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IKEA e LEGO, la partnership che tutti stavamo aspettando

  • IKEA e LEGO finalmente insieme per una collaborazione che coniuga le esigenze di bambini e adulti.
  • Una nuova linea di portaoggetti da utilizzare con qualsiasi elemento LEGO esistente e futuro.

 

È di qualche giorno fa la notizia che ufficializza la collaborazione tra IKEA e LEGO. I due marchi hanno unito le loro forze per creare una soluzione di arredamento giocosa chiamata BYGGLEK.

Composta da una serie di scatole portaoggetti con mattoncini LEGO, la nuova collezione mira a incoraggiare il gioco e infondere più divertimento durante il riordino della casa.

La collezione BYGGLEK sarà disponibile nei punti vendita al dettaglio IKEA in Europa e in Nord America a partire dall’1 ottobre.

Il tema è la vita in casa

Con la convinzione che il gioco renda la casa e il mondo un posto migliore, IKEA e LEGO hanno deciso di rimuovere le barriere al gioco nella vita quotidiana, creando un’esperienza pratica e divertente per bambini e adulti.

Il gioco è il modo più intuitivo e potente per i bambini di imparare e crescere. Tuttavia, i più piccoli e gli adulti hanno spesso punti di vista differenti quando si tratta di gioco e di creatività in casa. Gli adulti hanno spesso la necessità di creare stanze confortevoli e organizzate, i bambini invece percepiscono gli spazi come ambienti stimolanti e creativi in cui desiderano naturalmente giocare, fare una pausa e poi ricominciare a giocare.

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Attraverso l’IKEA Play Report, IKEA ha chiesto ai bambini cosa vorrebbero e il 47% di loro ha affermato di volere più tempo per giocare con i propri genitori. Allo stesso tempo, il 90% dei genitori interpellati, partendo dalla convinzione che il gioco sia una componente fondamentale della vita di ognuno, ritiene che il gioco sia essenziale per il benessere e la felicità.

Nel riordinare e riorganizzare lo spazio dei bambini non solo interrompiamo il loro gioco, ma anche la loro espressione creativa e di crescita.

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In LEGO Play Well Study 2020, i genitori riconoscono l’importanza di far giocare i bambini, proprio con le loro modalità. 8 genitori su 10 ammettono un gioco disordinato, in questo modo i bambini si sentono liberi di sviluppare la loro creatività (85%). Tuttavia, 1 genitore su 2 si preoccupa che il proprio figlio faccia disordine quando gioca e si sente obbligato a riordinare, anche mentre il bambino sta ancora giocando (51%). 9 bambini su 10 confermano questa teoria, dicendo che i loro genitori dicono loro di rimettere in ordine mentre stanno ancora giocando (90%).

IKEA e LEGO: esplorare, sperimentare, sognare e scoprire

Le scatole BYGGLEK sono dotate di stud LEGO (i “bottoni” che permettono l’incastro tra due pezzi) sia sul coperchio che sul lato anteriore, questo permette di collegare insieme diversi contenitori. Così i bambini potranno integrare i porta oggetti come parte delle loro costruzioni, potranno memorizzare le storie al loro interno e mostrare con orgoglio le loro creazioni sopra di esse.

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“Volevamo creare una soluzione di storage che offrisse un’esperienza divertente e ludica. In IKEA crediamo sempre nel potere del gioco. Il gioco ci permette di esplorare, sperimentare, sognare e scoprire. Dove gli adulti spesso vedono disordine, i bambini vedono un ambiente stimolante e BYGGLEK aiuterà a colmare il divario tra questi due punti di vista per garantire un gioco più creativo nelle case di tutto il mondo” ha dichiarato Andreas Fredriksson, designer di IKEA Sweden.

La collezione BYGGLEK si abbina perfettamente ad altri prodotti IKEA, in questo modo la creatività dei bambini diventando un bel pezzo di decorazione domestica.

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A proposito di questa soluzione creativa Rasmus Buch Løgstrup, designer di LEGO Group, ha dichiarato: “BYGGLEK è riordino e gioco intrecciati. Offre alle famiglie una gamma di prodotti che aiuta a creare spazio e a giocare nella quotidianità, alimentando la creatività, rendendo possibile il divertimento insieme. BYGGLEK offre infinite possibilità, proprio come il LEGO System Play”.

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La linea si compone di quattro diversi prodotti: un set di tre contenitori piccoli, due contenitori più grandi e una scatola contenente 201 mattoncini LEGO per iniziare a giocare.

Non si tratta solo di una semplice scatola con coperchio, è uno scrigno pieno di allettanti idee per giocare. Una casa che puoi arredare, una scala, un kit di costruzione per i più creativi.

lego e ikea

Con BYGGLEK il colosso danese spera di estendere l’esperienza di gioco LEGO fornendo soluzioni di storage creative e divertenti che siano tanto giocabili quanto funzionali.

Così mentre IKEA consolida la sua presenza nel settore giochi, lo scorso luglio il colosso svedese ha debuttato nel campo moda lanciando la sua prima linea di abbigliamento e accessori, chiamata Efterträda. In stretta collaborazione con IKEA Sweden, IKEA Japan ha sviluppato una collezione ispirata e realizzata per la gente di Tokyo. Attualmente la gamma include t-shirt, felpe con cappuccio, bottiglie, ombrelli, asciugamani e borse, tutti stampati con il logo dell’azienda e il codice a barre del suo iconico sistema di scaffali Billy.

frequenza di rimbalzo

La regola dei 15 secondi: ecco perché gli utenti lasciano il tuo sito

  • Il tempo a tua disposizione per catturare l’attenzione degli utenti sul sito si misura in pochi secondi.
  • Un utente “rimbalza” fuori dal sito quando non c’è stato alcun coinvolgimento e/o non ha trovato ciò che cercava.
  • Ecco gli errori da non commettere, parlando di frequenza di rimbalzo.

 

Qual è il tempo medio di permanenza di un utente su una pagina web? Circa 15 secondi.

Ed è anche il tempo che hai a disposizione per catturare la sua attenzione e far sì che continui a  esplorare il tuo sito più in profondità.

La “regola dei 15 secondi” di cui parlava Jakob Nielsen già diversi anni addietro, consiste proprio in questo: se non hai generato interesse in questo breve lasso di tempo, probabilmente non lo farai più.

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Basta davvero poco perché un utente lasci una pagina web, dai tempi di caricamento troppo lunghi ai contenuti poco d’appeal.

Per valutare se il tuo sito è costruito in maniera efficace sotto ogni aspetto (visual, content, design) la metrica che devi sempre monitorare è la frequenza di rimbalzo.

Cos’è la frequenza di rimbalzo

Si tratta di una delle metriche più importanti per Google Analytics, che misura la percentuale di persone che abbandonano il tuo sito dopo aver visitato una sola pagina, senza svolgere alcuna azione.

Un utente “rimbalza” fuori dal sito quando non c’è stato alcun coinvolgimento e/o non ha trovato ciò che cercava. Si può dire che quanto più alta sarà la frequenza di rimbalzo, tanto meno efficace sarà il funzionamento del sito in questione.

Naturalmente, è bene considerare le diverse casistiche, che variano da settore a settore. Se si parla di un sito a scopo d’informazione, il fatto che un utente termini la navigazione dopo aver visitato una sola pagina, non è necessariamente un indicatore negativo.

Credits: neilpatel.com

Ma nel caso in cui la struttura del sito presupponga un’interazione, allora potrebbe esserci qualcosa che stai sbagliando.

La creazione di contenuti di qualità è importante non solo per catalizzare l’attenzione del lettore, ma anche per guadagnare credibilità agli occhi del motore di ricerca.

La frequenza di rimbalzo, infatti, non costituisce di per sé fattore di ranking perché l’algoritmo di Google non utilizza i dati di Analytics; ma se l’utente abbandona il tuo sito per tornare ai risultati di ricerca, ecco che il discorso cambia e quel tipo di rimbalzo potrebbe penalizzare a livello di indicizzazione.

