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  • Sul Coronavirus: riflessioni sulla libertà e sulla coercizione

    L'individuo o lo Stato? Dove sta la ragione in tempo di lockdown

    30 Marzo 2020

    • L’ammissione del nostro deficit informativo e la delega a terzi delle risposte è un processo normale in tempi ordinari;
    • Le situazioni emergenziali, invece, sono ottimi esempi per costringere le persone a fare quello che si vuole, senza lasciar loro il tempo di pensare a quello che stanno facendo;
    • Il prof. Carlo Lottieri, docente di Filosofia del Diritto all’Università di Verona e Filosofia delle Scienze Sociali a Lugano, ci offre qualche riflessione sulla libertà nell’emergenza Coronavirus.
      Una canzone di Brunori spalmata su una sequenza di Instagram Stories degli italiani dai balconi, eppure la conduttrice di SkyTG 24 mi aveva promesso che avrebbe aperto con una buona notizia. Cambio canale, su History trovo opportuna la réclame di un documentario sui gulag cinesi. “The Chinese virus”. La trovata comunicativa del presidente Trump sembra perfetta nella sua semplicità, tagliente ed esplosiva allo stesso tempo. Perché si ostina a chiamarlo virus cinese? Gli chiede una giornalista; perché viene dalla Cina risponde lui, passando alla prossima domanda. Un amico mi chiama da Milano, vittime in famiglia a causa del virus cinese. Scrollando Facebook vedo un meme che dà la nuova definizione del “butterfly effect”: un orientale che mangia un pipistrello e tu che ti trovi a cantare l’inno di Mameli in pigiama sul balcone.

    Da emergenza sanitaria a dittatura sanitaria?

    Immaginate di trovarvi in una situazione di confusione: avete appena tamponato la macchina di fronte a voi, tuttavia la precedenza non è chiara, l’altro guidatore scende e vi insulta, quel foglio della constatazione amichevole dove sarà finito chissà. Decidete di fare la foto alla targa col cellulare e di ripartire. Non vi siete presi la colpa, non avete agito d’impulso, non avete replicato agli insulti; adesso siete a casa e chiamate il vostro amico avvocato specializzato in sinistri. Quando non siete sicuri della scelta da fare di solito vi affidate a una persona di fiducia o a un professionista che ne sa più di voi e che può consigliarvi al meglio. L’ammissione del nostro deficit informativo e la delega a terzi delle risposte è stata finora una leva intelligente per fare rete (tra persone o imprese) e progredire. Adesso immaginate di trovarvi in una situazione totalmente nuova: non è la pandemia zombie che aspettavate, è una cosa molto più banale, ma tragica dal punto di vista del numero di lutti: una pandemia di polmonite. Non avete amici che possano consigliarvi, i virologi sono pochi e li vedete solo in TV, la politica dà retta agli “scienziati”, che ora sono gli ospiti fissi dei talk show. Optate per la via più semplice: mettere il cervello in “pilota automatico” e delegate il pensiero a chi esercita il potere.

    Per chi sei essenziale?

    Mentre scrivo cerco il codice ATECO della mia ditta, non so se potrò rimanere aperto. Ma cosa intendono per servizi essenziali? Il bar che mi permette di fare eccellenti colazioni al mattino è essenziale per me. Se è l’individuo a comporre lo Stato, il concetto di “essenziale” dovrebbe essere un concetto privato. Riprendo in mano Ludwig Von Mises, pensatore ed economista di scuola austriaca, che sfoglio sempre quando cerco qualche nuova, vecchia risposta: esiste solo l’individuo, mi conferma: solo l’individuo pensa, ragiona, agisce. Lo Stato e la società, di fatto, non esistono come soggetti a sé stanti: «La società non esiste che nelle azioni degli individui». Dunque esiste una società che possa operare indipendentemente dagli individui? Può lo Stato esserne il portavoce? Mises ritiene questa ipotesi «Un’assurdità pericolosa sia dal punto di vista etico che politico». Il pericolo di una dittatura sanitaria è proprio quello che Marcello Veneziani ha scritto per primo in un recente editoriale, chiedendosi le ragioni profonde della paura. «Se il modo in cui spendi la vita vale più della vita stessa, se l’aspettativa dell’Aldilà supera la difesa della pelle qui e ora, ad ogni costo, allora magari puoi scommettere fino in fondo. Se sei disposto a rischiare anche la vita hai una libertà che nessuno può toglierti. Ma se tutto è qui e non ci aspetta altro, né la gloria né l’eternità, allora la vita è l’assoluto e per lei siamo disposti a tutto, in balia di chiunque possa minacciarla o proteggerla». Se tutto il significato della nostra vita fosse il “qui e ora” allora il nostro attaccamento al presente potrebbe portarci a un conformismo acritico nei confronti di chi dice di “farlo per il nostro bene”. Ma se la qualità della vita e una prospettiva eterna valessero invece più della vita stessa? Allora avremmo maggiore propensione a prenderci qualche rischio. Le situazioni emergenziali sono ottimi esempi per costringere le persone a fare quello che si vuole, senza lasciar loro il tempo di pensare a quello che stanno facendo.

