A partire dagli anni 60’, quando gli Stati Uniti erano all’apice della propria potenza economica e militare, il consumo di proteine animali (in particolare di carne bovina) ha registrato un forte incremento, portando al moltiplicarsi degli allevamenti intensivi e alla riduzione di boschi e foreste, per far spazio alle colture foraggere.
Un nesso, quello fra carne e deforestazione, che se all’inizio è stato nascosto per “ingrassare” le tasche dei lobbisti della carne – come la JBS S.A o la Marfrig – è oggi invece noto a molti e desta sempre più preoccupazione.
Come riportato nel report scandalistico e provocatorio redatto da Greenpeace “Foreste al Macello”, in Amazzonia circa l’88% dei terreni disboscati sono stati adibiti a pascolo, andando in contro ad erosione e desertificazione permanente; un dramma accentuato dalla noncuranza di chi è al potere. La situazione, presto potrebbe portare alla perdita di oltre il 10% della biodiversità mondiale e del 20% dell’ossigeno attualmente prodotto.
E, nonostante ormai sia difficile immaginare un epilogo diverso, c’è ancora chi ha l’ambizione di ridurre l’impatto che l’allevamento ha sull’ambiente, non senza preliminari valutazioni economiche.
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Beyond Meat, la scommessa green dei grandi investitori
Stiamo parlando di
Ethan Brown che nel 2009, assieme ad
Evan Williams e
Biz Stone (due dei padri di Twitter), ha fondato in California la start-up
Beyond Meat, con l’intento di
proporre delle alternative vegetali alla carne, che fossero sostenibili e gustose, anche per gli onnivori.
E tra i primi a scommettere sul loro visionario progetto – alla base di quello che oggi viene considerato un vero e proprio
megatrend – è stato
Bill Gates, tanto che il magnate della Silicon Valley viene affettuosamente soprannominato
“Farmer Bill”, per i suoi recenti investimenti – oltre
700 milioni di dollari – in terreni agricoli ed attività legate al settore agroalimentare.
Ad affiancare Gates, anche l’attore
Leonardo di Caprio, noto per le sue battaglie a favore del sociale e dell’ambiente.
Déjà vu? Si. Entrambi, infatti, hanno acquistato anche alcune quote della concorrente diretta di Beyond Meat, ovvero
Impossible Foods, con l’obiettivo – neppure tanto nascosto – di avere un domani
il controllo del mercato plant-based e dar vita, quindi, ad un
monopolio privato.
Il mercato plant-based continua a crescere, anche in Europa
Quello della non-carne, infatti, è
un business in ascesa, uno dei pochi a non aver risentito della crisi economica (2008-2011). E
la corsa è solo agli inizi.
Basti pensare, ad esempio, che nel Maggio del 2020,
l’Europa ha stanziato 10 miliardi di euro per favorire lo sviluppo di fonti proteiche alternative alla carne, confermando ancora una volta la positività del trend.
Ma al di là delle interessanti prospettive di guadagno che ruotano attorno ai
plant-based foods, come sostiene l’ambientalista e imprenditore
Paul Hawken, fondatore del
Drawdown Project:
“se il 50% della popolazione globale adottasse una dieta ricca di vegetali, almeno al 75%, si potrebbero evitare dalle 65 alle 92 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, tra il 2020 e il 2050”.
E i consumatori, lentamente, stanno cominciando a diventare coscienti della necessità di contribuire a ridurre i
gas serra prodotti dall’uomo e attribuibili al sistema alimentare, anche a costo di modificare la propria dieta.
Beyond Meat conquista Wall Street: storia di un successo preannunciato
Ecco dunque che Brown, a suo tempo, è stato capace di
anticipare un trend e prevederne il futuro, tanto che oggi Beyond Meat, con un fatturato di quasi
300 milioni di dollari, rappresenta la
punta di diamante del settore plant-based nel mondo.
Da quando è stata quotata al
Nasdaq, il titolo continua a salire, lasciando intuire un interesse crescente verso questi “nuovi” generi alimentari, che va ben al di là della mera speculazione finanziaria.
Tuttavia, non è solo la bontà del momento ad aver decretato il successo dell’Azienda di Los Angeles ma anche la capacità di Brown e del suo team di sviluppare
prodotti del tutto simili alla vera carne,
capaci di “ingannare” tanto la vista quanto il gusto.
A differenza del burger di Impossible Foods – che contiene soia transgenica – quello di Beyond Meat utilizza le
proteine isolate del pisello giallo, unitamente ad altri derivati vegetali, come l’
olio di cocco e il
succo di barbabietola, che favoriscono lo sviluppo della classica “crosticina” in fase di cottura, nonché l’aspetto “sanguinante” al taglio.
Il profilo nutrizionale del Beyond Burger non convince, dubbi anche sulla sostenibilità
Dalla lettura dell’etichetta,
gli ingredienti che compongono il veg-burger di Beyond Meat sono 20, di cui
la maggior parte sono additivi, volti ad aumentarne la palatabilità – come la
glicerina vegetale, un sottoprodotto della filiera produttiva del sapone.
Dal punto di vista nutrizionale, dunque, non si può certo dire che il burger di Beyond Meat sia salutare; nonostante i singoli ingredienti non siano di per sé dannosi, messi insieme ne fanno
un alimento altamente raffinato e processato, ricco di sale, grassi idrogenati e addensanti che, nel lungo periodo, possono causare problemi gastrointestinali, soprattutto nei soggetti più sensibili.
E anche sull’impatto ambientale, ci sono non poche perplessità:
le materie prime che costituiscono il Beyond Burger, infatti, provengono da fornitori dislocati in tutto il mondo e, prima di raggiungere l’azienda ed essere trasformate, percorrono
migliaia di chilometri, via terra e via aria. E altrettanta strada devono fare i prodotti finiti, per raggiungere gli scaffali dei diversi supermercati oppure le celle frigo dei
fast-food (vedi
McDonald’s).
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Beyond Meat, bolla o grande opportunità di investimento?
Seppur la
carbon footprint non sia paragonabile a quella della filiera della carne, dunque, è comunque elevata ed è
un aspetto di cui dobbiamo tenere conto, anche semplicemente per azzardare delle previsioni sul futuro dei cibi
plant-based, così come li conosciamo oggi.
Probabilmente
Beyond Meat continuerà a crescere, almeno per i prossimi 10 anni, conquistando i sempre più numerosi
“neo-vegani” ma difficilmente riuscirà nell’intento di sostituire completamente la carne, con cui tra l’altro condivide – paradossalmente – una similarità per quanto riguarda le indicazioni di consumo:
il più sporadicamente possibile, se proprio non è possibile evitarla del tutto.
La “sostenibilità” in ambito alimentare, infatti, si può raggiungere solamente
sensibilizzando i consumatori all’acquisto di prodotti stagionali e locali, poco o per nulla processati, il cui impatto ambientale è realmente minimo.