Sotto tag Manager di Personas

risparmio fintech gamification

La gamification applicata a spese, risparmi e investimenti

  • Negli anni ’90 gli Italiani erano tra i maggiori risparmiatori dell’Unione Europea ma oggi il tasso di propensione al risparmio è crollato
  • Una ricerca condotta da Columbia Threadneedle ha identificato nei millennial, la fascia di popolazione maggiormente preoccupata per questioni economiche
  • La gamification ha già cambiato il fitness, l’apprendimento e il corteggiamento: lo farà anche sulle questioni economiche?

Ping! Viene visualizzata una notifica sul telefono.

Ciao, sto solo facendo il check-in per farti sapere che sto per fare il tuo primo salvataggio automatico di € 20,59.

Cinguetta un chatbot.

Ching! Punteggio!
La dopamina ti attraversa le vene mentre senti il ​​brivido della vittoria e l’approvazione del chatbot.
Ancora meglio, quel denaro extra che hai risparmiato significa che puoi fare shopping, andare fuori a cena o semplicemente hai più fondi.

Ben soddisfatto, accedi a un’altra app e parte la caccia al tesoro in realtà aumentata in stile Pokémon Go intorno alla città.

Ecco che ti imbatti in un poster dallo strano aspetto; lo scansioni con la fotocamera del telefono, rivela un modello 3D di un paio di scarpe da ginnastica non ancora rilasciate.
Congratulazioni! Puoi acquistarle prima di chiunque altro: basta inserire i dettagli della tua carta come indicato sull’app, oltre al tuo indirizzo di consegna ed eccole già in viaggio verso il tuo appartamento.

Sembra fantascienza ma non lo è. È la gamification applicata al risparmio e investimento.

Il FinTech, il risparmio e le nuove generazioni: amore e odio

La crisi del 2008 ha cambiato la percezione delle vecchie e nuove generazioni rispetto le istituzioni bancarie tradizionali e i mercati di capitali. Allo stesso tempo, le nuove generazioni sono più propense a spendere in viaggi ed esperienze piuttosto che investire nel mattone come i nostri nonni.

Specialmente in Italia, fino a prima dell’impatto COVID-19, miglioravano redditi e consumi, ma nessuno metteva più da parte. Negli anni ’90 eravamo tra i maggiori risparmiatori dell’Unione Europea (con una propensione al risparmio del 13,88% nel 2008 contro una europea dell’11,19%) ma oggi il tasso di propensione al risparmio è crollato ( nel 2017, il 9,71% Italiano contro il 9,97% Europeo).

Le cause sembrano riportare a quei giovani-adulti che guadagnano poco, ma non vogliono rinunciare al loro tenore di vita. Il reddito disponibile delle famiglie è infatti cresciuto, dell’1,5% e 1,7% nel 2016 e 2017, la spesa per consumi finali dell’1,6% e del 2,5%, gli investimenti del 3,4% e 2,4%, dopo un lungo periodo negativo. Nell’Unione Europea in media si è verificato un progresso del 15,1%, in Germania del 38,8%, in Francia del 13,9%.

Il risparmio come risultato di mentalità e conoscenza

La “classe aspirazionale” è quella crescente parte della società che ha fatto del mantenimento di un tenore di vita molto alto uno standard cui non vuole e non può rinunciare. Questa è fatta di consumi non vistosi, principalmente in servizi più che in prodotti, in esperienze, viaggi, ristoranti, aperitivi, master, che di lussuoso hanno spesso poco e che vengono preferiti a vecchi status symbol in disuso come una bella automobile o anche un vestito firmato. Insomma, la definizione propria delle spese di un millennial tipo.

Questo ceto in espansione ha caratteristiche ben definite: lo scollamento tra il reddito percepito, il consumo e la frequenza del consumo stesso. Spende cifre non enormi, preferendo il weekend low cost o alla vacanza al mare, invece di risparmiare soldi per una casa.

Da un lato, risparmiare significa privarsi di qualcosa oggi per avere qualcosa domani, ma se non si capisce il senso e gli effetti di tale sacrificio è difficile trovare la giusta motivazione. Il mondo in cui viviamo, le nuove generazioni, vogliono tutto e subito; questo, combinato all’espansione della nuova “classe aspirazionale”, e al fatto che ben il 62% dei Millennial soffre di insonnia causata dalla difficoltà di arrivare a fine mese e pianificare il proprio futuro finanziario.

C’è molto di sociale e non solo di economico in questa crisi del risparmio, che è probabilmente qui per restare a prescindere da come andrà l’economia nei prossimi anni.

Rispetto alla media internazionale gli italiani mostrano un grave ritardo nell’apprendimento di nozioni e abilità economico-finanziarie, collocandosi all’ultimo posto tra i Paesi OCSE e al penultimo tra quelli del G20, come spiega Lorenzo Bandera. Secondo Standard & Poor’s nel 2014 un italiano su tre non era in grado di leggere un estratto conto o di distinguere tra le diverse forme di mutuo. 

Educazione significa Inclusione. Capire la finanza personale e gli strumenti a disposizione apre un ventaglio di possibilità per il nostro futuro: aprire un impresa, comprare una casa o investire nella nostra istruzione. Ma come possiamo capire di più senza dover acquisire conoscenze troppo tecniche? Come si possono trovare i corretti incentivi ad applicare un comportamento coerente con questa nuova esigenza?

La gamification sembra essere la risposta.

Gamification of Savings

Il Trend

“Gamify” significa utilizzare concetti di gioco, come punti e premi, per coinvolgerci e motivarci in attività specifiche. Basti pensare a Fitbit che migliora l’esercizio assegnando medaglie per le gli obbiettivi prefissati. Hinge fa il “gioco delle coppie” con il suo sistema di “mi piace”. Duolingo permette l’apprendimento delle lingue con livelli diversi da completare e un sistema di punti che premia l’utilizzo quotidiano. Una nuova generazione di app, bot e siti web sta ora facendo lo stesso con le nostre tasche.

Il risparmio può essere reso coinvolgente e gratificante come le app che attualmente  sono le più usate dagli utenti di smartphone. Per incoraggiare i giovani a risparmiare, paradossalmente, serve qualcosa che offra gratificazione immediata. I risparmiatori hanno bisogno dello stesso tipo di eccitazione che ottengono giocando ad un videogame con gli amici o raggiungendo il livello successivo in Candy Crush.

La gamification utilizza elementi del mondo dei giochi – come sfide e competizioni – per premiare azioni positive nel mondo reale, che si tratti di 10.000 passi compiuti o 1.000 euro risparmiati.

Gamification implica necessariamente competizione, che quasi sempre si traduce in motivazione.

Tante app popolari riguardano la valutazione e il confronto e la valutazione del servizio, di chi lo offre e di chi lo riceve (si pensi alle semplici app di taxi) ma ciò che amiamo ancora di più è confrontarci con l’altro: sapere cosa stanno facendo i nostri coetanei per essere sicuri che non siamo da meno ed anzi sentirci migliori.

Questo sicuramente suona vero per molte persone quando si tratta di esercizio fisico. Infatti il successo di molte app è ottenuto anche con la condivisione dei risultati con gli amici nei social network. Possiamo misurare la nostra salute (ma anche i nostri risparmi) non nel vuoto, ma in base ai risultati – e alle aspettative – di amici e familiari.

Anche se non scegli di condividere le tue informazioni, queste app rendono più semplice che mai impostare obiettivi di risparmio personali, segnare i tuoi progressi e essere premiato per i tuoi sforzi.

Alla base c’è, d’altronde, uno studio della psicologia umana. La dopamina è il neurotrasmettitore che controlla il centro di ricompensa e piacere del cervello e si attiva quando “vinci”, una vulnerabilità che aziende tecnologiche come Facebook hanno ammesso di sfruttare per tenerti agganciato.

