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Spotify lancia Paid Subscriptions, piattaforma su abbonamento per podcaster

Spotify annuncia il lancio di Paid Subscriptions, la nuova piattaforma ad abbonamento pensata in esclusiva per i podcaster. Una novità che arriva ad una settimana dal lancio del servizio su abbonamento di Apple Podcasts e l’ingresso di Facebook nel mondo del podcast. Spotify non tratterrà commissioni sugli abbonamenti e la piattaforma sarà completamente gratuita per i prossimi due anni, con la previsione di una tassazione del 5% sul costo dell’abbonamento a partire dal 2023.

“Una piattaforma per podcaster incentrata sulle iscrizioni a pagamento – spiega Spotify – che permette ai podcaster stessi di fare passi avanti in termini di entrate, utenti raggiunti e visibilità».

Tre le grandi novità: oltre alla funzionalità Paid Subscriptions, anche il rilascio a breve della piattaforma Open Access e l’apertura di Spotify Audience Network ai creator indipendenti. Obiettivo: ottimizzare la monetizzazione per i creator e per massimizzare il pubblico in abbonamento.

La nuova struttura si servirà di “Anchor” e debutterà negli Stati Uniti con 12 podcaster indipendenti

Per la prima volta, Spotify consente ai podcaster sulla sua piattaforma di offrire abbonamenti ai loro spettacoli. Il prodotto in abbonamento debutterà negli Stati Uniti, che consentirà a partner selezionati, che ospitano i loro spettacoli su Anchor (società di Spotify per i podcast), di addebitare i contenuti.

Dodici programmi indipendenti, tra cui Tiny Leaps, Big Changes e Mindful in Minutes, offriranno contenuti bonus solo per gli abbonati, mentre NPR (National Public Radio, organizzazione indipendente no-profit che comprende oltre 900 stazioni radio statunitensi) lancerà versioni senza pubblicità di programmi popolari.

Intanto si si aprirà oggi la lista di attesa, attraverso cui i podcaster potranno registrarsi per essere inclusi nel lancio esteso nei prossimi mesi al mercato internazionale tra cui anche l’Italia.

I podcaster non dovranno pagare nulla a Spotify per i primi due anni. I creatori, tuttavia, dovranno coprire il costo delle commissioni di transazione tramite Stripe, il partner per i pagamenti di Spotify. Nel 2023, Spotify tratterrà una commissione del 5% sulle entrate totali degli abbonamenti: una cifra inferiore all’addebito di Apple, il cui nuovo servizio di abbonamento richiederà dal 15 al 30 percento delle entrate. I podcaster avranno tre opzioni di prezzo mensili tra cui scegliere: 2,99 dollari mensili, 4,99 o 7,99.

Spotify Paid Subscriptions vs Apple Podcasts

Apple ha dichiarato che la sua piattaforma di streaming prenderà una commissione del 30% dagli abbonamenti ai podcast nel corso del primo anno, quota che poi scenderà al 15% per gli anni seguenti. Spotify replica chiedendo agli utenti di effettuare gli acquisti per l’iscrizione ai podcast al di fuori delle app, mossa che potrebbe aggirare il sistema in-app su iOS e, quindi, le commissioni dell’App Store. Significa che Spotify non dovrà pagare Apple per gli abbonamenti venduti secondo i termini dell’App Store.

I contenuti a pagamento su Spotify saranno delimitati da un’icona a forma di lucchetto. Per sbloccare lo spettacolo, i potenziali abbonati dovranno accedere alla pagina web di destinazione Anchor dedicata al programma.

La piattaforma Open Access

La piattaforma Open Access è dedicata ai podcaster e agli editori che hanno ascoltatori paganti su altre piattaforme di ascolto. Questa tecnologia, in fase di test, permetterà agli utenti abbonati sparsi tra le vi in abbonamento su Spotify, senza che il podcaster debba cambiare sistema di login.

«Ciò offre ai creator che hanno già basi di abbonati la possibilità di fornire contenuti su abbonamento al loro preesistente pubblico a pagamento attraverso Spotify, così da mantenere il controllo diretto sulla relazione», spiega l’azienda.

Gli abbonati potranno ascoltare podcast a pagamento all’interno di Spotify o in un’app di terze parti tramite un feed RSS privato. I podcaster non riceveranno i nomi, gli indirizzi e-mail o altre informazioni personali sui propri iscritti.

“Spotify è aperto al feedback e considera diversi modi per rafforzare il rapporto abbonato–podcaster”, sottolinea Michael Mignano, Co-Founder, Anchor  ed Head of Podcaster Mission di Spotify a The Verge – Per il nostro modello è fondamentale esplorare modi in cui i creator possano entrare in contatto più a fondo con i loro iscritti. Inoltre, i contenuti non devono essere esclusivi di Spotify”.

Quindi nella fase di debutto sperimentale della nuova piattaforma, NPR utilizzerà Anchor come servizio di hosting per i suoi spettacoli di abbonamento Spotify senza pubblicità, come Planet Money Plus.

Planet Money è già disponibile su Spotify gratuitamente, così come su altre app di podcasting, mentre la Planet Money Plus sarà una pagina di spettacolo separata in cui risiede il contenuto a pagamento.

branded podcast

L’hosting di Anchor è ancora gratuito e Mignano afferma che la società prevede di mantenerlo così, il che significa che alcuni podcaster potrebbero decidere di gestire un feed separato da Anchor per fornire contenuti a pagamento all’interno di Spotify.

“Avere contenuti a pagamento integrati in Spotify significa una migliore possibilità di far scoprire i contenuti. Se le persone cercano un tipo di spettacolo specifico, un podcast in abbonamento potrebbe essere visualizzato e ottenere un follower a pagamento. Spotify potrebbe così suggerire anche quali sono gli spettacoli che gli utenti sarebbero disposti a pagare”, continua Mike Mignano.

Se un podcaster gestisce già un’attività in abbonamento altrove, ma desidera offrire i propri contenuti a pagamento su Spotify, dovrà iniziare a utilizzare Anchor oltre al proprio provider di hosting abituale.

Insieme alle notizie sull’abbonamento, Spotify ha anche annunciato l’intenzione di lanciare un modo per i podcaster che già gestiscono un’attività di abbonamento al di fuori di Spotify per portarlo nell’app. Non è del tutto chiaro come funzionerà e, alla domanda se Spotify supporterà semplicemente i feed RSS privati, cosa che attualmente non supporta, Mignano afferma: “È la nuova tecnologia che stiamo costruendo ora. Il team sta lavorando con partner selezionati, ma non divulgati, per svilupparla: tale tecnologia sarà descritta in dettaglio in futuro”.

La società ha anche fornito un aggiornamento sul proprio mercato pubblicitario e afferma che il 1 ° maggio alcuni utenti di Anchor potranno rendere il loro programma idoneo a ricevere annunci tramite Megaphone, l’altro servizio di hosting acquisito di recente dall’azienda e fornitore di mercato pubblicitario: annunci che potranno essere inseriti solo tramite la tecnologia di inserimento in streaming di Spotify.

Spotify Audience Network: il marketplace pubblicitario

Spotify aprirà Audience Network (marketplace pubblicitario che consente agli inserzionisti di raggiungere gli ascoltatori attraverso l’offerta di podcast e musica della piattaforma) a una selezione di creator indipendenti che usano Anchor.

