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come fare stories fantastiche su Facebook

Come creare stories fantastiche per i brand su Facebook

Storie, storie e ancora storie: il primo ad utilizzare le stories sui social è stato il giovane e frizzante Instagram. Potevano gli altri social rimanere indietro? Assolutamente no, specialmente se fanno parte della stessa famiglia. Per questo motivo, oggi vi raccontiamo come creare storie fantastiche su Facebook sulla base dell’esperienza di per Later.

Un numero a caso: 500

Una notizia probabilmente vi sconvolgerà: secondo dati interni, Facebook Stories conta oltre 500 milioni di utenti attivi ogni giorno, un dato che probabilmente continuerà a crescere in questo 2021. Le stories possono dunque essere una preziosa risorsa di marketing per il vostro brand grazie alle loro facili funzionalità e al feed strategico di Facebook.

Le Stories di Facebook potrebbero essere la miglior opportunità per i brand per aumentare l’engagement, creare consapevolezza e rafforzare la relazione con il target. Come ben sappiamo, a differenza dei post di Facebook che appaiono sui feed degli utenti, le storie vengono visualizzate nella parte superiore del social: già questo è un dato importante perché richiamano subito l’attenzione non appena si apre la piattaforma.

Guardate quest’immagine: è lo screenshot fresco fresco del mio Facebook! Subito dopo le stanze, si vedono già le stories. Non si scelgono: capitano. Ancora, per convincervi, diremo che se siete pigri: potete postarle direttamente in condivisione da Instgram. Spettacolare, no?

Come utilizzare le storie di Facebook per il business

Per condividere le storie di Facebook come brand, devi essere anzitutto l’amministratore o l’editor di una pagina Facebook, ma a differenza delle storie di Instagram che possono essere condivise solo dall’app mobile di Instagram, puoi creare e condividere le storie di Facebook anche dal tuo computer, dall’app di Facebook, da Facebook Lite e persino dall’app di Facebook Messenger!

Il consiglio che vi diamo è quello di utilizzare l’app Facebook per creare e condividere le storie: offre più opzioni e strumenti rispetto alla versione desktop di Facebook.

Quando si condividono una foto o un video sulla storia di Facebook, questi possono essere visualizzati nella sezione delle storie nella parte superiore del feed delle notizie e nella parte superiore della posta in arrivo di Messenger. E come Instagram, le storie di Facebook saranno visibili al pubblico selezionato per 24 ore.

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Dopo aver scaricato l’app Facebook e aver effettuato l’accesso, occorre toccare il pulsante dell’ “hamburger” (tre linee orizzontali) nell’angolo in basso a destra dello schermo. Da qui si potrà scegliere la pagina su cui creare le stories!

Per iniziare con le stories di Facebook, serve solo cliccare sul pulsante con i puntini di sospensione nell’angolo in alto a destra dello schermo, che aprirà diverse opzioni tra cui Apri fotocamera.

Creare i contenuti per le storie di Facebook

Iniziamo esaminando la fotocamera delle storie di Facebook e le funzionalità creative a cui si accede: come le storie di Instagram, potete passare dalla fotocamera anteriore a quella posteriore e viceversa toccando il pulsante della fotocamera.

È possibile inoltre cambiare la visuale della telecamera mentre si registra: questa è una piccola caratteristica che può essere d’aiuto ad aggiungere atmosfera alla storia.

Illuminazione: è possibile scegliere tra tre diverse impostazioni di illuminazione quando si crea una storia per Facebook: flash acceso (l’icona del fulmine), flash spento (la luna e l’icona x) e le impostazioni di scarsa illuminazione (l’icona della luna e della nuvola).

Impostazioni fotocamera: toccando l’icona dell’ingranaggio nell’angolo in alto a destra dello schermo, si apriranno le impostazioni della fotocamera, anche se non dovrebbero chiamarle “impostazioni della fotocamera” poiché viene data solo un’opzione di impostazione: la possibilità di salvare automaticamente il contenuto che si crea sul dispositivo.

Filtri: nel corso degli anni Facebook ha investito molto nei filtri AR (“realtà aumentata”) e attualmente offre dozzine di filtri creati dagli utenti per le storie. Tutto quello che dovete fare è toccare l’icona della faccina sorridente e scorrere tutte le opzioni.

Archivio: è possibile caricare contenuti già presenti nella propria memoria o gallery, toccando l’icona della foto nell’angolo in basso a destra o scorrendo verso l’alto sullo schermo.

Opzioni delle stories di Facebook

Facebook attualmente offre quattro diverse opzioni di registrazione: Normale, Video, Boomerang e Live.

Con Normale, potete toccare il pulsante di registrazione per scattare una foto. Oppure potete tenere premuto il pulsante per registrare un video della durata massima di 20 secondi. Se selezioniate la modalità Video, potete toccare una volta il pulsante di registrazione per avviare un video e toccare di nuovo per interromperlo.

L’opzione Boomerang funziona proprio come su Instagram. Tutto quello che dovete fare è toccare il pulsante di registrazione per unire una raffica di foto per creare una breve animazione che viene riprodotta avanti e indietro. Quando selezionate l’opzione Live verrà chiesto di avviare una trasmissione video in diretta su cui i follower possono sintonizzarsi.

Dopo aver registrato una foto o un video, potete utilizzare più strumenti creativi per rendere la storia di Facebook ancora più coinvolgente, come adesivi, testo, tag utente, collegamenti, strumenti di disegno, effetti e sfondi. Potete anche utilizzare l’adesivo “@ TAG” per taggare altri utenti da un elenco a discesa mentre si digita il ​​nome del loro account, proprio come su Instagram Stories! Ancora: potete toccare l’icona della bacchetta magica nell’angolo in basso a sinistra per accedere a dozzine di fantastici effetti e animazioni.

Aggiungendo i link poi, nel momento in cui viene aggiunto un collegamento personalizzato, gli spettatori potranno selezionare “Vedi altro” (See More) per aprire la pagina all’interno del browser di Facebook, in modo simile a come funzionano i collegamenti in Instagram Stories. In alternativa, si possono aggiungere delle CTA , come  “Acquista ora”, “Ottieni indicazioni stradali” o “Ulteriori informazioni”, per indirizzare gli utenti a una pagina specifica già collegata all’account Facebook.

Cliccando poi su condivi nella storia si può vedere il contenuto online!

Monitorare, sempre!

Esistono alcuni modi per monitorare le prestazioni delle stories di Facebook. La prima opzione è passare ad una delle storie attive e toccare l’icona dell’occhio nell’angolo in basso a sinistra. Verrà visualizzato un elenco di persone che hanno visualizzato la storia. Potete anche vedere le statistiche sul rendimento delle storie della pagina facendo clic su Insights.

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Strategia, indispensabile!

Benjamin Chacon nel suo articolo su Later chiede inoltre: cosa pubblicare nelle storie di Facebook? È più opportuno creare contenuti originali per le storie di Facebook o semplicemente riutilizzare le storie su Instagram? Per chi utilizza le Instagram Stories, quindi uno strumento di ricondivisione nativo da Instagram a Facebook disponibile, ha senso sfruttare i contenuti creati per Instagram.

Col tempo, si capirà con cosa il pubblico di Facebook interagisce di più per  iniziare a creare contenuti originali. Ad esempio, il vostro pubblico di Facebook potrebbe tendere a guardare le tue storie dall’inizio alla fine, con un basso tasso di uscita. In tal caso, potreste voler sperimentare video di forma più lunga come tutorial, domande e risposte e presentazioni di prodotti. Quindi potete utilizzare le storie di Facebook per indirizzare il traffico sui vostri articoli e post sul blog oppure potrete usarli per condividere importanti aggiornamenti e annunci di contenuti divertenti e interattivi con il tuo pubblico.

In soldoni, l’obiettivo è creare uno spazio su Facebook Stories che sia unico per i contenuti di Instagram Stories.

Ad esempio, se sei un brand di moda, Instagram Stories potrebbe essere il luogo in cui si condividono backstage e dietro le quinte della vostra attività, mentre Facebook Stories è per tutorial più approfonditi su come modellare i vestiti.

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Quanto e quando pubblicare le Facebook storie?

Non esiste una regola rigida quando si tratta di quanto pubblicare su Facebook Stories: dipende da ciò che i vostri follower vorrebbero vedere! Se vedete alti tassi di uscita sulle storie di Facebook, potrebbe essere un segno che state pubblicando troppo o il vostro pubblico è annoiato.

