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  • Il mentoring in azienda è importante e ci sono delle regole da seguire

    Dal tempo da dedicare a questa attività fino ai feedback da fornire, ecco alcune note utili di riflessione

    9 Settembre 2020

    • Il mentoring è un’attività fondamentale per le aziende: permette di formare al meglio i propri manager del futuro. 
    • Come prima cosa, devono essere dati alla risorsa gli strumenti di base per muoversi e in autonomia e spiegate aspettative, ruolo e attività.
    • Il feedback è l’attività più importante: permette alla risorsa di imparare dai propri errori e di migliorarsi ogni giorno.
      Non sono poi così lontani i tempi in cui con le amiche si parlava delle prime giornate di stage. “Il mio tutor ha sempre da fare, dopo due ore che ho letto le mail non so più cosa fare senza di lui. Mi rimane solo il solitario.” “Non so, invece a me piacerebbe sapere se quello che sto facendo lo sto facendo bene oppure no. Ma anche la mia capa è sempre via”. Sebbene autobiografico, sono sicura che l’estratto qui sopra possa risultare familiare a chi sta muovendo i primi passi nel mondo del lavoro. Ma potrebbe non esserlo più. Come? Con un mentoring efficace da parte delle aziende. In questo articolo, ispirato a uno studio dell’Harvard Business Review e dalla mia meno bibliografica esperienza personale, trovate una lista di tips & tricks per un mentoring consapevole. Diciamo così: un mentoring for dummies. LEGGI ANCHE: I leader migliori insegnano (e i dipendenti migliori vogliono imparare)

    1. Le basi del mentoring: dove trovare cosa

    Qualsiasi posto di lavoro ha un archivio di cartelle che contiene documenti utilissimi per i nuovi arrivati. C’è chi usa Dropbox, chi Microsoft, chi Drive, ma il concetto è lo stesso. La prima cosa che avrei voluto sapere da stagista era dove trovare i materiali importanti senza dover chiedere tutto al mio tutor. Ecco perché la prima cosa che ho fatto con la mia apprendista è stata dirle dove trovare tutti i documenti possibili. Nel concreto è molto semplice: basta preparare una lista di file importanti con le indicazioni in merito alle cartelle in cui trovarli. Ah, e ovviamente condividerne gli accessi! Vi pare ovvio? Avrei dei ricchi aneddoti con cui farvi ricredere.

    2. Mentoring e aspettative: definire ruolo e doveri

    Tra i trick per un mentoring efficace, HBR suggerisce di redigere un documento di Baseline Expectations per le nuove risorse. Al suo interno possono essere approfondite responsabilità, task, modalità e qualsiasi altro aspetto si ritenga fondamentale. Uno strumento che lascia largo spazio all’interpretazione, ma che sottolinea un passaggio fondamentale del mentoring: la definizione del ruolo e delle attività. Lavorare in autonomia quando si è nuovi nel mestiere non è facile. Non si possono improvvisare le proprie attività e questo spesso dà origine a frustrazione o senso di inutilità. La musica cambia quando si sa con certezza quali sono i task e come terminarli senza dipendere da altri. Impostare il lavoro secondo attività quotidiane e consolidate può rendere le nuove risorse mano a mano più autonome e soddisfatte sul lungo periodo. LEGGI ANCHE: Perché un ambiente di lavoro basato sulla fiducia migliora il processo decisionale

    3. Quanto tempo dedicare al mentoring?

    Un’altra regola d’oro è quella di decidere in anticipo quanto tempo dedicare all’attività di mentoring. Non è una decisione facile, perché, per quanto sarebbe più comodo pensarla così, le risorse sono ancora umane e in quanto tali differiscono anche nel quantitativo di tempo che serve loro per imparare a fare qualcosa. Tuttavia, è consigliabile inserire in agenda degli slot orari fissi in cui approfondire i temi chiave per l’apprendista. Mettiamo caso che questi debba imparare ad usare Google Analytics: non può farlo completamente da solo, perciò l’ideale sarebbe dedicare un monte orario iniziale per spiegargli bene come fare e dei meeting successivi con un tempo definito per la risoluzione dei dubbi. agenda I meeting non dovrebbero essere più lunghi di 50 minuti e prefissati nell’agenda da diverso tempo. In questo modo l’apprendista dovrebbe imparare a considerare il tempo come una risorsa preziosa, iniziando lui stesso a voler settare un’agenda e dei punti da smarcare il più velocemente possibile nel suo spazio di formazione. LEGGI ANCHE: 4 tecniche di time management per essere più produttivi

