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DIESEL presenta “Unforgettable Denim”, la nuova campagna global firmata Publicis Italia

DIESEL ha annunciato il lancio della sua campagna Autunno 2020, che affonda le sue radici in uno degli elementi chiave del denim da sempre: la memoria.

Il denim migliora con l’uso e diventa una sorta di testimonianza wearable, da indossare, dei tempi passati. I segni della penna sulla tasca? Scarabocchi durante un lungo volo verso un luogo lontano. Il graffio sull’orlo? Da una notte passata a fare festa a Berlino. Il denim raccoglie questi momenti sempre; nemmeno il 2020 può cancellare un bel paio di jeans.

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Generazione covid?

In quello che è stato un anno che ha definito una generazione, DIESEL invita le persone, il mondo intero, a celebrare i ricordi al posto dei progetti messi in standby, e a indossare con orgoglio questi momenti. Per tutti i viaggi, gli eventi, le feste, i progetti, le cerimonie che non hanno potuto avere luogo nel 2020, cogliamo l’opportunità di raccontare i momenti inaspettati, le connessioni avute, il divertimento e i lati positivi di questa situazione.

Al centro della campagna Fall 2020 c’è la nuova collezione denim personalizzabile di DIESEL. Attraverso il portale www.diesel.com – e in alcuni negozi selezionati in tutto il mondo – i clienti potranno personalizzare le etichette in pelle sul denim con qualcosa a cui quest’anno non hanno potuto partecipare.

L’intenzione è quella di celebrare qualcosa che non hanno fatto e quei momenti che, derivando dall’assenza di questi progetti, diventano ricordi. Una festa di compleanno annullata? Festeggiatela ricordandola. Un surf trip posticipato? Create un ricordo per quello che avrebbe potuto essere e usatelo come ispirazione per pianificare la prossima data – sempre con il vostro preferito e unforgettable denim.

La campagna DIESEL global

La campagna multi-soggetto, online e sui social media, racconta storie di vita reale ed è diretta da Pantera di Anonymous Content. I key visual sono firmati da JP Bonino e includono, oltre alla collezione ready-to-wear, gli orologi e gli occhiali DIESEL.

La piattaforma di comunicazione, on air per 2 mesi, seguirà le storie di diversi talents e influencer tra cui Evan Mock, skateboarder e modello. Di solito residente a New York, ha scelto di fare il suo lockdown a Maiorca, in Spagna, riconnettendosi con la natura. Julia Fox, attrice italo-americana, ha recuperato un amore durante l’isolamento. Donte Colley si è guardato dentro diventando più attivo nella lotta per ciò che è giusto. La fotografia è curata da RAYSCORRUPTEDMIND.

DIESEL sta anche collaborando con diversi canceled events, come UNTOLD Festival, uno dei festival musicali più rinomati al mondo, con il quale ha creato una serie di jeans in edizione limitata chiamata Fallen Edition 2020. UNTOLD ha vinto il premio come Best Major Festival in Europa fin dalla sua nascita. In un anno solitamente è visitato da oltre 350.000 fan provenienti da tutto il mondo. Questi fan conserveranno l’edizione 2020 nel loro immaginario – e in un paio di jeans Diesel personalizzati.

Il concept creativo e la produzione di questa campagna sono firmati da Publicis Italia.

Agency Credits

Creative Agency: Publicis Italy
Global CCO Publicis WW: Bruno Bertelli
CCO Publicis Italy: Cristiana Boccassini
Global Executive Creative Director: Mihnea Gheorghiu
Global Creative Director: Eoin Sherry
Head of Art: Costanza Rossi
Associate Creative Director/ Art Director: Arthur Amorim
Associate Creative Director/ Copywriter: Dan Arango
Art Director: Daniele tesi
Copywriter: Nicolò Santovincenzo
Designer/art director: Luca Villa
Strategic Planner: Monica Radulescu
Group Account Director: Ilaria Castiglioni
Account Supervisor: Gonzalo Gutierrez
Head of TV Production: Francesca Zazzera
Tv Producer: Erica Lora Lamia | Beatrice Pepe
Art Buyer: Caterina Collesano | Marcella Garutti
Social Media Manager: Saraluna Goodloe
Head of Social Client Services and Strategy: Alessandro Bochicchio

Film credits

Director: PANTERA
Director of photography: Jake Hunter
Production Company: SOMESUCH & CO LTD X ANONYMOUS CONTENT
Exec producer: Tor Fitzwilliams
Producer: James Greenall

Music credits

Music: Sizzer – original composition with Jackie T & the Jetpacks
Music Supervision: Michael Bertoldini

Print campaign

Photographer: JP Bonino
Post Production: Numerique

Product Still life
Photographer: Wookiee Studio
Post-Production: Zum Studio
Scenography: Micol Di Palma
Photographer Agent: Carla Pozzi

Quali sono le differenze tra Generazione Z e Millennial nelle decisioni di acquisto in store e online?

  • La Generazione Z preferisce vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, toccando con mano e provando in prima persona i prodotti che vuole comprare.
  • Secondo alcune ricerche la Gen Z risulta essere una generazione incline a spendere il proprio denaro in modo pragmatico, a differenza dei Millennial.
  • I giovani consumatori sono più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.

 

Abbiamo ampiamente discusso, nei mesi precedenti, delle differenze di comportamento che intercorrono tra la Generazione Z (coloro nati indicativamente tra la fine del 1990 e il 2010) e i Millennial (coloro nati tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90).

Da lontano queste due generazioni possono assomigliarsi, essendo molto vicine a livello culturale e temporale. È facile presumere che queste due categorie possano pensarla allo stesso modo quasi su tutto, avendo ricevuto la stessa educazione, e che siano poche le cose che non hanno effettivamente in comune.

Ma le differenze in alcuni casi possono arrivare ad essere relativamente abissali, soprattutto perché la Gen Z è nata in un mondo dove ormai Internet e Social Media non erano più una novità da scoprire ma una realtà quotidiana.

Lo stravolgimento delle abitudini d’acquisto e di consumo dei media dettato dalla pandemia di Covid-19, oppure l’arrivo di piattaforme dedicate ai più giovani come ad esempio TikTok, sono solo due dei fattori che hanno accentuato ulteriormente le differenze tra queste due generazioni.

In questo articolo ispirato allo studio pubblicato da GlobalWebIndex analizziamo le differenze che intercorrono tra Generazione Z e Millennials per quanto riguarda le abitudini di acquisto in-store e online, cercando di capire come i brand possono adattare le loro strategie post-Covid19 in base a questi dati.

Lo shopping in-store non è morto

Come abbiamo commentato all’inizio, la Generazione Z è nata in un mondo dove il digitale non è una novità ma una realtà consolidata. Per questo siamo portati a pensare che la Gen Z acquisti prodotti quasi solo on-line, ma i dati lo smentiscono.

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Come dimostrano i dati raccolti, sembra proprio che la Generazione Z, come tutte le altre generazioni precedenti, preferisca vivere la classica esperienza di acquisto in un negozio fisico, per avere la possibilità di toccare con mano e provare in prima persona i prodotti che vuole comprare.

E sembra che, paradossalmente, la pandemia di Covid-19 abbiamo consolidato la vendita al dettaglio, oltre ad aumentare ovviamente il numero di acquisti online.

Ne sono la prova diverse iniziative come l’apertura a Guangzhou e Parigi di nuovi concept-store monomarca di Nike, che sono l’esempio di come un negozio possa diventare un ibrido tra acquisti offline e online.

Una nuova generazione di “risparmiatori”

Nonostante il negozio fisico resista, c’è un aspetto dello shopping in-store che sta lentamente scomparendo: il pagamento in contanti.

Ma questa tendenza, al contrario di quanto si possa pensare, è più diffusa tra i Baby Boomer che tra la Generazione Z. Sembra infatti che con l’aumentare dell’età la preferenza a pagare in contanti diminuisca.


In generale comunque la Generazione Z è maggiormente abituata allo shopping online e ai servizi di pagamento mobile, e questo
distorce la loro interpretazione del “contante”. 

La Gen Z non vede al denaro come una determinata quantità di banconote o monete, ma come un fondo a cui può accedere direttamente e immediatamente (attraverso le carte di credito o servizi come PayPal).

Ma nonostante questo, diversi studi dimostrano che – a differenza dei Millennial – sono più propensi ad aspettare che un prodotto sia in saldo per acquistarlo piuttosto pagarlo a prezzo pieno, in modo da poter risparmiare qualcosa. 

Secondo una ricerca condotta da HSBC infatti la Gen Z risulta essere una generazione di risparmiatori, o meglio sono inclini a spendere il proprio denaro in modo pragmatico. 

In questo studio, HSBC ha chiesto a 2.125 adulti cosa avrebbero fatto con 1.000 sterline in contanti. Circa il 72% dei giovani di età compresa tra i 18 ei 24 anni ha dichiarato che trasferirebbe tutto o parte del denaro in un conto di risparmio, rispetto al 55% dei Millennial (di età compresa tra 25 e 34 anni).