Quando si tratta di post regolari di Facebook, è importante pubblicare quando i  follower sono più attivi poiché la sequenza temporale del feed di notizie è così sensibile. Ma per le storie di Facebook, avete un po’ più di libertà.

A causa della loro natura effimera, le storie di Facebook esistono per un massimo di 24 ore, offrendo una lunga finestra per essere in cima ai feed di notizie dei tuoi follower.

Anche se pubblicate quando il pubblico non è online, esso sarà comunque in grado di vedere la storia di Facebook quando accede. Per questo motivo, potreste vedere un maggiore coinvolgimento con le storie di Facebook rispetto ai  post di Facebook.

Instagram Stories: perchè non devono mancare nella tua Social Media Strategy

In altre parole, non preoccupatevi troppo di pubblicare le storie di Facebook nei momenti ottimali: una volta che inizierete a pubblicare regolarmente su Facebook Stories, noterete quando il coinvolgimento del tuo pubblico aumenta e potrete pianificare il calendario dei contenuti attorno a quella finestra.

Poiché la portata organica dei post di Facebook continua a diminuire, le storie di Facebook potrebbero essere la migliore opportunità per le aziende di aumentare l’engagement, costruire la consapevolezza del marchio e rafforzare la loro relazione con il loro pubblico di Facebook!

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Come il marketing può aiutarci a uscire dal complicato rapporto fra moda e ambiente

  • Può il mondo del fashion trasformare il marketing e renderlo più sostenibile? Ecco come si stanno muovendo i brand.
  • Le aziende vogliono raccontare davvero come sono realizzati i loro prodotti. Chiarezza e trasparenza prima di tutto. 

La primavera è nell’aria e la voglia di abiti leggeri e colorati si fa sentire. I mesi trascorsi in casa hanno segnato come outfit più cool il duo tuta e felpone. Abbiamo voglia di rivoluzionare il nostro armadio e dopo averlo analizzato con cura, ci rendiamo conto dell’esistenza di capi che non abbiamo quasi mai indossato. Compriamo qualcosa perché magari attratti da una fantasia particolare, ma poi indossiamo i soliti capi basic. Trascorso qualche anno, siamo pronti a disfarci di quel vestito appallottolato in un cassetto ripromettendoci che la prossima volta saremo più saggi e parsimoniosi.

Abituati ad acquistare in modo veloce, consigliati dall’influencer di turno, o stimolati dai costi irrisori di alcuni brand, non ci rendiamo conto che facciamo più male che bene, ma perché?

L’industria del fashion è una di quelle più in debito con l’ambiente, ed è per questo che molti brand e aziende vogliano cambiare il proprio approccio ai prodotti puntando su un marketing (davvero) sostenibile.

Che cosa si intende per marketing sostenibile?

Quando parliamo di marketing sostenibile intendiamo un modo diverso di stare sul mercato. Consiste nello sviluppare e promuovere prodotti e/o servizi a ridotto impatto ambientale. Ovviamente questi prodotti e servizi dovranno anche essere competitivi e allineati con il resto delle altre offerte.

Da cosa nasce questa esigenza? Possiamo vedere il marketing sostenibile come un’evoluzione del green marketing. Nasce dal bisogno delle aziende di essere in sintonia con il pensiero dei propri clienti, sempre più sensibili alle tematiche ecologiche. Lo scopo del marketing sostenibile è quello di uscire dalla nicchia del green marketing per diffondere questi nuovi stili di vita a zero impatto ambientale rendendoli comuni e alla portata di tutti. 

Come può il fashion quindi rendere il proprio di marketing più sostenibile? Ascoltando il proprio pubblico e mostrandogli cosa c’è dietro i propri prodotti. 

Moda e ambiente: un rapporto complicato

Prima di capire se effettivamente il mondo del fashion può cambiare le proprie strategie per avvicinarsi a un marketing più sostenibile, dobbiamo analizzare un po’ di numeri.

La moda piace a tutti perché ha la capacità di farci sentire noi stessi anche con stili, colori e tessuti diversi. Ci piace cambiare, avere più scelte e spesso tendiamo ad acquistare svariati capi proprio per soddisfare questa esigenza. Di conseguenza se acquistiamo tanto vuol dire che si produce tanto, e infatti il l’abbigliamento è la seconda industria più inquinante al mondo

Ogni anno vengono prodotti ottanta miliardi di capi d’abbigliamento. Oltre al massiccio consumo di petrolio e all’impronta di carbonio che ciò comporta, la produzione totale rappresenta anche il 20% d’acqua sprecata nel mondo. Se ciò non bastasse, trilioni di microfibre a base di plastica intasano gli oceani, accumulandosi ogni volta che un indumento sintetico viene lavato. Si stima che gli articoli realizzati con queste fibre impieghino oltre 400 anni per biodegradarsi.

Insomma non proprio un toccasana per l’ambiente.

Compriamo quattro volte di più rispetto a 25 anni fa, e questa tendenza è dovuta alla diffusione del fast fashion. Il consumatore medio acquista di più proprio perché quest’industria garantisce più prodotti sul mercato, ma la qualità, l’attenzione alla produzione, e all’impatto ambientale lasciano parecchio a desiderare.

Come può il fashion approcciarsi a un marketing sostenibile? Cambiando il proprio focus e spostando l’attenzione dal prodotto in sé su come viene realizzato, condividendo con le persone i processi di realizzazione del prodotto, ma soprattutto comunicandoli senza filtri.

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La moda può diventare davvero più sostenibile?

La moda è sempre stata sinonimo di rivoluzione e negli ultimi anni i brand hanno teso sempre di più le orecchie per ascoltare le parole del proprio pubblico. I consumatori pretendono, e nessuno più ne fa mistero, di conoscere i prodotti, come sono fatti, dove vengono realizzati e da chi. 

Una voce comune, questa, ripresa anche dagli influencer più in voga su InstagramUn esempio? Camille Charrière è un’influencer francese molto seguita che ha fatto del “less is more” il suo stile di vita, anche per quanto riguarda la moda. 

Attivista ambientale ha deciso di acquistare sempre meno capi, ha interrotto i suoi legami con alcuni marchi di fast fashion, ha promosso il noleggio e la rivendita come modalità d’acquisto più sostenibili e sta diffondendo il ritorno di capi classici e senza tempo invece di acquistare abiti solo perché di tendenza.

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La maggior parte dei brand di moda puntano sulle novità, i trend del momento per incrementare gli acquisti, il che spinge il business ma è in conflitto con il passaggio a un marketing più sostenibile. Ovviamente, le strategie sostenibili sono misurabili col tempo, non danno risultati immediati, ma le aziende non avranno un’attività a lungo termine se non diventano sostenibili, dice Harriet Vocking, chief brand officer presso la società di consulenza sulla sostenibilità Eco-Age di Londra.

I cambiamenti da apportare per un marketing sostenibile

Se i brand del fashion vogliono avvicinarsi a un tipo di marketing sostenibile e a impatto zero non devono concentrare la propria comunicazione sulle novità ma sulla condivisione del prodotto e su tutto ciò che lo circonda. È fondamentale educare i consumatori in modo che possano prendere decisioni ponderate sugli acquisti da fare.

Sempre più informazioni sul processo di creazione e produzione di un capo o accessorio, ma non solo. Maggiore attenzione anche sul packaging, optando per imballaggi compostabili o riciclabili, compensando le emissioni di carbonio.

Le affermazioni veramente sostenibili sono chiare, specifiche e trasparenti

Il problema del marketing è che spesso esagera, ma le affermazioni sulla sostenibilità devono essere necessariamente vere e non ingigantite, come spiega Emma Hope Allwood, scrittrice, che per anni ha lavorato in Dazed (Head of Fashion).

Molti brand affermano cose non del tutto reali, andando oltre il linguaggio della sostenibilità e dell’attivismo, e dandosi troppo credito. A causa della scarsa regolamentazione legale, la moda è più suscettibile al greenwashing rispetto ad altri settori, come quello alimentare, per esempio.

I messaggi devono essere, oltre che reali, chiari e soprattutto trasparenti, cercando di rispondere a ogni domanda dei consumatori. Meglio ammettere di non essere sostenibili, e impegnarsi a diventarlo, invece che spiattellare ai quattro venti qualcosa che non si è davvero.

