• About Author

  • Tutta l'Informazione Ninja nella tua mail

  • Una “workforce a 5G”: le sfide generazionali nel mondo del lavoro

    Non si tratta di riformulare solo i luoghi e i tempi di lavoro, ma di ri-disegnare processi e obiettivi che convergano verso un nuovo mindset e una cultura del lavoro “smart"

    12 Marzo 2021

    • Ripensare la gestione delle generazioni sul posto di lavoro è la nuova sfida per l’HR
    • L’inclusione generazionale come chiave di volta per riavviare il “firmware” delle organizzazioni
    Non stiamo parlando della “quinta generazione” di telefonia mobile, ma stiamo parlando di persone: almeno 4 cluster + uno (o due) gruppi di età (giovanissimi o anziani) che rappresentano l’insieme di tutti gli stakeholder generazionali su cui impattano le politiche e le strategie aziendali elaborate dalla gestione HR, dentro e fuori l’azienda. In quest’ultimo periodo sembra connotarsi sempre di più un’idea di futuro che apparterrà a quelle realtà che riusciranno infatti a prendersi cura anche della collettività, oltre che dei risultati di business. Questa è l’epoca in cui le imprese dovranno mettere le persone al centro dei sistemi, e le aziende possono essere un’eccellente punto di mediazione tra la società civile e il mondo istituzionale, rivelandosi un potente acceleratore nel riuscire a guidare il cambiamento. L’emergenza sanitaria e del mercato del lavoro non hanno fatto altro che risaltare ancora di più le criticità dei brand che non si dimostrano sostenibili e responsabili sia all’interno, sia all’esterno, in un’ottica di cittadinanza reale. giovane al lavoro LEGGI ANCHE: I consumatori chiedono un nuovo brand activism fatto di azioni concrete Il progresso tecnologico ha già evidenziato, negli ultimi decenni, quanto il “personale” abbia rappresentato sempre più una difficoltà all’innovazione e al cambiamento per tutta l’organizzazione; con la “svolta” pandemica, si è evidenziato ancora di più quanto l’efficienza sia strettamente correlata all’efficacia, ma anche al benessere psico-fisico e alla capacità di trasformazione che gli individui riescono a praticare sul lavoro. Stando all’ultima rilevazione Gartner 2021 HR Priorities Survey , l’orientamento degli HR leaders e di chi si occupa della gestione delle persone in azienda si focalizzerà infatti, nei prossimi mesi, principalmente sulla costruzione (e ri-costruzione) di critical skills per il 68% degli intervistati, accompagnata dall’esigenza complementare di effettuare azioni di change management e design organizzativo con priorità superiore al 40% del campione. Sullo sfondo, ma non troppo, l’esercizio di re-immaginare il futuro del lavoro e l’“employee experience”, vista la rivoluzione epocale che si sta consumando a partire dall’emergenza sanitaria e che continuerà il suo percorso nella trasformabilità. Il suono delle priorità per il mondo HR nell’articolato cammino verso il “new normal” è così composto da buzzwords che si sentono risuonare ormai continuamente nei corridoi (virtuali e non) delle aziende: smartworking, digital awareness, reskilling, inclusion e ripensamenti della leadership. Ovviamente smartworking per ripensare la vita professionale in maniera più “intelligente”, digitalizzazione delle competenze per potenziare l’apporto umano che le nuove tecnologie possono dare al lavoro, employability o re.skilling per riformulare le competenze e i ruoli in azienda. Tutte azioni che hanno come denominatore comune la reattività al cambiamento continuo, l’“antifragilità” e la reazione iterata e proattiva all’ambiguità.

    Che ruolo gioca la differenza generazionale in questo scenario

    Secondo l’ultimo rapporto Deloitte Human Capital Trends 2020, il 70% delle organizzazioni afferma che guidare la forza lavoro multigenerazionale è importante o molto importante per il loro successo nel prossimo anno e mezzo, ma solo il 10% afferma di essere pronto ad affrontare questo trend. report deloitte In che modo l’inclusione generazionale può contribuire all’azienda? Ci sono molti modi in cui le imprese possono trarre vantaggio nell’abbracciare la diversità di culture di età differenti sul posto di lavoro. Sarà però necessario, come in tutte le battaglie di Diversity & Inclusion, passare dal mero “multiculturalismo” alla vera e propria “inclusione” che, se realmente perseguita, può apportare reali e significativi vantaggi all’organizzazione. L’antropologa Margaret Mead, nel suo “Generazioni in conflitto” del 1972, spiegava che “Fino a poco tempo fa gli anziani potevano dire: “Vedi, io sono stato giovane, ma tu non sei mai stato vecchio”. Oggi però i giovani possono rispondere: “tu non sei mai stato giovane nel mondo in cui io sono giovane e non lo sarai mai” Oggi, quanto mai si è allargata questa faglia che divide i mindset culturali delle persone, soprattutto laddove convivono abitualmente, ad esempio, sul luogo (fisico o virtuale) di lavoro. In prima battuta, appaiono evidenti alcuni ritorni positivi immediati di questo approccio. Sicuramente per ciò che concerne la capacità di problem solving, (ogni generazione ha un approccio diverso nella risoluzione dei problemi e avere una forza-lavoro intergenerazionale può diventare  utile nel momento in cui si devono identificare potenziali soluzioni e nuovi modi di affrontare i problemi), di ascolto e comprensione dei target di comunicazione (ogni generazione è davvero unica, il che è avvantaggia l’organizzazione che può comprendere meglio i diversi destinatari che sta cercando di raggiungere), di opportunità di apprendimento (attraverso l’incontro generazionale, i dipendenti possono insegnare e imparare a vicenda nuovi modi di affrontare le cose e sistemi più efficienti di fare business) e di mentoring (che aiuta i dipendenti ad acquisire nuove competenze e informazioni, ma migliora anche il metodo di lavoro fianco a fianco). Proviamo ad approfondire alcune keywords che sono annotate nell’agenda di chi si occupa di persone nell’organizzazione in questo momento storico:

    RESKILLING

    La forza lavoro attuale nelle aziende comprende le consuete 4 categorie generazionali (Baby Boomers, Generazione X, Millennial e Z Gen), è si può intuire facilmente quanto siano differenti le competenze che l’organizzazione, e gli employee stessi, vogliano accrescere nel corso della vita professionale. Contrariamente a quanto può sembrare, le nuove generazioni non sono interessate a sviluppare skills verticali e tech-driven, quanto abilità comunicative, relazionali, di creatività e gestione del tempo e delle proprie performance. Contemporaneamente, molti employee stanno diventando molto più consapevoli e diretti rispetto alla formulazione dei reali fabbisogni formativi ed è facile scoprire quanto queste necessità formative inizino a convergere, indipendentemente dall’appartenenza ad una generazione o ad un’altra. Lindsay Pollak, nel suo ultimo volume “The Remix: How to Lead and Succeed in the Multigenerational Workplace” (2019) segnala che più osserviamo le generazioni sul posto di lavoro, più somiglianze troviamo in ciò che le persone vogliono dal lavoro: purpose, scope, leadership comprensiva [“gentile”, nda], crescita e sviluppo professionale; tutti pilastri che non mutano. Ciò che cambia è il modo in cui ogni generazione esprime questi bisogni e le aspettative che vi sono riguardo al soddisfacimento da parte delle organizzazioni. Leggere le necessità di re-skilling o di up-skilling con la lente generazionale inclusiva può permettere alle organizzazioni di trovare “in casa” diverse opportunità di mutuo scambio e apprendimento bi-direzionale tra giovani e adulti sul lavoro, o nella costruzione di percorsi di learning&development condivisi, senza barriere di età. in ufficio

    DIGITAL AWARENESS

    Negli ultimi anni la consapevolezza che la Quarta Rivoluzione Industriale avrebbe riformulato completamente il concetto di lavoro nelle organizzazioni è stata lampante. Il mercato del lavoro del futuro dipinto dal World Economic Forum rappresenta da tempo la mutazione di settori e ruoli a partire dall’ingresso dell’automazione, della robotica e delle intelligenze artificiali nei processi produttivi. Ma, per le politiche di formazione delle persone in azienda, non si tratta di potenziare unicamente conoscenze e abilità. La “terapia d’urto” della pandemia ha permesso a molti “laggards”, reticenti al cambiamento tecnologico, di fruire con maggiore destrezza di molti strumenti di comunicazione virtuale, soprattutto tra i più adulti. La maturità digitale, però, non deve prevedere solo consapevolezze, ma anche un vero e proprio cambio di mindset, che può essere differente a livello generazionale. Per un giovane nativo digitale serve un maggiore critical thinking sugli strumenti che conosce e utilizza con una certa spontaneità, mentre per un adulto significa rendere ibrido il senso critico cresciuto nell’ambiente analogico con una maggiore consapevolezza sulle modalità di fruizione e utilizzo del digitale. La Web Literacy (come viene declinata da Mozilla) ovvero saper leggere, scrivere e partecipare online è un’abilità fondamentale, ma lo è altrettanto la Mentalità Digitale, fatta del conoscere e valutare i contesti informativi, capire le implicazioni che la “digitalità” apporta per le persone e per il business, comprendere le dinamiche di interazione e relazione virtuale, assumere uno stile di lavoro aperto, collaborativo e delocalizzato, nonché conoscere gli aspetti di cybersecurity e del rispetto del proprio benessere psico-fisico collegato agli strumenti tecnologici (digital wellbeing). Il livello di potenziamento della padronanza digitale può quindi accelerare vistosamente se si introduce l’inclusione generazionale come mezzo per fondere insieme i due mindset.