Una particolare attenzione agli acquisti eco-sostenibili 

Una delle motivazioni per cui i giovani della Generazione Z prestano maggiore attenzione ai loro acquisti potrebbe basarsi nell’attenzione che ripongono nei confronti di temi di sostenibilità ambientale.

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Risulta infatti che, rispetto ai Millennial, siano più propensi a sostenere piccoli rivenditori locali oppure brand che rispettano e aiutano l’ambiente.

È giusto pensare che anche gli effetti secondari della pandemia di Covid-19, insieme ai movimenti come Black Live Matters oppure una maggiore coscienza a favore della comunità LGTBI+, siano tutti fattori che influenzano i comportamenti di acquisto di una generazione che è particolarmente attiva socialmente.

Cosa significano queste differenze per le imprese?

Abbiamo visto come la Generazione Z è più interessata a sostenere le attività commerciali locali e a fare acquisti di persona. Questo potrebbe essere un grande vantaggio per quelle piccole attività che stanno riaprendo con fatica dopo il periodo di lockdown.

In generale comunque il marketing generazionale può essere particolarmente produttivo, a patto che sia guidato da dati sicuri e comprovati e non si basi su supposizioni o stereotipi. 

Lo studio di GlobalWebIndex ne è la prova: al contrario di quanto tutti possano pensare, la Generazione Z non è destinata a seguire lo stesso percorso dei Millennial, soprattutto per quanto riguarda le abitudini di acquisto.

retail new normal report

Retail 4.0: la vendita al dettaglio è sempre più personalizzata

  • Oggi, la vendita al dettaglio avviene nei negozi fisici, attraverso l’eCommerce e con l’home delivery.
  • Gli algoritmi, alla base della loro tecnologia, sono in grado di analizzare i comportamenti online e riescono a proporre agli utenti offerte mirate.
  • I retailer devono investire nell’assunzione di Data Specialists e facilitare la formazione continua.

 

Negli ultimi due decenni, la perpetua crescita della tecnologia digitale, ha influito sul retail con profondi mutamenti. I confini tra innovazione e umanità continuano ad intrecciarsi e gli esercenti devono affrontare sfide sostanziali.

In un periodo storico in cui migliaia di negozi sono in crisi a causa del Covid-19 e tante saracinesche si sono abbassate, la riduzione dei margini di guadagno è evidente e la battaglia per fidelizzare i consumatori è più complicata che mai. Una strategia digitale di successo, è un’opportunità per i commercianti così da parlare direttamente ai propri stakeholder e stimolare un interesse diffuso e costante per i marchi e i prodotti.

Oggi, la vendita al dettaglio avviene nei negozi fisici, attraverso l’eCommerce e con l’home delivery. La logistica, la produzione e il servizio commerciale hanno avuto un aggiornamento con format sempre più orientati alla relazione e all’erogazione di servizi aggiuntivi.

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Il digitale ha un ruolo sempre più decisivo nel definire il retail attuale

Le aree di innovazione nel retail

Dal White Paper pubblicato da Thron, si evince che in uno scenario retail destinato ad essere completamente stravolto, il digitale ha un ruolo sempre più decisivo nel definire la nuova formula degli store. La chiave sta in una strategia Customer First, basata sulla fiducia e sull’empatia.

È fondamentale la capacità di anticipare i bisogni dei clienti e sviluppare esperienze d’acquisto personalizzate. Il consumatore, esperto e smart, si aspetta di poter entrare in un negozio e continuare a cercare, trovare e pagare con la stessa esperenzialità che ha con gli strumenti digitali.

Le persone amano le offerte personalizzate, poiché mostrano che un brand si sta interessando a loro con autenticità. Il reatil ad personam aumenta anche la probabilità  di maggiore spesa.  Come riportato da Accenture, un cliente conosce il nome e la storia dei suoi acquisti, ed è in grado di consigliare i prodotti in base all’esperienza vissuta, soprattutto online.

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Personalizzare l’offerta per creare fidelizzazione

La digital tecnology produce la certezza che ogni istante si auto-rigenera: il volantino non basta più, il 6×3 per strada non è più di vitale importanza, così come non lo sono i gadget “brandizzati” distribuiti in-store, ciò su cui si fa leva è la personalizzazione. Strumenti e strategie digitali all’interno dell’attività commerciale: inventari, ordini, sicurezza interna, gestione del magazzino, esposizione ed allestimento, assortimento dei prodotti e sistemi di pagamento, costituiscono tutta una serie di realtà non più analogiche:

  • NFC e portafogli mobili per i pagamenti attraverso il proprio smartphone;
  • RFID per la memorizzazione di etichette elettroniche;
  • Totem interattivi e supporti digitali touch-screen per ordini, acquisti o consultazioni;
  • Videocamere di sorveglianza e sistemi di controlli termici sempre più avanzati;
  • Barcode, QR Code, Data Matrix e SmartCode anche per il semplice biglietto per l’autobus;
  • Wifi, cloud e social media per connettersi al mondo di clienti potenzialmente illimitato.

Nel retail è fondamentale la capacità di anticipare i bisogni dei clienti e sviluppare esperienze d’acquisto personalizzate.

Il nuovo ruolo del digitale nella Customer Journey

Gli algoritmi, alla base della loro tecnologia sono in grado di analizzare i comportamenti online e riescono a proporre agli utenti offerte mirate che:

  • Anticipano i loro bisogni;
  • Eliminano le loro incertezze in fase di discovery;
  • Fanno scoprire nuovi articoli in linea con le loro esigenze.

Dunque c’è un approccio One-to-one e nessun consumatore è uguale a un altro. Secondo Epsilon, l’80% dei clienti ha maggiore probabilità di concludere un acquisto da un brand che offre esperienze ad personam.

Nel retail, la massimizzazione del business transita dai dati. Essi preparano il terreno all’acquisto e devono essere raccolti in tempo reale e l’unico modo che le aziende hanno per tracciare in modo diretto le intenzioni e gli interessi dei clienti è quello inerente ai canali digitali.

La tecnologia informatica dunque è il campo in cui si giocherà la vera competizione tra i retailer: la relazione con i clienti dovrà essere acquisita e consolidata prima dell’ingresso nei negozi, in modo che i dati raccolti servano poi a ottimizzare l’offerta nel punto vendita.

Il Customer Journey in-store diventa così più efficiente e veloce: si riesce ad assicurare a ciascun cliente l’attenzione individuale che merita, senza creare congestioni e rallentamenti nel servizio.

Come si sta evolvendo il retail?

Il content è il punto di contatto per convertire

I contenuti pubblicati sul sito e sui social media diventano il perfect match con i consumatori. Una dettagliata descrizione del prodotto genera un retail di qualità e sicurezza negli acquirenti.

Online i clienti, sono animati dai bisogni latenti o attivi: avvertono di avere un’esigenza da risolvere e cercano soluzioni che possano fare al caso loro. In questa fase dedicano molto tempo alla ricerca di informazioni su prodotti da acquistare. Per attrarli e fare breccia nella loro mente è indispensabile offrire una selezione di contenuti in grado di convincerli e ingaggiarli.

L’esperienza del consumatore deve essere ricca e il contenuto si posiziona a cavallo tra i dati e le risorse multimediali.

La rilevanza dell’approccio omnicanale

L’approccio omnicanale spinge i rivenditori a mappare il percorso del cliente, identificando i punti di contatto che possono fare la differenza tra una vendita e un’opportunità persa. I rivenditori sono incoraggiati a intraprendere questo esercizio e a decidere come sostenere un approccio integrato in tutta l’azienda, sia online che in negozio.

Prendiamo ad esempio il Customer Care. I clienti potrebbero aver bisogno del servizio clienti in negozio se stanno cercando una soluzione immediata, oppure potrebbero preferire la comodità di accedere all’assistenza online o via telefono.

Non dovrebbero esserci incongruenze tra i vari canali. I team offline e online devono presentare un messaggio unificato che abbia la stessa identità.

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I rivenditori riconoscono di avere accesso a una notevole quantità di dati

I dati sono la keyword per migliorare l’esperienza del cliente

I rivenditori riconoscono di avere accesso a una notevole quantità di dati e stanno lavorando attivamente per utilizzarli così da indirizzare meglio i potenziali clienti, ottimizzare l’esperienze d’acquisto e colmare il divario tra esperienza digitale e fisica. L’efficace utilizzo di questi dati dipende dalla presenza di persone competenti. I commercianti devono investire nell’assunzione di Data Specialists e facilitare la formazione continua, per garantire che le loro conoscenze siano effettivamente utili.

