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IoT, ovvero come iniziare a connettere oggetti nella propria azienda

Quando eravamo bambini e immaginavamo come sarebbe stato il futuro, non potevamo fare a meno di sognare macchine volanti, viaggi interplanetari e oggetti scintillanti con mille funzioni, come una sorta di coltellini svizzeri futuristici. Sulle macchine volanti e i viaggi spaziali ci stiamo ancora lavorando, ma per quanto riguarda gli oggetti la nostra fantasia non aveva tutti i torti. Pensate a come la tecnologia ha migliorato le nostre vite e come Internet sia parte integrante della nostra quotidianità attraverso prodotti e servizi sempre più 2.0.

Stiamo parlando dell’importanza dell’IoT, ossia l’Internet of Things, l’Internet degli oggetti e del ruolo crescente che ha assunto negli ultimi anni.

Internet of Things, quotidianità e mondo digitale

Cosa intendiamo quando parliamo di IoT? È un acronimo che abbiamo sentito spesso nominare. Internet of Things, lo dice stesso la parola, è l’Internet degli oggetti, sono infatti quest’ultimi a essere connessi, grazie a Internet, e hanno la facoltà di scambiare dati tra loro. Questi prodotti sono definiti intelligenti, quindi smart objects.

Stiamo parlando di un’evoluzione dell’uso d’Internet perché attraverso la connessione, gli oggetti si rendono riconoscibili e scambiano informazioni su sé stessi e l’ambiente che li circonda.

Gli smart objects hanno delle caratteristiche peculiari che li rendono tali, stiamo parlando di proprietà cui:

  • l’identificazione
  • la connessione
  • la localizzazione
  • la capacità di generare dati
  • la possibilità d’interagire con l’ambiente esterno

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Campi di applicazione dell’IoT

L’Internet of Things può essere applicato in qualsiasi contesto, dagli elettrodomestici di casa per un’abitazione smart, a sistemi più complessi come le apparecchiature in campo medico.

È possibile con l’IoT agire in ambito sanitario con precisione e ottimizzando gli sforzi monitorando, per esempio, lo stato di salute dei pazienti da remoto. In questo modo il personale può recarsi presso le strutture sanitarie solo quando c’è un’urgenza grave.

In riferimento a macchinari di qualsiasi genere, invece, l’IoT permette il monitoraggio e il loro funzionamento, così chi si occupa della manutenzione può intervenire solo quando c’è una reale necessità.

IoT e aziende: utilizzi e vantaggi

Abbiamo visto che l’IoT agisce in diversi campi applicativi, ma può essere vantaggioso anche per migliorare le performance di un’azienda? Certo che sì.

Con l’ormai conclamata industria 4.0, l’IoT è sempre più parte integrante dell’innovazione e consente alle organizzazioni di raccogliere, scambiare, analizzare e interpretare i dati in tempo reale. Il valore di questi dati è unico perché fornisce informazioni significative sui consumatori, in determinati contesti, e in tempo reale, permettendo alle aziende di modificare i propri prodotti e servizi, ove è necessario, e trasformare l’interazione e le relazioni con i clienti.

Ma un’azienda come può adottare in modo pratico l’IoT, utilizzandola e integrandola al proprio sistema?

Le soluzioni che ci vengono proposte non sono tutte performanti. Spesso risultano frammentate, troppo complesse e invece di semplificare i processi, tendono a comprometterli. Le aziende hanno bisogno di uno strumento unico e intuitivo che possa facilitare e non disperdere le attività utili proveniente dall’integrazione dell’IoT.

Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: a chi rivolgersi?

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Cloud MQTT, il server per connettere gli oggetti nelle aziende

Ci viene in soccorso Seeweb, un Cloud Computing Provider che offre servizi di alta qualità e unici quanto a tecnologia, scalabilità e rapporto prezzo/prestazioni. Un provider che punta da sempre all’innovazione ed è sempre attento alle novità del mercato. Seeweb non poteva lasciarsi scappare l’occasione di creare un servizio tutto suo che riguarda proprio l’IoT, attraverso il lancio di Cloud MQTT.

Il Cloud MQTT connette gli oggetti nelle aziende sfruttando il protocollo di comunicazione più efficace in ambito IoT. Include diverse caratteristiche come:

  • la gestione semplificata dei dispositivi;
  • la personalizzazione dei dati di connessione;
  • la possibilità di salvare i dati nel nostro Cloud;

La piattaforma riduce le complessità legate all’utilizzo dell’Internet of Things nelle aziende grazie a una cloud things platform completamente gestita che:

  • si avvale di Kubernetes, che automatizza le operazioni di gestione dei container;
  • sfrutta MQTT, il protocollo più usato per connettere gli oggetti al Cloud;
  • è compatibile con la maggior parte dei device esistenti;
  • è abbinabile a un dominio personalizzato e a un certificato SSL;
  • offre la possibilità di salvare le metriche nel Cloud Seeweb;
  • permette di gestire i dati mediante Prometheus

Una volta acquistato il servizio verranno inviati i dati di accesso da utilizzare per configurare il prodotto e i dispositivi. Ogni dispositivo ha un client ID, un topic e i permessi di accesso.

Quali sono gli strumenti che possono beneficiare di questo servizio?

Possiamo utilizzare tutti i tipi di dispositivi che supportano MQTT, ossia i sensori di temperatura, automotive, controllo macchine ma anche software di telemetria o messaggistica. Ma cos’è un protocollo MQTT e a cosa serve?

Cos’è un MQTT

Il protocollo MQTT ha l’obiettivo di rendere facile ed efficace la comunicazione tra le macchine, ossia gli oggetti. Le sue caratteristiche principali sono:

  • la leggerezza e la semplicità nello scambio di messaggi;
  • ha la possibilità di creare il minimo traffico sulle reti;
  • richiede poche risorse ai dispositivi a livello di gestione.

È uno strumento capace di veicolare in modo efficiente la distribuzione di messaggi da uno a molti destinatari, garantendo affidabilità e semplicità. Connettere i dispositivi di un’azienda e integrare l’IoT non sarà più un grosso problema con Cloud MQTT, un modo semplice di abbracciare l’innovazione.

La Cina ridimensiona i giganti fintech e intanto Jack Ma torna in un video

  • Cosa bolle nella pentola dell’attualità finanziaria cinese? Una lotta tra titani, da una parte i Big del Fintech dall’altra il governo di Xi Jinping
  • Il fondatore di Alibaba, Jack Ma, che si era improvvisamente eclissato dopo un “vivace” botta e risposta tra Ant Group e gli organi di controllo bancari, è ora comparso in un breve video

 

Se in Occidente è il “caso WhatsApp” a tenere banco, in Cina l’attualità finanziaria vive un momento di incertezza relativa alla stabilità dei giganti della tecnologia. Di contorno, la misteriosa “spy story” che ha coinvolto Jack Ma.

Dov’era finito Jack Ma

Partiamo da qui: Jack Ma, il fondatore di Alibaba nonché quarto uomo più ricco della Repubblica Popolare Cinese, si è eclissato dalla scena pubblica per quasi tre mesi. A novembre sarebbe dovuto comparire come giudice finale di Africa’s Business Heroes, un TV show da lui stesso ideato. Dopo questa lunga e pesante assenza, è tornato a mostrarsi in un video rivolto agli insegnanti delle zone rurali.

Cina è pronta a ridimensionare i giganti fintech

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Nel frattempo, il fondatore del gigante tecnologico cinese è stato sostituito dall’Executive Vice Chairman del gruppo Alibaba, che ha giustificato il cambio di programma last minute con un “conflitto di programmazione”. Questo non ha fatto altro che suscitare ulteriori dubbi sull’assenza dalla scena pubblica di Mr. Ma. Perché?

Jack Ma, Alibaba e l’antitrust cinese

Il 24 dicembre 2020 le autorità antitrust cinesi hanno annunciato ufficialmente di aver aperto un’indagine nei confronti di Alibaba Group. Il motivo? “Sospetto di pratiche monopolistiche”. Il colosso fondato da Jack Ma è stato accusato di aver costretto i venditori a firmare “accordi di negoziazione esclusiva” per evitare che gli stessi prodotti messi in vendita su Alibaba venissero venduti anche su siti web concorrenti. E non è tutto.

Sempre durante la vigilia di Natale, altre quattro agenzie cinesi di regolamentazione finanziaria, tra cui la Banca Popolare Cinese, hanno annunciato uno «yuetuan», un “richiamo”, per approfondire la situazione di Ant Group, braccio finanziario del gruppo Alibaba.

Ant (già Ant Financial Services) è il gruppo fintech a cui appartiene Alipay, la più grande piattaforma mondiale di pagamenti online lanciata nel 2004 da Jack Ma e che mette a disposizione carte di credito e di debito, prodotti d’investimento, crowdfunding, credit scoring e diversi servizi bancari online.

Alipay è stata una vera rivoluzione nei sistemi di pagamento cinesi: dai pagamenti con QRCode alla gestione del conto corrente e trasferimenti peer-to-peer. Per arrivare a questo, Alipay ha stipulato accordi di fornitura con i maggiori istituti di credito internazionali. Si può considerare uno dei progetti meglio riusciti di Mr. Ma e Alibaba.

