi, col giusto work-life balance, tramite una leadership attuale è il sogno di chiunque lavori in azienda.
Il remote working è ben altro: la predisposizione alla mentalità digitale (non necessariamente abilità) da parte dei giovani implica una predisposizione maggiore a lavorare in una forma ibrida, poiché vicina alla cultura della scelta e della personalizzazione continua a cui sono stati esposti da sempre.
Questo non significa necessariamente prediligere un “full remote”, se non per alcune specifiche figure (solitamente digitali per cui è quasi naturale considerare il “datore di lavoro” come un “datore di stipendio”, indipendentemente dal brand).
Vivere senza socialità e senza momenti di creazione condivisa può isolare fortemente i “newbie”, così come le generazioni più senior.
Per X Gen e Boomers la questione è segnante perché implica il superamento di modelli mentali acquisiti, di fare fronte a gap tecnologici e di autogestione del proprio lavoro. Forse più di altre urgenze, quella dello smart working va coordinata nell’ottica dell’age inclusion, tentando il métissage delle prospettive generazionali diverse puntando all’obiettivo comune del lavoro sereno, adattivo e probabilmente ibrido.
Senza un ripensamento in termini di competenze e processi manageriali non può essere risolta la questione del tempo: è consapevolezza di tutte le generazioni che nel post-pandemia questa sia diventata la risorsa più importante, nel, e per il lavoro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/12/lavoro-flessibile.jpg537959Giulio Beroniahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulio Beronia2021-12-01 14:00:022021-12-29 16:01:17Back to office: numeri e prospettive delle forme di lavoro flessibile
Chi ha scaricato i nuovi aggiornamenti delle app dell’impero di Mark lo legge ormai ben in evidenza: “meta”. Il Metaverso di Zuckerberg sta arrivando e spinge con forza l’interconnessione tra nuovi mondi virtuali in cui interagire con altre persone, comodamente dal divano, e in cui eventuali transazioni e operazioni vengono tracciate e registrate in un sistema di Blockchain. Blockchain e Metaverso sembrano essere due aspetti essenziali di un nuovo modo di intendere la relazione online.
Il Metaverso non è una novità assoluta (soprattutto per i gamer)
Anche causa della pandemia, i giochi multiplayer basati sulla creazione di un universo parallelo in cui sfidare altri giocatori e in cui comprare upgrade di personaggi o armi con moneta virtuale propria della piattaforma, sono ormai diffusissimi.
Per esempio, Genshin Impact è un gioco multiplayer online con elementi gacha che ha registrato il record di incassi, superando, con 3,7 miliardi di dollari di introiti in un anno di vita, gli incassi di sempre di Pokemon Go e GTA V.
Il modello di gioco è di tipo freemium, cioè puoi aprire un account in modo gratuito, ma se vuoi avanzare di livello e avere successo nel gioco devi investire soldi veri: converti i tuoi euro in una moneta virtuale di proprietà della piattaforma che sostanzialmente ti permette di acquistare altra moneta con la quale finalmente avere potere d’acquisto in armi e personaggi.
La forza dell’acoppiata Blockchain e Metaverso
Se l’idea di partenza del metaverso era sostanzialmente quella di una realtà virtuale nella quale visitare luoghi lontani o incontrare gli amici attraverso un avatar, oggi il Metaverso ha aggiunto a queste possibilità la Blockchain, cioè la capacità di interazioni economiche riconosciute tra esseri “non umani”.
Analizziamo insieme le caratteristiche principale del Metaverso e qual è la “ricetta che lo compone”:
Internet: grazie all’utilizzo di più nodi decentralizzati , un universo meta è scollegato e non controllato da un’autorità centrale, ma condiviso da più soggetti.
Tecnologia digitale e linguaggio di programmazione evoluti: il Metaverso si sostiene e sembra reale perché la tecnologia utilizzata per crearlo è della più evoluta scritta per essere fluida e user friendly.
Hardware: tutti i devices che proiettano in una realtà virtuale come visori o Smart Glasses rendono chiaramente più fruibile il mondo nascosto.
Blockchain: il vero fattore che rende l’esperienza nel Metaverso la più completa possibile fornendo garanzia e trasparenza sulle transazioni effettuate.
Portabilità del contenuto: un contenuto creato nel Metaverso può essere “spostato” e trasferito in quell’universo in modo libero.
Dematerializzazione: un universo meta è un universo che va oltre i confini fisici.
