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  • Tra riunioni olografiche e mondi 3D, un balzo nelle tecnologie del futuro del lavoro

    Come si lavorerà e interagirà tra dieci anni? Nuovi modelli e strumenti verso l'evoluzione di uno smart working più immersivo

    28 Aprile 2021

    “Your office is where you are”, titolava un articolo della prima metà degli anni ‘80, in cui Philip Stone e Robert Lucchetti argomentavano come l’introduzione dei telefoni senza fili e dei personal computer avrebbe cambiato radicalmente il concetto di ufficio. Si chiedevano come i manager avrebbero combinato i vantaggi comunicativi degli open space con la privacy degli uffici isolati. Era nato l’Activity Based Office, antenato dello smart working: un colletto bianco non sarebbe più stato ancorato al proprio desk, ma libero di spostarsi e di svolgere le sue attività in spazi diversi a seconda dei suoi obiettivi: riunioni, collaborazione, lavoro autonomo. Nel 2002 il concetto si è evoluto in Community Based Office: “Our office is where we are”. In quel ventennio, in effetti, la cultura manageriale cercava sempre più di integrare la componente umana, di comunità. Quel Noi che si sostituisce all’IO. E ora, eccoci: negli ultimi due anni modelli sociali e dinamiche lavorative sono cambiati in modo irreversibile. Le buzzword anglofone risuonano ovunque: black swan, new normal, digital workplace. Il digitale è diventato una risorsa fondamentale di interazione e supporto. Se il lavoro da remoto, più o meno agile, è una realtà ormai consolidata, quali evoluzioni e sfide dovremo aspettarci nei prossimi anni? Le tecnologie emergenti di virtual communication e virtual collaboration promettono di unire una forza lavoro sempre più dispersa grazie ad avatar, riunioni olografiche, mondi virtuali. Collaborare come se fossero nello stesso posto ed essere presenti anche se non fisicamente insieme. In più, come evolveranno gli uffici fisici? In questo articolo approfondiremo aspetti squisitamente tecnologici e casi di studio già applicati, senza addentrarci in considerazioni manageriali o psicologiche e implicazioni sulle competenze umane per gestire questi nuovi modelli. Ma ora cominciamo: cosa si delinea all’orizzonte il futuro del lavoro?

    Collaborazione olografica: abbattere le barriere della bidimensionalità

    Al Coachella del 2012, il rapper Snoop Dogg chiamò sul palco Tupac Shakur, defunto nel 1996, in versione ologramma. L’ologramma di Tupac cantò due canzoni e scomparve nel nulla. Da allora, l’industria dell’entertainment ne ha fatto uso sempre più frequente: dai circhi senza animali agli show totalmente immateriali. Ma anche l’healthcare, nello specifico la chirurgia, e la logistica stanno puntando moltissimo su questa direttrice di sviluppo per migliorare i propri processi. Creare un ologramma significa concretamente registrare una persona o un oggetto con raggi laser: le informazioni vengono commutate in un’immagine realistica in 3D, attraverso la coordinazione dei due raggi e un gioco di luce e specchi. D’altronde, la parola deriva dal greco antico hòlos (tutto) e gràmma/graphèin (grafico). Ecco, ora chiudete gli occhi e immaginatevi in un meeting in cui non siete fisicamente nello stesso spazio con i vostri colleghi o partner ma potete vedervi e parlare in 3D attraverso avatar e potete spostarvi in quello spazio virtuale come se foste in una vera sala riunioni. Senza alcuna mediazione di uno schermo bidimensionale: è un tema dibattuto ormai da qualche anno come next step della collaborazione e formazione aziendale a distanza. La presenza olografica potrebbe davvero essere il prossimo livello delle videocall e dei live webinar? Alcune startup già stanno sperimentando la proiezione olografica per rendere più immersivi e coinvolgenti riunioni e corsi di formazione in remoto. La startup tedesca HoloMeeting sta investendo nella collaborazione remota, consentendo alle aziende di tenere riunioni in uno spazio di lavoro olografico grazie ad avatar. ARHT Media ha lanciato HoloPod, in grado di “materializzare” vari relatori dislocati in diverse parti del mondo in un unico palco, virtuale ovviamente. La società Spatial ha avviato riunioni olografiche su Oculus Quest. Apple utilizza ARKit e Google mostra gli ologrammi in ARCore. In questo scenario, Microsoft ha appena lanciato Mesh, nuova piattaforma di realtà ibrida basata su Azure che permette alle persone in luoghi fisici diversi di unirsi a esperienze olografiche collaborative e condivise su molti tipi di dispositivi. Consente di assistere a riunioni “in persona” pur non essendo nella stessa posizione geografica, migliorando la collaborazione e l’interazione con gli altri. Durante queste esperienze virtuali condivise, inizialmente gli utenti potranno utilizzare degli avatar e successivamente utilizzare un proprio ologramma.

