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TikTok introduce nuovi strumenti di lead generation

Quando le aziende scelgono TikTok, sanno che tramite la piattaforma potranno comunicare in maniera inedita e originale con il proprio target, diventando parte integrante della community. Inoltre, grazie ai formati video immersivi, a tutto schermo, sound-on e di breve durata, riescono a catturare l’attenzione delle proprie audience, e al contempo far crescere la base clienti e aumentare l’impatto sui ricavi.

First-party

Uno scenario che oggi si arricchisce con la lead generation, la soluzione first-party di TikTok che aiuta le aziende a raggiungere i clienti e promuovere la conversione in modo semplice. In pochi, semplici tocchi, ora sarà possibile comunicare prodotti e servizi in modo più accattivante e interessante.

La lead generation sarà un aiuto concreto per le aziende di qualsiasi dimensione a creare interazioni per raggiungere i prospect e convertirli in potenziali clienti. Ad esempio, per gli utenti sarà possibile compilare con maggiore facilità eventuali form e fornire le proprie informazioni (come nome, e-mail o telefono), segnalando così il proprio interesse per quel particolare prodotto o servizio.

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Per rendere ancora più efficiente l’esperienza, inoltre, le informazioni di base che gli utenti già forniscono in fase di iscrizione alla piattaforma potranno essere inserite automaticamente. La lead generation di TikTok consente inoltre di creare messaggi completamente personalizzabili. Le lead possono essere scaricate manualmente o, se integrate con un CRM aziendale, attivate immediatamente. In questo modo, le informazioni degli utenti inserite nei form garantiscono alle aziende di raggiungere i clienti interessati in modo non intrusivo.

Con l’integrazione della lead generation, quando gli utenti inviano i propri dati a TikTok visualizzeranno un’informativa sulla privacy che chiarisce che si stanno raccogliendo le loro informazioni per gli inserzionisti, con link alla relativa policy di TikTok e a quella dell’inserzionista. Le informazioni personali compilate automaticamente nella lead generation saranno accessibili solo all’inserzionista e, in qualsiasi momento, gli utenti potranno modificarle o cliccare per uscire dal form. In questo modo assicuriamo alla nostra community controllo e sicurezza sulla privacy dei propri dati. 

Lead Generation

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In TikTok vogliamo supportare le imprese offrendo loro l’opportunità di creare un legame sincero con i consumatori assicurando al contempo che la nostra community si senta a proprio agio e al sicuro sulla piattaforma, aspetto prioritario per noi. Lead Generation è conforme alla GDPR. Continuiamo a migliorare la nostra piattaforma, le policy e i prodotti per aiutare le aziende a raccontare la loro storia, salvaguardando le informazioni della nostra community e proteggendo la nostra piattaforma e i dati degli utenti.

Siamo entusiasti di introdurre la lead generation per i business di tutto il mondo e di supportare il loro impegno a raggiungere, connettersi e ingaggiare in modo semplice con il proprio target. Per ulteriori informazioni su come iniziare ad utilizzare lead generation, leggi il relativo articolo del nostro Help Centre e scopri qui come brand di diversi settori – dall’automotive alla finanza fino al retail – utilizzano lead generation per creare una relazione con i consumatori su TikTok.

Fiat Professional sceglie ancora il Milanese Imbruttito per la campagna dell’E-Ducato

Dopo il successo della collaborazione per il lancio del Ducato con cambio automatico nel 2019, Fiat Professional sceglie ancora Il Milanese Imbruttito, agenzia creativa e community con oltre 2.5 milioni di utenti, per il lancio di E-Ducato, la versione 100% elettrica del veicolo commerciale più venduto in Europa nel 2020. La collaborazione prevede lo sviluppo di una campagna social multicanale dal titolo “Green & Grano (Duro) – il nuovo business imbruttito” che partirà a fine aprile e che sarà veicolata sulle pagine social delle due aziende.

Protagonista della campagna è il video “Green & Grano (Duro) – il nuovo business imbruttito” che vede coinvolti i personaggi più amati dalla community imbruttita: Il Milanese Imbruttito (interpretato dall’attore Germano Lanzoni), Il Giargiana (Valerio Airò) e il Nano (la giovane star Leonardo Uslengo). Il video sarà affiancato da 1 video pillola e 5 grafiche social, contenuti ideati e prodotti dal team creativo de Il Milanese Imbruttito.

Fiat Professional ha rinnovato la fiducia ne Il Milanese Imbruttito – community  con cui condivide un tone of voice distintivo e ironico – per il lancio del suo primo e più iconico modello elettrico, ideale per le consegne dell’ultimo miglio e  mission urbane. L’obiettivo del nostro brand, leader nel Mercato dei Veicoli Commerciali in Italia, è comunicare i valori green e i vantaggi del nuovo E-Ducato in maniera smart e coinvolgente, con un approccio di branded entertainment che Il Milanese Imbruttito è in grado di rappresentare al meglio.

Commenta Salvatore Cardile, Head of Marketing & Communication di Fiat Professional Italia.

Una collaborazione rinnovata, quella tra Fiat Professional e Il Milanese Imbruttito con l’obiettivo di mostrare come sia possibile coniugare agilità, sostenibilità e una buona dose di coolness quando si tratta di scegliere il veicolo per il proprio business, il tutto in stile imbruttito. Partendo da quì, il progetto prende vita con una nuova avventura imprenditoriale del famoso “Giargiana” che utilizzerà l’E-Ducato e ne mostrerà i punti di forza.

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Siamo entusiasti e orgogliosi di collaborare ancora con il team Fiat Professional per la promozione di un prodotto così innovativo e in linea con i valori della community imbruttita, sempre più attenta ai temi della sostenibilità e confermato anche dalla nostra ultima indagine. È la dimostrazione che l’ironia e il sorriso possono essere la chiave per veicolare messaggi importanti e dare vita a campagne di comunicazione di successo.

Commenta Tommaso Pozza, AD e co-fondatore de Il Milanese Imbruttito.

Nata come pagina Facebook nel 2013, oggi Il Milanese Imbruttito è un’agenzia creativa che opera nel mercato del content marketing e che, oltre ai 3 fondatori, riunisce diverse professionalità del settore della comunicazione digitale per offrire un servizio a 360°.

Punto di riferimento nel panorama italiano del social entertainment, nel corso degli anni Il Milanese Imbruttito ha sviluppato, oltre a una propria linea di prodotti, progetti editoriali e video per diversi clienti e brand internazionali tra cui Disney, Amazon, Sky, Samsung, PayPal, Microsoft e Coca-Cola, trasformando i loro prodotti in contenuti emozionali per la community.