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Jack Ma

La più grande IPO della storia

Il 5 novembre 2020, sui mercati finanziari di Shanghai e Hong Kong, sarebbe dovuta andare in scena l’IPO di tutte le IPO, l’Initial Public Offering di Ant Group. Quel giorno Ant avrebbe potuto frantumare ogni record, ricevendo richieste per più di 3.000 miliardi di dollari a fronte di un’offerta di 37 miliardi di dollari in azioni.

Un valore smisurato, estremamente più elevato di JP Morgan e di tutte le grandi banche statali cinesi. La strada per il successo sembrava nuovamente spianata per Jack Ma, già precursore dell’eCommerce e di molte innovazioni digitali che hanno trascinato la Cina verso la nascita di un nuovo sistema economico-finanziario che non ha più bisogno di reggersi su banconote per il suo immenso giro d’affari. Tuttavia le cose non sono andate come dovevano.

A meno di 48 ore dall’apertura dell’offerta pubblica, i regolatori antitrust avevano intrapreso la decisione di sospendere l’IPO, sollevando preoccupazioni sui servizi di microprestito offerti da Ant Group. I regolatori cinesi avevano infatti annunciato, a ridosso del 5 novembre, un rafforzamento delle regole cui devono sottostare le società online del micro-lending.

La decisione di sospendere la quotazione in borsa di Ant, non solo per il suo particolare tempismo, è stata vista come un primo tentativo da parte delle autorità cinesi di frenare l’eccessivo potere delle grandi aziende tecnologiche del paese. Secondo il Wall Street Journal una scelta dettata dal diretto impulso del Presidente cinese Xi Jinping.

“Se queste norme entreranno effettivamente in vigore l’industria online micro-lending sarà pesantemente ridimensionata e le Internet companies che si stanno espandendo aggressivamente con la loro attività dei prestiti saranno duramente colpite” ha affermato Dong Ximiao, chief analyst di Zhongguancun Internet Finance Institute.

Jack Ma

Il Partito

In realtà, molti sono convinti che la vera ragione alla base della decisione delle autorità cinesi, abbia origine da un discorso tenuto da Mr. Ma il 24 ottobre 2020.

Il magnate aveva criticato aspramente l’atteggiamento delle autorità e del sistema bancario cinese. Jack Ma si sarebbe lasciato andare a frasi come “le banche cinesi hanno operato con una mentalità da banco dei pegni” oppure “innovare senza correre rischi equivale a non innovare. Spesso, evitare i rischi è la politica più rischiosa”.

Da quel momento, il governo cinese ha introdotto nuove e ancor più rigide regole antitrust in tutto il settore tecnologico che hanno innescato un calo di circa 140 miliardi di dollari pari al 17% del valore di mercato complessivo di Alibaba. La guerra tra Mr. Ma e il Partito non ha fatto che peggiorare.

Il retroscena è stato ricostruito dal Financial Times che ha raccontato di una richiesta del partito (di cui anche Jack Ma fa parte) volta a limitare la portata dell’IPO, così come riportato dalle parole di Chen Long, presidente della CONSOB cinese:

Gli imprenditori di internet, compreso Ma, non devono superare le frontiere dell’interesse del partito. Il governo li tutelerà solo nella misura in cui serviranno l’interesse nazionale.

Il Pcc ha sempre visto con sospetto l’influenza oltre misura dei grandi capitani d’impresa cinesi. A maggior ragione quella costruita da un miliardario carismatico ormai noto anche sul fronte occidentale per essere un “visionario della tecnologia”.

Ridimensionare i giganti fintech cinesi: chi vince la guerra di potere

Jack Ma fintech

In campo ci sono due forze contrapposte: il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping e il gigante tecnologico Alibaba.

Una rottura definitiva non converrebbe a nessuna delle parti ma la bilancia, ora come ora, pende chiaramente dalla parte del governo cinese. Da una parte il presidente non può tollerare un dissidio interno così clamoroso, ma dall’altra non ha interesse a sacrificare i vantaggi che Ant Group, con la sua capillare rete di utenti, ha portato sia al sistema, grazie a un forte aumento della produttività e al boom dei piccoli business, sia ai singoli consumatori.

Ad essere precisi, l’“affaire Ant” non è tanto la storia di un geniale imprenditore tech vessato da un governo liberticida quanto quella – d’attualità anche in Occidente – di piattaforme digitali che fanno incetta di dati dei clienti e, con la loro dimensione, rischiano di ostacolare alcune forme di controllo da parte delle autorità garanti.

Da questo punto di vista l’app di Ant è un’autentica idrovora di dati personali: debitori, creditori, abitudini di consumo, viaggi, pagamenti di utenze e così via. Insomma un’argomento caldo che ormai dovrebbe essere ampiamente noto anche dalle nostre parti.

Nonostante i dubbi sulla gestione dei dati privati, mandare in malora il gioiello creato da Ma sarebbe controproducente per la stessa crescita economica cinese. Ed è altresì difficile che il presidente Xi Jinping scelga di affossare Ant a vantaggio dei burocrati bancari. Intanto Mr. Ma deve stare attento a non oltrepassare i limiti della pazienza dei mandarini del Partito.

LEGGI ANCHE: Jack Ma: 15 frasi celebri del founder di Alibaba. E quel video finale, sui sogni…

Il mistero continua

Non si conosce con esattezza il motivo della “pausa” del magnate di Hangzhou, ma sono state avanzate diverse ipotesi.

La prima, quella più probabile: in un momento per lui estremamente delicato sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico, Jack Ma ha scelto un profilo basso. Se non bassissimo, tanto da smettere di pubblicare sul suo account Twitter (il suo profilo tace dal 10 ottobre).

La seconda, quella meno plausibile: sarebbe stato trattenuto dalle autorità cinesi e accusato di aver violato la legge con le sue dichiarazioni del 24 ottobre. Una sorta di “rieducazione” del sovversivo e delle sue manovre finanziarie in favore di Ant.

Per ora, stando a quanto riporta il Financial Times, Jack Ma sta bene e si è semplicemente ritirato dietro le quinte per paura della pandemia e non del presidente Xi. Il duello a distanza tra i due imperatori cinesi è destinato a proseguire, almeno per evitare una rottura definitiva che non conviene a nessuno. La partita vede ora in vantaggio il Presidente cinese avanti di un punto nella manovra anti-monopolistica contro i giganti dell’hi-tech.

 

Credits immagine di copertina: Jack Ma – Photographer: Tomohiro Ohsumi/Bloomberg

remote working

Amazon, Microsoft e le altre big che hanno scelto il remote working

  • La pandemia ha forzato l’esperimento del remote working
  • Sono stati evidenziati benefici, sia in termini di produttività che di efficienza
  • Sono emerse anche numerose fragilità da colmare in ottica di innovazione

La pandemia da COVID-19 ha spinto la maggior parte delle aziende in tutto il mondo a lavorare da casa. Ad adottare questa modalità di lavoro, con lo scoppio della pandemia, sono state principalmente le imprese più grandi e strutturate (97%) seguite dalla pubblica amministrazione (94%) e dalle PMI (58%).

Certo, è stata una risposta forzata ed emergenziale, dettata più dalla necessità che dalla volontà, ma ha consentito di accelerare un esperimento che ha sempre fatto fatica a guadagnare terreno nel mondo del lavoro. La maggior parte delle aziende, infatti, è sempre stata fedele al concetto di “ufficio” e il remote working ha sollevato sempre molte preoccupazioni sulla produttività e sulla motivazione delle risorse. Uno dei motivi potrebbe essere che il mondo aziendale è ancora composto da tantissimi baby boomers, cioè persone che hanno iniziato a lavorare molti anni prima dell’inizio dell’era digitale.

Ora che il piano vaccinale è iniziato, fino a che punto proseguirà il lavoro a distanza? In realtà le prospettive per il futuro sono ancora estremamente incerte, ma remote e smart working sono ormai entrati nella quotidianità degli italiani e con ogni probabilità sono destinati a rimanerci.

smart working

Il futuro del lavoro secondo l’indagine di Microsoft

Secondo quanto emerso da un’indagine sul “Remote Working e Futuro del Lavoro” di Microsoft, condotta su oltre 600 manager e dipendenti di grandi imprese italiane, il numero di organizzazioni italiane che hanno adottato modelli flessibili di lavoro è aumentato in modo esponenziale, passando dal 15% dello scorso anno al 77% del 2020.

I manager intervistati si aspettano che il 66% dei dipendenti continui a lavorare da remoto almeno un giorno alla settimana, anche dopo la fine della pandemia. In questa “nuova normalità”, infatti, sono stati evidenziati benefici, sia in termini di produttività sia di efficienza: l’87% degli intervistati ha riscontrato una produttività pari o superiore a prima del lockdown e il 71% è convinto che le nuove modalità “ibride” di lavoro comportino significativi risparmi in termini di denaro. Inoltre, sei intervistati su dieci (64%) credono che garantire modalità di lavoro da remoto possa essere un modo efficace per poter coinvolgere collaboratori più qualificati.

Le criticità e le fragilità dello smart working 

Tuttavia, il remote working non ha rivelato soltanto benefici, ma ha fatto emergere anche grosse fragilità, come la carenza tecnologica, non solo delle piccole aziende, ma anche nelle imprese più grandi e strutturate. 

