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Il comparto del lusso: dalle riconversioni alla ripresa nelle vendite grazie alla Cina

  • Anche il comparto del lusso ha subito forti contraccolpi a causa della pandemia, con fatturati che sono calati fino al 30%.
  • La Cina, primo mercato di riferimento, però, è in piena fase revenge spending, con numeri che fanno ben sperare.
  • Big news: anche il lusso finalmente si apre al digitale puntando alle esperienze d’acquisto personalizzate.

 

Da questa pandemia stiamo uscendo cambiati e sicuramente non fa eccezione l’economia, con abitudini del consumatore mutate, aziende ancora non del tutto operative, nuove misure di “distanziamento sociale”.

Non è da meno il comparto del lusso, un mercato in cui la crisi è bivalente: brand e subappaltatori italiani in difficile ripartenza e il miglior e maggior cliente, la Cina, con forti conseguenze da totale lockdown.

Ma nulla è perduto! Le stime confermano un trend di crescita positivo, seppur meno del previsto e viene finalmente sdoganato lo shopping online per i beni di lusso.

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Dal calo di fatturato al digitale

Il mercato del lusso ha, negli ultimi anni, attirato milioni di investimento e il trend si conferma in questo periodo di neo post lockdown con previsioni di incremento fino al 70% di nuovi fondi che stanno guardando a questo comparto come la prossima mossa per il 2020.

Perché? I dati parlano chiaro: il settore prevede una crescita del 10% iniziata nel 2019 fino al 2025 con un +1,9% annui e, dopo questa pandemia, con ampia manovra di sviluppo in campi come digital, shop online e tech inesistente prima del febbraio 2020.

I settori che vedranno arrivare più capitali sono quelli del beauty come la cosmetica e i profumi, gli accessori moda e il lusso digitale e sono anche i settori che hanno tenuto di più durante il periodo COVID, mentre contraccolpo negativo per hôtellerie, auto ed orologi.

Se da una parte i nuovi investimenti nel settore non sembrano rallentare, dall’altra, inevitabilmente, i consumi e le produzioni hanno subito una brusca frenata, con un calo del 30%. Questo è dovuto soprattutto al fatto che la clientela del settore è rappresentata per il 35% dalla Cina, Paese primo ad entrare in lockdown con forti conseguenze sulla sua capacità di spesa e potere di acquisto.

In periodi come questi è fisiologico che le priorità di acquisto cambino, seppur possedere ed acquistare beni di lusso rappresenti anche l’appartenere ad uno status quo, è necessario procedere per priorità, le spese per nuovi beni impossibili però sembrano solo posticipate, niente cancellazione quindi soprattutto tra i giovani e la Gen Z, i maggiori acquirenti del mercato.

In Cina, infatti, sono le nuove generazioni e le zone emergenti ad essere affamate di beni nuovi grazie anche all’influenza dei social, un pubblico che in questo momento è pessimista per il peggioramento della loro condizione economica a causa del lock-down, ma che dichiara anche di voler tornare a comprare come prima appena tutto sarà finito.

Due cose il comparto dovrebbe imparare dopo questo trimestre: il lusso al giusto prezzo e che l’online non è il diavolo, ma un’opportunità.

Il lusso al giusto prezzo, infatti, ha dato un segnale al mercato importante sul fatto che potrebbe essere l’occasione per ampliare la clientela con una corretta segmentazione il settore potrebbe rispondere in maniera più solida ai contraccolpi di cali di fatturato.

L’online è un’opportunità soprattutto per chi non lo ha ancora esplorato e questa è un’inevitabile conseguenza che ci porteremo tutti dietro dopo questa pandemia, d’altronde se non si può stare “vicini” come prima è necessario trovare un altro modo, un’esperienza d’acquisto online personalizzata, store digitali con assistenti reali che guidino il cliente nel suo shopping o un processo d’acquisto online che si finalizzi nello store, ma il negozio fisico seppur di alto livello ormai non è più sufficiente.

Una cosa mi ha stupita, lo “store” in cui avvengono i maggiori acquisti del comparto sono gli aeroporti e con il turismo limitato è il punto vendita che ha in assoluto registrato numeri negativi ed è da sempre stata la fonte maggiore di guadagno per il settore.

La luce a fine tunnel c’è e si vede. Gli esperti dichiarano che tra il 2022 e il 2023 si ritornerà al livello di spesa pre Covid con la Cina sempre in testa nella ripresa, anche per il 2020 anno in cui sarà l’unica a chiudere in positivo.

Insomma, la situazione non è così nera come ci si aspetta, ma sicuramente sarà una nuova ripresa, diversa e che avrà cambiato anche un settore così tradizionale ad ancorato agli store fisici.

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Il Revenge Spending dalla Cina

Si sa, gli autoregali e la voglia di avere qualcosa di nuovo sono i migliori antidoti a malumore e depressione. Anche con l’apertura delle attività post Covid si conferma questo trend che ha un vero e proprio nome: Revenge Spending, la voglia di riscattarsi dopo un periodo di limitazioni attraverso lo shopping, insomma il classico shopping consolatorio.

Tra i settori più colpiti da questo shopping compulsivo ci sono ristoranti, viaggi, locali e, naturalmente, i negozi, brand del lusso compresi.

Non solo Cina, anche il mercato indiano è sotto la lente d’ingrandimento dei brand di lusso che si aspettano da questo altro Paese emergente una crescita di volume d’affari tra il 10 e il 15 percento, ma non solo nell’ambito “grandi marchi internazionali” che sicuramente traineranno il comparto, ma anche dai luxury brand indigeni come abbigliamento e accessori sotto il marchio Indian Apparel, ma anche servizi, turismo, auto e beni immobili con un settore che vale circa il 30% del mercato totale.

Il mercato asiatico, ma più in generale il mercato dei beni di lusso, oltre a registrare le sue maggiori vendite nel contesto turistico ed aeroportuale, rappresenta per l’acquirente l’occasione di essere arrivato, di ostentare, anche, il suo potere di acquisto e di sentirsi parte di un’élite.

Se in India la fetta più ampia di clientela è rappresentata dagli uomini di affari e dalle loro famiglie, per il popolo cinese è la Generazione Z, oltre ai Millennials, quella che guida la classifica con previsioni di spesa che si aggirano sui 43 miliardi di dollari entro il 2024.

Per questo segmento, infatti, non è più l’ostentazione la motivazione d’acquisto, ma il “social capital” sentirsi, cioè, parte di un gruppo. Vedetela come: per noi in adolescenza se non avevi il motorino non eri nessuno, ora gli adolescenti nel 2020 se non hanno l’ultimo paio di scarpe droppato da Nike o un bell’orologio importante si sentono ai margini del loro gruppo.

Sicuramente il periodo che stiamo attraversando ha significato un parziale cambio di rotta e di regole per i player del settore che, pur di non perdere il loro mercato principale, hanno abbassato prezzi e tassazione puntando sul comparto digitale, pensate che Burberry, Guerlain o La Mer hanno deciso di aprire un loro store su Alibaba.

Queste scelte strategiche, fatte anche di acquisti di prossimità, hanno portato fin dal mese di aprile ad una ripresa, per marchi come Louis Vitton, Dior ed Hermès i dati parlano già di +50%.

Oltre a ciò un trend importante viene avanti: la valorizzazione di marchi cinesi coppia della volontà di ridurre, soprattutto dopo questa pandemia, la dipendenza del Paese dal mercato estero che per i brand stranieri, anche quelli più conosciuti vuol dire prendere in considerazione una distribuzione diretta in Cina o ad installare parte della produzione direttamente sul territorio asiatico.

Dopo questo Covid si parlerà, insomma, di Km0, o quasi, anche per lo shopping di alto livello.

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Una promettente ripartenza dei più grandi marchi del comparto del lusso

I veri imprenditori non rimangono mai con le mani in mano e ce lo hanno dimostrato anche e soprattutto i grandi nomi della moda e del lusso durante questa emergenza, c’è chi ha convertito la propria produzione per offrire un prodotto utile alla comunità e c’è chi ha voluto fare donazioni alle strutture sanitarie. Insomma tutti hanno voluto dare una mano.

Per citare alcuni degli esempi più chiacchierati: Dior e Armani hanno convertito le loro produzioni tessili, la prima per mascherine produttive e la seconda per camici monouso; lo stesso gruppo Armani e l’omonima squadra di basket hanno voluto donare dei capitali alle terapie intensive milanesi e lombarde; lo stesso ha fatto il gruppo OTB devolvendo in beneficenza il 10% del ricavato di ogni vendita, Valentino, Geox e Diadora anche loro protagonisti di cospicue ed utili donazioni; Gucci e Prada forzando la loro produzione alla realizzazione di mascherine e camici monouso; LVMH, invece è passata dai profumi al gel disinfettante distribuito in modo gratuito agli ospedali.

