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  • 3 miti di Digital Marketing che dovremmo sfatare nel 2020

    Dalla produzione dei video alle metriche da misurare, ecco quali convinzioni errate dovresti cancellare dalla tua percezione per alzare l'asticella delle strategie digitali

    4 Marzo 2020

    Questo articolo è stato scritto da Joshua Spanier, VP of Media Lab at Google. Alcuni luoghi comuni e miti del Digital Marketing vengono ripetuti così frequentemente e da così tante persone, che alla fine si tende a dare per scontato che siano veri. Come accade nella cultura popolare, è sempre stato così e sempre lo sarà. C’è modo però, a volte, di fermarsi a riflettere più da vicino su questi miti e quello che emerge permette spesso di spostare l’asticella delle proprie strategie di marketing ad un livello successivo. Ecco quindi tre miti di Digital Marketing che dovremmo sfatare quest’anno. miti di digital marketing

    Mito del Digital Marketing n. 1: il video è lento e costoso da produrre

    Gli esperti di marketing comprendono che dovrebbero adattare e ottimizzare gli asset creativi alle caratteristiche specifiche della piattaforma in cui i video verranno usati. Il mito del settore è che produrre video in questo modo è costoso e richiede molto tempo. Bisogna assumere un regista e un grande team che devono girare in qualche posto glamour, portando con sé le loro costose attrezzature. Prima di passare alla post-produzione, ci vorranno molti mesi e molti soldi. L’opera finale, per quanto bella possa essere, dovrà essere trasmessa ovunque – con un formato adatto a tutti i canali – senza tempo o risorse per eventuali adattamenti o personalizzazioni. In realtà, produrre un video non deve essere così. È possibile invece produrre video digitali in modo più veloce, economico ed efficace. Ad esempio, per il lancio di Google Home Hub, abbiamo preso un video di base e lo abbiamo lanciato attraverso uno strumento chiamato Directors Mix che consente di creare video personalizzati su vasta scala. Abbiamo realizzato alla fine 80 versioni dell’annuncio, ognuna su misura per un contesto diverso. LEGGI ANCHE: Si parla ancora di Micro Influencer e sempre più di Content Experience: ecco i Digital Marketing Trend 2020

    Mito del Digital Marketing n. 2: più dati hai, meglio è

    Nel marketing digitale, raccogliamo tutti i tipi di dati per capire se le nostre strategie creative e multimediali funzioneranno. Possiamo vedere quanto tempo qualcuno ha trascorso a guardare un video, fino a che punto qualcuno ha fatto scorrere la pagina verso il basso o quanti visitatori lasciano il nostro sito web. E l’elenco potrebbe continuare ancora. Ma davvero solo perché puoi misurare qualcosa, significa che dovresti farlo? Ci siamo resi conto che, anche quando si tratta di dati, “less is more”. Quando abbiamo verificato le analisi condivise con la nostra leadership dai team di Google Marketing, abbiamo scoperto che, insieme, stavamo segnalando 70 diverse metriche a livello globale. Come ci aspettavamo che i nostri CMO e VP prendessero decisioni coerenti, confrontando una campagna o strategia con un’altra, quando i nostri team non parlavano la stessa lingua? Abbiamo ridotto tutti quei dati a sole sei metriche rilevanti. Perché questo numero? Perché eseguiamo due tipi di campagne: brand e performance. In tutte queste campagne, ci preoccupiamo di tre cose: se catturiamo l’attenzione delle persone, come si comportano in risposta e quale sia il risultato. Quindi ora, piuttosto che annegare nelle metriche, ne abbiamo solo una per ciascuno dei risultati che siamo interessati a misurare. miti di digital marketing

    Mito del Digital Marketing n. 3: gli umani vengono sostituiti dalle macchine

    “Come inserzionisti nell’era del machine learning e dell’AI, è facile pensare a noi stessi in un confronto epico con le macchine”, ha scritto Ben Jones in un articolo di Think with Google dell’anno scorso. Questa paura che le macchine ci sostituiscano è normale e non si limita certamente al settore del marketing. Ma la paura è infondata. Invece, come abbiamo scoperto attraverso i nostri esperimenti lo scorso anno, si tratta di capire quali compiti le macchine svolgono meglio di noi e di lasciarle operare, lasciando così gli esseri umani liberi di fare ciò che davvero sanno fare in modo unico: intuire, ispirare e essere creativi. Ecco un esempio. Questa è l’equazione per il calcolo del customer lifetime value (CLV) – un modo per identificare chi sono i clienti più preziosi, qualcosa che tutti gli esperti di marketing devono conoscere. Per chi non è un matematico, ci vorrebbe letteralmente una vita per capire cosa significhi. Ma anche le persone più analitiche impiegherebbero un po’ di tempo a risolvere questo problema manualmente, motivo per cui in genere si calcola il CLV solo ogni sei mesi. Per svolgere questa operazione in modo decisamente più rapido ci siamo rivolti al machine learning e abbiamo utilizzato uno strumento chiamato TensorFlow. Siamo passati dall’avere accesso a un CLV ogni sei mesi, ad avere 2.000 predicted customer value (pLV) al giorno. Questo ci ha permesso di ottimizzare e aggiornare regolarmente la nostra strategia di offerta di annunci. Le macchine possono anche permetterci di risparmiare tempo nell’area della creatività pubblicitaria. Ad esempio, siamo stati in grado di utilizzare una smart creative technology per ottimizzare la visualizzazione e la ricerca degli annunci in tempo reale in base al modo in cui le persone rispondono a questi. Il formato ha notevolmente sovra-performato rispetto ai legacy static display e ai search ads che utilizzavamo da più di un decennio. I computer sono ben progettati per queste decisioni altamente manuali. Quindi lasciamo che facciano questo lavoro, lasciandoci la possibilità di concentrarci sulle cose che le macchine non possono fare.