Simon Rabin stesso, fondatore di Chip, afferma che “la comunicazione di Chip è progettata per far sentire l’orgoglio e il senso di realizzazione ad ogni salvataggio”. Le notifiche di congratulazioni che inducono dopamina creano dipendenza. La psicologa dei consumi Carolyn Mair sottolinea l’effetto della ricompensa: “Quando desideriamo qualcosa, le nostre aspettative sull’avere o possederlo rendono più forte la nostra eccitazione e quindi aumentano il rilascio di dopamina. Una volta che abbiamo l’oggetto e sperimentiamo il piacere, la dopamina diminuisce in modo tale che abbiamo bisogno di un altro episodio emozionante per innescare di nuovo la dopamina”.

Le Startup

Queste app, così come FinTech multimilionarie come Monzo e Revolut, sfruttano le nuove regole dell’Open Banking dell’Autorità della concorrenza e dei mercati. Consentono ai clienti delle maggiori banche di fornire a terzi un accesso sicuro ai dati del loro conto, mantenendo al contempo i loro soldi al sicuro con la crittografia. Tra le startup da tenere sott’occhio abbiamo identificato:

  • Chip – utilizza l’intelligenza artificiale (AI) per calcolare un importo conveniente che può essere salvato automaticamente senza influire sulle solite abitudini di spesa quotidiane. Chip ha recentemente infranto l’obiettivo di crowdfunding sulla piattaforma CrowdCube raccogliendo 2,9 milioni di euro da un target di 1,1 milioni.
  • Qapital – consente di impostare “trigger” per risparmiare automaticamente quando hai raggiunto un determinato obiettivo, come, ad esempio, correre cinque miglia. Puoi anche impostare i trigger di “colpevolezza” per penalizzarti per comportamenti scorretti, come spendere troppo sulla tua carta di credito.
  • Cash Coach – un’app AI progettata per aiutare le persone a risparmiare e incoraggiarle ad investire, sostituendo il budget con un’esperienza completamente gamificata. Cash Coach offre agli utenti sfide di risparmio mensili, calibrate in modo intelligente e personalizzato. Gli utenti sono classificati in base alle loro prestazioni di risparmio, consentendo loro di confrontarsi tra di loro.
  • Thriv – si concentra sull’aiutarti a risparmiare abbastanza denaro “per le cose che vorresti davvero in futuro”. Puoi impostare obiettivi a breve e lungo termine, inclusi titoli, cartellini dei prezzi, immagini, descrizioni e collegamenti, e tenere traccia delle tue spese e risparmi personali con facilità. Un promemoria accurato e barre di avanzamento ti aiutano a rimanere motivato.
  • Fortune City – ti piacciono i tipi di giochi che ti consentono di costruire la tua città virtuale? Fortune City è un’app di contabilità che ti premia con le funzionalità di costruzione della città per l’uso quotidiano dello strumento.

Big Players

I big players come sempre non stanno a guardare, soprattutto negli Stati Uniti dove i maggiori esempi di gamification arrivano da Ally Bank e Indiana Centier Bank.

Ally Bank ha adottato diverse campagne usando giochi per mettere in evidenza i consumatori sulla finanza personale. La banca si è anche superata con il suo gioco di realtà aumentata “Ally + Monopoly“. Il gioco ha trasformato sei città degli Stati Uniti – Charlotte, Detroit, New York, Chicago, Seattle e Dallas – in tavoli da gioco dal vivo Monopoli. Pokémon Go incontra il settore bancario e il denaro.

Centier Bank dello Stato dell’Indiana ha offerto la propria gamma di risparmi, con tanto di premi in denaro, attraverso un’app chiamata Billinero. Il nome dell’app di gioco è una composizione di “Bill”, come in valuta, e “Dinero”, spagnolo per soldi.

Anche le nuove banche stabilite come Monzo aprono la discussione direttamente nei loro forum mostrando non solo un forte interesse nello sviluppare tali soluzioni, ma la volontà di svilupparle proprio come i loro consumatori più fedeli le preferiscono.

Le Critiche

Se sembra tutto divertente e giochi, anche la gamification ha i suoi critici. Alcuni studi dimostrano che i giochi e le loro ricompense estrinseche (trofei, badge, ecc.) possono essere dannosi per la nostra motivazione intrinseca, che generalmente ci motiva a fare qualcosa senza il ronzio della ricompensa o delle congratulazioni. Tra i maggiori detrattori, Ian Bogost, professore presso il Georgia Institute of Technology e autore di Play Anything. Ian ha criticato la gamification ed il modo in cui “trasforma il noioso in straordinario. Prendi il tuo lavoro: ottenere punti per tenere in ordine la tua scrivania lo rende divertente?”.

Conclusione

La gamification può rendere divertente il risparmio, ma può aiutare i consumatori a raggiungere i loro obiettivi? Ci sono alcune prove che suggeriscono che funzioni. Commonwealth, un’organizzazione che aiuta le persone a diventare finanziariamente sicure, ha condotto studi e sviluppato giochi come SavingsQuest, uno strumento online e mobile considerato il primo “Fitbit per il risparmio”.

Non esiste alcuna garanzia che la gamification aiuterà ogni consumatore a costruire o far crescere un fondo di emergenza. Ma potrebbe fornire la motivazione necessaria per spendere meno e risparmiare di più.

In ogni caso i segnali che la gamification può potenziare un business sono molteplici e ormai assodati. Per una azienda B2C potrebbe essere una possibilità ulteriore da inserire nei propri servizi al cliente in quei settori che vogliamo far crescere o in cui un maggiore coinvolgimento del cliente risulterebbe portare vantaggi a lui e all’azienda.

Brand-sostenibili-canapa

5 brand sostenibili che hanno scelto l’ultimo trend della moda: la canapa

  • I dati relativi all’impatto ambientale della moda fast-fashion hanno dimostrato come questo modello di business non sia sostenibile sul lungo periodo;
  • La risposta di molti brand a questa crisi è l’utilizzo di materie prime che riducano le emissioni, prima tra tutte la fibra di canapa tessile.

 

Da tempi immemori vittima del proibizionismo e oggetto di innumerevoli controversie, la pianta di canapa si conferma sempre di più una preziosa risorsa nei più svariati settori industriali (bioedilizia, alimentare, tessile, e via dicendo), in un momento storico in cui la necessità di una svolta sostenibile appare lampante come mai prima d’ora.

L’enorme potenziale di questa materia prima non è sfuggito ai brand di moda più attenti alle problematiche ambientali, che vogliono mantenere alti gli standard qualitativi dei loro prodotti, e allo stesso tempo adottare un approccio sostenibile per ridurre le emissioni inquinanti.

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito alla crescita smisurata del fenomeno fast fashion, denunciata da Giorgio Armani nella sua lettera aperta al quotidiano americano Women’s Wear Daily come responsabile non solo di un netto abbassamento della qualità dei capi sul mercato, ma anche di aver fatto dell’industria tessile una vera e propria minaccia per il pianeta.

La moda fast, si sa, alimenta costantemente l’impulso all’acquisto ed è caratterizzata da un sempre più rapido ricambio di capi d’abbigliamento, economici e fatti per non durare troppo a lungo (chi produce fast fashion arriva a lanciare fino a 50 collezioni in un anno). Questa logica di produzione ha degli effetti a dir poco devastanti per il pianeta, in termini di sovrapproduzione e conseguente difficoltà di smaltimento della mole di invenduto, oltre che impiego di materie prime e tecniche di lavorazione ad alto impatto ambientale.

LEGGI ANCHE: Chi sono i brand di moda che dicono no alla plastica e scelgono la sostenibilità

brand-sostenibili-canapa

Per citare solo qualche dato relativo ai materiali maggiormente impiegati, il cotone occupa da solo il 3% dei terreni coltivati in tutto il mondo e richiede il 25% di pesticidi e fertilizzanti impiegati in totale; mentre per la produzione di poliestere, fibra che da sola copre il 47% dell’intera produzione d’abbigliamento a livello mondiale, ogni anno viene rilasciato nell’atmosfera l’equivalente delle emissioni di gas serra generate da 185 centrali elettriche e a carbone.