Il 69% delle aziende, infatti, ha dovuto aumentare la disponibilità di strumenti hardware, pc portatili e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali, mentre il 45% si è dovuto dotare di strumenti per la comunicazione, come i tool per le videoconferenze (16%). Tre datori di lavoro su quattro, invece, hanno chiesto ai lavoratori di utilizzare i propri dispositivi personali, mentre il 50%, non essendo dotato di tecnologia adeguata, ha dovuto sospendere del tutto l’attività.

Altre barriere difficili da superare sono state: il work-life balance (58%), la disparità del carico di lavoro tra alcuni lavoratori meno impegnati e altri sovraccaricati (40%) e l’impreparazione dei manager (33%).

Ma non solo. Durante la pandemia i datori di lavoro hanno scoperto che, sebbene alcune attività possano essere tranquillamente svolte a distanza, in caso di crisi è molto più efficace il lavoro in presenza. Queste attività includono coaching, la consulenza, l’insegnamento e tutti quei lavori che traggono vantaggio dalla collaborazione, come l’innovazione, la risoluzione dei problemi e la creatività. Ad esempio, genitori e insegnanti affermano che la qualità delle lezioni scolastiche abbiano risentito della pandemia. Senza contare che, più della metà della forza lavoro ha poche o nessuna possibilità di lavorare a distanza: molte attività fisiche o manuali, così come quelle che richiedono l’uso di attrezzature fisse, non possono essere svolte a distanza. Ne sono di esempio l’ambito dei trasporti, la ristorazione, l’edilizia, il settore agricolo.

Molti italiani di tutte le fasce d’età, hanno anche dichiarato di apprezzare l’ambiente lavorativo tradizionale, specialmente per la possibilità di socializzare e condividere esperienze con i colleghi. La ricerca di Microsoft, infatti, ha evidenziato come il lavoro da remoto, se non correttamente gestito, possa inibire la condivisione di idee tra colleghi e porti i dipendenti a essere meno invogliati a chiedere aiuto o a delegare in modo appropriato. 

Per promuovere una cultura del lavoro che favorisca l’innovazione è più che mai fondamentale supportare il management nel superare questi limiti. In quest’ottica le aziende potrebbero muoversi prevedendo fringe benefit diversi da quelli che proponevano quando si lavorava in sede, ad esempio offrendo bonus per acquistare attrezzatura informatica e/o arredo per convertire alcuni spazi della propria abitazione ad ufficio, oppure regalando abbonamenti a palestre, corsi di pilates, yoga e ginnastica posturale a distanza.

Futuro ibrido: tra casa e ufficio

Secondo recenti sondaggi condotti da Global Workplace Analytics, da Cisco e da Microsoft, sia i manager che i dipendenti che hanno apprezzato i vantaggi del lavoro da remoto, non intenderebbero tornare alle vecchie abitudini. 

Remote Working

Dopo le prime difficoltà di adattamento, gli smart worker hanno imparato ad apprezzare i benefici del lavoro agile: il 73% nota di essere molto più efficiente da quando lavora da casa. Inoltre, ha la possibilità di vestirsi in modo più casual (77%) di personalizzare il proprio ambiente di lavoro (39%), di avere più tempo per i propri hobby (49%), per i propri figli (36%) ma anche per gli animali domestici (22%). Per le donne, in particolare, il lavoro a distanza è stata una benedizione mista: un lavoro indipendente, con orari più flessibili, meno stress e minor tempo perso per il pendolarismo. 

I nuovi remote worker non vogliono più rinunciare all’autonomia inaspettatamente acquisita: ben l’87%, sia in Italia, che a livello Emear (Europe, Middle East, Africa e Russia), chiede un futuro flessibile, in cui scegliere liberamente quando e quanto lavorare da casa e in ufficio, aspirando a un mix tra lavoro in presenza e lavoro a distanza.

È vero, più persone che lavorano in remoto significa meno persone che ogni giorno si spostano da casa al lavoro, e ciò potrebbe avere conseguenze economiche significative nell’ambito dei trasporti, della ristorazione, della vendita al dettaglio. Tuttavia, si potranno modificare i modelli di consumo: i soldi spesi per il trasporto, la mensa e il guardaroba potranno essere spostati su altri usi, ad esempio il cibo da asporto, l’acquisto di apparecchiature per ufficio, di strumenti digitali e di dispositivi per la connettività potenziata.

Le big scelgono il remote working

Sono diverse le aziende che hanno scelto la formula del lavoro remoto a lungo termine. Eccone alcune:

  • Adobe

    Adobe è una software house statunitense fondata da John Warnock e Charles Geschke, nota soprattutto per i suoi prodotti di video e grafica digitale, come Photoshop, Illustrator, InDesign, After Effects, Premiere.Piani di lavoro in remoto: Adobe prevede di continuare il lavoro in remoto per alcune sedi fino a Luglio 2021. Il lavoro da remoto e la didattica a distanza hanno costituito un’opportunità per andare oltre i normali risultati del Q3 estivo 2020 che si è chiuso con entrate pari a 3,23 miliardi di dollari (in crescita del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e un utile di 955 milioni di dollari (contro i 793 del 2019).

  • Amazon

    Amazon è la più grande azienda di commercio elettronico al mondo, fondata da Jeff Bezos nel 1999 e si occupa della vendita di libri, DVD, CD musicali, software, videogiochi, prodotti elettronici, fumetti, abbigliamento, mobilia, cibo, giocattoli e altro ancora.

    Piani di lavoro a distanza: i dipendenti le cui posizioni consentono loro di lavorare da casa possono farlo fino a Giugno 2021. Attualmente esistono offerte di lavoro da remoto che si rivolgono a persone preparate a lavorare online, con precedenti studi o esperienze in ambiti specifici. Inoltre, sono previsti nella maggior parte dei casi dei percorsi di formazione e lavoro per agevolare l’inserimento in azienda.

  • Facebook

    Facebook è la famosa rete sociale statunitense fondata da Mark Zuckerberg nel 2004, che attualmente controlla i servizi di rete sociale Facebook e Instagram, il servizio di messaggistica istantanea WhatsApp e sviluppa i visori di realtà virtuale Oculus Rift.

    Piani di lavoro a distanza: Facebook consentirà al personale di lavorare da remoto fino a Luglio 2021, riconoscendo un bonus di 1.000 dollari in aggiunta al normale stipendio così da poter far fronte all’acquisto di nuovi dispositivi, arredo da ufficio o per i servizi di connettività.

  • Mastercard

    Mastercard è una società mondiale di transazioni, elaborazione dei pagamenti e consulenza fondata nel 1966 da un gruppo di banche.

    Piani di lavoro a distanza: Mastercard consentirà ai propri dipendenti di lavorare da casa fino a quando i timori di COVID-19 non si placheranno e le persone potranno sentirsi a proprio agio negli uffici.

  • Microsoft

    Microsoft è un’azienda di informatica multinazionale fondata da Bill Gates e Paul Allen nel 1975, che sviluppa, produce e commercializza software per computer, elettronica di consumo e personal computer.

    Piani di lavoro da remoto: Microsoft consentirà di lavorare da casa fino a fine gennaio 2021. Come altre aziende, tra cui Facebook e Twitter, però, ha già abbracciato la strada dello smart working permanente post-pandemia, optando per una soluzione ibrida, che prevederà il lavoro da remoto per meno del 50% delle ore settimanali.

  • PayPal

    PayPal è la società statunitense di tecnologia finanziaria, fondata nel 1999, che consente ad acquirenti e venditori di condurre transazioni online in sicurezza.

    Piani di lavoro da remoto: in Paypal, la possibilità di usufruire dello smart working, veniva già data in tempi non di emergenza. Attualmente, la società intende proseguire il lavoro a distanza fino al termine del primo trimestre del 2021. Alla fine del 2020 ha persino costruito un ufficio virtuale per sostenere il lavoro da remoto dove, durante le festività, ha ospitato una festa globale di 29 ore per i suoi 25.000 dipendenti, ricca di concerti, spettacoli di magia, lezioni di cucina, tutorial di origami, lezioni di ballo, lotterie e diverse esibizioni di drag.

     

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  • Salesforce

    Salesforce.com è un’impresa statunitense di cloud computing fondata nel 1999 a San Francisco e operativa in 36 paesi del mondo.

    Piani di lavoro a distanza: i dipendenti di Salesforce hanno la possibilità di lavorare da casa almeno fino ad Agosto 2021. L’azienda ha anche ampliando i vantaggi del lavoro a distanza per i suoi dipendenti, dando a ogni persona $250 per l’acquisto di forniture per ufficio per le loro case, in aggiunta ai $250 erogati all’inizio del 2020. I genitori hanno anche la possibilità di aggiungere sei settimane di ferie retribuite.

  • Shopify

    Shopify è una società di e-commerce canadese fondata nel 2006, che fornisce una piattaforma di commercio multicanale basata su cloud, per progettare, organizzare e gestire negozi su vari canali di vendita.

    Piani di lavoro da remoto: a Maggio 2020 Shopify ha annunciato la chiusura definitiva degli uffici fino al 2021, dopodichè la maggior parte dei dipendenti lavorerà da remoto su base permanente.