Secondo YOAST la frequenza di rimbalzo può rappresentare un campanello d’allarme sotto tre aspetti:

  • la qualità è bassa: non c’è niente che inviti a impegnarsi
  • il pubblico non corrisponde allo scopo della pagina, quindi non ci sarà interazione
  • i visitatori non hanno trovato quello che stavano cercando

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Una pessima user experience

Molto spesso un’alta frequenza di rimbalzo è dovuta a una cattiva esperienza di navigazione.

Un design scadente, che offre troppe opzioni e risulta dispersivo, oppure con dei tempi di caricamento lentissimi, equivalgono all’abbandono della pagina.

Hubspot ha pubblicato le linee guida per un design efficace:

  • Semplicità: eliminare ogni elemento non essenziale
  • Gerarchia: organizzare gli elementi in base alla rilevanza
  • Navigabilità: creare un percorso di navigazione semplice e ovvio
  • Coerenza: l’aspetto deve essere uniforme in tutto
  • Accessibilità: il sito deve essere accessibile da tutti i dispositivi
  • Convenzionalità: usare sempre elementi che le persone conoscono
  • Credibilità: saper anticipare il search intent
  • Centralità dell’utente: monitorare le risposte degli utenti agli elementi del sito per ottenere la migliore UX.

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Più il sito risulterà user friendly, minore sarà il rimbalzo. Usabilità e disponibilità sono i fattori chiave per aumentare il tempo di permanenza: se il sito non è ottimizzato per tutti i tipi di dispositivi, elementi come collegamenti interrotti o mancanza di reattività mobile potrebbero essere deleteri se stai cercando di convertire un visitatore in un lead.

L’assenza di interazioni

Un escamotage che viene usato per aumentare il traffico, è quello di registrare nomi di dominio con storpiature di nomi di siti molto cliccati  (“yuotube.com” o “faecbook.com”) prevedendo gli errori di battitura più comuni degli utenti e “sottraendo” una fetta di utenza al sito originale.

Peccato che poi il tempo di permanenza sulla pagina non supera quasi mai i 30 secondi.

Un nome di dominio fuorviante o acchiappa click possono essere fattori di abbandono, poiché quando l’utente arriva sul sito non ci mette molto a rendersi conto di non trovarsi dove dovrebbe.

Se l’utente arriva su una pagina e non trova ciò che cerca, abbandona in pochi secondi, ma lo stesso avviene quando le informazioni sono troppe.

Un surplus di informazioni non solo farà impennare il rimbalzo ma risulterà anche penalizzante dal lato SEO.

Le informazioni ridondanti sono sempre sinonimo di cattiva navigazione: il focus principale non deve mai essere seppellito da altre informazioni superficiali.

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Contenuti non aggiornati o illeggibili aumentano la frequenza di rimbalzo

Per aumentare il tempo di permanenza e invogliare l’utente a continuare ad esplorare il tuo sito devi essere una “fonte autorevole” nel tuo settore.

Ciò significa che i tuoi contenuti dovranno essere pertinenti, aggiornati e fatti per intercettare l’esigenza del momento.

Se stai proponendo post datati, i visitatori potrebbero rimbalzare via anche solo guardando la data. Anche se i dati sono ancora rilevanti, sono i contenuti recenti che ti danno credibilità agli occhi del pubblico.

Anche se si tratta solo di aggiornare numeri e statistiche, è importante non trascurare quest’aspetto.

Oltre a trasmettere conoscenza ed esperienza nel settore, i contenuti devono essere leggibili. Niente scoraggia la lettura più di un muro di testo, scritto senza variazioni di carattere e/o spazi bianchi.

È sempre consigliabile inserire blocchi di testo, che siano intervallati anche da immagini e che lascino alla pagina un po’ più di respiro.

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KitKat Australia lancia uno speciale ‘Have a Break pack’ e lo fa per una buona causa

  • KitKat stringe una collaborazione con l’ente benefico “RU OK?” a sostegno della prevenzione dei suicidi, in Australia.
  • Per l’occasione il suo packaging si veste di nuovo, invitando tutte le persone ad un comportamento più attento e altruista. 

 

Il famoso payoff dello snack KitKat Have a Break– ci ha sempre invitato a concederci una meritata pausa dai momenti più stressanti. Ma questa volta il suo invito è rivolto ad una situazione particolare e per una causa molto più importante. In un periodo delicato come quello che stiamo vivendo, Nestlè Australia ha stretto una partnership in prima linea con l’Organizzazione benefica “RU OK? che ha avviato un progetto di sostegno contro i rischi del suicidio attraverso un portale interamente dedicato alle diverse situazioni di negatività.

Una conversazione che potrebbe cambiarti la vita

Il brand, famoso da sempre per invogliare a prendersi una spensierata pausa dal lavoro e da circostanze impegnative, stavolta vuole incoraggiare le persone ad esternare le proprie emozioni negative, come solitudine paura o smarrimento, coinvolgendo altrettante persone nell’ascolto e nel supporto a distanza. Un punto molto importante di condivisione e di conversazione che si trasforma in dialogo e che diventa dunque aiuto prezioso specialmente in determinati frangenti.

Una sensibile iniziativa quella di Nestlè che purtroppo ancora non vedremo in Italia ma che sarebbe davvero necessaria, non solo in questo momento storico un po’ critico. Molte sono infatti le persone che non riescono a reggere il peso delle delusioni e quello di una vita che non va esattamente nella giusta direzione; poche sono le richieste di aiuto come poche sono le persone che riescono ad entrare in empatia con le altre. La società fatta di schermi, una quotidianità che va troppo di fretta, la paura di non farcela.

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KitKat in una altruista edizione limitata

La campagna ‘Chit Chat’ per RU OK? di quest’anno vede KitKat come suo partner ufficiale che per l’occasione ha vestito di nuovo il suo dolce snack. Croccante dentro e solidale fuori, con il suo packaging creato ad hoc riportante la premurosa domanda RU OK? (Stai bene?) e che invita a collegarsi al sito per condividere pensieri e preoccupazioni grazie a conversazioni autentiche.

L’edizione limitata del pack del cioccolato KitKat, in vendita in Australia dagli inizi di settembre, è stata ideata proprio per aumentare la consapevolezza della necessità per tutti di fare una domanda tanto semplice quanto importante alle persone che abbiamo attorno. Stai bene? Potrebbe sembrare per la maggior parte di noi una frase retorica ma che si rivela di sicuro come un campanello di allarme per intuire una prima problematica in qualcuno dei nostri cari. Una domanda che va oltre: un’apertura ad un ascolto più profondo e a proposte di una conversazione meno frettolosa, più attenta ed insieme genuina.KitKat-pack-ruok-ninjamarketing

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L’importanza di sentirsi simili

Il progetto “RU OK?”con uno sguardo alla società si preoccupa di agevolare e suggerire connessioni reali ed autentiche. Unire le persone in un momento di fragilità, sostenere l’un l’altro attraverso l’espressione di debolezze comuni per non sentirsi diversi. Per non sentirsi soli e messi da parte. Insomma, un’azione altruista verso le persone a noi vicine e forse anche verso noi stessi. Una piattaforma di supporto che si augura di aiutare a prevenire lo scatenarsi di problematiche più profonde e che potrebbero, in alcuni casi, portare a pensieri di gesti estremi.

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L’organizzazione benefica sottolinea di non volersi sostituire ad un aiuto professionale e competente ma di porsi meramente come connettore di scambi empatici ed emotivi, ponendo l’attenzione sulla condivisione ed il dialogo reali, valori che purtroppo questa nuova società sta perdendo.

Ed in questo atto generoso, un’azienda così importante non poteva non condividerne il valore più alto: quello della vita.

Brand, social responsibility e salute mentale

Sono in particolare i consumatori della Gen Z che si trovano ad affrontare livelli di stress senza precedenti, che danno valore alla salute mentale e si aspettano che i marchi si impegnino anche con le loro esigenze emotive in modo sincero. Secondo uno studio pubblicato dal Journal of Adolescent Health i tassi di depressione, autolesionismo e suicidio tra i ragazzi della Gen Z sono in aumento e sono addirittura raddoppiati nel corso del decennio in cui sono stati valutati gli studenti universitari.