La coltivazione della canapa industriale, invece, richiede meno di un terzo delle risorse idriche e dei pesticidi impiegati per la produzione del cotone, con una resa di fibre estratte per ettaro del 250% in più. Rispetto al lino, si calcola addirittura una resa maggiore del 600%.

Senza contare che netta riduzione di CO2 nell’atmosfera a cui si andrebbe incontro, incrementando la coltivazione di questa pianta che, in fase di crescita, si stima che assorba una quantità di anidride carbonica pari a 4 volte quella immagazzinata dagli alberi.

Gli indumenti realizzati a base di fibre di canapa sono circa 2,5 volte più resistenti dei tessuti sintetici oltre che completamente biodegradabili: proprio per questo, molti brand che fanno della sostenibilità un punto focale della propria mission, continuano ad investire nella ricerca e sviluppo di materiali e tecnologie per la realizzazione di capi hemp-based.

brand-sostenibili-canapa

Tra i brand più eco-friendly, ecco quelli che si sono distinti negli ultimi anni per aver ideato e realizzato intere linee che vedono come protagonista questa pianta dalle innumerevoli risorse.

Levi’s Wellthreat x Outerknown

Marchio per antonomasia del jeans in denim, Levi Strauss & Co, ha presentato alla fine della scorsa estate una nuova collezione, realizzata in collaborazione con il brand d’abbigliamento Outerknown, interamente a base di cottonized-hemp, una fibra ottenuta dalla miscela cotone e canapa.

Con un occhio rivolto all’innovazione e l’altro alla responsabilità sociale e ambientale, il colosso californiano del blue jeans apre così la strada a un nuovo denim più green, puntando a ridimensionare in maniera significativa l’utilizzo di acqua e pesticidi nelle coltivazioni destinate alla produzione.

LEGGI ANCHE: Le aziende che si impegnano per l’ambiente esistono (e ci guadagnano anche)

Patagonia

Il noto brand di abbigliamento tecnico e sportivo outdoor, da sempre attento ad offrire ai suoi clienti solo capi di prima scelta, presenta la sua prima linea di hemp clothing nel 2017, a base di fibre di canapa miste a cotone organico, poliestere riciclato e tencel.

L’azienda, impegnata sul fronte sostenibilità, mira a recuperare un antico know how in materia di coltivazione e lavorazione delle fibre di canapa, in particolar modo dopo l’approvazione del “2018 Farm Bill” che sancisce l’erogazione di incentivi per la coltivazione e la ricerca sulla canapa industriale.

L’obiettivo di Patagonia è sfruttare a pieno il potenziale di quest’opportunità di business, come dichiarato da Alexandra La Pierre, responsabile ricerca e sviluppo materiali di Patagonia:

“Non abbiamo coltivato la canapa negli USA da così tanti anni da aver perso parte di questa tradizione e della nostra conoscenza storica. Ora è il momento di recuperare”.

Jungmaven

Brand d’abbigliamento casual, per Jungmaven la moda sostenibile è una vera e propria vocazione, e fin dalle sue origini ha puntato sulla canapa come materia prima per la sua capacità di rigenerarsi rapidamente e gli enormi benefici sull’ambiente.

Con un’esperienza ultraventennale in ambito hemp clothing, oggi Jungmaven è un marchio d’alta moda eco-consapevole, i cui capi sono sfoggiati da molte celebrità.

Utilizzare la canapa è una scelta etica, un atto di responsabilità verso il pianeta, che diventa parte di un cambiamento a tutto tondo, che implica un ripensamento di un stile di vita culturalmente e socialmente determinato.

Recreator

Street e irriverente, Recreator non si accontenta di adottare la canapa come materia prima, ma sfida ogni pregiudizio giocando con gli stereotipi sulla pianta, con delle grafiche sulle sue t-shirt che di certo non mancano di creatività.

brand-sostenibili-canapa

Coniugando le tradizionali tecniche di coltivazione della pianta con le tecnologie di lavorazione più innovative, e condendo tutto con uno stile underground, l’azienda di Los Angeles trasforma la canapa da hippie a hipster.

Hempy’s

Come suggerito dal nome del brand, anche il modello di business adottato in casa Hempy’s mette in primo piano la salute del nostro pianeta, proponendo capi di qualità a prezzi comunque accessibili.

Tutti gli articoli firmati Hempy’s sono realizzati in canapa e cotone organico, per poter garantire capi resistenti, traspiranti e che non provochino prurito o irritazione.

Casual e confortevoli, i prodotti Hempy’s si adattano a qualsiasi stile e spaziano dall’abbigliamento agli accessori, e constano anche di una linea di cosmetici bio, naturalmente, anche questi hemp-based.

Decreto liquidità, accordo Banca Sella-Credimi per finanziamenti “Liquidità 100”

In questi giorni abbiamo compreso sempre meglio quanto sia essenziale questo aspetto per le aziende per un reboost di tutte le attività.

Banca e Fintech oggi sono insieme per favorire l’accesso alla liquidità alle ditte individuali, in modalità totalmente digitale, senza andare in succursale, e in tempi molto veloci. Banca Sella, già attiva nell’open banking, nell’ambito delle iniziative che sta avviando per supportare l’economia e i clienti in difficoltà a causa dell’emergenza covid-19, ha firmato un accordo con la Fintech Credimi, leader europeo del finanziamento digitale alle imprese, nella quale detiene anche una partecipazione.

Grazie a questa partnership Banca Sella potrà garantire ai propri clienti, che svolgono attività economica rientrante nel perimetro previsto dal cosiddetto decreto liquidità, tempi ancora più rapidi per la gestione delle domande di finanziamento previste dal decreto, che prevede la possibilità di richiedere un prestito fino a 25 mila euro o comunque non superiore al 25% dei ricavi 2019, con la copertura del Fondo di garanzia del 100%.

liquidità 100 banca sella credimi

Credits: Depositphotos #79691248

Come funziona l’accordo

Le ditte individuali, clienti di Banca Sella, potranno richiedere questo finanziamento direttamente dall’internet banking, senza passaggi in filiale e senza presentare alcun modulo o documento cartaceo. A questo punto la domanda verrà presa in carico dai sistemi di Credimi, che processerà la richiesta in maniera quasi automatica, interfacciandosi digitalmente con il Fondo Centrale di Garanzia, senza alcun aggravio per il cliente, escluse le firme (tutte digitali) richieste dalla legge. La risposta arriverà sempre in pochi giorni e l’erogazione avverrà immediatamente dopo il rilascio della garanzia. Questo processo di lavorazione – dedicato alla partnership con Banca Sella – è stato messo a punto e rilasciato in una settimana.

“L’accordo con Credimi – ha dichiarato Andrea Massitti, Head of Corporate and Small Business di Banca Sella – rientra nell’ambito delle iniziative che la nostra Banca ha messo in campo nelle ultime settimane per supportare l’economia e i clienti in difficoltà a causa dell’emergenza Covid-19. In particolare, rispetto alle domande di finanziamento previste dal decreto liquidità, ci siamo organizzati per garantire ai nostri clienti tempi rapidi nella gestione delle richieste sia al nostro interno che attraverso la partnership strategica con Credimi. Questa organizzazione ci permette di rispondere alle esigenze dei clienti ed evadere le richieste nel minor tempo possibile”.

Da Gucci a FCA, quali sono stati i brand italiani che hanno riconvertito la produzione durante l’emergenza

  • Tanti brand si sono ritrovati, a seguito della pandemia da Coronavirus, a dover riconvertire la propria attività producendo mascherine, camici e gel igienizzanti;
  • Circa 180 aziende italiane del settore moda (ma non solo) si sono unite e hanno creato delle filiere per aiutare il personale sanitario.