 

  • Twitter

    Twitter è un servizio di notizie e microblogging fornito dalla società Twitter, Inc., fondata a San Francisco nel 2007, che consente alle persone di pubblicare messaggi e interagire istantaneamente con altri in tutto il mondo.

    Piani di lavoro da remoto: i dipendenti di Twitter potranno lavorare da casa in modo permanente, andando in ufficio solo se e quando lo desiderano.

LEGGI ANCHE: La crescita esponenziale di Amazon nell’ultimo anno

Conclusioni

Le organizzazioni si stanno attrezzando per tradurre le nuove abitudini e aspettative dei lavoratori in un nuovo approccio al lavoro. Una grande impresa su due interverrà sugli spazi fisici al termine dell’emergenza (51%), differenziandoli (29%), ampliandoli (12%) o riducendoli (10%). Il 38%, invece, ne cambierà le modalità d’uso.

Il 36% delle grandi imprese digitalizzerà i processi. Ben il 70% di chi ha un progetto di lavoro agile aumenterà le giornate in cui è possibile lavorare da remoto, passando da un solo giorno alla settimana prima della pandemia a una media di 2,7 giornate a emergenza conclusa. Il 17% agirà sull’orario di lavoro.

Solo l’11% tornerà a lavorare come prima. 

«La ricerca dice che non si torna più indietro», commenta Michele Dalmazzoni, Collaboration and Industry Digitization Leader, Cisco Emear South. «Certo non in questo modo rigido imposto dalla pandemia, ma in termini flessibili. Le aziende stanno ripensando gli spazi di lavoro, un nuovo workplace ibrido tra chi è in presenza e chi partecipa a riunioni da remoto. Ci si sta focalizzando su come abilitare i remote worker con tutti gli strumenti di collaborazione possibili e ci si chiede se sia sempre necessario andare dall’altra parte del mondo per fare un collaudo, quando si possono usare tool di realtà aumentata abilitati dalle piattaforme digitali. Insomma, a tutti i livelli si sta scoprendo che c’è un modo per fare le cose anche a distanza e le potenzialità delle piattaforme collaborative stanno avendo un impatto sociale enorme».

marketing inclusivo

Marketing Inclusivo: come abbracciare le diversità attraverso l’advertising

  • Il 70% degli intervistati da Microsoft afferma di fidarsi maggiormente dei Brand che rappresentano la diversità nei loro annunci
  • Il Marketing Inclusivo considera tutti gli aspetti dell’identità di una persona e tiene conto anche dell’intersezionalità, riconoscendo le sfumature della personalità e delle preferenze dei consumatori
  • La pubblicità inclusiva può aumentare la fiducia e la fedeltà da parte delle persone, migliorando la percezione generale dell’azienda nella società

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita costante del peso dei termini “diversità” e “inclusività” nella nostra società.

Le battaglie portate avanti dalla comunità LGBT+, la maggiore informazione riguardo le diversità di genere, la nascita del movimento BLM, sono solo alcune delle conseguenze di questa evoluzione sociale.

Vivere in una società che ha – finalmente – dato la giusta importanza a questi temi ha comportato degli obblighi da parte delle aziende, ed è da qui infatti che nasce la cultura della D&I – Diversity & Inclusion.

Diversity & Inclusion si riferisce alla serie di iniziative – gestite dal team di Risorse Umane (HR) o incluso dal team dedicato alla D&I all’interno di un’azienda, volte a promuovere un ambiente di lavoro inclusivo e sviluppare una cultura inclusiva tra i dipendenti di una impresa.

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Inevitabilmente, questa cultura inclusiva che si è sviluppata all’interno delle organizzazioni si riflette nelle strategie di Marketing dei Brand.

Che cos’è il Marketing Inclusivo?

Si parla infatti sempre più frequentemente di Inclusive Marketing, che secondo la definizione fornita da HubSpot si riferisce allo sviluppo di “campagne che abbracciano la diversità, includendo persone con background diversi o storie a cui possono relazionarsi. Mentre alcune campagne inclusive si sforzano di rompere gli stereotipi, altre mirano semplicemente a rappresentare le persone nel mondo reale”

Inclusive Marketing


Il Marketing Inclusivo considera tutti gli aspetti dell’identità di una persona:
il colore della pelle, l’identità di genere, l’età, l’orientamento sessuale, il tipo di corporatura, l’etnia, la cultura, la lingua, la religione, lo stato socio-economico e molto altro.

Tiene conto anche dell’intersezionalità, ovvero riconoscere che una singola persona può rappresentare molte identità o dimensioni, riconoscendo le sfumature inerenti alla sua personalità e alle sue preferenze.

Le due discipline di Diversity & Inclusion e di Marketing Inclusivo viaggiano di pari passo: insieme sono in grado di far crescere le opportunità di business e migliorare la vita delle persone all’interno dell’azienda e nel mondo esterno.

Perché il Marketing Inclusivo è così importante?

In uno studio sull’intenzione di acquisto della GenZ – condotto e pubblicato da Microsoftil 70% degli intervistati ha affermato di fidarsi maggiormente dei Brand che rappresentano la diversità nei loro annunci, mentre il 49% ha ammesso di aver smesso di acquistare prodotti di aziende che non rispettano i loro valori.

Marketing Inclusivo

Da questo studio possiamo capire quanto la pubblicità inclusiva possa portare risultati straordinari per un Brand ma soprattutto possa aumentare la fiducia e la fedeltà da parte del consumatore, migliorando la percezione generale dell’azienda nella società.

Sempre Microsoft ha pubblicato un playbook dal titolo “Marketing With Purpose” che raccoglie una serie di dati, consigli e best practice in relazione alle strategie di Inclusive Marketing.

Commentiamo di seguito le tre lezioni più importante che possiamo imparare da questo studio.

#1 Mostrare le diversità senza paura

Una comunicazione inclusiva rappresenta la diversità in modo reale ed autentico, considerando qualsiasi dimensione umana, senza limitarsi solo all’età, al sesso o all’orientamento sessuale o all’etnia.

La pubblicità inclusiva si basa sull’empatia per capire fino in fondo il target di riferimento e rappresentarlo in modo accurato. La rappresentazione autentica della realtà, di fatto, aumenta la fiducia e il supporto del Brand da parte del pubblico.

Le aziende devono fare il possibile per far sentire le persone comprese attraverso l’inclusione: questo significa anche utilizzare immagini autentiche e non stereotipate. La scelta delle immagini è una parte fondamentale per offrire agli utenti un’esperienza significativa e inclusiva.

Un esempio di brand altamente inclusivo in questo senso è Zalando, che per esempio collabora su Instagram con la modella diciottenne Ellie Goldstein, affetta da Sindrome di Down, scelta già da Gucci quest’estate per una campagna di beauty.

 

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#2 Allineare il messaggio pubblicitario ai nove sentimenti di inclusione

In generale, la pubblicità inclusiva evoca due sentimenti principali – gioia e fiducia – ma in modo più ampio si parla di nove sentimenti di inclusione che sono in grado a portare l’utente a provare gioia e fiducia.

Marketing Inclusivo

Se una pubblicità riesce a suscitare in modo genuino e autentico anche solo uno di questi sentimenti, riesce di conseguenza a trasmettere un senso di inclusione che crea fiducia, gioia e lealtà nei confronti del Brand.

Questi nove sentimenti sono:

  • Celebrazione delle persone stesse, dei loro successi o più in generale delle occasioni di festa;
  • Entusiasmo per la vita, per il pianeta, per il quotidiano, etc;
  • Speranza per vincere sfide personali o affrontare problemi sociali;
  • Relax per allentare la tensione o l’ansia che le persone possono provare nel loro quotidiano;
  • Sollievo da preoccupazioni, ansie, problemi personali o sociali;
  • Sicurezza attraverso la creazione di esperienze personali o collettive;
  • Giustizia sforzandosi di agire sempre nel modo giusto;
  • Accettazione della realtà, delle differenze, delle diversità;
  • Chiarezza e trasparenza, senza diffondere ambiguità o confusione.

Un altro punto di contatto emotivo con i consumatori sono i segnali linguistici e le metafore, che evocano sentimenti positivi. Se utilizzati nel giusto contesto e in modo autentico nel testo pubblicitario, che si tratti dei canali social o del sito web, questi possono aiutare il brand a trasmettere un senso di inclusione.

Marketing Inclusivo

#3 Garantire l’accessibilità degli annunci, delle piattaforme e dei contenuti

Infine, è importante controllare che gli annunci, le piattaforme e i contenuti promozionati siano accessibile a tutti.

Non importa quanto sia perfetto un prodotto o quanto – sulla carta – sia inclusivo un messaggio pubblicitario, una persona su quattro in Europa o negli Stati Uniti potrebbe non ricevere il tuo messaggio.

Cosa vuol dire? Secondo le Nazioni Unite, questo è il rapporto tra le persone con disabilità e la popolazione generale: più di un miliardo di persone nel mondo convive con una disabilità.

L’inclusione digitale è fondamentale perché fornisce a tutti l’accesso a servizi, prodotti, dati, informazioni e istruzione, indipendentemente dal tipo di disabilità da cui sono affetti.

