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Il mondo dopo il Covid: dati, previsioni e ipotetici scenari

  • Il Covid ha innescato una serie di cambiamenti, destinati a radicarsi in modo permanente nelle vite degli individui e delle comunità.
  • Nei prossimi mesi, saremo costretti ad affrontare un mondo dopo il Covid, a ridefinire le nostre abitudini, in termini di lavoro, mobilità, socialità ed esperienze di consumo.

 

È iniziata da poche settimane la fase due e ancora molti degli effetti a breve e a lungo termine di questa pandemia, restano incerti.

Fare previsioni su cosa ci attende diventa sempre più difficile, ma di certo il Covid ha innescato un cambiamento di portata globale, il più grande osservato da molto tempo.

Nel documentare l’emergenza vi è stato un ampio uso di espressioni come “economia di guerra” e “trincee negli ospedali” e a ben vedere l’uso del linguaggio bellico non è così improprio. Il clima di paura e incertezza induce le persone a farsi le stesse domande che ci si poneva durante i conflitti mondiali: cosa ci sarà dopo? Quali saranno i nuovi equilibri globali? Come cambierà la nostra vita in termini di lavoro, mobilità, relazioni sociali?

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Nuovi equilibri geopolitici: tra individualismo e cooperazione internazionale

In un suo articolo per The Gurdian, il giornalista britannico Timothy Garton Ash si domanda se quello che ci attende è uno scenario più affine al secondo dopoguerra o al primo, ovvero se andremo verso una crescita delle democrazie e della comunità globale, o all’avvento di nuovi nazionalismi e una tendenza alla chiusura degli Stati-nazione.

Come scrive Sylvie Kauffmann in un’analisi pubblicata su Le Monde, più che di rottura di equilibri preesistenti, è più corretto parlare di una brutale accelerazione di cambiamenti che erano già in atto prima della crisi.

Mentre negli Stati Uniti abbiamo assistito a un deciso inasprimento della dottrina “America first” del presidente Trump, rimasto sordo a qualunque cooperazione internazionale, la Cina continua la sua campagna di “diplomazia umanitaria”, approfittando della ritirata degli americani.

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L’esplosione dell’epidemia ha portato a galla tutte le criticità dei sistemi governativi delle singole nazioni, così come degli organi sovranazionali, a partire dall’Unione Europea, dimostratasi impreparata e incapace di dare risposte economiche concrete ai suoi stati membri.

Il rischio in l’Europa, scrive Kauffmann, è quello di una più profonda spaccatura tra nord e sud e un consolidamento delle correnti sovraniste.

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Gianpiero Petriglieri, esperto di leadership, ha spiegato che la metafora della guerra mondiale è applicabile anche sul piano politico, oltre che sanitario, perché, con la corsa al vaccino, i leader dei vari stati acquisirebbero un vantaggio competitivo a livello mondiale.

Nella fase in cui stiamo entrando ci sarà un gran bisogno di collettività, come ribadito anche dal viceministro agli affari esteri Emanuela Del Re in un’intervista con l’agenzia di stampa Dire: “La prospettiva multilaterale è fondamentale in questo momento, perché consente di partecipare a tutti i processi decisionali, e consente di mettere in campo la nostra grande esperienza in campo sanitario nel mondo”

La scienza è per sua natura internazionalista e, in una pandemia, ciò che serve è cooperazione globale.

Smart working e telelavoro, lo scenario italiano

Anche sul fronte telelavoro e smart working, i cambiamenti in atto sembrano destinati a radicarsi nelle nostre abitudini ancora per un bel po’. Attualmente, secondo un sondaggio condotto da Eurofound, sono 4 su 10 le persone che stanno lavorando da casa.

Le varie modalità di lavoro a distanza, che a tratti faticavano a farsi strada in Italia, sono dovute necessariamente diventare la nuova normalità, mettendo in luce i numerosi vantaggi del “lavoro agile”.

La filosofia manageriale su cui si basa lo smart working, è totalmente orientata al risultato prevede autonomia e flessibilità del lavoratore nella scelta di tempi e spazi di lavoro.

Se entrasse stabilmente a far parte delle nostre abitudini, potrebbe rappresentare una buona opportunità per le imprese anche in ottica sostenibile, in termini di risparmio su locazione, climatizzazione, pulizia e allestimento dei luoghi di lavoro, oltre che di alleggerimento del traffico e dei mezzi pubblici.

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Nonostante tutti i rosei presupposti, in Italia i risultati di una ricerca condotta da LinkedIn parrebbero evidenziare una situazione che proprio rosea non è.

Il numero di ore di straordinari da casa come quello dei lavoratori a rischio burnout evidenziano una preoccupante crescita.

Dai risultati è emerso che:

  • Il 46% dei lavoratori italiani si sente più ansioso o stressato perché lavora da casa
  • Il 48% ha sempre lavorato più ore dall’inizio della quarantena
  • Il 18% ha riscontrato un impatto negativo sulla propria salute mentale 
  • Il 16% teme un licenziamento al termine del lockdown

Questo perché nel nostro paese si parla ancora troppo di telelavoro piuttosto che di smart working, che è un concetto un po’ diverso, in primis perché prevede sempre la stessa postazione e orari d’ufficio.

Bisogna pur sempre considerare che parliamo di un cambiamento entrato prepotentemente nelle vite di tutti in un periodo già di per sé psicologicamente duro, in cui il confine tra lavoro, famiglia e tempo libero è diventato sempre più labile.

“Il lavoro da casa e l’impossibilità di uscire ci ha obbligato a una ridefinizione repentina degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero” – ha commentato Laura Parolin, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi“L’organizzazione del lavoro prima della pandemia consentiva di evadere e prendere le distanze dagli altri ambienti di vita, una possibilità che ora manca, costringendoci al confronto costante con l’isolamento o alle relazioni con i conviventi”.

Il mondo dopo il Covid, tra iperconnessione ed esperienze di consumo

Dai meeting di lavoro agli aperitivi in balcone, ogni forma di interazione sociale durante il lockdown è passata attraverso uno schermo. Viene da chiedersi come e in che misura questo influenzerà il nostro modo di relazionarci e la socialità in generale, una volta che l’emergenza sarà rientrata del tutto.

Se da un lato il Covid ha cambiato le abitudini d’acquisto, segnando l’impennata degli eCommerce e in generale aumentando la dimestichezza con il digital anche dei meno giovani; dall’altro i primi a pagarne il prezzo sono i rivenditori al dettaglio.

Con il distanziamento sociale è venuta meno ogni esperienza di consumo per strada legata alla ristorazione e alla convivialità, così come quella di shopping tradizionale.

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La pandemia di Coronavirus è il più grande motore globale di cambiamento osservato da molto tempo ha dichiarato Carla Buzasi, Managing Director di WGSN, colosso della ricerca previsionale, commentando un’indagine condotta dalla società sulle abitudini d’acquisto nel mondo dopo il Covid.

La realtà che stiamo vivendo obbliga aziende e lavoratori a far appello a tutta la loro capacità d’adattamento, flessibilità, resilienza. Ma anche creatività.

Nel mondo che ci attende dopo la pandemia, sarà ancora più importante intercettare i bisogni delle persone e creare i prodotti giusti. Perché, come dichiarato ancora da Buzasi: Anche se facciamo affidamento sulla connettività digitale per sopravvivere a questo periodo turbolento, sarà il nostro bisogno di connessione umana che modellerà davvero le nostre vite”.

In particolar modo per i più giovani, i brand dovranno ingegnarsi ulteriormente nella creazione di prodotti e servizi che rispecchino il loro stile di vita, da un lato investendo molto sul digital, dall’altro dando ancora più esclusività all’esperienza di shopping dal vivo, con edizioni limitate e ambienti d’acquisto immersivi (e instagrammabili).

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Ma, come consiglia WGSN:

In una cultura ossessionata dai giovani, i marchi dovranno tuttavia aggiornare le loro rappresentazioni dell’invecchiamento per stabilire un dialogo con tutti e celebrare ogni età.

Mai come adesso c’è bisogno di persone in grado di cambiare

Durante la terza edizione della Milano Digital Week in versione completamente online, abbiamo seguito gli appuntamenti di IAB all’interno del palinsesto di oltre 500 eventi, panel, webinar e lectio magistralis, intorno al tema del confronto aperto e inclusivo sul digitale.

“Game Changers” è stato il titolo degli eventi curati da IAB, nei quali personalità ed esperti hanno dialogato sul topic dell’innovazione in tutte le sue declinazioni, dall’educazione all’energia, fino all’entertainment.

Proprio su quest’ultimo punto abbiamo rivolto alcune domande a Sergio Amati, Direttore General IAB Italia.

Se negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad una rivoluzione digitale che ha cambiato il nostro mondo con modalità che non avremmo mai potuto immaginare, ora sta iniziando un nuovo decennio che si presenta come ancor più rivoluzionario, e ne stiamo avendo un primo assaggio.

La crisi che abbiamo vissuto (e ancora stiamo vivendo) ci impone di ripensare il nostro modo di comprendere il mondo e affrontare la sua complessità. Dobbiamo credere nella nostra creatività, nella nostra capacità di resilienza e nel nostro potere di diffondere il cambiamento sia a livello individuale che collettivo.

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La sfida di un evento che diventa full digital

Qual è stata la sfida più grande di una edizione completamente digitale, rispetto a un evento che avrebbe dovuto essere live come la Milano Digital Week?

«La Milano Digital Week era prevista agli inizi di marzo e abbiamo dovuto fermare tutto a pochi giorni dalla partenza. È stato uno shock enorme, come tutti ci siamo sentiti persi e senza punti di riferimento. La cosa che mi rende più orgoglioso è stata la nostra capacità di reazione. Ci siamo detti che questa era una grande opportunità per valorizzare il grande patrimonio di contenuti che avevamo raccolto e che costruire una piattaforma full digital avrebbe potuto essere la miglior risposta.

La piattaforma due mesi fa non esisteva e i contenuti erano stati pensati per essere erogati in contesti fisici. Abbiamo lavorato su più fronti: da una parte costruendo un team tecnico che ha progettato sia il sito che l’infrastruttura di erogazione degli eventi live e on demand e dall’altra abbiamo trasformato una redazione e una struttura operativa – pensata per l’offline – in una squadra in grado di gestire la combinazione di contenuti e tecnologia propria di un progetto digitale. Un modo nuovo di lavorare che tutti hanno abbracciato con entusiasmo.