 

In questi mesi, il mondo è cambiato. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha modificato le vite e le abitudini di ognuno di noi, ha trasformato il nostro lavoro e riadattato le nostre priorità, ha messo a dura prova la nostra resistenza, la forza d’animo ed economica di ogni singolo individuo e ogni singola famiglia. Adesso la ripartenza sembra sempre più vicina, anche se molto lenta e graduale.

Tutti, in un modo o nell’altro, hanno fatto la propria parte e dato il proprio contributo alla causa. Dal più piccolo gesto di solidarietà alla più grande e “rumorosa” donazione economica, chi ha potuto aiutare – in linea di massima – in questo periodo, lo ha fatto.

Sono tantissimi, ad esempio, i brand italiani che hanno riconvertito la propria attività e si sono messi a produrre mascherine, camici e gel igienizzanti da fornire gratuitamente al personale sanitario, in prima linea per affrontare l’emergenza, e ai cittadini italiani.

Vediamone alcuni.

LEGGI ANCHE: Cosa fare (e cosa non fare) per comunicare ai tempi del COVID-19

Il settore fashion: da Fendi a Calzedonia

Sono state circa 180 le aziende italiane della moda che si sono unite ed hanno creato due filiere per produrre ben 2 milioni di mascherine al giorno, per la maggior parte pro bono. Grandi brand come Fendi, Gucci, Armani, Valentino e Ferragamo hanno riconvertito – almeno in parte – la propria produzione, per fronteggiare l’emergenza Coronavirus

La casa di moda Ermanno Scervino ha acquisito a pieno la modalità di lavoro in smart working per i propri dipendenti e gli ha chiesto di realizzare mascherine da destinare alle aziende sanitarie della Toscana. Ogni giorno, alcuni addetti consegnano alle sarte di Scervino il cosiddetto “tessuto non tessuto” per realizzare le mascherine e ritirano i prodotti già confezionati.

Ancora, Prada ha realizzato 80 mila camici e 110 mila mascherine. 

Gucci ha donato 1 milione e 100 mila mascherine chirurgiche e 55 mila camici alla Regione Toscana. E Giorgio Armani, dopo aver donato 2 milioni di euro agli ospedali, ha convertito tutti i propri stabilimenti produttivi per realizzare camici monouso per gli operatori sanitari. 

Anche Calzedonia ha riconvertito la propria produzione e formato il proprio personale per realizzare materiale monouso da donare a chi lavora in trincea contro il Covid-19.

LEGGI ANCHE: La campagna di Heineken “Ode to close” è un inno alla vicinanza responsabile

Da Menarini a #RaiseYourSpirits di Bacardi

Non soltanto camici e mascherine, ma anche gel igienizzanti e prodotti disinfettanti per ambienti. Ad occuparsene, ai tempi del Covid, sono state tantissime aziende italiane che hanno – in parte o completamente – riconvertito la propria produzione e aiutato tantissime persone e strutture.

Il colosso farmaceutico Menarini ha deciso di produrre 5 tonnellate di gel disinfettante a settimana da donare agli ospedali. Bulgari ha prodotto gel disinfettante per un totale di 6000 pezzi al giorno, 200.000 pezzi in circa due mesi.

E ancora, L’Erbolario e l’azienda Davines di Parma hanno lavorato per produrre e consegnare enormi quantità di gel e disinfettanti per ospedali e strutture sanitarie.

Tra i tanti, Bacardi si è distinto non solo per aver utilizzato il suo alcol per realizzare gel disinfettanti, ma anche per l’iniziativa #RaiseYourSpirits attraverso la quale ha messo a disposizione dei membri della comunità dei bartender di tutta l’Europa occidentale 1,5 milioni di euro. 

LEGGI ANCHE: 5 business colpiti dal Coronavirus e 5 che potrebbero guadagnarci

Ma sono ancora tantissime le piccole e grandi aziende e le industrie che si sono messe alla prova e hanno dato una mano ad un’Italia fortemente provata dall’emergenza sanitaria. Gli ingegneri di FCA e Ferrari, ad esempio, stanno collaborando con l’azienda Siare Engineering – una delle poche produttrici di respiratori – per aiutarli ad aumentare la produttività.

Ancora, industrie tessili come Confindustria Moda e Bc Boncar che hanno intercettato i materiali idonei alla realizzazione di camici e mascherine e hanno cominciato a produrne per dare una mano alla comunità.

C’è poi il caso di Apulia Stretch che ha sperimentato un nuovo tessuto idrorepellente all’esterno e idrofobico all’interno, molto simile al “tessuto non tessuto” (Tnt) che sarà distribuito alle sartorie e utilizzato per produrre mascherine.

Insomma, esiste un’Italia che davvero non si ferma e non lascia solo chi ne ha bisogno. Sono i brand conosciuti in tutto il mondo per l’alta qualità delle proprie produzioni e il grande cuore che mettono nel proprio lavoro, anche quello che prescinde la quotidianità. 

comunicare ai tempi del coronavirus

Cosa fare (e cosa non fare) per comunicare ai tempi del COVID-19

  • Empatia, creatività e innovazione sono le parole chiave che permettono di andare avanti e di portare cambiamenti per prepararsi al futuro;
  • Per un brand la vera sfida del momento è qualcosa che finora abbiamo dato per scontato: comunicare.

 

Questo virus ha stravolto e probabilmente continuerà a cambiare la nostra vita nei prossimi anni. In bene o no questo lo deciderà il futuro; il punto vero sta nel cercare sempre un lato positivo anche nella situazione più buia.

Forse sembra una frase fatta, ma a volte gli scossoni possono portare nuove idee, bisogni e modi di fare differenti, magari migliori del passato.

Parlando di brand e di marketing in questo periodo conta esserci. Esserci per i propri clienti, mettendo conversion e revenue in secondo piano.

Parliamo anche qui di un’opportunità; quella di farsi conoscere per quello che si è, per i propri valori. Costruire brand awareness in un periodo così complesso potrebbe quasi sembrare folle, eppure può essere il primo vero passo per ricominciare e gettare le basi per il ritorno alla normalità, se così potremo chiamarla.

LEGGI ANCHE: Come cambia il ruolo del Social Media Manager in situazioni di emergenza (e cosa puoi fare adesso)

Non smettere di comunicare, ma non over comunicare

La prima azione da compiere è non scomparire; se fino al giorno prima le vostre promesse erano quella di creare engagement, non potete pensare di lasciare soli i vostri clienti in questo momento.

Oggi è molto importante essere attivi, senza esagerare, per consolidare la fiducia data nei vostri valori e nel brand o anche, perché no, trovare nuovi follower, potenziali consumatori di domani.

Cambiare il vostro piano di contenuti può aiutarvi a pensare in modo nuovo, a concentrarsi su attività e post che prima potevano sembrare troppo azzardati: pensiamo a workshop o allenamenti online, alle dirette su Instagram.

I brand stanno riscrivendo il modo di comunicare e di interagire con tutti, gettando solide basi per le attività future.

Importante però non andare alla cieca e avere fin da subito chiari i punti di forza della propria identità di brand, investirci e puntare su un piano di contenuti chiaro, flessibile e reattivo ma non eccessivamente volubile, così da consolidare la brand awareness e non creare confusione.

LEGGI ANCHE: Come reinventare il tuo Content Marketing durante la quaratena

Parola d’ordine: empatia

Il secondo punto è non terrorizzare i propri utenti con messaggi cupi, o tristi. Non è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento. Ma nemmeno ignorare la situazione e avere toni eccessivi.

Questo è davvero il tempo di essere empatici; parlare con gli utenti mostrandosi a conoscenza della gravità della situazione e anche dello stress che questa può causare loro, senza gettare panico, ma tranquillizzando e proponendo alternative di intrattenimento o modi di comunicare che permettano a tutti di imparare cose nuove, evadere dalla realtà o pianificare già il prossimo futuro.