I creator di podcast più grandi sono sempre più interessati a possedere tutte le parti dell’ecosistema del podcasting: i podcaster dovranno gestire vari feed su vari servizi di hosting e piattaforme per costruire un business completo.

«Ciò alla fine porterà più soldi (e spese più efficienti), a vantaggio dei creator che scelgono di monetizzare attraverso la pubblicità», insiste l’azienda.

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psicografia e marketing

Come creare migliori Buyer Personas con la Psicografia

Cosa si aspettano le persone quando acquistano un prodotto o usufruiscono di un servizio?

Probabilmente è questa la domanda a cui brand e aziende, di ogni tipo e dimensione, vorrebbero rispondere con esattezza. Chi si occupa di marketing, per molto tempo, è stato abituato a pensare e parlare in base ai dati demografici, poiché dividere un mercato per età, sesso, etnia e altre variabili generali può aiutare a comprendere le differenze e le somiglianze tra i diversi clienti.

La psicografia, che misura gli atteggiamenti e gli interessi dei clienti piuttosto che i criteri demografici “oggettivi”, può fornire una visione approfondita che completa ciò che solitamente apprendiamo dai dati demografici.

Che cos’è la psicografia

La psicografia è una disciplina qualitativa che descrive e suddivide i consumatori in base a caratteristiche psicologiche.

Stiamo parlando dello stile di vita, le opinioni, gli interessi, la personalità e i valori. Questi attributi sono importanti da conoscere perché forniscono una visione molto più ristretta e mirata del cliente. Di conseguenza può essere davvero vantaggiosa per brand e aziende perché li avvicina ai clienti e ai consumatori giusti che magari sono interessati a conoscere e ad acquistare i loro prodotti e servizi.

acquisto su ecommerce

Il mondo digitale ha spostato l’interesse dai dati demografici a quelli psicografici e, con la crescita dei social network e la diffusione dei Big Data, risulta sicuramente più facile accedere a questo tipo d’informazioni personali e tracciare un profilo psicologico dei propri consumatori. Ecco perché comprendere questo tipo di differenze psicografiche è importante.

I dati consentiranno a un’azienda di utilizzare strumenti di marketing online che trasformeranno le intuizioni in interventi attuabili che erano quasi impossibili prima del periodo di massimo splendore di Google, Facebook e Twitter.

Come agisce la psicografia applicata al marketing

Cerchiamo di chiarire il tutto con un esempio. Keletso Nkabiti, responsabile della Strategia presso Idea Hive, una rinomata agenzia di marketing digitale, ci mostra la differenza tra i dati demografici e psicografici.

Con i primi sappiamo che in una data popolazione c’è un numero di persone che appartiene a una certa fascia d’età. È un dato misurabile che può dirci molto della popolazione, ma non dei consumatori. Se invece noi vogliamo conoscere qualcosa in più che possiamo utilizzare per la nostra azienda, come lo stile di vita, o i valori, allora dobbiamo indirizzarci verso un’analisi psicografica.

In questo modo andremo anche a rimpicciolire il nostro target di riferimento e potremmo concentrarci meglio e in modo mirato su un numero ridotto e più definito di persone. Andremo a creare una nicchia da poter segmentare e di conseguenza definire dei profili nelle buyer personas.

Cosa sono le buyer personas

Le buyer personas rappresentano un segmento del nostro pubblico di riferimento. Partiamo da qualcosa di generale e ideale per un’azienda fino ad arrivare a una figura potenziale, il cliente così come potrebbe essere. 

La buyer persona è una figura molto importante nel marketing perché ci consente di dar voce a un cliente ideale con caratteristiche ben definite a cui possiamo rivolgerci e pensare mentre stiamo creando la nostra strategia di vendita.

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Psicografia e buyer personas: una coppia vincente

Dal punto di vista della profilazione, questo processo di filtraggio è considerato un vantaggio.

Possiamo riassumerlo come un nuovo modo di vedere e ascoltare i clienti. Stiamo utilizzando le caratteristiche psicografiche come strumento per indirizzare in modo più efficace chi desideriamo attirare per acquistare i nostri prodotti o servizi, aumentando le opportunità di convertire un potenziale cliente o consumatore. Attraverso queste informazioni, inoltre, andremo a creare le nostre buyer personas di riferimento. 

La segmentazione psicografica fornisce informazioni preziose su ciò che incoraggia un consumatore. Ci dà un’idea delle esigenze, dei desideri e dei valori degli utenti. Possiamo quindi comunicare con il pubblico di destinazione in modo efficace perché i dati psicografici ci consentono di creare messaggi e contenuti personalizzati, oltre a facilitare il targeting per parole chiave più mirate.

Credits: themediaonline

Internet ha reso questo tipo di differenze psicografiche molto più evidenti e rilevanti sia per i consumatori che per i marketers. Se prima ci sembrava difficile trovare qualcuno che avesse la nostra stessa linea di pensiero, adesso è più facile incontrare e interagire con chi condivide interessi e atteggiamenti simili ai nostri, anche se provengono da una comunità o da un Paese diverso.

Ciò aiuta a consolidare le differenze psicografiche, portando le persone a identificarsi sempre di più con le proprie comunità d’interesse o valore, invece che con la loro comunità geografica o demografica.

È fondamentale comprendere accuratamente la personalità del cliente. I dati psicografici sono gli atteggiamenti, gli interessi, la personalità, i valori, le opinioni e lo stile di vita del mercato di riferimento di un’azienda. La psicografia è incredibilmente preziosa per il marketing, ma ha anche casi d’uso nella ricerca di opinione, nella previsione e nella ricerca sociale più ampia.

Quali sono i vantaggi per le aziende

In sostanza, se conosciamo come le persone scelgono e confrontano i prodotti e i servizi di cui ci occupiamo, allora sapremo come strutturare e dare priorità ai contenuti. 

  • Conoscendo le loro opinioni possiamo allineare in modo semplice e intelligente i messaggi personalizzandoli.
  • Sapendo a cosa sono interessati, possiamo focalizzarci sulle parole e le immagini giuste senza perdere tempo su argomenti che non rientrano nella loro sfera d’interesse.
  • Se sappiamo cosa leggono, allora sapremo come raggiungerli.

La psicografia ci dice perché la gente compra. Ci permetterà di creare il messaggio giusto, per l’utente giusto e metterlo nel posto giusto. 

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I tipi di psicografia per individuare le buyer personas

Esistono diversi tipi di psicografia per comprendere il comportamento degli utenti e, di conseguenza, creare il profilo ideale per le buyer personas.

Utilizzando accuratamente i dati a nostra disposizione, comprenderemo le preferenze, gli interessi e i valori dei consumatori. In questo modo saremo in grado di vedere i clienti come persone uniche e individuali e fornire le migliori esperienze utente possibili, aumentando l’affinità con il nostro marchio e rafforzandone la fidelizzazione.

Personalità

La personalità è la segmentazione psicografica che identifica gli utenti dietro i dati. Chi sono, come si comportano di solito e come si comporteranno in determinate circostanze? I marchi di solito identificano i tratti della personalità dei loro clienti target e creano un tratto della personalità che abbia valore per loro.

