Oggi circa 4,4 miliardi di persone, pari al 57% della popolazione globale, hanno accesso a internet; in Europa e negli Stati Uniti la percentuale sale al 95%.
Secondo questi dati del report Digital 2019 redatto da WeAreSocial, in collaborazione con Hootsuite, si è realizzato il sogno nato nel 1982 – anno in cui fu coniata la parola internet – di vedere connessi in rete i computer di tutto il mondo.
In meno di 40 anni si è compiuta una rivoluzione che ha definitivamente cambiato le abitudini della popolazione mondiale.
In realtà per la maggior parte delle persone, e per le aziende, la rete si è affermata a partire dal 1995, con l’eliminazione delle restrizioni commerciali all’uso di internet.
Le aziende hanno però iniziato ad intuire che internet avrebbe anche rappresentato l’evoluzione del marketing solo nel 2000, ovvero con l’affermarsi dei motori di ricerca, in particolare di Google, nato nel 1998 e con l’inizio della diffusione della tecnologia ADSL, iniziata proprio nel 2000.
Questa intuizione è diventata realtà con la diffusione della connessione mobile, poco più di dieci anni fa. Nel 2007 viene presentato dalla Apple l’iPhone. Nel 2008 viene lanciato sul mercato da Google il sistema operativo Android.
Ma come è davvero cambiato il marketing?
Si è passati
da una dimensione massmediatica ad una one-to-one. Grazie a strumenti come i motori di ricerca prima e i social network poi, le aziende hanno acquisito la possibilità concreta di un comunicazione diretta e interattiva con le singole persone. Il consumatore di oggi è abituato ad avere un rapporto diretto e bidirezionale con i Brand, senza passare dal retail.
Non è stato facile, e ancora non lo è per molte aziende, passare da una forma di comunicazione pubblicitaria offline a una comunicazione
omnicanale.
Il marketing è passato velocemente
da una modalità push ad una inbound, con la finalità di coinvolgere, fornire informazioni e contenuti utili, senza mai interrompere l’esperienza utente.
Questo non vuol dire che non applichiamo più la teoria del marketing o le strategie di posizionamento di marca, ma che dobbiamo cambiare metodologia per arrivare a formulare una strategia di comunicazione che
tenga conto dei nuovi canali e del diverso comportamento dei consumatori, che ormai vivono l’online e l’offline come unica realtà nella quale muoversi.
Come ha detto
Federico Capeci, CEO Kantar, in occasione del NetComm Forum 2019 di Milano:
“Il brand management, cioè la gestione del brand e quindi la costruzione del valore di periodo, e la gestione del canale – in particolare quella dell’eCommerce – in realtà non possono restar più distanti l’uno dall’altro”.
È in questo scenario che oggi è fondamentale elaborare una strategia di marketing e comunicazione basata sullo studio dei dati sui consumatori.
Il consumatore al centro
Viviamo ormai in una
data driven economy, dove le aziende basano le loro strategie sui
dati di comportamento (oltre che di acquisto) dei clienti per comprendere realmente le esigenze e i bisogni del proprio target di riferimento, e per confezionare
una customer experience personalizzata e fatta di relazioni capaci di dare valore (sempre in modo bidirezionale) alle aziende e ai clienti.
Il focus della comunicazione non è più il prodotto, ma il consumatore. I prodotti, le soluzioni o i servizi vengono comunicati per rispondere in modo puntuale a quelle che sono le esigenze delle persone.
Ma come fare ad ottenere questo risultato? Come si può offrire un contenuto pertinente e personalizzato per creare relazioni personali tra le aziende e i singoli consumatori? Come identificare e organizzare tutti i touchpoint, dando rilevanza all’esperienza dei singoli utenti, rafforzando reputation e value proposition?
Oggi la
tecnologia (con la possibilità di collezionare dati di navigazione e comportamento online, il machine learning, la marketing automation) ci aiuta a dare una risposta a queste domande. Abbiamo a disposizione svariati tool e fonti che hanno la capacità di fornire una quantità incredibile di dati.
Ma la tecnologia e i dati da soli non bastano. Il marketing oggi opera attraverso soluzioni tecnologiche e informatiche, ma non può funzionare se non ci si dota della
giusta metodologia.
È in questo contesto che si inserisce lo studio delle
buyer personas, per proporre un approccio sistemico allo sviluppo di
una strategia di comunicazione omnicanale.