Ma se anche i big del Made in Italy e non solo hanno registrato cali di fatturato causati da pandemia e contrazione dei consumi, il settore più colpito sarà quello dei piccoli artigiani a cui i grandi brand subappaltano parte della produzione per garantire la qualità del fatto a mano.
Un esempio rilevante viene dalla produzione del cuoio, scorte accantonate su stime del periodo che però ora non possono essere lavorate per mancanza di richiesta. Quindi cosa fare? Comprare i piccoli produttori o lasciarli fallire?

Come già detto sopra i segnali positivi di ripresa ci sono, come le cifre record incassate da Hermès nella sola giornata dell’11 aprile: 2,5 milioni di euro registrati dalla boutique locale di Canton. E per l’occasione non volevamo lanciare la nuova Birkin tempestata di diamanti?

Sicuramente questi dati incoraggianti avvalorano di nuovo la tesi della Revenge Spending, i consumatori si sono stufati di spendere solo per le spese essenziali, c’è voglia di ritornare a concedersi qualche vizio in più.

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Dopo ogni momento di cambiamento è necessario capire quali sono le nuove strategie e i nuovi comportamenti da adottare per non farsi cogliere impreparati e rimanere il più possibile sul mercato.
Sicuramente dopo questa pandemia i brand, non solo del lusso, si sono resi conto di due leve ancora forse inesplorate: le vendite online e le vendite di prossimità.

  • La vendita online rappresentava prima del 2020, per alcune aziende, una strategia di mercato lontana o inesplorata, ma i lock-down ha portato i consumatori in modo più o meno consapevole ad accelerare le loro abitudini e il loro salto culturale verso il digitale, sia in termini lavorativi con lo smart-working, sia in termini di abitudini d’acquisto con la preponderanza dello shopping online.
  • In netta contrapposizione, le vendite di prossimità, che non significa solo lo store fisico dietro l’angolo, ma anche l’iniziare a pensare al proprio cliente come persona ricca di valori e necessità e non solo un numero da mettere a budget. Questo vuol dire che le comunicazioni e le strategie pubblicitarie devono iniziare ad apprendere un tone of voice più umano portavoce di valori aziendali veri e condivisi

Sicuramente i grandi brand del comparto del lusso stanno sperimentando queste due nuove leve, con l’apertura di esperienze di shopping online prima impensabili e con la creazione di store fisici o esperienze d’acquisto più personali e personalizzabili.

La luce in fondo al tunnel c’è, basta vederla.

instagram stories come usarle

Instagram Stories: perché non devono più mancare nella tua Social Media Strategy

  • Grazie alle Instagram Stories, raccontare i valori aziendali di un brand non è mai stato così immediato.
  • L’enorme vantaggio di utilizzare le Instagram Stories è nel disporre di uno spazio aggiuntivo all’interno della stessa piattaforma così da poter comunicare con i propri fan ed essere ben visibili nella barra di navigazione in alto con la propria foto profilo all’interno della home di ogni utente.

 

Correva l’anno 2016 quando Instagram introdusse la nuovissima funzionalità definita come Stories. Fino ad allora, la possibilità di postare dei video effimeri, visibili soltanto per 24 ore, era una prerogativa della sola piattaforma di Snapchat.

E come sottolinea un noto articolo pubblicato su SocialMediaExaminer, già nel 2017 si prospettava un sensibile miglioramento dell’esperienza dell’utente all’interno di Instagram, proprio grazie al loro utilizzo. La piattaforma fu premiata, e tanto, da parte degli utenti che la utilizzavano. A differenza di Snapchat, v’era sorprendentemente la meravigliosa possibilità di poter effettuare più azioni all’interno di un’unica piattaforma: Instagram, per l’appunto.

Una tendenza positiva che ha riscosso, fin dai suoi primi utilizzi, grande successo e risonanza. Conseguenza di questo trend positivo, anche l’aumento della quota di mercato di Instagram nei confronti di Snapchat. In quest’ultima, non viene semplificato la connessione con altri utenti. Su Instagram, invece, è possibile connettersi con amici e follower anche di Facebook: si può cercarli e decidere di seguirli.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

È apparso chiaro, da subito, come coloro che dapprima popolavano Snapchat si sono via via spostati inevitabilmente verso Instagram. E così, le incredibili novità introdotte dalle Instagram Stories hanno conquistato sempre più utenti.

A conferma di ciò, l’enorme fetta della Generazione Z ha visto un incredibile avvicinamento della piattaforma alle proprie esigenze. Ed a poco a poco, il loro utilizzo, si è fatto sempre più concreto e formidabile anche in ambito B2B. Ad oggi, infatti, rappresentano una vetrina attraverso cui comunicare i propri valori aziendali.

Ma c’è di più…

Le Instagram Stories incoraggiano gli utenti non solo a rimanere sulla piattaforma più a lungo, ma in particolare a farci ritorno molto più frequentemente: i dati registrano che gli utenti sotto i 25 anni trascorrono in totale più di 32 minuti al giorno su Instagram, mentre il restante, trascorre più di 24 minuti al giorno.

I numeri su cui riflettere

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Le 3 caratteristiche da tenere in considerazione

  • Spontaneità e velocità
    Le stories nascono per immortalare momenti di vita quotidiana (e non solo) in maniera rapida e divertente, tramite un formato verticale, proprio come normalmente teniamo in mano il nostro smartphone, con adesivi, effetti speciali, pennelli ed una vasta gamma di colori tra cui scegliere. Il mondo delle stories è naturale e meno artefatto dei contenuti che solitamente si possono pubblicare sui vari canali social media. È proprio questa l’aspettativa gli utenti hanno ogni volta che accedono alle Instagram Stories ed è proprio questa curiosità che la maggior parte dei brand cercano, ormai, di soddisfare.
  • Durata a scadenza
    Instagram, negli ultimi anni, ci hanno ricredere come i cosiddetti “contenuti effimeri” rispecchino un carattere speciale. Sono percepiti come più credibili ed autentici. È un qualcosa si può perdere e che non può più avere l’occasione di rivedere. Ecco come l’arma dell’ansia di perdere un’occasione di poter vedere qualcosa possa giocare sulla mente degli utenti, e quindi su quella dei potenziali consumatori.
  • Continua evoluzione
    Dal loro inserimento, Le Instagram Stories, la loro evoluzione non è mai cessata, anzi! Sono in continuo mutamento e vengono, ormai, rilasciate nuove funzionalità di continuo, o comunque ottimizzate le esistenti. Ciò consente alle stesse stories di essere dinamiche e mai noiose.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

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Perchè le IG Stories piacciono così tanto?

L’enorme vantaggio di utilizzare le Instagram Stories è nel disporre di uno spazio aggiuntivo all’interno della stessa piattaforma così da poter comunicare con i propri fan, ed inoltre, essere ben visibili nella barra di navigazione in alto con la propria foto profilo all’interno della home di ogni utente.

Per i digital marketers più esperti, ciò incrementerà, potenzialmente, alcuni parametri, vediamo quali:

Traffic Generation

Quando pubblicate le vostre stories incrementerete l’aumento dei contenuti social in target con le vostre esigenze. Sarete, quindi, più visibili certamente, supportati possibilmente da una buona costanza di pubblicazione per mantenere “vivo” l’interesse dei vostri utenti.

Brand Awareness

Le Instagram Stories assicurano, attualmente, se adotterete tutte le misure necessarie, un’ottima visibilità per il vostro brand: esse, infatti, rappresentano uno dei migliori strumenti per alimentare il cosiddetto Brand Storytelling.

Customer Loyalty

Le Instagram Stories valorizzano e stimolano in maniera immediata il legame tra utente e brand: non sfruttare appieno il loro potenziale rappresenta un errore, a volte imperdonabile, per tutti i social media marketers che non conoscono le funzionalità messe a disposizione dalla piattaforma. La narrazione del vostro brand, adesso, passa anche da QUI!

Social Engagement

Grazie all’utilizzo delle nuove features di Instagram, le Stories possono davvero esplodere di creatività e quindi essere apprezzate dalla vostra audience: perché non registrare eventuali dati in merito alle reazioni degli utenti e veicolarvici, al massimo, i valori del vostro brand?

Advertising&Promotions

Instagram dà la possibilità di sponsorizzare, o meglio, “mettere in evidenza” le Stories che pubblicate. Perché non riflettere sull’enorme potenziale che possono costituire le sponsorizzazioni tramite le vostre stories? Servitevi di uno dei numerosi tools presenti sul mercato e date sfogo alla vostra creatività! Gli utenti vi ringrazieranno di certo!