Prendere spunto dal marketing di lusso

Le aziende che vogliono diventare sostenibili possono imparare molto dal marketing di lusso. I prodotti devono essere desiderabili per essere sostenibili, ponendo attenzione sul valore dell’artigianato. I dettagli dei processi di produzione potrebbero essere condivisi con gli influencer di un brand, così saranno loro a veicolare in modo più veloce e diretto il messaggio ai propri follower. Anche in questo ambito gli influencer potrebbero rivelarsi degli ottimi alleati perché magari visti più vicini e accessibili rispetto a un’azienda.

Rivolgersi ai millennials e alla Gen Z

Ormai è comprovato che i ragazzi e le ragazze più giovani, coloro che definiamo millennials e gen z, non sono tanto guidati dalla pubblicità ma dai valori di un marchio. Apprezzano davvero l’autenticità, l’onestà, la trasparenza, i messaggi reali e questo gruppo sta diventando sempre più grande. Per queste persone la sostenibilità ha un ruolo importante nel loro processo d’acquisto perché sono più sensibili alle tematiche ambientali e sociali.

Le considerano le vere questioni determinanti del nostro tempo e il mondo del fashion deve ascoltarli per poter davvero rendere il proprio marketing più sostenibile. Inoltre sono coerenti, appoggiano sempre più le loro convinzioni con le loro abitudini di acquisto, privilegiando i marchi in linea con i loro valori ed evitando quelli che non lo fanno.

Due generazioni così attente agli sprechi che sono anche quelle che acquistano più capi di seconda mano. Il mercato dell’usato è destinato a raggiungere i 64 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, superando in definitiva il fast fashion entro il 2029. E indovinate un po’? Sono proprio la gen Z e i millennial che acquistano più capi di seconda mano rispetto alle altre fasce d’età.

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Fashion e Marketing sostenibile contro il greenwashing

Avete mai sentito parlare di greenwashing? È un ecologismo finto e ne parliamo quando brand e aziende danno sfoggio di una politica green ed ecosostenibile che però non rispecchia la realtà. 

Le aziende che vogliono assolutamente evitare questo scivolone hanno scelto di adottare l’approccio opposto. Invece di ostentare le proprie politiche, i programmi e i potenziali impatti eco-compatibili, hanno deciso di non condividere i propri obiettivi in questo senso. Per quale motivo? Sia per evitare potenziali accuse di greenwashing sia per aspettare fino a quando non avranno veri risultati da rivelare, anche perché è un processo delicato e che richiede tempo.

E noi, cosa possiamo fare?

Siamo abituati a credere che raggiungere obiettivi significativi sia facile, immediato, ma ciò che conta davvero non si ottiene in un battito di ciglia.

Creare la consapevolezza che il cambiamento sia possibile prendendo posizione e affrontando le questioni a testa alta può dar vita a effetti a catena e, nel lungo periodo, a ottenere risultati davvero rivoluzionari e duraturi per un mondo altamente sostenibile. Ma, come in tutte le cose che contano, dobbiamo crederci per davvero.

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Google Update Timeline: come l’algoritmo di Google ha imparato a interpretare il linguaggio umano

Fin dagli albori, per Google la priorità assoluta è sempre stata l’esperienza utente.

In particolar modo, negli ultimi 10 anni, tutte le nuove funzionalità, le modifiche apportate alla SERP e gli aggiornamenti degli algoritmi, sono stati studiati nell’ottica di avvicinarsi il più possibile al linguaggio umano, rendere più fluida la navigazione e restituire agli utenti risposte pertinenti alle loro query di ricerca.

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Quando si parla di SEO semantica s’intende proprio questo: scrivere per intercettare il search intent e creare contenuti che s’inseriscano all’interno di un sistema di significati ben definito.

La semantica è quella branca della linguistica che studia i significati delle parole (semantica lessicale) e delle relazioni tra le parole che conferiscono significato alla frase (semantica frasale e del discorso).

Chi si occupa di SEO, sa bene che lavorare sul posizionamento di una keyword non è sufficiente per rendere un contenuto autorevole: è necessario costruire un contesto semantico all’interno del quale collocare il contenuto per evitare le ambiguità di significato.

Per una comprensione più profonda di queste logiche, abbiamo ricostruito una timeline dei più importanti (non tutti) aggiornamenti apportati da Google al suo algoritmo nell’ultimo decennio, che si focalizzano proprio sull’interpretazione dei significati da parte del motore di ricerca e sull’esperienza di navigazione.

Google Panda (2011)

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A febbraio del 2011 viene rilasciato Google Panda, un aggiornamento all’algoritmo di ranking che mira ad attribuire più importanza ai siti web in alta qualità.

Il posizionamento di tutti quei siti web che non restituiscono all’utente una user experience ottimale, di conseguenza, viene penalizzato: l’algoritmo, basato su un sistema di apprendimento automatico, identifica una corrispondenza con degli standard qualitativi di progettazione, velocità e affidabilità dei contenuti, definiti dagli sviluppatori di Google.

Con l’introduzione di molti nuovi fattori di ranking, il contenuto assume un ruolo di primo piano: riempire il sito con contenuti di qualità, ma soprattutto unici, diventa un requisito imprescindibile. Copiare i contenuti può, infatti, rivelarsi una pessima mossa in termini di posizionamento.

Non a caso, in seguito al rilascio di Panda, molte controversie sono emerse sui forum di Google Webmaster, in cui in molti contestavano il fatto che numerose pagine web copiate erano posizionate meglio rispetto al contenuto originale.

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Nel corso dei mesi successivi Google ha apportato numerosi aggiornamenti all’algoritmo, tra cui Penguin, rilasciato l’anno seguente (aprile 2012), con il quale anche la strategia di link building diventa un elemento molto importante per permettere al motore di ricerca di interpretare il contenuto anche attraverso i collegamenti, interni ed esterni.

Google Hummingbird (2013)

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Nel 2013 prende il volo il Colibrì di Google, in un momento in cui, dopo panda e pinguini l’esigenza era di “avere un algoritmo preciso e veloce”, come dichiarato da Amit Singhal, ingegnere informatico ai tempi vice presidente di Google Inc.:

A differenza dei suoi illustri predecessori, Hummingbird non è un aggiornamento: qui siamo di fronte a un algoritmo completamente nuovo, che risponde alle esigenze del nuovo utente sulla rete.

Il rilascio del nuovo algoritmo avviene poco dopo l’implementazione dalla funzione Knowledge Graph, di fatto un primo passo verso la ricerca semantica: con questa funzione il motore di ricerca diventa in grado, non solo di associare un oggetto di ricerca a una query, ma anche di mettere in relazione tra loro più oggetti restituiti ad una stessa query, per attribuirgli un certo grado di rilevanza.

L’introduzione di Hummingbird rappresenta un grosso salto in avanti verso il linguaggio naturale: il focus del nuovo algoritmo è comprendere, non solo il contesto, ma anche l’intento di ricerca dell’utente.

Questo cambiamento si traduce all’atto pratico nel rendere sempre più precise e pertinenti le chiavi di ricerca, con una maggiore attenzione rivolta alle long tail keyword.

Posizionare correttamente un sito vuol dire espandere la ricerca delle parole chiave per includere più fattori contestuali.

E-A-T (2014)

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Pur avendo attirato molta attenzione dal 2018 in poi, il concetto di E-A-T appare per la prima volta nel Quality Rater’s Handbook di Google nel 2014.

Expertise, Authority, and Trust in content, ovvero competenza, autorità e fiducia sono i criteri guida da seguire nelle strategie di contenuto in e off-page per fornire agli utenti i contenuti più pertinenti provenienti da fonti di cui possono fidarsi.

La mancanza di E-A-T dovrebbe essere una ragione sufficiente per un valutatore per assegnare una valutazione bassa a una pagina o un sito.

Gli algoritmi di Google si basano in particolar modo sulle “menzioni” in forma di link da parte degli abitanti del web, per riconoscere una fonte come rilevante: in base al numero di condivisioni e link su altre pagine, il posizionamento può aumentare o diminuire.

Ma non solo: il punteggio E-A-T considera diversi concetti interconnessi in relazione ai quali è determinato il livello di autorevolezza di un’organizzazione in un determinato settore. La chiave sta proprio nel saper individuare i giusti trend e topic, per circoscrivere l’area di competenza e fornire le informazioni giuste al pubblico giusto, per mostrare esperienza e creare un rapporto di fiducia con il lettore.