Stile di vita

Lo stile di vita si riferisce ai modelli di stile di vita dei clienti. Come iniziano e finiscono la loro giornata? Cosa fanno nel fine settimana e come trascorrono il loro tempo libero? Con una buona comprensione dello stile di vita e delle abitudini dei consumatori, le aziende possono curare i messaggi da comunicare nel modo giusto.

Stato sociale

Questo tipo di segmentazione non riguarda solo il livello di reddito, il background sociale, ma anche lo stato personale in cui i clienti si trovano attualmente nella propria vita. Per esempio, i nostri clienti sono studenti universitari o giovani impiegati? Potrebbe essere lo stato sociale dei clienti attuali o lo stato sociale che vogliono raggiungere. Inoltre la condizione delle persone indica i prodotti che usano e quelle che potrebbero essere le loro preferenze.

I valori, attività, interessi e opinioni

La categoria che riguarda i valori è probabilmente una delle più importanti segmentazioni psicografiche. Esamina ciò in cui credono i clienti, qual è la loro opinione e il loro atteggiamento su un determinato argomento ed esplora i loro hobby e interessi. Cosa apprezzano nella vita? Ciò potrebbe ruotare attorno a temi come la religione, la politica, l’ambiente, le questioni culturali, le arti e lo sport.

Sulla base dei valori che i clienti detengono, i marchi sapranno quando parlare di un problema specifico, inviare messaggi per alimentare l’interesse dei clienti e incoraggiare l’acquisto.

Molte aziende utilizzano più modelli di buyer personas per ogni fase del funnel di conversione. L’incorporazione dei dati psicografici in essi è fondamentale per la riuscita delle campagne di vendita. 

Tutto ciò serve per creare messaggi personalizzati, creare un profilo chiaro e completo dei clienti ideali e potenziali. Lo scopo è quello di portare avanti campagne marketing efficaci. I vantaggi sono tanti, è vero ma…

Esistono svantaggi?

Ci sono tanti vantaggi, ma anche difficoltà e inconvenienti in questo tipo di analisi.

Innanzitutto, i dati psicografici sono più difficili da ottenere rispetto, ad esempio, ai dati demografici. Inoltre, quando si mette in gioco la segmentazione psicografica, è necessario stabilire delle linee guida per garantire che i dati non siano interpretati male e siano usati in modo accurato, sicuro e per il giusto scopo. La collaborazione con un digital specialist che capisca come leggere e interpretare i dati psicografici è quindi di fondamentale importanza.

Oscar 2021, la Cina censura la vittoria di Chloé Zhao

Chloé Zhao, la talentuosa regista di “Nomadland”, domenica scorsa ha fatto la storia diventando la prima donna di colore e la prima donna cinese a vincere l’Oscar come miglior regista. Una notizia del genere dovrebbe essere motivo d’orgoglio e vanto per qualsiasi Paese, ma quello della regista, la Cina, evidentemente non la pensa così.

Secondo quanto è stato riportato dal Wall Street Journal, il Ministero della Stampa e della Propaganda cinese ha censurato dai social media la notizia della vittoria di Chloé Zhao, oscurandola sui motori di ricerca cinesi. Cerchiamo di capire bene cosa è successo e fare il punto della situazione. 

La censura silenziosa

La regista cinese è la seconda donna, in 93 edizioni degli Academy Awards ad aggiudicarsi una statuetta e il titolo. La sua vittoria aveva scatenato una raffica di messaggi di congratulazioni su tutti i siti di social media cinesi quando è stata annunciata lunedì mattina, ora di Pechino. A metà pomeriggio, però, qualcosa è cambiato, e quasi tutti i post sono stati cancellati.

Digitando il suo nome su Baidu e Sogou, i motori di ricerca dominanti del Paese, si trovano diversi editoriali e post sui precedenti riconoscimenti vinti, ma pochissimi articoli riguardo la vittoria agli Oscar. E infatti non sono trapelate notizie nemmeno dalla China Central Television, dalla Xinhua News Agency o dal People’s Daily del Partito Comunista Cinese, come riporta lo stesso Journal.

Un giornalista dei media statali ha inoltre dichiarato di aver ricevuto ordini dal Ministero della Propaganda cinese di non riferire nulla sulla vittoria della Zhao. Il motivo? La precedente opinione pubblica sulla regista.

Chloé Zhao

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Perché la Cina sta oscurando la vittoria di Chloé Zhao?

Ci sono quindi dei precedenti che hanno indignato così tanto la Cina da oscurare tutte le notizie sulla vittoria dell’agognato premio? Ebbene sì. All’inizio di quest’anno, la Zhao è stata messa alla gogna online in Cina per alcuni commenti critici che ha fatto sul Paese. In un’intervista del 2013 alla rivista Filmmaker, ha affermato, senza mezzi termini, che “nel luogo in cui era cresciuta ci sono bugie ovunque”. 

La regista è sempre stata un’amante della cultura occidentale e non ne ha mai fatto mistero. Ha studiato fin da ragazza a Londra, e poi è volata in America. 

Il Global Times, un sito di notizie che fa capo al People’s Daily, ha invece pubblicato un editoriale, lunedì sera, in cui riconosceva la vittoria di Zhao, ma criticava il suo film Nomadland, definendolo tipicamente americano e lontano dalla realtà cinese. 

Il magazine spera che la regista, 39enne, possa diventare sempre più “matura” e che in quest’epoca in cui i rapporti tra Cina e Stati Uniti si stanno intensificando, possa svolgere un ruolo di mediazione tra le due società. Le parole si fanno ancora più gravi e si legge che la regista dovrebbe “sfruttare” la sua etichetta attivamente evitando “di essere un possibile e invadente punto d’attrito”.

Un’altra delle poche notizie emerse in Cina sulla vittoria di Zhao proveniva dal piccolo sito di notizie 163.com, che l’ha definita come il secondo regista cinese a vincere il premio come migliore regista, dopo Ang Lee

Lee,  che ha vinto due volte il premio come miglior regista, per “Brokeback Mountain” nel 2006 e per “Life of Pi” nel 2013, è nato a Taiwan. La Cina considera Taiwan facente parte del proprio territorio, ma questo è oggetto di alcune controversie a livello internazionale.

Nomadland: perché è così discusso per la Cina?

Il film racconta la storia di una donna sessantenne che, dopo aver perso il marito e il lavoro durante la Grande recessione, intraprende un viaggio, negli Stati Uniti, a bordo del suo furgone. Durante la sua avventura on the road incontrerà ogni tipo di persone, tutte emarginate proprio come lei. 

Il progetto nasce dall’adattamento dell’omonimo libro della giornalista Jessica Bruder. La protagonista è l’attrice Frances McDormand, anche lei vincitrice di un Oscar ma come miglior attrice protagonista. Il film si è aggiudicato il Leone d’oro a Venezia e il Golden Globe per il miglior film drammatico e per miglior regista. Ha vinto in tutto 3 Premi Oscar, rispettivamente per il miglior film, miglior regia e migliore attrice protagonista.

Sapete quale sarà il prossimo progetto della regista? “The Eternals” dei Marvel Studios, esatto, un film di supereroi. Chissà come si comporterà stavolta la Cina che da sempre è un mercato molto redditizio per la Marvel.