Promozioni o non promozioni?

I brand non possono dimenticarsi del business, ora più che mai. I numeri parlano di contrazioni di consumi, e con negozi chiusi e con stock invenduto la vendita online è l’unica vera opportunità in questo momento. Inoltre i consumatori non sentono necessità di spendere per abbigliamento, cosmetici, prodotti di consumo.

Le promozioni sono l’unica leva vera capace di smuovere i consumi, ma non bisogna eccedere, per non perdere credibilità e per non cambiare per sempre l’immagine del brand.

Sarebbe più corretto costruire calendari che tengano conto di promozioni ma anche di periodi a prezzo pieno, in cui comunicare, in modo soft, le novità, o puntando su categorie (come comfy apparel) più adatte al periodo e che possano essere interessanti lato consumatori.

Il Covid-19 ha creato sicuramente una situazione molto difficile per noi, per i nostri cari, per il mondo intero. Ma può essere una grande chance per noi come persone e per i business e brand per cui lavoriamo o che amiamo, per rinascere e creare innovazione per il “dopo”, qualunque forma abbia.

Nel tech per le donne ci sono ancora stereotipi da abbattere e insicurezze da vincere

  • È un dato di fatto: le aziende che assumono donne sono più produttive, ciononostante il gender gap continua a persistere;
  • Le insicurezze e gli stereotipi influenzano i percorsi lavorativi delle donne nel settore tech;
  • Il report della Commissione europea dimostra che gli uomini – a parità di esperienza – valutano con più ottimismo le proprie competenze rispetto alle donne.

 

Prima di approfondire la tematica “donne in tech”, è necessario citare gli studi della Columbia University secondo i quali aziende con alte percentuali di dipendenti donne superano i loro concorrenti in termini di redditività. Nonostante ciò, posizioni di vertice, promozioni e salari più alti non sono equamente distribuiti tra i generi. I motivi attribuiti al divario sono diversi, tra cui le barriere burocratiche e le differenze culturali. Numerosi studi, inoltre, dimostrano come la carenza di fiducia nei propri mezzi delle donne le spinga spesso a sottovalutarsi e a frenarsi.

La disparità per le donne in tech

Women in the digital age, il report della Commissione Europea sulla disparità di genere nel settore tecnologico, dimostra che il divario tra uomo e donna è ancora grande. Il gender gap nelle alte posizioni dell’high-tech è ancora quasi il doppio rispetto agli altri settori.

Al giorno d’oggi, nel settore della programmazione, le developer di sesso femminile sono sotto-rappresentate. Il digital report conferma il cosiddetto “confidence-gap” ovvero che le donne – a parità di anni di esperienza dei colleghi maschi – sottovalutano le loro capacità. Su una scala da 1 a 10, più del 70% dei developer maschi hanno valutato le loro abilità nella programmazione con voto 7 o più, mentre solo la metà delle donne ha scelto di darsi un voto uguale o superiore al 7.

Report "Women in the digital age"

Statistica tratta dal report della Commissione europea “women in the digital age”

Gli stereotipi di genere hanno fatto sì che le donne tendano molto meno degli uomini a pubblicizzare i risultati ottenuti.

La scrittrice e giornalista di ABC News Claire Shipmann, nel suo libro “The Confidence Code”, racconta che inizialmente giustificava il suo successo avuto come corrispondente della CNN con un semplice “sono solo fortunata”, essendosi trovata a suo parere nel posto giusto al momento giusto.

Inconsciamente credeva che i suoi colleghi di sesso maschile, in quanto più sicuri di sé, dovessero parlare di più in televisione rispetto a lei. Ma erano davvero più competenti?

LEGGI ANCHE: Un progetto di street art ha celebrato a Londra il centenario del voto alle donne

Donne in tech: l’insicurezza alla base delle scelte lavorative

La carenza di fiducia femminile è sempre più quantificata e documentata. Nel 2011, l‘Institute of Leadership and Management, nel Regno Unito, ha effettuato un sondaggio tra i dirigenti britannici sulla fiducia che hanno nelle loro competenze. La metà delle donne intervistate ha espresso dubbi su prestazioni lavorative e carriera, rispetto a meno di un terzo degli intervistati di sesso maschile. 

Hewlett-Packard (HP) diversi anni fa ha condotto degli studi per cercare di capire come portare più donne nelle posizioni di vertice. La revisione dei documenti interni ha rilevato che le donne assunte da HP hanno presentato domanda di promozione solo quando ritenevano di soddisfare il 100% delle qualifiche elencate per la posizione offerta. Gli uomini invece erano felici di candidarsi quando pensavano di poter soddisfare il 60% delle esigenze lavorative. Vari studi antecedenti a quelli di HP confermano l’ipotesi che la maggioranza degli uomini, seppur sotto-qualificati e sotto preparati per una certa mansione, non pensano due volte prima di lanciarsi in una nuova sfida.

Il cosiddetto “sesso debole” in realtà non lo è. È forse debole chi passa ore ed ore in sala parto per mettere al mondo un figlio? È debole colei che mensilmente si reca al lavoro seppur abbia il ciclo con forti dolori mestruali? È debole chi giostra famiglia-lavoro-casa?

Storia di una donna in tech: Mada Seghete, dal fallimento al successo

La carriera di Mada Seghete, oggi CEO di una startup della Silicon Valley, è iniziata quando ha lasciato la sua città natale in Romania per studiare ingegneria informatica negli Stati Uniti. Rimasta poi all’università per ottenere anche un master in economia aziendale, il suo primo tentativo di avviare un’azienda è stato un fallimento, ma proprio in quel momento di crisi ha scoperto una lacuna sul mercato, trasformando così la sua impresa.

Seghete racconta d’aver trovato equilibrio e supporto in gruppi di imprenditrici, dove ha potuto esprimere liberamente dubbi e insicurezze.

“Credi nel fatto di potercela farce. Credi che solo il cielo sia il limite. Credi che puoi fare più di quanto pensi di poter fare”.

In questa video-intervista racconta la sua carriera come donna in tech.

Il femminismo non è contro il genere maschile

Il femminismo ideologicamente non combatte per togliere diritti al genere maschile, ma combatte per ricevere equamente gli stessi diritti. Scende in strada anche per i diritti degli uomini, dei padri. Perché anche i neo-papà, al giorno d’oggi, non possono automaticamente prendersi un periodo di paternità, a meno che le circostanze non lo richiedano.

Ciononostante, molte persone alla parola “femminista” storcono ancora il naso o rispondono con un semplice “il mondo ha altri problemi”. Parlando di problemi, vogliamo citarne solo alcuni:

  • I dati del rapporto Eures 2019 su Femminicidio e violenza di genere mostrano che in Italia nel 2018 sono state 142 le donne uccise, +0,7% rispetto all’anno precedente, il valore più alto mai censito in Italia;
  • Il senato del Missouri nel 2019, composto maggiormente da uomini, ha deliberato che l’aborto dopo la 6a settimana rappresenta un reato, anche di fronte a stupro o incesto. Un giudice federale ha poi bloccato l’entrata in vigore della norma.
  • Il gender gap persisterà nel mondo in media per altri 99 anni. In Italia ci vorranno circa 54 anni per superare il divario;
  • Oggi, oltre ai femminicidi e alle violenze domestiche, non mancano innumerevoli episodi di insulti e l’uso di linguaggi violenti. Non basterebbe un articolo per completare la lista. L’avversario dei femministi e delle femministe non sono dunque gli uomini, ma è un sistema di ideologie discriminatorie.

LEGGI ANCHE: Netflix presenta Luna Nera con un’installazione contro la persecuzione delle donne

Genau das! ???