I marketers devono prestare particolare attenzione a questo tema per riconoscere questi ostacoli, incontrare una soluzione e riuscire a includere nella comunicazione anche quella persona su quattro che se no, rimarrebbe esclusa.

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i paesi dove è meglio nascere donna

I paesi migliori dove nascere donna (e quelli peggiori)

  • Due istituti di ricerca hanno sviluppato un indice per misurare il benessere delle donne in base a 11 indicatori relativi alla sicurezza, l’indipendenza e la società
  • I paesi migliori dove nascere donna sono in Nord Europa
  • L’Italia è indietro nella classifica, ma ha guadagnato quattro posizioni rispetto al 2017

 

Il Georgetown Institute for Women, Peace and Security ed il Peace Research Institute di Oslo hanno creato un indice a livello globale, chiamato WPS, per fornire un quadro completo sul benessere delle donne e il loro livello di emancipazione. L’indice WPS del 2019 classifica 167 paesi comparando undici indicatori. Sono stati misurati i seguenti parametri: la media degli anni trascorsi a scuola, il tasso d’occupazione, l’accesso alla tecnologia come per esempio agli smartphone, l’indipendenza finanziaria, la presenza di norme e leggi discriminatorie, la percezione di sicurezza ed il tasso delle violenze domestiche. Gli istituti aggiorneranno questa classifica ogni due anni.

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Essere donna oggi: le discrepanze in Europa

Anche se non esiste un paese senza violenza, disparità e discriminazione, in Nord Europa si trovano i paesi migliori dove nascere donna. In cima alla classifica si piazza la Norvegia, seguita dalla Svizzera, dalla Danimarca e dalla Finlandia. Poi Islanda, Austria, Regno Unito, Lussemburgo ed al decimo posto i Paesi Bassi. L’Italia, invece, è solo al ventottesimo posto della classifica. Ha guadagnato 4 posizioni rispetto al 2017, ma il percorso verso la cima è ancora lungo. Mentre il governo austriaco ha appena disposto la riduzione dell’iva su tamponi & Co., altri paesi, come l’Italia o il Belgio, riportano uno dei tassi più alti di violenze sulle donne. Seppur vicine geograficamente, queste realtà europee sono distanti anni luce per quanto riguarda il rispetto delle donne.

Indice violenza domestica

Indice di violenza domestica sulle donne in Italia creato dal Georgetown Institute

 

La Polonia (venticinquesima in classifica) quest’anno ha emesso una sentenza contro l’aborto, che ha suscitato molte proteste e manifestazioni. Un grave passo indietro nell’emancipazione delle donne, perché a decidere sul loro corpo non saranno più loro stesse. Una manovra del governo che non risolve di certo il problema di chi se lo pone. Piuttosto che ricorrere ad un divieto, un Paese emancipato dovrebbe puntare ad informare, a fornire consulto e supporto a chi ne ha bisogno. Un divieto all’aborto può favorire l’aumento delle operazioni clandestine e con esse anche l’aumento del rischio sanitario delle donne che si sottopongono a questo tipo di interventi.

La (dis)parità di genere in Italia

Il Global Gender Gap Report 2020 conferma la totale assenza di un Paese equo e non discriminatorio nel mondo. Tuttavia, i primi cinque Paesi della classifica (Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Nicaragua) hanno colmato almeno l’80% dei divari di genere. Su 153 Paesi, l’Italia risulta essere solo in settantaseiesima posizione.

L’Osservatorio indifesa Terre des Hommes e ScuolaZoo ha svolto un’indagine tra i giovani sulla percezione della disparità di genere, le discriminazioni, il bullismo ecc. Dai dati emerge che l’85% è consapevole dell’allarme femminicidi in Italia. Da notare anche la differente percezione del pericolo: 7 ragazzi su 10 ritengono vi sia un rischio di femminicidi fondato, si sale a 9 su 10 invece per le ragazze.
Nell’indagine condotta nel 2018 su un campione di 1.262 ragazze dai 13 ai 20 anni si evince inoltre che il 30,98% è d’accordo con l’affermazione che “quello che succede tra le mura domestiche è un fatto privato e nessuno ha il diritto di intromettersi.”

Indagine sulla violenza domestica

Infografica di Osservatorio indifesa e Scuola Zoom

 

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Gli Stati peggiori per le donne

Gli Stati peggiori in cui nascere donna sono quelli in cui le norme discriminatorie, le violenze domestiche ed il sessismo raggiungono livelli molto elevati.

“Sappiamo dalla preponderanza dei dati che c’è una correlazione nelle società dove la violenza pervasiva, basata sul genere, può portare ad una maggiore instabilità ed ad un eventuale conflitto.” Melanne Verveer, Executive Director of the Georgetown Institute

Non è un caso quindi che gli ultimi Paesi della classifica WPS siano paesi in conflitto: Yemen, Afghanistan e Siria. Yemen e Siria si collocano anche tra le ultime posizioni del Gender Gap Report, riportando un divario di genere molto alto. Non esistono Stati completamente liberi da discriminazioni e disparità, ma esistono decisamente dei Paesi dove è meglio nascere donna rispetto ad altri.

i social network e la censura

Se i social media diventano editori: il pericolo della censura. Intervista ad Alberto Mingardi

Cosa sta accadendo nel mondo dei social media? La recente decisione di Facebook e Twitter di bannare il presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, come fosse un utente qualsiasi, è una scelta che sembra andare ben oltre gli “standard della community” e crea un precedente preoccupante. Ne abbiamo parlato con Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, professore associato di Storia delle Dottrine Politiche all’Università IULM di Milano e autore di “Contro la tribù – Hayek la giustizia sociale e i sentieri di montagna”.

I nuovi media sostituiranno i social tradizionali?

Può un social network censurare le idee? Il caso Trump apre interrogativi sul potere della tecnocrazia ed accendo il dibattito. Quale saranno gli effetti futuri? Assisteremo ad una fuga degli utenti verso i media emergenti?

«La censura di Trump crea un doppio cortocircuito. Equipara di fatto i social network agli editori tradizionali, scegliendo di non dare voce a un utente, esattamente come farebbe l’editore di un quotidiano – sottolinea Alberto Mingardi – L’interrogativo attuale, a fronte  delle problematiche in cui sono coinvolti, tra cui i diritti di copyright, a difendersi sostenendo di non essere editori, d’ora in avanti? Dall’altra, mette in crisi coloro che hanno sempre denunciato i social perché sottratti alla regolamentazione pubblica: Twitter e Facebook si sono, letteralmente, autoregolati. L’espulsione di Trump è un atto eclatante ed apre un dibattito che si svilupperà a lungo».

censura sui social media

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Le Big Tech, nate come espressione del libero mercato, sembrano ormai legate indissolubilmente ai decisori politici, tanto da fornire output non desiderabili, tali da far fallire le proprie stesse premesse. Il risultato è un conglomerato di potere, più vicino alle logiche del crony capitalism che del free market.

Parler in crescita

Alla censura in atto su Twitter e Facebook si è unita l’offensiva contro Parler da parte di Google e Apple (con la rimozione dell’App dai rispettivi store online) e di Amazon dai propri server. La fuga degli investitori, testimoniata dai crolli in borsa delle piattaforme, si tradurrà anche in una fuga degli utenti verso piattaforme alternative? In una logica di libero mercato l’ipotesi diventa realistica, nel momento in cui altri player saranno in grado di offrire servizi altrettanto interessanti. Anche se lo scoglio resterà sempre il solito: la massa critica di persone che andranno ad animare una nuova piattaforma e quanto il valore aggiunto di quest’ultima verrà percepito dagli utenti, sempre più polarizzati in “tribù” distinte e impermeabili tra loro.

«Twitter e Facebook ci ricordano tutti i giorni come sia cambiato Internet – continua Mingardi – Speravamo fosse uno spazio aperto, nel quale potesse svilupparsi un dibattito più razionale e sereno, invece i social replicano, in certi casi inasprendola, la tribalizzazione anche politica che si riscontra nelle nostre società. Il cerchio delle cose che leggiamo si restringe. Gli algoritmi dei social media aiutano ciascuno di noi a costruire la propria echo-chamber, impermeabile a qualsiasi contaminazione di altre opinioni».

censura su Trump

Alberto Mingardi

Professor Mingardi, l’assenza di dibattito radicalizza ogni utente sulle proprie posizioni? La comfort zone dei propri amici diventa quella del proprio algoritmo di gradimento.


«La frequentazione assidua di queste piattaforme rinforza le convinzioni di ogni utente, un po’ come un tempo si faceva comprando in edicola l’Unità e il Giornale. Solo che qualsiasi quotidiano, anche il più schierato, è plurale negli argomenti trattati: nei media tradizionali c’era sempre l’articolo di cricket in un magazine stampato per gli appassionati di calcio.