Il passaggio successivo consiste nell’applicare le conoscenze dove è necessario. Recenti studi del Digital Marketing Institute hanno dimostrato che per più di un quarto dei rivenditori, l’esperienza del cliente è la priorità numero uno per differenziarsi. I dati che i rivenditori detengono – e analizzano – sono estremamente utili per adattare l’esperienza ai singoli consumatori.

Ad esempio, sapendo quando è più probabile che un cliente navighi in un sito Web, visiti un negozio e infine effettui un acquisto, i rivenditori possono inoltrare offerte che hanno maggiori chances di incoraggiare un’azione.

Se un cliente ha la tendenza a visitare il negozio il venerdì pomeriggio, non ha senso inviare offerte il martedì mattina. Attira la loro attenzione invece venerdì mattina, quando è più probabile che si trovino in zona e desiderino fare una visita. È uno scenario semplice, ma dimostra come un approccio congiunto ai dati nell’ambito del Marketing omnicanale, possa produrre risultati.

Creare una cultura incentrata sul pubblico di riferimento

Attualmente il retail è stato completamente rivoluzionato dalla tecnologia digitale. Ma nonostante tutta l’innovazione il fattore più importante rimane quello umano.

La cultura incentrata sul cliente è essenziale per qualsiasi rivenditore. Presentarsi non è abbastanza; è la qualità della relazione che fa la differenza.

koji social tech

Remix e share: Koji rivoluziona la creatività digitale

  • 1993 e siamo agli albori della rete. Sul New Yorker esce una vignetta di Pete Steiner, diventata poi famosissima, che mostra un cane seduto davanti al computer: “Su internet, nessuno sa che sei un cane”, recita la didascalia.
  • Da allora sono stati fatti un sacco di passi avanti, i social e la rete sono entrati nelle nostre vite, fino a modificare i nostri comportamenti.
  • Tech e social continuano a viaggiare veloci: Koji è una delle ultime novità, in grado di rivoluzionare il mondo dei content creator.

 

Tagga, condividi, metti hashtag, ricambia il follow, follow for follow e throwback. Quanto è cambiato il nostro linguaggio dall’era dei social?

E non solo. Quanto sono diverse le nostre vite dall’epoca Facebook? E quanto ne siamo dipendenti?

Oggi è su Facebook quasi il 90% dei giovani tra i 18 e i 29 anni, ma c’è anche più della metà (il 65%) di chi ha più di 65 anni. Tre quarti degli utenti visitano Facebook ogni giorno e più della metà lo fa diverse volte al giorno per mantenere viva la propria identità virtuale.

Per non parlare poi del mondo del business: Fortune scrive che nove aziende su dieci negli Stati Uniti usano i social network ottenendone aumenti nelle vendite e che “il business non può sopravvivere senza i social network”.

Lo stesso vale per il mondo del lavoro: Forbes afferma che i social network stanno dando forma al futuro del job market. L’attenzione di chi naviga va catturata entro otto secondi e basta un tweet sbagliato per mettersi nei guai.

Pensavamo di conoscerli tutti: Facebook, da cui tutto ha avuto inizio, Instagram, Twitter, Snapchat. Ma poi è arrivato TikTok, chiacchierato e temuto dal governo a stelle e strisce, tanto da bannarlo (forse) negli USA dal 27 settembre.

E poi, da non sottovalutare, c’è Wechat, sviluppato dalla cinese Tencent.

koji social tech

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Sembrerebbe che all’appello non manchi nessuno. Sì, ma tech e social corrono veloce, tanto che si fatica a stare al passo con gli ultimi trend e il prezzo è un’obsolescenza quasi istantanea. Quindi, what’s next?

Koji

Chi può dirlo. In effetti, si va così avanti che a volte il futuro sembra quasi imprevedibile.

Ma tra il panorama delle start-up digitali e social se ne sta facendo largo una che potrebbe rivoluzionare il concetto di content creator.

Si chiama Koji. Made in San Diego (sembra che il polo dell’innovazione tech continui ad essere US based) è una piattaforma che consente ai non user friendly di creare facilmente meme interattivi, giochi e altri contenuti generati dagli utenti, da pubblicare poi sui social. O, per dirla come un Millennial, da “sharare”.

Koji social tech

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Sembrerebbe una newco di vita breve e, invece, ha raccolto dieci milioni di dollari in un round di raccolta fondi.

L’azienda, con dodici dipendenti, guidata dall’ex dirigente Google e Veoh Networks, Dmitry Shapiro, è una piattaforma per la creazione di post interattivi, una sorta di strumento di remix che chiunque può utilizzare per creare e condividere selfie, meme e giochi interattivi sui social.

Remix & share

Sì, il remix non è più solo roba da dj. Già TikTok aveva reso popolare la cultura del remix, prendendo una parte di un contenuto, modificandolo ed utilizzandolo per altri scopi e il social è cresciuto fino a 800 milioni di utenti attivi.

In effetti, il social creato dall’orientale ByteDance, ha promosso la creazione di contenuti non partendo da zero, ma considerando qualcosa di già esistente. Non si tratta di mera copia, ma di combinazione tra vecchio e nuovo e, spesso, i cosiddetti remix riescono ad essere significativamente migliori dei contenuti originali.

Dunque, si utilizza materiale creativo già esistente (immagini, testi, audio, frammenti video) per dare vita a nuova creatività. In questo caso, quindi, vale la formula: copy, transform, combine.

Il tutto è a prova di dilettante, perché chiunque può facilmente remixare e creare giochi, mini app e meme senza saper codificare. Bastano pochi minuti e il gioco è fatto.

Bisogna solo visitare il sito Koji, scegliere un modello (meme, video, immagine) e fare click su “remix” per personalizzare con immagini, colori, suoni ed altre opzioni, per poi condividere il tutto su qualsiasi social.

koji social tech

L’obiettivo è rendere il contenuto virale. Ed è già successo: Burger King, per esempio, ha ritwittato un Koji creato da un fan sulla campagna pubblicitari Moldy Whopper, ottenendo migliaia di riproduzioni.

Creatività democratica

Shapiro crede che i contenuti social interattivi possano creare maggior coinvolgimento e condivisione, portando ad un’eco più ampia rispetto ai tradizionali post statici di foto, video e testo.

In effetti, il futuro dei social sarà il cosiddetto engagement. Ad esempio, i clienti oggi usano i social network per interagire con le aziende: vogliono risposte immediate, consigli, assistenza. E vogliono essere coinvolti (engaged). E come rispondono le aziende? Stando online sempre, pronte a dare feedback 24h.

Non da meno, la piattaforma consente la democratizzazione degli strumenti di creazione, dando una chance anche ai non tech friendly.

koji social tech

Qualsiasi buon media manager, per esempio, potrebbe creare un video o un gioco interattivo, condividerlo sui social e promuovere il proprio marchio.

Sarà una rivoluzione?

Se le nostre vite e i nostri comportamenti sono stati completamente rivoluzionati dai social network, che hanno dato parola e legittimità virtuale a tutti, chissà se ancora tutti, a breve, potremmo definirci digital e content creator.

Le scommesse sono aperte.

milano design city

Milano non rinuncia al design e al Fuorisalone, arriva Milano Design City

  • La creatività e il design tornano, dopo lo stop del Coronavirus, in città e online
  • L’evento, evoluzione della Fall Design Week, intende promuovere la cultura del progetto, con un focus su sostenibilità, economia circolare e riprogettazione degli spazi urbani

Milano non rinuncia al design, il Fuorisalone, rinviato causa Covid, torna a Milano dal 28 settembre al 10 ottobre. La design week (prevista per lo scorso aprile) lascia il posto a Milano Design City: un’edizione autunnale che esplora la cultura del design e dell’innovazione attraverso talk, incontri e tavole rotonde in giro per il capoluogo lombardo.

milano design city

Ritorna a essere settembre il mese del design, con un evento territoriale che unirà virtuale e reale. Un’opportunità unica per inventare nuovi modi di parlare di design, per definire un modello di comunicazione che ibriderà gli spazi digitali e fisici.

L’esigenza di comunicare il design nella nuova normalità post-Covid

Il Fuorisalone è quel rivoluzionario processo che ha portato il business dell’arredamento fuori dal contesto più istituzionale dei padiglioni fieristici, alla ricerca di spazi e modalità espositive inediti.

La pandemia ha creato uno scenario nuovo e inimmaginabile. Nel frattempo i linguaggi visivi e i codici che utilizziamo per comunicare si stanno evolvendo rapidamente e i tentativi di riprodurre in maniera virtuale un evento di tale portata sono ancora incerti.

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Seguendo il format proposto dal Comune di Milano, l’evento diventa un’evoluzione della Fall Design Week degli ultimi quattro anni. La nuova edizione autunnale propone alla città due settimane di eventi, workshop, talk e mostre dedicate al design in showroom, musei e gallerie.

Design City Edition si concentra sul tema della cultura del design e dell’innovazione, con un focus su sostenibilità, economia circolare e riprogettazione degli spazi urbani.