Per questo l’esempio di KitKat è emblematico in questo particolare momento storico e può essere d’esempio per altri brand. La collaborazione con organizzazioni esterne può aiutare i marchi a mantenere la loro rilevanza attraverso la partecipazione, piuttosto che la semplice influenza.

È una linea sottile da bilanciare per i marchi e i marketer: infatti, se i social media sono uno dei punti di stress principale per i giovani, sono anche un canale di comunicazione fondamentale e utile per i brand.

Nella lotta per attrarre clienti della Gen Z, questa dicotomia si manifesta in modo ancora più importante.

L’American Psychological Association ha osservato che le notizie di sparatorie di massa, cambiamenti climatici e deportazioni sono altamente scatenanti e contribuiscono a creare un senso di ansia collettiva che permea la Gen Z, mentre i social media hanno promosso una cultura del cyberbullismo. Secondo un rapporto dell’UNICEF, un giovane su tre sperimenterà il cyberbullismo e la motivazione principale sarà il suo aspetto.

Lo spostamento dell’attenzione generazionale sulla salute mentale rappresenta un’opportunità per i brand, quando sono in grado di dare risposte al proprio pubblico. Posizionandosi come alleato, grazie alla collaborazione con organizzazioni e associazioni di beneficenza, possono mantenere la loro rilevanza.

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Campagne dei brand in evoluzione: alcuni esempi

Oltre a quello di KitKat, ci sembra utile riportare altri esempi pratici e case study per scoprire come i marchi possano davvero impegnarsi per le persone, amplificando la propria social responsibility.

Boohoo

Il rivenditore online orientato alla Gen Z, Boohoo, ha collaborato con l’ente di beneficenza anti-bullismo Ditch the Label per creare un video incentrato sulla causa, intitolato “The Insta-Lie”, che espone come la falsa percezione di vivere “vite migliori” sui social media abbassa l’autostima delle altre persone e rende più profonde le dipendenze online.

Adidas e Nike

Nel 2018 Adidas ha prodotto “Infinite Silence”, un cortometraggio del regista Max Luz, con protagonista il rapper e artista britannico Kojey Radical che parla di depressione, suicidio e dell’importanza del legame umano.

Lo scorso agosto, Nike ha lanciato le In My Feels Air Max, per raccogliere fondi per l’American Foundation for Suicide Prevention. La salute mentale è stata incorporata nel design della scarpa con un logo ondulato di swish reinterpretato per fare riferimento alle cime e alle valli della vita emotiva.

Le scarpe da 180 dollari sono andate esaurite in meno di 48 ore. Il successo delle scarpe da ginnastica indicava che la consapevolezza della salute mentale è in risonanza con i clienti.

nike salute mentale

JanSport

JanSport è un’azienda multinazionale che produce zaini e borse. Il brand ha dato il via a #LightenTheLoad, una campagna per aiutare a mettere in contatto i giovani con esperti della salute mentale – soprattutto nel periodo di acuto stress della pandemia COVID-19.

Ogni mercoledì di maggio, sul canale Instagram Live (con un archivio disponibile nella pagina dedicata alla campagna sul loro sito web), l’azienda ha proposto conversazioni con terapisti esperti.

Il marchio ha anche pubblicato sul suo sito informazioni di base, ma coinvolgenti, sulla salute mentale di organizzazioni come la National Alliance on Mental Illness (NAMI) e l’American Psychological Association, insieme a informazioni su linee telefoniche di aiuto in situazioni di emergenza.

Kodak Pharmaceuticals

Ti ricordi Kodak? Sarà presto un’azienda farmaceutica (e ti spieghiamo il perché)

  • Kodak è la prima azienda a portare la fotografia sul mercato di massa. Negli anni ’70 copriva il 90% del mercato americano delle pellicole e l’85% delle fotocamere.
  • Nel 2012 la crisi l’ha spinta in amministrazione controllata, quindi ad uscire dal mercato delle fotocamere digitali e reinventarsi.
  • Lo scorso luglio Kodak ha ottenuto un finanziamento di 765 milioni di dollari dal governo USA per diventare azienda farmaceutica inserendosi nell’attualissima questione USA-Cina.

 

La notizia ufficiale è questa “Kodak si trasformerà presto in un’azienda farmaceutica, prendendo sussidi dal governo USA”. Una questione curiosa e davvero interessante, da cui nascono molte domande. Le prime fra tutte: cosa c’entra un’azienda storica che produce pellicole con i farmaci? Perché Kodak ha cambiato rotta e perché il governo USA ha finanziato l’azienda per diventare farmaceutica?

Kodak pharmaceuticals

Per capire meglio questa notizia, dagli aspetti economici e politici, nei prossimi paragrafi ripercorreremo la storia di Kodak, la sua difficoltà a cambiare e diversificare fino al pivot con Kodak Pharmaceuticals, che ne ha fatto schizzare il suo valore sul mercato. Successivamente analizzeremo la situazione USA e l’intenzione di Trump di riportare in patria la produzione di farmaci.

Kodak Story

La storia di Kodak inizia a fine ‘800 ed è un caso studio davvero interessante, perché ci mostra come una delle aziende più importanti del mondo, che ha impresso i momenti più significativi e nostalgicamente emozionato moltissime persone, è finita in amministrazione controllata per non aver percepito e investito in tempo sul cambiamento digitale e diversificato, almeno fino ad ora.

1880-1881

L’imprenditore George Eastman, ex impiegato di banca con la passione per la fotografia, inventa una nuova formula per creare lastre secche alla gelatina-bromuro e inizia a produrle a Rochester, New York nella Eastman Dry Plate Company, che nel 1892 diventerà Eastman Kodak Company.

Curiosità. Il nome Kodak fu inventato dallo stesso Eastman “Mi piaceva la lettera K, e volevo una parola veloce, rapida. E senza problemi per il marchio”. 

1888-1889

Eastman rilascia la prima fotocamera Kodak per il mercato di massa. A quel tempo la macchina fotografica era utilizzata solo se si avevano abilità tecniche e più strumentazioni a disposizione. Kodak l’ha resa accessibile a tutti con lo slogan “Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto”.

Kodak

All’inizio la macchina fotografica veniva fornita con una pellicola incorporata. Quando tutte le foto erano state scattate, il cliente mandava l’apparecchio ai laboratori Eastman a Rochester, e presto riceveva, dietro pagamento, la macchina indietro caricata con una pellicola nuova e tutte le sue foto stampate.

Nel 1889 Kodak lancia la prima pellicola trasparente di nitrocellulosa della larghezza di 35 mm. Uno dei primi clienti è Thomas Alva Edison, che riesce così a ideare la prima cinepresa, Kinetoskopio.

Da allora, l’azienda ha ricevuto nove Oscar per i contributi tecnici e scientifici all’industria cinematografica.

1920

George Eastman crea un particolare apparecchio fotografico destinato alla medicina odontoiatrica. Da lì a pochi anni fa costruire diverse cliniche odontoiatriche per bambini bisognosi a Rochester, Londra, Parigi, Bruxelles, Stoccolma e Roma, dove viene edificato l’ospedale Odontoiatrico George Eastman, ancora oggi presente.

1960’s

Negli anni ’60 il marketing di Kodak punta sulla nostalgia. In una puntata della serie Mad Man, Don Draper ricorda la strategia Kodak con il proiettore di slide a carosello: “La nostalgia è delicata ma potente”.

Nel 1969 Gli astronauti dell’Apollo 11 utilizzano una speciale fotocamera a colori Kodak per scattare fotografie durante il primo atterraggio sulla luna.

1970’s

Kodak copre il 90% del mercato americano delle pellicole e l’85% delle fotocamere.

1975

Steven Sasson un giovane ingegnere della Kodak inventa la prima fotocamera digitale. L’azienda non finanzia il progetto, temendo che ciò avrebbe impattato negativamente la vendita della pellicola.

1980’s

La pellicola Kodachrome viene utilizzata dal fotografo Steve McCurry per scattare il famoso ritratto della bambina Afghana.

Kodachrome

Kodak acquista l’azienda farmaceutica Sterling Drug Inc. per 5,1 miliardi di dollari. A quel tempo, Kodak era il più grande produttore di prodotti fotografici al mondo, ma doveva affrontare la crescente concorrenza nella fotografia e voleva diversificare la propria attività. La società aveva già un segmento nel Life Science, che l’acquisizione di Sterling aveva lo scopo di potenziare.