    4. Sì, ma… Chi dovrebbe fare mentoring?

    In un mondo lavorativo perfetto, i senior manager avrebbero il tempo di formare tutte le risorse del mondo. Purtroppo, come si evince dai solitari a cui giocano gli stagisti, questa speranza non riflette la realtà. Tale discrepanza mi ha portata a riflettere su quali siano le risorse di un’azienda più indicate ad occuparsi del mentoring e, spoiler alert, la risposta non è facile né definibile a priori. Dipende dalle esigenze.

    Imparare dai senior manager: la formazione in ascolto

    Diciamo che scegliere una persona con decenni di esperienza ha come vantaggio tutto il bagaglio di conoscenze e di trick che quella persona è in grado di passare. Anche solo sentendola parlare: spesso mi è capitato di considerare “mentori” colleghi senior che non erano un mio tutor diretto né ufficiale, ma che durante i meeting mi hanno tenuta in ascolto e da cui ho appreso informazioni, scappatoie e trucchetti in poche decine di minuti. Certo, dall’ascolto alla pratica passa diversa acqua sotto ai ponti, ma è un inizio. Il contrappeso è che spesso i senior manager non hanno il tempo materiale di occuparsi delle nuove risorse.

    Imparare con gli junior manager: l’affiancamento continuo

    Per questo, una valida alternativa sono gli junior manager: risorse che da qualche anno si occupano di ciò che fanno e hanno ancora vivido il ricordo delle difficoltà di quando ancora erano stagisti. Una persona che è sul mondo del lavoro da 3-5 anni ha acquisito le competenze del ruolo, tendenzialmente è meno oberato di un suo superiore, fresco e forse anche felice di poter condividere quello che sa. Fare mentoring d’altronde è un atto di generosità, ma come tante attività altruiste, dà tanto anche a chi lo fa. Ti fa vedere le cose da un’altra prospettiva, ti rinfresca la memoria, ti sfida, ma soprattutto – parrebbe, sempre secondo un altro studio di Harvard – ti aiuta ad alleviare lo stress. Un mentoring ibrido potrebbe essere la soluzione migliore: una figura junior-middle in affiancamento, un senior da cui ascoltare. LEGGI ANCHE: Come far evolvere l’organizzazione dal Remote Working allo Smart Working: scopri la Guida Interattiva Ninja

    5. L’aspetto chiave del mentoring: il feedback

    Ricordate il “mi piacerebbe sapere se quello che sto facendo lo sto facendo bene oppure no” in apertura all’articolo? Ecco, quella frase non è semplicemente una lamentela di una vecchia amica, ma uno degli aspetti più importanti del mentoring. Per crescere veramente, una risorsa ha bisogno di un feedback continuo. Se chiedi un documento che poi devi aggiustare in qualche modo, non puoi semplicemente correggerlo e inviarlo al cliente. Altrimenti la prossima volta ci troverai dentro gli stessi errori, perderai tempo tu e la tua risorsa non avrà imparato. Drive, per esempio, permette di visualizzare la cronologia dei documenti: un trick utile con cui lo stagista può osservare in autonomia tutte le correzioni. In seguito, se ci fossero aspetti non chiari li si può approfondire in meeting. Da 50 minuti massimo, ovviamente. LEGGI ANCHE: Empatia, soft skill e feedback per guidare l’azienda del futuro Per concludere, il feedback dovrebbe essere puntuale quando riguarda un singolo task, periodico per indagare eventuali difficoltà o punti di miglioramento e conclusivo al termine del periodo di mentoring. Non si può mica smettere di insegnare sul più bello.