Socialità: puoi fare tantissime cose con altre persone, anche se non le conosci, stando fisicamente a casa.
Persistenza: il Metaverso è sempre lì ogni volta che ci vorrai entrare e con ogni device tramite il quale vorrai farlo, ma puoi anche ogni volta modificare l’esperienza, cambiando il panorama o il tuo ruolo al suo interno.
Blockchain e Metaverso, le implicazioni
Come detto, uno dei pilastri fondamentali di un Metaverso completo è la Blockchain, una sequenza digitale che permette di registrare in modo univoco e immodificabile transazioni o scambi.
La Blockchain completa l’idea di Metaverso perché va ad agire sulla decentralizzazione del dato. Prima dell’utilizzo della Blockchain con NFT e Cryptocurrencies, tutto era immagazzinato in un’unità centrale, con evidenti limiti.
I primi esempi in cui l’idea di Metaverso + Blockchain ha preso forma è oggi quella dei giochi online, dove i player sono già abituati a vestire i panni degli avatar di gioco e interagire con gli altri in ogni parte del mondo.
La mossa di Facebook, oltre a comportare diverse implicazioni per il mondo del gaming, porterà una vera e propria rivoluzione: darà la possibilità di partecipare fisicamente, con un proprio ologramma, in riunioni o conferenze o di incontrare un amico in versione 3D.
Il rischio è che una buona fetta di popolazione mondiale venga esclusa da questo nuovo universo, che richiede in ogni caso connessioni veloci e stabili e un hardware all’altezza.
Dove ci porteranno Blockchain e Metaverso insieme
Sembra chiaro che l’obiettivo del Metaverso è quello di voler sostituire, anche in breve tempo, Internet come lo conosciamo oggi puntando tutto su una realtà virtuale senza confini fisici.
Metaverso e Blockchain, quindi, sembrano l’accoppiata in grado di cambiare il futuro delle cose come le conosciamo, non solo nell’intrattenimento e nel gaming, ma anche per quanto riguarda le community e il mondo del lavoro.
Altri aspetti che meritano di essere approfonditi separatamente sono quelli riguardanti la privacy e la regolamentazione di questi spazi. Avremo bisogno di un “governo” del Metaverso?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/metaverso-e-blockchain.jpg536957Emikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEmiko2021-11-29 13:30:192021-11-30 11:56:18Blockchain e Metaverso: come questa unione completa l'esperienza dei mondi virtuali
Finalmente il momento tanto atteso è arrivato: oggi Spotify presenta New G, il primo video podcast originale in Italia. Gli utenti potranno quindi non solo ascoltare ma anche vedere lo show, prodotto da Show Reel Agency (parte di Show Reel Media Group), i cui protagonisti sono un gruppo di content creator molto popolari su TikTok: Momo, Raissa, Nimi Abdoulaye (alias Isabo), Tasnim Ali e Dayoung Clementi.
Il primo video podcast italiano
I cinque, molto diversi tra loro per storia personale e background culturale, sono uniti da un importante filo conduttore: un nuovo modo di vivere le diversità e approcciare il dibattito intorno ad essa, tipico della Generazione Z. Il mondo dei social media sarà certamente al centro delle 50 puntate di cui si compone il podcast, ma ci sarà ampio spazio per parlare di scuola e di futuro, del rapporto con la generazione dei loro genitori, di sogni, fallimenti e molto altro.
La generazione dei protagonisti di questo video podcast è molto diversa dalle precedenti: i ragazzi e le ragazze che ne fanno parte sono cresciuti in tempi di grandi trasformazioni e hanno ridefinito ciò in cui credono, i propri valori, ambizioni e obiettivi. Sono aperti alla diversità, consapevoli che ognuno ha un proprio bagaglio identitario e sono disposti ad esplorare contenuti di intrattenimento che superano i confini della propria cultura.
Questi sono solo alcuni degli aspetti fondamentali di uno show che permetterà agli ascoltatori di ogni età di comprendere meglio il mondo dei più giovani e scoprire cosa muove una generazione che sta dando un contributo decisivo alla creazione di un Paese più aperto e inclusivo.