Spotify lancia Paid Subscriptions, piattaforma su abbonamento per podcaster

Spotify annuncia il lancio di Paid Subscriptions, la nuova piattaforma ad abbonamento pensata in esclusiva per i podcaster. Una novità che arriva ad una settimana dal lancio del servizio su abbonamento di Apple Podcasts e l’ingresso di Facebook nel mondo del podcast. Spotify non tratterrà commissioni sugli abbonamenti e la piattaforma sarà completamente gratuita per i prossimi due anni, con la previsione di una tassazione del 5% sul costo dell’abbonamento a partire dal 2023.

“Una piattaforma per podcaster incentrata sulle iscrizioni a pagamento – spiega Spotify – che permette ai podcaster stessi di fare passi avanti in termini di entrate, utenti raggiunti e visibilità».

Tre le grandi novità: oltre alla funzionalità Paid Subscriptions, anche il rilascio a breve della piattaforma Open Access e l’apertura di Spotify Audience Network ai creator indipendenti. Obiettivo: ottimizzare la monetizzazione per i creator e per massimizzare il pubblico in abbonamento.

La nuova struttura si servirà di “Anchor” e debutterà negli Stati Uniti con 12 podcaster indipendenti

Per la prima volta, Spotify consente ai podcaster sulla sua piattaforma di offrire abbonamenti ai loro spettacoli. Il prodotto in abbonamento debutterà negli Stati Uniti, che consentirà a partner selezionati, che ospitano i loro spettacoli su Anchor (società di Spotify per i podcast), di addebitare i contenuti.

Dodici programmi indipendenti, tra cui Tiny Leaps, Big Changes e Mindful in Minutes, offriranno contenuti bonus solo per gli abbonati, mentre NPR (National Public Radio, organizzazione indipendente no-profit che comprende oltre 900 stazioni radio statunitensi) lancerà versioni senza pubblicità di programmi popolari.

Intanto si si aprirà oggi la lista di attesa, attraverso cui i podcaster potranno registrarsi per essere inclusi nel lancio esteso nei prossimi mesi al mercato internazionale tra cui anche l’Italia.

I podcaster non dovranno pagare nulla a Spotify per i primi due anni. I creatori, tuttavia, dovranno coprire il costo delle commissioni di transazione tramite Stripe, il partner per i pagamenti di Spotify. Nel 2023, Spotify tratterrà una commissione del 5% sulle entrate totali degli abbonamenti: una cifra inferiore all’addebito di Apple, il cui nuovo servizio di abbonamento richiederà dal 15 al 30 percento delle entrate. I podcaster avranno tre opzioni di prezzo mensili tra cui scegliere: 2,99 dollari mensili, 4,99 o 7,99.

Spotify Paid Subscriptions vs Apple Podcasts

Apple ha dichiarato che la sua piattaforma di streaming prenderà una commissione del 30% dagli abbonamenti ai podcast nel corso del primo anno, quota che poi scenderà al 15% per gli anni seguenti. Spotify replica chiedendo agli utenti di effettuare gli acquisti per l’iscrizione ai podcast al di fuori delle app, mossa che potrebbe aggirare il sistema in-app su iOS e, quindi, le commissioni dell’App Store. Significa che Spotify non dovrà pagare Apple per gli abbonamenti venduti secondo i termini dell’App Store.

I contenuti a pagamento su Spotify saranno delimitati da un’icona a forma di lucchetto. Per sbloccare lo spettacolo, i potenziali abbonati dovranno accedere alla pagina web di destinazione Anchor dedicata al programma.

La piattaforma Open Access

La piattaforma Open Access è dedicata ai podcaster e agli editori che hanno ascoltatori paganti su altre piattaforme di ascolto. Questa tecnologia, in fase di test, permetterà agli utenti abbonati sparsi tra le vi in abbonamento su Spotify, senza che il podcaster debba cambiare sistema di login.

«Ciò offre ai creator che hanno già basi di abbonati la possibilità di fornire contenuti su abbonamento al loro preesistente pubblico a pagamento attraverso Spotify, così da mantenere il controllo diretto sulla relazione», spiega l’azienda.

Gli abbonati potranno ascoltare podcast a pagamento all’interno di Spotify o in un’app di terze parti tramite un feed RSS privato. I podcaster non riceveranno i nomi, gli indirizzi e-mail o altre informazioni personali sui propri iscritti.

“Spotify è aperto al feedback e considera diversi modi per rafforzare il rapporto abbonato–podcaster”, sottolinea Michael Mignano, Co-Founder, Anchor  ed Head of Podcaster Mission di Spotify a The Verge – Per il nostro modello è fondamentale esplorare modi in cui i creator possano entrare in contatto più a fondo con i loro iscritti. Inoltre, i contenuti non devono essere esclusivi di Spotify”.

Quindi nella fase di debutto sperimentale della nuova piattaforma, NPR utilizzerà Anchor come servizio di hosting per i suoi spettacoli di abbonamento Spotify senza pubblicità, come Planet Money Plus.

Planet Money è già disponibile su Spotify gratuitamente, così come su altre app di podcasting, mentre la Planet Money Plus sarà una pagina di spettacolo separata in cui risiede il contenuto a pagamento.

branded podcast

L’hosting di Anchor è ancora gratuito e Mignano afferma che la società prevede di mantenerlo così, il che significa che alcuni podcaster potrebbero decidere di gestire un feed separato da Anchor per fornire contenuti a pagamento all’interno di Spotify.

“Avere contenuti a pagamento integrati in Spotify significa una migliore possibilità di far scoprire i contenuti. Se le persone cercano un tipo di spettacolo specifico, un podcast in abbonamento potrebbe essere visualizzato e ottenere un follower a pagamento. Spotify potrebbe così suggerire anche quali sono gli spettacoli che gli utenti sarebbero disposti a pagare”, continua Mike Mignano.

Se un podcaster gestisce già un’attività in abbonamento altrove, ma desidera offrire i propri contenuti a pagamento su Spotify, dovrà iniziare a utilizzare Anchor oltre al proprio provider di hosting abituale.

Insieme alle notizie sull’abbonamento, Spotify ha anche annunciato l’intenzione di lanciare un modo per i podcaster che già gestiscono un’attività di abbonamento al di fuori di Spotify per portarlo nell’app. Non è del tutto chiaro come funzionerà e, alla domanda se Spotify supporterà semplicemente i feed RSS privati, cosa che attualmente non supporta, Mignano afferma: “È la nuova tecnologia che stiamo costruendo ora. Il team sta lavorando con partner selezionati, ma non divulgati, per svilupparla: tale tecnologia sarà descritta in dettaglio in futuro”.