Buyer personas e personalizzazione
Costruendo le
buyer personas con ogni tipologia di dato che l’azienda ha disposizione sui
segmenti target individuati, è possibile non solo
personalizzare la customer journey tra i diversi canali “all in line”, ma anche
personalizzare i contenuti da offrire per dialogare con i propri clienti nel momento più opportuno.
La personalizzazione del messaggio non è più un’opzione per le aziende che vogliono comunicare efficacemente. Un esempio di successo della personalizzazione del contenuto,
pubblicata da Google, è quella di
Abreva, Brand americano che propone prodotti per la cura della febbre labiale.
Quando Abreva ha identificato una nuova target audience nei teenager non ha pensato di rivolgersi in maniera generica alla Z-generation. Identificare un segmento target con una generazione (l’abbiamo visto fare tante volte con i Millennials) vuol dire rivolgersi ad
un pubblico generico. Senza riconoscere le differenze tra persone di un’intera generazione si perde l’occasione di creare contenuti pertinenti.
Occasione che non si è fatta sfuggire Abreva che, dopo aver verificato che la percentuale di penetrazione di YouTube tra i teen americani è all’89,2% – contro il 79,4% della tv – ha creato
119 differenti ads, personalizzando 4 tipologie di video con testi diversi. I testi vengono diversificati a seconda dei video che l’utente sta guardando. Per farlo ha usato
YouTube Director Mix.
I risultati sono subito stati significativi su due importanti
KPI monitorati: Abreva ha rilevato un aumento del 41% del recall dell’annuncio e un aumento del 342% della ricerca del marchio tra il suo pubblico di riferimento su Google e YouTube.
Per raggiungere questi risultati è stato fondamentale l’apporto del
machine learning, ma alla base del successo c’è stata la
capacità di confezionare il messaggio giusto, con 119 testi differenti, per parlare singolarmente a persone diverse.
Questo non sarebbe potuto accadere se il brand non si fosse messo all’ascolto per
individuare gli interessi del suo target e se non avesse analizzato le
ricerche online di questa audience per capire le motivazioni sottese a questo tipo di ricerche.
Un’indagine che ha portato il brand a comprendere le diverse esigenze all’interno dello stesso segmento anagrafico e ha consentito di
empatizzare con la propria audience, suddividendola proprio in base ai diversi interessi e ai diversi bisogni.
L’approccio empatico
La costruzione delle buyer personas ci aiuta perciò a sviluppare questo
approccio empatico, a partire da
uno studio quanti-qualitativo di dati e di informazioni. Aiuta a metterci nei panni dei singoli consumatori, a capire il loro problema e la loro esigenza e a configurare possibili reazioni alla soluzione proposta.
Oggi si potrebbero fare svariati esempi di brand che hanno la capacità di offrire
messaggi pertinenti ed efficaci ai singoli consumatori. Ma il caso di Abreva evidenzia un altro elemento importante che determina il successo di una campagna di comunicazione.
Il brand risponde puntualmente ad un’esigenza,
risolve un problema. Il problema però non è semplicemente “ho un herpes”, il problema è quello di non potersi truccare o di non essere a proprio agio in situazioni altrimenti confortevoli.
È così che
il brand rafforza la propria awareness e la value proposition.
Non basta più creare il contenuto o la comunicazione efficace e coinvolgente. Non è neanche più sufficiente sapere dove intercettare la target audience nel suo customer journey. Bisogna riconoscere anche
quando e come interagire, ovvero scegliere il momento in cui l’utente è disponibile ad ascoltare per fornirgli, in modo a lui comprensivo, la soluzione puntuale.
Se le aziende
si mettono all’ascolto in maniera empatica, riuscendo a comprendere la vera esigenza che la propria offerta può soddisfare, riusciranno ad arricchire l’esperienza utente con contenuti pertinenti e capaci di generare valore.
Alla fine dei conti, in questa semplificazione dell’approccio metodologico basato sulle buyer personas, non è poi così evidente l’evoluzione del marketing nell’epoca di internet: per migliorare i propri risultati di vendita, l’azienda deve ascoltare i propri clienti per capire le reali motivazioni all’acquisto e offrire loro sempre un’esperienza personalizzata e di valore.
La differenza è che dobbiamo riportare questo approccio ad un contesto che si è evoluto, che vede protagonista un
consumatore omnicanale, abituato ad ottenere quello che desidera nel momento in cui lo desidera, ovunque esso sia.
È questa la sfida che oggi devono affrontare le aziende e non possono vincerla senza dati, strumenti, conoscenze informatiche, tecnologia, consulenza e formazione in digital marketing, che le portino, a partire dall’identificazione delle buyer personas, alla costruzione di una strategia di comunicazione omnicanale.