Brand Storytelling VS Instagram Stories

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

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Grazie alle Instagram Stories, raccontare i valori aziendali di un brand non è mai stato così immediato.

Non dimentichiamoci che Instagram è un social network caratterizzato dall’aspetto visivo.
Oggi, più che mai, il cosiddetto “Visual Storytelling” è uno degli elementi fondamentali per poter veicolare costantemente i propri valori aziendali. Ed è proprio grazie alle Instagram Stories che tutto ciò è reso più intuitivo ma soprattutto altamente condivisibile!

Va inoltre tenuto presente che le stories sono spesso più visualizzate rispetto alle foto del profilo stesso. C’è da aggiungere altro…?

Instagram descrive le Stories come qualcosa che permette di “condividere tutti i momenti della tua giornata, non solo quelli che vuoi tenere nel tuo profilo”. V’è anche la possibilità di condividere più foto e video contemporaneamente, comparendo in tal modo all’interno di un “formato slideshow”. Ricordatevi, comunque, che queste foto e/o video scompariranno dopo 24 ore.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

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11 hacks da tenere a mente

  1. Formato: considerate che le stories usano un formato verticale
    Ciò vi consente di caricare i contenuti in orizzontale, ma le foto perdono qualità e i video verranno capovolti.
  2. Integrate l’utilizzo delle Instagram Stories con altri elementi/contenuti
    Se
    avete intenzione di utilizzare testi brevi ed accattivanti, gli adesivi possono conferire un tocco più ricercato e divertente.
    Senza tralasciare l’eventuale utilizzo dei diversi filtri disponibili.
  3. Individuate la versione migliore di voi
    Capire quali sono i contenuti di tendenza apprezzati dai propri follower è il primo passo per tentare di innalzare il Social Engagement (coinvolgimento dei contenuti social) delle stories. Cercate anche di analizzare gli insight per poter capire cosa piace di più: vi consiglio di sperimentare ed insistere. Pubblicare contenuti differenti permette di capire cosa funziona e cosa va abbandonato o magari ottimizzato. Per trovare la versione migliore di voi stessi è necessario investire del tempo sperimentando nuove idee per catturare l’attenzione.
  4. Tag, hashtag e menzioni
    Se desiderate personalizzare ulteriormente le vostre stories, non esitate a posizionare l’adesivo di posizione da condividere con i followers per indicare dove vi trovate. Potete conferire maggiore visibilità usando l’hashtag o la relativa menzione. Pensate, se come succede per i post, se navigando nel feed, gli utenti trovano la vostra storia all’interno della sezione Esplora! Se la trovano interessante, potenzialmente potrebbero visitare il vostro profilo interagendo con altri contenuti pubblicati fino ad iniziare a seguirvi. Nelle Instagram Stories è possibile aggiungere fino a 10 hashtag: vi consiglio di utilizzarli tutti.
  5. Le GIF
    Rappresentano un elemento sempre più utilizzato e valorizzato nella stories, possono apportare maggiore creatività ed empatia grazie alle animazioni di cui la vostre storia necessita. Anche i brand, ormai, li usano in larga parte, non solo sono divertenti ma permettono anche di realizzare storie più vivaci e che arrivano dritte al cuore dell’utente finale.
  6. Utilizzo di sondaggi, domande ed emoji
    Questi tre elementi conferiscono alla storia maggiore interazione e permettono di sapere cosa pensano o vogliono sapere i vostri followers dal vostro brand. Perchè non utilizzarli subito?!
  7. SWIPE UP (scorrimento verso l’altro)
    Questa funzione è divenuta la più utilizzata sia da aziende che piccoli brand/attività: rispecchia un chiaro invito all’azione che può far guadagnare contatti, incrementare il traffico verso il vostro sito Web ed aumentare, potenzialmente, le vendite!
  8. Fate in modo che i vostri contenuti diventino virali.
    Per creare engagement e farvi notare da più utenti possibili, le stories devono rispecchiare un carattere ed identità unici. In poche parole, devono  spingere a chi le osserva ad interagire con noi, chiedendogli, perchè no, di esprimere un’opinione e convincerlo a condividere il contenuto proposto.
  9. Non dimenticate la reale forza degli UGC (User Generated Content)
    I cosiddetti User Generated Content rappresentano il reale passaparola, come nella vita di tutti i giorni: le persone sono maggiormente propense a fidarsi dei contenuti prodotti dalle persone, considerati più vicini ed autentici rispetto a quelli prodotti dalle aziende. Se siete stati menzionati in una storia o taggati nel feed, sappiate che l’algoritmo vi premierà senz’altro.
  10. Attenzione agli orari di pubblicazione
    Conoscere i giorni ed orari nei quali i nostri followers sono più attivi risulta molto utile per incrementare le visualizzazioni delle nostre Instagram Stories. Quando pensate di pubblicare, cercate di sfruttare gli orari con maggiore frequenza ed utilizzo dell’applicazione da parte degli utenti: permetterete ai vostri contenuti di essere visti da quante più persone possibili.
  11. Rispondere sempre alle domande che arrivano dagli utenti in DM
    I Direct Message rispecchiano la nuova frontiera della “vecchia” posta elettronica. Utili per raccogliere messaggi, menzioni, domande ma anche preziosi feedback da parte degli utenti. Se ricevete un messaggio in risposta ad una storia, cercate di rispondere sempre. Cercherete, così, di far capire che dietro all’account Instagram c’è realmente una persona. Umanizzerete, in tal senso, il vostro account… E quindi anche il vostro brand!

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Non rimane che creare il contenuto visual adatto, e perchè no, scegliere l’opportunità di creare un sondaggio…

Oppure ancora aggiungere l’adesivo ed iniziare a monitorare ciò che succede. Che tu sia una grande azienda o una piccola realtà, ti consiglio di non perdere altro tempo ed iniziare subito.

Trump trollato dal popolo di TikTok e dai fan del K-Pop

Circa 1 milione di persone erano attese per l’evento del presidente Donald Trump a Tusla. La risposta all’invito online aveva subito reso chiaro che l’arena per il comizio con una capacità di 19 mila persone non sarebbe bastata a contenere il pubblico.

E così in Oklahoma l’organizzazione della campagna Trump era corsa ai ripari attrezzando mega-schermi all’esterno del palazzetto e prevedendo tutto l’apparato di sicurezza necessario in caso di eventi così affollati.

Peccato però, che l’evento sia andato praticamente deserto rispetto alle attese.

Molti dei potenziali partecipanti, infatti, erano utenti dei social, soprattutto millennial, che si erano abilmente organizzati su TikTok per trollare il presidente.

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Com’è nata la challenge anti-Trump su TikTok

La settimana scorsa, Trump aveva twittato “Quasi un milione di persone hanno richiesto i biglietti per il Rally del sabato sera a Tulsa, Oklahoma” e un funzionario locale aveva dichiarato che erano attese 100.000 persone nell’area. Ma sabato, i partecipanti registrati non hanno riempito l’arena del Bank of Oklahoma Center di Tulsa, costringendo di fatto il team Trump ad abbandonare i piani di gloria.

Uno sforzo coordinato era in corso su TikTok: si invitavano le persone a registrarsi online per l’evento gratuito e poi a non presentarsi.

TikTok si stava trasformando in uno strumento di azione politica e di protesta.

Il responsabile della campagna Trump 2020, Brad Parscale, ha dichiarato alla CNN domenica: “I troll di sinistra e i troll online che fanno un giro di vittoria, pensando di aver in qualche modo influenzato la partecipazione ai rally, non sanno di cosa stanno parlando o come funzionano i nostri rally”. Aggiungendo poi che “iscriversi a un rally significa rispondere con un numero di cellulare. Abbiamo costantemente eliminato i numeri falsi, come abbiamo fatto con decine di migliaia di persone al rally di Tulsa, per calcolare il nostro possibile bacino di partecipanti. Queste richieste di biglietti fasulli non sono mai state prese in considerazione“.

A beffare la squadra di Trump è stata una signora, Mary Jo Laupp, che vive a Fort Dodge, Iowa, e ha un migliaio di follower su TikTok. La donna ha incoraggiato dal social media le persone ad andare sul sito web di Trump, registrarsi per partecipare all’evento e poi non partecipare.

Così accanto a balli, sfide comiche e scherzi, l’appello della signora è diventato una challenge a sè. Gli utenti hanno iniziato a pubblicare video che mostravano che anche loro si erano registrati all’evento. Post simili anche su Instagram e Twitter hanno registrato migliaia di “Mi piace”.

In particolare un video, con più di un quarto di milione di visualizzazioni, ha invitato i fan della musica pop sudcoreana ad unirsi alla campagna di trolling. I follower della musica, nota come K-pop, sono una forza sui social media – solo l’anno scorso hanno postato oltre 6 miliardi di tweet. E hanno una storia di azioni a favore della giustizia sociale. All’inizio di questo mese,si erano radunati anche intorno al movimento Black Lives Matter.