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beyond meat copertina

Beyond Meat: dal debutto a Wall Street ai dubbi sulla sostenibilità

A partire dagli anni 60’, quando gli Stati Uniti erano all’apice della propria potenza economica e militare, il consumo di proteine animali (in particolare di carne bovina) ha registrato un forte incremento, portando al moltiplicarsi degli allevamenti intensivi e alla riduzione di boschi e foreste, per far spazio alle colture foraggere.

Un nesso, quello fra carne e deforestazione, che se all’inizio è stato nascosto per “ingrassare” le tasche dei lobbisti della carne – come la JBS S.A o la Marfrig – è oggi invece noto a molti e desta sempre più preoccupazione.

Come riportato nel report scandalistico e provocatorio redatto da Greenpeace “Foreste al Macello”, in Amazzonia circa l’88% dei terreni disboscati sono stati adibiti a pascolo, andando in contro ad erosione e desertificazione permanente; un dramma accentuato dalla noncuranza di chi è al potere. La situazione, presto potrebbe portare alla perdita di oltre il 10% della biodiversità mondiale e del 20% dell’ossigeno attualmente prodotto.

E, nonostante ormai sia difficile immaginare un epilogo diverso, c’è ancora chi ha l’ambizione di ridurre l’impatto che l’allevamento ha sull’ambiente, non senza preliminari valutazioni economiche.

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green farming equipment on brown field

Beyond Meat, la scommessa green dei grandi investitori

Stiamo parlando di Ethan Brown che nel 2009, assieme ad Evan Williams e Biz Stone (due dei padri di Twitter), ha fondato in California la start-up Beyond Meat, con l’intento di proporre delle alternative vegetali alla carne, che fossero sostenibili e gustose, anche per gli onnivori.

E tra i primi a scommettere sul loro visionario progetto – alla base di quello che oggi viene considerato un vero e proprio megatrend – è stato Bill Gates, tanto che il magnate della Silicon Valley viene affettuosamente soprannominato “Farmer Bill”, per i suoi recenti investimenti – oltre 700 milioni di dollari – in terreni agricoli ed attività legate al settore agroalimentare.

Ad affiancare Gates, anche l’attore Leonardo di Caprio, noto per le sue battaglie a favore del sociale e dell’ambiente. Déjà vu? Si. Entrambi, infatti, hanno acquistato anche alcune quote della concorrente diretta di Beyond Meat, ovvero Impossible Foods, con l’obiettivo – neppure tanto nascosto – di avere un domani il controllo del mercato plant-based e dar vita, quindi, ad un monopolio privato.

Il mercato plant-based continua a crescere, anche in Europa

Quello della non-carne, infatti, è un business in ascesa, uno dei pochi a non aver risentito della crisi economica (2008-2011). E la corsa è solo agli inizi.

Basti pensare, ad esempio, che nel Maggio del 2020, l’Europa ha stanziato 10 miliardi di euro per favorire lo sviluppo di fonti proteiche alternative alla carne, confermando ancora una volta la positività del trend.

Ma al di là delle interessanti prospettive di guadagno che ruotano attorno ai plant-based foods, come sostiene l’ambientalista e imprenditore Paul Hawken, fondatore del Drawdown Project: se il 50% della popolazione globale adottasse una dieta ricca di vegetali, almeno al 75%, si potrebbero evitare dalle 65 alle 92 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, tra il 2020 e il 2050”.

E i consumatori, lentamente, stanno cominciando a diventare coscienti della necessità di contribuire a ridurre i gas serra prodotti dall’uomo e attribuibili al sistema alimentare, anche a costo di modificare la propria dieta.

white clouds over city skyline during night time

Beyond Meat conquista Wall Street: storia di un successo preannunciato

Ecco dunque che Brown, a suo tempo, è stato capace di anticipare un trend e prevederne il futuro, tanto che oggi Beyond Meat, con un fatturato di quasi 300 milioni di dollari, rappresenta la punta di diamante del settore plant-based nel mondo.

Da quando è stata quotata al Nasdaq, il titolo continua a salire, lasciando intuire un interesse crescente verso questi “nuovi” generi alimentari, che va ben al di là della mera speculazione finanziaria.

Tuttavia, non è solo la bontà del momento ad aver decretato il successo dell’Azienda di Los Angeles ma anche la capacità di Brown e del suo team di sviluppare prodotti del tutto simili alla vera carne, capaci di “ingannare” tanto la vista quanto il gusto.

A differenza del burger di Impossible Foods – che contiene soia transgenica – quello di Beyond Meat utilizza le proteine isolate del pisello giallo, unitamente ad altri derivati vegetali, come l’olio di cocco e il succo di barbabietola, che favoriscono lo sviluppo della classica “crosticina” in fase di cottura, nonché l’aspetto “sanguinante” al taglio.

Il profilo nutrizionale del Beyond Burger non convince, dubbi anche sulla sostenibilità

Dalla lettura dell’etichetta, gli ingredienti che compongono il veg-burger di Beyond Meat sono 20, di cui la maggior parte sono additivi, volti ad aumentarne la palatabilità – come la glicerina vegetale, un sottoprodotto della filiera produttiva del sapone.

Dal punto di vista nutrizionale, dunque, non si può certo dire che il burger di Beyond Meat sia salutare; nonostante i singoli ingredienti non siano di per sé dannosi, messi insieme ne fanno un alimento altamente raffinato e processato, ricco di sale, grassi idrogenati e addensanti che, nel lungo periodo, possono causare problemi gastrointestinali, soprattutto nei soggetti più sensibili.

E anche sull’impatto ambientale, ci sono non poche perplessità: le materie prime che costituiscono il Beyond Burger, infatti, provengono da fornitori dislocati in tutto il mondo e, prima di raggiungere l’azienda ed essere trasformate, percorrono migliaia di chilometri, via terra e via aria. E altrettanta strada devono fare i prodotti finiti, per raggiungere gli scaffali dei diversi supermercati oppure le celle frigo dei fast-food (vedi McDonald’s).

burger with patty and lettuce

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Beyond Meat, bolla o grande opportunità di investimento?

Seppur la carbon footprint non sia paragonabile a quella della filiera della carne, dunque, è comunque elevata ed è un aspetto di cui dobbiamo tenere conto, anche semplicemente per azzardare delle previsioni sul futuro dei cibi plant-based, così come li conosciamo oggi.

Probabilmente Beyond Meat continuerà a crescere, almeno per i prossimi 10 anni, conquistando i sempre più numerosi “neo-vegani” ma difficilmente riuscirà nell’intento di sostituire completamente la carne, con cui tra l’altro condivide – paradossalmente – una similarità per quanto riguarda le indicazioni di consumo: il più sporadicamente possibile, se proprio non è possibile evitarla del tutto.

La “sostenibilità” in ambito alimentare, infatti, si può raggiungere solamente sensibilizzando i consumatori all’acquisto di prodotti stagionali e locali, poco o per nulla processati, il cui impatto ambientale è realmente minimo.

Siete pronti a salvare Matilda? È uscito il videogioco ufficiale di Chiara Ferragni

Chiara Ferragni Collection, un brand italiano ma con un respiro internazionale, ha deciso di sperimentare il gaming come nuova forma di promozione innovativa e coinvolgente. Infatti, il settore dei videogiochi è in grandissima espansione, complice anche la pandemia, ed è una forma di svago che ormai ha conquistato persone di tutte le età. Nel mondo ci sono 2,7 miliardi di gamer (17 milioni in Italia, secondo l’ultimo report di IIDEA) e il mercato dei videogiochi, da solo, vale più di quello del cinema e della musica messi insieme.