Dall’inizio della Milano Digital Week è attiva una “war room” dove gestiamo in diretta tutti gli eventi. In questa sala operativa sono presenti sia i redattori che i producer, per reagire immediatamente in caso di modifiche all’ultimo minuto.

Oltre 500 eventi online in una settimana ci rendono sicuramente la manifestazione full digital più importante in Italia prima e dopo la crisi del COVID e quindi posso dire che la sfida sia stata vinta».

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I Game Changers siamo tutti noi

Chi sono i veri Game Changers oggi e in che modo il loro lavoro può incidere sulle nostre vite?

«A marzo noi di IAB avevamo pensato a una conferenza durante la Milano Digital Week che avevamo chiamato “Game Changers”. Abbiamo deciso di mantenere lo stesso nome nell’edizione online perché pensiamo che mai come adesso ci sia bisogno di persone in grado di cambiare, anzi di reinventare le regole del gioco.

Dalle conversazioni con grandi nomi (non cito nessuno perché sono per me tutti importantissimi) sono emersi tantissimi spunti interessanti. La capacità di adattamento e l’agilità sono sicuramente dei tratti comuni a queste persone. Si è parlato molto di “digital divide di seconda generazione” e una delle grandi sfide sarà di portare l’accesso al digitale a fasce di popolazione ancora escluse e di formare le persone all’utilizzo degli strumenti.

Chi vuole cambiare le regole del gioco deve concentrarsi sugli individui, che sono anche clienti, consumatori, dipendenti e collaboratori. Abbiamo parlato molto di come cambia la customer experience: sarà una vera e propria rivoluzione che farà tantissime vittime. Ripensare i canali di comunicazione e relazione, gli spazi fisici e le organizzazioni sarà un’altra grande sfida dei prossimi mesi/anni.

Lasciatemi dire però che i veri “game changers” sono gli 800 ragazzi e ragazze che hanno partecipato agli 8 hackathon dedicati agli Obiettivi Sostenibili delle Nazioni Unite. I giovani vengono spesso criticati per essere “sdraiati” ma io credo che i partecipanti agli hackathon siano uno straordinario esempio di impegno. Abbiamo avuto 120 team che hanno lavorato per 48 ore senza sosta e prodotto idee e progetti su temi come l’economia circolare, la medicina, le smart city, la parità di genere. I giovani hanno un’energia unica ed è nostra responsabilità dare loro le opportunità per poter esprimere il loro potenziale».

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Come cambia l’entertainment e cosa aspettarci dalla tecnologia

Riguardo all’entertainment, quali sono le regole che probabilmente ci porteremo dietro da questo periodo di emergenza?

«Con Maximo Ibarra, CEO di Sky, abbiamo parlato di come il mondo dell’entertainment si stia trasformando profondamente. La dimensione fisica e quella digitale, anche a causa della crisi sanitaria, si sono profondamente combinate e le persone si sono abituate a fruire di contenuti in modalità differenti.

Il grande salto che ci ha fatto fare il COVID a mio parere è stato di rendere concrete cose che prima erano solo keyword. Ad esempio, la parola “phygital” che ci è stata propinata per anni da società di consulenza ora diventa tangibile. La combinazione fisico / digitale è ora parte della nostra esperienza quotidiana e chi si occupa di entertainment dovrà adattare sistemi, contenuti, processi per migliorare sempre più questa esperienza. Lo sport ad esempio, dove il distanziamento sociale avrà un impatto fortissimo, dovrà trovare sistemi per far vivere da casa o da mobile una esperienza sempre più intensa. Siamo solo all’inizio di questo processo di trasformazione e sono sicuro che vedremo enormi innovazioni in questo campo».

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E a livello tecnologico, avremo delle vere innovazioni nel prossimo futuro o dobbiamo immaginare più uno sviluppo delle tecnologie che già in qualche modo conosciamo, come robot, realtà virtuale e intelligenza artificiale?

«Robotica, VR e AI sono tecnologie su cui si sviluppano le innovazioni. Io penso che queste tre tecnologie continueranno inevitabilmente a crescere e a combinarsi, con robot che saranno “alimentati” da motori di intelligenza artificiale e conterranno strumenti di realtà virtuale o aumentata. Le applicazioni in ambiti come il risparmio energetico, la mobilità smart, la sicurezza informatica saranno infinite.

Pensando alla tecnologia però mi viene in mente un passo della conversazione che, dentro “IAB Game Changers”, abbiamo realizzato tra Corrado Passera e Roberto Cingolani. Roberto ha raccontato di aver portato una volta un bambino in visita all’Istituto Italiano di Tecnologia e di avergli mostrato con orgoglio vari robot umanoidi. Il bambino non aveva mostrato grande stupore di fronte a questi oggetti, mentre invece era rimasto estasiato di fronte ad un “robot centauro” che rappresentava per lui qualcosa che veramente non aveva mai visto.

Questo per me rappresenta bene la nostra grande sfida: non copiare un organismo quasi perfetto come l’uomo, che non riuscirà mai ad essere riprodotto in modo migliorativo, ma usare la creatività per inventare cose nuove, magari facendo errori ma puntando sempre a nuovi traguardi di innovazione. La capacità dei giovani di pensare fuori dagli schemi è il migliore strumento per fare vera innovazione.

Sempre durante “IAB Game Changers” abbiamo fatto parlare persone appartenenti a generazioni diverse. Mettersi in gioco e accettare il confronto con i giovani deve essere a mio parere un punto fermo per chi guida una grande azienda, una amministrazione pubblica o qualsiasi altra organizzazione. I giovani sanno usare la tecnologia per esprimere meglio la propria creatività e non la vedono come una minaccia ma come una naturale estensione della loro vita».

Performance Improvement Plan

Performance improvement plan: come dare una svolta alla tua carriera

  • Performance Improvement Plan, il documento usato dalle HR per migliorare le performance lavorative
  • Essere in un PIP non significa fare le valigie, perché è un’occasione preparata per aiutare il dipendente a dare il meglio di sé
  • Dialogare col capo, tracciare i progressi e pensare positivo (anche se è difficile) ti aiuterà a dare una svolta alla tua carriera

 

Ultimamente, tra le parole più frequenti e “spaventose” che circolano in fase di revisione delle performance, ce n’è una che suona davvero complicata e faticosa: il “performance improvement plan” (PIP). Sarebbe a dire: piano di miglioramento delle prestazioni lavorative. Ed è un po’ come affermare, implicitamente, che il normale piano di monitoraggio delle performance aziendali ha urgente necessità di essere rivisto, e nel più breve tempo possibile. Per questo, lavorare sul PIP genera di per sé molta ansia.

I piani di miglioramento delle performance affrontano nel tempo varie “scosse”, e a volte sfociano in tagli al personale o perdita delle risorse.

Eppure, se sei valutato in base a un PIP, non dovresti essere pessimista a priori. Puoi davvero riuscire a modificare i risultati delle tue performance e, magari, assecondare il tuo performance improvement plan, scoprendo che è addirittura il tuo migliore amico, la tua guida “anti-fuffa”.

Cos’è il Performance Improvement Plan

Performance Improvement Plan

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Si tratta di un documento formale che indica, nello specifico:

  • Eventuali problemi nelle performance lavorative ricorrenti
  • Gli obiettivi che devi raggiungere per riguadagnare una buona posizione
  • La tempistica specifica per completare il piano
  • Gli eventuali provvedimenti attuabili in caso di insuccesso

Se ti viene assegnato un PIP, molto probabilmente il tuo manager e i responsabili HR fisseranno un incontro con te per esaminarti e rispondere a tutte le tue domande.

Purtroppo, sarai sorvegliato da vicino durante questo periodo. Se non riesci a completare il tuo PIP alla fine della sequenza temporale, potresti perdere il lavoro.

Se in precedenza hai avuto difficoltà a raggiungere gli obiettivi, il PIP è pensato per darti la possibilità concreta di invertire la tua performance. In genere, sapere esattamente cosa fare per migliorarti è già sufficiente per avere successo.

Sono in un PIP. Faccio le valigie?

Piano per la carriera

Niente di tutto questo. Considera, innanzitutto, che se la tua azienda volesse davvero licenziarti, non investirebbe neanche un briciolo di tempo per aiutarti a raggiungere e i tuoi obiettivi e migliorare.

Attenzione, però, a non sottovalutare l’ostacolo, perché se non dovessi soddisfare i requisiti del tuo PIP, saranno presi dei provvedimenti specifici (già delineati nel documento).

Come completare al meglio il PIP

La comunicazione con il proprio manager e gli addetti alle risorse umane è fondamentale. Se stai lottando per raggiungere uno degli obiettivi, o hai dubbi sul risultato atteso, segui questi 4 step che potranno aiutarti ad uscire fuori dal PIP.

Performance Improvement Plan

1. Dialoga con il boss

Controlla se il tuo capo ha qualche suggerimento da darti per svolgere il tuo compito in modo più accurato. In questo modo, dimostrerai di essere proattivo e di voler prendere sul serio l’opportunità che stai ricevendo.

2. Traccia i progressi

Durante l’intera attività, è necessario verificare regolarmente i progressi con il responsabile assegnato. Effettuare il check più frequentemente ti darà la possibilità di correggere in tempo utile gli eventuali “blocchi”, e di prepararti al successo.

3. Chiedi ai colleghi

Prova ad offrire ai migliori colleghi un buon caffè, e parla con loro per capire come mantengono la concentrazione sugli obiettivi. Trova qualcuno che sia molto preparato in quello che ti riesce peggio, e punta su di lui per cambiare la tua strategia.

4. Think positive (anche se è dura)

Soprattutto, cerca di mantenere un punto di vista positivo, perché aiuterai soprattutto te stesso. Puoi davvero riuscirci — pensa alla soddisfazione che proverai quando tirerai fuori il tuo PIP. La fiducia nella possibilità di migliorare renderà più semplice farlo davvero.

Vogliono liberarsi di te?

Performance Improvement Plan

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Sfortunatamente, in alcune aziende c’è la brutta abitudine di usare i PIP per documentare in anticipo un licenziamento. Se sospetti che questo sia il tuo caso (e se gli obiettivi da raggiungere sembrano impossibili in base a qualsiasi standard), puoi comunque portarti avanti sulla ricerca di un nuovo lavoro, che è un successo personale non da poco. Non vorresti lavorare in un’azienda che si prende davvero cura dei suoi dipendenti, e che sostiene i tuoi successi?