La società ha anche fornito un aggiornamento sul proprio mercato pubblicitario e afferma che il 1 ° maggio alcuni utenti di Anchor potranno rendere il loro programma idoneo a ricevere annunci tramite Megaphone, l’altro servizio di hosting acquisito di recente dall’azienda e fornitore di mercato pubblicitario: annunci che potranno essere inseriti solo tramite la tecnologia di inserimento in streaming di Spotify.

Spotify Audience Network: il marketplace pubblicitario

Spotify aprirà Audience Network (marketplace pubblicitario che consente agli inserzionisti di raggiungere gli ascoltatori attraverso l’offerta di podcast e musica della piattaforma) a una selezione di creator indipendenti che usano Anchor.

I creator di podcast più grandi sono sempre più interessati a possedere tutte le parti dell’ecosistema del podcasting: i podcaster dovranno gestire vari feed su vari servizi di hosting e piattaforme per costruire un business completo.

«Ciò alla fine porterà più soldi (e spese più efficienti), a vantaggio dei creator che scelgono di monetizzare attraverso la pubblicità», insiste l’azienda.

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psicografia e marketing

Come creare migliori Buyer Personas con la Psicografia

Cosa si aspettano le persone quando acquistano un prodotto o usufruiscono di un servizio?

Probabilmente è questa la domanda a cui brand e aziende, di ogni tipo e dimensione, vorrebbero rispondere con esattezza. Chi si occupa di marketing, per molto tempo, è stato abituato a pensare e parlare in base ai dati demografici, poiché dividere un mercato per età, sesso, etnia e altre variabili generali può aiutare a comprendere le differenze e le somiglianze tra i diversi clienti.

La psicografia, che misura gli atteggiamenti e gli interessi dei clienti piuttosto che i criteri demografici “oggettivi”, può fornire una visione approfondita che completa ciò che solitamente apprendiamo dai dati demografici.

Che cos’è la psicografia

La psicografia è una disciplina qualitativa che descrive e suddivide i consumatori in base a caratteristiche psicologiche.

Stiamo parlando dello stile di vita, le opinioni, gli interessi, la personalità e i valori. Questi attributi sono importanti da conoscere perché forniscono una visione molto più ristretta e mirata del cliente. Di conseguenza può essere davvero vantaggiosa per brand e aziende perché li avvicina ai clienti e ai consumatori giusti che magari sono interessati a conoscere e ad acquistare i loro prodotti e servizi.

acquisto su ecommerce

Il mondo digitale ha spostato l’interesse dai dati demografici a quelli psicografici e, con la crescita dei social network e la diffusione dei Big Data, risulta sicuramente più facile accedere a questo tipo d’informazioni personali e tracciare un profilo psicologico dei propri consumatori. Ecco perché comprendere questo tipo di differenze psicografiche è importante.

I dati consentiranno a un’azienda di utilizzare strumenti di marketing online che trasformeranno le intuizioni in interventi attuabili che erano quasi impossibili prima del periodo di massimo splendore di Google, Facebook e Twitter.

Come agisce la psicografia applicata al marketing

Cerchiamo di chiarire il tutto con un esempio. Keletso Nkabiti, responsabile della Strategia presso Idea Hive, una rinomata agenzia di marketing digitale, ci mostra la differenza tra i dati demografici e psicografici.

Con i primi sappiamo che in una data popolazione c’è un numero di persone che appartiene a una certa fascia d’età. È un dato misurabile che può dirci molto della popolazione, ma non dei consumatori. Se invece noi vogliamo conoscere qualcosa in più che possiamo utilizzare per la nostra azienda, come lo stile di vita, o i valori, allora dobbiamo indirizzarci verso un’analisi psicografica.

In questo modo andremo anche a rimpicciolire il nostro target di riferimento e potremmo concentrarci meglio e in modo mirato su un numero ridotto e più definito di persone. Andremo a creare una nicchia da poter segmentare e di conseguenza definire dei profili nelle buyer personas.

Cosa sono le buyer personas

Le buyer personas rappresentano un segmento del nostro pubblico di riferimento. Partiamo da qualcosa di generale e ideale per un’azienda fino ad arrivare a una figura potenziale, il cliente così come potrebbe essere. 

La buyer persona è una figura molto importante nel marketing perché ci consente di dar voce a un cliente ideale con caratteristiche ben definite a cui possiamo rivolgerci e pensare mentre stiamo creando la nostra strategia di vendita.

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Psicografia e buyer personas: una coppia vincente

Dal punto di vista della profilazione, questo processo di filtraggio è considerato un vantaggio.

Possiamo riassumerlo come un nuovo modo di vedere e ascoltare i clienti. Stiamo utilizzando le caratteristiche psicografiche come strumento per indirizzare in modo più efficace chi desideriamo attirare per acquistare i nostri prodotti o servizi, aumentando le opportunità di convertire un potenziale cliente o consumatore. Attraverso queste informazioni, inoltre, andremo a creare le nostre buyer personas di riferimento. 

La segmentazione psicografica fornisce informazioni preziose su ciò che incoraggia un consumatore. Ci dà un’idea delle esigenze, dei desideri e dei valori degli utenti. Possiamo quindi comunicare con il pubblico di destinazione in modo efficace perché i dati psicografici ci consentono di creare messaggi e contenuti personalizzati, oltre a facilitare il targeting per parole chiave più mirate.

Credits: themediaonline

Internet ha reso questo tipo di differenze psicografiche molto più evidenti e rilevanti sia per i consumatori che per i marketers. Se prima ci sembrava difficile trovare qualcuno che avesse la nostra stessa linea di pensiero, adesso è più facile incontrare e interagire con chi condivide interessi e atteggiamenti simili ai nostri, anche se provengono da una comunità o da un Paese diverso.

Ciò aiuta a consolidare le differenze psicografiche, portando le persone a identificarsi sempre di più con le proprie comunità d’interesse o valore, invece che con la loro comunità geografica o demografica.

È fondamentale comprendere accuratamente la personalità del cliente. I dati psicografici sono gli atteggiamenti, gli interessi, la personalità, i valori, le opinioni e lo stile di vita del mercato di riferimento di un’azienda. La psicografia è incredibilmente preziosa per il marketing, ma ha anche casi d’uso nella ricerca di opinione, nella previsione e nella ricerca sociale più ampia.

Quali sono i vantaggi per le aziende

In sostanza, se conosciamo come le persone scelgono e confrontano i prodotti e i servizi di cui ci occupiamo, allora sapremo come strutturare e dare priorità ai contenuti. 

  • Conoscendo le loro opinioni possiamo allineare in modo semplice e intelligente i messaggi personalizzandoli.
  • Sapendo a cosa sono interessati, possiamo focalizzarci sulle parole e le immagini giuste senza perdere tempo su argomenti che non rientrano nella loro sfera d’interesse.
  • Se sappiamo cosa leggono, allora sapremo come raggiungerli.