Rescue Matilda!

Il progetto è stato sviluppato da Gamindo, startup specializzata nello sviluppo di videogiochi ad impatto sociale per brand, in collaborazione con il Pixel Artist Manolo “The_Oluk” Saviantoni e il Game Developer Samuele Sciacca, già noti al pubblico per la creazione del gioco Al Bano vs Dino.

Nel gioco Rescue Matilda, un platform game in pixel art, i ruoli finalmente si invertono: non è più il principe a salvare la principessa, ma è la principessa (in questo caso Chiara) pronta a superare ogni ostacolo per salvare Matilda. Dopo aver scelto l’outfit con cui giocare e un primo livello di ambientamento, dove si corre e si salta come nel più classico dei videogiochi, la difficoltà inizia ad aumentare e l’ultimo livello è raggiungibile solo per pochi.

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I nemici, bocche giganti e cactus spinati quasi a ricordare gli hater invadenti, sono sempre di più, gli ostacoli sempre più ostici, e i tempi di reazione necessari sempre più brevi. A motivare gli utenti c’è poi la classifica, con i migliori giocatori di sempre e della settimana.

Per giocare non serve scaricare nessuna app, basta cliccare questo link.

Siete pronti per l’avventura? Che la sfida abbia inizio!

gaming

eSports e Gaming nel 2021: trend e aziende chiave del settore

Sorpassare gli 1.5 miliardi di Dollari: è questa la stima di alcuni report che cercano di dare un volume al futuro giro d’affari del mondo del gaming e degli eSports, fenomeno che negli ultimi anni ha saputo saggiamente trasformarsi da una nicchia vivace e super settorializzata ad un’enorme nuova forma di intrattenimento che spopola ormai in tutto il mondo.

Dall’organizzazione degli eventi con un vero e proprio sistema di ticketing e di vendita di ingressi alla sponsorizzazione e ai processi di divizzazione degli atleti, possiamo affermare (ma già da tempo ormai) di trovarci davanti a un nuovo strato della cultura sportiva, che ha coinvolto personaggi del calibro di Michael Jordan, DrakeMarshmello, e che ha trovato nelle “vecchie reti televisive mainstream” (ESPN, ad esempio) spazio per dare ancora più eco mediatico al fenomeno.

Quindi, mentre i novelli atleti e non si fanno strada a suon di clic e allenamento dei riflessi, con l’ambizione di diventare parte integrante di una nuova costola dello showbiz che cerca nuovi protagonisti, tutti i riflettori di chi “ci mette la benzina” (leggi, i soldini) sono puntati con grande attenzione sul settore.

Trend Gaming

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Le previsioni stimano che il numero totale di spettatori di eSports sarà quantificabile in un tasso di crescita annuale del 9% tra il 2019 e il 2023 (in numeri: da 454 milioni nel 2019 a 646 milioni nel 2023), secondo le stime di Insider Intelligence.

In poche parole, si vola verso il raddoppio degli utenti, e questo non solo grazie all’esplosione dei live streaming, ma anche grazie allo sviluppo di vere e proprie piattaforme specifiche per i videogiochi come Twitch, YouTube Gaming e Facebook Gaming, che danno ai followers una connessione diretta con i giocatori e i team.

Ma non solo: il passaggio da nicchia a “settore pro” ha creato interessanti opportunità per gli sviluppatori di giochi, i giocatori, gli influencer e gli organizzatori di eventi, senza contare anche che le Università e i college stanno lanciando sempre più numerose curriculum dedicati agli eSports per rispondere alla richiesta di personale qualificato.

Non è sbagliato considerare anche il fatto che molti ragazzi stiano guardando e investendo tempo agli eSports in prospettiva di una carriera lavorativa, a causa dell’aumento della popolarità dei tornei di gioco, degli impressionanti montepremi internazionali, dei ricavi dello streaming e delle sponsorizzazioni one-to-one.

 

Gaming e Covid-19

Va anche considerato che la situazione pandemica attuale ha colpito questo settore, seppure in modo non “letale”.

Nonostante si possa pensare che la maggior parte delle attività vengano svolte online,  gli eventi dal vivo legati a Gaming ed eSport sono stati decimati: l’8% cancellato, il 26% è stato rinviato, il 13% rimane in programma, e un considerevole 53% è stato spostato online, portando consistenti danni alla vendita dei biglietti, degli eventi e di tutte le attività legate all’evento tradizionale offline.

In queste circostanze, tuttavia, la maggior parte degli eventi sono stati trasformati in appuntamenti distanza a causa della pandemia e delle chiusure obbligatorie, cosa che ha portato a un aumento del numero di spettatori sulle piattaforme di streaming, riuscendo a coinvolgere un pubblico più ampio.

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gaming trends

I player più attivi nel settore

Se non consideriamo le piattaforme Twitch, YouTube e Facebook, dobbiamo fare un ragionamento tra le varie software house che detengono le proprietà intellettuali dei titoli più giocati e le aziende produttrici di hardware anche specifico per i gamers (e sarebbe interessante parlare anche della sparizione proprio degli ultimi tempo relativamente all’hardware da gaming, ad esempio delle GPU Nvidia).

Activision Blizzard, Valve, Tencent, Electronic Arts, Gameloft, SE e Nintendo sono solo alcune delle case sulla cresta dell’onda: esistono titoli che ogni anno garantiscono ingenti flussi di denaro come Call of Duty, World of Warcraft, StarCraft, FIFA e Candy Crush Saga, che seppur diversi tra loro, hanno un pubblico molto eterogeneo e fidelizzato in community sempre pronte a seguirne gli aggiornamenti e le evoluzioni.

Siamo, probabilmente, soltanto all’inizio di un futuro fatto di nuove star dello sport.

Società digitale: la rete FTTH come driver di crescita

Sveglia, colazione e poi tutti pronti per la scuola e il lavoro: in una stanza i ragazzi, nell’altra i genitori, ognuno davanti al proprio pc per connettersi con il mondo. Sembrerebbe uno scenario da sit-com, invece è una normalissima mattina nell’era digitale. Tra DAD, smart working e il meritato svago della sera, abbiamo ormai perso il conto delle ore passate a navigare sul web ogni giorno. 

Anzi, in verità c’è chi si è preso la briga di contarle per noi: almeno 6 in media, secondo gli esperti. Con la digitalizzazione sempre più diffusa che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite – complici anche le restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19 che ci ha portato a usufruire dei mezzi con maggiore costanza – internet è ormai la risposta a ogni nostra necessità. 

Approfittiamo per invitarti mercoledì alle ore 09 su Clubhouse, all’interno della Ninja Morning, per la room powered by Open Fiber!

Il digital divide: l’antagonista delle nostre storie digitali

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C’è un aspetto della vita digitale che forse non è noto a tutti. Siamo ormai così abituati a connetterci al web con un semplice clic – meglio ancora con un tap sullo schermo dei nostri dispositivi mobile – che accedere a internet è, per la maggior parte di noi, un’azione quasi automatica. Eppure, anche nell’era della digitalizzazione ad ogni costo, esistono fasce di popolazione per le quali la possibilità di interagire col mondo via internet non è così scontata. Hai mai sentito parlare di digital divide? Se la risposta è no, puoi considerarti fortunato.