Quindi, usa il tempo a disposizione anche per aggiornare il tuo curriculum, rivedere l’account LinkedIn e immergerti nel web per trovare nuove opportunità, se non l’hai già fatto.

Poi, prima di passare a qualsiasi altro lavoro, rifletti su cosa ti sta rendendo difficile avere successo. È un fattore proveniente dall’ambiente aziendale in cui ti trovi, o è qualcosa che non puoi evitare se prosegui con lo stesso tipo di lavoro? Il consiglio Ninja è di usare il tuo tempo per capire cosa stai cercando nel nuovo ruolo che immagini: così, se il tuo PIP non sarà completato, potrai trovare subito qualcosa che si adatta meglio a te (e non sarà stato inutile, in ogni caso).

Ho completato il PIP. E adesso?

Se hai completato con successo il PIP, questo dovrebbe essere qualcosa a cui fare sempre riferimento, in futuro, nelle tue conversazioni con il capo.

Con questo esercizio hai già individuato le tue carenze, hai preso in carico le tue performance, e ti sei trasformato in un dipendente ancora migliore. Quindi, assicurati che il capo lo noti. Ora sei motivato, tenace e capace di cambiare, e hai la documentazione per dimostrarlo, che è più di quanto molti possano dire.

Visualizza il tuo successo, e sii pronto ad entrare nella “stagione delle valutazioni”. Ricorda, un performance improvement plan non è la fine del percorso. Sia che tu lo completi, o che scelga altre opportunità, questo potrebbe essere l’inizio di un nuovo entusiasmante capitolo della tua carriera.

Steve Jobs

“[…] a 30 anni ero fuori. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era perso, e io ero devastato. Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Era stato un fallimento pubblico, e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.
[…] Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. È stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però”.

Steve Jobs sul suo licenziamento (1985) seguito dal grande ritorno in Apple (1997)

Google Shopping vs Amazon: il sorpasso?

  • La pandemia ha portato ad una consacrazione finale dell’eCommerce come principale strumento di vendita.
  • Sempre più retailer si stanno spostando da un business offline a uno online.
  • Google ha dichiarato il proprio desiderio di aiutare i rivenditori più piccoli, a prescindere dal budget investito su Shopping, ma lo ha fatto anche per contrastare un involontario vantaggio che aveva dato ad Amazon.

 

Google Shopping e Amazon, lo scontro tra titani del digital in campo di vendita online. La situazione in cui ci troviamo ci ha fatto capire quanto sia fondamentale per il nostro successo, la presenza sul web.

Google ha da poco dichiarato che, per aiutare i retailer più piccoli a risollevarsi dopo il duro colpo subito, ha aggiunto alle listing una parte di prodotti date dalle ricerche organiche dei consumatori, a prescindere dal budget speso per la parte di advertising.

Prima di capire quanto questo possa rappresentare una rivoluzione, e una minaccia per il rivale Amazon, è necessario fare un veloce ripasso su come gli investimenti fatti sui differenti canali portino benefici agli inserzionisti.

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Come funziona Google Shopping (in parole semplici)

La piattaforma di Google Shopping è lo strumento a pagamento che consente di promuovere i propri prodotti ai consumatori attraverso il motore di ricerca.

Il funzionamento di Google Shopping non va però confuso con un altro strumento, al quanto famoso, chiamato Google Ads.

A differenza di quest’ultimo, non è possibile inserire delle keyword per far apparire i propri prodotti, ma è necessario curare i propri contenuti e le parole chiave contenute nelle immagini e nelle descrizioni prodotti o categorie, per apparire nelle giuste queries.

Il vantaggio di Google Shopping? mostra ai consumatori i prodotti più rilevanti e aumenta la brand awareness, portando gli utenti sui siti dei brand.

Come funziona Amazon

Amazon è una piattaforma eCommerce che offre ai propri consumatori sia prodotti del proprio marchio sia di altri retailer.

La similitudine principale a Google Shopping è sia quella di beneficiare degli investimenti degli inserzionisti sia di proporre prodotti derivanti solo da traffico organico.

Anche Amazon può beneficiare di investimenti fatti in advertising, qualora un brand desideri che il suo prodotto appaia come scelta principale per il target di consumatori prefissato.

Cosa cambia oggi

Fatta questa premessa, torniamo dunque alla rivoluzione di Google: l’obiettivo dichiarato è quello di proporre soluzioni agili, semplici ed efficaci in un mercato come quello di oggi, in evidente difficoltà in ogni settore.

Inoltre, Google propone una soluzione accessibile anche ai brand più piccoli, permettendo di capitalizzare un investimento minimo con maggiore visibilità.

Ci sono anche altre ragioni dietro la decisione: la prima si chiama investimento incrementale.La speranza è infatti quella che i piccoli brand, a seguito di un minimo investimento, o in assenza di esso, vedano un incremento notevole nell’esposizione e conversione dei prodotti, da essere spinti, in futuro immediato, a spostare gli investimenti verso Google Shopping ottenendo maggiori benefici.

Il problema di Amazon

La scelta fatta da Google rappresenta una “minaccia” reale per il sito di eCommerce più solido al mondo. I motivi sono diversi.

Il primo è che il colosso di Mountain View punta alla debolezza di Amazon: la poca varietà di brand proposti. Non tutti i brand e retailer hanno budget a sufficienza per investire su Amazon e, per di più questo non rappresenta un canale di vendita diretto. Il periodo in cui ci troviamo è strettamente collegato a queste scelte.

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Google Shopping ha il vantaggio di dare, per lo stesso tipo di prodotto o servizio, un’ampia varietà di scelta al consumatore, aumentando le possibilità di conversione.

Il secondo vantaggio di Google Shopping è, come anticipato, la brand awareness: il consumatore di Amazon infatti non cerca un prodotto o un brand specifico, ma quello più utile e meno costoso.

Google Shopping invece offre un accesso diretto ai siti di vendita diretta di ogni brand, rafforzando la fedeltà di un consumatore al marchio e permettendo di incrementare sforzi ed investimenti su contenuti, categorie e miglioramenti della propria piattaforma, tramutandole in maggiori visite, entries e dunque conversion dirette.

Google ha ora annunciato l’aggiunta di annunci organici al suo sito Shopping e ad altre proprietà, con lo scopo di aiutare i rivenditori a connettersi con i consumatori indipendentemente dalla spesa pubblicitaria. Proprio questa mossa potrebbe essere la chiave di un ribaltamento dei risultati di ricerca (che ora vedono una abbondante presenza di prodotti proprio da Amazon) e un duro colpo al business del gigante dell’eCommerce.

Online c’è davvero posto per tutti? Staremo a vedere.

marketing b2b

Le emozioni contano più nel marketing B2B che nel B2C (anche se forse avresti detto il contrario)

  • Nel marketing B2B, 7 aziende su 9 hanno un rapporto emotivo con oltre il 50% dei propri clienti.
  • Fiducia, sicurezza, ottimismo e orgoglio sono le emozioni più rilevanti nel rapporto fornitore e azienda.
  • Buyer Personas, personalizzazione, storytelling e misurazione costante dei risultati aiutano a valorizzare le emozioni.

“Nel Marketing B2B il linguaggio e il tono è formale e freddo, il processo decisionale è lungo e razionale, conta il prodotto e servizio più che il brand che lo vende”, ancora oggi queste convinzioni  attanagliano il mondo B2B, contrapponendolo al marketing B2C, più veloce, impulsivo, empatico ed emotivo.

Come se nel mondo del B2B le persone fossero tutte incravattate, con la faccia di marmo e una barriera emotiva davanti al cliente.

Oltre il fatto che sarebbe costruttivo e utile accostarsi a tutto il marketing e la comunicazione come Human to Human (H2H), le emozioni nel B2B contano tantissimo.

Nel B2B si investe più tempo nel creare relazioni durature e di fiducia con un numero più o meno ristretto di clienti. Molto spesso le relazioni vanno oltre l’automazione online, con telefonate, video call, incontri in presenza. Ogni contatto con il cliente o potenziale tale porta con sé delle emozioni determinanti per la continuazione del rapporto e per il passaparola.

Nei prossimi paragrafi approfondiremo il tema delle emozioni, capiremo insieme quanto pesano e come valorizzarle in una strategia di marketing B2B digitale.

Le emozioni nel marketing B2B

Uno studio di Google, Motista e Gartner ha confrontato il peso delle emozioni nel B2B e nel B2C con risultati che ribaltano ogni convinzione. Gli acquirenti nel B2B sono emozionalmente più legati ai brand rispetto al B2C.

Questi ultimi infatti hanno una connessione emotiva con i clienti dal 10% al 40%, mentre nel B2B per 7 brand su 9 la connessione emotiva sale a oltre il 50% dei clienti.

Marketing B2B

Il motivo principale è che nel B2B ci sono molteplici interazioni tra cliente e brand, in un processo decisionale più o meno lungo (a volte anche di anni), nel quale il potenziale cliente entra in contatto con il brand e diverse persone dell’azienda in molti touch point soprattutto one-to-one.

Per esempio può entrare in contatto prima con il marketing, poi con il commerciale, con l’amministrazione, con il tecnico, con l’assistenza e così via. Anche dalla parte dell’azienda cliente vengono solitamente coinvolte più persone, dai tecnici, ai responsabili, ufficio acquisti, ecc. Ogni persona ha un suo obiettivo da raggiungere, di status, carriera all’interno dell’azienda e la responsabilità di un acquisto giusto o sbagliato può influire emotivamente sul percorso professionale.

Facciamo un esempio pratico.

L’acquisto di un software complesso e con un costo alto per la gestione della documentazione in azienda. Il software promette di aumentare il controllo sui dati, l’organizzazione e la produttività. Le persone coinvolte nell’acquisto si prendono la responsabilità di spesa investendo per un ritorno economico di risparmio costi.  Se l’acquisto dovesse andare male, ne potrebbe risentire la loro reputazione e percorso di carriera, al contrario se andasse bene potrebbero ricevere una promozione. Entrambi sono stati emotivi, da considerare nel momento in cui si propone il prodotto e servizio.