La psicografia ci dice perché la gente compra. Ci permetterà di creare il messaggio giusto, per l’utente giusto e metterlo nel posto giusto. 

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I tipi di psicografia per individuare le buyer personas

Esistono diversi tipi di psicografia per comprendere il comportamento degli utenti e, di conseguenza, creare il profilo ideale per le buyer personas.

Utilizzando accuratamente i dati a nostra disposizione, comprenderemo le preferenze, gli interessi e i valori dei consumatori. In questo modo saremo in grado di vedere i clienti come persone uniche e individuali e fornire le migliori esperienze utente possibili, aumentando l’affinità con il nostro marchio e rafforzandone la fidelizzazione.

Personalità

La personalità è la segmentazione psicografica che identifica gli utenti dietro i dati. Chi sono, come si comportano di solito e come si comporteranno in determinate circostanze? I marchi di solito identificano i tratti della personalità dei loro clienti target e creano un tratto della personalità che abbia valore per loro.

Stile di vita

Lo stile di vita si riferisce ai modelli di stile di vita dei clienti. Come iniziano e finiscono la loro giornata? Cosa fanno nel fine settimana e come trascorrono il loro tempo libero? Con una buona comprensione dello stile di vita e delle abitudini dei consumatori, le aziende possono curare i messaggi da comunicare nel modo giusto.

Stato sociale

Questo tipo di segmentazione non riguarda solo il livello di reddito, il background sociale, ma anche lo stato personale in cui i clienti si trovano attualmente nella propria vita. Per esempio, i nostri clienti sono studenti universitari o giovani impiegati? Potrebbe essere lo stato sociale dei clienti attuali o lo stato sociale che vogliono raggiungere. Inoltre la condizione delle persone indica i prodotti che usano e quelle che potrebbero essere le loro preferenze.

I valori, attività, interessi e opinioni

La categoria che riguarda i valori è probabilmente una delle più importanti segmentazioni psicografiche. Esamina ciò in cui credono i clienti, qual è la loro opinione e il loro atteggiamento su un determinato argomento ed esplora i loro hobby e interessi. Cosa apprezzano nella vita? Ciò potrebbe ruotare attorno a temi come la religione, la politica, l’ambiente, le questioni culturali, le arti e lo sport.

Sulla base dei valori che i clienti detengono, i marchi sapranno quando parlare di un problema specifico, inviare messaggi per alimentare l’interesse dei clienti e incoraggiare l’acquisto.

Molte aziende utilizzano più modelli di buyer personas per ogni fase del funnel di conversione. L’incorporazione dei dati psicografici in essi è fondamentale per la riuscita delle campagne di vendita. 

Tutto ciò serve per creare messaggi personalizzati, creare un profilo chiaro e completo dei clienti ideali e potenziali. Lo scopo è quello di portare avanti campagne marketing efficaci. I vantaggi sono tanti, è vero ma…

Esistono svantaggi?

Ci sono tanti vantaggi, ma anche difficoltà e inconvenienti in questo tipo di analisi.

Innanzitutto, i dati psicografici sono più difficili da ottenere rispetto, ad esempio, ai dati demografici. Inoltre, quando si mette in gioco la segmentazione psicografica, è necessario stabilire delle linee guida per garantire che i dati non siano interpretati male e siano usati in modo accurato, sicuro e per il giusto scopo. La collaborazione con un digital specialist che capisca come leggere e interpretare i dati psicografici è quindi di fondamentale importanza.

Oscar 2021, la Cina censura la vittoria di Chloé Zhao

Chloé Zhao, la talentuosa regista di “Nomadland”, domenica scorsa ha fatto la storia diventando la prima donna di colore e la prima donna cinese a vincere l’Oscar come miglior regista. Una notizia del genere dovrebbe essere motivo d’orgoglio e vanto per qualsiasi Paese, ma quello della regista, la Cina, evidentemente non la pensa così.

Secondo quanto è stato riportato dal Wall Street Journal, il Ministero della Stampa e della Propaganda cinese ha censurato dai social media la notizia della vittoria di Chloé Zhao, oscurandola sui motori di ricerca cinesi. Cerchiamo di capire bene cosa è successo e fare il punto della situazione. 

La censura silenziosa

La regista cinese è la seconda donna, in 93 edizioni degli Academy Awards ad aggiudicarsi una statuetta e il titolo. La sua vittoria aveva scatenato una raffica di messaggi di congratulazioni su tutti i siti di social media cinesi quando è stata annunciata lunedì mattina, ora di Pechino. A metà pomeriggio, però, qualcosa è cambiato, e quasi tutti i post sono stati cancellati.

Digitando il suo nome su Baidu e Sogou, i motori di ricerca dominanti del Paese, si trovano diversi editoriali e post sui precedenti riconoscimenti vinti, ma pochissimi articoli riguardo la vittoria agli Oscar. E infatti non sono trapelate notizie nemmeno dalla China Central Television, dalla Xinhua News Agency o dal People’s Daily del Partito Comunista Cinese, come riporta lo stesso Journal.

Un giornalista dei media statali ha inoltre dichiarato di aver ricevuto ordini dal Ministero della Propaganda cinese di non riferire nulla sulla vittoria della Zhao. Il motivo? La precedente opinione pubblica sulla regista.

Chloé Zhao

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Perché la Cina sta oscurando la vittoria di Chloé Zhao?

Ci sono quindi dei precedenti che hanno indignato così tanto la Cina da oscurare tutte le notizie sulla vittoria dell’agognato premio? Ebbene sì. All’inizio di quest’anno, la Zhao è stata messa alla gogna online in Cina per alcuni commenti critici che ha fatto sul Paese. In un’intervista del 2013 alla rivista Filmmaker, ha affermato, senza mezzi termini, che “nel luogo in cui era cresciuta ci sono bugie ovunque”. 

La regista è sempre stata un’amante della cultura occidentale e non ne ha mai fatto mistero. Ha studiato fin da ragazza a Londra, e poi è volata in America. 

Il Global Times, un sito di notizie che fa capo al People’s Daily, ha invece pubblicato un editoriale, lunedì sera, in cui riconosceva la vittoria di Zhao, ma criticava il suo film Nomadland, definendolo tipicamente americano e lontano dalla realtà cinese. 

Il magazine spera che la regista, 39enne, possa diventare sempre più “matura” e che in quest’epoca in cui i rapporti tra Cina e Stati Uniti si stanno intensificando, possa svolgere un ruolo di mediazione tra le due società. Le parole si fanno ancora più gravi e si legge che la regista dovrebbe “sfruttare” la sua etichetta attivamente evitando “di essere un possibile e invadente punto d’attrito”.