    SMART WORKING

    Come sappiamo, non si tratta di riformulare solo i luoghi e i tempi di lavoro, ma di ri-disegnare processi e obiettivi che convergano verso un nuovo mindset e una cultura del lavoro “smart”. Anche qui le richieste da parte di employee di diverse generazioni iniziano a convergere rispetto alla ricerca di flessibilità degli orari e al contempo l’applicazione di un “remote working” che non sia proprio “duro e puro”: fino allo scorso anno sembrava essere una prerogativa dei più giovani, oggi questi principi valgono per una popolazione aziendale più ampia. Perché coinvolgere giovani e adulti insieme nella definizione dello smart working? Perché sono loro che fruiranno dei luoghi e degli stili di lavoro nel futuro anche meno prossimo, veicolando l’intenzione di rinnovare il concetto di workplace attraverso nuovi modi di concepire gli ambienti di lavoro (da Head-Quarter ad Hub-Quarter, ad esempio), l’importanza che rivolgono alla mentorship dei colleghi senior e all’interazione efficace con i team di lavoro. Come rilevato dall’Osservatorio One Day 2020 “Smart Working: il punto di vista di GenZ e Millennials” il 50% dei giovani intervistati si dichiara entusiasta dello smart working, mentre un 40% possiede un’opinione più articolata credendo sia un’opportunità se affiancata comunque al lavoro e alla formazione in ufficio. Il 72% degli intervistati non vuole rinunciare all’ufficio, a patto che la sua funzione e i processi di lavoro vengano rivisti. Gli uffici del prossimo futuro dovranno essere luoghi in grado di promuovere la creatività, un approccio informale, la convivialità e il confronto: tutti principi di inclusione culturale su cui vale la pena insistere per proseguire nella trasformazione organizzativa. LEGGI ANCHE: La sostenibilità dei modelli di lavoro distribuito: priorità per le aziende

    LEADERSHIP

    Per anni c’è stato un visibile pregiudizio generazionale, soprattutto nei confronti dei Millennial, dipinti come generazione pigra, in cerca di attenzione, narcisista, che richiede un coaching costante, un feedback continuo e tante rassicurazioni sul lavoro. La lettura è che probabilmente le nuove generazioni vorrebbero dei mentor più che dei manager. Semmai, questo bisogno di appagamento, questo desiderio di un purpose “alto”, ha a che fare molto con l’incertezza: i giovani desiderano fisiologicamente una guida e un senso dell’orientamento, soprattutto in un momento storico dove l’incertezza economica, sociale, sanitaria, è l’unica costante. Una revisione della leadership e della managerialità verso i principi “agili” può diventare in questa ottica un importante passo di avvicinamento tra generazioni. Uno dei punti cardine dell’Agile è la realizzazione delle persone sul lavoro a partire anche dal singolo individuo. manager Far prendere consapevolezza alla persona di ciò che può fare e diventare all’interno dell’organizzazione è difatti uno dei pilastri dell’approccio. Esistono responsabilità condivise da gestire e per questo motivo le persone devono sapere con precisione di cosa si devono occupare e per quale motivo, con un aumento significativo della responsabilità, della trasparenza e della sicurezza psicologica da parte degli employee di tutte le età. Tornando alla metafora iniziale, una caratteristica del sistema tecnologico di telefonia mobile 5G è il network slicing: si tratta di un’architettura di rete che consente di definire sulla stessa infrastruttura fisica un insieme di reti virtuali tra di loro indipendenti in grado di funzionare contemporaneamente, con grande efficienza e senza disturbi, come se avessero ognuna una propria rete fisica. E in questa immagine ci sono diverse analogie con le pratiche Agile che, interpretate per il contesto delle Risorse Umane, possono instillare nuove visioni di funzionamento dei gruppi di lavoro e delle funzioni aziendali che, interrelate fra loro, mantengono un alto grado di responsabilizzazione e autonomia.

    EMPLOYEE BRANDING, EXPERIENCE & INCLUSION

    Parlare di attrattività di persone competenti per l’azienda significa inevitabilmente considerare l’employee experience e l’influenza che il contesto esercita sul singolo individuo. Kurt Lewin diceva che B = f(PE), ovvero il comportamento (e la cultura di un’azienda) degli individui è frutto della dinamica che si instaura tra la persona e l’ambiente. Rendere il workplace aziendale un luogo di inclusione generazionale permette di trasmettere e veicolare valori e cultura aziendale attrattiva per le nuove generazioni. Come riporta il “Linkedin Global Talent Trends 2020”, i fattori più importanti che sono percepiti quasi in egual misura da generazioni junior e senior sono proprio gli aspetti culturali e di ispirazione, molto più di un purpose sostenibile e “alto”. Non bisogna comunque dimenticare che, unitamente alla costruzione di una learning organization intergenerazionale, sarà sempre utile fare riferimento a modelli autentici e trasparenti di narrazione della vita di azienda e al caring nei confronti di tutti gli stakeholder che si trovano al di fuori dei confini aziendali in termini di sostenibilità, cittadinanza e territorialità, per trasmettere cultura e valori aziendali che rappresentino una cultura inclusiva tout-court. LEGGI ANCHE: Dall’Employer all’Employee Branding: attrarre i giovani con l’umanità e l’imperfezione Tutto questo per dire che la strada per il dialogo e l’ibridazione tra esperienza e innovazione, nel mondo People&Culture, è appena iniziata, basterà seguire attentamente le indicazioni dell’inclusione tra generazioni.