Mobile-friendly Update (2015)

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Il 2015 è l’anno in cui il traffico su Google da dispositivi mobile supera per la prima volta il traffico generato da desktop.

La giornata del 21 aprile viene definita dai media come il Mobilegeddon di Google, ovvero il lancio di un nuovo algoritmo annunciato per la prima volta da Google, che prima di allora non aveva mai rilasciato comunicazioni ufficiali al momento di un cambiamento significativo nei criteri di ricerca, limitandosi semplicemente a mettere gli esperti davanti al fatto compiuto.

Con il Mobile Update l’ottimizzazione della versione mobile di un sito diventa un importante fattore di ranking, a discapito quindi di tutti quei siti web che avevano solo una versione desktop, dunque difficilmente fruibile da mobile in termini di rapidità e usabilità.

Nel comunicato di Google vengono evidenziati chiaramente 3 punti:

  • l’algoritmo avrebbe influenzato il posizionamento solo sulle ricerche effettuate da dispositivi mobile;
  • gli effetti sortiti sarebbero stati gli stessi in tutte le lingue;
  • l’algoritmo avrebbe preso in considerazione la singola pagina e non l’intero sito.

Come ben sappiamo, si tratta solo del primo di molti aggiornamenti che Google ha rilasciato negli anni per dare priorità al mobile. In questa prima versione, l’algoritmo non ha alcuna influenza sul posizionamento dei siti non ottimizzati correttamente per mobile, se la ricerca viene effettuata da desktop.

RankBrain (2015)

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Sempre nel 2015, Google annuncia anche l’arrivo di RankBrain, una nuova intelligenza artificiale, utilizzata per elaborare i risultati di ricerca di Google ed ordinarli nella SERP in base a un criterio di pertinenza.

RankBrain è più di una semplice modifica all’algoritmo: si tratta di un sistema di machine learning, ovvero un sistema progettato per “insegnare a se stesso a fare qualcosa” senza che sia necessario l’intervento umano.

L’obiettivo di questo sistema è garantire che i contenuti restituiti dal motore di ricerca nella SERP riflettano in maniera quanto più veritiera possibile l’intento di ricerca dell’utente. RankBrain è progettato per l’apprendimento e l’individuazione di connessioni tra le informazioni, in modo da avvicinarsi sempre di più al linguaggio conversazionale e rispondere alle ricerche vocali.

RankBrain utilizza l’intelligenza artificiale per incorporare enormi quantità di linguaggio scritto in entità matematiche – chiamate vettori – che il computer può comprendere. Se RankBrain vede una parola o una frase con cui non ha familiarità, la macchina può fare un’ipotesi su quali parole o frasi potrebbero avere un significato simile e filtrare il risultato di conseguenza, rendendolo più efficace nella gestione di query di ricerca mai viste prima .

Google Mobile-First Indexing (2018)

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Nel 2018 Google sancisce il passaggio dal mobile-friendly al mobile-first.

Da quel momento, la versione mobile di un sito web viene considerata primaria dal motore di ricerca. In altre parole, qualunque sito non ottimizzato correttamente per la navigazione da dispositivi mobile, potrebbe vedere precipitare il posizionamento in SERP.

LEGGI ANCHE: Mobile first indexing: cosa cambia con l’aggiornamento di Google

Nel comunicato ufficiale, il team di Google ci tiene a precisare che l’indice è uno solo per desktop e mobile, e non due come molti credevano, e che il questo cambiamento andrà a influire sul modo in cui vengono raccolti i contenuti, non come vengono indicizzati.

Cosa significa?

I contenuti raccolti dall’indicizzazione mobile-first non hanno alcun vantaggio di ranking rispetto ai contenuti per dispositivi mobili non ancora raccolti in questo modo o ai contenuti desktop. Inoltre, se hai solo contenuti desktop, continuerai a essere rappresentato nel nostro indice.

Se un sito web utilizza URL differenti per desktop e mobile, Google mostra l’URL mobile agli utenti che effettuano la ricerca da iPhone o Smartphone, e l’URL desktop agli utenti che navigano da PC. Tuttavia, il contenuto che viene indicizzato è sempre quello mobile.

Broad Core Algorithm Updates (2018)

Il 2018 è stato anche l’anno del Broad Core Algorithm Updates, ovvero un ampio aggiornamento dell’algoritmo di base che viene comunicato da Google sui suoi canali ufficiali:

L’azienda stessa spiega le possibili conseguenze che i siti potrebbero riscontrare nell’immediato a livello di posizionamento in SERP e come potrebbero avvantaggiare siti che erano precedentemente sottovalutati.

Nonostante una confusione iniziale sui fattori di ranking e l’eventuale risoluzione di problemi specifici, diventa presto ben chiaro che, nelle logiche del nuovo algoritmo, il concetto di E-A-T è quello che porta il contenuto in cima alla SERP.

Nelle linee guida fornite da Google sono spiegati nel dettaglio i criteri per rendere un contenuto di qualità, che è la chiave per posizionarsi come ribadito anche da Danny Sullivan:

BERT (2019)

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In seguito all’introduzione di RankBrain, l’obiettivo di Google è stato sempre di più quello di comprendere le query conversazionali.

Come scrive Pandu Nayak sul blog di Google “la ricerca riguarda la comprensione della lingua”. Lo scopo è quello cercare di capire cosa l’utente cerca di visualizzare e fare in modo che il motore di ricerca interpreti correttamente le sue intenzioni, indipendentemente dall’ordine delle parole.

BERT è un ulteriore passo verso il linguaggio umano, che mira ad una comprensione più profonda dei significati per avvantaggiare sempre di più la ricerca vocale.

Danny Sullivan ci tiene a sottolineare che non ci sono istruzioni da seguire: Bert non cambia i pilastri fondamentali di Google, ovvero scrivere contenuti per gli utenti: usare la keyword nel tag title, nel tag alt e nell’URL e giocare con i sinonimi e le correlate, restano le regole fondamentali.

Secondo gli esperti di Google che l’unico modo per ottimizzare un testo dopo BERT è scrivere un testo pensando al beneficio che l’utente può trarne.

COVID-19 Pandemic: March 2020

Durante la pandemia, inevitabilmente, il comportamento del consumatore e i criteri di ricerca sono cambiati, per alcuni versi in maniera irreversibile.

Nella stessa settimana in cui è stato dichiarato lo stato di pandemia, Google ha risposto prontamente con ampia gamma di aggiornamenti di Google relativi a COVID-19, per far sì che le persone si sentano al sicuro, informate e connesse tra loro.

Tutte le modifiche e le implementazioni apportate al motore di ricerca, sono state pensate per agevolare gli utenti nel reperire servizi e assistenza, scoraggiare la disinformazione e favorire l’aggregazione online.

LEGGI ANCHE: Google investirà 900 milioni di dollari nella ripresa economica dell’Italia

Google My Business fornisce ora supporto costante per le attività commerciali che potrebbero essere interessate da COVID-19, per facilitare, ad esempio, l’aggiornamento continuo di informazioni come gli orari di apertura o le comunicazioni al pubblico. Come tutto il resto, nel 2020, il lavoro di Google è stato interamente rivolto alla riorganizzazione generale per l’emergenza sanitaria ancora in atto.

Google Page Experience Update and Core Web Vitals (CWV)

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Il 10 novembre 2020, Google ha confermato il suo nuovo approccio: Core Web Vitals, che diventerà un fattore di ranking a partire da maggio 2021. La novità principale è che saranno introdotti indicatori visivi per segnalare agli utenti quali siti offrono un’esperienza di navigazione migliore.

In termini di Google, “Esperienza sulla pagina” è il modo in cui un utente fruisce le prestazioni e l’esperienza di navigazione, e quanto, di conseguenza, percepisce la navigazione sicura o meno.

L’ottimizzazione mobile continuerà a essere un fattore di ranking imprescindibile, con tempi di caricamento rapidi e la distribuzione dei contenuti finger friendly, ovvero a prova di schermo mobile.

Un sito Web deve essere sicuro e privo di contenuti dannosi o ingannevoli. Ad esempio, nelle nuove linee guida di Google si tende a scoraggiare fortemente gli interstitial che ostacolano l’utente nel trovare i contenuti che sta cercando, come le finestre popup che coprono un’area del contenuto principale sui dispositivi mobile.

Core Web Vitals (CWV) è una misura dell’esperienza utente “nel mondo reale”, inclusi i tempi di caricamento, l’interattività e la stabilità visiva.