Un nuovo appuntamento per promuovere la cultura del progetto e rilanciare la vocazione di Milano come punto di riferimento per il design internazionale grazie ad un ricco calendario di iniziative digital, con nomi rilevanti del settore industriale e dell’arredo.

La partecipazione sarà sia in loco che online: la piattaforma digitale rimarrà attiva per arricchire i contenuti e promuovere i brand non operanti sul territorio.

Attraverso la sinergia di diverse discipline artistiche e creative, l’evento intende affrontare una rilevante pluralità di temi come quelli dell’economia circolare, del riuso e della sostenibilità.

fuorisalone 2020

Di vitale importanza il supporto degli operatori del tavolo interzone (le zone e i distretti di Milano attivi sul territorio durante tutto l’anno) nell’organizzazione dell’evento. Spazio anche alla progettazione internazionale e alle riflessioni sui nuovi modi di intendere gli spazi urbani e la mobilità delle persone nelle città.

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Milano Design City l’edizione autunnale del Fuorisalone

Brera Design District propone un percorso per coinvolgere gli showroom attivi e organizzare talk e tavole rotonde. In occasione di Fuorisalone Design City Edition in Brera saranno inaugurati e aperti al pubblico nuovi showroom, tra questi:

  • Il nuovo spazio aziendale Marsotto, disegnato da studio Nendo, caratterizzato dalla leggerezza delle linee, rende omaggio alle molteplici produzioni del brand, da sempre dedicato alla trasformazione di marmi e pietre naturali;
  • Mutina presenta Mattonelle Margherita, la nuova collezione realizzata dall’artista Nathalie Du Pasquier, Casa Mutina ospiterà un allestimento ad hoc, attraverso cui il pubblico avrà modo di sperimentare in prima persona l’universo vibrante che caratterizza la collezione.

milano design city

Tra le principali zone del design, percorsi tematici e collettive in:

  • Distretto Durini con Inspire Design si ripropone in maniera coesa come distretto del design in città e promotore della ferma volontà di ripresa. La zona, forte dell’alta concentrazione di flagship store di importanti aziende del settore, sarà animata da presentazioni di prodotto e di ambienti esclusivi. La RE-START vedrà la presenza di numerosi architetti e designer di rilievo, con momenti di confronto e dibattito sulla cultura del progetto. Gli showroom si trasformeranno in veri “atelier di bellezza diffusa” in cui si potrà nuovamente respirare la leggerezza del lifestyle tra i più esclusivi al mondo.
  • 5VIE D’N’A – Design ‘n’ Art for a Better World: un calendario di circa 50 eventi digitali (esposizioni, performance, dibattiti) e una ventina in presenza, su temi come l’innovazione sociale e l’economia circolare, espressi attraverso il design, le arti visive, la musica e la poesia.
  • Isola Design District, secondo l’iniziativa Isola Open Studios, aprirà le porte al pubblico di studi, laboratori e gallerie, programmando incontri per parlare di design sostenibile e biomateriali.
  • Dopo l’edizione di giugno, Tortona Rocks parteciperà anche a Milan Design City per esplorare la ridefinizione degli spazi lavorativi e della mobilità urbana all’interno dell’Opificio 31.

Tra gli altri progetti proposti in occasione di Milano Design City, presso i chiostri del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia appena restaurati grazie al contributo del Comune di Milano e di Regione Lombardia, due differenti iniziative dedicate alla cultura del design a cura della Galleria Rossana Orlandi:

  1. “We Are Nature”, esposizione dedicata all’arte e al design responsabile dove le opere sono create in armonia con la convivenza tra uomo e pianeta e nel rispetto della natura;
  2. “RO Plastic Prize 2020” il “Premio Internazionale” dedicato ai temi del riuso e del riciclo della plastica ed esposizione dei progetti finalisti.

Il programma del Fuorisalone d’autunno è online insieme alla guida eventi con mappa interattiva dedicata al territorio secondo il modello tradizionale proposto da Fuorisalone.it.

digital pr

Investire in Digital PR conviene: ecco alcuni dati e novità

  • Secondo le proiezioni degli analisti, una larga parte del budget complessivo di marketing verrà impiegata nel segmento delle digital PR.
  • Per le imprese italiane oggi è possibile usufruire di un  bonus che include tutti gli investimenti pubblicitari, digital PR comprese, su testate giornalistiche cartacee e online, televisioni, radio nazionali e locali.

 

Il mercato del digital marketing americano prevede per il 2021, nonostante una congiuntura economica fiaccata dalla pandemia da Coronavirus, un investimento totale prossimo ai 120 miliardi di dollari.

Secondo le proiezioni degli analisti, una larga parte del budget complessivo verrà impiegata nel segmento più interessante e futuribile degli ultimi anni: quello delle digital PR.

Impatto e ritorno economico delle digital PR

Se le pubbliche relazioni hanno sempre avuto il ruolo di collegare brand e attività al mondo esterno attraverso il megafono offerto dai media, non deve sorprendere se i professionisti di questo settore sono stati tra i primi in assoluto ad esplorare le potenzialità del web.

digital marketer skill

Con l’avvento di internet dei social network, infatti, gli specialisti della comunicazione hanno compreso prima di altre categorie come la promozione del futuro non potrà più prescindere dall’online.

Ma a cambiare non sono solo le piattaforme: ogni rivoluzione così radicale porta con sé linguaggi e modalità totalmente inedite, e anche le digital PR non fanno eccezione.

Una delle principali ragioni della diffusione così ampia tra professionisti, brand e aziende di ogni fascia e dimensione, è che sempre più consumatori si sentono infastiditi da un certo tipo di pubblicità di stampo tradizionale, che sebbene targetizzata finisce col risultare invasiva e spesso opprimente, oltre che ripetitiva.

Nonostante i dati Istat rivelino come solo 6 italiani sui 10 utilizzino la rete con regolarità, numeri inferiori alla media mondiale, il lockdown e la necessità di lavorare online hanno determinato un incremento statistico senza precedenti.

Dalle mille incertezze del futuro emerge quindi una sola certezza a trovare tutti concordi: il digitale rappresenta più che mail il futuro.

L’interconnessione globale pone tuttavia nuove sfide, rendendo più impegnativo emergere, differenziarsi dalla concorrenza e conquistare la fiducia dei clienti già acquisiti o dei potenziali tali nel mare magnum delle offerte che un consumatore ha, ininterrottamente, a propria disposizione.

Per raggiungere questi obiettivi, i veri capisaldi di una realtà commerciale in grado di prosperare, le pubbliche relazioni si confermano lo strumento più idoneo.

Secondo l’autorevole società di ricerche e raccolta dati americana Schlesinger Group, ricorrere alle digital PR garantisce un incremento di efficacia della propria campagna promozionale sui media di 5.2 volte.

I benefici di un’azione continuativa sono ancora maggiori.

Studiate per generare effetti positivi sul medio e lungo termine, attraverso strategie oculate che consentano di volta in volta di veicolare i valori e i messaggi di un brand, le PR riescono ad influenzare in modo decisivo le opinioni delle persone: il numero di coloro che credono alle pubblicità scende di anno in anno, mentre aumentano le fila di consumatori propensi a sviluppare legami di fiducia con brand trattati spontaneamente dai media.

È possibile farne richiesta a partire dal mese di settembre

Ecco perché non è più possibile farne a meno, e perché cominciare in un periodo di crisi è la scelta migliore.

PR e decreto Cura Italia: una nuova prospettiva per le imprese

Per contrastare gli effetti negativi legati all’emergenza Covid, il governo italiano ha dato vita al decreto ribattezzato “Cura Italia”.

Contenuto tra le misure a sostegno delle imprese, l’articolo 98 del decreto legge 18/2020 (modificante un DL del 2017) renderà ancora più conveniente ricorrere ai professionisti delle pubbliche relazioni per rilanciare, affermare e far decollare la propria attività.

Fino a tre anni fa era possibile scaricare le spese sostenute per campagne pubblicitarie fino al 30% e solo sulla parte incrementale rispetto a quanto investito nell’esercizio precedente.

LEGGI ANCHE: Bonus Pubblicità: cosa cambia con il decreto Cura Italia e quali sono le opportunità per il tuo business

Da oggi in poi, grazie a una novità che promette di diffondere l’impiego delle relazioni pubbliche su larga scala, si potrà scaricare il 50% delle spese sull’intero totale investito.

Questo bonus è destinato a imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali (compreso chi nell’anno precedente non ha effettuato investimenti in tal senso), e include tutti gli investimenti pubblicitari, PR incluse, su testate giornalistiche cartacee e online, televisioni, radio nazionali e locali.

Una misura, questa che renderà ancora più conveniente rispetto al passato pensare ad una campagna di digital PR adeguata alle proprie esigenze.