1994

Kodak vende definitivamente Sterling. La scelta è di concentrarsi nuovamente sulla fotografia.

2005-2012

Tra il 2005 e il 2010 le casse di Kodak sono letteralmente prosciugate. Nel 2012 la crisi la spinge in amministrazione controllata. Sebbene alcuni dei suoi brevetti più preziosi all’epoca riguardassero l’imaging digitale, inclusi alcuni utilizzati negli smartphone, l’azienda era rimasta troppo indietro rispetto ai concorrenti nella fotografia digitale e con molti debiti da pagare.

Nel 2012 Kodak esce dal mercato della fotocamera digitale e concede la sua licenza e marchio ad altri produttori. Si concentrerà sulla sulle soluzioni commerciali, sulla stampa, sull’imballaggio e sui servizi alle imprese.

2014 – 2018

Kodak sigla un contratto con Hollywood. Il film Tenet di Christopher Nolan è girato su pellicola Kodak 65mm.

Mo

Nel 2018 Kodak annuncia il lancio di una criptovaluta, chiamata KodaCoin, le azioni dell’azienda salgono del 125%. Il progetto è oggi fallito.

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Kodak Pharmaceuticals

Lo scorso luglio, Kodak ottiene un prestito governativo di 765 milioni di dollari per trasformarsi in un’azienda produttrice di ingredienti farmaceutici, tra i quali l’anti-malarico idrossiclorochina.

Peter Navarro, trade advisor della Casa Bianca, ha dichiarato che Kodak ha l’esperienza necessaria nella chimica fine, grazie alla sua eredità fotografica. La produzione di ingredienti farmaceutici coprirà dal 30% al 40% delle attività di Kodak.

Il giorno dopo l’annuncio, a Wall Street il titolo Kodak ha avuto un’impennata, salendo oltre il 200%.

Wall Street Kodak
Il passaggio di Kodak al farmaceutico non è poi così strano. Abbiamo visto nel corso della storia di Kodak come già l’azienda avesse acquistato negli anni ’80 la farmaceutica Sterling e avesse una divisione nel Life Science, Kodak comunque ha sempre trattato con la chimica. Negli ultimi anni inoltre Kodak, dopo il fallimento con la fotografia digitale, si stava reinventando producendo prodotti chimici e materiali avanzati anche per il farmaceutico.

C’è anche un’altra azienda diventata famosa per le pellicole fotografiche, che già da qualche anno, sfruttando le proprie tecnologie ed acquisendo aziende farmaceutiche e biotech, è passata al mondo Life Science, la giapponese Fujifilm. Nel 2019 il comparto sanitario ha rappresentato per l’azienda giapponee il 43% del fatturato totale e mira a raddoppiare le vendite nei prossimi anni.

Prestito e scetticismo

Il finanziamento di 765 milioni, che Kodak dovrà restituire in 25 anni, ha generato scetticismo in USA. Si tratta del primo nel suo genere concesso dall’agenzia federale US International Development Finance Corporation (DFC) per sostenere “la produzione domestica di risorse strategiche”, tra cui i farmaci e le loro materie prime che oggi vengono importate principalmente da Cina e India.

Il prestito ridurrà il time-to-market di Kodak supportando i costi di avvio necessari per riutilizzare ed espandere le strutture esistenti dell’azienda a Rochester, New York e St. Paul – Minnesota, e introdurre continuous-manufacturing e tecnologie avanzate. L’azienda coprirà con la sua produzione il 25% del fabbisogno negli Stati Uniti.

Farmacia

Le critiche sono state mosse all’amministrazione sia per la scelta di finanziare la produzione interna di ingredienti (invece di concentrarsi sui test covid-19) che per la scelta stessa di Kodak, a fronte di altre aziende farmaceutiche con capacità e know-how maggiori.

Così risponde in un tweet Peter Navarro:

Nonostante tutto il DFC ritiene che Kodak abbia già l’attrezzatura per produrre gli ingredienti farmaceutici e ci sarebbe già una lettera d’intenti di un’azienda farmaceutica (non nota) che li acquisterà.

La strategia USA

Il Covid-19 ha amplificato l’intento di Trump di riportare in USA le produzioni, soprattutto quelle che oggi vengono importate dalla Cina. Il rischio di dipendere da altre Nazioni, che si è poi verificato anche in Europa, è quello di affrontare momenti di crisi senza risorse strategiche a disposizione, pensiamo per esempio alla mancanza di mascherine.

Ma c’è di più.

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globalizzazione Cina

Produrre in casa i prodotti e non dipendere dalla Cina, rientra nella guerra di mercato tra USA e Cina e riduce per gli Stati Uniti il rischio di minacce su risorse strategiche da parte di quest’ultima. Gli Stati Uniti sono inoltre leader mondiali dell’industria farmaceutica e la Cina negli ultimi anni sta crescendo molto in questo settore. Certamente un rientro di produzioni in USA pone la sfida del costo in confronto a quello delle materie prime cinesi. Per questo ritornando a Kodak l’intento di finanziare tecnologie avanzate per la produzione mira anche a non far alzare il costo dei farmaci finali.

Una riflessione a chiusura. In uno dei discorsi degli ultimi mesi, la presidente Ursula Von der Lyen aveva prospettato anche per l’Europa una strategia di resilienza, soprattutto per il comparto sanitario. Il Covid-19 sta indebolendo la globalizzazione oppure si tratta soprattutto di diversificare rispetto al mercato cinese (e indiano)?

Sport 4.0: dall’analisi dei dati al mondo virtuale, la rivoluzione è iniziata

  • Nel 2012 faceva notizia l’utilizzo dei droni sui campi di calcio, oggi i dati sono un elemento fondamentale in moltissime discipline.
  • I numeri da soli non bastano: devono essere analizzati per estrarne valore.
  • Anche la crescita degli eSport è, in buona parte, da attribuire dalla crescente capacità di raccogliere, analizzare e utilizzare dati raccolti durante esperienze reali.

a cura di Thomas Ducato, giornalista di Impactscool

I campi di allenamento dell’Empoli nella stagione sportiva 2012/2013 e nelle tre successive erano abitualmente sorvolati da alcuni droni, che registravano i movimenti dei calciatori dall’alto permettendo all’allenatore di studiare minuziosamente posizione e trame di gioco. L’allenatore in questione era Maurizio Sarri, tra i primi a introdurre questi strumenti nel calcio nostrano.

Da allora la tecnologia si è evoluta in modo esponenziale e diffusa in modo trasversale, a tutti i livelli , grazie anche all’abbattimento dei prezzi che l’hanno resa accessibile anche tra i dilettanti e a livello amatoriale. L’obiettivo principale è quello raccogliere dati che possano supportare le decisioni a 360 gradi, sia sul piano tecnico, atletico e delle prestazioni sportive sia su quello manageriale, amministrativo e finanziario.

Ma l’utilizzo di queste informazioni va anche oltre lo sport “reale”: sono alla base dello sviluppo degli eSport, che negli ultimi anni sono migliorati sensibilmente sul piano delle prestazioni e stanno acquistando un riconoscimento sempre maggiore tanto che è in fase di discussione una loro possibile introduzione alle Olimpiadi.

Ma con tutta questa tecnologia, non si rischia di perdere l’essenza dello sport?

Ne abbiamo parlato con un professionista dei dati applicati allo sport, Carlo Bertelli, fondatore di Kama Sport, e con un grande atleta, il ciclista Matteo Trentin.

I dati nello sport: estrarre valore dai numeri

Come si dice spesso in questi frangenti i dati da soli non bastano. Devono essere aggregati, analizzati e visualizzati in modo corretto per poterne estrarre valore. Si occupa proprio di questo Kama sport, azienda italiana che lavora con dati e tecnologia per il mondo dello sport.

“È un settore in crescita esponenziale, – ci ha raccontato Carlo Bertelli, fondatore dell’azienda – sia per quanto riguarda le applicazioni che ormai hanno raggiunto tutti gli sport, a tutti i livelli, sia per il numero di nuove startup che stanno nascendo e gravitano attorno a questo mondo”.