Così, alla fine  sabato sera, mentre le immagini mostravano l’arena semivuota, i giovani festeggiavano su TikTok e anche la rappresentante democratica Alexandria Ocasio-Cortez ha twittato sul tema taggando il responsabile della campagna di Trump.

Statue, Coronavirus e Black Lives Matter: come comunicano le piazze

  • Obbligatorie da indossare nelle aree pubbliche in base alle ultime direttive dell’OMS, le mascherine sono una necessità contro il Covid-19;
  • Anche le statue in giro per il mondo hanno dato l’esempio, in questi mesi lanciando il messaggio: “Hey, ti sei ricordato di indossare la mascherina?”;
  • Sempre le statue sono al centro di grandi polemiche in questi giorni in relazione alla protesta Black Lives Matter.

 

Anche loro con la mascherina, poi imbrattate, decapitate, al centro delle polemiche. Le statue, simbolo o fantaccio della storia e della memoria, sono tornate ad aver un ruolo importante nella società odierna.

Negli ultimi giorni è stato il movimento internazionale seguito alla morte di George Floyd a entrare “nella storia” con un messaggio forte: “liberarci da una concezione dell’eredità europea che ci rende arretrati e ci impedisce di comprendere il mondo”. E per farlo ha utilizzato i simboli tangibili della memoria collettiva, facendo cadere, nel vero senso della parola, le statue nelle piazze di tutto il mondo.

Poi ci sono le altre statue, quelle che negli ultimi mesi si sono vestite di mascherine, per comunicare un altro messaggio importante: la necessità delle misure di distanziamento e di prevenzione sanitaria.

Le proteste del Black Lives Matter

Da Colston a Churchill, dai generali sudisti a Indro Montanelli, le statue di tutto il mondo sono state oggetto della protesta.

La svolta simbolica delle contestazioni ha investito l’universo delle immagini, i monumenti celebrativi di personaggi storici razzisti, che in molte città statunitensi ed europee sono stati vandalizzati, abbattuti, o fatti oggetto di atti ufficiali di rimozione.

E anche la politica ha alla fine dato ragione alla protesta:

Con la decisione della speaker della Camera degli USA, Nancy Pelosi, di rimuovere tutte le statue dei confederati che si trovano a Capitol Hill, sede del Congresso, e quella della Marina americana di ammainare per sempre la bandiera di battaglia confederata in tutte le basi, navi, aerei e sottomarini.

Cosa faremo di questi spazi vuoti è la domanda successiva. Pensando a costruire un futuro più giusto per tutti.

Statua con mascherina

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L’arte in maschera

FFP2, FFP3, chirurgiche. Non si trovano. Servono. Non servono. Obbligatorie solo per i medici e gli operatori sanitari. Al costo di 0,50 cent. L’OMS, con le nuove linee guida, ha infine cambiato rotta: “obbligatorie da indossare nelle aree pubbliche”.

Un must have, non da intendersi nel senso fashion del termine, ma proprio alla lettera. Must have che farà parte sicuramente delle nostre mise durante la stagione primavera-estate 2020. Dopo si spera di farne a meno.

Non si tratta di borse, né di foulard o occhiali da sole, sebbene prima di uscire siano spesso dimenticate con la stessa frequenza. Ne abbiamo sentito parlare nei tg, nei salotti tv, sui giornali e c’è chi ancora ne discute l’effettiva utilità.

Sono state, a volte, protagoniste di sequestri, perché irregolari, prive delle caratteristiche dichiarate da produttori e venditori e oggetto di importazione con modalità non consentite. Sono loro: le mascherine.

Antipolvere, chirurgiche, facenti parte dei dispositivi di protezione individuale. E sono anche in tessuto, ultimamente colorate o con fantasie originali.

Ci sono tutorial per fabbricarle in casa, vedemecum ufficiali e non su quando e come indossarle.

Oggi sappiamo che vanno indossate, sono obbligatorie negli spazi confinati o all’aperto in cui non è possibile o non è garantito il distanziamento fisico. In alcune regioni l’obbligatorietà è stata estesa anche ad altri contesti. A spiegare come usarle in maniera dettagliata è l’Istituto Superiore di Sanità.

Must have considerato accessorio alla moda o colpevole di non consentire il libero respiro. In ogni caso, così come dichiarato dal New York Health Board durante la spagnola del 1918, vale la regola: “Meglio ridicoli, che morti”.

Che cosa centra l’arte in tutto ciò? Si sa, l’arte è l’espressione dei popoli e allora se siamo tutti con la mascherina anche l’arte va in maschera.

O forse no. L’arte va in maschera per dare l’esempio, per lanciare e confermare il messaggio già emanato dalle istituzioni competenti.

Sì, perché pare che non tutti abbiano ancora ben recepito le direttive. E allora? Ecco che anche alcuni modelli simbolo come le statue indossano la mascherina.

Identificative di alcune città, simbolo di libertà, rappresentanti di determinati valori e, perché no, anche di cultura e traduzioni, sono oggi con bocca e naso coperti.

arte va in maschera

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On Tour

Da Helsinki a Perugia, da Dresda a Santo Domingo, il coronavirus invita tutti a mettere le mascherine. A ricordarcelo in giro per il mondo le statue, che diventano parlanti per lanciare il messaggio: Hey, ti sei ricordato di indossare la mascherina?.

E allora, ecco che un gigantesco Buddha in Thailandia dà il buon esempio, coprendo il viso con una mascherina rossa.

arte va in maschera

In Brasile, il paese più colpito dell’America Latina, sul Cristo Redentore di Rio, invece, sono direttamente proiettati mascherina e hashtag #MascaraSalva (la mascherina salva).

A New York, The Fearless Girl non sembra meno fearless con naso e bocca coperti. Anche il monument simbolo di Bruxelles, il Manneken-Pis, non perde la sua irriverenza indossando la mascherina. E, ancora, la indossano Woody Allen a Oviedo; l’imperatrice Augusta nel complesso Rhineland-Palatinate a Koblenz, in Germania; la Lady con il cagnolino davanti al teatro internazionale Chekhov Sakhalin in Russia; a Seattle la indossa la statua The Electric Lady Studio Guitar di Daryl Smith; la indossano anche le otto statue dorate, rappresentati i diritti dell’uomo, che fiancheggiano Trocadero (Parigi); stessa mascherina per Freddie Mercury a Montreaux, in Svizzera.

L’iconica Marylin Monroe di Seward Johnson nel Maryland è sicuramente indimenticabile, con la classica gonna al vento e naso e bocca coperti.

Lo stesso vale per il toro di Arturo Di Modica nel distretto finanziario di New York.

Per le statue italiane, la indossano le sfingi della Fontana del Seguro di Piazza Mercato a Napoli; Mike Bongiorno a pochi passi dal Teatro Ariston ne indossa una con la scritta “Allegria! E il virus va via”. E la cosa non può far altro che strappare un sorriso; a Barletta, Eraclio, statua di quattro metri e mezzo ne ha indossata una per qualche ora, per essere poi rimossa.

arte va in maschera

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Be an art lover

Le mascherine sono diventate, dunque, un accessorio imprescindibile nella nostra quotidianità. In un primo momento si derideva bonariamente chiunque le indossasse in aeroporto o in viaggio nelle città turistiche, oggi se ne riconosce l’utilità.

E, allora, la prossima volta che vi sentite sciocchi o frustati per averla indossata in pubblico, chiudete gli occhi e immaginate di essere un’opera d’arte. Se proprio va male, sarete a fianco del Cristo Redentore di Rio.

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Week in Social: da WhatsApp Pay a Brand Connect di YouTube

L’universo social è inarrestabile. Anche questa settimana, ti proponiamo tutti gli aggiornamenti che non puoi assolutamente perdere. Sei pronto? Ecco le notizie principali.

Arriva WhatsApp Pay

È ufficiale! Facebook ha comunicato il lancio di WhatsApp Pay, il servizio per i pagamenti digitali che funziona attraverso la celebre app di messaggistica istantanea.

Una notizia già annunciata dallo stesso Zuckerberg lo scorso gennaio, durante la presentazione dei risultati finanziari aziendali.

Pochi giorni fa, il CEO di Facebook ha dedicato al lancio di WhatsApp Pay un post nel quale rivela “Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti via WhatsApp. Ne arriveranno presto altri!”.

E in attesa che questo servizio giunga anche in Italia, esploriamolo insieme più nel dettaglio.

Come funziona WhatsApp Pay

Dai primi indizi relativi al lancio del servizio in Brasile, si intuisce che WhatsApp Pay funziona sia come metodo di pagamento fra aziende e utenti (quindi, nell’ambito di una chat di un sito eCommerce che si affida a WhatsApp Business, adesso il compratore può pagare senza bisogno di uscire dall’applicazione), sia per le transazioni di denaro fra persone.