Il referral

Un altro dato da tenere a mente nel marketing B2B è la potenza del referral. L’84% delle decisioni d’acquisto nel B2B iniziano proprio dal passaparola, che influisce con un Coversion Rate maggiore (circa 73%) e un tempo di chiusura acquisto minore (circa 69%). Il passaparola oltre chiaramente alla validità del prodotto e servizio è incentivato dalle emozioni, dall’esperienza positiva che il cliente vive, dal rapporto di fiducia che si viene a creare e lo fa consigliare ad altri, “mettendoci la faccia”.

referral

Il paradosso è che il passaparola è tanto potente quanto scarsamente utilizzato nel marketing B2B. Riprendendo le statistiche di Influive, solo il 30% delle aziende ha un referral program formalizzato.

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Le 4 emozioni rilevanti

Come abbiamo detto, nel B2B le emozioni sono legate alla sfera professionale. Una Survey condotta nel 2019 da B2B International su 2000 Decision maker in organizzazioni europee, statunitensi e cinesi, ha scavato proprio quali tra le principali emozioni che influenzano il processo decisionale nel B2B.

Marketing b2b produttività

L’affinità tra brand e acquirente è importante soprattutto all’inizio e alla fine del buyer journey. Per i fornitori è estremamente importante avere un brand forte nel quale i clienti possano riconoscersi e investire emotivamente.

Sono quattro le emozioni rilevanti, che aumentano per il 50% la scelta di un fornitore rispetto ad un altro:

  • la fiducia rispetto la credibilità del fornitore
  • la sicurezza sulla capacità del fornitore di consegna servizio e prodotto desiderato
  • l’ottimismo rispetto cosa il fornitore potrebbe fare per l’azienda cliente
  • l’orgoglio per la prospettiva di poter collaborare con il fornitore

Analizziamole una ad una.

Fiducia

I tre fattori per creare un senso di fiducia sono:

  • Affidabilità. Il fornitore dovrebbe essere percepito come affidabile, attenersi alle scadenze, essere reattivo, incontrare o superare gli standard del settore e mantenere sempre le promesse.
  • Competenza. Il fornitore dovrebbe mostrare competenza: far vedere che si intende del problema da una parte e fornire una soluzione esperta. La competenza dovrebbe essere rinforzata con contenuti e casi studio per mostrare come il fornitore ha aiutato le altre aziende del settore.
  • Customer experience. Il fornitore dovrebbe offrire un’esperienza “semplice”, senza interruzione e fluida all’acquirente in tutti i touch point.

Sicurezza

I decision maker hanno bisogno di sentirsi sicuri sul prodotto o servizio da acquistare. Vogliono qualcosa che incontri le aspettative, le superi e allo stesso tempo possa fargli fare bella figura con i propri superiori. Una scelta sbagliata influisce negativamente sulla reputazione della singola persona.

Una buona brand reputation come strategia di marketing B2B aiuta a creare sicurezza, oltre ad altri aspetti come il rapporto qualità-prezzo ed entrare in empatia con i problemi e bisogni del cliente.

sicurezza marketing B2B

Ottimismo

Cosa potrebbe fare il fornitore per l’azienda? Il business ne trarrà vantaggio? Il fornitore può aiutare a raggiungere gli obiettivi?

Un fornitore dovrebbe aiutare il cliente a sentirsi ottimista mostrando competenza e comprensione verso le sfide che l’azienda vuole affrontare. Nel marketing si dovrebbe quindi adottare un tono di voce esperto. Riprendendo la metafora del viaggio dell’eroe, il fornitore è la guida che accompagna azienda cliente (eroe) nel suo viaggio per il raggiungimento del tesoro.

Durante i primi step del buyer journey, il fornitore dovrebbe ascoltare attentamente i bisogni del cliente, i desideri e trovare un modo efficace per incontrarli, con un approccio di valore e distinguibile dai concorrenti.

Orgoglio

Un acquirente vuole sentirsi orgoglioso di collaborare con il fornitore e il brand. Naturalmente questo è possibile se il brand è un leader nel settore. Il sentimento di orgoglio può essere raggiunto quando un fornitore mantiene le promesse, è affidabile, rispetta gli accordi, è sempre professionale e dimostra una comprensione autentica del modo in cui l’azienda acquirente lavora.

Inoltre il fornitore dovrebbe essere proattivo e mettere in buona luce l’acquirente davanti all’organizzazione e ai colleghi. Un fornitore proattivo è colui in grado di anticipare i problemi che l’acquirente potrebbe incontrare e offrire soluzioni, anche quando non espressamente richieste.

Un modo per essere proattivi è quello di rimanere costantemente in contatto con i potenziali clienti e rispondere alle loro richieste in modo tempestivo.

L’aspetto emotivo delle Buyer personas

Ora che abbiamo individuato le emozioni, indaghiamo alcuni strumenti e canali per valorizzarle in una strategia digitale di marketing B2B.

Essendo il target di potenziali clienti più “ristretto” nel B2B, possono crearsi delle buyer personas molto più centrate sul cliente tipo, quasi delle vere e proprie persone reali.

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Nel momento in cui si individuano le buyer personas è importante concentrarsi sulle aspetto emotivo, le motivazioni del potenziale cliente, i suoi limiti, le sue paure e avversioni. Questo è il modo in cui possiamo creare empatia con i nostri clienti e portare valore in una strategia di inbound marketing B2B.

Buyer personas

Un altro aspetto da tenere a mente è che le buyer personas sono dinamiche, quello che abbiamo individuato un anno fa potrebbe oggi non valere più. Il consiglio è restare sempre all’ascolto dei clienti, dei commerciali in campo, dell’assistenza, dei tecnici per aggiornare e arricchire i profili delle nostre bujer personas.

Non dimenticare la personalizzazione

Nell’inbound marketing attraiamo le persone sul nostro sito individuando i loro problemi, mostrando una comprensione verso di essi e successivamente accompagnandole passo passo nella loro risoluzione. Questo soprattutto attraverso il content marketing, per esempio in post all’interno del blog aziendale, sulle pagine social, nelle newsletter settimanali, ecc.

Tramite i contenuti offriamo quindi comprensione, fiducia, sollievo, sicurezza e ottimismo al potenziale acquirente in cerca di risoluzioni.

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La sfida è saper bilanciare queste emozioni e direzionarle per ogni step del customer journey. Un modo per farlo è studiare il comportamento del persone sul sito web attraverso strumenti come la marketing automation.

marketing b2b

Per esempio quando un prospect inizia a esplorare il sito web in fase di scoperta, potresti creare una campagna automatizzata che mostra un contenuto informativo rilevante (ebook gratuito, post,messaggio chatbot, ecc.) rispetto al bisogno e preoccupazione che l’utente sta cercando di risolvere trovandosi proprio sulla pagina del tuo prodotto o servizio. Questo mostra al potenziale cliente che è compreso, valorizzato e che il tuo prodotto potrebbe “sollevarlo” dalle sue preoccupazioni.

Un esempio lo troviamo sul sito di Hubspot. Navigando nella sezione Marketing Hub, man mano che scorriamo la pagina, appare sulla destra il chatbot, con questo semplice messaggio “A great marketing strategy starts with the right tools. I can help make sure you’re on the right track. What would you like to do next?” e poi a seconda della risposta fornisce il contenuto desiderato.

Acquisendo il contatto del prospect e utilizzando sempre la marketing automation, è possibile poi sviluppare un percorso su misura del potenziale cliente, con flussi di email, comunicazioni e contenuti altamente personalizzati sul comportamento dell’utente, che passo dopo passo viene accompagnato lungo tutto il customer journey.

Usa lo storytelling, anche nel B2B

Il fornitore è la guida, l’azienda acquirente l’eroe che deve raggiungere il suo obiettivo. Lo storytelling, come metodologia che attraverso la narrazione suscita emozioni, può essere utilizzato anche nel marketing B2B. La difficoltà e l’opportunità di utilizzarlo è capire realmente quali sono le emozioni del prospect.

Un esempio semplice di utilizzo dello storytelling nel B2B è quello di Intercom, azienda software statunitense.

Marketing B2B Intercom

Nella vignetta abbiamo un prima, che mostra un problema con caos, tante persone e strumenti utilizzati per comunicare e un dopo con la soluzione, una comunicazione ordinata, volti sereni e sorridenti. L’eroe ha raggiunto il suo obiettivo grazie a Intercom.

Misura e sperimentazione

Come capiamo se la strategia di marketing B2B che abbiamo messo in piedi sta facendo leva sulle giuste emozioni?

Semplicemente misurando e sperimentando. Cambiare totalmente il proprio sito web, investire molto budget su campagne, o iniziare una nuova strategia di contenuti quando non si hanno ancora a disposizione dati concreti per supportare le azioni può causare grandi perdite di budget e risultati deludenti.

Una strategia di marketing dovrebbe valutare l’impatto di ogni azione con metriche rilevanti e test minuziosi, che spostando elementi e inserendo piccoli cambiamenti aiuta a comprendere cosa porta alla conversione o meno. Un pulsante messo nel posso sbagliato? Un messaggio che non ricalca il il problema?

Analytics Marketing B2B

Uno strumento che può aiutare a tracciare i test e raccogliere i dati è l’Experiment Card, utilizzato nel processo del Growth Hacking per validare le ipotesi e scalare quelle vincenti.

Un altro consiglio per capire se stiamo facendo leva sulle emozioni giuste è tenere sotto controllo i canali non direttamente controllati dal brand con la sentiment analysis come forum, gruppi e profili social, siti di opinione.

Se si stanno ottenendo opinioni negative significa allora che qualcosa sta andando storto. Inoltre puoi acquisire feedback da clienti e prospect inviando periodicamente delle survey nei diversi step del customer journey.

Gucci a sostegno del Pianeta con nuove piattaforme digitali

Gucci ha lanciato oggi il nuovo profilo Instagram e ha rinnovato il suo sito web Equilibrium per ribadire il costante impegno della Maison nel promuovere cambiamenti positivi in favore delle persone e del pianeta.

Accanto alle iniziative a sostegno della generazione di un valore sociale positivo e della tutela dell’ambiente, oggi sono stati pubblicati anche i risultati del conto economico ambientale 2019, che rivelano una sostanziale riduzione (-21%) degli impatti ambientali totali rispetto all’anno precedente.