Il calcio, almeno in Italia, fa da apripista e capofila, rappresentando anche l’emblema di un nuovo concetto di sport, che da pura pratica agonistica si è trasformato in un vero e proprio mercato. “Raccoglie settori diversi, dal maketing alla finanza, dalla salute al mondo degli eventi. – ci ha detto Bertelli – I dati che si possono raccogliere sono molteplici ed è fondamentale riuscire a metterli a fattor comune per estrarre valore. Il nostro lavoro è quello di creare un ecosistema, che raccolta tutti gli attori di questo mercato, che ci permetta di attingere a diverse fonti di dati e di unirle per creare servizi su misura per club e società”.

Nuovi mestieri ed evoluzione tecnologica

I dati sono diventati così importanti che stanno nascendo anche nuove figure professionali, sempre più specializzate nell’analisi dei dati associati al mondo dello sport, una sorta di Sport Data Scientist. “Nei club di calcio professionisti ci sono almeno due addetti all’analisi dei dati, uno della società e uno dello staff tecnico. In società più grandi e titolate, però, il team può arrivare fino a 10 persone. Sull’analisi del dato sono ormai molto attrezzate, mentre faticano a creare innovazione. È qui che entrano in gioco le nuove startup con cui collaboriamo e sviluppiamo tecnologia”.
Dalle telecamere intelligenti ai droni per “di Sarri” studiare i movimenti dall’alto, fino ai sensori per misurare diversi parametri fisici, sono molte le tecnologie entrate nel mondo dello sport: “Con un partner internazionale stiamo lavorando ora anche a un pavimento intelligente, in grado di estrapolare dati in tempo reale a partire dai movimenti degli atleti”.

Il caso del ciclismo

Il ciclismo è sport di fatica, in cui una corretta gestione delle energie può fare la differenza sia nella gara singola sia nelle grandi corse a tappe. Lo sa bene Matteo Trentin, ciclista che oggi corre nel CCC Team, in grado di primeggiare in entrambe le tipologie di corsa. Il campione europeo 2018 e vice campione del mondo 2019, ci ha raccontato come si è evoluto l’utilizzo dei dati nel ciclismo e l’importanza che assumono sia nella preparazione sia in corsa.

“Già una decina di anni fa, quando sono passato professionista, iniziavano a farsi largo nell’ambiente alcuni sistemi di misurazione e analisi. Ma negli anni sono diventati sempre più diffusi e fondamentali. Ci ho fatto anche la tesi di laura – racconta Trentin, laureato in Scienze motorie all’Università di Verona -. Permettono di allenarti in modo sempre più minuzioso, anche e soprattutto grazie all’analisi che viene fatta una volta che la sessione è conclusa e da cui si riescono a estrapolare moltissime informazioni. Prima, per farlo, era necessario andare in centri dedicati, ora questi dati si possono ottenere in modo più semplice”.

E per quanto riguarda le corse? “Le gare di un giorno sono un po’ meno influenzate dai dati, hai le informazioni base che aiutano a regolarsi (quelle fornite da smartwatch o dispositivi indossabili ndr) ma nulla di più. Diversa è la situazione nelle corse a tappe, dove a fine giornata si ha modo di vedere quante energie hai speso e analizzare lo stato di forma di ogni atleta e, sulla base di quello, definire la strategia personale e di squadra per la giornata successiva”.

Il dato alla base degli eSport

Ma analizzare i dati non serve solo a migliorare le performance degli atleti in carne e ossa, ma anche quelle degli sport virtuali. Gli eSports, di cui oggi si parla moltissimo anche per i business che ne derivano, hanno raggiunto livelli incredibili grazie ai dati reali. “Sono i dati raccolti nella “vita reale” – ci spiega Carlo Bertelli – il punto di partenza per ricostruire in modo efficace situazioni e movimenti nei video giochi: questo non vale sono per i videogiochi sportivi, ma anche per quelli di azione come può essere Call of Duty”.

Il mondo del gaming, oltre a essere un mercato ricchissimo (basti pensare che vale più di quello di cinema e musica messi insieme), ha acquistato una rilevanza e un’attenzione mediatica notevole negli ultimi mesi, spinto anche dall’impossibilità di praticare e di assistere agli sport tradizionali a causa delle restrizioni portate dall’emergenza Covid-19. A sperimentare e a misurarsi con gli eSports sono stati anche gli atleti professionisti: dalle corse virtuali di Formula 1 di Leclerc alle partite di basket giocate direttamente dal divano dalle star NBA sono molti quelli che si sono messi alla prova.

Il Virtual Tour the France

Non è stato da meno il mondo del ciclismo, con gli organizzatori del Tour de France che hanno messo in piedi una corsa virtuale che ha coinvolto anche i professionisti. Tra loro anche Matteo Trentin, che ha partecipato a una delle tappe del programma.

“Non sono un sostenitore degli eSport onestamente e il risultato si è visto (è stato tra gli ultimi classificati della tappa in cui ha corso ndr), ma devo ammettere che per noi del ciclismo è stato un buon aiuto durante il lockdown. In generale quello del ciclismo virtuale è un movimento che sta crescendo e credo che il successo sia da attribuire a due fattori. Il primo è la comodità: durante i mesi invernali allenarsi all’esterno può essere complesso, penso per esempio agli atleti che vivono in Paesi molto freddi, come quelli del nord Europa, o agli amatori che finiscono di lavorare quando è già buio e per i quali andare in strada può diventare anche pericoloso. Dall’altra è indiscutibile il grande miglioramento di queste piattaforme. L’aggiunta di una grafica di qualità e i sistemi di competizione aiutano a fare più volentieri un’attività, pedalare sui rulli, che potrebbe essere vista come noiosa o poco stimolante”.

La più nota di queste piattaforme e quella su cui si è corso il Virtual Tour de France è Zwift, realizzata dall’omonima startup Californiana.

Questa consente ad atleti e appassionati di pedalare stando fermi, con i rulli, percorrendo però ambientazioni ricostruite al computer. Il sistema è in grado di raccogliere e analizzare dati che, combinati al peso dell’atleta e all’attrezzatura utilizzata, vengono utilizzati per convertire gli sforzi in potenza della pedalata e velocità. Inoltre, il sistema si adatta al percorso, assumendo un realismo fino a qualche tempo fa inimmaginabile. “Il sistema è intelligente, – ci spiega Trentin – la pedalata diventa più dura o molla a seconda del percorso. È stato addirittura sviluppato un algoritmo che riproduce le condizioni della scia”. Correre su strada, però, è un’altra cosa: “Come prima cosa su strada hai le curve, che qui non ci sono. Inoltre, ci sono elementi esterni che fanno parte di questo sport: essendo outdoor è molto complesso ricostruire le stesse condizioni.  Personalmente ho la sensazione di essere in gabbia, un po’ come un criceto che corre sulla ruota”.

Nuovi modi di fare sport significano anche nuovi modi di imbrogliare: “Come si dice in questi cosi “paese che vai, usanza che trovi”. – scherza Trentin – Si può imbrogliare a carte, come nel ciclismo. Queste piattaforme si impostano in base al peso che è una discriminante importante nel calcolo della potenza: basta barare su quello e si ha un vantaggio considerevole”.

L’essenza dello sport

La tecnologia è parte integrante delle nostre vite e lo sta diventando anche della pratica sportiva, tanto che è stata avanzata la proposta di introdurre gli eSport tra le discipline olimpiche.

In questo modo, però, non si rischia di mettere in discussione l’essenza stessa dello sport?

Il dibattito è acceso e non riguarda solo gli sport virtuali: dalle componenti elettroniche sempre più sofisticate negli sport motoristici all’importanza della scelta dei materiali negli sport invernali, passando per l’utilizzo di sistemi tecnologici a supporto degli arbitri, la domanda è trasversale a tutte le discipline e le risposte diverse a seconda delle correnti di pensiero.

“Credo che questo cambio di paradigma faccia proprio della transizione verso il digitale che riguarda tutta la società. – ci ha detto Bertelli – Al centro di tutto, però, rimangono sempre gli atleti e gli staff tecnici, con il loro talento, dedizione e capacità. Oggi queste devono essere più ampie e comprendere anche nuovi aspetti, ma non credo si stia snaturando lo sport nella sua assenza. Sarebbe diverso se stessimo parlando di atleti con un chip che influisce sulle loro performance, ma non siamo a quel punto”.