L’affascinante storia di Netflix che dovresti conoscere

  • Nell’arco di un ventennio Netflix ha cambiato radicalmente tempi e modi di fruizione dei prodotti audiovisivi.
  • Nella realtà dei fatti, la sua nascita non fu esattamente frutto di un colpo di genio.

 

Il “mito” della fondazione di Netflix risale a metà degli anni ’90, quando Reed Hasting, uno dei due founder, si trovava a dover pagare a Blockbuster una penale di 40 dollari per aver restituito in ritardo la videocassetta di Apollo 13. In seguito a quell’episodio, avrebbe iniziato a riflettere sulle possibilità offerte dal mercato dei dvd, allora in ascesa e ancora poco diffuso.

Nella realtà dei fatti, la nascita di Netflix non fu esattamente frutto di un colpo di genio, come ha raccontato Marc Randolph, l’altro founder e CEO di Netflix in un libro di recente pubblicazione, That will Never work.

Le epifanie sono rare. E quando compaiono nelle storie sulle origini, sono spesso troppo semplificate o semplicemente false. Ci piacciono questi racconti perché sono in linea con un’idea romantica di ispirazione e genialità. Ma la verità di solito è più complicata di così.

Quando diedero vita a Netflix, Hashting e Randolph avevano lavorato insieme già per diversi anni da Pure Atria, la software house nella Silicon Valley gestita dallo stesso Hastings, prima che Pure Atria fosse acquisita a sua volta da Rational Software.

Sempre Randolph ha raccontato che la società è stata fondata nel 1997 quando lui e Hastings decisero di creare “the Amazon of something”, e quel qualcosa fu il primo servizio online di noleggio di dvd.

Convertito nell’arco di un decennio dal noleggio allo streaming, Netflix conta ad oggi 151 milioni di abbonati in 190 paesi, con un fatturato di 20,16 miliardi di dollari e un valore azionario di 470,61 dollari (23 settembre 2020).

LEGGI ANCHE: Fase 3: la campagna di Netflix celebra lo “spettacolo” della città che riapre

Il primo servizio Netflix

Nel 1998 Reed Hastings era un imprenditore trentacinquenne che aveva appena venduto Pure, la sua software house, con profitti milionari. Insieme a Marc Randolph, che vantava già ai tempi una brillante carriera come consulente e investitore nella Silicon Valley, aprirono la piattaforma netflix.com, dove si potevano noleggiare online film in formato dvd, che venivano consegnati a domicilio entro 3 giorni lavorativi.

Gli utenti potevano sfogliare una libreria e ricevere il film comodamente a casa a un prezzo accessibile, e poi rispedirlo dopo averlo guardato.

Lanciato inizialmente come “Kibble”, Netflix è un sevizio nativo digitale, che ha offerto una prima alternativa al noleggio tradizionale, mettendo in crisi colossi come Blockbuster.

Nel giro di un decennio, infatti, Blockbuster vide i propri affari crollare, per poi dichiarare bancarotta nel 2010 e sparire completamente dalla circolazione 3 anni dopo.

Netflix-Blockbuster

E pensare che esattamente 10 anni prima il CEO di Bluckbuster aveva liquidato una proposta di collaborazione da parte di Reed Hastings e sempre nello stesso periodo rifiutò di comprare Netflix per 50 milioni di dollari. Ad oggi, Netflix ha una capitalizzazione di mercato di 209,74 miliardi di dollari (luglio 2020).

La svolta streaming

In quegli anni, in parecchi avevano fiutato la nuova opportunità di business, non solo per il noleggio per posta, ma anche per i primi servizi di download a pagamento, Amazon e Apple in prima linea.

Dal lato suo, Netflix ha sempre saputo distinguersi per la personalizzazione del servizio: fin dal 2001 è stata introdotta sulla piattaforma la sezione “consigliato per te”, che utilizzava le valutazione degli utenti per intercettare i gusti e anticipare le scelte.

Ma la vera svolta è avvenuta nel 2007 con il lancio del servizio streaming “Watch now”, che consentiva di guardare istantaneamente film e programmi televisivi sul loro computer. Gli utenti avevano accesso ad un massimo di 18 ore di streaming gratuito, numero variabile in base al piano di abbonamento dell’utente.

Lo streaming fu lanciato inizialmente come plus per gli abbonati al noleggio per posta e accessibile dallo stesso account, ma era chiaro da subito che sarebbe stato il futuro dell’intrattenimento: alla fine del 2007 Netflix aveva 7,5 milioni di abbonati con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente.

La debacle di Qwikster

Nonostante le intuizioni fossero quelle giuste fin dall’inizio, la storia di Netflix non è stata sempre una vie en rose.

Nel 2011 Hastings decide di scorporare il servizio streaming da quello del noleggio di dvd, che rese accessibile separatamente, con il nome di Qwuikster. I due servizi avrebbero avuto due account diversi e il piano tariffario sarebbe variato in base al servizio o al pacchetto di servizi selezionato.

In pochi mesi la piattaforma aveva perso circa 600 mila abbonati e le azioni della società metà del valore.

Nonostante ciò, Hastings decise in un primo momento di mantenere una linea dura, tenendo separato il servizio di noleggio, ma circa un mese dopo dovette arrendersi al malcontento del suo pubblico e abbandonare i suoi piani per Qwikster.

Il 2017 è un altro anno nero per Netflix

Anche il 2017 è stato un anno tutt’altro che roseo. All’inizio dell’anno Netflix introduce la funzione di download e subito dopo si ritrova nel mezzo di un’azione legale per la violazione di un brevetto depositato nel 2000, che ha coinvolto anche altre piattaforme tra cui SoundCloud, Vimeo, Starz, Mubi e Studio 3 Partners. La causa fu intentata da Blackbird Tech, una piccola società cosiddetta patent troll, ovvero che non svolge nessuna attività, ad eccezione di detenere brevetti generici per puoi muovere azioni legali contro altre aziende.

Per concludere l’anno in bellezza, Netflix commette un errore, abbastanza grave per un brand del suo calibro che comunica sui social. In un tweet, si rivolge direttamente a 53 utenti che all’inizio di dicembre avevano riguardato quotidianamente per diversi giorni la commedia romantica natalizia Christmas Price.

 

Oltre che per i toni, il tweet ha suscitato parecchie reazioni negative, in quanto ha reso lo spettatore molto più consapevole della precisione con cui le sue abitudini di visione vengono monitorate, sollevando preoccupazioni in fatto di privacy.

Cosa ha in serbo Netflix per il futuro

Come scrive Randolph nel suo libro, “per ogni idea buona, ce ne sono mille cattive”. In effetti, la storia di Netflix è stata un po’ una scommessa fin dall’inizio: quando il progetto era ancora al suo stadio embrionale, nessuno dei due founder sapeva dove sarebbe andato a parare.

Tra le idee che Randolph racconta di aver presentato ad Hastings c’erano: articoli sportivi personalizzati, tavole da surf personalizzate, cibo per cani formulato individualmente per il tuo cane.

Tutto ciò che sapevano è che l’attività che stavano avviando avrebbe coinvolto la vendita online, orientandosi da subito verso un servizio che fossa altamente customizzato. Il sistema su cui è basato Netflix porta sempre in evidenza i contenuti che possono interessare all’utente, in base alle sue interazioni.

Attualmente, molti esperti ritengono che il futuro per Netflix potrebbe non essere così radioso, a causa dell’esplosione di altri servizi streaming emersi negli ultimi anni, che sembrano minacciare il suo dominio.

Ma, che questo sarebbe avvenuto, Netflix pareva saperlo già da diversi anni, ragion per cui nel 2018 ha investito ben 12 miliardi di dollari per la produzione di contenuti originali nella sua libreria, circa l’88% in più rispetto al 2017.

Anche per quanto riguarda i suoi piani per il futuro, l’azienda resta orientata verso la produzione in casa di film e serie tv, piuttosto che sull’introduzione di un sistema basato sulla pubblicità, a cui si è opposta fin dal principio.

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Digital sales: come vendere online con email e sms

Lockdown, quarantena e distanziamento sociale hanno cambiato radicalmente le previsioni di crescita di moltissimi settori economici, tanto online come offline. Alcuni settori tradizionalmente trainanti, come il turismo e la moda, hanno avuto un crollo globale; altri, come il commercio online, hanno ricevuto un impulso oltre qualunque previsione, tanto da portare all’inizio di una vera e propria trasformazione digitale.

Con il lockdown è cresciuto l’e-commerce (+80% di richiesta dei beni di largo consumo tra il 17 febbraio e il 15 marzo 2020), in particolare nel settore Retail a beneficio di e-commerce e marketplace come i colossi Amazon e Zalando.

Proprio per aiutare i mercati a sfruttare il boom del mercato online, MailUp ha recentemente pubblicato un ebook dedicato a come vendere online con email e SMS.

