• About Author

  • Tutta l'Informazione Ninja nella tua mail

  • Perché le competenze trasversali sono al cuore dello sviluppo professionale

    Durante la Milano Digital Week abbiamo parlato di soft skill, competenze T-shaped e smart working con Emiliano Sironi, Ricercatore in Statistica Demografica dell'Università Cattolica

    9 Giugno 2020

    La scorsa settimana si è tenuta la terza edizione della Milano Digital Week quest’anno in versione full digital, che ha visto un palinsesto di oltre 500 eventi, panel, webinar e lectio magistralis seguendo il filo rosso di un confronto aperto e inclusivo sul digitale. Tra questi, anche un interessante webinar tenuto da Emiliano Sironi, Ricercatore in Statistica Sociale dell’Università Cattolica di Milano, sul tema delle competenze trasversali, dette anche soft skill o, in letteratura, “abilità inter e intra-personali di tipo socio-emotivo”. Mi sono confrontata con il prof. Sironi su questo argomento, cruciale quando si parla di formazione aziendale e sviluppo delle risorse umane ma anche importantissimo se rapportato alle fasce di popolazione più giovane, come studenti o lavoratori che si stanno affacciando adesso a un percorso professionale. 

    Cosa intendiamo quando diciamo competenze trasversali

    Buongiorno Emiliano, grazie per il suo tempo! Partiamo da una distinzione fondamentale, quella tra hard e soft skill. Le competenze sono quell’insieme di conoscenze, capacità e comportamenti utili nell’attività professionale. Le hard skill, tecnico-professionali, riguardano le conoscenze teoriche e abilità pratiche per svolgere una specifica professione e sono le competenze primarie nel mercato del lavoro. Quale potrebbe essere una definizione di competenze trasversali? «Possiamo definire le competenze trasversali come quell’insieme di abilità comunicative e relazionali non specifiche di una particolare mansione, ma proprio per questo adattabili ad ogni compito e professione. Esse concorrono, unitamente alle competenze tecniche e in sinergia con esse, al successo professionale.  Bennet le definisce come abilità generiche che supportano lo studio di ogni disciplina e che possono essere trasferite sia in contesti di studio che lavorativi. Le classifichiamo in quattro aree: gestione del sé, dell’informazione (tra cui ci sono anche le competenze digitali), degli altri e del compito. Quindi rappresentano quel bagaglio di approccio che permette di potenziare le competenze hard» Tra queste troviamo ad esempio il problem solving, la capacità di assumere decisioni importanti sotto pressione e di lavorare efficacemente in gruppo. In un mercato del lavoro dinamico, dove nel corso dello sviluppo della carriera si cambiano mansioni e contesti relazionali, diventa fondamentale svilupparle. Come si maturano queste competenze e quali sono gli strumenti per coltivarle?  «Le competenze trasversali maturano nell’arco dell’esperienza complessiva della vita dell’individuo. La scuola concorre in modo rilevante alla formazione di esse, attraverso la trasmissione di nozioni e la formazione della cultura. Ma anche attraverso l’insegnare a relazionarsi con adulti e con soggetti differenti dal contesto familiare e degli amici.  Tuttavia, la formazione dell’individuo nel suo insieme è un processo permanente nel quale ogni scambio relazionale con l’altro ha il suo contributo. Quindi esperienze di sport, per quello che concerne l’abilità a lavorare in gruppo, così come esperienze di volontariato o di stage e tirocinio concorrono ad affinarle in età giovanile. In età adulta il maturare di diverse esperienze professionali e l’assunzione di ruoli di responsabilità assume via via un ruolo dominante».