“Rendere semplici i pagamenti può aiutare a portare più aziende nell’economia digitale, aprendo nuove opportunità di crescita. Inoltre, stiamo rendendo l’invio di denaro ai propri cari facile come inviare un messaggio. Poiché i pagamenti su WhatsApp sono abilitati da Facebook Pay, in futuro vogliamo rendere possibile alle persone e alle aziende di utilizzare le stesse informazioni di pagamento in tutta la suite di applicazioni Facebook”, spiega il blog ufficiale di WhatsApp.

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Non mancano gli accorgimenti per la sicurezza: “Abbiamo costruito questo servizio di pagamento pensando alla sicurezza, – dichiara Facebookper evitare transazioni non autorizzate, sarà necessario uno speciale PIN a sei cifre o l’impronta digitale (o il riconoscimento del volto, per alcuni smartphone ndr)”.

Al momento, in Brasile WhatsApp Pay supporta le carte di debito e di credito del Banco do Brasil, Nubank e Sicredi sulle reti Visa e Mastercard.

Facebook lancia il Centro Informazioni per il Voto

In vista delle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Facebook lancia un Centro Informazioni per il Voto.

Stando a una dichiarazione rilasciata da Zuckerberg a USA Today, il Centro per le Informazioni di Voto svolgerà un ruolo chiave per incentivare la partecipazione alle urne.

Stiamo creando un nuovo Centro Informazioni per il Voto con informazioni autorevoli, tra cui come e quando votare, nonché i dettagli sulla registrazione degli elettori, sulle votazioni per posta e le informazioni sulle votazioni anticipate […] Questa novità comparirà nella parte superiore del feed di Facebook e su Instagram per assicurarci che tutti possano vederlo.

Facebook pubblicherà anche un promemoria per il giorno delle elezioni – feature dimostratasi particolarmente efficace nel favorire la partecipazione degli elettori in passato.

Inoltre, la piattaforma  ha reso nota l’imminente release di una nuova opzione per bloccare le inserzioni politiche.

“Gli utenti saranno in grado di disattivare gli annunci a tema politico, elettorale sociali provenienti da candidati politici e altre organizzazioni che hanno il disclaimer politico ‘pagato per’ [….] questa funzione sarà disponibile per tutti gli user statunitensi nelle prossime settimane”.

Facebook sta lanciando l’opzione negli Stati Uniti, ma prevede di estenderla anche ad altri Paesi, in futuro.

In pratica, quando vedremo un annuncio politico nel nostro feed, dovrebbe comparire un’opzione nel menu a discesa dell’ad per disattivare tutte le future inserzioni analoghe.

LEGGI ANCHE: 11 cose da fare sui Social Media per stare al passo con i tempi

Youtube aggiorna il suo Marketplace per l’Influencer Marketing

La crescita dell’influencer marketing, soprattutto per le piattaforme video, ha spinto YouTube ad aggiornare il suo marketplace dedicato. Ecco che FameBit diventa BrandConnect.

Finora FameBit ha agevolato la connessione tra i brand e gli influencer selezionati da YouTube attraverso il processo di pubblicazione delle campagne di seguito illustrato:

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Come spiegato da Youtube, BrandConnect mira a “rendere più semplice per i creatori e i marchi la creazione di branded content autentici ed efficaci […]  Per i creatori di contenuti, abbiamo sviluppato strumenti per agevolarli a trovare un match con possibili brand partner […] Per i brand, abbiamo aggiunto nuovi indicatori come il Brand Interest, il Peso dell’Influencer, e le visualizzazioni organiche attraverso le conversazioni, tutti dati che forniscono misurazioni delle campagne in tempo reale, rendendo evidenti i loro risultati”.

La nuova piattaforma BrandConnect prenderà il posto di FameBit il 1  agosto. Gli influencer interessati a registrarsi per ricevere proposte dai brand devono avere almeno 25.000 iscritti.

L’era della paranoia, intervista a Gianluca Falanga del Museo della Stasi a Berlino

Al confine tra Gorizia e Nova Gorica il muro della Cortina di Ferro era riapparso in piazza della Transalpina.

Questa volta, a dividere Italia e Slovenia, c’era una squallida rete metallica, di quelle da cantiere, con appese le solite circolari. Un manifesto ingiallito sulla strada per Jesolo ricorda che nessuno è stato al concerto di James Blunt, il 27 marzo a Padova, e che dopo non ci sono stati altri concerti, né altri manifesti.

Eppure la gente corre verso il mare, in una realtà un po’ sospesa tra il trauma di ciò che è stato e i fantasmi di ciò che sarà.

Foto: David Mazzerelli

Dicono tutti che che dovremo scordarci la vita di prima. Un cartello alla porta di un hotel sul lungomare dice: “Alla prossima stagione!”.  I media sono generosi di profezie sul futuro ma scarseggiano i commenti di chi si chiede come mai un virus proveniente dalla Cina abbia trasformato la nostra società in una puntata di Black Mirror.

Tempo di bilanci: quando è stato il momento esatto in cui abbiamo deciso che la sospensione delle libertà fondamentali fosse una cosa accettabile?

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Covid-1984

Ricordo un libro che avevo letto e un museo che avevo visitato, quattro anni fa. Il libro si chiama “Il Ministero della Paranoia” e il luogo è l’ex Ministero della Sicurezza di Stato, a Berlino. Cerco l’autore, Gianluca Falanga, classe 1977, a Berlino da vent’anni.

Lo trovo, non senza qualche difficoltà (come giusto che sia, dato il suo lavoro, penso tra me e me). Oltre che uno storico, Gianluca è anche è il responsabile dei programmi culturali al museo della Stasi a Berlino Est, all’ex penitenziario della Stasi di Hohenschönhausen e al Memoriale di Lindenstraße a Potsdam.

Fissiamo di sentirci al telefono, mi chiede di anticipargli di cosa parleremo: gli mando due cose su WhatsApp, la prima è un graffito sui muri di Mestre, in cui un geniale writer ha scritto “Covid-1984”. Il secondo è un articolo di Repubblica: “4 italiani su 10 reputano giusta la sospensione della democrazia”.

Gianluca Falanga

Entrambi hanno percepito un’anomalia nel sistema: sia chi ha preso spray e bomboletta sia chi ha risposto al sondaggio. Come mai le conclusioni sono così differenti?

«Il romanzo di Orwell racconta un futuro distopico – sottolinea Gianluca – chi ha fatto quella scritta credo si riferisse all’atmosfera del sospetto da Guerra Fredda, paragonata all’attuale situazione sociale».

Abbiamo trovato la prima analogia tra il mondo della Stasi e il nostro tempo post-Covid? «Il senso del sospetto è sicuramente un elemento inquietante che hanno in comune queste due realtà», conferma Falanga.

Se prima purtroppo la diffidenza era per lo più concentrata verso chi era percepito “diverso” da noi, adesso la stessa diffidenza diventa onnicomprensiva. Non stiamo parlando solo del celebre elicottero di Barbara D’Urso in diretta TV, ma anche della spinta a denunciare il tuo vicino “irresponsabile” ovunque e comunque.

Chi “fa la spia” parte sempre da tre presupposti: che ci sia una convenienza nel farlo (la propria incolumità, in questo caso?), che la legge vigente sia giusta e che il pensarla diversamente sia un atto meritevole di sanzione economica e reprimenda sociale.

«La Stasi questo meccanismo lo conosceva, lo alimentava e ne faceva da regia, generando nelle persone il sospetto e dando loro gli strumenti per alimentarlo. Nei nostri tempi caotici il sospetto è mosso dalla paura: più grande è il caos, più grande è la paura».

Catastrofismo da TG

La narrazione mediatica di questi mesi è sicuramente una delle parti più complesse dell’intera questione. Quel è stato il motivo di questo martellante “mood catastrofistico”? Ragionare solo in termini di copie vendute, audience o click sembra riduttivo.

Il paragone con l’epoca della Stasi stavolta è facile: «Con mio grande stupore – sottolinea Falanga – i media hanno messo in scena un flusso informativo a senso unico con pochissime voci contrarie. È stato interessante anche notare la campagna violenta contro chi organizzava, o anche soltanto dichiarava di voler organizzare, manifestazioni di dissenso».

La comunicazione da “chiudete tutto o moriremo tutti” sembra in contrasto con quello che eravamo abituati a sentire: sacrosante apologie della democrazia, del dissenso e della libera manifestazione di pensiero. Ci avevano ripetuto fino alla nausea che eravamo vaccinati da 70 anni di democrazia, che non avremmo mai più permesso a uno Stato nazionale di violare la nostra libertà. E se anche qualcuno avesse soltanto osato proporlo ci sarebbe stata un’opinione pubblica che si sarebbe opposta in maniera netta.