Un’altra delle poche notizie emerse in Cina sulla vittoria di Zhao proveniva dal piccolo sito di notizie 163.com, che l’ha definita come il secondo regista cinese a vincere il premio come migliore regista, dopo Ang Lee

Lee,  che ha vinto due volte il premio come miglior regista, per “Brokeback Mountain” nel 2006 e per “Life of Pi” nel 2013, è nato a Taiwan. La Cina considera Taiwan facente parte del proprio territorio, ma questo è oggetto di alcune controversie a livello internazionale.

Nomadland: perché è così discusso per la Cina?

Il film racconta la storia di una donna sessantenne che, dopo aver perso il marito e il lavoro durante la Grande recessione, intraprende un viaggio, negli Stati Uniti, a bordo del suo furgone. Durante la sua avventura on the road incontrerà ogni tipo di persone, tutte emarginate proprio come lei. 

Il progetto nasce dall’adattamento dell’omonimo libro della giornalista Jessica Bruder. La protagonista è l’attrice Frances McDormand, anche lei vincitrice di un Oscar ma come miglior attrice protagonista. Il film si è aggiudicato il Leone d’oro a Venezia e il Golden Globe per il miglior film drammatico e per miglior regista. Ha vinto in tutto 3 Premi Oscar, rispettivamente per il miglior film, miglior regia e migliore attrice protagonista.

Sapete quale sarà il prossimo progetto della regista? “The Eternals” dei Marvel Studios, esatto, un film di supereroi. Chissà come si comporterà stavolta la Cina che da sempre è un mercato molto redditizio per la Marvel.

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beyond meat copertina

Beyond Meat: dal debutto a Wall Street ai dubbi sulla sostenibilità

A partire dagli anni 60’, quando gli Stati Uniti erano all’apice della propria potenza economica e militare, il consumo di proteine animali (in particolare di carne bovina) ha registrato un forte incremento, portando al moltiplicarsi degli allevamenti intensivi e alla riduzione di boschi e foreste, per far spazio alle colture foraggere.

Un nesso, quello fra carne e deforestazione, che se all’inizio è stato nascosto per “ingrassare” le tasche dei lobbisti della carne – come la JBS S.A o la Marfrig – è oggi invece noto a molti e desta sempre più preoccupazione.

Come riportato nel report scandalistico e provocatorio redatto da Greenpeace “Foreste al Macello”, in Amazzonia circa l’88% dei terreni disboscati sono stati adibiti a pascolo, andando in contro ad erosione e desertificazione permanente; un dramma accentuato dalla noncuranza di chi è al potere. La situazione, presto potrebbe portare alla perdita di oltre il 10% della biodiversità mondiale e del 20% dell’ossigeno attualmente prodotto.

E, nonostante ormai sia difficile immaginare un epilogo diverso, c’è ancora chi ha l’ambizione di ridurre l’impatto che l’allevamento ha sull’ambiente, non senza preliminari valutazioni economiche.

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green farming equipment on brown field

Beyond Meat, la scommessa green dei grandi investitori

Stiamo parlando di Ethan Brown che nel 2009, assieme ad Evan Williams e Biz Stone (due dei padri di Twitter), ha fondato in California la start-up Beyond Meat, con l’intento di proporre delle alternative vegetali alla carne, che fossero sostenibili e gustose, anche per gli onnivori.

E tra i primi a scommettere sul loro visionario progetto – alla base di quello che oggi viene considerato un vero e proprio megatrend – è stato Bill Gates, tanto che il magnate della Silicon Valley viene affettuosamente soprannominato “Farmer Bill”, per i suoi recenti investimenti – oltre 700 milioni di dollari – in terreni agricoli ed attività legate al settore agroalimentare.

Ad affiancare Gates, anche l’attore Leonardo di Caprio, noto per le sue battaglie a favore del sociale e dell’ambiente. Déjà vu? Si. Entrambi, infatti, hanno acquistato anche alcune quote della concorrente diretta di Beyond Meat, ovvero Impossible Foods, con l’obiettivo – neppure tanto nascosto – di avere un domani il controllo del mercato plant-based e dar vita, quindi, ad un monopolio privato.

Il mercato plant-based continua a crescere, anche in Europa

Quello della non-carne, infatti, è un business in ascesa, uno dei pochi a non aver risentito della crisi economica (2008-2011). E la corsa è solo agli inizi.

Basti pensare, ad esempio, che nel Maggio del 2020, l’Europa ha stanziato 10 miliardi di euro per favorire lo sviluppo di fonti proteiche alternative alla carne, confermando ancora una volta la positività del trend.

Ma al di là delle interessanti prospettive di guadagno che ruotano attorno ai plant-based foods, come sostiene l’ambientalista e imprenditore Paul Hawken, fondatore del Drawdown Project: se il 50% della popolazione globale adottasse una dieta ricca di vegetali, almeno al 75%, si potrebbero evitare dalle 65 alle 92 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, tra il 2020 e il 2050”.

E i consumatori, lentamente, stanno cominciando a diventare coscienti della necessità di contribuire a ridurre i gas serra prodotti dall’uomo e attribuibili al sistema alimentare, anche a costo di modificare la propria dieta.

white clouds over city skyline during night time

Beyond Meat conquista Wall Street: storia di un successo preannunciato

Ecco dunque che Brown, a suo tempo, è stato capace di anticipare un trend e prevederne il futuro, tanto che oggi Beyond Meat, con un fatturato di quasi 300 milioni di dollari, rappresenta la punta di diamante del settore plant-based nel mondo.

Da quando è stata quotata al Nasdaq, il titolo continua a salire, lasciando intuire un interesse crescente verso questi “nuovi” generi alimentari, che va ben al di là della mera speculazione finanziaria.

Tuttavia, non è solo la bontà del momento ad aver decretato il successo dell’Azienda di Los Angeles ma anche la capacità di Brown e del suo team di sviluppare prodotti del tutto simili alla vera carne, capaci di “ingannare” tanto la vista quanto il gusto.

A differenza del burger di Impossible Foods – che contiene soia transgenica – quello di Beyond Meat utilizza le proteine isolate del pisello giallo, unitamente ad altri derivati vegetali, come l’olio di cocco e il succo di barbabietola, che favoriscono lo sviluppo della classica “crosticina” in fase di cottura, nonché l’aspetto “sanguinante” al taglio.

Il profilo nutrizionale del Beyond Burger non convince, dubbi anche sulla sostenibilità

Dalla lettura dell’etichetta, gli ingredienti che compongono il veg-burger di Beyond Meat sono 20, di cui la maggior parte sono additivi, volti ad aumentarne la palatabilità – come la glicerina vegetale, un sottoprodotto della filiera produttiva del sapone.