Nel nuovo mondo polarizzato, alcune tribù hanno avuto più successo di altre, come nel caso di quella dei sostenitori di Donald Trump nel 2016. Quattro anni fa nessuno o quasi si sarebbe aspettata l’elezione del candidato repubblicano, che aveva costruito un grande seguito su Twitter (memorabile la sua battuta al raggiungimento del milione di follower: “È come avere il New York Times, senza pagare per il suo bilancio in dissesto”). La sua lezione non è stata sprecata e nel frattempo anche i democratici si sono messi al lavoro per recuperare terreno. La comunicazione politica è diventata così sempre più aggressiva, intollerante, tribale».

censura dei social media su Trump

Riconoscere una fake news

Le fake news bastano a censurare il post di un account privato. Chi decide e come si riconosce una notizia fake?
«Quando ti metti a definire una fake news non ne esci più. Cos’è realmente? Alcune sono evidenti, altre meno. Dove comincia la “balla” e dove inizia l’opinione? È un lavoro che possono fare i fact checkers, ma anche costoro debbono crearsi una reputazione “sul mercato”: guai se diventano censori ufficiali.
Le misure di contrasto alle fake news riprendono anche un po’ il target dei social, riflettono gli utenti: FB, che è più popolare e trasversale ha lasciato più libertà di circolazione delle idee rispetto a Twitter, che ha filtri più coerenti con la sua base utenza».

Serve una normativa? Molti decisori politici invocano un provvedimento che ponga limiti allo strapotere delle piattaforme social.
«Regolare decisioni arbitrarie di soggetti privati, come le Big Tech, con le decisioni, altrettanto arbitrarie, della politica e della legge? Forse non è la soluzione migliore. Bisognerebbe scommettere sulla diversificazione e sul mercato: se le persone non si troveranno bene in una piattaforma, migreranno in un’altra piattaforma, quando qualcuno proporrà loro offerte alternative e altrettanto credibili. Si pensi alla crescita di Linkedin, che è una specie di porto sicuro dalle polemiche più urlate. Vedremo come evolverà Parler, ora che Twitter ha cacciato Trump».

censura dei social media

I social media diventano editori proprio nel momento in cui la fiducia nei media tradizionali è al minimo storico.


«L’assenza di fiducia nei media tradizionali non per forza è un fatto positivo: le grandi testate hanno anche una funzione di scrematura dei punti di vista, l’opinione di mio cugino vale meno di quella del fondo del Wall Street Journal. Si presume che chi scrive per queste testate abbia una capacità di analisi maggiore. I grandi media hanno la funzione di dirti che ci sono cose che meritano la prima pagina e altre che stanno bene a pagina 25, una funzione preziosa, ben diversa dalla home di un social, che invece è basata su una scala di importanza personalizzata per i gusti di ciascuno di noi.

La crisi dell’editoria, e dei media tradizionali in generale, ha portato questi editori a motivare la propria tifoseria, tribalizzando a loro volta l’informazione: solo un altro modo per tamponare l’emorragia di lettori e ascoltatori, una strategia che tuttavia non sembra funzionare molto. Quello delle tifoserie è un gioco che, ad esempio, è stato chiaro per tutto il 2020 con l’isterismo pandemico, alimentato dai media tradizionali in una rincorsa perversa agli umori dei social».

censura

Attrarre l’audience

Il problema dell’autorevolezza, non riguarda solo i media ma anche la comunicazione politica. La pazienza delle persone è poca, l’intrattenimento è tutto: tempo una frazione di secondo si deve decidere se scrollare la home o soffermarsi su un tema.

«La comunicazione politica dovrebbe portare a conoscere qualcuno che mi somiglia ma che, per preparazione su certi temi e capacità, è meglio di me. Questo era il vecchio approccio: attualmente, nella sfiducia generalizzata, la gente si accontenta di intrattenimento: se lo show è divertente mi accontento, anche se i protagonisti non sono migliori di me e forse sono perfino peggio.

Il problema è che finché concedo il 5% del Pil all’intrattenimento (cinema, teatro, Netflix…) la situazione rientra nella normalità, ma se noi scegliamo i politici come in base alle loro doti di entertainment, stiamo scegliendo persone, sulla base di questo criterio, per affidargli metà del PIL; questa eventualità, che si sta concretizzando nelle nostre società attuali, diventa un problema.

Alberto Mingardi, Contro la tribù

Alberto Mingardi, Contro la tribù: Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna, Alberto Mingardi, Marsilio, 2020

La narrazione mainstream è ormai un “framing” preciso che esclude ogni altra “versione dei fatti”, censurandola dalla storia ed escludendo ogni revisionismo? 

C’è sempre una realtà, tra le tante possibili, che diventa mainstream a discapito di altre. Eppure non sempre la versione che sopravvive è anche la più aderente ai fatti. Prendi l’esempio del Titanic: uno sceneggiatore del film di James Cameron trovò che un banchiere, a bordo, era rimasto sulla nave che colava a picco citando il posto al suo maggiordomo. Ne discussero con il regista e gli altri autori ma scelsero di non inserirlo nel film. Perché? Forse perché erano convinti che le persone non si sarebbero appassionati alla vicenda, forse perché gli sembrava troppo strano che un riccone potesse essere anche una persona animato da tanto spirito di sacrificio. In un caso o nell’altro, vediamo un approccio ideologico magari non “scelto” apertamente ma senz’altro pervasivo e penetrato a fondo nelle nostre società».

A proposito di Hollywood: in prima fila, nelle proteste contro Trump, artisti, intellettuali, influencers e celebrità. Sembra cambiato poco da fine anni ’60, quando contro Nixon iniziò una vera e propria rivolta, capeggiata dalle star.

«Gli artisti, gli intellettuali da sempre sono stati “contro” il potere costituito, offrendo spesso una visione alternativa, ma la cose dai tempi di Nixon sono cambiate moltissimo: le proteste di ieri hanno gettato le fondamenta culturale dell’establishment di oggi. Molto spesso la ribellione è di maniera e in realtà perfettamente coerente con presupposti ideologici comunemente accettati, soprattutto nel mondo della comunicazione e dello showbiz. C’è un conformismo dell’anticonformismo».

Trump

Abbiamo citato Parler che, come altre piattaforme, si sta affacciando nel mercato dei social media. Se la soluzione non può arrivare dallo Stato, dovrà arrivare giocoforza dal mercato: nuove applicazioni, oppure…

«La mia proposta è far pagare la gente per scrivere. Un piccolo pedaggio. Sembra una proposta scandalosa e irricevibile ma se ci pensi non lo è: un tempo il costo per comunicare le proprie idee, o mandare a quel Paese qualcuno era alto. Se avevi un reclamo da fare a un’azienda, ad esempio, dovevi prendere carte e penna e perdere tempo e soldi per la spedizione della lettera. Oggi il costo di una comunicazione di questo tipo è irrisorio, il tempo di due minuti per scrivere un tweet; l’utente consumatore si ritiene invincibile e spesso comunica alle aziende con una certa aggressività, pretendendo risposte esaustive e in tempo reale. Per non dire dei commenti agli articoli di giornale: una sfilza di vaffa, neanche troppo infiorettati. Ma questa veemenza perché non viene utilizzata nei confronti degli operatori pubblici? Perché sui social media e online si trasferiscono le nostre aspettative della realtà: dalle aziende private e dai brand ci aspettiamo efficienza, mentre nei confronti dello Stato non abbiamo aspettative, perché siamo già abituati alla sua inefficienza. Insomma, e se tornassimo a fare pagare alla gente il francobollo?».

USA, Xiaomi nella blacklist e il titolo crolla in borsa a Hong Kong

Xiaomi, la big tech dell’elettronica cinese, terza al mondo nella produzione di telefoni cellulari, crolla in borsa ad Hong. A soli sei giorni dall’abbandono della Casa Bianca, l’ultimo atto del presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, che inserisce Xiaomi nella lista nera, designandola come “compagnia militare cinese comunista”.

Xiaomi nella blacklist USA

xiaomi ban di trump

Il Dipartimento della Difesa USA ha comunicato, infatti, che il colosso cinese rientra in una nuova lista di aziende contro le quali gli Stati Uniti imporranno specifiche restrizioni, con l’ordine per società e investitori statunitensi di disinvestire in Xiaomi entro l’11 novembre.

L’intervento di Biden potrebbe ribaltare la decisione, ma sorprende al momento la presenza di un’azienda elettronica come Xiaomi nella lista nera, inclusa tra i nove nomi di società evidenziate dal Dipartimento della Difesa, molto più orientate all’industria specializzate in aviazione, aerospaziale, cantieristica navale, chimica, telecomunicazioni, edilizia e altre forme di infrastruttura.

Anche Huawei, il secondo produttore di telefoni al mondo, è sulla lista, ma in quanto costruttore di apparecchiature di telecomunicazione su larga scala.

Immediata la replica di Xiaomi e il portavoce dell’azienda ha affermato di:

Operare in conformità con le leggi e i regolamenti pertinenti delle giurisdizioni in cui svolge le proprie attività. Non è di proprietà, controllata o affiliata all’esercito cinese, e non è una compagnia militare cinese comunista.

Al vaglio anche le conseguenze economiche e il riflesso in termini di immagine della disposizione USA, prima di intraprendere qualsiasi azione.

Xiaomi

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La Bigtech potrà utilizzare Android e Google Play

Se Huawei è nella “Entity list”, ovvero l’elenco delle entità del Dipartimento del Commercio statunitense che impedisce all’Usa di esportare tecnologia ad aziende inserite nella lista nera, evitando qualsiasi collaborazione,  Xiaomi invece fa parte del gruppo che vieta investimenti diretti. Questo significa che Xiaomi non perde la possibilità di utilizzare Android, Google Play o chip Qualcomm (a differenza di quanto accaduto a Huawei), ma al tempo stesso le aziende USA che hanno quote in Xiaomi saranno costrette a rivedere le proprie posizioni.