    Mondi virtuali in 3D: lo spazio virtuale della formazione e delle interazioni

    La casa automobilistica tedesca Audi ha rilevato come le riunioni da remoto registrino un alto tasso di disattenzione nell’interazione sociale dei suoi dipendenti. Audi Akademie ha arginato la falla costruendo un mondo virtuale 3D che funge da strumento per la formazione, la consulenza, la collaborazione e la comunicazione. I mondi 3D sono la fedele riproduzione degli spazi lavorativi in cui i partecipanti interagiscono attraverso il proprio avatar e nello spazio virtuale come avverrebbe in una situazione reale. Secondo Sabine Maassen, membro del consiglio di amministrazione di Audi per le risorse umane, “gli Audi Spaces sono adatti a molte applicazioni, poiché possono essere utilizzati per diversi gruppi indipendentemente dall’argomento. I partecipanti sono più rilassati e meno stanchi delle videoconferenze quando possono prendere accordi per incontrare colleghi in uno spazio e interagire insieme. In questo modo, gli Audi Spaces possono contribuire a rafforzare il sentimento di comunità anche per la cooperazione in un contesto internazionale: lo strumento è disponibile per tutti i dipendenti nel mondo”. Gli Audi Spaces sono anche un’occasione di formazione, grazie a incontri e corsi aderenti alla realtà ma privi dei rischi sulla sicurezza sul lavoro e con un evidente risparmio di costi e risorse. Ad oggi, più di 4000 dipendenti sfruttano il potenziale degli Audi Spaces, grazie anche a un piano di supporto in collaborazione con la loro Audi IT in grado di spiegare le diverse funzioni, preparare i formatori e fornire una didattica per il miglior uso della tecnologia. Anche altre grandi aziende hanno deciso di affrontare con la tecnologia la sfida lavorativa che si prospetta nei prossimi anni. Nestle Purina, grazie al supporto della VR, riesce a formare il suo team di vendita sui processi aziendali in modo sicuro ed economico. Per pianificare infatti nel miglior modo la disposizione delle merci sugli scaffali, il team può gestire l’allestimento in uno spazio virtuale e intervenire sui dati di vendita. Diventa possibile eseguire un rendering dei merchandising e trasformare in 3D i dati di vendita indossando i visori Oculus Quest durante le visite nei negozi. Mattel riunisce in una project room virtuale designer, ingegneri, marketers da ogni parte del mondo per progettare i suoi prodotti di punta, mentre la catena alberghiera Hilton si è affidata alla formazione del personale in realtà virtuale per creare empatia e migliorare l’ospitalità. Ford Motor Company sta progettando le auto del futuro in uno spazio virtuale economico e sicuro. Le aziende si appoggiano a diverse piattaforme di collaborazione che stanno emergendo per la realizzazione di sistemi di visualizzazione in 3D. Tutto questo a dimostrazione che lo spazio fisico reale, tanto cruciale per la comunicazione e la collaborazione, può essere sostituito da un ambiente tanto fittizio quanto fedele a quello originale. Dai brick ai bit, dagli atomi ai pixel. Non sacrificando più le sensazioni, le impressioni e le interazioni con i colleghi o con i clienti. Questo però porterà implicazioni differenti.

    Hub & Spoke: modelli sempre più ibridi

    E agli uffici fisici cosa succederà in realtà sempre più digitali? Non scompariranno, stiamo sereni. Boston Consulting Group ha già intervistato nel 2020 oltre 12.000 remote worker, dalla ricerca appare che il lavoro assumerà una forma sempre più ibrida. Il futuro dell’ufficio potrebbe essere basato sul modello Hub and Spoke, che sta prendendo piede tra le tech company californiane. Le aziende avrebbero un sistema organizzativo basato su un hub (il quartier generale in una grande città) e tante sedi locali dislocate (uffici satellite) collegate da un unico sistema tecnologico. L’Hub & Spoke sembra essere il modello più adottato in questo periodo di pandemia. Il CEO di Google, Sundar Pichai, ha affermato che l’azienda sta già progettando mini uffici satellite così da offrire ai dipendenti spostamenti più flessibili.  L’aumento del numero di uffici potrà essere una delle possibili realtà di lavoro ibrido-flessibile che permetterà ai dipendenti di lavorare sia da remoto che in un ufficio direttamente connesso. Anche Amazon sta andando incontro alle esigenze dei suoi lavoratori, annunciando un investimento di 1,4 miliardi di dollari per espandere i suoi uffici satelliti in sei città degli Stati Uniti. L’azienda ha inoltre assunto 3.500 nuovi dipendenti da “distribuire” negli hub sparsi nel Paese. Gli uffici satellite, del resto, non sono un concetto nuovo. Già dopo l’11 settembre New York vedeva un relativo esodo di molti dipendenti dell’intero settore finanziario verso piccoli uffici pensati fuori Lower Manhattan. Il Coronavirus potrebbe seguire e ampliare a livello globale la scia dell’esodo lavorativo. Nel 2019 Uber ha annunciato di voler costruire un nuovo hub per 3000 dipendenti nell’area di Dallas, diventando di fatto più grande dell’headquarter della Bay Area. Così come Apple, che nel 2022 aprirà il suo nuovo campus ad Austin, in Texas, ospitando 5000 dipendenti. Va da sé che le aziende dovranno impegnarsi per rendere attraenti i propri uffici satellite, in grado di garantire ottime opportunità in termini di servizi e stili di vita rispetto alle sedi delle grandi città.

    Cosa aspettarci dal lavoro di domani?

    La corsa è partita e non sarebbe così futuristico pensare che tra dieci-vent’anni queste tecnologie saranno diffuse in ogni azienda, come lo sono adesso Slack, Zoom o  Microsoft Teams. E che si lavorerà probabilmente più a misura local. Nel futuro del lavoro, la tecnologia sarà sempre più protagonista, non solo dei processi produttivi ma soprattutto della cooperazione personale e sociale. Deve riuscire a penetrare come principale supporto delle aziende, dei dipendenti e dei clienti in modo invisibile, tale da rendere la nuova prassi virtuale uguale alla vecchia reale. Del resto, il mondo del lavoro è fatto da persone che hanno quell’umano bisogno di connessioni sociali, di scambi ed interazioni. La tecnologia potrà migliorare la sensazione di essere realmente connessi e appartenere a una comunità, anche se virtualmente ognuno nel proprio spazio. The office is where you and we are.