Per ora, aggiungiamo noi.

mentoring

Il mentoring in azienda è importante e ci sono delle regole da seguire

  • Il mentoring è un’attività fondamentale per le aziende: permette di formare al meglio i propri manager del futuro. 
  • Come prima cosa, devono essere dati alla risorsa gli strumenti di base per muoversi e in autonomia e spiegate aspettative, ruolo e attività.
  • Il feedback è l’attività più importante: permette alla risorsa di imparare dai propri errori e di migliorarsi ogni giorno.

 

Non sono poi così lontani i tempi in cui con le amiche si parlava delle prime giornate di stage. “Il mio tutor ha sempre da fare, dopo due ore che ho letto le mail non so più cosa fare senza di lui. Mi rimane solo il solitario.
Non so, invece a me piacerebbe sapere se quello che sto facendo lo sto facendo bene oppure no. Ma anche la mia capa è sempre via”.

Sebbene autobiografico, sono sicura che l’estratto qui sopra possa risultare familiare a chi sta muovendo i primi passi nel mondo del lavoro. Ma potrebbe non esserlo più. Come? Con un mentoring efficace da parte delle aziende.

In questo articolo, ispirato a uno studio dell’Harvard Business Review e dalla mia meno bibliografica esperienza personale, trovate una lista di tips & tricks per un mentoring consapevole. Diciamo così: un mentoring for dummies.

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1. Le basi del mentoring: dove trovare cosa

Qualsiasi posto di lavoro ha un archivio di cartelle che contiene documenti utilissimi per i nuovi arrivati. C’è chi usa Dropbox, chi Microsoft, chi Drive, ma il concetto è lo stesso.

La prima cosa che avrei voluto sapere da stagista era dove trovare i materiali importanti senza dover chiedere tutto al mio tutor. Ecco perché la prima cosa che ho fatto con la mia apprendista è stata dirle dove trovare tutti i documenti possibili.

Nel concreto è molto semplice: basta preparare una lista di file importanti con le indicazioni in merito alle cartelle in cui trovarli. Ah, e ovviamente condividerne gli accessi! Vi pare ovvio? Avrei dei ricchi aneddoti con cui farvi ricredere.

2. Mentoring e aspettative: definire ruolo e doveri

Tra i trick per un mentoring efficace, HBR suggerisce di redigere un documento di Baseline Expectations per le nuove risorse. Al suo interno possono essere approfondite responsabilità, task, modalità e qualsiasi altro aspetto si ritenga fondamentale. Uno strumento che lascia largo spazio all’interpretazione, ma che sottolinea un passaggio fondamentale del mentoring: la definizione del ruolo e delle attività.

Lavorare in autonomia quando si è nuovi nel mestiere non è facile. Non si possono improvvisare le proprie attività e questo spesso dà origine a frustrazione o senso di inutilità. La musica cambia quando si sa con certezza quali sono i task e come terminarli senza dipendere da altri. Impostare il lavoro secondo attività quotidiane e consolidate può rendere le nuove risorse mano a mano più autonome e soddisfatte sul lungo periodo.

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3. Quanto tempo dedicare al mentoring?

Un’altra regola d’oro è quella di decidere in anticipo quanto tempo dedicare all’attività di mentoring. Non è una decisione facile, perché, per quanto sarebbe più comodo pensarla così, le risorse sono ancora umane e in quanto tali differiscono anche nel quantitativo di tempo che serve loro per imparare a fare qualcosa.

Tuttavia, è consigliabile inserire in agenda degli slot orari fissi in cui approfondire i temi chiave per l’apprendista. Mettiamo caso che questi debba imparare ad usare Google Analytics: non può farlo completamente da solo, perciò l’ideale sarebbe dedicare un monte orario iniziale per spiegargli bene come fare e dei meeting successivi con un tempo definito per la risoluzione dei dubbi.

agenda

I meeting non dovrebbero essere più lunghi di 50 minuti e prefissati nell’agenda da diverso tempo. In questo modo l’apprendista dovrebbe imparare a considerare il tempo come una risorsa preziosa, iniziando lui stesso a voler settare un’agenda e dei punti da smarcare il più velocemente possibile nel suo spazio di formazione.

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4. Sì, ma… Chi dovrebbe fare mentoring?

In un mondo lavorativo perfetto, i senior manager avrebbero il tempo di formare tutte le risorse del mondo. Purtroppo, come si evince dai solitari a cui giocano gli stagisti, questa speranza non riflette la realtà. Tale discrepanza mi ha portata a riflettere su quali siano le risorse di un’azienda più indicate ad occuparsi del mentoring e, spoiler alert, la risposta non è facile né definibile a priori. Dipende dalle esigenze.

Imparare dai senior manager: la formazione in ascolto

Diciamo che scegliere una persona con decenni di esperienza ha come vantaggio tutto il bagaglio di conoscenze e di trick che quella persona è in grado di passare. Anche solo sentendola parlare: spesso mi è capitato di considerare “mentori” colleghi senior che non erano un mio tutor diretto né ufficiale, ma che durante i meeting mi hanno tenuta in ascolto e da cui ho appreso informazioni, scappatoie e trucchetti in poche decine di minuti. Certo, dall’ascolto alla pratica passa diversa acqua sotto ai ponti, ma è un inizio. Il contrappeso è che spesso i senior manager non hanno il tempo materiale di occuparsi delle nuove risorse.

Imparare con gli junior manager: l’affiancamento continuo

Per questo, una valida alternativa sono gli junior manager: risorse che da qualche anno si occupano di ciò che fanno e hanno ancora vivido il ricordo delle difficoltà di quando ancora erano stagisti. Una persona che è sul mondo del lavoro da 3-5 anni ha acquisito le competenze del ruolo, tendenzialmente è meno oberato di un suo superiore, fresco e forse anche felice di poter condividere quello che sa. Fare mentoring d’altronde è un atto di generosità, ma come tante attività altruiste, dà tanto anche a chi lo fa. Ti fa vedere le cose da un’altra prospettiva, ti rinfresca la memoria, ti sfida, ma soprattutto – parrebbe, sempre secondo un altro studio di Harvard – ti aiuta ad alleviare lo stress.

Un mentoring ibrido potrebbe essere la soluzione migliore: una figura junior-middle in affiancamento, un senior da cui ascoltare.

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5. L’aspetto chiave del mentoring: il feedback

Ricordate il “mi piacerebbe sapere se quello che sto facendo lo sto facendo bene oppure no” in apertura all’articolo? Ecco, quella frase non è semplicemente una lamentela di una vecchia amica, ma uno degli aspetti più importanti del mentoring.

Per crescere veramente, una risorsa ha bisogno di un feedback continuo. Se chiedi un documento che poi devi aggiustare in qualche modo, non puoi semplicemente correggerlo e inviarlo al cliente. Altrimenti la prossima volta ci troverai dentro gli stessi errori, perderai tempo tu e la tua risorsa non avrà imparato.

Drive, per esempio, permette di visualizzare la cronologia dei documenti: un trick utile con cui lo stagista può osservare in autonomia tutte le correzioni. In seguito, se ci fossero aspetti non chiari li si può approfondire in meeting. Da 50 minuti massimo, ovviamente.

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Per concludere, il feedback dovrebbe essere puntuale quando riguarda un singolo task, periodico per indagare eventuali difficoltà o punti di miglioramento e conclusivo al termine del periodo di mentoring. Non si può mica smettere di insegnare sul più bello.

scuola

Back to school: come sarà il rientro sui banchi quest’anno (secondo i social)

  • Dopo mesi di didattica online, quest’anno sarà caratterizzato da un rientro sui banchi di scuola diverso dal solito.
  • Dai social trend emergono nuove forme di insegnamento, con i genitori impegnati a identificare opzioni di apprendimento alternative e soluzioni domestiche anche per la gestione degli spazi.