E adesso?

Con il passare degli anni, Google ha annunciato con sempre maggiore anticipo le modifiche al suo algoritmo per concedere il tempo necessario per prepararsi.

La domanda che sorge spontanea è: cosa prepararsi fin da subito ai cambiamenti in arrivo?

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Le metriche di Google sono sempre più user-centric: per scalare la SERP dovrai offrire agli utenti un’esperienza di navigazione impeccabile. Ma quali sono queste metriche?

  • Benchmark/audit tools: valuta e monitora esperienza utente sul tuo sito, individua per tempo le criticità;
  • Performance Budget: imposta correttamente gli obiettivi di budget di rendimento, compresi i target per dispositivi mobili e i tempi di caricamento, secondo i dettami previsti dal Largest Contentful Paint (LCP);
  • First Input Delay (FID): in altre parole, i tempi di risposta del sito a un input lanciato da un utente in relazione ad un contenuto che presuppone un’interazione, come un link o un pulsante;
  • Cumulative Layout Shift (CLS): ovvero, il punteggio di variazione del layout, che il browser calcola esaminando la dimensione della finestra e il movimento di elementi instabili nella finestra tra due frame renderizzati. Rivedi i caroselli, controlla i problemi di caricamento dei caratteri o di banner;
  • Prestazioni del sito Web: migliora le prestazioni del tuo sito, ovviamente dando priorità assoluta ai dispositivi mobile utilizzando un CMS headless e pagine AMP mobili.

I grandi cambiamenti dovuti alla pandemia che sono destinati a rimanere

Questo articolo è stato scritto da Zharmer HardimonEditor, Think with Google.

Nell’ultimo anno, mentre il mondo intero vacillava per gli effetti della pandemia, molte aziende sono state in una continua lotta per capire come – e anche se – dovevano andare avanti con le attività quotidiane. Alcuni settori, come i viaggi, hanno subito sconvolgimenti sbalorditivi. Altri, come la vendita al dettaglio online, hanno visto opportunità di crescita.

In qualunque settore ti trovassi, dovevi considerare il giusto approccio di marketing. Abbiamo passato buona parte dell’anno a ripensare a come abbiamo fatto tutto. E, a tal fine, abbiamo pensato che valesse la pena dare un’occhiata all’anno trascorso per analizzare alcuni dei più grandi cambiamenti e i perni che rimarranno.

Le abitudini dei consumatori hanno subito cambiamenti radicali

Quando le attività hanno cominciato a chiudere in tutto il mondo, le persone si sono affannate a comprare quello che serviva. Ma con i negozi completamente chiusi o con l’esaurimento di generi di prima necessità – ricordi le corse per la carta igienica e il disinfettante per le mani? – tutti si sono dovuti reinventare per trovare risposte. L’interesse di ricerca per la vendita al dettaglio è cresciuto a livello globale nei primi mesi. Le ricerche di “who has” e “in stock” sono aumentate di oltre l’8.000% su base annua negli Stati Uniti. E, poiché le persone limitavano i loro spostamenti ai negozi di alimentari, nel Regno Unito si è registrato un crescente interesse per ricerche come: “cibo da congelare” e “consegna a domicilio”.

A incidere è stata anche l’ansia economica. Secondo uno studio Kantar del marzo 2020, nei paesi del G-7 il 71% delle persone ha affermato che il proprio reddito personale è stato influenzato dal Coronavirus. Il dato più alto quello dell’Italia (85%), seguita da Stati Uniti (75%) e Canada (75%). Un rapporto BCG ha rilevato che le persone che hanno anticipato i cambiamenti nelle loro abitudini di spesa si aspettavano di risparmiare di più (29%) e spendere meno (27%) in articoli non essenziali, come moda e lussi.

Uno sguardo alla ricerca per anno ha mostrato che le persone cercavano di ottenere il controllo di ciò che potevano durante i periodi di incertezza. Le ricerche di “apprendimento online” sono aumentate del 400%, poiché i genitori hanno cercato ispirazione, soluzioni e comfort. E, con le palestre chiuse, le ricerche di app per il fitness sono aumentate del 200% su base annua.

Le persone hanno cercato di trovare modi per coltivare connessioni in un mondo in cui erano tagliate fuori dalle loro vecchie vite. Le ricerche che includevano la frase “con gli amici online” sono aumentate del 300% su base annua. E la tendenza continua. Da novembre a gennaio, le ricerche di “watch party” (ad esempio, “youtube watch party” o “private watch party”) sono aumentate del 400% su base annua per lo stesso periodo di tempo.

Cercare di stare al passo con i modelli in continuo mutamento è uno dei motivi per cui abbiamo lanciato il nostro briefing mensile sugli approfondimenti globali.

Gli eventi dal vivo torneranno sicuramente, ma avranno un aspetto diverso. Le persone ci penseranno due volte prima di partire se potranno accedervi facilmente dal proprio soggiorno. Ciò significa che gli eventi dovranno essere personalizzati per offrire un’esperienza che si distingua davvero.

Il lavoro si è spostato a casa

Anche prima del distanziamento sociale e dell’isolamento, la casa stava diventando il punto di riferimento per le persone impegnate che cercavano di utilizzare meglio il proprio tempo. Che si trattasse di saltare il tragitto giornaliero o la fila al supermercato, le ricerche online e le abitudini di acquisto prima della pandemia indicavano il desiderio delle persone di trascorrere più tempo in attività che dessero loro gioia, piacere o conforto (e meno tempo nel traffico). Ma con interi team che lavoravano in remoto per un periodo di tempo indefinito, le aziende si sono trovate a cercare modi per mantenere un senso di comunità e per promuovere l’inclusione.

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Il modello di lavoro in ufficio è probabilmente cambiato per sempre, modificando le abitudini dei consumatori e le culture del posto di lavoro. Per le aziende, questo significa trovare modi per soddisfare le esigenze più elementari delle persone e adottare misure per promuovere una forza lavoro più resiliente.

Lo shopping online è diventato la norma

L’eCommerce era già in costante crescita, ma il 2020 ha visto lo shopping online, alimentato dalla necessità, decollare. C’è stato un aumento significativo del numero di persone disposte a comprare generi alimentari, vestiti e persino automobili online. Nei primi sei mesi del 2020, ad esempio, quasi il 10% delle auto è stato venduto online, rispetto a solo l’1% delle auto vendute online durante tutto il 2018.

In definitiva, ciò che un acquirente vuole è aiuto. Quando cercano attivamente quell’aiuto nel regno digitale, diventa più facile per le aziende che ne possiedono gli strumenti leggere le intenzioni e prevedere i piani di marketing giusti per fornire quell’aiuto.

In tutto il mondo alcune persone hanno scoperto per la prima volta lo shopping online, mentre altre hanno semplicemente aumentato la loro dipendenza da esso. I programmi di ritiro a bordo strada e di personal shopper sono diventati la norma. E le nuove, più comode, abitudini non verranno certo dimenticate dopo la pandemia.

È tempo di essere pronti

È tempo di concentrarsi sulle basi. Ci sono marchi che hanno raddoppiato le informazioni, sono rimasti agili grazie all’automazione e hanno preso decisioni basate sui dati. Quei marchi sono riusciti non solo a sopravvivere nell’ultimo anno, ma a prosperare.

Le aziende sopravvissute alla pandemia hanno più dati e segnali dei consumatori, sono maggiormente in grado di agire su di essi e possono soddisfare uno standard più elevato per fare tutto questo in modo più responsabile che mai. Tuttavia, le interruzioni e l’incertezza rimangono, rendendo necessario che le aziende ripensino alla prontezza. Mentre guardiamo all’anno a venire, dovremmo tutti lavorare per reinventare il modo di soddisfare al meglio la domanda dei consumatori, anche se fluttua e anche se rimane volatile.

Stripe triplica il suo valore, valutazione record da 95 miliardi di dollari

Stripe, la piattaforma di gestione di pagamenti online, triplica il suo valore aziendale nell’ultimo anno e raggiunge una valutazione di 95 miliardi di dollari.

Se l’eCommerce guida le tendenze dei mercati finanziari globali, la società fondata a San Francisco nel 2010 dai fratelli irlandesi John e Patrick Collison, con la sua valutazione record rientra tra le start up private più preziose e di maggior successo della Silicon Valley senza essere quotata in borsa, complici i nuovi trend di pagamenti digitali incentivati dalla pandemia e dal Covid.