Gucci Equilibrium

Il portale Gucci Equilibrium, originariamente lanciato nel 2018, intende stimolare una comunità di voci a partecipare a conversazioni su temi cruciali per il mondo in cui viviamo. Aprendo nuovi percorsi rispetto agli altri canali e contenuti digitali di Gucci, il profilo Instagram e il sito web Equilibrium di Gucci si rivolgono a una comunità di persone curiose, consapevoli e motivate, la #GucciCommunity. Una comunità di individui impegnati e attivi, che condividono obiettivi e prendono posizione su questioni che definiscono il modo in cui tutti noi trattiamo il nostro pianeta e i suoi abitanti.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

#GucciEquilibrium and Planet: Respecting Nature. @gucci’s Environmental Profit and Loss (EP&L) account benchmarks its continuous progress against ambitious sustainability targets. Total environmental impacts within Gucci’s direct operations and across the entire supply chain measured at a 39% reduction in 2019, and the goal is a 40% reduction by 2025 from a 2015 baseline, relative to growth. Improving high impact areas through its supply chain, Gucci has increased the use of recycled raw materials and organic fibres in its collections, incorporating responsibly sourced precious metals in hardware and jewellery, including 100% ethical gold for jewellery. Gucci has extended sustainable processes and manufacturing efficiencies, such as Gucci Scrap-less for leather and Gucci-Up for circularity. Gucci has switched to green energy, reaching 83% renewable energy for its stores, offices, warehouses and factories with a 100% target by the end of 2020. Discover more on the new #GucciEquilibrium site through link in bio

Un post condiviso da GUCCI EQUILIBRIUM (@gucciequilibrium) in data:

Le nuove destinazioni digitali di Gucci condivideranno messaggi da gruppi diversi, organizzazioni e talenti, membri di Gucci Equilibrium e non, per promuovere azioni per la salvaguardia del clima e a favore di un mondo giusto, equo e solidale per tutti. Questo appello incoraggerà a sua volta la condivisione di nuove esperienze e idee per un cambiamento trasformativo.

“L’azione di Gucci è guidata da tematiche che costituiscono le fondamenta del nostro futuro collettivo e che lo influenzano profondamente. È fondamentale costruire un futuro in cui l’ingiustizia e la discriminazione in tutte le loro forme non possano prevalere. Alla luce degli eventi attuali, il nostro impegno a combattere il razzismo e lottare per l’uguaglianza è ora ancora più forte”, ha dichiarato Marco Bizzarri, Presidente e CEO di Gucci. “Come azienda, continueremo a concentrare i nostri sforzi nel generare un cambiamento positivo per le persone e per la natura in tutte le nostre attività. Abbiamo inoltre la responsabilità, come brand globale, di assumere un ruolo attivo all’interno della comunità per farci promotori di cambiamento. Gucci Equilibrium ha la capacità di richiamare e unire una comunità di voci diverse con il compito di aiutare a percorrere al meglio la strada che ci attende”.

Definito dai pilastri Persone e Pianeta, il sito raccoglie gli impegni e le azioni intraprese da Gucci per ridurre il suo impatto ambientale e proteggere l’ambiente, sostenendo al contempo i diritti delle persone e promuovendo l’inclusività e il rispetto, affinché tutti nella comunità globale di Gucci siano liberi di esprimere la diversità autentica del proprio essere.

Queste iniziative si espandono oltre le attività dirette di Gucci, per avere un impatto più ampio e sistemico. Alcuni esempi sono la creazione di opportunità per gruppi di giovani talenti sottorappresentati nell’industria della moda, nell’ambito del programma di finanziamenti e borse di studio Gucci Changemakers, o l’invito lanciato ai leader di ogni settore a proteggere l’ambiente attraverso la CEO Carbon Neutral Challenge.

L’interconnessione tra le persone e il pianeta è rappresentata anche attraverso la nuova identità grafica del sito, curata dall’artista MP5.

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Il Bilancio Ambientale di Gucci nel 2019

Gucci ha pubblicato anche i risultati del suo conto economico ambientale, per misurare il continuo progresso della Maison rispetto agli ambiziosi obiettivi di sostenibilità che si è preposta. Tali obiettivi, propulsori della strategia decennale per la sostenibilità (2015-2025) di Gucci, includono una riduzione del 40% degli impatti ambientali totali per le operazioni dirette e lungo l’intera catena di fornitura e una riduzione del 50% delle emissioni di gas serra entro il 2025 rispetto alla crescita (2015 è il valore base di riferimento).

Gucci è in anticipo sulla sua tabella di marcia e prossima al raggiungimento degli obiettivi previsti per 2025. Come riportato in dettaglio nel suo conto economico EP&L digitale interattivo, i nuovi risultati per il 2019 mostrano una riduzione del 39% degli impatti combinati della Maison, e una riduzione del 37% delle sole emissioni GHG rispetto alla crescita (valori misurati facendo riferimento al 2015). Confrontando questi risultati con l’EP&L del 2018, il brand ha ridotto il suo impatto complessivo del 21% e le emissioni GHG del 18% su base annua, rispetto alla crescita (valori misurati facendo riferimento al 2015). Questi ottimi risultati sono il frutto diretto degli sforzi compiuti da Gucci per migliorare le aree ad alto impatto lungo l’intera catena di fornitura, interventi che hanno portato a cambiamenti positivi e misurabili, tra cui:

  • l’incremento dell’uso di materie prime riciclate e fibre biologiche nelle collezioni, e utilizzo di metalli preziosi provenienti da fonti di approvvigionamento responsabili per gli accessori e nella gioielleria, come l’impiego di oro 100% etico per la gioielleria;
  • l’ estensione di processi sostenibili e efficientamenti nella produzione, come Gucci Scrap-less per la pelle e Gucci-Up per la produzione circolare;
  • il passaggio all’energia verde che ha portato Gucci a raggiungere un utilizzo dell’83% di energie rinnovabili nei suoi negozi, uffici, magazzini e stabilimenti, con l’obiettivo del 100% entro la fine del 2020.
reach organica social media marketing

Come aumentare la reach organica sui canali social

  • Gli esperti affermano che sia ancora possibile contrastare il continuo abbassamento della reach organica, a prescindere dal valore delle campagne ed inserzioni online.
  • Bisogna partire dall’enorme potenziale che risiede nella nostra community. E bisogna coltivarla ed alimentarla con contenuti dalla massima qualità, nel migliori dei modi. Ma non è tutto.

 

L’inarrestabile decremento della reach organica, per niente timida anche negli ultimi tempi, ha portato, specialmente per social media & digital marketer, ad essere inevitabilmente e giustamente obsédé (ossessionati) dal trovare una soluzione per contrastarla. Costi quel che costi.

Come aumentare la reach organica sui canali social

Il declino della Reach Organica

Facciamo un passo indietro…

Iniziamo dalla definizione: con il termine reach organica si intende il numero delle persone che si riescono a raggiungere senza dover ricorrere ad attività di promozione, ovvero soltanto grazie alla visibilità che viene attribuita dalla piattaforma social in questione. O meglio, dal “suo algoritmo”. Tutti i contenuti, è bene precisare, godono di un minimo di portata organica, non “paid” quindi, ma una buona parte del risultato finale dipende dal continuo incontenibile abbassamento della reach organica al quale assistiamo, già da qualche anno a questa parte.

Facebook ha palesato in modo concreto, ancor più nel 2019, l’intenzione di ridurre notevolmente il numero di post pubblicati dalle pagine aziendali in relazione alla visibilità “non supportata dalle sponsorizzazioni” nei riguardi del pubblico, in modo da obbligare gli amministratori delle pagine a spendere di più in attività di advertising. Si è passati dal circa 5,4% all’ormai (ancora molto discusso) 2% circa, in relazione al concreto raggiungimento in organico dei propri post sulle proprie pagine Facebook.

Doveroso precisare che i grandi brand con un numero elevato di follower possono aspettarsi medie anche più basse.

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Come aumentare la reach organica sui canali social

Come funziona l’algoritmo di Facebook nel 2020

L’algoritmo attualmente classifica letteralmente i post che ogni utente vede nell’ordine in cui è più probabile che li apprezzi, in base a una varietà di fattori, ovvero i cosiddetti segnali di classifica. A partire da quest’anno, Facebook ha dichiarato che il suo obiettivo è aiutare gli utenti a comprendere l’algoritmo e assumere il controllo di tutti quei segnali di classifica per fornire un feedback migliore e più completo possibile.

Ad esempio: le persone condividono questo post con i loro amici? Quanto spesso ti piacciono i post del tuo capo? Da tua madre? Guardi spesso video live? Qual è il tuo gruppo preferito?

I segnali di classifica si configurano come punti associati al comportamento che un utente ha avuto nel passato e sul comportamento di tutti gli altri sulla piattaforma.

Facebook presenta tre principali categorie di segnali di classifica:

  • chi interagisce, in genere un utente;
  • il tipo di contenuto/media pubblicato;
  • la popolarità che il post ha riscosso.

Dal “Perché vedo questo post?”, già da marzo 2019, la piattaforma di Facebook ha iniziato a porre domande agli utenti, tramite sondaggio, per ottenere maggiori dati sul contesto dei contenuti che contano di più per loro.

I sondaggi hanno chiesto agli utenti:

  1. chi sono i loro amici più cari;
  2. quali post (link, foto e video) trovano preziosi;
  3. quanto è importante per loro uno specifico gruppo Facebook a cui si sono uniti;
  4. quanto sono interessati a vedere i contenuti di pagine specifiche che seguono.

Facebook ha usato tutte queste risposte per aggiornare senza sosta l’algoritmo.

Ad esempio, le pagine e i gruppi che le persone hanno identificato come più significativi erano spesso quelli che avevano seguito per molto tempo, quelli con cui si erano spesso impegnati (con like, reaction e commenti) e quelli che avevano molti post e attività.

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Come aumentare la reach organica sui canali social

Consigli su come aumentare la reach organica dei post sui social

Gli esperti affermano che sia ancora possibile fare qualcosa, a prescindere dal valore delle campagne ed inserzioni online. Eccovi, di seguito, alcuni consigli validi per gran parte dei canali social media.