Il Dipartimento del Commercio si sta muovendo per impedire a sei interi Paesi, designati come “avversari stranieri”, di fornire apparecchiature di comunicazione agli Stati Uniti, inclusi Cina, Russia, Iran, Corea del Nord, Cuba e il governo del venezuelano Nicolás Maduro.

Essere vegani, dai social alla tavola: la ricerca di TheFork ispirata al Veganuary

A pochi giorni dall’inizio della challenge Veganuary, che ogni gennaio incoraggia le persone a seguire uno stile di vita vegano per un mese, TheFork, l’app leader per la prenotazione dei ristoranti online a livello globale, ha coinvolto la sua community in un sondaggio dedicato a questa scelta alimentare. Il 19% dei rispondenti ha dichiarato di conoscere l’iniziativa e di questi l’8,5% ha aderito dal 1° gennaio. Il 27% degli utenti che invece ne hanno appreso attraverso il sondaggio, hanno dichiarato che avrebbero partecipato a seguito del questionario.

Veganuary e dieta vegan: il ruolo dei social media

L’importanza che l’alimentazione vegan sta assumendo nella dieta di molte persone d è testimoniata non solo dalle adesioni record del Veganuary 2021 (500.000 nella prima settimana), ma anche dall’ampia conversazione che esiste circa l’argomento sui Social Media. Basti pensare che su Instagram le menzioni per l’hashtag #vegan superano i 105 milioni e quelle per #veganuary sono più di 1 milione. Diversi personaggi noti sono diventati ambassador della dieta vegana, da volti più internazionali come Joaquin Phoenix, Ariana Grande e Miley Cyrus, fino a star italiane come ad esempio Simona Ventura, Paola Maugeri o ancora Anna Oxa. I dati raccolti da TheFork lo confermano: il 30% sostiene di aver approfondito la propria sul veganesimo grazie ai Social Media.

I motivi principali per la scelta di una dieta vegana

Se i social media rappresentano una fonte di conoscenza del veganesimo, le motivazioni principali di chi sceglie uno stile alimentare vegan sono: la salvaguardia degli animali, la riduzione del proprio impatto ambientale sul pianeta e infine motivi di salute. Il 34% dei rispondenti ritiene infatti questo tipo di alimentazione più sana.

Le tipologie di ristoranti più apprezzati

Se invece si parla di ristoranti ad attrarre maggiormente gli utenti sono quelli che offrono una cucina vegetariana (71%), vegana (17%) o la meno nota crudista (6%), ossia una dieta che prevede il consumo di soli alimenti crudi.

Vegano ma non solo, qualche indirizzo di TheFork

La Luce, Poianella di Bressanvido, (VI) – Orto di famiglia, agricoltori locali e cucina naturale. La Luce è un ristorante dai sapori autentici in cui scoprire il vero gusto delle ricette vegetariane e vegane. Questo ristorante offre il servizio di consegna a domicilio. Puoi ordinare chiamando direttamente da TheFork.

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Selezione Naturale, Torino – “Fruit, music and vegetable”. Queste tre parole ben descrivono l’atmosfera di Selezione Naturale, un ristorante completamente dedicato alla materia prima, che viene rigorosamente da produttori locali, e alla cucina vegetariana e vegana. Questo ristorante è aperto a pranzo e offre servizio di consegna a domicilio e asporto.

L’OV – Osteria Vegetariana, Firenze – Prendete i migliori piatti della tradizione toscana e uniteli al gusto di una cucina vegetale. Otterrete così la prima osteria vegetariana di Firenze: ambiente moderno e di design e un menù tutto da provare. Questo ristorante è aperto a pranzo.

Solo Crudo, Roma – “Raw cooking and gentle cooking”, cucina cruda e gentile. Cosa significa? Che i piatti di questo ristorante sono crudi oppure preparati con cotture particolari. Il risultato? Un menù gustoso, sano e davvero originale. Questo ristorante è aperto a pranzo.

Lo Famo Sano, Pomigliano d’Arco (NA) – Un nome ironico ma sicuramente evocativo. Da Lo Famo Sano il menù è interamente vegetariano e vegano, composto da piatti preparati con la materia prima locale e soprattutto con creatività. Questo ristorante è aperto a pranzo.

influencer marketing

Come TikTok e le Stories di Instagram stanno facendo crescere il valore degli Influencer

  • Nell’ultimo anno il mercato dell’Influencer Marketing è cambiato profondamente e le sole attività di sponsorizzazione su TikTok sono cresciute del 130%
  • Secondo una ricerca condotta da Klear, la quota di mercato dell’industria degli influencer della Generazione Z è cresciuta del 9%
  • Con il passaggio dai post ai contenuti brevi (come le stories) i creator di Instagram e TikTok hanno visto incrementare il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente

 

Secondo la ricerca State of Influencer Marketing, condotta da Klear, il 2020 è stato l’anno del cambiamento.

La pandemia provocata dal Covid-19 ha colpito le vite di tutti noi modificando molti aspetti della nostra quotidianità.

La stessa fruizione della rete e dei contenuti social è cambiata e questo cambiamento ha messo in moto un processo di adattamento e innovazione anche per creators e marketers.

Nonostante il periodo poco favorevole, gli investimenti pubblicitari in influencer marketing sono stati ingenti. Gli influencer hanno incrementato il loro valore del 57% rispetto all’anno precedente, confermando il potenziale di questo settore. La sola piattaforma TikTok ha visto un’attività di sponsorizzazione del 130% in più rispetto all’anno precedente. Insomma, il settore continua ad affermarsi e ad essere importante nella strategia di marketing mix.

Tiktok

Quali settori e categorie di influencer sono cresciuti nell’ultimo anno su Instagram e TikTok

Secondo l’ONIM, Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing, il mercato degli influencer è maturo.

Nel 2020 i settori più interessati alle collaborazioni sponsorizzate su Instagram e TikTok sono stati (in ordine):

  1. Moda
  2. Fitness
  3. Fotografia
  4. Lifestyle
  5. Beauty
  6. Viaggi
  7. Famiglia
  8. Food
  9. Fai da te
  10. Design.

I settori che hanno più risentito della crisi sono stati Food e Viaggi. Indubbiamente la loro penalizzazione è stata dettata dai vari lockdown.

Nella stessa ricerca di Klear condotta su un campione di 5mila influencer, si legge che l’utilizzo dell’hashtag #ad nei post di Instagram è diminuito del 19% su base annua mentre l’utilizzo delle Stories sponsorizzate è cresciuto del 32%. Questo significa che il consumatore è più interessato a contenuti instant rispetto a post statici.

Le stories di Instagram sono contenuti più facili da monitorare per la conversione.

Sebbene Instagram sia sempre stata considerata una piattaforma utile al raggiungimento degli obiettivi di brand awareness e consideration, l’utilizzo delle stories ha fatto emergere la possibilità di monitorare il conversion rate di una campagna di Influencer Marketing.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

Basti pensare al fatto che all’interno delle stories è possibile aggiungere un link per monitorare l’atterraggio alla pagina web dedicata. Inoltre si possono inserire adesivi, domande, sondaggi ed altri elementi utili all’engagement. In una campagna di Influencer Marketing il creator può registrare un video in cui prova un prodotto e/o un servizio e ingaggiare il pubblico con un contenuto di impatto inserito all’interno della sua routine.

Questo genere di storytelling non si può costruire con la pubblicazione di uno o più post, non si possono inserire link e al di là della pubblicazione del video, non essendo il post un contenuto istantaneo, perde il suo spazio nella veloce narrazione quotidiana dell’influencer.

TikTok, invece, è il social che è stato più scaricato nell’ultimo anno. Tra i trend emersi nella ricerca di Klear vi è lo spazio che la Generazione Z si sta ritagliando nel mercato dell’Influencer Marketing. Sebbene la crescita dei contenuti sponsorizzati #ad non ci sia stata nella maggior parte dei mercati, quello degli influencer tra i 18 e i 24 anni è salito del 9% rappresentando oggi il 31% dell’intero comparto.

I marketers e i brand non possono fare a meno di considerare che i giovani e i giovanissimi aumenteranno sempre più il loro potere di acquisto, quindi investire in questo campo sarà inevitabile.

generazione Z - Tiktok

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La Generazione Z è formata dai nativi digitali che sono a proprio agio con le espressioni neutrali di genere, sono più istruiti rispetto ai membri delle altre generazioni e hanno valori sociali e politici progressisti. Questi dati possono essere utilizzati dai brand per la scelta dei social da presidiare e degli argomenti da trattare.

Nonostante i problemi e i limiti che la piattaforma TikTok ha avuto negli USA, sono molti i brand che hanno messo gli occhi sui creator della Gen Z e il loro passaggio da Instagram al social TikTok ha contribuito alla crescita di molti di essi. Il social media dei video musicali ha spinto Instagram a rilasciare la funzione Reel. Solo questa scelta di contenuto dovrebbe essere indicatore della crescente importanza che TikTok avrà nell’allocazione dei budget social.

influencer performance Tiktok

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Il valore degli influencer sui consumi

Le scelte dei consumatori sono fortemente orientate dagli influencer e dalle loro storie.