Con l’ultimo round di finanziamento, la società ha annunciato di aver raccolto 600 milioni di dollari da Allianz X, Axa, Baillie Gifford, Fidelity Management & Research Company, Sequoia Capital e National Treasury Management Agency (NTMA), raggiungendo i 95 miliardi di dollari.

Una valutazione che, secondo il Financial Times, ha superato gli 80 miliardi di Facebook prima di sbarcare in borsa e i 72 miliardi di Uber precedenti alla sua prima offerta pubblica IPO nel 2019, dietro solo ai cinesi ByteDance (180 miliardi) e Ant Group di Jack Ma.

Rispetto alle altre startup private, Stripe guida la piattaforma di trading Robinhood, che attualmente è valutata in 11,7 miliardi di dollari, con un enorme margine.

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Verso l’espansione in Europa

Molte aziende, tra cui Amazon, Github, Yelp, Spotify e Uber, utilizzano le soluzioni Stripe per l’elaborazione dei pagamenti, con software di gestione semplice per integrare soluzioni di pagamento all’interno dei siti web, proprio come PayPal.

L’ultimo round di raccolta di capitali resterà a bilancio, in vista dei prossimi obiettivi di espansione, soprattutto verso i mercati europei, come evidenzia anche una nota stampa: “L’azienda utilizzerà i nuovi fondi per investire nelle iniziative europee – in particolare nel quartier generale di Dublino – per supportare la crescente domanda proveniente dalle grandi aziende del ramo Enterprise del Continente e per espandere la propria Rete Globale di Pagamenti e Tesoreria (GPTN)”. A ciò si aggiunge l’investimento in infrastrutture per sviluppare soluzioni di pagamento online per il prossimo decennio.

Dall’inizio della pandemia, Stripe ha aggiunto alla sua piattaforma circa 200 mila nuove compagnie in Europa tra quelle che utilizzano i suoi servizi, gestendo circa 5mila richieste al secondo.

Secondo il Bloomberg Billionaires Index, i fratelli Collison al momento vantano un patrimonio personale di oltre 11 miliardi di dollari ciascuno, che sembra destinato a crescere.

L’ascesa di Stripe

Dopo la creazione della start up nel 2010, i fratelli Collison nel giugno 2010 hanno ricevuto finanziamenti da Y Combinator, un acceleratore di start-up. A seguire, nel maggio 2011, un investimento di 2 milioni di dollari dai venture capitalist Peter Thiel, Sequoia Capital e Andreessen Horowitz. Lanciata ufficialmente al pubblico dopo un’estesa fase beta,  nel febbraio 2012, un investimento da 18 milioni di dollari guidato da Sequoia Capital con una valutazione di 100 milioni. Nel 2016, Stripe è stata valutata in oltre 9 miliardi. A settembre del 2019 ha raccolto 250 milioni di dollari in un nuovo giro di finanziamento raggiungendo un valore aziendale di 35 miliardi di dollari, fino all’attuale cifra del valore di 95 miliardi di dollari, che batte Facebook e Musk prima della loro quotazione in borsa.

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estetista cinica

Estetista Cinica diventa una Barbie, ecco cosa ci ha raccontato Cristina Fogazzi

I sogni nascono da bambini, e crescono con noi“. Inizia così il post Instagram di presentazione del nuovo progetto di Barbie in collaborazione con Estetista Cinica.

L’azienda, amatissima dai bambini di tutto il mondo (ma anche dai collezionisti) ha infatti dedicato all’estetista più famosa d’Italia una bambola “One of Kind”, un pezzo esclusivo, realizzato proprio per Cristina Fogazzi.

Cristina è riuscita a realizzare i suoi sogni, inseguendoli con forza e determinazione, ed è proprio per questo che Barbie l’ha scelta come Role Model: una persona capace di ispirare bambine e ragazze di ogni età.

Estetista Cinica è anche un’imprenditrice innovativa che ha spronato ogni persona a trovare la propria bellezza in sé, a continuare verso ogni obiettivo senza alcun condizionamento esterno e che continua incessantemente ad ispirare le future generazioni incoraggiandole a non abbandonare la strada che hanno scelto, per il timore di non farcela.

La nuova bambola fa parte di Barbie Dream Gap Project: un’iniziativa globale il cui scopo è fornire alle bambine le risorse e il supporto di cui hanno bisogno per esprimere tutte le loro potenzialità.

Inoltre, Barbie e Cristina Fogazzi uniranno le loro forze per un’attività benefica in collaborazione con l’associazione BET SHE CAN per un progetto incentrato sulla rimozione delle etichette e degli stereotipi di genere che colpiscono bambini e bambine fin dai primi anni di vita.

Curiosi come solo i Ninja sanno essere, abbiamo voluto saperne di più e abbiamo fatto qualche domanda a Cristina sulla Barbie Estetista Cinica.

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estetistacinica con Barbie

Come ci si sente a diventare Barbie?

Come in un sogno. Quale bambina non ha mai desiderato di avere una Barbie con le proprie sembianze? In ogni caso, e sogni a parte, mi sento profondamente onorata di essere riconosciuta come un modello per queste bambine.

Avverti la responsabilità di essere un modello per ragazze/i e bambine/i?

Sì. Sicuramente. Ma sono anche pienamente consapevole che la visibilità dà modo a tutti noi di veicolare valori importanti per chi, un domani, sarà donna.

 

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Un post condiviso da VERALAB (@veralab_estetistacinica)

Pensi che il panorama dell’imprenditoria stia davvero cambiando? C’è più spazio oggi per le donne?

Siamo ancora lontani dalla “parità”. Solo il 22% delle aziende italiane è guidato da donne. Ma credo anche che dei grandi passi in avanti siano stati fatti. Siamo toste, preparate, intraprendenti. Possiamo davvero fare ciò che desideriamo. Basta crederci un po’ di più, e battersi per i nostri sogni.

Il tuo segreto per il successo è stato anche l’autenticità. Come si fa a mantenere questo approccio e questo valore anche con migliaia di follower e tanti contratti?

La mia community mi regala tanta forza, e mi sprona ancora di più in questo senso. Se non fossi coerente con ciò che penso, o poco aderente a ciò per cui mi sono sempre battuta, sono convinta che loro, in primis, se ne accorgerebbero. Il nostro dialogo è basato sull’onestà e sulla sincerità. Sono loro che mi spingono incessantemente a restare la persona che sono.

estetistacinica con la sua barbie personalizzata

Secondo la tua esperienza, cosa dovrebbero tenere bene a mente i brand quando propongono una campagna a un influencer?

L’influencer stesso, e gli obiettivi della campagna.

Gli influencer sono potenti strumenti di comunicazione, e come tali, per essere ritenuti efficaci e strategici, devono essere adatti al contenuto che devono veicolare.

Intraprendere una campagna con un influencer solo perché ha tanti follower non è una strategia vincente. Anzi, non è nulla. C’è sempre da chiedersi in quale ambiente di comunicazione è abituato a muoversi, la community di riferimento, il suo modo di creare contenuti. Cosa lo appassiona e cosa no.

Io lavoro da anni nel settore del Beauty, e troppe volte mi capita di vedere un placement di prodotto, per fare un esempio, non adeguato alla pelle dell’influencer.

Come può risultarne una comunicazione credibile?

la Barbie dedicata a EstetistaCinica

Dopo essere diventata Barbie, qual è il prossimo ambizioso traguardo di Estetista Cinica?

Posso essere onesta? Vorrei che la mia azienda andasse sempre bene. Perché, grazie a ciò che ho costruito, ho potuto aiutare molte persone. Ed è di gran lunga l’aspetto che più mi ha gratificato e reso orgogliosa.

digital tool della settimana - uomo alla scrivania

MyHeritage, Ariyh e Kbee, i digital tool della settimana

L’attenzione per i dettagli è essenziale quando produciamo contenuti e, in generale, ci rivolgiamo al pubblico con la nostra comunicazione. Diventa molto fastidioso, a posteriori, accorgersi di un refuso o di una svista in un documento, specie se non siamo in grado di intervenire per correggerlo.

Questa è solo una delle piccole disavventure che possono capitare durante la giornata lavorativa. Per questo ci affidiamo ad alcuni tool digitali che ci aiutano a centrare l’obiettivo previsto dalle deadine senza intoppi. E magari a regalarci qualche momento di spensieratezza, tra l’invio di una email e una call su Zoom.