Dal punto di vista nutrizionale, dunque, non si può certo dire che il burger di Beyond Meat sia salutare; nonostante i singoli ingredienti non siano di per sé dannosi, messi insieme ne fanno un alimento altamente raffinato e processato, ricco di sale, grassi idrogenati e addensanti che, nel lungo periodo, possono causare problemi gastrointestinali, soprattutto nei soggetti più sensibili.

E anche sull’impatto ambientale, ci sono non poche perplessità: le materie prime che costituiscono il Beyond Burger, infatti, provengono da fornitori dislocati in tutto il mondo e, prima di raggiungere l’azienda ed essere trasformate, percorrono migliaia di chilometri, via terra e via aria. E altrettanta strada devono fare i prodotti finiti, per raggiungere gli scaffali dei diversi supermercati oppure le celle frigo dei fast-food (vedi McDonald’s).

burger with patty and lettuce

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Beyond Meat, bolla o grande opportunità di investimento?

Seppur la carbon footprint non sia paragonabile a quella della filiera della carne, dunque, è comunque elevata ed è un aspetto di cui dobbiamo tenere conto, anche semplicemente per azzardare delle previsioni sul futuro dei cibi plant-based, così come li conosciamo oggi.

Probabilmente Beyond Meat continuerà a crescere, almeno per i prossimi 10 anni, conquistando i sempre più numerosi “neo-vegani” ma difficilmente riuscirà nell’intento di sostituire completamente la carne, con cui tra l’altro condivide – paradossalmente – una similarità per quanto riguarda le indicazioni di consumo: il più sporadicamente possibile, se proprio non è possibile evitarla del tutto.

La “sostenibilità” in ambito alimentare, infatti, si può raggiungere solamente sensibilizzando i consumatori all’acquisto di prodotti stagionali e locali, poco o per nulla processati, il cui impatto ambientale è realmente minimo.

Siete pronti a salvare Matilda? È uscito il videogioco ufficiale di Chiara Ferragni

Chiara Ferragni Collection, un brand italiano ma con un respiro internazionale, ha deciso di sperimentare il gaming come nuova forma di promozione innovativa e coinvolgente. Infatti, il settore dei videogiochi è in grandissima espansione, complice anche la pandemia, ed è una forma di svago che ormai ha conquistato persone di tutte le età. Nel mondo ci sono 2,7 miliardi di gamer (17 milioni in Italia, secondo l’ultimo report di IIDEA) e il mercato dei videogiochi, da solo, vale più di quello del cinema e della musica messi insieme.

Rescue Matilda!

Il progetto è stato sviluppato da Gamindo, startup specializzata nello sviluppo di videogiochi ad impatto sociale per brand, in collaborazione con il Pixel Artist Manolo “The_Oluk” Saviantoni e il Game Developer Samuele Sciacca, già noti al pubblico per la creazione del gioco Al Bano vs Dino.

Nel gioco Rescue Matilda, un platform game in pixel art, i ruoli finalmente si invertono: non è più il principe a salvare la principessa, ma è la principessa (in questo caso Chiara) pronta a superare ogni ostacolo per salvare Matilda. Dopo aver scelto l’outfit con cui giocare e un primo livello di ambientamento, dove si corre e si salta come nel più classico dei videogiochi, la difficoltà inizia ad aumentare e l’ultimo livello è raggiungibile solo per pochi.

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I nemici, bocche giganti e cactus spinati quasi a ricordare gli hater invadenti, sono sempre di più, gli ostacoli sempre più ostici, e i tempi di reazione necessari sempre più brevi. A motivare gli utenti c’è poi la classifica, con i migliori giocatori di sempre e della settimana.

Per giocare non serve scaricare nessuna app, basta cliccare questo link.

Siete pronti per l’avventura? Che la sfida abbia inizio!

India accusata di censura. Rimossi da Twitter post critici su gestione Covid

Esplode l’indignazione pubblica e la rabbia sociale in India contro il Governo che ha chiesto e ottenuto la rimozione da Twitter dei post più critici nei confronti della gestione della crisi coronavirus.

Secondo Lumen, un database che raccoglie i provvedimenti dei governi sui contenuti online in tutto il mondo, New Delhi avrebbe emesso un ordine di emergenza per censurare alcuni tweet, e bloccare i contenuti anti-Modi, che mettono in discussione la gestione dell’esplosiva ondata di Covid-19 nel Paese.

Il governo indiano ha ordinato a Twitter Inc., Facebook Inc. e Instagram di rimuovere contenuti considerati “disinformazione” e di bloccare circa 100 post sui social media che criticano la sua gestione, scatenando la rabbia pubblica nella democrazia più popolosa del mondo.

Twitter ha confermato la decisione di bloccare alcuni contenuti dopo aver ricevuto una “valida richiesta in conformità con la legge“, ma non ha specificato quali siano stati rimossi.

La posizione del Governo di New Delhi

“Il governo accoglie le critiche, ma è necessario agire contro coloro che stanno abusando dei social media durante questa grave crisi umanitaria per scopi non etici e per creare panico nella società“, sottolinea il Ministero dell’Elettronica e della Tecnologia dell’informazione indiano, senza specificare quali leggi siano state utilizzate per emettere gli ordini “legalmente vincolanti” per contrastare la disinformazione. Sui social è esplosa però l’indignazione verso il governo indiano e verso il primo ministro Narendra Modi per essersi concentrato sulla “censura” mentre il Paese si trova nel mezzo di un “disastro umanitario” di dimensioni record mondiali.

Secondo i media locali, tra i tweet bloccati in India ci sarebbe anche quello di Pawan Khera, portavoce del principale partito di opposizione indiano, l’Indian National Congress. Il tweet  accusava il partito nazionalista indù al governo, il Bharatiya Janata Party, di  non aver ammesso che un enorme festival religioso, con milioni di pellegrini indù sulle rive del fiume sacro Gange – insieme a manifestazioni politiche – avrebbe contribuito alla diffusione di Covid19.

I numeri dell’emergenza Covid in India, attualmente epicentro della pandemia globale

L’India ha registrato più di 350.000 positivi per cinque giorni consecutivi, con ospedali al collasso, ossigeno scarseggia e impianti di cremazione che hanno esaurito lo spazio.  Ha registrato di 2.000 morti al giorno per sei giorni consecutivi e attualmente rappresenta l’epicentro della pandemia globale.

Nel Paese, che conta una popolazioni di 1,3 miliardi di persone, nelle ultime settimane in molti si sono rivolti ai social media per fare appello per forniture di ossigeno ai propri cari e chiedere donazioni per spese mediche.

 

i social network e la censura

Foto di Bill Kerr

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Le reazioni alla censura social

Sul blocco dei post è intervenuto anche Apar Gupta, direttore esecutivo della Internet Freedom Foundation, un’organizzazione per i diritti digitali con sede a Nuova Delhi: “La nostra principale preoccupazione è la segretezza della censura- Qualsiasi ordine legale che imponga il blocco diretto dei siti web dovrebbe contenere un ragionamento ed essere reso pubblico. Nessuno di questi passaggi viene eseguito in questo momento”.