Date ciò che le persone desiderano dal vostro brand

Ponetevi sempre dalla parte dei vostri utenti, non iniziate l’attività di racconto e pubblicazione dei contenuti dalla vostra concezione di qualità, sono i vostri utenti a decretare il successo del canale nel quale siete presenti. Ascolto del cosiddetto “sentiment” e attività di analisi dei dati, sono due fattori davvero importanti per la vostra attività di Social Media Marketing. Capirete ben presto cosa ha successo e cosa, invece, va eliminato, modificato, ottimizzato.

Postate meno ma meglio

Solitamente viene consigliato, per incrementare le views ai canali, di pubblicare in maniera frequente, ciò non è del tutto vero. Il segreto è di pubblicare contenuti di qualità e attenti all’audience, anche se questo dovesse significare di postare meno del solito. Meglio puntare su un maggiore coinvolgimento dei propri utenti e avere più tempo per investire in contenuti di qualità. La reach organica vi ringrazierà.

Individuate il momento migliore

Come detto prima, l’attività di Social Media Marketing non prescinde da una costante e attenta analisi dei dati di tutto ciò che succede sui canali dei vostri clienti o del vostro brand. Iniziate ad approfondire l’attività di Social Media Analysis e registrate, a partire dalle sezioni interne relative agli “insights” delle pagine e profili che gestite, tutto ciò che può tornarvi utile per capire come indirizzare al meglio i vostri contenuti ed in quale orario migliore i vostri utenti possono potenzialmente interagire.

“Video Is The King” – puntate sui video

Un recente studio effettuato da Cisco rivela che nel 2020 l’82% del traffico internet sarò interamente generato dai video digitali. E secondo eMarketer, il divario continuerà a crescere nei prossimi due anni.

Come aumentare la reach organica sui canali social

I contenuti video sono in grado di coinvolgere in maniera sorprendente i tuoi utenti, facendo trascorrere loro più tempo all’interno delle piattaforme social, elemento che caratterizza fortemente i nuovi aggiornamenti degli algoritmi. Se non avete un budget corposo per inserire video professionali nella vostra strategia, non temete, ad oggi, il mercato offre numerosi strumenti per elaborare video di alta qualità con prodotti che conferiscono ottima qualità: per esperienza personale, gli strumenti della DJI Global sono davvero eccellenti. Tra tutti, Osmo Pocket e Osmo Mobile. Piccoli, maneggevoli, solidi e super mobile-friendly. Ovviamente, non sarete dei veri e propri registi, ma almeno potrete offrire contenuti con un certo grado estetico e qualitativo più che discreto.

Alcuni accorgimenti sui contenuti video per i social:

  1. lunghezza contenuto video – max 2/ min;
  2. concentratevi sui primi 5 sec. (al max) per stupire l’utente;
  3. elaborate copertine per i video ricercate e dal carattere unico (soprattutto se siete Tik Tok – Addicted);
  4. fate in modo che i vostri video possano essere fruiti anche senza audio;
  5. puntate su una buona luminosità del video in questione, ad oggi, molti degli algoritmi dei social media fanno caso a questo elemento, su Tik Tok, ad esempio, la sua A.I. interna, penalizza i video non riconoscibili al max e con poca luminosità.

Sfruttate gli User Generated Content

I contenuti prodotti dai vostri utenti possono rivelarsi come uno degli elementi più importanti relativi alla loyalty (fiducia) ed al social engagement (interazione sui vostri canali social media) che potrete mai registrare. Utilizzateli! E non dovrete nemmeno spendere del budget per produrli, perché gli utenti avranno. Già prodotto contenuti e post ad hoc per il vostro brand o attività. Potreste utilizzare questo tipo di contenuti per promuovere o lanciare contest o giveaway e premiare i più attivi sui vostri canali. Ricordate, però, di chiedere sempre il permesso per utilizzare i loro contenuti ed eventualmente targateli nei post.

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Come aumentare la reach organica sui canali social

Fate uso di Stories e dirette

Se è vero che i video permettono un’interazione dal grande impatto visivo e qualitativo, lo è ancor di più, quando facciamo uso di stories e dirette, in questo caso su Instagram. Le dirette, così come le stories, possono fungere da supporto ad una strategia social più profonda e più sincera, nei riguardi dei nostri utenti. Stories e live streaming, offrono l’opportunità di comparire subito nel feed della nostra audience.

Non avete mai fatto caso che quando entrate nel profilo Instagram, vi compare una serie di stories degli utenti che seguite?

Lo stesso succede con le dirette, per di più, Instagram, invia una notifica ai vostri utenti, quando andrete live! Grazie all’utilizzo delle stories potrete veicolare al meglio il racconto del vostro brand, in maniera più incisiva, più immediata. Negli ultimi mesi, data l’esplosione delle stories ed il massivo utilizzo delle stesse anche da parte delle grandi realtà B2B mondiali, Instagram ha inserito numerosi stickers in grado di supportare ed incrementare l’interazione con i followers.

Eccovene alcuni:

  • Donazione, Iorestoacasa, Eroi in corsia e GRAZIE per supportare l’attività di informazione tema Covid-19 e valorizzare le figure professionali in prima linea contro il Coronavirus;
  • Challenge: presente tra le ultime features delle Stories insieme a GIF, sondaggi, countdown, … Al momento permette di selezionare una delle tante challenge presenti all’interno di una lista gestita dalla piattaforma stessa. Potrete taggare i vostri amici e sfidarli. Un’ottima idea, nata durante il Lockdown, per farsi compagnia anche da lontano, sfruttando la possibilità di incrementare l’engagement con gli utenti. Ricorda il mondo delle challenge di TikTok;
  • Ordini di cibo, buoni regalo e compra a km0 per supportare le PMI e le piccole attività in merito alla promozione dei propri prodotti/ripresa.

Come aumentare la reach organica sui canali social

Inserite LINK IN BIO su Instagram

Su Instagram, è possibile, far godere di un upgrade davvero unico alla propria BIO. Vediamo come…
Avete mai avuto l’esigenza di aggiungere dei link in più al vostro profilo?

Al momento, nella piattaforma di proprietà di Mark Zuckerberg, potete aggiungere un solo link. Ma c’è una soluzione in grado di creare una sorta di landing page che possa racchiudere tutti i link che vi interessano di più o che rimandino alle vostre migliori attività o collaborazioni. Vediamo di cosa si tratta.

Grazie all’utilizzo di uno dei tanti tool presenti sul mercato, JotURL, è possibile creare delle accattivanti landing pages grazie all’opzione “InstaURL”. In pochissimi click avrete la possibilità di creare una pagina che racchiuda tutti i link presenti nel vostro LINK IN BIO, potrete sceglierne anche il colore, inserire la vostra foto profilo. Questo tool permette di tracciare i click effettuati su di esso, sui link inseriti nelle stories, vi è anche la possibilità di aggiungere il pixel per attività di Remarketing su Facebook ai link in questione e tanto altro! Lo trovo davvero utile!

Più link in bio possono dare l’opportunità di avere più collaborazioni ed assicurare una social media experience nettamente migliore, soprattutto per i nuovi visitatori. Darete, inoltre, la percezione di essere dei professionisti dal tono ordinato e competente. Elemento non meno importante di altri citati fino adesso. Ed infine, conferire ad attività di Brand Awareness (notorietà aziendale), il giusto tracciamento di dati utili in merito al traffico che potete generare.

Incentivate la Customer Loyalty e coltivate la community

Utilizzare i gruppi di Facebook, non è la sola strada.

Fallon Zoe (@OfficialLadyTribe) è una Organic Reach Specialist molto famosa ed incoraggia spesso a costruire la propria community all’interno di un ambiente come quello dei gruppi di Facebook. Ma non è al sola strada percorribile! Tiene a precisare come sia fondamentale tenere a mente che “l’importante sia sempre cercare di attirare le persone verso ciò che stai facendo”.

La gente ama parlare di ciò che gli piace ed ama invitare gli altri a venire a provare piacere in quelle stesse esperienze. Partite da quello.

Come aumentare la reach organica sui canali social

Potrete iniziare a ricercare, ad esempio, le pagine verificate che di norma sono quelle più seguite. Cercate, quindi, di interagire nei commenti sfruttando gli ultimi trend topics, alimentate con il vostro sapere nuove ed interessanti argomentazioni, valorizzate le vostre competenze con gli altri professionisti presenti ed analizzate i profili degli altri utenti in target con le vostre passioni, cercando a sua volta di targarli in commenti effettuati in precedenza dalla pagina che seguite. Un’altra tecnica per ampliare la vostra rete, e di conseguenza, la reach organica dei vostri contenuti, è quella di interagire con i migliori fans di altre pagine aziendali. Potete trovare l’elenco dei Fan più attivi all’interno della scheda Community di una pagina aziendale.

Quando troverete le persone giuste da seguire ed in linea con i vostri interessi, fate clic sul loro profilo e commentate e lasciate likes in relazione a tutto ciò che vi piace e può creare una sana interazione attorno ad un interesse comune. L’obiettivo è quello di ottenere il maggior numero possibile di notifiche di nuove persone che non sono vostri attuali amici di Facebook.

Assicuratevi inoltre di creare eventi su Facebook per alimentare l’attività di Storytelling del vostro brand. Ed aumentare, così, anche la Customer Loyalty.

Ogni volta che pubblicherete un evento (statene certi) potrete alimentare al meglio la vostra Brand Awareness, permettendo di farvi conoscere di più dal vostro pubblico. Potrete, inoltre, valorizzare i vostri nuovi prodotti ed utilizzare questa tipo di attività anche per sviluppare nuovi lanci degli stessi. E non dimenticate di condividere il tutto sul vostro profilo e sul vostro gruppo. Fallon Zoe, consiglia, inoltre, di cercare di offrire valore in merito ai contenuti che proporrete nell’evento o nella serie di eventi che proporrete, già dal 1° giorno. Creerete, certamente, curiosità per i prossimi contenuti, dato che magari la maggior parte degli utenti non arriverà fino alla fine dell’evento. E perché non pre-programmare un video live e condividerlo in anticipo per l’evento che avete in mente?

Ad ogni modo, tutti i partecipanti al relativo gruppo Facebook, riceveranno una notifica e di conseguenza, più utenti, probabilmente, guarderanno il vostro live.

Può essere utile analizzare ed annotare, di volta in volta, tutti i partecipanti e tutti quelli che cliccano su “Mi interessa” all’interno del vostro evento. Perché non interagire con loro cercando un feedback?