Uno dei player più attivi nella lotta a questo fenomeno di disuguaglianza digitale è proprio Open Fiber che, ad oggi, ha avviato la commercializzazione dei propri servizi in oltre 2000 Comuni italiani. Inclusi i piccoli Comuni delle Aree Bianche, le zone meno popolate che gli operatori spesso non si impegnano a raggiungere. 

Per dirla in poche parole, il digital divide è il divario che sussiste tra coloro che possono accedere alle nuove tecnologie per mezzo di Internet e quelli che non possono farlo. Nella maggior parte dei casi, è dovuto alla carenza di infrastrutture: alcune zone del paese – come ad esempio le cosiddette Aree Bianche e Grigie – si trovano costrette a connettersi al web attraverso infrastrutture ormai obsolete. Queste connessioni instabili e poco performanti non sempre sono in grado di supportare il traffico dati necessario per sostenere una mattinata in DAD o uno scambio di materiale con i colleghi senza rallentamenti. Di conseguenza, il digital divide è il nemico più importante della nostra epoca in ambito di telecomunicazioni. 

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La rete FTTH di Open Fiber come alleata di startup e aziende

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Tra email, messaggistica istantanea e videochiamate il lavoro non si ferma. Freelance, imprenditori e Pubbliche Amministrazioni sono tutti connessi su base quotidiana per portare avanti i propri compiti senza interruzioni. Le conseguenze della pandemia sull’economia e sul mercato del lavoro sarebbero state molto più importanti se gli eventi straordinari che stiamo vivendo si fossero verificati soltanto venti anni fa.

Ma la possibilità di lavorare grazie al web non è nulla se la connessione non è in grado di sostenere le attività necessarie a startup, aziende e liberi professionisti. Il lag – ritardo nella trasmissione delle informazioni – può rallentare notevolmente lo scambio di dati e materiale. Questo penalizza le performance e demotiva i lavoratori, che potrebbero trovare frustrante lavorare in condizioni del genere. Ecco perché la fibra ottica FTTH di Open Fiber, con la sua velocità di trasmissione dati che arriva fino a 1 Gbps, è la tecnologia ideale per garantire la crescita del business in Italia. 

Vittorio Colao: l’importanza di mappare le Aree Grigie 

La visione a lungo termine di un’Italia digitale è ben chiara anche a Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale. Il Ministro ha preso particolarmente a cuore il cablaggio delle cosiddette Aree Grigie, zone in cui esistono infrastrutture per la banda ultra larga oppure in cui è prevista la realizzazione entro tre anni, senza nessun mercato concorrenziale. Parlando delle Aree Grigie durante un’audizione presso la Commissione Trasporti della Camera, ha dichiarato:

“Faremo rapidamente la mappatura e le consultazioni. Non appena pronto, porteremo il Piano al Comitato interministeriale per la transizione digitale. Un processo complesso che prevede l’interlocuzione con il mercato e con le Istituzioni nazionali e comunitarie. Lo vogliamo velocizzare il più possibile”.

Il piano di azione prevede interventi sia sull’offerta che sulla domanda di servizi digitali. L’obiettivo principale è la copertura dell’intero territorio con tutte le tecnologie in grado di abilitare l’accesso alla banda ultra larga: non solo FTTH, ma anche FWA per raggiungere i territori più impervi. 

Vittorio Colao

Il Ministro punta a connettere tutte le istituzioni, incluse le scuole, gli ospedali, gli uffici pubblici e tutte le 18 isole minori entro pochi anni:

Stiamo lavorando con Agcom e Infratel per far convergere in un unico sistema tutte le mappature. Cercheremo di erogare i nostri contributi in maniera efficiente. Speriamo di fare presto e arrivare entro fine anno ad avere tutto allineato per poter partire con le gare. Cercheremo di fare aree molto più piccole perché permettono agli operatori di essere più precisi. Speriamo a inizio del 2022 di avere il processo terminato.

5 obiettivi in 5 anni, la sfida del Ministro Colao

Le ambizioni del Ministro sono a dir poco interessanti: nonostante l’Unione Europea abbia stabilito come data simbolo della transizione tecnologica il 2030, Colao vuole battere sul tempo gli altri Paesi e punta al 2026. Per i 5 anni futuri, infatti, ha individuato altrettanti obiettivi necessari per la transizione digitale: 

  • Fare in modo che almeno il 70% della popolazione usi regolarmente l’identità digitale, contro la percentuale di utenti attuale che è meno della metà.
  • Rendere digitalmente abile almeno il 70% della popolazione.
  • Portare il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi cloud.
  • Erogare online almeno l’80% dei servizi pubblici.
  • Raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra larga, grazie alla collaborazione con gli operatori di mercato e il MISE.

Una sfida che gli operatori impegnati in Italia nella lotta al digital divide, come ad esempio Open Fiber, non vedono l’ora di cogliere!

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Tornano i Webby People’s Voice Awards, giunti alla 25° edizione

Sono stati annunciati ufficialmente i candidati per i Webby Awards, che ricorrono al 25° anniversario!

Da celebrità nominate come Sir David Attenborough, Dua Lipa e Rosalía, ad app stimolanti come Radio Headspace di Headspace ed EVE Online – Project Discovery, a serie di contenuti social di spicco come #UNHATEWOMEN di Philipp e Keuntje e #StyleFriday di Kolle Rebbe. I vincitori del prestigioso Webby rappresenteranno coloro che dimostreranno di creare il miglior lavoro su Internet, in tutto il mondo.

Webby Awards XXV

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C’è la competizione per due dei premi più ambiti di Internet: il Webby Award, scelto dall’Academy, e il Webby People’s Voice Award, selezionato dal pubblico.

Le votazioni per i Webby People’s Voice Awards sono ora aperte fino a giovedì 6 maggio. Tutti i vincitori di Webby saranno celebrati durante uno spettacolo virtuale costellato di stelle condotto da Jameela Jamil martedì 18 maggio.

marketing automation statistiche

Statistiche di Marketing Automation che ogni azienda dovrebbe conoscere

La prima regola di ogni tecnologia usata nel business è che l’automazione applicata ad una operazione efficiente, amplificherà l’efficienza. La seconda è che quell’automazione applicata ad un’operazione inefficiente, amplificherà l’inefficienza”.

In questa frase di Bill Gates è racchiusa tutta la potenzialità che l’automazione, nel nostro caso, la Marketing Automation può esprimere per ogni business. E oggi più che mai, se si toccano processi efficienti per un’azienda, la Marketing Automation porta con sé un paniere di vantaggi estremamente tangibili.

E se è vero che, secondo l’analisi Hubspot del 2020, il 68% delle aziende mondiali utilizza l’automazione in qualche maniera, è molto importante che qualsiasi azienda che si approccia a questa branca del marketing abbia ben presente le potenzialità nel suo utilizzo, ovviamente (per parafrasare la citazione di Bill Gates) se questa nave viaggia sulla rotta giusta.