    Soft skill, smart working e competenze T-Shaped: le parole chiave del lavoro di oggi

    Passiamo ad un altro tema cruciale. Stiamo vivendo un periodo storico in cui il lavoro da remoto è ormai al cuore della business continuity. Perché le soft skill sono così fondamentali in questo scenario di remote e smart working? «Sono importanti in contesti come quelli del lavoro agile, perché modificano, ma non annullano, la centralità dell’aspetto relazionale del lavoro e dello scambio di informazioni.  Allo stesso modo, il lavoro digitale cambia forme e contenuti del modo di lavorare, ma questo necessita un continuo spirito di adattamento a trasformazioni sempre più rapide e la capacità di far fronte all’imprevisto. Pensiero critico e capacità di governare il cambiamento sono elementi ricompresi nell’insieme delle competenze trasversali». LEGGI ANCHE: La vera sfida del lavoro da remoto? È per i dirigenti Cosa pensi delle competenze T-Shaped? Io le reputo imprescindibili nello sviluppo di manager e professionisti di successo.  «Le competenze T-shaped, ovvero quello che chiamavamo interdisciplinari, sono quelle sempre più rilevanti. Nelle professioni più qualificate, come la ricerca scientifica e nell’impresa, la capacità di dialogare con esperti di differenti mansioni e discipline rappresenta secondo me la sfida più ovvia ma più difficile da realizzare. Ognuno cerca di misurare il modo di lavorare degli altri, secondo i propri paradigmi e il proprio modo di pensare. Questo va bene fino ad un certo punto, perché professionisti di altre discipline e ambiti lavorativi approcciano i problemi in modo diverso, secondo la sensibilità del proprio tratto caratteriale, della propria cultura e del contesto in cui si è cresciuti. Il rispetto della qualità del lavoro altrui è il primo passo per dialogare alla pari. Io vedo questo elemento ancora incompleto in molti contesti lavorativi, coinvolgendo anche quelli più evoluti a ad alta professionalità». LEGGI ANCHE: T-shaped: perché il mondo ha bisogno di persone con competenze “T”

    Misurazione e sviluppo delle competenze in azienda: da dove partire

    Passiamo ora ad un tema particolarmente critico. Come mai possiamo leggere dati sulle competenze richieste, ma non su quelle effettivamente possedute dai lavoratori? «È il problema della valutazione. Sono pochi e diseguali i processi di misurazione scientifica e certa delle competenze di dipendenti e collaboratori; si tratta certamente anche di un elemento molto delicato e sensibile da affrontare, che va effettuato anche di concerto con le parti sociali. La necessità di processi di valutazione delle competenze, almeno basati su indagini a campione, sono però necessari per imprese, lavoratori e società. Del resto alcuni lavoratori, in particolari ambiti, sono sottoposti molto spesso, a volte anche in modo eccessivo alle continue valutazioni del cliente: pensiamo alle rilevazioni di “Customer Satisfaction” ogni qual volta facciamo un acquisto online o utilizziamo un servizio. Forse possiamo fare un passo in avanti e non limitarci alla valutazione delle performance, ma passare a quelle delle competenze, dalle quali gran parte delle performance dipendono. Ma sempre con prudenza e in modo costruttivo». Ultima domanda su un tema che mi sta molto a cuore perché in Ninja Academy gestisco la business unit dedicata al corporate training. Come dovrebbe agire un’azienda per consentire ai propri dipendenti di massimizzare lo sviluppo di queste competenze?  «Investire sui propri lavoratori, promuovendo corsi di formazione e aggiornamento e stimolando nuove e diversificate esperienze all’interno dell’impresa. Soprattutto, dovrebbe mettere in relazione persone di ambiti diversi e promuovere un clima positivo di collaborazione, proponendo, nel limite del possibile, compiti diversificati ai lavoratori. Anche affiancare persone con età e percorsi di studio e professionali diversi aiuterebbe non poco. Ciò ovviamente è più possibile in alcuni contesti piuttosto che in altri. Ma qualcosa si può fare, a patto che non si lavori sempre in emergenza per soddisfare la necessità del domani, ma con programmi nel lungo periodo per una strategia di lavoro diversificata. Qualità del lavoro e programmazione sono essenziali. In questo il ruolo di una leadership responsabile e illuminata è fondamentale».