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Il cambiamento del mercato post Covid-19

Il focus da tenere presente, nella comunicazione digitale, è il cambio di percezione del mercato, che non mette più al centro il prodotto ma il cliente e l’esperienza di acquisto in sé; diventa sempre più fondamentale dunque creare una relazione duratura e strutturata con il cliente.

La strategia vincente, per relazionarsi nel modo corretto con il proprio target, è segmentare i clienti profilandoli per creare comunicazioni personalizzate, rilevanti e dunque più efficaci di quelle generiche.

Metodi di data collection che riuniscono i dati di varie piattaforme mettendoli in relazione tra loro, permettono di raccogliere e organizzare in modo organico, all’interno di una Single Customer View univoca, tutte le informazioni di cui un e-commerce dispone sui vari canali utilizzati, ottenendo una segmentazione più precisa, una migliore customer experience, processi interni più lineari e una migliore attribuzione delle conversazioni – anche one-to-one.

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L’importanza dell’omnichannel

Gestire un e-commerce in ottica multicanale significa mappare tutte le informazioni a disposizione e creare profili a 360° dei contatti; il data mapping offre un quadro completo di tutti i dati raccolti nei vari touchpoint dei funnel intrapresi e nei punti di raccolta.

Lavorare in ottica omnichannel è la condizione necessaria per sviluppare campagne segmentate di email e SMS, strategie di Marketing Automation o hyper personalization.

I dati di un utente a disposizione di un brand si classificano in anagrafici, comportamentali, di interazione, per preferenze e abitudini di acquisto; in base alla frequenza di acquisto i contatti si dividono in frequenti, sporadici, VIP e loyal: per ogni categoria di cliente sarà necessario sviluppare una strategia di comunicazione e relazione specifica.

In ottica multicanale, integrare gli SMS in una strategia di Email Marketing è vincente perché:

  • il 75% dei consumatori ne ha un’opinione positiva
  • il loro tasso di apertura è circa del 98%
  • il 97% della popolazione superiore ai 16 anni ha una sim card
  • il costo per contatto è più basso rispetto agli altri canali di advertising

La segmentazione vale anche per gli SMS, che funzionano meglio se personalizzati e rilevanti; gli SMS possono essere segmentati per filtro geografico, demografico e comportamentale.

Cosa si intende per Marketing Automation e perché è vantaggiosa?

La Marketing Automation permette di creare flussi automatici (workflow) per la gestione di processi ripetitivi come la programmazione e l’invio di campagne email attraverso l’uso di automatismi ovvero regole che vengono messe in atto al verificarsi di determinate condizioni (trigger).

Automatizzando i processi, la Marketing Automation facilita la progettazione di un customer journey completo, raccogliendo in automatico i dati più rilevanti sull’utente lungo tutto il suo percorso online e aiuta gli e-commerce a definire un calendario editoriale via email e SMS.

La Marketing Automation:

  • aumenta del 14% la produttività commerciale
  • implementa i lead aziendali nell’80% dei casi
  • accresce i tassi di conversione dei lead del 53%

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Email di benvenuto

È importante creare una relazione tra cliente e brand, in particolare in fase iniziale ovvero quando il consumatore potrebbe non essere pronto all’acquisto; l’invio di una email o SMS di benvenuto dà inizio al processo di onboarding e stimola la fidelizzazione dei clienti:

  • il 76% delle persone si aspettano di ricevere un’email di benvenuto dopo essersi iscritte a una lista
  • i tassi di apertura delle email di benvenuto sono più alti di tutti gli altri tipi di email (l’open rate medio è del 50%).

MailUp ha sviluppato soluzioni che permettono di segmentare con precisione le campagne e quindi anche email di benvenuto introducendo, recentemente, filtri avanzati per massimizzare la personalizzazione di email e SMS su tre livelli: campi dinamici (per la personalizzazione di una sola parola o stringa di testo), contenuti dinamici (con una struttura modulare dell’email); immagini dinamiche (per l’inserimento di visual, foto o illustrazioni).

Il carrello abbandonato

Il 79% dei processi di acquisto non si conclude con una transazione: il rimedio è la creazione di campagne automatiche di recupero carrello, progettate per riportare l’utente alla conversione con modalità automatiche, personalizzate e multicanale.

Secondo Bluecore hanno un alto tasso di conversione (2,63%) e un click-to-conversion rate di 21,78%.

Email e SMS transazionali

Si tratta di comunicazioni che si piegano a essere utilizzate per vari scopi, in particolare informativi: notificano un acquisto o l’attivazione di un servizio, confermano un pagamento, avvisano di una consegna, restituiscono all’utente i suoi dati di accesso, etc.

Sono le comunicazioni con il 69% di possibilità in più di essere aperte rispetto alle altre email di marketing, ottenendo il 165% di clic in più.

I brand possono utilizzare email e SMS transazionali, considerati dal 64% dei consumatori utili a migliorare l’esperienza di acquisto, per fare upselling o cross-selling e inviare email di ringraziamento, email di conferma ordine o spedizione, reminder di scadenza dell’account, email testuale di customer care; gli SMS sono considerati un canale perfetto per ottenere feedback o recensioni online dai clienti, con una risposta media del 45%, secondo OneReach.

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Campagne di riattivazione

La riattivazione degli account dormienti passa da una strategia di Marketing Automation che in genere riesce a riattivare circa il 10% degli utenti; si calcola che in ogni database almeno un quarto dei contatti è dormiente, ovvero non interagisce con le comunicazioni che riceve. L’input migliore è stimolare nuovamente tali utenti per sfruttare il loro potenziale di acquisto.

Come vendere con email e SMS secondo MailUp

  • Crea un ecosistema digitale in ottica omnichannel integrando tutte le piattaforme e sincronizza i dati sul singolo cliente per riconoscerlo lungo tutto il suo journey.
  • Mappa tutte le informazioni a tua disposizione nei vari touchpoint del funnel e crea profili a 360° dei tuoi clienti. Invia form di profilazione per integrare le informazioni che ti mancano e usa sempre un approccio Customer Data Quality
  • Profila e segmenta i contatti in base ai dati personali, il comportamento e le inclinazioni di ciascun utente: questo ti permetterà di inviare comunicazioni personalizzate molto più efficaci di quelle generiche.
  • Innesca flussi automatizzati per coltivare la relazione con il cliente in tutte le fasi del customer journey, dall’iscrizione all’e-commerce fino alle campagne di fidelizzazione, in automatico.
  • Integra gli SMS alle email per raggiungere il cliente nel 98% dei casi. È il miglior canale per gestire le comunicazioni transazionali e di customer care, offrire suggerimenti e promuovere prodotti.

Scarica il nuovo ebook dedicato alle strategie per massimizzare le vendite via email e SMS e scopri tutti i consigli di MailUp in tema e-commerce.

La comunicazione turistica in Italia: dal Bonus Vacanze alla Ferragni

  • La consegna a Chiara Ferragni del Leone d’Oro a Venezia chiude ufficialmente il cerchio di un’estate turistica all’insegna degli Influencer.
  • Il marketing turistico post-Covid ha mutato i paradigmi di comunicazione ma non è riuscito a lasciare un segno o a smuovere le persone.
  • Gli influencer come i Ferragnez, invece, hanno saputo catalizzare l’attenzione e portare visibilità e prenotazioni alle destinazioni. Ma è davvero abbastanza per la comunicazione turistica in Italia?

 

È di pochi giorni fa la notizia che Chiara Ferragni, l’imprenditrice diventata un’eccellenza italiana internazionale quasi al pari del parmigiano, si è trovata a stringere tra le braccia un altro Leone (oltre a suo figlio): il Leone d’Oro di Venezia.

Un premio prestigiosissimo nell’ambito della Biennale di Venezia, più noto in campo cinematografico ma assegnato anche “al merito” in diverse occasioni.

E proprio questo è successo pochi giorni fa all’ombra di San Marco: che il Leone d’Oro è andato a Chiara Ferragni per, rullo di tamburi, “l’impegno civico dimostrato per l’Italia in questo periodo di emergenza, ricordando a tutti le bellezze di cui l’arte, la cultura e la tradizione italiana sono ricche“.

L’influencer nostrana infatti ha scelto di passare le sue vacanze estive in Italia, visitando diverse località più o meno note e raccontandolo al suo seguito sui social. Con come risultato una valanga di “cuori” che si è tradotta anche in concreti incrementi in termini di visite e prenotazioni. Il cosiddetto “effetto Ferragnez“.

Ed è proprio in questa nuova veste di Travel Influencer che Chiara ha ricevuto il suo premio.