Pubblicato da EDITION F su Martedì 13 agosto 2019

L’educazione è fondamentale

La società odierna educa maggiormente le bambine ad essere gentili, perfette e diligenti, mentre i bambini ad essere più forti e più combattivi, ad avere successo, ad osare.  I media, i libri e le pubblicità negli scorsi anni – con le dovute eccezioni – suggerivano alle bambine di aspirare ad una vita da principesse in attesa di un principe che le salverà. Ai bambini invece ad essere forti come i supereroi. L’esperimento della BBC spiega come gli stereotipi di genere possono involontariamente educare i bambini e le bambine a comportasi in un certo modo.

Insegniamo il coraggio, non la perfezione

Reshma Saujani, una delle più conosciute donne in tech, CEO e fondatrice di Girls who code, insiste sull’importanza di educare ogni ragazza a essere coraggiosa: è necessario uscire dalla logica della perfezione, perché è proprio questo tipo di educazione che favorisce atteggiamenti arrendevoli ed eccessivamente prudenti. “Dobbiamo insegnare loro ad avere fiducia, a osare e a credere nelle proprie capacità. È ormai famoso il discorso tenuto da Saujani al TEDx, da vedere e rivedere:

“Insegnate alle giovani donne il coraggio piuttosto che la perfezione”.

Anche il detto “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna” è fuori luogo, non è più al passo con i tempi. Le grandi donne hanno diritto di stare affianco ad un grande uomo, non dietro. (Per par condicio: I grandi uomini hanno diritto di stare affianco ad una grande donna, non dietro).

week in social

Week in Social: dai nuovi sticker su Instagram e TikTok alle video call a 8 su WhatsApp

Iniziamo maggio con le principali novità dal mondo dei social. Leggiamo insieme la prima Week in Social del mese, per restare sempre aggiornati, come un vero Ninja dovrebbe fare.

Donation sticker per i social

Instagram continua a lavorare per aiutare i business in difficoltà a causa dell’impatto che il Covid-19 sta producendo su persone ed economia. Per questo, oltre alle misure già introdotte nei giorni scorsi, questa settimana lancia una nuova feature che permette di raccogliere fondi durante le Instagram live.

La piattaforma social assicura che il 100% dei soldi raccolti saranno devoluti a una realtà non profit che potrai scegliere tu stesso. Per andare live, basterà selezionare l’opzione “Fundraiser“. Durante la diretta potrai monitorare, oltre alle view, il numero di persone che dona per la tua causa. E, dal lato utente, una volta effettuata la donazione, i donatori potranno usare lo sticker “I donated” nelle stories.

Sarà un caso che la notizia sia arrivata in contemporanea con il lancio del nuovo set di Donation Stickers su TikTok?

Una notizia non ufficiale riguarda invece la possibilità che sulle Instagram Stories arrivi il ‘DM Me’ sticker.

È ufficiale: videochiamate a 8 su WhatsApp

La scorsa settimana avevamo anticipato la notizia, ma eravamo in attesa di una dichiarazione ufficiale. Ed è arrivata.


Visto il tempo trascorso dagli utenti in app, e quello lontano dalle persone che amiamo, oltre al diffondersi di app per le video call, WhatsApp ha pensato bene di dare al web uno strumento in più per restare connessi, portando il limite delle videochiamate da 4 a 8 persone.

LinkedIn, Pinterest e Snapchat, in breve

Pare che LinkedIn stia sperimentando una nuova preview link.


Mentre Pinterest questa settimana ha lanciato ‘Stand for Small’: una serie di nuove risorse per gli small business. Si tratta di training, opportunità di networking e mentorship.

E se ti va di divertirti sperimentando diversi look in virtual reality, prova la nuova videocamera di Snapchat, realizzata in collaborazione con L’Oréal.

LEGGI ANCHE: Google Meet diventa gratis per tutti dall’1 maggio (e fino a settembre)

Notizie dell’ultima ora

Chiudiamo la nostra Week in Social con la notizia dell’arrivo di nuovi font sulle Instagram Stories e di una nuova feature di LinkedIn, pensata per aiutare i recruiter e le persone in cerca di lavoro. Sembra che ai potenziali candidati verrà data la possibilità di rispondere alle domande dei recruiter via video.

Un modo per testare skill di comunicazione e presentazione. Ma poichè non tutti siamo a nostro agio di fronte a una videocamera, la scelta di usare o meno questa modalità sarà a discrezione dell’utente.

Un ultimo tool riguarda invece la possibilità, per gli utenti di LinkedIn, di registrare un video mentre rispondono a domande generiche, quelle che di solito ti fanno durante i colloqui di lavoro, e chiedere poi un feedback all’AI di LinkedIn. Vuoi provarlo? Qui il link.

Google Meet diventa gratis per tutti dall’1 maggio (e fino a settembre)

  • Il servizio di video conferenza di Google da domani sarà gratuito;
  • I meeting virtuali possono ospitare fino a 100 persone in contemporanea;
  • Per arginare eventuali minacce alla sicurezza e alla protezione dei dati Google ha introdotto nuove misure.

 

Da domani, Google Meet sarà gratis per tutti gli utenti. Il servizio di video conferenza solitamente incluso negli account Enterprise ed Education è ora accessibile a chiunque abbia un account Google attivo.

Ad annunciarlo è lo stesso Big G, confermando che i virtual meeting potranno ospitare fino a un massimo di 100 persone contemporaneamente.

Dal 1°maggio al 30 settembre la durata delle video-conference non avrà alcun limite di tempo, mentre da ottobre tutti gli account basic potranno usufruire di questo servizio gratuito solo per un massimo di un’ora.

Il rollout di Google Meet annunciato per maggio sarà graduale.

carriera nel digitale

Come accedere ai meeting su Google Meet

Per accedere a una conference occorre essere connessi al dispositivo su cui si si usa Google Meet, non solo avere un account Google.

Questa è solo la prima delle misure di sicurezza implementate da Big G per impedire che utenti anonimi possano inserirsi nel virtual meeting.

Inoltre, tutti coloro che sono aggiunti alla riunione video – per esempio attraverso il semplice invio di un link – senza essere stati preventivamente invitati su Google Calendar, vengono ammessi preventivamente in una virtual room d’attesa, fino a che l’host non avrà approvato la loro partecipazione.

Google tiene a evidenziare che le conference su Meet vengono crittografate in tempo reale e tutte le registrazioni archiviate su Google Drive restano criptate.

Per creare una riunione o per avviarla da browser è sufficiente atterrare sull’home di Google Meet, mentre se si opera da mobile è necessario scaricare l’applicazione gratuita su App Store e Play Store.

google meet gratis

Verso il New Normal, i dati di Google Meet

La mossa di Big G tende a favorire la transizione alla fase di “new normal” di tutti coloro che continueranno a lavorare da casa e viene anche incontro all’esigenza di creare classi scolastiche virtuali.

In tal senso, Google ha rilasciato un’analisi dei dati sull’utilizzo di Meet nelle ultime settimane:

  • da gennaio, l’utilizzo quotidiano di Meet è aumentato di 30 volte.
  • Ogni giorno, Meet ospita conferenze video per un totale di 3 miliardi di minuti e rileva 3 milioni di nuovi utenti.
  • Dalla settimana scorsa, coloro che ogni giorno si riuniscono Meet superano i 100 milioni.

google meet gratis

Quali sono le misure di sicurezza di Google Meet?

Vediamo insieme tutte le misure implementate da Google per garantire sicurezza del servizio di video-conference.