Ecco i nostri digital tool per questa settimana.

LEGGI ANCHE: Weet, Zoomoff e Mubi, i digital tool della settimana

Illustrazioni customizzabili

tool digitale - amigos

Per rendere più divertente una presentazione o un contenuto non c’è niente di meglio di una illustrazione personalizzata. Con Amigos potrai crearne quante ne vuoi, scegliendo tra decine di opzioni.

Beta testing

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Quando si lancia un nuovo sito, spesso ci si accorge di nuovi e inaspettati errori, typo e problemi di ogni genere. Brevy trasforma il tuo sito web in uno spazio collaborativo, permettendo a chiunque nel team di lasciare un feedback o segnalare problemi direttamente in linea.

Sempre nuovi tips

tool digitale

Nel Marketing non si finisce mai di imparare e per restare sempre aggiornato rispetto ai concorrenti puoi seguire i consigli di Ariyh. Riceverai le ultime ricerche delle migliori business school, riepilogate in appena 3 minuti.

Valorizza le risorse

tool digitale - kbee

Ogni azienda che utilizza Google Drive possiede enormi risorse che spesso non vengono sfruttate appieno dai diversi team. Grazie a Kbee puoi trasformare tutti i tuoi contenuti in un wiki veloce e ricercabile per te, il tuo team o i tuoi clienti. Uno strumento potentissimo anche per il Customer Care.

Animati, almeno in foto

tool digitale per animare le foto

Ci sono diversi modi per affrontare una pausa di lavoro: un caffè tra colleghi, qualche telefonata o uno snack per rifocillarsi. Oppure, puoi impiegare qualche minuto utilizzando MyHeritage, un tool per animare le vecchie foto di famiglia e trasformarle in video. Naturalmente, funziona anche con le foto più recenti.

 

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bug su clubhouse

Attenzione ai club di Clubhouse, potresti ritrovarti admin senza saperlo

Era solo questione di tempo prima che l’app più chiacchierata del momento mostrasse qualche vulnerabilità. Stiamo parlando di Clubhouse.

Testando ripetutamente tutte le sue funzioni come solo un vero Ninja può fare, ci siamo imbattuti in un malfunzionamento particolarmente interessante. Con un piccolo “hack” è possibile aprire un gruppo e inserire praticamente chiunque come admin, anche avendo a disposizione pochi dati.

Come vedremo in seguito, con delle manovre particolari diventa impossibile, per la persona aggiunta, liberarsi di questo ruolo, che rimarrà ben in evidenza nella lista dei suoi club.

Fin qui sembra solo uno scherzo innocente, ma cosa potrebbe capitare a un iscritto che si trovasse a figurare come amministratore di un club con un nome “sconveniente”, magari legato a contenuti pornografici, che inneggia alla violenza o relativo a tendenze politiche estremiste?

Naturalmente, vi presentiamo la situazione scoraggiandovi fortemente dal mettere in atto queste procedure: nonostante i tentativi che ci hanno permesso di individuare la vulnerabilità del sistema, non abbiamo al momento idea di quali potrebbero essere le conseguenze e le contromisure adottate dal social media qualora questo comportamento venisse individuato.

Rischiare il ban per uno scherzo non è probabilmente una mossa tanto furba. Meno ancora lo sarebbe provare a “incastrare qualcuno”, con i danni che potremmo creare a noi stessi o ad altri attraverso questo metodo.

Contiamo, invece, che la nostra segnalazione sia utile soprattutto agli sviluppatori di Clubhouse, a cui abbiamo già inoltrato un avviso della nostra scoperta, per correggere in tempi celeri la funzione.

Passo 1. Crea un club su Clubhouse

Non importa con quale nome lo aprirai, quale sarà l’immagine del club o la sua descrizione. Per questo test, noi abbiamo creato un fittizio Bug Club.

Come abbiamo già spiegato in questo articolo, adesso la possibilità di aprire un club è aperta a tutti: è infatti sufficiente cliccare sul simbolo “+”, in basso a sinistra nella nostra scheda profilo per avviare la procedura.

bug - clubhouse

Passo 2. Genera il link per inserire nuovi membri

Cliccando sull’icona in alto a destra, quella con l’omino racchiuso in un cerchietto con il simbolo “+”, è possibile generare un link per invitare i nostri contatti a diventare membri del gruppo. Attenzione: non parliamo di follower che possono seguire le attività del club, ma di veri e propri “collaboratori” a cui si possono attribuire poteri di amministrazione, ad esempio per aprire nuove stanze.

Proprio perché è previsto che i membri del gruppo siano in un numero ristretto, ogni link funziona per un massimo di 10 utenti. Non ci resta quindi che copiare il link che, in teoria, potremo inviare ai nostri contatti per invitarli a far parte del club.

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bug su clubhouse 02

 

Passo 3. Autenticati col numero di un’altra persona

Qui comincia l’hack vero e proprio, in realtà piuttosto banale. Una volta copiato il link per l’invito al gruppo, non dovremo inviarlo a nessuno ma semplicemente aprirlo nel nostro browser, che ci reindirizzerà all’app di Clubhouse in una finestra in cui verrà visualizzata la richiesta di entrare nel club fatta dal nostro account… a noi stessi!

A questo punto il sistema richiede l’inserimento del numero di telefono come autenticazione per confermare l’iscrizione. Invece che inserire il nostro numero di telefono possiamo inserire qualunque contatto (a patto che sia già parte di Clubhouse, naturalmente) e cliccare su Verify membership.

Il gioco è fatto! Adesso la persona di cui abbiamo inserito il numero è un membro attivo del club, come se ne avesse fatto espressa richiesta.

Come ulteriore conferma, riceveremo una notifica che ci avviserà che l’utente che abbiamo coinvolto nel nostro magheggio fa ormai parte del gruppo che abbiamo creato. Nel nostro caso, Bug Club.

bug su clubhouse

Passo 4. Rendi la tua vittima un amministratore del gruppo

Adesso che la persona di cui hai inserito il numero di telefono fa parte del tuo gruppo, non ti resta che renderlo amministratore. Riceverai un messaggio di conferma una volta cliccato sull’opzione “Make an admin”

bug dei club su clubhouse

LEGGI ANCHE: 15+ strumenti utili per usare Clubhouse da vero PRO (e risparmiare tempo)

Passo 5. Abbandona il tuo gruppo

Questa è la ciliegina sulla torta di un piano ben congeniato: abbandonare la scena del delitto e cancellare le prove cliccando Leave club.

Il malcapitato si troverà da solo nel gruppo da te creato, ne diverrà proprietario e non avrà modo di cancellarlo o abbandonarlo finché sarà l’unico admin presente.

il bug dei club

Una via d’uscita in realtà c’è, anche se eticamente non è proprio il massimo: per sfuggire alla trappola, la persona gabbata dovrà seguire il tuo esempio, ripetere questa procedura e “incastrare” qualcun altro. Almeno finché clubhouse non risolverà il bug.

 

VR\AR: dopo gli smartphone saranno la prossima tech-revolution?

Quarto appuntamento con i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.

Per questa puntata lasciati trasportare in un viaggio tra i mondi virtuali di AR e VR, dalla loro evoluzione fino ad oggi: Oculus, smart glasses, smart assistance e tanto altro ancora, passando dal cinema, alla narrativa e al gaming.

Mirko Pallera, founder di Ninja, ha intervistato Mauro Rubin, CEO e Founder Joinpad, azienda che sviluppa e fornisce soluzioni tecnologiche in realtà aumentata per i processi industriali.

Non perderti i punti salienti dell’intervista:

  • Differenza tra AR e VR: min 07,00
  • Cosa Mauro ha scoperto al World Conference of VR di Nanchang in Cina: min 15,40
  • Quali sono i device più utilizzati: min 20,40
  • Come il VR cambia l’entertainment: min 24,50
  • A cosa possono servire gli Smart Glasses: min 31,15
  • Cos’è un Smart Assistant in realtà aumentata: min 33,30
  • Gli scenari futuri e le implicazioni etiche: min 37,50

Cina, l’Antitrust valuta sanzione record per il gigante del fintech Alibaba

La Cina progetta di domare il gigante tecnologico Alibaba Group Holding Ltd., società fondata dal magnate Jack Ma, versione cinese di Amazon.com Inc.