 

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As you know I’m a big supporter of Italy and its hidden treasures, and this is the reason why in these days I’m in Venice to show you some of the most magical places that are still not that mainstream. For this reason and for the civic engagement and commitment I gave to my country, Italy during these hard times today I received the Leone d’Oro, which is the most prestigious award that you can receive in the city of Venice. This is just the beginning and my goal is to do more everyday, for my country and my people. Come molti di voi sapranno sono una grande supporter dell’Italia e dei suoi tesori nascosti soprattutto in questo momento difficile per il turismo, e proprio in questi giorni mi trovo a Venezia per mostrarvi alcuni luoghi ancora poco esplorati. Per aver scelto la città di Venezia come tesoro da far conoscere al mio pubblico internazionale in questi tre giorni in laguna e per l’impegno civico dimostrato per l’Italia in questo periodo di emergenza ricordando a tutti le bellezze di cui l’arte, la cultura e la tradizione italiana sono ricche, sono stata insignita dalla città del Leone D’Oro. Questo è solo l’inizio ??

Un post condiviso da Chiara Ferragni ✨ (@chiaraferragni) in data:

È questo l’apice di tante cose. L’apice dei motivi per cui chi apprezza Chiara Ferragni come donna e come imprenditrice poliedrica l’apprezzerà ancora di più, perché è riuscita a passare dalla moda al turismo senza intoppi, confermandosi davvero una “Regina Mida” che in qualunque settore si muove, fa piovere oro.

Dei motivi per cui chi odia Chiara Ferragni la odierà ancora di più, perché vede nella consegna di un premio così prestigioso (a una persona che “non ha fatto altro che girare l’Italia a scrocco tutta l’estate”, come è stato variamente scritto sui social) una grave onta.

L’apice di un’estate strana per il turismo italiano, che è rimasto duramente colpito dagli effetti del Covid ma che ha saputo in molti casi vivere una delle sue stagioni migliori di sempre.

Infine, l’apice di un trend di comunicazione a livello turistico nel nostro Paese che fa acqua da tutte le parti, e che quindi consacra giustamente Chiara Ferragni a paladina della promozione territoriale perché sì, è probabilmente la cosa migliore che ci potesse capitare.

Ma facciamo un passo indietro…

La comunicazione turistica in Italia nell’estate del Covid

Prima di parlare di cosa ha fatto o non ha fatto la Ferragni per il turismo italiano, è opportuno chiedersi cosa ha fatto l’Italia stessa per il suo turismo. Per un settore che è stato valutato fino al 13% del PIL nazionale.

Da quando il Coronavirus ha reso evidente che nel 2020 non ci sarebbe stata un’estate tradizionale all’insegna dei viaggi, molti dei Paesi in cui il turismo ha un peso maggiore hanno iniziato a preoccuparsi profondamente.

In Italia siamo esattamente in questa situazione. A giugno si prevedevano 12,8 milioni di viaggiatori e 56 milioni di pernottamenti in meno rispetto all’estate 2019 (dati Cst per Assoturismo Confesercenti).

Fortunatamente, è stato fin da subito chiaro che alla mancanza di turismo incoming dai Paesi extra-europei avrebbe sopperito un rinnovato patriottismo italiano, e che la maggior parte delle persone abituate ad espatriare durante le vacanze avrebbe passato l’estate in Italia.

Per stimolare il turismo nelle varie regioni e zone, dalle più note alle meno conosciute, è quindi partita la solita gara alla comunicazione territoriale (principalmente basata su materiale video). E ne abbiamo viste davvero di ogni.

C’è stata la campagna nazionale, che era noiosa già dal titolo :”viaggio in Italia – per un’estate italiana“. Praticamente ogni regione si è cimentata nel suo cortometraggio, spesso senza riuscire particolarmente a distinguersi o a centrare il punto, a parte il caso di assoluta maestria della Sicilia Occidentale.

Sono cambiati i “trending topic” del turismo italiano: dal mare più bello del mondo alla promessa di un’ulteriore sanificazione degli ambienti, dalla cultura e l’arte alla sicurezza e il distanziamento.

Il governo ha provato a dare una spinta ulteriore con la manovra del Bonus Vacanze, che però, come è capitato per altre attività, è stato accolto in maniera altalenante. Complici le difficoltà burocratiche per richiederlo, alcuni albergatori che hanno provato a fare i furbi e altri che si sono trovati in difficoltà ad accettarlo, il risultato pare essere stato sotto le aspettative.

Condisci il tutto con qualche polemica e diversi scivoloni, come quello di Easyjet sulla comunicazione promozionale a dir poco discutibile sulla Calabria, e hai un quadro completo della comunicazione turistica in Italia nel 2020.

LEGGI ANCHE: 5 modi alternativi con cui easyJet avrebbe potuto descrivere Lamezia

L’Influencer Marketing nel turismo: un tema controverso

Tutto quanto sopra fa da sfondo alla vicenda in apertura. Perché è in questo contesto di comunicazione turistica italiana post-Covid un po’ confusionario e povero di risposte innovative, che assume tanta più rilevanza il tema dell’influencer marketing.

Perché diciamocelo, gli influencer, e Chiara Ferragni in testa, questo lo sanno fare: sanno far parlare di sé. Ed è proprio ciò di cui avevano bisogno alcune destinazioni turistiche quest’anno.

Come Firenze. I luoghi che hanno sofferto maggiormente del calo del turismo di quest’estate sono soprattutto le città d’arte di cui l’Italia è piena.

Con lo spauracchio del virus in attesa tra le folle ai musei, e la mancanza di turisti stranieri che solitamente riempiono Piazza della Signoria anche con 40° ad agosto, Firenze e le sue compagne d’arte hanno vissuto duramente questa estate post lockdown.

E non c’è video istituzionale che tenga, quando si tratta di convincere le persone a superare la paura.

Un metodo semplice e sicuro però c’è, secondo la logica a noi tanto cara del “purché se ne parli“: coinvolgere gli influencer.

E quando si parla di influencer, in Italia chi c’è più in alto di lei, Chiara Ferragni?

Tra lei e il marito Fedez hanno una platea di pubblico di circa 30 milioni solo su Instagram. E poi, ed è qui il punto, coinvolgere loro in una qualsiasi operazione di marketing significa muovere tutto il corredo: stampa gossippara, post sui social dei lovers & degli haters, post degli altri influencer che si accodano, etc etc.

E così è quello che in tantissimi hanno deciso di fare quest’estate: come il B&B a Manarola alla Cinque Terre che li ha ospitati in cambio di foto e commenti favorevoli sui social, portando in due giorni i follower delle pagine della struttura da tremila a trentamila e, a detta del proprietario, moltiplicando le prenotazioni.

O la Galleria degli Uffizi di Firenze, appunto, che ha coinvolto la famiglia più famosa del web in un tour guidato.

 

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Ieri ed oggi … I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del ‘400 da #SandroBotticelli nella Nascita di #Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de’Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata da Sandro Botticelli, tanto da diventarne sua Musa ispiratrice. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di followers -una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social – Il mito di Chiara Ferragni, diviso fra feroci detrattori e impavidi sostenitori, è un fenomeno sociologico che raccoglie milioni di seguaci in tutto il mondo, fotografando un’istantanea del nostro tempo. ?ENG: Beauty standards change in the course of time. The female ideal of a blonde- haired woman with diaphanous skin is a very common beauty model in the Renaissance. Masterfully expressed by the Florentine Sandro Botticelli in The birth of Venus maybe portraying the face of one of his contemporary, Simonetta Vespucci. A beautiful noble woman, of Genoese origin, beloved by Giuliano de’ Medici, the younger brother of Lorenzo the Magnificent ; she was so worshiped by Sandro Botticelli that she became his muse. Nowadays, Chiara Ferragni, born in Cremona, embodies a role model for millions of followers – a sort of contemporary divinity in the era of social media – The myth and the story of Chiara Ferragni, argued by harsh critics and supported by faithful fans, is a real sociological phenomenon that involves millions of supporter worldwide and it can undoubtedly be considered a snap-shot of our time.

Un post condiviso da Gallerie degli Uffizi (@uffizigalleries) in data:

LEGGI ANCHE: Le “colpe” di Chiara Ferragni agli Uffizi

Il risultato, a quanto pare, è stato un successo. Il numero che è rimbalzato per tutto Internet è diventato quasi un meme: +27%.

“Oltre all’inedito dato degli Uffizi trend topic su Instagram e Twitter, c’è quello, concreto di ben 9312 visitatori accorsi in galleria tra venerdì è domenica. […] Inoltre un vero e proprio boom di giovani in museo: un aumento del 27%, ha comunicato in una nota diffusa il direttore Eike Schmidt.

Insomma, una strategia di influencer marketing che sembra aver più che ripagato l’investimento (che tra l’altro non sembra sia stato economicamente rilevante) degli Uffizi.

Però qui arriva il punto… è davvero questo il massimo che gli Uffizi potevano ottenere dalla venuta dei Ferragnez? E non parlo della visibilità, che è stata indubbiamente tanta, ma di ciò che è rimasto. A parte ovviamente un post in cui si paragona Chiara alla Venere di Botticelli.