Siamo molto felici di essere gli host del primo video podcast di Spotify e, soprattutto, siamo orgogliosi che questa opportunità ci abbia permesso di dare voce a ciò che conta davvero per la generazione di cui siamo parte. Siamo in cinque a parlare in New G, anche parecchio diversi uno dall’altro: non siamo, infatti, sempre d’accordo sulle cose ma è giusto che sia così perchè è importante dare spazio a tutto e rispettare tutti. Questo per noi è New G: uno sguardo di più occhi sul mondo per accendere dibattiti.
Dopo l’annuncio globale del luglio 2020, New G segna l’arrivo dei video podcast originali in Italia, un formato che ha già permesso agli ascoltatori di tutto il mondo di entrare in contatto in maniera ancora più profonda con i contenuti dei propri creator preferiti.
Commenta Eduardo Alonso, Head of Studios for Southern & Eastern Europe di Spotify.
Siamo entusiasti di annunciare finalmente anche in Italia il primo video podcast originale Spotify. Vogliamo continuare a fornire ai creator sempre più strumenti per esprimere la propria creatività e avere il controllo sui propri contenuti, oltre che a proporre agli ascoltatori esperienze uniche e all’insegna dell’interattività. New G è uno show imperdibile per chiunque voglia conoscere meglio il mondo dei più giovani, i valori che li ispirano e il loro approccio alla diversità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/New-G-2.jpg10801920Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2021-11-29 10:58:242021-11-29 10:58:24Spotify lancia il primo video podcast originale in Italia
Lavorare nel Metaverso è possibile o è soltanto una visione distopica di un’umanità sempre più connessa ma scollegata dalla realtà non virtuale?
Il mondo del lavoro è in un costante cambiamento, oggi più che mai, e la portata di questa rivoluzione è stata al centro del Forum HR 2021.
Sono molte le discussioni che è necessario affrontare ora che le sfide tecnologiche, ma anche ambientali, ci mettono davanti a scelte sempre più nette.
Digital Transformation, welfare, wellbeing, recruiting, learning e hybrid working. Questi e altri importanti temi legati al mondo HR sono stati al centro dell’edizione 2021 del Forum delle Risorse Umane, quest’anno alla sua tredicesima edizione.
L’evento è finalmente tornato dal vivo, anche se con alcune limitazioni sul numero del pubblico.
Il Forum HR 2021 è stata anche l’occasione per la redazione di Ninja di entrare in contatto con le più importanti voci del mondo HR italiano e noi di Ninja non ci siamo fatti sfuggire l’occasione per fare loro qualche domanda sul futuro del lavoro in relazione a una delle tecnologie più impattanti annunciate recentemente: il Metaverso.
Le tecnologie emergenti di virtual communication e virtual collaboration promettono di unire una forza lavoro sempre più dispersa grazie ad avatar, riunioni olografiche, mondi virtuali. Molto prima dell’annuncio di Mark Zuckerberg, ne avevamo parlato approfonditamente in questo articolo.
Se come si deduce dalle dichiarazioni degli esperti saranno necessari ancora diversi anni prima che questa rivoluzione abbia luogo, è importante gettare uno sguardo sui prossimi anni e anticipare i possibili sviluppi di una tecnologia così disruptive.
Lavorare nel metaverso è possibile? Diventerà presto realtà?
La domanda che abbiamo posto ai rappresentanti del panorama HR italiano è stata proprio questa: possiamo aspettarci, a breve, di lavorare in spazi virtuali, uffici nei quali muoverci con il nostro avatar e interagire con le rappresentazioni cibernetiche dei nostri colleghi? Ecco cosa ci hanno risposto.
Simona Liguoro – HR Director Italy – Nestlé Nespresso
In futuro lavoreremo con gli avatar e sono particolarmente sicura di questo, ma per conquistare le persone e farle legare all’azienda sarà sempre necessario e fondamentale il contatto fisico.
Dal mio punto di vista i sensi sono la cosa più importante.
Serena Rossi – Human Resources Director – Stryker
Incontrarsi di persona sarà sempre essenziale: eventi come il Forum HR 2021 lo dimostrano. Non potremo mai essere sostituiti dal nostro avatar, o almeno ci proviamo. Magari, però, il nostro avatar potrà occuparsi di cose per noi che non riusciamo a gestire.
Non credo che la sostituzione completa sia una strada da seguire: l’essere umano ha bisogno di essere fisico, toccare, guardare negli occhi, ma certamente la tecnologia potrà aiutarci semplificandoci la vita.
Guido Stratta – Direttore People & Organisation Gruppo Enel
Secondo me dobbiamo far sì che questa nuova tecnologia non ci schiacci: credo sarà una buona dimensione da gestire con equilibrio.