Come aumentare la reach organica sui canali social

Potrebbe essere necessario, essere presenti contemporaneamente su più canali social. Per questo vi consiglio un tool davvero affidabile e che permette un’ottima presenza sulle diverse piattaforme: Streamyard. L’ho utilizzato in molte occasioni, soprattutto nel periodo del lockdown, intervistando tanti professionisti del mondo digitale e non solo. Permette davvero di essere presente su molti canali, tra cui, YouTube – Facebook (profilo, pagina ufficiale e gruppo), LinkedIn (dovrete inviare prima la richiesta per ricevere la certificazione LinkedIn Broadcaster Live, non la rilasciano a tutti, però voi tentate) ed Instagram. La versione free permette di effettuare live streaming fino a 20 ore al mese. Non male davvero.

Non siate autoreferenziali e non parlate sempre di voi stessi: rendete protagonisti del vostro brand gli utenti che vi seguono.

Concentrarsi solo su su se stessi non conviene. In quasi nessun caso. Bensì, spendete del tempo in relazione ad un maggiore qualità dei contenuti e sulla loro scelta in base a ciò che piace al vostro pubblico. Spesso, il calo della reach, dipende anche da questo elemento.

Cercate di cambiare le vostre fonti, ampliate la vostra ricerca ed incrementate ed ottimizzate l’attività di Content Curation dei contenuti proposti. Ne varrà la pena, soprattutto a lungo raggio. Dinamicità e massima qualità tra i tipi di contenuti proposti, può essere uno dei migliori metodi per incrementare l’apprezzamento nei riguardi dei vostri contenuti. Tutto ciò può comportare un aumento della reach organica e farvi apprezzare, da un pubblico sempre maggiore di utenti. Andate oltre alla vostra visione. Evidenziate i risultati ottenuti e condivideteli, oltre che con il vostro team, anche con la vostra fan base. Rendeteli partecipi di ogni cambiamento e traguardo. Il vostro successo parte da loro.

Il mio invito è farvi riflettere sull’enorme potenziale che risiede all’interno della vostra community. Dovete rispettarla, coltivarla, alimentarla nel migliori dei modi.

Dovete sempre dare un buon motivo per far ritornare gli utenti sulla vostra pagina. Le interazioni che cercate e che alimentate non devono essere fatte a caso. Non devono confidarsi come un “fastidio”.

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Come aumentare la reach organica sui canali social

Tenete a mente alcuni consigli e registrate, possibilmente, i dati ed i comportamenti della vostra audience per migliorare la reach organica:

  • rispondete al maggior numero di commenti;
  • argomentate nei commenti il vostro parere, cercando sempre una sana interazione;
  • chiedete risposte nei post ed inserite Call To Action.

Cercate di cogliere ogni gesto della vostra audience, non concepitela come un insieme di numeri in una massa informe: è il vostro bene più prezioso. Per il vostro brand ma ancor di più per la vostra credibilità.

Quali di questi consigli avete già avuto occasione di testare sulla vostra community? Penate siano validi per accrescere la portata e la qualità dei contenuti?

Qualcosa unisce le pubblicità post Covid dei brand (e le rende tutte un po’ simili)

  • In un momento come quello attuale è necessario che i brand facciano sentire la loro responsabilità nei confronti del pubblico.
  • I messaggi dei brand nelle pubblicità post-Covid si fondano su uno scenario universale: comunicando la propria vicinanza, celebrano le emozioni riscoperte, lo spirito creativo, l’adattabilità ed una forza tutta italiana, per una ripartenza consapevole.

 

Avete notato come è cambiato il tono delle pubblicità nelle ultime settimane? I brand stanno comunicando in modo diverso, come è diverso il momento che stiamo vivendo a causa del Covid-19. Dopo il picco di emergenza sanitaria, il lockdown e i divieti imposti per oltre due mesi, entriamo nella Fase 2, una fase di progressiva riapertura in cui ci ritroviamo a fare i conti con una triste realtà emotiva ed economica.

L’Italia sente l’esigenza di una spinta verso la ripresa. Ci siamo fatti forza con la solidarietà, il “sentirci vicini rimanendo lontani”, le connessioni del quotidiano. Ma ora più che mai abbiamo bisogno di identificarci con valori essenziali e con messaggi positivi ed incoraggianti per affrontare questa nuova fase. Così anche la pubblicità segue una sorta di trend del post-Covid (e non solo in Italia).

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I brand che ci accompagnano ogni giorno si connettono con il momento particolare e fanno sentire la loro vicinanza – o meglio – la loro responsabilità nei nostri confronti. Le pubblicità post Covid raccontano le nostre giornate passate in casa alla riscoperta di tante emozioni che avevamo forse messo da parte. I brand riconoscono nella tecnologia il ruolo fondamentale di connessione tra affetti e condivisione alternata tra momenti di svago e attività lavorative.

In questo momento ritroviamo infatti uno scenario “universale” il cui target è ampio, al limite del generico.

Momenti e spazi condivisi

Lo spot Chiquita celebra l’originalità tutta italiana dimostrata durante il lockdown. Una serie di foto e video che dietro un momento storico difficile mostra un vissuto simpatico, espresso da ognuno attraverso i propri spazi e impegnando la propria creatività. Un ringraziamento agli italiani, che non si sono arresi e che con la stessa forza e originalità sono pronti a ripartire. (Agency: Bitmama)

Sulle note della canzone My Favourite Things, Mulino Bianco ci ricorda che la felicità è fatta di piccole cose, dai gesti quotidiani ai piccoli vizi golosi. Le immagini raccontano questi ultimi mesi, ripercorrendo quegli attimi che ci hanno reso protagonisti nelle nostre case, allo stesso modo. Sono proprio questi momenti di positività su cui il brand si fa forza per restituircela, per accompagnarci al ritorno della normalità senza dimenticare di fare tesoro delle belle emozioni riscoperte. (Agency: Publicis)

Così anche Carrefour ci fa compagnia in casa dove, per noi amanti del buon cibo, gli ingredienti non sono un semplice elenco di prodotti ma un insieme di occasioni per tenerci uniti. (Agency: Publicis)

Vicinanza ed empatia anche per Jeep che attraverso i volti dei lavoratori, l’inventiva e lo spirito combattivo degli italiani incita ad un nuovo inizio. L’augurio del brand è quello di una nuova ripartenza, la nostra e quella dell’economia italiana. (Agency: Leo Burnett)

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I brand dunque ci spronano, assicurano la loro vicinanza, promettono di tenerci la mano in questa risalita. Forse per questo, per l’uso di parole rassicuranti, toni e musiche pacate, scene di convivialità, riconosciamo una certa somiglianza tra le pubblicità post Covid.

Del resto in questo particolare momento, l’insight che ritroviamo è lo stesso per tutti, per i diversi brand e anche per noi.

Alcuni spot però, almeno nella narrazione sono riusciti a distinguersi dagli altri, distaccandosi da una esagerata ricerca dell’effetto empatico e da una rincorsa ai buoni sentimenti. 

Pibblicità post-covid: ripartire consapevoli di emozioni riscoperte

Milano è una delle città sfortunatamente protagoniste di questa pandemia. Ma Milano non si ferma: come un leone colpito si rialza fiera, un passo alla volta, con la voglia di rialzarsi ancora più forte.

Il rapper Ghali, tra i diversi quartieri, ci racconta una città ferita, ferma ma impaziente di ricominciare, che si adatta, aspetta, si reinventa. L’alba è quella tanto attesa da una metropoli che si sveglia ancora assonnata ma con la determinazione di ripartire con le sue mille attività. Perché dopo il buio arriva sempre l’alba che si apre in “quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello” (cit. Manzoni, Promessi Sposi). (Agency: TBWA)

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Mentre il mondo è andato in pausa, le emozioni e le esperienze hanno continuato ad esistere in casa con ognuno di noi. Uno specchio di vita, di preoccupazioni, di cambiamento, di amore, di riscoperte raccontate proprio dai nostri spazi più familiari.

Ed è da lì che Ikea ci sprona a ripartire e continuare, anche se in modo diverso, quella vita che almeno dentro casa non si è mai fermata. (Agency: DDB)

Lavazza inneggia al sentimento di un’umanità ritrovata, alla sensibilità individuale che fa eco nella comunità. Il rispetto e la responsabilità verso ciò che è diverso, verso il nuovo e quello che già esiste grazie anche al ruolo della tecnologia e della scienza: queste sono le parole tratte dal discorso finale di Charlie Chaplin nel suo film “Il Grande Dittatore”.

La ricerca di ciò che è giusto per tutti attraverso un consapevole annullamento degli stereotipi e delle prevaricazioni. Sembra strano realizzare che queste parole, attuali più che mai, siano state pronunciate nel 1940. (Agency: Armando Testa)

C’è chi dice basta alla pubblicità post-Covid

Eppure, c’è sempre un rovescio della medaglia. Dopo esser stati bombardati da messaggi rassicuranti, ringraziamenti e celebrazioni di una nuova fase c’è qualcuno che mal sopporta queste pubblicità.

Sui social, da qualche settimana è diventata sempre più forte l’insofferenza verso questa retorica nella comunicazione. C’è infatti tutto un altro pubblico che non si riconosce in queste esagerate coccole dei brand. Un pubblico che prende voce e si rivolge ai brand, sgridandoli.

La campagna si riferisce all’esasperazione spettacolare di molte pubblicità ideate già prima del Covid ma che per alcuni, calza perfettamente con questo momento. (Agency: 5hort)

Orientarsi ai tempi del Coronavirus: come i leader di 6 agenzie stanno ridefinendo la strategia di brand

Questo articolo è stato scritto da Sadie Thoma, Director, Creative Development at Google.

Le agenzie pubblicitarie non sono nuove ai cambiamenti radicali. Sono loro gli esperti cui si affidano i brand per avere una guida attraverso i mutamenti culturali, economici e tecnologici. In questo periodo, sono in molti a vantarsi di essere disruptor, in quanto mettono in discussione lo status quo e sanno orientarsi in questa nuova situazione.

Mentre l’epidemia da Coronavirus si evolve come la forza più dirompente mai vista in tempi moderni, le agenzie stanno aiutando i brand ad affrontare una nuova realtà senza precedenti. In mezzo a tanti rapidi cambiamenti, ora è più importante che mai restare al passo. Per chi si occupa di strategia, questo significa raccogliere i dati in tempo reale, scoprire nuovi comportamenti, ridefinire obiettivi e successi e trovare e creare nuove prospettive veicolate dai dati.