    Non sono un virologo ma…

    Ho finito le telefonate: dottoresse, biologi, giornalisti, colleghi e clienti che vivono nelle aree più colpite. Quale sarà il reale costo umano di questa crisi, una volta che l’emergenza sanitaria sarà passata? Oltre a migliaia di tremendi lutti e agli imponenti danni economici, come conteremo i danni inflitti alle libertà fondamentali? Quanti ragazzi dovranno tornare a vivere con i propri genitori, quante piccole aziende chiuderanno i battenti? Quanti imprenditori decideranno di farla finita, come dopo la crisi del 2008? «Ciao David!», la voce del prof. Carlo Lottieri mi ricorda quegli anni, sinceri e senza compromessi, in cui pensi di fare la rivoluzione. Carlo insegna Filosofia del Diritto all’Università di Verona e Filosofia delle Scienze Sociali a Lugano, in Svizzera. Ma sogna ancora la rivoluzione. «Sai qual è la metafora più efficace per descrivere questo periodo? È quella di un paziente in coma (da debito pubblico, nel nostro caso) che si becca pure il coronavirus». Ci avevano detto che la fortuna della nostra generazione era la libertà: non aver conosciuto restrizioni, non aver avuto a che fare con le tragedie dei regimi o della guerra civile. Adesso vediamo dirette del presidente del Consiglio su Facebook e gli old media bypassati definitivamente. Quella brutta abitudine di leggere i “commenti” su Facebook: tutti a volerne di più, di restrizioni, di Stato. I militari in strada? Una grande idea. Carlo, abbiamo bisogno dei carri armati? «Non c’è mai bisogno dei carri armati: di fronte a un’emergenza adatti i tuoi comportamenti. Hai notato i cinesi in Italia, ad esempio? Sono spariti prima ancora che la pandemia esplodesse». LEGGI ANCHE: La singolarità è arrivata senza avvisare (e non è come la immaginavamo)

    Tutto il mondo lo fa, perché non dovremmo farlo noi?

    «Mi chiedi chi ha ragione? Noi cittadini non abbiamo strumenti per decidere in un senso o nell’altro. Certamente da noi le ipotesi più catastrofistiche sono molto apprezzate da politici che adottano soluzioni autoritarie per mettere sotto sequestro le libertà fondamentali». La mia domanda a Carlo è forse un po’ ingenua nella sua semplicità, ma sincera: perché questo bisogno di limitare le libertà individuali? «Perché sia le persone che lo Stato sottovalutano la forza dei sistemi adattivi. Stiamo sperimentiamo una fragilità della società». Mi sto già perdendo. «Ti spiego: la convivenza si basa su dei diritti: tuttavia, in questo frangente, sappiamo cosa è realmente legittimo? Abbiamo degli oggettivi problemi conoscitivi che rendono peculiare la situazione. Solitamente, sappiamo ciò che è lesivo dei diritti altrui e ciò che non lo è. In questo caso però lo Stato qualifica come illegittimo perfino fare visita alla propria fidanzata e in tal modo non trova più barriere di fronte a sé. In nome del nostro bene assume decisioni che sono oggettivamente liberticide e non necessariamente giustificate». Eppure, nonostante tutto, le persone chiedono più Stato: «Perché lo Stato si basa sulla promessa della tutela dell’incolumità, ma questa tutela non può esserci se non esercitando l’uso sulla forza, di cui lo Stato detiene il monopolio». In sostanza Carlo mi spiega che ci hanno fatto credere di non essere in grado di badare a noi stessi e allo stesso tempo ci hanno tolto, per legge, la possibilità di difenderci. Nel frattempo, ho trovato il mio codice ATECO, posso tenere aperta la mia ditta, sono un’attività essenziale. Mi sento quasi lusingato e immagino Conte che mi strizza l’occhiolino. Domani prenderò la macchina e andrò in ufficio, come tutte le mattine.  Mi concedo un’ultima battuta con Carlo e gli confesso di aver sentito analisti che davano la colpa della pandemia al libero mercato: troppe connessioni, dicono. Carlo si mette a ridere: «Certo, se eravamo cacciatori raccoglitori probabilmente tutto questo non sarebbe successo».

    Come ci giudicherebbe Tintoretto?

    Il prof. Lottieri sta tornando a casa, a Venezia. Le lezioni adesso sono diventate video-lezioni. Il suo treno è quasi a S. Lucia e noi ci diamo appuntamento a “Quando sarà tutto finito”, come si dice adesso.  Mi manca non poter camminare per Venezia in queste settimane, cosa te ne fai di una cura per il dolore se non ne puoi goderne nei momenti di sofferenza?  Appoggio il telefono nella scrivania dell’ufficio, accanto al libro sul Tintoretto, che tengo sempre lì, in evidenza, per ricordarmi che in ogni campo della vita si può essere una rock star. Tintoretto nonostante la peste, tenne aperta la propria bottega e continuò lavorare, creare, fare la storia. Era il 1575 e, mentre i cadaveri riempivano le calli, il Robusti finiva da solo il suo lavoro più imponente: il ciclo di affreschi della Scuola di San Rocco. Nemmeno Michelangelo aveva finito da solo la Cappella Sistina. Grazie a lui, e al coraggio di tanti come lui, Venezia non si era fermata nemmeno durante l’epidemia più devastante della sua storia. Il risultato? La bellezza assoluta, che quando tornerete in Laguna vedrete di nuovo con i vostri occhi.