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Tutto sotto controllo

Il ciclo di Deming (o PDCA: Plan-Do-Check-Act) ci insegna che ad ogni azione appositamente pianificata e messa in atto, debba seguire una continua verifica dei risultati prodotti e, nel caso, l’apporto di azioni correttive.

Ecco che, dall’indagine nazionale dell’Osservatorio CRM condotta fra aprile e dicembre 2020, emerge come per il 64% delle aziende il vantaggio nell’utilizzo di strategie e sistemi di questo tipo risieda nel monitoraggio in tempo reale dei risultati.

A questo si aggiunge che per il 60% delle aziende, un ulteriore beneficio nell’applicazione di CRM e Marketing Automation sia la maggiore efficienza e automazione dei processi interni ed esterni.

Indagine Osservatorio CRM

fonte: Indagine Osservatorio CRM eCommerce, 2020

L’azienda, in questo modo, ha tutto sotto controllo e riesce, anche in tempi relativamente più brevi, a mettere in atto azioni correttive che le permettono di raffinare qualsiasi azione di tipo strategico.

Multicanalità

Sei più portato a leggere una mail oppure preferisci un messaggio istantaneo?

Per ogni azienda conoscere il touchpoint preferito del proprio lead/cliente assume un ruolo strategico fondamentale. Secondo la ricerca di Think with Google del 2019, il 75% degli utenti analizzati nel mercato americano, si aspetta di ricevere informazioni istantanee dalle aziende mentre usa il proprio device.

Inoltre, i consumatori sono 35 volte più predisposti ad aprire un messaggio istantaneo che un’email.

Think with Google

fonte: Think With Google, 2019

How the future of AI will Impact Business mette in luce come il 76% dei consumatori e degli acquirenti B2B gradiscono ricevere reminder automatici per appuntamenti o iniziative, anche attraverso processi che associno la Marketing e Business Automation all’Intelligenza Artificiale.

How the future of AI will Impact Business

fonte: How the future of AI will Impact Business, 2020

Attenzione però. Questo non significa dar libero sfogo allo “spam”. Basta continuare a leggere per capire che, in alcuni casi, i vantaggi si trasformano in doveri: la comunicazione deve sempre essere tempestiva e giusta.

Conoscere i clienti

“Alt! chi siete?
-Siamo due che…
-Cosa fate? Cosa portate?
-Niente, roba…
-Sì ma quanti siete?
-Due, siamo io e lui…
-Un fiorino!!
-Si paga?
-Un fiorino!!”

Prima dell’avvento dell’Inbound Marketing e della Marketing Automation, le aziende intercettavano i clienti un po’ come il doganiere del film “Non ci resta che piangere” con Saverio (Roberto Benigni) e Mario (Massimo Troisi) sulla strada verso Palos. Zero criterio e a ogni “contatto” ricominciava tutto come se non fossero mai passati prima (“Chi siete? Cosa fate? Un fiorino!”).

Conoscere attentamente i propri clienti è il primo passo fondamentale per qualsiasi attività di Marketing, come emerso nel 2017 attraverso una ricerca Salesforce dal nome The AI Revolution (contenuta successivamente nell’articolo del 2019 How the Future of AI will Impact Business).

Il 55% dei consumatori uniti all’75% degli acquirenti B2B, si aspetta di ricevere offerte personalizzate da queste tecnologie, in base alle proprie abitudini di acquisto, ai propri gusti e alle proprie esigenze.

The AI Revolution

fonte: The AI Revolution, 2017

Appare ovvio che, analizzare continuamente ed in modo automatico queste caratteristiche permette non solo di recapitare l’offerta giusta al momento giusto per il cliente, ma anche di individuare cluster di clienti/utenti e predirne le caratteristiche e le abitudini di acquisto, sempre nel rispetto di tutte le normative e della privacy.

E dalla ricerca citata in precedenza, gli acquirenti se lo aspettavano già nel 2020.

È questo il caso della combinazione fra Marketing Automation ed AI.

Conosci la storia di come Target ha scoperto la gravidanza di una propria cliente, prima che lo facesse il padre della ragazza?

Il 16 febbraio 2012, Forbes ha pubblicato un articolo dal titolo How Target Figured Out a Teen Girl Was Pregnant Before Her Father Did (in rimando ad un altro articolo del New York Times – How companies learn your secrets) in cui racconta come Target, il famoso retail Americano, avesse individuato un pattern che si replicava per tutte quelle clienti che, nei primi mesi di gravidanza, cambiavano radicalmente le proprie abitudini d’acquisto.

Quello che apparve chiaro agli occhi di Andrew Pole, il data analyst di Target, era che le future mamme iniziavano, per esempio nel secondo trimestre di gravidanza, a comprare lozioni o, nelle prime 20 settimane, integratori di calcio.

L’azienda prese la palla al balzo e, per tutte le clienti che replicavano con buona approssimazione quel pattern, iniziò a mettere giù una serie di iniziative che sfociavano addirittura negli auguri per la nascita del bambino/della bambina nel giorno esatto (o giù di lì).

Un giorno, un papà arrabbiato si presenta con una cartolina legata a una di queste iniziative indirizzata alla propria figlia teenager, chiedendo ai responsabili come si fossero permessi di inviare una cosa del genere alla propria figlia minorenne.

Qualche giorno dopo, però, dovette cedere alla potenza dell’analisi dei dati: il pattern era effettivamente corretto e come tale aveva ben previsto la gravidanza della giovane donna.

Tutto questo, oltre 9 anni fa. Considerando che oggi l’individuazione di pattern di acquisto e comportamento inizia a diventare più facilmente analizzabile attraverso tool che sfruttano l’AI (affiancata da data analyst che aiutino il machine learning e strategist che sappiano quali azioni implementare), è chiaro quali possono essere le potenzialità di una Marketing Automation ben progettata.

Comprendere il target, clusterizzarlo in base al pattern e alle abitudini che mostra e, automaticamente, veicolare offerte personalizzate centrando perfettamente le esigenze del consumatore.

È ovvio che questo influenzi in maniera positiva i KPI aziendali, come emerge dalla ricerca Marketing Technology Trends di Ascend2. Il ROI sulle attività di marketing e il miglioramento della loro efficienza sono i principali fattori migliorativi che le aziende individuano nell’applicazione della Marketing Automation.

L’azione sarà efficace mantenendo come capo saldo il principio che ha aperto questo articolo: solo se le strategie e i processi aziendali sono efficaci ed efficienti, l’automazione potrà avere effetto positivo.

comunicazione politica

Come cambia la comunicazione politica in tempi di pandemia

Il mondo sta affrontando una sfida che non ha precedenti e per la quale non c’è stata la possibilità di essere sufficientemente preparati.

La pandemia ha stravolto non solo le certezze individuali, ma anche le regole del gioco nell’economia, nella politica e, inevitabilmente, anche nei meccanismi di formazione dell’opinione pubblica.

La comunicazione politica, espressione-cappello che può servire a racchiudere sia la comunicazione istituzionale (quella di chi ‘sta al potere’) sia quelle dei partiti e dei loro esponenti (sia di maggioranza, sia di opposizione), sia quella più squisitamente elettorale, ha subito a sua volta alcune profonde modificazioni.