In un mondo digitale che vive di contenuti di valore, sicuramente l’Influencer marketing fatto in questo modo funziona (come il tour dei Ferragnez ha dimostrato ampiamente), ma forse è un peccato che non faccia nulla di più.

Da un punto di vista di comunicazione, è una mossa tristemente geniale: significa sguinzagliare un peso da novanta, senza avere la minima strategia o un obiettivo chiaro. Significa ammettere di non essere in grado di promuoversi in maniera più strategica, e quindi farlo fare a qualcun altro.

Forse gli influencer andrebbero coinvolti in un modo più originale, più creativo.

Chiara, la regina della moda sui social, davvero non ha nulla di offrire di più concreto del suo bel visino? La Galleria degli Uffizi avrebbe potuto preparare una vera e propria strategia di influencer marketing, invece che una semplice “incursione”, e beneficiare probabilmente di più di una simile collaborazione in termini di comunicazione turistica.

Ottenendo non solo visibilità ma, magari, anche del materiale di comunicazione. O una linea di magliette brandizzate Chiara Ferragni. O qualsiasi altra cosa strategicamente interessante e rilevante.

Perciò la vera vincitrice di questa campagna, se così si può chiamare, di influencer marketing turistico non è l’Italia, né Firenze, né gli Uffizi.
È Chiara Ferragni stessa. Perché alla fine tutto ciò che noi abbiamo dalla sua visita agli Uffizi è una foto di Chiara davanti ad un quadro.

Lei invece per questa e per le altre sue dimostrazioni di “impegno civico” ha ricevuto come attestato il Leone d’Oro a Venezia, e si è consacrata ancora di più nell’Olimpo delle celebrità.

E quindi applausi a lei, che il suo lavoro lo sa fare davvero benissimo, e che è davvero la promotrice migliore che poteva capitarci. Un po’ meno all’Italia e alla sua comunicazione turistica.

negozi fisici

I negozi fisici possono trarre vantaggio dalla crescita dell’online

Questo articolo è scritto da Jason Spero, Vice President, Global Business di Google

 

Rispetto ai primi mesi del 2020, la nostra vita oggi è molto diversa. Durante il lockdown, l’impiego della tecnologia da parte di aziende e persone è aumentato e ha subito un’accelerazione di circa cinque anni in otto settimane, con un impulso del telelavoro, della didattica a distanza, dell’eCommerce, dei rapporti sociali online. Il tempo trascorso in rete è aumentato come mai prima, e le persone si rivolgono a Google per esplorare, fare ricerche e programmare gli acquisti che effettueranno online e nei negozi fisici.

È un momento difficile per i proprietari di punti vendita fisici, ma massimizzare la propria presenza online può davvero aiutare a raggiungere potenziali clienti che vogliono fare acquisti di persona. Ciò che emerge con chiarezza è la crescente importanza per i clienti di vivere un’esperienza retail fluida tra online e offline.

jason spero google

Jason Spero, Vice President of Global Business at Google

Come stanno cambiando le abitudini di acquisto

Sappiamo che le abitudini di acquisto stanno cambiando: oggi i consumatori sono più attenti nel programmare una visita in negozio ed è cresciuto l’interesse verso le informazioni aggiornate in tempo reale. Le persone vogliono sapere cosa aspettarsi da un punto vendita prima di recarsi sul posto, conoscere gli orari di apertura, la disponibilità di prodotti in magazzino e se è possibile ritirare i propri acquisti.

In Germania, per esempio, abbiamo notato che l’interesse per la ricerca “orari di apertura oggi” è raddoppiato rispetto all’anno scorso. Durante la crisi, le ricerche per le parole “in magazzino” a livello mondiale sono cresciute di oltre il 700% rispetto allo stesso periodo del 2019. Inoltre, le persone ritengono più importante fare acquisti in negozi locali: se consideriamo in questo caso l’Italia, le ricerche contenenti le parole “vicino a me”, infatti, nel corso degli ultimi mesi sono aumentate del 300%.

Recenti studi condotti da Google mostrano che la pandemia ha reso le persone più flessibili riguardo agli acquisti online o offline: il 73% si descrive come indifferente rispetto alla scelta del canale di vendita (dato in crescita del 65% dal periodo pre-crisi). Sebbene la crisi abbia accelerato l’adozione delle tecnologie digitali e le vendite online siano in aumento, secondo quanto rivelato da una nuova ricerca di Euromonitor ci si attende che la gran parte degli acquisti verranno ancora effettuati in negozi fisici entro il 2024 (il 78% del totale, contro il 22% di acquisti online).

coronavirus-filiera-agroalimentare italiana

Come stimolare la crescita dei negozi fisici, oggi

La missione del mio team è aiutare imprese di ogni dimensione a stimolare la crescita raggiungendo il consumatore ovunque si trovi, online o in negozio, e porre in essere la trasformazione digitale affinché diventi accessibile per più inserzionisti. Uno dei pilastri perché ciò sia possibile è costruire strumenti digitali in grado di facilitare la connessione tra i negozi fisici e i clienti nel momento in cui l’acquirente programma gli acquisti futuri.

A maggio abbiamo lanciato il “ritiro all’esterno” per gli annunci di prodotti disponibili localmente per creare un rapido collegamento diretto tra gli acquirenti locali e i prodotti di cui hanno bisogno, rendendo il ritiro della merce più sicuro e più semplice, senza la necessità di entrare in un edificio.

Dopo 48 ore dall’inizio del lockdown e dalla chiusura dei negozi in Francia, Castorama, retailer francese di prodotti per bricolage, aveva lanciato un servizio di ritiro dall’esterno. Per tenere costantemente informati i propri clienti, Castorama ha aggiornato il proprio profilo Google My Business e ha introdotto per la prima volta la “Panoramica degli annunci di prodotti disponibili localmente”, mettendo in evidenza il nuovo servizio offerto. In questo modo, ha decuplicato le vendite online in dieci settimane.

Anche i nostri annunci per le campagne locali possono incrementare le visite nei punti vendita: lo ha scoperto il discount di abbigliamento tedesco Takko, la cui prima campagna in assoluto, condotta all’inizio di quest’anno, ha generato un aumento del 40% nel numero dei clienti nei negozi. Per rendere ancora più semplice la comunicazione di dettagli importanti per ogni azienda, abbiamo recentemente introdotto gli attributi di servizio nelle campagne locali, grazie ai quali i ristoranti potranno specificare l’offerta di servizi quali la consumazione sul posto o il take away nei propri annunci di campagne locali sulla Ricerca Google.

Presto, inoltre, aggiungeremo alcuni attributi per il commercio al dettaglio, come “shopping in negozio” e “ritiro dall’esterno”. Questa serie di funzionalità aiuterà i clienti a usare gli strumenti digitali per esplorare il mondo che li circonda, fornendo loro sicurezza e rassicurazioni ancora maggiori nel recarsi in un punto vendita fisico.

È fondamentale misurare l’impatto delle campagne online sulle visite in negozio e sulle vendite, ed è per questo che miglioriamo costantemente le funzionalità offerte. Volksbanken, la principale cooperativa di credito in Germania, ha ottimizzato le proprie campagne grazie alle funzioni Visite in negozio e Smart Bidding, generando un incremento del 320% nel traffico delle filiali. Volksbanken ha potuto misurare queste prestazioni grazie ai rapporti sui dati, aggregati e anonimi, forniti da Google.

Oltre a proporre campagne incentrate sull’aumento delle visite in punto vendita, abbiamo iniziato a integrare la misurazione delle vendite in negozio nel nostro prodotto automatico Smart Bidding. Creato con grande attenzione al rispetto della privacy, Smart Bidding permette a retailer e ristoranti di ottimizzare automaticamente le “vendite in negozio” sulla Ricerca Google, proprio come Smart Bidding già permette di fare con le conversioni online e le visite in punto vendita.

Considerando le così tante opzioni disponibili, abbiamo pensato di creare il nostro Advertising Solutions Centre, un semplice hub con prodotti, insights e consigli appositamente pensati per raggiungere i propri obiettivi di marketing, compreso l’aumento delle vendite in negozio.

Ci attendono ancora molte difficoltà in futuro, ma le strategie e gli strumenti di marketing online possono aiutare tutte le aziende a sostenere la ripresa, fornendo le informazioni di cui hanno bisogno per affrontare i cambiamenti in atto nel settore retail.

Fonti: 

  • Google Trends, IT, prima settimana di aprile vs prima settimana di agosto 2020. 
  • Google, Smart Shopper Research. UAE, IL, RU, SA, ZA, DE, UK, TR, EG, NL, SE. All product buyers of CE, Home, Fashion, Toys. n=11047 (11453). 2019 – 2020. 
  • Euromonitor (custom consulting project for Google). UK, USA, DK, SE, ES, IT, DE, FR, PL, NL. Retail Foresight. n=9577. June 2020.