E se il ministero indiano non si sofferma sulle norme su cui si fonda la richiesta diretta alle big companies social, Gupta spiega che il materiale sembra essere bloccato ai sensi della sezione 69A dell’Information Technology Act dell’India, che consente a Nuova Delhi di bloccare il materiale che minaccia la sicurezza nazionale.

Oggi centinaia di migliaia di indiani appartenenti a tutte le fedi sono senza fiato – dichiara l’Indian American Muslim Council, con sede a Washington – La foga del governo nel fare pressioni su Twitter per bloccare i tweet critici sulla sua gestione della crisi mostra che la bussola morale dell’amministrazione continua a puntare in una direzione che è spudoratamente egoista”.

I precedenti tentativi del governo indiano di frenare l’ascesa delle big tech

Non è la prima volta, in realtà, che il Governo indiano interviene per frenare le Big Tech. Lo scorso anno il governo Modi ha citato l’Information Technology Act dell’India per bandire TikTok, l’app per la condivisione di video di proprietà di ByteDance Ltd. con sede a Pechino, e dozzine di altre app cinesi, dopo uno scontro al confine tra le truppe delle due nazioni.

Il governo indiano ha minacciato di incarcerare i dipendenti di Facebook, l’unità WhatsApp e Twitter in risposta alla riluttanza delle aziende a conformarsi ai dati e alle richieste di rimozione.

Twitter all’inizio di quest’anno ha bloccato, sbloccato e bloccato di nuovo centinaia di account in India per aver pubblicato materiale che New Delhi ha ritenuto infiammatorio durante le proteste degli agricoltori.

A febbraio Nuova Delhi ha stabilito nuove regole per governare società come Twitter, Facebook e WhatsApp, affermando “che le nuove linee guida erano necessarie per contrastare la crescente quantità di notizie false e contenuti violenti online”.

Un mercato in crescita, con milioni di consumatori che per la prima volta si connettono ad internet

L’India è un mercato in crescita, critico per le aziende tecnologiche globali poiché centinaia di milioni di consumatori si connettono a Internet per la prima volta. Facebook ha più utenti in India rispetto a qualsiasi altro paese e l’anno scorso ha dichiarato che avrebbe investito 5,7 miliardi di dollari per una nuova partnership con un operatore di telecomunicazioni indiano per espandere le operazioni nel paese. L’India, inoltre, è il mercato in più rapida crescita per Twitter.

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gaming

eSports e Gaming nel 2021: trend e aziende chiave del settore

Sorpassare gli 1.5 miliardi di Dollari: è questa la stima di alcuni report che cercano di dare un volume al futuro giro d’affari del mondo del gaming e degli eSports, fenomeno che negli ultimi anni ha saputo saggiamente trasformarsi da una nicchia vivace e super settorializzata ad un’enorme nuova forma di intrattenimento che spopola ormai in tutto il mondo.

Dall’organizzazione degli eventi con un vero e proprio sistema di ticketing e di vendita di ingressi alla sponsorizzazione e ai processi di divizzazione degli atleti, possiamo affermare (ma già da tempo ormai) di trovarci davanti a un nuovo strato della cultura sportiva, che ha coinvolto personaggi del calibro di Michael Jordan, DrakeMarshmello, e che ha trovato nelle “vecchie reti televisive mainstream” (ESPN, ad esempio) spazio per dare ancora più eco mediatico al fenomeno.

Quindi, mentre i novelli atleti e non si fanno strada a suon di clic e allenamento dei riflessi, con l’ambizione di diventare parte integrante di una nuova costola dello showbiz che cerca nuovi protagonisti, tutti i riflettori di chi “ci mette la benzina” (leggi, i soldini) sono puntati con grande attenzione sul settore.

Trend Gaming

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Le previsioni stimano che il numero totale di spettatori di eSports sarà quantificabile in un tasso di crescita annuale del 9% tra il 2019 e il 2023 (in numeri: da 454 milioni nel 2019 a 646 milioni nel 2023), secondo le stime di Insider Intelligence.

In poche parole, si vola verso il raddoppio degli utenti, e questo non solo grazie all’esplosione dei live streaming, ma anche grazie allo sviluppo di vere e proprie piattaforme specifiche per i videogiochi come Twitch, YouTube Gaming e Facebook Gaming, che danno ai followers una connessione diretta con i giocatori e i team.

Ma non solo: il passaggio da nicchia a “settore pro” ha creato interessanti opportunità per gli sviluppatori di giochi, i giocatori, gli influencer e gli organizzatori di eventi, senza contare anche che le Università e i college stanno lanciando sempre più numerose curriculum dedicati agli eSports per rispondere alla richiesta di personale qualificato.

Non è sbagliato considerare anche il fatto che molti ragazzi stiano guardando e investendo tempo agli eSports in prospettiva di una carriera lavorativa, a causa dell’aumento della popolarità dei tornei di gioco, degli impressionanti montepremi internazionali, dei ricavi dello streaming e delle sponsorizzazioni one-to-one.

 

Gaming e Covid-19

Va anche considerato che la situazione pandemica attuale ha colpito questo settore, seppure in modo non “letale”.

Nonostante si possa pensare che la maggior parte delle attività vengano svolte online,  gli eventi dal vivo legati a Gaming ed eSport sono stati decimati: l’8% cancellato, il 26% è stato rinviato, il 13% rimane in programma, e un considerevole 53% è stato spostato online, portando consistenti danni alla vendita dei biglietti, degli eventi e di tutte le attività legate all’evento tradizionale offline.

In queste circostanze, tuttavia, la maggior parte degli eventi sono stati trasformati in appuntamenti distanza a causa della pandemia e delle chiusure obbligatorie, cosa che ha portato a un aumento del numero di spettatori sulle piattaforme di streaming, riuscendo a coinvolgere un pubblico più ampio.

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gaming trends

I player più attivi nel settore

Se non consideriamo le piattaforme Twitch, YouTube e Facebook, dobbiamo fare un ragionamento tra le varie software house che detengono le proprietà intellettuali dei titoli più giocati e le aziende produttrici di hardware anche specifico per i gamers (e sarebbe interessante parlare anche della sparizione proprio degli ultimi tempo relativamente all’hardware da gaming, ad esempio delle GPU Nvidia).