In verità alcune dinamiche sono mutate in misura persino superiore rispetto alla capacità delle macchine della propaganda di leggere quei cambiamenti e adattarsi così alla “nuova normalità”; per questo motivo può essere utile analizzare nello specifico tre regole che sono saltate nel passaggio dal pre-Covid al Covid, senza però immaginare che questa modificazione di scenario sia stata davvero metabolizzata da chi comunica la politica.

#1. L’accountability non è mai stata così importante

Il principale cambiamento relativo al dibattito pubblico riguarda una doppia, e apparentemente contradditoria, dinamica: da un lato gli argomenti di discussione si sono profondamente ridotti per numero (il Covid e davvero poco altro), dall’altro lato è cresciuta la complessità delle questioni da affrontare.

Non si può parlare di pandemia limitandosi esclusivamente alle opinioni e senza tenere costantemente d’occhio i dati scientifici; o meglio, si può fare, ma con il concreto rischio di essere sbugiardati pochi giorni dopo dal dato di realtà.

Basti pensare, per esempio, alle rapide ritirate di tutta la classe politica italiana, a turno, prima del primo lockdown e dopo aver esagerato negli slanci di ottimismo, o a quello che sta accadendo in Germania in queste settimane. Angela Merkel continua da tempo a chiedere un inasprimento delle restrizioni, ha dovuto fare marcia indietro (chiedendo scusa) prima di Pasqua su pressione del suo partito, la CDU, preoccupata di perdere voti a meno di sei mesi dalle elezioni politiche, e ora è tornata sulle sue posizioni iniziali in ragione del nuovo incremento dei contagi nel suo paese.

sondaggio ipsos

Questo continuo “autosmentirsi” rappresenterebbe in qualunque caso un danno reputazionale, perché si dimostra plasticamente di aver parlato – in taluni casi prendendo decisioni nell’interesse della collettività – senza aver avuto piena consapevolezza di ciò che si stava dicendo.

Ma proprio perché gli argomenti di discussione sono diminuiti per numero, quel danno reputazionale è ancora maggiore rispetto al passato: tutti stanno guardando nella stessa direzione, oramai da oltre un anno, e dunque non si può confidare nella tattica della “distrazione di massa”, cioè nel passare costantemente da un fronte – spesso polemico – all’altro per far dimenticare lo strafalcione precedente.

Per questo motivo l’accountability, cioè la coerenza tra il dire e il fare (semplificando), rappresenta un valore assoluto per chi comunica la politica, oggi ancora più che in passato.

#2. La comunicazione di crisi non prevede “no comment”

Il quadro si complica ulteriormente se pensiamo che la comunicazione politica di crisi è del tutto paragonabile a quella aziendale. In quel genere di situazioni, chi si trova sotto pressione mediatica non può (più) aspettare che il tempo passi: anche se i media tradizionali decidessero di passare ad altro, la conversazione potrebbe comunque proseguire su web e social. Non comunicare in tempi di crisi non è più, dunque, un’opzione se si vuole gestire efficacemente la propria reputazione.

Sarebbe impensabile, ad esempio, che un’azienda che commette un grave errore di comunicazione digitale (la storia recente è piena di casi del genere) non tenga conto del fatto che si possa finire nei trend di Twitter o di Google per quelo motivo: bisogna fare qualcosa. Se – come credo – il parallelo tra queste due forme di comunicazione di crisi regge, allora la comunicazione politica non può che essere iper-prolifica in momenti di difficoltà come questo.

A tal proposito, è in corso un interessante dibattito sulle differenze di stile (sia per quantità sia per qualità) tra il modello Conte-Casalino, accusato di essere fin troppo pressante (e talvolta contraddittorio) nei messaggi immessi nel circuito dell’informazione, e le scelte di Mario Draghi che invece sembrano andare nella direzione opposta.

È difficile – soprattutto a emergenza in corso – stabilire quale dei due modelli sia il più adatto in una fase del genere, ma di certo bisogna tenere conto che i processi che portano alle decisioni in tempo di crisi non vanno solo condivisi ma anche spiegati, per evitare distorsioni nella ricezione dei messaggi, vuoti di comunicazione e polemiche evitabili (basti pensare al caos informativo su Astrazeneca di cui ho scritto nel post precedente qui su Ninja Marketing), esattamente come bisognerebbe coinvolgere le popolazioni interessate da un’infrastruttura da costruire sul proprio territorio per provare a scongiurare l’effetto Nimby.

La comunicazione di crisi è dunque comunicazione di processo e non solo condivisione degli output decisionali. C’è però un problema: si è detto, nel paragrafo precedente, che l’accountability è il valore supremo e che bisogna evitare di contraddirsi troppo spesso e troppo velocemente in pubblico.

sondaggio ipsos

Source: Ipsos

Questo dovrebbe indurre a una certa prudenza, dunque, nelle proprie esternazioni, a meno che non si sia totalmente certi di quello che si sta per dire. Dall’altro lato, però, la scarsa comunicazione espone a fragilità di leadership, soprattutto di carattere emotivo (spiegare le cose perché siano comprese, rassicurare la popolazione sulla bontà delle scelte fatte), nei confronti degli elettori.

Da un lato, dunque, converrebbe comunicare poco; dall’altro bisognerebbe comunicare molto. La complessità di questa fase, per i (comunicatori) politici, sta proprio nella gestione virtuosa di questa contraddizione.

#3. Fare opposizione è più difficile in tempi di crisi

Criticare la linea politica di chi sta al governo è, naturalmente, sempre legittimo. Ma è opportuno ed efficace farlo mentre un governo sta provando a risolvere un’emergenza che riguarda tutti gli italiani?

Questo è il grande dilemma che riguarda le forze politiche di opposizione. Le difficoltà sono di due tipi. La prima è riassumibile nel concetto ‘Rally Around The Flag’: quando una comunità si sente minacciata, l’istinto è di ‘tifare’ per chi la governa, a prescindere dal proprio colore politico, perché si confida di essere liberati quanto prima da quella minaccia alla propria vita.

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Proprio questo effetto ha generato un boost di consenso per il governo Conte-bis agli inizi del lockdown. Questa dinamica non è del tutto scemata, anche se siamo in una fase diversa della campagna contro il Covid e, soprattutto, è cambiato il Governo nel nostro paese. Basti pensare a ciò che può accadere in qualsiasi regione in Italia e, per paradosso, ancor di più nelle zone d’Italia in cui la campagna vaccinale procede a rilento.

Cosa dovrebbe fare l’opposizione in una circostanza del genere? Denunciare che va tutto male rischiando di apparire come coloro i quali, per convenienza politica, sperano che i vaccini non arrivino ai cittadini, e quindi rischiando di ottenere l’effetto opposto? O al contrario sarebbe più sensato sostenere la regione con spirito istituzionale, rischiando di co-intestarsi un eventuale fallimento? O addirittura converrebbe tacere?

Anche in questo caso, probabilmente, non esiste una risposta univoca: molto dipende dal livello di credibilità di chi governa e di chi è all’opposizione rispetto alla capacità di gestire quel tipo di processi. Se, per esempio, il capo dell’opposizione avesse maturato esperienze amministrative in contesti complessi e criticasse nel merito una campagna vaccinale, riuscirebbe a non essere percepito in malafede. In ogni caso – e questa è un’altra grande differenza rispetto al recente passato – la classica strategia di demonizzazione “a prescindere” di tutto ciò che fa il proprio avversario potrebbe non funzionare più.