 

Con le persistenti incertezze legate al COVID, milioni di persone si stanno rivolgendo a Pinterest per affrontare l’imminente anno scolastico, indipendentemente da come si svolgerà. Infatti, anche se in Italia per la maggior parte degli studenti il mese di settembre segnerà il ritorno alla normalità, dopo mesi di didattica online, per altri quest’anno sarà caratterizzato da un rientro sui banchi di scuola diverso dal solito, con ricerche legate alle lezioni da casa arrivate a picchi mai raggiunti in precedenza.

Secondo i dati raccolti da Deloitte, il ritorno a scuola durante la pandemia ha fatto crescere le ansie dei genitori riguardo a salute e finanze familiari in tutto il mondo, portandoli anche a mettere in discussione la qualità dell’istruzione che gli studenti hanno ricevuto questa primavera. La preoccupazione che gli studenti siano rimasti indietro è evidente, con solo la metà dei genitori soddisfatti dell’istruzione fornita.

La stagione di incertezza cambierà con molta probabilità il modo in cui i consumatori affronteranno il ritorno a scuola (e all’università), soprattutto per quanto riguarda i loro acquisti. Sono tendenze che stiamo già ampiamente sperimentando in Italia, dove ad esempio, pare esserci stato un esodo di studenti verso le sedi universitarie del Sud.

Negli Stati Uniti, è stato calcolato che la spesa per il ritorno a scuola dovrebbe raggiungere i 28,1 miliardi di dollari, con una media di 529 dollari per studente nelle famiglie che acquistano abbigliamento, forniture, computer ed elettronica per i bambini fino a 12 anni. In particolare c’è una maggiore enfasi sugli strumenti di apprendimento basati sulla tecnologia.

E in Italia? Un’idea abbastanza completa di come si stiano orientando le scelte di studenti e genitori e di come si stiano preparando al back to school 2020 ce la offrono gli ultimi trend di ricerca sui social.

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scuola

Il ritorno a scuola su Pinterest

Secondo alcuni dei trend di ricerca più significativi per il back to school su Pinterest, che vedono studenti ed insegnanti proiettati verso un anno scolastico sicuramente differente dai precedenti, emergono nuove forme di insegnamento, con i genitori impegnati a identificare opzioni di apprendimento alternative, tra cui:

Dato l’aumento di bambini che studieranno da casa, crescono anche le ricerche legate all’allestimento di postazioni per domestiche, con i genitori intenti a replicare gli ambienti scolastici:

Gli acquisti legati alla ripresa della scuola evidenziano alcune differenze, come dimostrano le ricerche per nuovi capi d’abbigliamento e quelle relative all’arredamento, che possa consentire ai bambini di svolgere le lezioni anche da casa:

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AltSchool, la buona scuola reinventata dalle startup

L’arredamento in cima ai pensieri per il back to school

Con l’inizio di un anno scolastico senza precedenti, i comportamenti d’acquisto legati al rientro a scuola si stanno modificando, riflettendo questo periodo di cambiamenti ed incertezza. In particolare, le persone si stanno rivolgendo ai social anche per pianificare ed acquistare tutto ciò di cui hanno bisogno per organizzare gli spazi di apprendimento tra le mura della propria casa, come dimostra il recente report di Pinterest. Dai nuovi metodi per organizzare le scrivanie alla ricerca del perfetto arredamento per le stanze, i Pinner guardano fiduciosi ad un anno scolastico produttivo e pieno di ispirazioni, indipendentemente da dove svolgeranno le proprie lezioni.

Di seguito i principali trend di ricerca relativi sia ai Millennial che alla Generazione Z.

Gli studenti universitari si stanno attrezzando per un anno scolastico senza precedenti e le ricerche della Generazione Z relative a nuovi metodi per creare un ambiente in casa che li possa ispirare nello studio sono in forte crescita:

La Generazione Z è in cerca di ispirazioni per l’arredamento, con ricerche per scrivanie specifiche e stili di sedute tra cui:

Anche le ricerche per elementi decorativi son cresciute tra la Generazione Z. Infine, i genitori si stanno concentrando sul creare ed organizzare spazi per consentire ai propri figli di svolgere le lezioni da casa:

american express calm

American Express e Keep Calm, per affrontare il rientro a lavoro

Essere pronti ad affrontare i rientri è sempre un tema importante per gli italiani, in questo momento particolare ancora di più. Per questo American Express collabora con l’app per il sonno e la meditazione Calm, per offrire ai Titolari di Carta consumer un anno di abbonamento premium gratuito.

Calm è l’app per il fitness mentale, sviluppata per contribuire a gestire lo stress, dormire meglio e vivere una vita più felice e sana. L’abbonamento annuale Premium è disponibile gratuitamente e rappresenta un beneficio esclusivo per i titolari di carta American Express in 44 Paesi a livello internazionale ed è consultabile a questo link.

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american express calm

Meditazione e mindfulness in un click

Con l’app Calm i titolari di carta hanno accesso a oltre 100 ore di contenuti audio originali relativi alla meditazione, al riposo, alla musica e alla mindfulness, includendo una varietà di programmi che includono stress, gratitudine, ansia, fiducia e molti altri. Due dei contenuti più amati di Calm sono Daily Calm, una meditazione di 10 minuti al giorno per ritrovare la pace e la calma interiore, e Sleep Stories, una serie di favole della buonanotte per adulti.

La domanda dei consumatori per prodotti che rafforzino il sistema immunitario, migliorino il sonno e supportino la riduzione dello stress sta crescendo. Secondo un recente studio, oltre all’attenzione per un’alimentazione sana, sta crescendo la richiesta di servizi per favorire il sonno e la riduzione dello stress. Le persone sono alla ricerca di spazi virtuali e domestici per soddisfare il bisogno di benessere, utilizzando sempre più app e servizi per workout virtuale e meditazione.

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American Express risponde ai nuovi bisogni delle persone

Dall’inizio di marzo la media delle ore dedicate a salute, fitness e ad app medicali era cresciuta del 30%. Questo nuovo benefit di Amex da parte di Calm si rivolge a queste esigenze e sostiene i titolari di carta nelle loro necessità.

“Molte persone durante l’emergenza hanno dovuto affrontare stress e ansia a livello personale e professionale. Il nostro desiderio con l’offerta sviluppata con Calm è fornire loro sollievo e relax in un momento impegnativo e incerto”, dichiara Tabitha Lens, Vice President, Head of Marketing, Products and Partnerships, American Express Italia.

“La nostra partnership con American Express introdurrà Calm a milioni di persone e in un momento in cui la pratica della meditazione è maggiormente necessaria. Siamo orgogliosi di far crescere questo programma che è unico sul mercato, incoraggiando i Titolari di Carta American Express a vivere in modo più sano e felice” commenta anche Dun Wang, Chief Product e Growth Officer di Calm.

I titolari di carta American Express potranno usufruire dell’abbonamento premium Calm gratuitamente il primo anno e con uno sconto del 50% il secondo anno. L’offerta è valida per le sottoscrizioni effettuate entro il 31 ottobre 2020, esclusivamente attraverso la pagina a loro dedicata.

diversity

Il progetto “TrueColors” ci mostra cosa manca oggi per il diversity management

  • Cosa accadrebbe se i colori dei loghi dei più famosi brand esprimessero il colore del proprio top management?
  • A creare questa sorta di inside out, ci ha pensato il profilo Instagram @truecolors.official, powered by Eleonor Rask, direttrice artistica della famosa agenzia pubblicitaria di San Francisco, Goodbye Silverston&Parteners.
  • Ad oggi, nonostante le molteplici pressioni subite dalle aziende per cambiare la diversità della propria leadership, per il diversity management c’è ancora tanto da fare.

 

Django Unchained, di Quentin Tarantino, ispirato allo spaghetti- western Django (famoso film degli anni Sessanta con protagonista Franco Nero), racconta la storia di uno schiavo di colore (Jamie Foxx), che diventa un cacciatore di taglie sotto la guida di un ex dottore (Christoph Waltz).

Dopo aver lavorato insieme per tutto l’inverno, la coppia inizia poi a cercare la moglie dell’ormai uomo libero Django, Broomhilda, schiava del crudele proprietario terriero interpretato da Leonardo Di Caprio.

Candidato a cinque statuette ai Premi Oscar 2013, il film di Tarantino ne conquistò due.