Falanga è tranchant: «Non credo esistano vaccini per tutto questo. Molte generazioni non hanno mai respirato l’aria di regime, così come altrettanti giornalisti, ma hanno conosciuto timori e insicurezze, ed è proprio nell’insicurezza che germoglia il desiderio di decisioni e personalità forti. Questa narrazione mediatica è figlia della paura e dello smarrimento.  A confronto del 2020, il periodo della Guerra Fredda fu un periodo stabile, c’erano gli Euromissili, è vero, ma c’era anche l’ottimismo, che oggi manca».

Barattare la propria libertà

La Stasi deteneva molti tristi record, tra cui la densità di spie tra la popolazione: una ogni 59 cittadini. Una macchina del controllo che andò ben oltre la realizzazione del Grande Fratello orwelliano.

«Quel periodo storico è profondamente diverso dal nostro e le persone lo sono altrettanto, tuttavia mi ha sorpreso la disponibilità della maggioranza nell’accettare scelte così gravose e dirigistiche».

Dopo la pubblicazione del suo libro molte classi di studenti italiani sono andate a Berlino per conoscere la storia della polizia segreta della DDR. «Una persona che cresceva nel socialismo reale era indottrinata fin dalla nascita: veniva spogliata di ogni pensiero critico, cedeva completamente la propria responsabilità individuale allo Stato. E tutto questo era visto come la normalità».

«Quel cittadino aveva uno Stato che prendeva le decisioni al posto suo e pensava al posto suo. In cambio di una casa, di un lavoro, di un’automobile uguale per tutti. Il patto di quelle società oggi può sembrare inquietante ma era molto chiaro».

Stasimuseum

Sintetizzando: se non posso essere libero allora mi dai tutto quello che mi serve. «Già. Oggi invece i Governi hanno detto: chiudi il tuo negozio. E il negoziante si è chiesto: va bene, chiudo, ma in cambio di cosa?».

In cambio di una promessa di salute, lusinga molto più vaga rispetto alla sicurezza contro un nemico esterno, tangibile, visibile, definito. Per questo i paragoni semantici con la guerra sono stati inopportuni: nella crisi del virus cinese mancava sia l’epica che l’estetica di una contrapposizione armata. Dall’era della Guerra Fredda, in cui c’era una divisione manichea della realtà (bene VS male), siamo passati a un improvviso e diffuso senso del sospetto.

«La rinuncia alla libertà ha un prezzo molto alto, questo nella Germania Est lo avevano capito bene ma nella nostra società attuale una base sempre più larga di persone sceglie di abdicare alla comprensione dei fenomeni sociali.  Comprendere la realtà che ci circonda è uno sforzo che presuppone delle basi culturali, che non tutti hanno. È più semplice e rassicurante lasciare questo sforzo nelle mani del Governo, seguendone poi le direttive, giuste o sbagliate che siano».

L’algoritmo dei social che crea intorno a ogni bacheca un piccolo mondo è la nostra comfort zone, anche per chi vuole crearsi la propria, personale, verità. «Una verità che spesso è soltanto credulità – aggiunge Gianluca – il lavoro dell’algoritmo, nella Germania socialista, lo faceva il Governo».

Hong Kong come nuova Berlino?

Hong Kong sembra essere l’epicentro di una nuova Guerra Fredda, il movimento che lotta per la libertà e l’autonomia si richiama ai valori occidentali, l’eredità più importante lasciata della Gran Bretagna.

Falanga: «Non vedo la presenza degli americani, non vedo una chiara posizione dell’Occidente a supporto della causa della libertà. C’è Pechino, è vero. Ma la domanda da porsi è: chi vede la Cina come una minaccia? Certamente non l’Europa. Il regime comunista cinese è attivo in maniera espansiva fuori dai propri confini, la politica URSS era invece basata su un filone ideologico».

Insomma, ai cinesi interessano gli affari, non le conversioni.

La ribellione da aperitivo

Il sole e il mare fanno sembrare questa mattina di giugno una normale estate, sono ancora al telefono con Gianluca, gli racconto che i primi a uscire in palese “violazione delle distanze di sicurezza” sono stati i più giovani, stanchi di settimane di lockdown e desiderosi di riprendere in mano la propria vita sociale. Il mio pensiero va a tanti ragazzi dell’Est che negli anni ’80, pur di ascoltare i gruppi rock occidentali, incidevano i dischi proibiti nelle lastre delle radiografie. La musica e la voglia di divertirsi fecero cadere il muro più velocemente. Il mio paragone è appena sussurrato ma Falanga lo coglie. «Ecco un’altra analogia, e non è una questione frivola. Dopo due decenni (’60 e ’70) di “pace militarizzata” negli ’80 i movimenti di opposizione al Governo divennero consistenti. Nell’allora DDR le prime ansie di emancipazione arrivavano appunto dai giovani».

«In Germania all’inizio della quarantena, come risposta alle restrizioni, sono stati organizzati dei grandi party, ovviamente sanzionati dalla polizia. Questa attitudine a non accettare limitazioni delle proprie libertà individuali è positiva e indica una certa vitalità in parte della popolazione, oggi come allora».

Ma cosa rimane di tutto questo?

«Il problema dei più giovani è quello di esprimere questa vitalità in maniera consapevole. C’è l’ansia di ritrovarsi, c’è la spensieratezza, ma poi, cosa rimane una volta tornati a casa? Chi adesso ha 20 o 25 anni mi fa sperare, perché forse sono i primi a capire che, se è vero che non abbiamo una dittatura in Europa, è anche vero che siamo controllati, e che tutta questa arrendevolezza al potere nasce da un senso di impotenza».

Questi mesi ci hanno insegnato che la libertà non è ancora un valore acquisito. «La democrazia e sempre quella ma siamo cambiati noi ed è cambiato il mondo. Dobbiamo imparare a cercarci da soli le risposte – conclude Gianluca – al tempo della Stasi reperire informazioni da diverse fonti e farsi una propria idea sul mondo era un’operazione che metteva a rischio la propria vita, adesso basta uno smartphone. I giovani, tra uno Spritz e l’altro, dovrebbero capirlo e fare sentire la propria voce».

Brand Activism

5 esempi di Brand Activism da cui trarre ispirazione

C’è chi, come Oberalp, trasforma i materiali di scarto delle tute da sci in cinture e accessori. Chi, come Loop, realizza packaging riutilizzabili. E chi, come Flowe, si serve di gaming ed educazione finanziaria per spingere le persone ad acquisti più consapevoli e per riforestare il Pianeta.

Esperienze diverse tutte accomunate da una parola: brand activism, ovvero la ricerca di uno scopo, di un impatto positivo sugli altri e sull’ambiente, che superi la mera logica del guadagno.

L’espressione è immortalata in un libro, considerato uno dei testi più importanti sulla materia, “Brand Activism. From purpose to action”, scritto da due guru del marketing come Philip Kotler e Christian Sarkar, per i quali il brand activism è la responsabilità che l’azienda si assume in ambito sociale, con una serie di iniziative volte al raggiungimento di un bene comune.

Dalla teoria alla pratica: abbiamo raccolto cinque esempi di “brand activism” nel mondo, dall’Italia, agli Stati Uniti, fino all’Australia. Li raccontiamo in questo articolo.

brand activism

1. Oberalp lotta contro i perfluorocarburi

Gruppo storico di Bolzano, nato nel 1846 e specializzato nei prodotti di abbigliamento e attrezzature per sport alpini, da circa un decennio ha deciso di puntare fortemente sulla sostenibilità ambientale. Per farlo ha creato un gruppo di lavoro interno dedicato proprio alla Corporate Social Responsibility, che sta lavorando su più fronti.

La riduzione dei perfluorocarburi (si tratta di composti sintetici molto impiegati nell’abbigliamento sportivo) con un impatto dannoso sull’ambiente: l’azienda ha, per esempio, deciso di non utilizzare fluorocarburi nel 65% della sua produzione. Inoltre, ha puntato sul riutilizzo, trasformando i materiali di scarto delle divise di sci in cinture e altri accessori, e sul riciclo di vecchi appendiabiti, che diventano oggetti di design grazie alla collaborazione con l’Università di Bologna.

2. Burwood Brickworks e i carrelli di bottiglie riciclate

Nato a Melbourne, in Australia, il Burwood Birckworks è il centro commerciale più sostenibile del Pianeta, secondo una classifica di Living Future Institute.