  •  Gli host sono dotati di una serie di poteri controllo , inclusa la possibilità di ammettere o negare l’accesso a una riunione, disattivare o rimuovere alcuni partecipanti all’occorrenza.
  • Alle conference non sono ammessi utenti anonimi, questo significa che gli che user privi di un account Google non possono partecipare ai meeting creati dagli account dei singoli utenti.
  • Di default, i codici per partecipare alle riunioni sono complessi e quindi resilienti a qualsiasi tentativo di accesso forzato.
  • Come accennato, le conference su Meet vengono crittografate in tempo reale e tutte le registrazioni archiviate su Google Drive rimangono criptate.
  • Non è necessario alcun plugin per installare Meet. Il servizio funziona direttamente su Chrome e altri browser, per questo motivo è meno vulnerabile ad eventuali minacce.
  • Gli utenti Meet possono registrare il proprio account all’interno del Programma di Protezione Avanzata di Google, sistema di protezione contro il phishing e il furto di identità
  • Tutti i servizi di Google Cloud sono sottoposti a rigorosi controlli di sicurezza e privacy.
  • I dati degli utenti su Meet non vengono usati a fini pubblicitari, né ceduti a terzi.
  • Google offre questo servizio su attraverso una rete privata altamente sicura che connette tutti i data center tra loro – garantendo la sicurezza dei dati.
  • Per maggiore trasparenza, Big G ha reso pubblica la posizione di tutti i suoi data center.

Coronavirus e Digital Transformation: spinte evolutive per la direzione HR

  • Le HR si configurano come il vero driver dell’innovazione e della digital transformation;
  • Le aziende devono ridisegnare i processi aziendali e al tempo stesso rassicurare le persone per accompagnarle verso un nuovo modo di lavorare.

 

L’emergenza sanitaria in corso, scatenata dalla pandemia COVID-19, ha cambiato in poco tempo, e probabilmente cambierà per sempre, le abitudini di vita e di lavoro delle persone. Ha cambiato anche le strategie aziendali e, in particolar modo, ha modificato la gestione e l’organizzazione delle persone verso una modalità di lavoro delocalizzata e sempre più digital.

Questo veloce cambiamento ha portato le Human Resource ad essere il vero driver dell’innovazione e della digitalizzazione. Le HR, infatti, sono state chiamate (dalla sera alla mattina) a reinventare processi organizzativi per consentire all’impresa di proseguire l’attività lavorativa; non hanno solo modificato il modo di lavorare delle persone ma sono profondamente cambiate anche nel loro interno, mettendo in luce in poco tempo skill come leadership e change management.

Digital transformation, digital tools

La prima scelta delle HR, imposta anche dal Governo, è stata quella di implementare velocemente:

Attraverso l’utilizzo di questi strumenti le organizzazioni sono riuscite a dare continuità all’attività lavorativa. La risposta lato umano è stata ottima, passando a una riorganizzazione del privato per accogliere il lavoro all’interno dell’ambiente domestico.

Non solo, le persone hanno dovuto sviluppare differenti capacità: autonomia, collaborazione, condivisione e responsabilizzazione. Perché una modalità di lavoro agile passa, in primis, da un rivoluzione organizzativa d’impresa e poi da un cambiamento personale dell’individuo.

In poco tempo, le HR hanno dovuto creare processi digital che consentissero alle aziende di continuare ad operare, e ai lavoratori delocalizzati di gestire il lavoro in autonomia pur rispettando le scadenze prefissate.

Sfida non facile, perché comporta un cambio culturale e organizzativo obbligato e veloce, legato a questi due fattori:

  • Change management. Con questo termine inglese (traducibile come “gestione del cambiamento”) si intende un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato. Il change management, così come viene comunemente inteso, fornisce strumenti e processi per riconoscere, comprendere e gestire l’impatto umano di una transizione, ad esempio dovuto all’innovazione tecnica o a una variazione nella gestione operativa.
  • Employee experience. Racchiude tutto ciò che un lavoratore osserva e percepisce durante l’intera esperienza di lavoro con una determinata azienda. La qualità di questa esperienza viene influenzata da elementi come gli spazi di lavoro e la flessibilità nella gestione del tempo e degli obiettivi, le interazioni con colleghi e dirigenti, il work-life balance (ovvero l’equilibrio ideale tra lavoro e vita personale, che per ogni lavoratore si trova su un punto diverso), la dotazione di strumenti tecnologici per rendere più efficiente e semplice il lavoro e, ovviamente la remunerazione e la presenza di benefit.

Si va quindi verso una cooperazione forte tra HR (driver) ed employee, ossia verso una visione persona-centrica.

Come le HR modificheranno l’ambiente di lavoro

La pandemia inevitabilmente cambierà le organizzazioni, i metodi di lavoro e le relazioni con le persone.

Ecco come le Risorse Umane diventeranno il driver della digitalizzazione.

Si investirà nell’HR

Il Coronavirus ci sta mostrando la centralità delle risorse umane in tandem con la digital transformation.

Mai come in questa situazione abbiamo visto che investire in questo binomio, ha consentito di dare continuità all’attività lavorativa utilizzando la digitalizzazione come medicina contro il virus, consentendo altresì, in alcuni casi, anche di aumentare le performance dei collaboratori.

Si andrà verso un modello employee-centric

Le HR lavoreranno per:

  • Un coinvolgimento importante dei lavoratori partendo dai punti di forza di ciascuno. In questo modo si otterrà maggiore produttività anche in situazione di lavoro a distanza;
  • KPI innovativi, tra cui: la capacità di progressione, ossia l’abilità di sapersi evolvere velocemente quando necessario, ridefinendo spazi, tempo ed energie, la leadership ecologica, che va in ottica di una valorizzazione della crescita e dell’evoluzione delle persone, la ricerca di Ambassador della Positività, persone che sanno trasformare un momento critico in un’occasione di vicinanza, cioè persone con una buona dose di intelligenza emotiva, empatia e ottimismo.

LEGGI ANCHE: Il Coronavirus ci obbliga ad accelerare e così la digital transformation diventa virale

Si continuerà verso lo smart working ma solo insieme al team building

Non sarà sicuramente possibile far rientrare massivamente le persone sul posto di lavoro, per questo motivo lo smart working sarà ancora, per molto tempo, il protagonista assoluto.

Lo smart working, per funzionare nel modo corretto, dovrà necessariamente essere supportato da un importante lavoro di team building al fine di ottenere una comunicazione efficace, fluida e condivisa in tutti i reparti. Eliminare i protagonismi per dare spazio al lavoro di squadra.

Una grande sfida per le HR.

LEGGI ANCHE: La vera sfida del lavoro da remoto? È per i dirigenti

Si ridisegnerà la formazione

Il ritorno in aula per i consueti appuntamenti formativi rimane ancora un miraggio, per cui è il momento questo di puntare sull’innovazione e sul digital learning.

Le HR dovranno quindi spingere in questa direzione per creare percorsi formativi personalizzati sulle esigenze degli employee in un’ottica di community, come il social learning, ad esempio.

Occorrerà ripensare tutta l’esperienza di apprendimento investendo su metodi sempre più innovativi, gamification e AR su tutti.

Pianificazione e riorganizzazione degli spazi aziendali

Le HR dovranno anche ridisegnare gli spazi aziendali, per accogliere le persone mantenendo la distanza di sicurezza che la legge impone.

Occorrerà strutturare un lavoro su turni, per esempio, oppure creare per alcune tipologie di lavoro (come i commerciali) degli spazio di lavoro virtuali (digital desk).

Cushman & Wakefield, società americana di servizi immobiliari globali, ha elaborato delle linee guida per un corretto rientro in ufficio. “The 6 feet office”, questo il nome del progetto, sta per “6 piedi” (i nostri 2 metri), ovvero la distanza consigliata dagli esperti per evitare la trasmissione del virus da persona a persona. È composto da sei punti chiave.

  1. un’analisi dell’attuale ambiente di lavoro nell’ottica di migliorarlo per impedire la diffusione del virus;
  2. l’introduzione di un codice di condotta che tutti devono rispettare per mantenere l’ambiente in sicurezza;
  3. la creazione di un percorso unico per ogni ufficio con un sistema di segnalazione visivo;
  4. l’individuazione delle figure chiave che possano verificare che tutto il processo si svolga correttamente;
  5. il conseguimento di una certificazione di sicurezza: un attestato vero e proprio che determini la sicurezza del luogo di lavoro;

LEGGI ANCHE: La Digital Transformation dovrebbe partire dalle risorse umane per essere vincente

Le sfide delle HR per il prossimo futuro

Ridisegnare i processi aziendali e, al tempo stesso, rassicurare le persone accompagnandole verso un nuovo modo di lavorare non è una sfida semplice.