Secondo una ricerca condotta da Valassis sul mercato americano, inglese e tedesco, il 51% degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato un prodotto o un servizio dopo averlo visto utilizzato o promosso da un influencer. Secondo lo studio, l’Influencer Marketing sta avendo un maggiore impatto sugli acquisti perché il tempo di fruizione dei social da parte dei consumatori è aumentato durante la Pandemia.

Il 35% dei consumatori americani, infatti, sostiene di aver effettuato un acquisto non pianificato dopo aver visto qualcosa sui social mentre e il 21% ha dichiarato di aver effettuato un acquisto consigliato da un influencer da quando è iniziata la pandemia. Questi numeri ci fanno capire e percepire il reale potere che i creator hanno sui consumatori e viceversa.

Secondo I trend dell’Influencer Marketing 2021, ricerca condotta da Buzzoole, emerge chi riesce a costruire un’identità distintiva e riconoscibile. Agli influencer non serve essere onnipresente su tutti i canali ma sceglierne alcuni in cui costruire un legame forte con la propria community.

L’attivismo sociale degli influencer di Instagram e TikTok

L’impatto che le nostre scelte hanno nel mondo si riflettono anche sul fatto che i brand e gli influencer si stanno addentrando nel campo dell’attivismo sociale.

Nella ricerca di Klear condotta analizzando i profili social di 100 compagnie si legge che l‘80% dei brand ha supportato sui social la causa #BlackLivesMatter. Nella stessa ricerca si legge anche che il 65% dei consumatori afferma che smetterebbe di seguire un influencer che dice o fa qualcosa non in linea con la propria etica e i propri valori personali.

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Alcuni consumatori stanno abbracciando marchi sostenuti dagli influencer che riflettono la loro consapevolezza sociale. Dunque il futuro dei brand dovrà essere sempre più etico perchè saremo sempre più connessi e consapevoli. Le nostre scelte influenzeranno e saremo influenzati. Diventeremo tutti creator, tutti portatori di valore ed ognuno di noi sarà capace di invertire la rotta e cambiare le tendenze del mercato.

viaggi nel 2021

Travel Industry: cosa aspettarci dai viaggi nel 2021

La crisi sanitaria internazionale ha colpito pesantemente il settore turistico, facendo registrare perdite milionarie nelle economia nazionali di molti paesi europei ed extra europei. 

Probabilmente il settore turistico è stato tra i più colpiti dalla pandemia di coronavirus trascinando con sé la chiusura di ristoranti, piccoli negozi (e non solo), bar, club e molti purtroppo senza la possibilità di ripartire. Senza dimenticare le gallerie d’arte, i musei, gli zoo ed i monumenti in genere.  Molte attività si sono evolute per evitare le chiusure: alcuni musei hanno organizzato tour virtuali e i ristoranti hanno adottato diverse forme di delivery, ma non si è trattato di certo di un cambiamento semplice e soprattutto senza perdite economiche. 

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Si spera che nel 2021, con l’arrivo dei vaccini, la situazione dell’industria del turismo possa migliorare, ma ciò che è certo è che non torneremo a viaggiare liberamente come eravamo soliti fare. 

Se è vero che sarà l’anno della rinascita e della ripartenza, lo è altrettanto il fatto che siamo ancora molto lontani dalla fine dell’emergenza sanitaria internazionale. In questo 2021 saranno ancora numerosi purtroppo, i cambiamenti e i momenti difficili per molti settori.

viaggiare con il coronavirus

I viaggi nel 2021 tra paure e cambiamenti 

Se fino a pochissimi mesi fa visitare città affollate e luoghi traboccanti di gente erano le caratteristiche ideali di un viaggio divertente e indimenticabile, oggi e nei viaggi di prossimi mesi, saranno situazioni che causeranno paura ed ansia ai primi viaggiatori del mondo post-covid. 

I viaggiatori saranno più consapevoli dell’importanza del distanziamento sociale e del rispetto dei protocolli di sicurezza e per questi motivi saranno preferite mete meno affollate, fuori dai classici circuiti turistici in favore di luoghi più remoti e di esperienze più individuali come: percorsi in bicicletta, tour di birdwatching o altre attività all’aria aperta e immerse nella natura. 

Nuovi viaggi di gruppo e scomparsa delle tradizionali mete turistiche

I viaggi di gruppo sono stati per anni delle leve molto importanti per tutta l’industria turistica. Una buona occasione per conoscere nuove persone, scoprire posti nuovi, vivere esperienze indimenticabili e perché no, risparmiare sui costi del viaggio. 

La pandemia, che ha notevolmente modificato l’intero settore turistico, non ha di certo risparmiato i viaggi di gruppo, che non torneranno ad essere gli stessi ancora per molto tempo. I tour operator potrebbero notevolmente modificare le condizioni di viaggio in gruppo, riservandoli solo a conoscenti, a gruppi di persone con rapporti regolari e parenti. 

Senza alcun dubbio, nasceranno nuove mete turistiche con la conseguente scomparsa di altre. Le destinazioni cambieranno e la scelta potrebbe essere basata non solo sul prezzo, ma essere pesantemente influenzata dagli standard igienici adottati, dall’obbligatorietà dell’uso delle mascherine o meno, della qualità dei trasporti pubblici e dalle misure adottate nei mesi scorsi per il contenimento delle diverse ondate pandemiche.

La sicurezza dei viaggiatori sarà il fulcro e l’elemento determinante nella scelta delle destinazioni dei primi viaggiatori del mondo post Covid. Evitare le folle, scegliere destinazioni sicure e adottare comportamenti precauzionali saranno certamente i tre elementi indispensabili dei prossimi mesi o anni.

L’incertezza di viaggi e la diffusione di notizie contraddittorie (a volte false) spingeranno i viaggiatori ad affidarsi  a veri esperti, nella pianificazione degli spostamenti. Per questi motivi, molti tour operator offriranno la possibilità di consultare una persona in grado di illustrare le diverse normative sanitarie da rispettare durante il viaggio e che possa offrire un supporto logistico nel caso di contaminazione in paesi europei o extra-europei. 

viaggi nel 2021

Il fascino delle vacanze alternative

Il fascino delle vacanze alternative è aumentato esponenzialmente dall’inizio della pandemia. Con il susseguirsi delle notizie disastrose provenienti da ogni angolo del mondo, le persone sembrano essere diventate più sensibili rispetto all’impatto ambientale delle loro vacanze e la tendenza influirà anche sui viaggi nel 2021.

Questo interesse sta pian piano alimentando la voglia di viaggi con esperienze del tutto nuove, molto lontane dall’idea classica di vacanza che ci ha accompagnato sino ad oggi. 

Oltre ad i viaggi sostenibili, di gran moda diventeranno i viaggi rigenerativi, che spinge il turismo a compiere un ulteriore passo in avanti. Infatti, se le vacanze sostenibili puntano a  un impatto negativo molto basso compensando le emissioni inevitabili, il turismo rigenerativo punta al miglioramento delle condizioni sociali o ambientali del paese ospitante. 

Tutto ciò è possibile contribuendo attivamente al territorio attraverso donazioni, realizzazione di progetti e il sostegno a cause di grande rilevanza del territorio. 

viaggi nel 2021

2021: l’anno dei viaggi responsabili 

Il 2021 sarà l’anno dei viaggi responsabili, l’anno degli spostamenti per lavoro e per necessità. Se da un lato i principali attori del settore (come le compagnie aeree, le compagnie ferroviarie, gli hotel ed i servizi di noleggio auto) adotteranno nuove misure di contenimento del contagio, obbligando i viaggiatori a certificare le proprie condizioni di salute, dall’altro dovranno riconquistare la fiducia dei viaggiatori e dimostrare che è possibile tornare a viaggiare senza troppe preoccupazioni. 

Altro nodo di fondamentale importanza saranno le precauzioni sanitarie. Le aziende chiederanno con maggiore rigore ai propri dipendenti, in linea con le misure governative, le quarantene prima e dopo i viaggi (con un tracciamento dettagliato di ogni spostamento), l’uso rigoroso delle mascherine e di effettuare i tamponi con maggiore frequenza. 

Tra le novità dei viaggi nel 2021 è prevista anche una maggiore sostenibilità ambientale dei viaggi aziendali. La pioniera in questa direzione è stata Microsoft con l’acquisto di carburante ecosostenibile per i voli dei propri dipendenti, un ulteriore incentivo per il rilancio dei viaggi aziendali in chiave green.

Il rispetto dei protocolli per la sicurezza della salute e la sostenibilità ambientale saranno inevitabilmente i due pilastri dell’industria turistica dei prossimi anni.  Saranno anche le chiavi che permetteranno al turismo una ripresa graduale.

I viaggiatori non hanno perso la speranza di esplorare il mondo e sono molti quelli che non vedono l’ora di prenotare e partire appena possibile per la prossima avventura, magari all’aria aperta e lontano dei luoghi affollati.

Senza dimenticare la fiducia, che ancora è viva nei cuori dei viaggiatori e che sarà l’elemento alla base del rilancio dell’intero settore turistico.