Secondo alcune fonti, l’Autorità di regolamentazione cinese starebbe ipotizzando anche la cessione di alcuni asset aziendali non legati alla vendita online, oltre alla multa, la più alta nella storia della Cina, che supera i 975 milioni di dollari, cifra che Qualcomm Inc. ha pagato nel 2015 per pratiche anticoncorrenziali.

Alibaba sarà tenuta, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, a porre fine a una pratica che è stata soprannominata “er xuan yi” – letteralmente “scegli uno su due” – in base alla quale, secondo i regolatori, il gigante della tecnologia ha punito alcuni commercianti che vendevano beni su entrambe le piattaforme, Alibaba e le sue rivali come JD.com.

La Cina ridimensione le spinte monopolistiche dei giganti del fintech

Pechino sarebbe determinata, infatti, a combattere le tendenze monopolistiche di gruppi privati, le cui piattaforme di vendita online sono utilizzate da centinaia di milioni di cinesi.

Nel mirino del regime cinese, da oltre un anno insieme alla sua società Ant Group., Jack Ma, l’uomo d’affari più famoso in Cina, con un patrimonio valutato in 58 miliardi di dollari, che nel 1999 ha fondato la società di eCommerce Alibaba in un appartamento di Hangzhou con pochi soldi presi in prestito da amici, dopo un viaggio negli Stati Uniti, intuendo l’opportunità dello scambio di merci online.

alibaba

Jack Ma, founder e ceo di Alibaba

L’ascesa del magnate Jack Ma, oggi nel mirino del regime cinese

Da lì una veloce ascesa per il fondatore Jack Ma, simbolo in Cina del self made man, pioniere del pagamenti elettronici da smartphone, con il servizio Alipay.

L’azienda di e-commerce dovrà affrontare un trattamento più delicato rispetto alla sua affiliata Ant Group Co, a condizione che prenda le distanze da Jack Ma.  I regolatori cinesi si sono già scontrati duramente con Ant, che considerano un rischio per il sistema finanziario, costringendola a fare cambiamenti che ne ostacoleranno gravemente prospettive.

Alibaba, tuttavia, sembra destinata a un trattamento più delicato. Secondo alcuni funzionari, Pechino non vorrebbe schiacciare una centrale tecnologica popolare sia tra le famiglie cinesi che tra gli investitori globali, a patto che si dissoci dal suo fondatore e si allinei più strettamente con il Partito Comunista.

L’Amministrazione statale per la regolamentazione del mercato, non prevede misure tese a paralizzare l’azienda, le cui attività includono vendita al dettaglio online, intrattenimento, media e cloud computing. A differenza di Ant, che le autorità di regolamentazione individuano come “un disgregatore e una minaccia alla stabilità del sistema finanziario”, Alibaba è considerato l’orgoglio della Cina, una vetrina per l’innovazione tecnologica, vitale per l’economia della nazione. L’anno scorso circa 780 milioni di consumatori cinesi, ovvero metà della popolazione del paese, hanno effettuato acquisti tramite le piattaforme dell’azienda.

Adesione all’agenda politica della Cina e correzione comportamento anticoncorrenziale

Duplice sfida per Alibaba: correggere il comportamento anticoncorrenziale asserito dalle autorità di regolamentazione e aderire all’agenda politica del governo. La pressione riflette la volontà della leadership del presidente cinese Xi Jinping di imporre prerogative stataliste sull’economia.

Un’incertezza normativa che sta destabilizzando Alibaba, le cui azioni, quotate a New York e Hong Kong, hanno perso più di 200 miliardi di dollari, ovvero un quarto del loro valore di mercato, dalla fine dello scorso anno dagli inizi della repressione dei leader cinesi nel riconfigurare il proprio rapporto verso i giganti hi-tech del Paese, sottolineando la “preoccupazione per la sicurezza nazionale” per l’enorme posse dei dati, gli enormi profitti e gli effetti in tutti gli aspetti della vita cinese.

Lo stato sostiene l’innovazione e lo sviluppo delle società di piattaforme”,

ha affermato lo scorso 5 marzo il premier cinese all’apertura del Congresso Nazionale del Popolo, evidenziando tuttavia che i giganti dell’innovazione dovranno, allinearsi con lo stato sostenendo cause come l’alleviamento della povertà.

Obiettivo, quindi, impedire alle grandi aziende tecnologiche di monopolizzare il credito e le altre risorse, rafforzando gli sforzi antimonopolio e prevenire l’espansione disordinata del capitale”.

Alibaba in valore finanziari: transazioni per 1 trilione di yuan

Il valore totale delle transazione della merce venduta tramite le piattaforme online cinesi di Alibaba, secondo l’azienda, consiste in 1 trilione di yuan (circa 153,7 miliardi di dollari) secondo le proiezioni al 31 marzo, chiusura dell’anno fiscale.

Con oltre 110.000 dipendenti, Alibaba vanta un’attività di intelligenza artificiale in rapida espansione ed è uno dei principali fornitori cinesi di cloud storage, settori considerati fondamentali per il futuro della Cina (core commerce 62 miliardi; cloud computing 5,7 miliardi; media digitali e divertimento 3,8 miliardi di dollari; tot 949 milioni per l’anno fiscale che termina il 31 marzo 2020).

Secondo le persone vicine all’azienda, l’ufficio personale di Jack Ma avrebbe sospeso la maggior parte delle interazioni con il Comitato centrale del partito con cui era in contatto regolare. Il dipartimento di pubbliche relazioni di Alibaba avrebbe istituito un ufficio per definire un’immagine pubblica che molti regolatori hanno considerato arrogante.

Nel 2015, pochi mesi dopo che Alibaba è stata quotata in borsa alla Borsa di New York in quella che all’epoca è stata considerata la più grande vendita di azioni al mondo, il principale regolatore di mercato cinese ha criticato i suoi sforzi per eliminare le merci contraffatte dalle sue piattaforme.

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Presidente cinese Xi Jinping

Il conflitto tra Jack Ma e il Partito

Un primo accenno che Jack Ma stesse perdendo il favore di Pechino è arrivato alla fine del 2018, quando il presidente cinese Xi Jinping ha invitato circa 50 imprenditori (tranne Jack Ma) a confutare le critiche secondo cui le sue politiche stessero danneggiando il settore privato. Il gruppo includeva Pony Ma, fondatore di Tencent Holdings Ltd., rivale di Alibaba e proprietario della popolare app WeChat; Robin Li, capo del motore di ricerca Baidu Inc.; Lei Jun, co-fondatore del produttore di smartphone Xiaomi Corp, sottolineando successivamente la missione dell’autorità cinese di trasformare la Cina in una “potenza di Internet“.

Un rapporto divenuto più conflittuale nel maggio del 2020 quando l’Amministrazione cinese per il cyberspazio ha sottolineato in un report, indirizzato alla leadership cinese, quanto Alibaba avesse usato “il capitale per manipolare l’opinione pubblica“.

Autorità e i rivali convinti, quindi, che Alibaba stia usando le sue partecipazioni nei social media, nelle società media e nel suo dipartimento di pubbliche relazioni, per fare pressione contro le politiche governative.

Intanto Jack Ma, scomparso dalle scene dopo il forum economico di Shanghai del 24 ottobre scorso, in cui aveva pesantemente criticato  il sistema bancario cinese, ha già gradualmente ridotto la sua partecipazione in Alibaba, detenendo meno del 5% a luglio. Si è ritirato da presidente di Alibaba nel 2019, sebbene abbia mantenuto un’influenza significativa sull’azienda. Rimane l’azionista di controllo di Ant.

Alla fine gennaio, è riemerso in un video pubblicato online da Tianmu News, in dialogo con gli insegnanti rurali in un evento filantropico. Alibaba ha venduto con successo le sue obbligazioni all’inizio di febbraio. Una parte dei proventi, ha detto la società, sarà utilizzata per progetti che coinvolgono “edifici verdi, in risposta alle crisi Covid-19, energie rinnovabili“, tutte priorità del governo.

Le sfide future per Alibaba

Alibaba dovrà ancora affrontare delle sfide. Una legge sulla sicurezza dei dati potrebbe costringerla a fornire i dati dei consumatori al governo centrale. La società ha ricevuto di recente un certificato governativo che lo riconosce come un “modello” per sradicare la povertà. Nel frattempo, Jack Ma è stato escluso da un elenco di dirigenti d’azienda compilato dallo Shanghai Securities News controllato dal governo. Il messaggio che la Cina vuole trasmettere è di seguire non l’uomo, ma il Partito.

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