Io penso che la relazione umana sia ancora determinante, abbinata però a tutte queste belle novità.
Annalisa Alberti – Human Resources, Facility Management, ICT & Compliance Director – Rheinmetall Italia S.p.A.
Il contatto umano resta fondamentale: dovremmo invece ragionare un po’ fuori dagli schemi e pensare che non ci si può più limitare a “un classico orario di lavoro” dalle 8.00 alle 16.30, perché viviamo in un mondo che è interamente connesso e abbiamo bisogno di ripensare il nostro modo di lavorare focalizzandoci sugli obiettivi.
Detto questo, il contatto umano e la vicinanza faranno la differenza per le aziende.
Tiziana Carnicelli – Group Education and HR Communication Head presso Angelini Holding
È un argomento che mi intriga molto: nell’esperienza vissuta durante il Covid, la cosa che abbiamo sofferto di più nel fare formazione era il non poter guardare negli occhi la persona e comprendere la comunicazione non verbale.
La possibilità di avere un’aula di formazione, nella quale posso dialogare con il professore anche se a distanza vedendolo come fosse dal vivo, e magari interagire con un mio collega, anche se il collega è dall’altra parte del mondo, può significare molto.
Tutto dipenderà da quanto saranno “intelligenti” questi avatar e ologrammi, se ci permetteranno davvero una reale interazione. Altrimenti, dubito che funzionerà.
Giuseppe Conte – Direttore centrale Formazione e sviluppo risorse umane · INPS
Già oggi, tendenzialmente, molte riunioni che si organizzavano in presenza e che richiedevano spostamenti si possono fare tranquillamente a distanza.
Vi saranno però sempre dei momenti importanti in cui sarà utile incontrarsi in presenza, magari per appuntamenti di tipo laboratoriale o di brainstorming. Sarà sufficiente trovare un giusto equilibrio.
Fabrizio Tripodi – HR Director at Brown-Forman, the Jack Daniel’s company
La tecnologia mi piace molto, perché si evolve velocemente, ma ho un punto fermo: deve essere al servizio dell’uomo; uno strumento attraverso il quale risparmiamo, ottimizziamo e ci concentriamo maggiormente su quello che è il valore aggiunto del contatto umano.
Tutti quelli che sono gli strumenti digitali sono benvenuti: si aggiungono e aiutano e non sostituiscono il contatto umano, ma permettono che il contatto umano sia usato nel modo migliore, laddove necessario per motivi professionali ma soprattutto per una connessione empatica tra le persone.
Accogliamo con entusiasmo il metaverso proprio considerandolo come una piattaforma di supporto e non di sostituzione del contatto umano.
Elisabetta Maiocchi – Head of HR di Siae Microelettronica
È un percorso che considero realizzabile: per determinati tipi di funzioni aziendali, come ricerca e sviluppo e funzioni amministrative, c’è una compatibilità di fondo; per altri ambiti, come il mondo del commerciale, sarà necessario capire se la soluzione può essere valida, perché spesso l’incontro in presenza rimane la via preferibile.
Sul mondo training e academy mi sento ottimista sull’argomento: ci si può dotare di postazioni adatte allo scopo per le persone che non dispongono di strumentazione e connessioni adeguate.
Fabio Salvi – Head of HR/Team Lead People Partner Italy, Spain, Portugal, Serbia, Croatia and Romania presso FlixBus
Questo scenario mi sembra un po’ una deriva dello sviluppo tecnologico, una sorta di puntata di Black Mirror.
La tecnologia, dal mio punto di vista, è uno strumento per abilitare in modi diversi le relazioni, ma la relazione è e resta umana. La tecnologia è solo uno dei canali che va sfruttato per quello che è nei suoi significati, funzionale quando ci sono team distribuiti e separati da una distanza fisica.
Quello che però è il rapporto umano è inalienabile. Se questo scenario degli avatar si realizzasse staremmo davvero ripensando alla natura stessa dell’essere umano e, almeno personalmente, non vorrei andare in questa direzione.
Federica Visioli – Head of Human Resources – CDI Centro Diagnostico Italiano
Se ne parla molto e conosco le possibilità del metaverso. Non so però se il nostro contesto nazionale sia già pronto per arrivare a queste dinamiche.