Activision Blizzard, Valve, Tencent, Electronic Arts, Gameloft, SE e Nintendo sono solo alcune delle case sulla cresta dell’onda: esistono titoli che ogni anno garantiscono ingenti flussi di denaro come Call of Duty, World of Warcraft, StarCraft, FIFA e Candy Crush Saga, che seppur diversi tra loro, hanno un pubblico molto eterogeneo e fidelizzato in community sempre pronte a seguirne gli aggiornamenti e le evoluzioni.

Siamo, probabilmente, soltanto all’inizio di un futuro fatto di nuove star dello sport.

Società digitale: la rete FTTH come driver di crescita

Sveglia, colazione e poi tutti pronti per la scuola e il lavoro: in una stanza i ragazzi, nell’altra i genitori, ognuno davanti al proprio pc per connettersi con il mondo. Sembrerebbe uno scenario da sit-com, invece è una normalissima mattina nell’era digitale. Tra DAD, smart working e il meritato svago della sera, abbiamo ormai perso il conto delle ore passate a navigare sul web ogni giorno. 

Anzi, in verità c’è chi si è preso la briga di contarle per noi: almeno 6 in media, secondo gli esperti. Con la digitalizzazione sempre più diffusa che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite – complici anche le restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19 che ci ha portato a usufruire dei mezzi con maggiore costanza – internet è ormai la risposta a ogni nostra necessità. 

Approfittiamo per invitarti mercoledì alle ore 09 su Clubhouse, all’interno della Ninja Morning, per la room powered by Open Fiber!

Il digital divide: l’antagonista delle nostre storie digitali

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C’è un aspetto della vita digitale che forse non è noto a tutti. Siamo ormai così abituati a connetterci al web con un semplice clic – meglio ancora con un tap sullo schermo dei nostri dispositivi mobile – che accedere a internet è, per la maggior parte di noi, un’azione quasi automatica. Eppure, anche nell’era della digitalizzazione ad ogni costo, esistono fasce di popolazione per le quali la possibilità di interagire col mondo via internet non è così scontata. Hai mai sentito parlare di digital divide? Se la risposta è no, puoi considerarti fortunato.

Uno dei player più attivi nella lotta a questo fenomeno di disuguaglianza digitale è proprio Open Fiber che, ad oggi, ha avviato la commercializzazione dei propri servizi in oltre 2000 Comuni italiani. Inclusi i piccoli Comuni delle Aree Bianche, le zone meno popolate che gli operatori spesso non si impegnano a raggiungere. 

Per dirla in poche parole, il digital divide è il divario che sussiste tra coloro che possono accedere alle nuove tecnologie per mezzo di Internet e quelli che non possono farlo. Nella maggior parte dei casi, è dovuto alla carenza di infrastrutture: alcune zone del paese – come ad esempio le cosiddette Aree Bianche e Grigie – si trovano costrette a connettersi al web attraverso infrastrutture ormai obsolete. Queste connessioni instabili e poco performanti non sempre sono in grado di supportare il traffico dati necessario per sostenere una mattinata in DAD o uno scambio di materiale con i colleghi senza rallentamenti. Di conseguenza, il digital divide è il nemico più importante della nostra epoca in ambito di telecomunicazioni. 

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La rete FTTH di Open Fiber come alleata di startup e aziende

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Tra email, messaggistica istantanea e videochiamate il lavoro non si ferma. Freelance, imprenditori e Pubbliche Amministrazioni sono tutti connessi su base quotidiana per portare avanti i propri compiti senza interruzioni. Le conseguenze della pandemia sull’economia e sul mercato del lavoro sarebbero state molto più importanti se gli eventi straordinari che stiamo vivendo si fossero verificati soltanto venti anni fa.

Ma la possibilità di lavorare grazie al web non è nulla se la connessione non è in grado di sostenere le attività necessarie a startup, aziende e liberi professionisti. Il lag – ritardo nella trasmissione delle informazioni – può rallentare notevolmente lo scambio di dati e materiale. Questo penalizza le performance e demotiva i lavoratori, che potrebbero trovare frustrante lavorare in condizioni del genere. Ecco perché la fibra ottica FTTH di Open Fiber, con la sua velocità di trasmissione dati che arriva fino a 1 Gbps, è la tecnologia ideale per garantire la crescita del business in Italia. 

Vittorio Colao: l’importanza di mappare le Aree Grigie 

La visione a lungo termine di un’Italia digitale è ben chiara anche a Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale. Il Ministro ha preso particolarmente a cuore il cablaggio delle cosiddette Aree Grigie, zone in cui esistono infrastrutture per la banda ultra larga oppure in cui è prevista la realizzazione entro tre anni, senza nessun mercato concorrenziale. Parlando delle Aree Grigie durante un’audizione presso la Commissione Trasporti della Camera, ha dichiarato:

“Faremo rapidamente la mappatura e le consultazioni. Non appena pronto, porteremo il Piano al Comitato interministeriale per la transizione digitale. Un processo complesso che prevede l’interlocuzione con il mercato e con le Istituzioni nazionali e comunitarie. Lo vogliamo velocizzare il più possibile”.

Il piano di azione prevede interventi sia sull’offerta che sulla domanda di servizi digitali. L’obiettivo principale è la copertura dell’intero territorio con tutte le tecnologie in grado di abilitare l’accesso alla banda ultra larga: non solo FTTH, ma anche FWA per raggiungere i territori più impervi. 

Vittorio Colao

Il Ministro punta a connettere tutte le istituzioni, incluse le scuole, gli ospedali, gli uffici pubblici e tutte le 18 isole minori entro pochi anni:

Stiamo lavorando con Agcom e Infratel per far convergere in un unico sistema tutte le mappature. Cercheremo di erogare i nostri contributi in maniera efficiente. Speriamo di fare presto e arrivare entro fine anno ad avere tutto allineato per poter partire con le gare. Cercheremo di fare aree molto più piccole perché permettono agli operatori di essere più precisi. Speriamo a inizio del 2022 di avere il processo terminato.

5 obiettivi in 5 anni, la sfida del Ministro Colao

Le ambizioni del Ministro sono a dir poco interessanti: nonostante l’Unione Europea abbia stabilito come data simbolo della transizione tecnologica il 2030, Colao vuole battere sul tempo gli altri Paesi e punta al 2026. Per i 5 anni futuri, infatti, ha individuato altrettanti obiettivi necessari per la transizione digitale: 

  • Fare in modo che almeno il 70% della popolazione usi regolarmente l’identità digitale, contro la percentuale di utenti attuale che è meno della metà.
  • Rendere digitalmente abile almeno il 70% della popolazione.
  • Portare il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi cloud.
  • Erogare online almeno l’80% dei servizi pubblici.
  • Raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra larga, grazie alla collaborazione con gli operatori di mercato e il MISE.

Una sfida che gli operatori impegnati in Italia nella lotta al digital divide, come ad esempio Open Fiber, non vedono l’ora di cogliere!

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