A partire dall’utilizzo dell’acqua, che viene riciclata nell’edificio per il sistema di raffreddamento o per l’irrigazione dell’orto sul tetto, aperto ai visitatori che possono coltivare liberamente verdure e mangiarle. L’elettricità necessaria arriva da pannelli solari e da centri di energia pulita, situati nei pressi della struttura. Nel parcheggio esterno sono installate stazioni di ricarica per auto elettriche. Oltre a soluzioni davvero originali: come il carrello della spesa fatto di bottiglie di latte riciclate.

3. Flowe e la better being economy

Apri un conto via app in otto minuti, ottieni una carta in legno certificato e pianti un albero nella regione del Pèten in Guatemala. Questo e tanto altro è Flowe, la startup guidata da Ivan Mazzoleni, che opera all’interno di Banca Mediolanum, il gruppo guidato da Massimo Doris.

L’app fintech, pensata per attrarre i giovanissimi, ambisce a creare un nuovo mercato unendo finanza, educazione, sostenibilità e gaming. Grazie a partnership con altre startup, consente di tracciare l’impatto economico generato dai propri consumi, contribuire alla riforestazione del Pianeta, finanziare progetti idrici in villaggi bisognosi.

“Abbiamo creato un ecosistema, una better being economy, dove l’individuo impara ad avere uno stile di vita più sostenibile, a vivere in armonia con gli altri e con la natura. Il nome stesso del brand e il pittogramma riconducono gli esseri umani a una goccia d’acqua, unica ma parte di un flusso”, spiega Mazzoleni nel giorno della presentazione della startup al Campus Mediolanum, alla presenza del già citato Doris, e di Oscar di Montigny, Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum.

Di Montigny evidenzia nel suo intervento come “Flowe non vuole essere un’azienda, ma una piattaforma, un ecosistema, che aiuta i suoi utenti ad avere consapevolezza dell’impatto dei loro comportamenti sugli altri e sull’ambiente. E sulla base di questa consapevolezza possono migliorarsi continuamente”.

Per coinvolgere un pubblico di giovanissimi, Flowe ha attinto dal linguaggio del gaming. Gli utenti, sulla base di alcune azioni virtuose, ottengono delle gemme, cioè dei punti premio, che possono poi convertire per comprare gift card su Amazon, Decathlon, Media World.

“Rispetto ai competitor abbiamo costruito una dimensione comunitaria, un senso di appartenenza forte che va ben oltre il mondo finanziario. Oggi abbiamo già 15mila utenti sulla piattaforma”, conclude Massimo Doris.

4. Loop e il ritorno del fattorino del latte

“Abbiamo chiesto alle aziende di considerare il packaging come un asset e non come un costo”, spiega a Fast Company, Tom Szaky, imprenditore del New Jersey, fondatore di Loop, specializzata nell’ideazione di packaging riutilizzabili.

Il concetto è un po’ simile a quello del “fattorino del latte” che portava la bevanda in bottiglie di vetro riciclabili direttamente dietro la porta di casa. Il cliente usa il prodotto in un packaging originale e alla fine, quando l’ha consumato, chiama Loop che va a ritirare gratuitamente la confezione, pronta per essere riutilizzata.

L’iniziativa ha già visto l’adesione di brand come Procter & Gamble, Unilever, Mars, Nestlé, PepsiCo e Coca-Cola, tra gli altri.

brand activism case study

5. Refurbed rigenera dispositivi elettronici

Innovazione e sviluppo tecnologico devono vivere in totale armonia con la natura. Questo è il credo di Kilian Kaminski, austriaco, ideatore di Refurbed, piattaforma che si occupa di rigenerare e rivendere dispositivi elettronici.

I vecchi telefoni sono riparati, testati, reimballati e rimessi in vendita. Ex Amazon, Kilian ha iniziato sviluppando un programma di vendita per prodotti rigenerati, internamente al gruppo di Jeff Bezos. Ma poi ha compreso che il colosso non aveva interesse a investire nel settore. Allora ha scelto di “mettersi in proprio”.

I numeri gli hanno dato ragione: in tre anni, l’azienda ha superato i 100 mila clienti.

Non solo eCommerce, il Gruppo Campari compra Champagne Lallier per 21,8 milioni

  • L’operazione, volta ad ampliare la gamma dei prodotti “premium” nel canale dei punti vendita rafforza la presenza di Campari in terra di Francia.
  • L’investimento sembra piacere anche agli azionisti che, attraverso una frenetica attività di compravendita, hanno portato ad un aumento del titolo in Borsa, tutt’ora in crescita ( + 1,80 % rispetto al mese scorso).
  • L’acquisizione di questo “gioiello” enologico, è il terzo colpo messo a segno dal Gruppo Campari nel primo trimestre 2020, oltre a quello della startup italiana Tannico.

Lo scorso 17 aprile Campari aveva avviato una trattativa con la francese SARL FICOMA, holding familiare di Francis Tribaut, per l’acquisizione di una partecipazione dell’80% e, nel medio termine, della totalità del capitale azionario di SARL Champagne Lallier.

L’accordo è stato siglato il 5 maggio, con un esborso di 21,8 milioni di euro da parte della società milanese.

champagne

Campari conquista la Francia e il titolo vola in Borsa

L’operazione, volta ad ampliare la gamma dei prodotti “premium” nel canale dei punti vendita on-premise (ritenuto strategico per le attività di brand building), rafforza la presenza di Campari in terra di Francia, dov’è da poco presente con una propria struttura commerciale.

E l’investimento sembra piacere anche agli azionisti che, attraverso una frenetica attività di compravendita, hanno portato ad un aumento del titolo in Borsa, tutt’ora in crescita.

champagne lallier campari

Lallier, un brand storico

A rendere così appetibile il brand Lallier, oltre che la buona reputazione, è anche la sua grande storicità. La Maison infatti, nasce nel 1906 ad Aÿ, per volere di René Lallier e sua moglie, figlia di importanti vigneron francesi. Sono gli anni dell’ascesa per questo straordinario terroir, riconosciuto e classificato nel 1936 come Village “Gran Cru” in Champagne.

Passa il tempo, ed è il turno di René james Lallier – nipote del fondatore – che, deciso a rivoluzionare l’intera linea di produzione, modernizza gli impianti e le cantine, ormai vetuste.

Anziano, René James Lallier, cede l’attività al suo enologo di fiducia, l’allora giovane Francis Tribaut, che ancora oggi riveste il ruolo di managing director all’interno della società, e continua a dispensare preziosi consigli, forte di una solida esperienza, tra etichette classiche ed esclusive, di cui l’ “Ouvrage” rappresenta la punta di diamante.

Lo Champagne Lallier conserva il proprio posto nell’Olimpo delle bollicine, con una produzione che non supera le 400.000 bottiglie, fedele al celebre motto “less is more”, per un fatturato attorno ai 20 milioni di euro.

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borsa campari

La terza mossa di Campari

L’acquisizione di questo “gioiello” enologico, è il terzo colpo messo a segno dal Gruppo Campari, prima di quella di Tannico, nel primo trimestre 2020, assieme all’acquisto del distributore francese  Baron Philippe de Rothschild France Distribution (Rfd) (per 54,6 milioni di euro) e alla joint-venture con la Ct Spirits Japan.

La scelta di uno Champagne, può sembrare lontana dalla logica Campari, focalizzata soprattutto sui superalcolici – che garantiscono un ritorno di gran lunga superiore a quello del vino -, ma in realtà è motivata da ben due elementi: in primo luogo dalla volontà di aumentare la propria quota di mercato in Francia e, in secondo luogo dal fatto che lo Champagne è considerato un prodotto di lusso, capace di fidelizzare il consumatore al marchio.

Il Gruppo Campari continua dunque, a passo veloce, la marcia conquistatrice in Europa, fagocitando icone alcoliche di forte appeal, che porteranno non solo ad una diversificazione dell’offerta, ma anche ad una maggiore copertura del mercato, e quindi ad un ruolo sempre più rilevante nel commercio mondiale degli spirits e non.

body shaming contro le donne forti

Body shaming e insulti contro le donne forti: come colpiscono i leoni da tastiera

  • La violenza verbale sui social si accanisce sulle donne che non fanno scelte dettate dalla società.
  • Rakete, Botteri, Romano sono solo alcune vittime del bullismo verbale.
  • Il manifesto della comunicazione non ostile contro la violenza delle parole.

 

Il body shaming spesso si presenta travestito da battuta. L’aspetto fisico è ancora oggi un metro di misura diffuso per giudicare se stessi e gli altri. Purtroppo al giorno d’oggi vige la convinzione che magrezza e bellezza sono requisiti fondamentali per avere successo. Il bullismo verbale crea vergogna in coloro che lo subiscono, che a sua volta può scatenare depressione e comportamenti compulsivi.

I commenti sulle donne professioniste spesso vertono sull’apparenza e raramente sui contenuti. Apprezzamenti, battute o insulti, poco importa: il corpo fa discutere più dell’intelletto.