Ritengo però che anche il mondo sanitario si stia evolvendo, per cui l’aiuto di tutti quelli che sono gli strumenti informatici è prezioso.
Pensiamo per esempio all’intelligenza artificiale, a quanto può aiutare il medico nel migliorare le logiche predittive su alcune malattie. Il rapporto tra medico e paziente rimane fondamentalmente fisico: per semplificare, talvolta è necessario toccare l’arto malato. Però ci sono degli aspetti come le consulenze e determinati momenti che possono essere gestiti in modo ottimale anche con una modalità da remoto.
Andrea Lugo – H.R. Director | Aruba S.p.A.
Spero non si arriverà a lavorare in ambienti virtuali per mezzo di avatar, anzi, spero di essere andato in pensione prima che succeda.
È un mondo che non conosco in modo approfondito, ma sul quale ho qualche dubbio: credo che per adesso l’assetto attuale nelle modalità di recruiting sia quello corretto.
Samanta Todaro – Direttrice delle Risorse Umane del Gruppo Alessi
Io credo che l’aspetto relazionale debba rimanere, perché è quello che fa la differenza; lo comprendiamo bene anche da questo evento tornato in presenza: tutti avevano voglia di tornare a vedersi.
Penso però che la tecnologia ci possa aiutare, debba essere sfruttata come un mezzo per farci arrivare dove oggi fisicamente non possiamo. La realtà virtuale, nel lavoro, è infatti nata anni fa, per esempio nel training medico, ma può essere efficacemente utilizzata anche in altri ambiti diversi dalla formazione, per esempio nella simulazione di un investimento per valutarne il tasso di successo.
Roberta Fagotto – Chief Human Capital Officer – SIT
Credo che non possiamo prescindere dalla relazione umana: nel nostro contesto latino facciamo molta difficoltà a sconnetterci completamente dall’organizzazione dal punto di vista fisico, perché la relazione umana, per esempio quelle che avviene alla macchinetta del caffè, il contatto visivo non asincrono come quello del contatto video che è sempre un filtro, per noi è ancora fondamentale.
Sia per la parte progettuale e di innovazione, che non può essere “remotizzata” completamente, ma anche perché spesso tendiamo a unire la dimensione umana del collega alla nostra quotidianità.
Ritengo che invece assumeranno maggiore importanza gli spazi di lavoro, perché saranno degli spazi in grado di valorizzare la connessione, anche da un punto di vista personale, di tutti i colleghi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/lavorare-nel-metaverso-Forum-HR-2021-interviste.jpg536958Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-11-26 16:23:002021-12-10 11:19:07Lavorare nel Metaverso è possibile? Lo abbiamo chiesto al mondo degli HR italiani
Manca meno di un mese all’arrivo di una delle feste più magiche e attese da tutti, specialmente dai più piccoli, il Natale. E dai bambini, mai come ora, dobbiamo imparare a guardare il mondo da un punto di vista diverso e ad avere speranza e tanta, ma tanta tenacia. Ed è proprio questo il messaggio del nuovo spot di Apple, difendere i propri desideri e chi abbiamo a cuore.
Ivan e Jason Reitman, padre e figlio, entrambi registi di film come Ghostbusters e Juno, hanno realizzato questo dolcissimo spot natalizio per Apple interamente con un iPhone 13 Pro, lavorando insieme all’agenzia TBWA\Media Arts Lab.
Saving Simon: la storia di Natale per promuovere il nuovo iPhone
Lo spot è davvero originale, a tratti surreale, ma fa sorridere. “Saving Simon” racconta la storia di una bambina che cerca in tutti i modi di salvare un piccolo pupazzo di neve. Il video si apre con un ragazzo che prende a calci 3 pupazzi di neve su 4 davanti casa sua.
Poco prima di dare un calcio al quarto pupazzo di neve, l’ultimo superstite e il più piccolo del gruppo, una bambina, la sorellina che osserva la scena dalla finestra della sua camera, corre fuori e salva il pupazzo di neve mettendolo nel congelatore.
Per tutto l’intero anno lo lascia lì accertandosi che stia bene e cerca di mantenerlo “in vita” fino all’arrivo delle prossime feste natalizie.
Ci riuscirà?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/11/saving-simon-spot-apple-per-natale-copertina.jpg537957Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-11-26 12:32:122021-11-26 16:23:42Guarda che bello Saving Simon: il commovente spot natalizio di Apple girato con un iPhone 13 Pro
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