Sei esperti di strategia e leader di agenzie hanno spiegato quali sono le differenze nei modi di affrontare la pianificazione tattica e gli approfondimenti sui dati in questo momento, offrendo alcuni utili consigli per i brand.

Ecco che cosa hanno raccontato a Think with Google.

Sfrutta le opportunità di un totale cambiamento di mentalità

“Molti dei brand che stanno registrando sell-through da record devono passare rapidamente da una mentalità che predilige ‘l’aumento delle vendite dalla sera alla mattina’ a una che si concentra sullo ‘sviluppo del brand nel tempo’. Non si tratta di una sfida nuova, ma la situazione corrente richiede un cambio di prospettiva“, spiega Aki Spicer, Chief Strategy Officer di Leo Burnett.

Trovo che siano i brand con fondamenta solide, vale a dire una forte motivazione e un punto di vista definito, a poter superare questa transizione con facilità. È giunto il momento di dimostrare la nostra motivazione ai nuovi clienti, che forse interagiscono con noi per la prima volta dopo tanto tempo”.

Analytics Marketing B2B

Adatta la tabella di marcia interna in modo che misuri il successo

“Oltre a trovare le parole giuste, aiutiamo i clienti a capire che cosa è meglio fare, esplorando modi significativi di offrire valore concreto.

In questo momento tutti desideriamo ottenere un impatto che richieda il superamento delle misure tradizionali del patrimonio di marca e rifletta il feedback dei clienti, a indicare che abbiamo fatto realmente la differenza. Le misure del successo devono riflettere questo obiettivo”, indica Jonathan Lee, Chief Strategy Officer di Grey.

Investi in “conversazioni autentiche” con persone reali

Christine Chen, Partner, Head of Communication Strategy di Goodby Silverstein & Partners, aggiunge: “Siamo sommersi da dati strutturati riguardanti argomenti seri quali perdita del lavoro e diffusione della malattia. Gli approfondimenti più interessanti, che vertono sulle speranze e sulle emozioni personali, sono più difficili da misurare e spesso ci pervengono sotto forma di ‘focus group di una sola persona’.

Abbiamo bisogno di un maggior numero di dati come questi, ma la loro acquisizione richiede colloqui con i consumatori a scadenza regolare. Le domande da porre devono poi essere simili a quelle che gli intervistati si aspetterebbero da parte di amici o familiari, non da ricercatori di tipo tradizionale”.

Marketing B2B emozioni

Utilizza la strategia di marketing per creare valore là dove è maggiormente necessario

“La triste verità è che la pandemia ha messo in luce le differenze sociali. Ci sono intere comunità e parti della forza lavoro che vivono un’esperienza molto diversa da quella di chi, come noi, ‘lavora da casa’.

Concentrarci su questi gruppi e cercare di entrare in sintonia con i loro sentimenti e il loro modo di esprimersi è forse la cosa più importante che possiamo fare per capire che cosa succede. Una profonda comprensione dei segmenti di pubblico consentirà ai nostri partner di adottare misure che abbiano un vero impatto e apportino un reale valore”, racconta Kelsey Hodgkin, Head of Strategy di Deutsch LA.

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I test sulla creatività ci aiutano a orientarci tra le sfide poste dalla scelta dei messaggi

“Capire come parlare ai consumatori durante un periodo di panico senza precedenti dà la sensazione di camminare sulle uova, ma restare in silenzio è ugualmente rischioso”, spiega Stephanie Bohn, Chief Brand Officer di VidMob.

“È difficile prevedere le reazioni dei consumatori anche in situazioni normali, figuriamoci durante una pandemia. È fondamentale, quindi, affidarsi ai test sulle creatività. I brand hanno bisogno di indicatori in tempo reale per capire che cosa ha maggiore risonanza, in modo da dare forma alle strategie creative e convalidarle oppure, se necessario, aggiustare il tiro”.

Osserva gli indicatori del pubblico per scoprire la nuova normalità

“Ci affidiamo massicciamente ai dati di ricerca come fonte di approfondimento. Di solito possiamo affidarci ai trend anno su anno o al comportamento di ricerca più recente per avere buone indicazioni sul futuro. Purtroppo quando sopraggiunge una crisi dobbiamo reagire in tempo reale alle variazioni del comportamento di ricerca.

La corsa agli acquisti dettata dal panico, ad esempio, causa massicce fluttuazioni e irregolarità. La natura di questa crisi protratta sul lungo periodo rende difficile prevedere l’aspetto della nuova ‘normalità’.

Per aiutarci, cerchiamo di impostare una soglia per queste fluttuazioni e definire in base a questo standard la ‘nuova normalità’, o almeno la ‘prossima normalità’, una volta che le irregolarità tornino a essere considerate alla stregua di anomalie”, conclude Aaron Levy, Group Director, SEM di Tinuiti.

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5 testate giornalistiche che usano TikTok per aumentare la propria audience

  • TikTok è la piattaforma del momento per giovani e giovanissimi e i suoi numeri sono in continua crescita.
  • Anche le testate giornalistiche hanno iniziato a sfruttare TikTok per aumentare la propria audience.
  • L’età media degli utenti di TikTok è di 34 anni, un dato che indica quanto questo social network sia interessante per raggiungere un pubblico altrove meno presente.

 

Oltre 700 milioni di iscritti in tutto il mondo. Seconda app più scaricata in assoluto nell’ultimo trimestre del 2019, seconda solo a WhatsApp. Questi i dati della crescita di TikTok, social network cui anche le testate giornalistiche hanno iniziato a guardare con interesse per aumentare la propria audience.

Nato nel 2018 dall’unione con musical.ly e di proprietà della società cinese Bytedance – così come Toutiao, la principale app di informazione in Cina, e News RepublicTikTok è la piattaforma del momento per i giovanissimi, ma non solo. Se è vero infatti che un suo utente su tre ha tra i 16 e i 24 anni, l’età media è invece di 34 anni, secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Influencer Marketing.

Un’audience più giovane rispetto agli altri social network – dove l’età media è di 40 anni – ma non per questo meno interessata ai contenuti informativi. Moda, videogiochi, beauty e celebrità sono i temi che predilige, ma ogni testata giornalistica può trovare comunque il modo di raggiungerla e coinvolgerla, sfruttando così un’opportunità unica per allargare la propria audience di oggi e di domani.

Francesco Zaffarano, senior social media editor al Telegraph, sta raccogliendo attraverso una directory pubblica le testate giornalistiche già presenti su TikTok. Un elenco che attualmente ne conta 135, di cui solo sette in Italia.

Abbiamo scelto per voi tre esempi internazionali e due italiani per mostrare cinque diverse strategie di presenza su TikTok da parte delle testate giornalistiche.

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1. The Washington Post

Quasi 535 mila follower e più di 23 milioni di like. Bastano questi numeri per capire quanto il Washington Post abbia deciso di investire nella propria presenza su TikTok. Con un marchio rivisto nei colori per apparire meno formale e il link all’articolo del giorno in biografia, la storica testata giornalistica statunitense si presenta con queste semplici ed essenziali parole: “We are a newspaper”.

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Sempre in biografia, anche un indirizzo e-mail dedicato. È quello di Dave, protagonista della maggior parte dei post: è lui a intervistare opinionisti e giornalisti della testata, tenere il diario della quarantena e interpretare l’attualità in chiave ironica e divertente.

Un chiaro e brillante esempio di infotainment.

2. The Telegraph

Decisamente meno ironico il Telegraph, che ha scelto per la propria presenza su TikTok un tono amichevole, ma comunque autorevole. “Think haead” è il claim scelto per il proprio profilo, un invito rivolto ovviamente alla giovane audience. Inalterato il marchio, mentre il link presente in biografia rimanda di volta in volta a “great stories”.

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Variegati i contenuti dei post: fatti d’attualità anche lontani, semplici tutorial e ricette, storie particolari di adulti, giovani e giovanissimi. Ma i più riusciti sono forse i video in cui gli stessi social media manager spiegano tematiche complesse in modo semplice, usando ad esempio i cereali per la colazione e ritagli di giornale per dare vita a motion graphic… cartacee.

Un tentativo creativo e ben studiato di avvicinare i più giovani all’informazione giornalistica, suscitando interesse attraverso nuovi formati.

3. Cosmopolitan

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Nei post si parla soprattutto di bellezza, benessere e cibo, ma anche più in generale dell’essere donna. I contenuti spaziano dai prodotti per la pelle al tutorial per realizzare il proprio curriculum, dai pancake colorati ai consigli per far durare il più possibile i profumi. Più rare le incursioni nell’attualità, ultimamente frequenti più che altro per il movimento Black Lives Matter.

Insomma, il mondo beauty è uno dei più apprezzati su TikTok e Cosmopolitan ha saputo non perdere l’occasione.

4. Fanpage

Con più di 317 mila follower e 5 milioni di like, Fanpage è la realtà giornalistica italiana più seguita su TikTok. Essenziale la sua biografia, che presenta la testata come “un giornale indipendente” e rimanda all’home page per le notizie del giorno.

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Omogenea la grafica dei post, video dei quali è possibile intuire l’argomento fin dalle anteprime, grazie a titoli colorati. A raccontare l’attualità sono direttamente i protagonisti delle storie stesse oppure i membri del team social della testata.

La strategia? Parlare al pubblico in modo diretto ed emotivo, in continuità con lo stile dei contenuti del proprio sito web.

5. GQ Italia

“Il magazine maschile di Condé Nast Italia. Dal 1999”. Così GQ Italia si presenta ai suoi quasi 160 mila follower. Con 18 milioni di like, in termini quantitativi è la seconda testata giornalistica italiana su TikTok.

testate giornalistiche tiktok

In questo caso, i protagonisti dei post sono soprattutto cantanti, attori e uomini del mondo dello sport, ma non mancano neppure i consigli per lo smart working, le recensioni di prodotti tecnologici e le ricette, così come video dedicati ai nuovi numeri della rivista in uscita. Nelle ultime settimane invece spazio a parole e fotografie per raccontare il lockdown e celebrare i compleanni dei vip.

Una strategia che punta a trasferire nei brevi video di TikTok la linea editoriale e i contenuti del magazine.