In società maschiliste e populiste emerge una diffusa difficoltà nel ritenere il sesso femminile capace di svolgere determinati incarichi o di occupare posizioni di potere. Abituati a veline, vallette, schedine, Miss Italia ecc., il corpo della donna si riduce ad oggetto di facile giudizio agli sguardi pubblici. La tv diventa veicolo di stereotipi di genere ed alimenta luoghi comuni. Succede dunque che grazie a questo mondo non rappresentativo della società si diffondono rigidi canoni di bellezza. I leoni da tastiera criticano a prescindere:

“In Italia le donne vengono criticate qualunque cosa facciano. Se sei intellettuale, ti criticano perché sei una maestrina. Se ti occupi di moda ti criticano perché sei troppo superficiale, se sei brutta ti criticano perché sei brutta e se sei bella ti criticano perché sei troppo bella”

  • Maura Gancitano su L’Inkiesta

 

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La paura delle donne indipendenti

Spesso dietro l’odio si nasconde la paura di ciò che è ignoto, perché in fondo la figura della donna forte e libera non è ancora radicata nella nostra società. Se guardiamo indietro non sono pochi gli esempi di body shaming avvenuti negli ultimi mesi:
Carola Rakete si è fatta carico della vita di molte persone. Cercando un porto sicuro nelle acque italiane, ha finito poi per essere insultata per i suoi capelli, le ascelle non depilate e il reggiseno non indossato sotto la maglietta.

Poi c’è Silvia Romano: partita per il Kenya ad aiutare il prossimo, sequestrata per 18 mesi, dopo la liberazione si è ritrovata a sua volta messa alla gogna dal terrorismo mediatico. Lì dove dovrebbe sentirsi libera non lo è. Imprigionata dall’odio trasmesso da una fetta d’Italia che non ha saputo accoglierla, accusandola tra l’altro di indossare un velo ed essersi convertita all’Islam.

O ancora la giornalista Giovanna Botteri: poco importano gli innumerevoli riconoscimenti ed i 25 anni di lavoro in zone di guerra, il suo look rimane tema di numerosi commenti sui social. In una recente intervista sulle pagine del Corriere della Sera, la giornalista afferma:

“In generale il problema è quando si confondono i piani, quando la tua immagine diventa notizia. Noi raccontiamo, non siamo quelli che devono essere raccontati: se la donna da soggetto diventa oggetto del racconto c’è qualcosa di sbagliato. I problemi sono sempre legati all’immagine: la giornalista che fa tv non dovrebbe mai rispondere a una serie di canoni legati al suo essere donna piuttosto che giornalista”

 

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Rakete, Romano e Botteri sono solo alcuni esempi dove l’intelletto e l’esperienza sono passati in secondo piano a favore del body shaming. Armandosi di superficialità, c’è chi non è riuscito e non riesce a guardare oltre. Anche nelle realtà più piccole, al di fuori dei grandi riflettori, non mancano episodi di bullismo verbale. Recentemente, in provincia di Bolzano, la capogruppo dei Verdi, Brigitte Foppa, è stata presa di mira da una lettera anonima che insultava lei ed i suoi capelli (!). Nell’intervista con il quotidiano Alto Adige afferma:

“Sono anni che sento parlare dei miei capelli, troppo lunghi, troppo ricci, brizzolati o colorati. Il punto è che disturbiamo.”

Contrastare il body shaming: il manifesto della comunicazione non ostile

Le parole hanno un peso e lo dimostra anche Parole O_Stili, un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole. Il loro manifesto è composto da dieci principi di stile a cui ispirarsi per scegliere parole giuste, per non dare etichette, isolare o ferire.

Manifesto di Parole O_Stili contro la violenza verbale

Il manifesto di Parole O_Stili contro la violenza verbale

Educazione e prevenzione costruiscono le basi per combattere le discriminazioni, il body shaming e la grassofobia. Sul sito di Paroleostili sono disponibili vari materiali didattici e informazioni per approfondire il tema. Le parole pungono, gli insulti feriscono. Scegliamo con cura le parole che diciamo (e non diciamo)!

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Nasce #ImparaConTikTok, il programma che unisce apprendimento e divertimento

  • Su TikTok è in arrivo un programma a lungo termine che riunisce esperti, associazioni, educatori, creator con abilità e competenze differenti per creare un ecosistema di contenuti di taglio educativo.
  • Dallo sport alla cucina, dall’arte al lifestyle, dai tutorial ai life hack, i contenuti didattici hanno già totalizzato oltre 225 milioni di visualizzazioni solo in Italia.
  • Gallerie degli Uffizi, Unione Nazionale Consumatori, i celebri chef Bruno Barbieri e Damiano Carrara, l’associazione no-profit Diversity tra i primi partner.

La piattaforma per video brevi da dispositivi mobili si evolve, andando ad ampliare e diversificare i suoi contenuti con video di taglio educativo e didattico, che si  affiancano a quelli di intrattenimento.

La costante condivisione e infusione di conoscenze ha visto un considerevole aumento in piattaforma, specialmente nell’ultimo periodo, conseguenza della naturale evoluzione di TikTok che ha rivelato la sua potenzialità, diventando una sorta di enciclopedia virtuale da tenere comodamente nel palmo della mano, rendendo l’apprendimento accessibile e sfruttando al contempo l’incredibile creatività dei suoi utenti.

Nasce così il programma #ImparaConTikTok, volto a divulgare i video didattici, dalla letteratura allo sport, dalla musica al lifestyle, dalla cucina ai viaggi, fino alle questioni sociali. Sono, infatti, innumerevoli i contenuti condivisi dai creator che coprono una vasta gamma di categorie, tanto che il tag ufficiale conta già oltre 225 milioni di visualizzazioni e nell’ultimo periodo è tra i hashtag più popolari su TikTok.

Chi ha già aderito al programma di TikTok

Un cambio significativo di direzione per TikTok, come ha commentato anche Rich Waterworth, TikTok General Manager EU: “Fin dal suo lancio, nel 2018, TikTok è rapidamente diventata una destinazione di riferimento per l’intrattenimento in video pillole brevi. Ora, il nostro obiettivo è costruire su questa eredità, riunendo sulla stessa piattaforma divertimento e apprendimento, offrendo così alla nostra community un ecosistema ricco e diversificato di contenuti”.

In Italia, tra i primi ad aver accolto con entusiasmo l’iniziativa:

  • le Gallerie degli Uffizi di Firenze (@uffizigalleries), primo e unico museo italiano a partecipare alla Settimana dei Musei su TikTok con una diretta streaming, che avvicina all’arte con i suoi video ricchi d’inventiva e spiccato senso dell’umorismo anche le generazioni più giovani.
  • L’Unione Nazionale Consumatori (@massimilianodona) che proprio in questi giorni con #cucinasenzasprechi sta favorendo la conoscenza del tema dello spreco alimentare su TikTok.
  • L’associazione no-profit Diversity, presieduta da Francesca Vecchioni, che attraverso i video di TikTok promuoverà la valenza positiva della diversità, una concezione del mondo che valorizzi appieno l’importanza delle differenze e della molteplicità, patrimonio prezioso per tutti e tutte.

Si aggiungono anche alcune delle celeb più popolari su TikTok che già realizzano i contenuti didattici nel proprio stile personale ed inconfondibile, come gli chef Bruno Barbieri e Damiano Carrara.

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Tra i creator più amati e rappresentati di #ImparaConTikTok c’è Aurora Cavallo, meglio nota come @cooker.girl: soli 18 anni, ma una passione travolgente per il mondo della cucina condivisa in brevi pillole da 60 secondi che le hanno permesso di avere un seguito di oltre 150 mila follower in pochi mesi.

Marco Martinelli, @marcoilgiallino, scienziato e cantante, rende la scienza e la chimica semplice e accattivante, mostrando curiosità e semplici esperimenti da rifare a casa.

Sulla piattaforma trovano spazio anche contenuti volti all’insegnamento e alla scoperta delle lingue straniere: le porte della Cina e della cultura cinese si spalancano con i video di Liz (@lizsupermais), mentre sono Norma (@normasteaching) e The Cool Professor (@thecoolprofessor) a svelare i segreti dell’inglese.

Lucia Andreoli (@luciaandreoli), invece, trasforma stoffe e vecchi tessuti in splendidi abiti:così anche il cucito viene riscoperto diventando la più social e affascinante delle materie.

“Vorremmo che le persone arrivassero su TikTok non solo per il divertimento, ma per imparare qualcosa di nuovo, acquisire una nuova abilità o semplicemente essere ispirati a fare qualcosa di nuovo, che non avevano mai fatto prima”, aggiunge Rich Waterworth.