In Italia il filma incassò 400.000 euro nel primo giorno di proiezione.

Ma cosa ne sarebbe stato del film se il protagonista fosse stato bianco? Probabilmente la trama sarebbe stata stravolta e la pellicola non avrebbe avuto alcun senso.

Immaginiamo, ancora, Will Smith in La Ricerca della Felicità. Avrebbe avuto lo stesso successo con un attore non di colore?

Continuando la stessa riflessione nel mondo del business, immaginiamo che i colori dei loghi dei più famosi brand diventino quanto più simili possibili al colore del proprio top management. Cosa succederebbe?

Il progetto TrueCcolors

Probabilmente i brand non sarebbero più distinguibili.

Nonostante le posizioni pubbliche prese in merito al razzismo, soprattutto durante l’esplosione del movimento Black Lives Matters, molti famosissimi brand continuano ad avere una leadership bianca tra le fila dei C-levels.

Il tutto mentre il mondo aziendale è costantemente sotto pressione per cambiare la diversità della propria leadership.

Adidas è 100% white, CNN è al 93% white, Tiffany&Co è per l’88% white.

LEGGI ANCHE: Black Lives Matter, brand e pubblicità: chi è pronto a cambiare (e chi no)

true colors diversity management

Seguono poi Nike (85% white), Microsoft (81% white), Apple e Mc Donald (77% white). Fanno di meglio Uber (al 50%) e Hulu (al 44%), azienda che offre servizio internet di video su richiesta operante nella distribuzione di film, serie TV e contenuti di intrattenimento.

true colors diversity management

L’ideatrice di quest’assurdo, stimolatore di profonde riflessioni, è Eleonor Rask, direttrice artistica della famosa agenzia pubblicitaria di San Francisco, Goodbye Silverston&Parteners (GSP).

In questo caso, però il progetto non è affiliato con GSP. L’agenzia ha comunque una storia di impegno nel dialogo civico. A giugno, i direttori creativi associati Rony Castor e Anthony O’Neill Hanno lanciato il messaggio Being Black Is Not a Crime, supportando la comunità nera e il movimento Black Lives Matter.

true colors diversity management

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Rask ha preso i loghi, li ha resi neri e poi ha applicato una sovrapposizione di colore bianco su ciascuno.

Ha scelto di non utilizzare un vero bianco in modo che, anche nel caso di un’azienda con un alto rapporto di leadership bianca, il logo potesse essere ugualmente visibile.

Rask ha poi adeguato la percentuale in modo che corrispondesse a quella di ciascuna società.

Il tutto è racchiuso nell’account Instagram @truecolors. official.

Apparso il 22 luglio, riproduce le immagini di famosi brand secondo la percentuale del numero di professionisti bianchi o neri presenti ai vertici aziendali.

Diversity management

La provocazione si inserisce perfettamente nel contesto della lotta al razzismo, supportando pienamente il messaggio promosso dal movimento Black Lives Matter.

Stimola, inoltre, una serie di riflessioni in merito al cosiddetto diversity management.

true colors diversity management

Nato negli USA sul finire degli anni Ottanta, il diversity management rappresenta un nuovo approccio alle persone all’interno delle risorse umane aziendali, in grado di valorizzare la diversità.

Fino a non molto tempo fa vigeva tuttavia una prospettiva che tendeva ad annullare le differenze e le diversità, secondo un modello in cui il lavoratore tipo era identificato con una persona sana, generalmente dalla pelle bianca e soprattutto di sesso maschile.

Solo sul finire degli ’80, molte aziende US based cominciarono ad accorgersi dell’enorme potenziale che andava sprecato in ragione delle discriminazioni.

L’intento del diversity management è quello di creare un ambiente di lavoro inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

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Diverso è più bello

Guardando le percentuali white di @truecolors.official sembra però debbano essere fatti molti passi avanti.

In effetti, sono ancora molte le aziende che, nonostante lancino messaggi di supporto nei confronti del movimento “Black Lives Matter”, hanno vertici poco diversificati.

Il tutto nonostante molteplici studi condotti da importanti Business School dimostrino come la diversità sia un valore aggiunto che fa bene al business.

Diversità a tutto campo: culturale, di genere, religiosa.

E se per Django c’è stato il lieto fine, con la conquista della suo riscatto umano e sociale, rimaniamo fiduciosi e in attesa del lieto fine per il mondo del business.

Fingers crossed.

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Torna HR Innovation Forum, in una edizione full-digital

Welfare, employer branding e trasformazione digitale sono solo alcuni dei temi cruciali per le aziende oggi. Ci troviamo a vivere un periodo di profondo cambiamento soprattutto per il mondo del lavoro e interrogarsi sulle principali soluzioni innovative di prodotto e di processo applicate al Talent Management non è più un’opzione ma una priorità.

Il 29 e 30 settembre 2020 torna HR Innovation Forum, la prima rassegna in Italia per discutere e confrontarsi sui nuovi trend e sulle più innovative soluzioni tecnologiche per la gestione delle Risorse Umane. Quest’anno con un formato tutto digitale.

Durante la quinta edizione dell’evento potremo conoscere i nuovi sviluppi nell’Employer Branding, il ruolo della Formazione nella Digital Transformation, il Gaming applicato all’Engagement e al Recruiting, il Benessere Organizzativo per migliorare la Produttività aziendale, lo sviluppo di nuove forme di Lavoro Agile.

Ma queste sono solo alcune della tematiche che saranno affrontate nel corso delle due giornate.

Scopri tutti i contenuti e i seminari dell’HR Innovation Forum per la prima volta in una edizione speciale tutta digitale!

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L’innovazione che passa dalle HR

L’HR Innovation Forum è un’intera giornata di networking e di approfondimento sui più importanti trend del settore interamente dedicata ai manager e professionisti HR.

​Il format prevede un ciclo di seminari in sessioni parallele sulle più innovative soluzioni digitali e non, legate al mondo HR; uno spazio espositivo nel quale aziende che forniscono servizi HR in outsourcing (HR Vendors) potranno promuovere i propri servizi. Ma soprattutto tante competenze, analisi, best practice e possibilità di fare rete.

Se sei un Manager HR impegnato ogni giorno a capire come attrarre, selezionare e trattenere le persone di talento per la tua azienda, allora questo evento è indispensabile per te e per il tuo lavoro. Potrai incontrare fornitori eccellenti (Exhibitors), sia italiani che stranieri, con servizi e soluzioni veramente innovative per le attività di Talent Management, avrai la possibilità di approfondire e capire meglio come usarli per i tuoi scopi e, soprattutto, quali benefici potrai ottenere.

Ma non solo. Avrai la possibilità di acquisire nuove conoscenze su strategie e nuovi trend nella gestione HR seguendo i seminari gratuiti previsti dal nostro programma e condividere esperienze di lavoro confrontandoti con altri colleghi. E ci saremo anche noi di Ninja Academy, con la nostra Corporate Training Manager Federica Bulega, che sarà Conference Leader della giornata del 29 settembre.

​Durante la due giorni, si svolgeranno seminari e workshop di approfondimento in sessioni parallele per conoscere i nuovi trend nelle attività di attracting, engagement e retention dei talenti. Saranno coinvolte aziende che si sono particolarmente distinte nello sviluppo di strategie HR e che hanno acquisito una consolidata esperienza sul tema.

Le best practice, lo sappiamo, costituiscono efficaci modelli di riferimento per tutte quelle aziende che sono alla ricerca di stimoli per innovare le proprie attività di Talent Management e i massimi esperti del settore saranno coinvolti per condividere esperienze e dati relativi alle ultime ricerche effettuate sul campo.

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Come partecipare a HR Innovation Forum?

La partecipazione all’HR Innovation Forum è gratuita e riservata solo al personale Executive della funzione HR con particolare riferimento agli HR Director e HR Manager.

Se questa descrizione corrisponde al tuo ruolo, cosa aspetti? Le iscrizioni sono già aperte, registrati subito!

L’iscrizione comprende: accesso ai webinar, possibilità di gestire incontri one-to-one con gli exhibitor, slide e materiale didattico relativo ai contenuti dei seminari (post evento).