Le organizzazioni dovranno inevitabilmente sostenere dei costi per potersi adeguare a questa trasformazione obbligata. Le realtà che hanno già iniziato, nel passato, il percorso di digital transformation sono meno impreparate, ma purtroppo sono ancora tante quelle che non hanno intrapreso questa strada.

Le HR possiedono competenze gestionali e, da un po’ di tempo a questa parte, anche digitali e sono quindi il driver più importante per accompagnare le imprese verso una nuova e mai provata operatività. Appare oramai piuttosto scontato che la modalità di lavoro a distanza sarà ancora per molto tempo la forma di lavoro preponderante in molti settori, per cui le istituzioni dovranno intervenire per introdurre strumenti agevolativi per consentire a tutti di adeguarsi a questa trasformazione in ottica di abbattimento dei costi.

Giovani imprenditori ai tempi del COVID-19: le nuove idee ci salveranno

  • Il 2020 lo ricorderemo, oltre che per la sua bisestilità, anche per uno dei più grandi stravolgimenti prima sanitari e poi economici della storia: il COVID-19
  • I settori trend trainanti, i rapporti sociali, il modo di essere imprenditore: ancora una volta si punta sui giovani per idee innovative che ci guideranno in questo nuovo mondo post apocalittico

 

Alcuni la definiscono come un periodo di crisi mai visto per il nostro tessuto economico, una crisi sanitaria che si è trasformata velocemente anche in crisi economica e dell’imprenditoria, una situazione in cui non si riesce a vederne la via d’uscita certa, ma nella quale oggi ci si sta muovendo per tentativi. Tutto vero, ma poi si legge e si guarda di come, in una situazione così buia, il popolo italiano abbia ritrovato senso di unione e umanità e si sia fatto valere per quello che è: una Nazione piena di innovazione e di idee, che salvano anche la vita, come quelle di alcuni giovani imprenditori.

Ecco che possiamo citare un caso emblematico: Issinnova con il team bresciano guidato da Cristian Fracassi con le sue valvole stampate in 3D che ha trasformato un hobby, lo snorkeling, nella soluzione creando una partnership con Decathlon. O ancora parlare di Copan, guidata dall’italianissima Stefania Riva, a cui è stato chiesto di incrementare la produzione di tamponi per far fronte all’emergenza.

Continuare ad essere un brand di successo convertendo le produzioni per fare la propria parte è forse quello che ci si aspettava, ma essere un neo imprenditore in un contesto come quello attuale è una mossa coraggiosa e cosa più importante di nomi ce ne sono!

Il trend economico per il 2020, previsioni e settori “caldi”

LEGGI ANCHE: Coronavirus: l’impatto dell’epidemia sulla filiera agroalimentare e sui retailer italiani

È importante partire da dove saremmo se il 2020 fosse stato l’anno che tutti si aspettavano. In particolare guardando a quelli che sono e saranno i settori caldi.

Lo scenario previsto all’inizio di quest’anno vedeva tutti gli economisti d’accordo su una crescita del PIL ed una decrescita della disoccupazione nella maggior parte dei Paesi con un ruolo delle banche centrali sempre più defilato.
Insomma si era considerato il 2020 come un anno di rinascita e crescita dopo l’ultima crisi finanziaria.

Sul fronte Globalizzazione, invece, seppur pareva un trend in continua crescita, i dati parlavano di slowbalisation e a questo punto sarà il vero trend economico rilevante: ossia la condizione per il quale tutte le economie del mondo continueranno ad essere interconnesse, ma con meno accelerazione rispetto agli anni passati. Il tessuto locale su cui fare focus si fa un’esigenza sempre più importante e questo sia per i dazi imposti all’import-export di alcuni beni, ma anche per lo sviluppo economico in crescita dei cosiddetti Paesi Emergenti.

Dopo aver inquadrato lo scenario macro, vediamo quelli che sono i settori trend e trainanti dell’economia 2020.

Se i sistemi di pagamento via smartphone sono uno dei comparti in crescita costante da qualche anno, vedi Apple Pay o Google Wallet, e uno dei settori trainanti del Fintech, non solo in Italia, con il raddoppio degli utenti che ne utilizzano le funzionalità anche la sezione bot e chatbot non scherza. Tecnologia sempre più “umana” con un’attenzione particolare alla loro interazione con l’uomo e al fatto che possano rendere interattivi gli oggetti più comuni.

Al terzo e quarto posto un grande tema: l’alimentazione. Non solo per le tecnologie blockchain, ma anche perché forse siamo pronti, o no, al cambiamento: da carne da animali alla farina di insetti. Ce lo dice Fucibo, startup italiana, che per metà maggio ha in programma il lancio della sua linea di pasta con 100% farina di insetti.
Quando invece si preferisce ancora la carne tradizionale, ecco che al quarto posto, si fa strada l’eticità dell’allevamento: focus sugli allevamenti attenti agli animali, al bio o anche solo all’aria aperta; Slowfood ha lanciato una vera e propria campagna di sensibilizzazione verso una riduzione di consumo di carne e di un prodotto di qualità migliore

Quinto e sesto per l’economia della cura così suddivisa: il tech nel beauty e l’attenzione per il prossimo, per altro vero trend del 2020 ad oggi.
L’acquisto di prodotti online di beauty ha un valore attuale di 22,1 miliardi di dollari con una previsione di crescita a 27,8 miliardi nel 2022. Con più mercato per i giovani imprenditori che vogliano partire da un eCommerce per fare la loro fortuna e un diffuso impiego della realtà aumentata per “la prova” sul proprio viso del prossimo makeup.
La cura per gli altri invece, si sta concretizzando in startup come Ugo, in grado di incrociare domanda ed offerta nel campo dell’assistenza alla persona, soprattutto per le esigenze quotidiane come la spesa o il trasporto in ospedale per le visite di routine.

Ultimo, ma legato a quello che il tema ecologia e green, è il settore legato al mondo vegetale, non solo alimentare, ma anche giardinaggio, cura del verde, architettura con nuovi modi di riportare gli alberi in città. Ci basta pensare al lancio del famoso Hashtag #urbanjungle.

Le startup nate con il COVID, l’innovazione non si ferma

Se queste erano le previsioni, probabilmente qualcosa andrà rivisto o solamente adattato, il fintech e la cura del prossimo sono anche in questa situazione COVID oriented tra i settori più di interesse per le nuove startup che si fanno avanti.

Si parla già di economia del confinamento e chi fa o vuol fare impresa la deve conoscere al meglio per sfruttare quelle che sono nuove o vecchie leve che porta con sè.

Questa emergenza, primariamente sanitaria, ha portato al coinvolgimento in una situazione di limitazione delle libertà umane di praticamente tutta la popolazione mondiale e anche quando il lock-down avrà termine le abitudini umane avranno subito un notevole cambiamento, tutto si concentrerà ancora di più sul demand, l’on-line e la consegna a domicilio, gli italiani potrebbero, per una volta, essere un popolo freddo e distaccato.

Se ai grandi brand vogliamo dire di farsi ricordare come chi ha fatto del bene durante l’emergenza e non solo inventando ed implementando format anche social di intrattenimento per i clienti rinchiusi, ma anche, e soprattutto, come colui che ha donato, che ha riconvertito la propria produzione per produrre il materiale utile ai soccorsi e che ci ha messo la faccia nel fare qualcosa per il suo Paese e i suoi dipendenti.
Tranquilli, finita l’emergenza i risultati saranno tangibili: la clientela avrà ben presente su che brand investire e i migliori talenti sapranno qual è l’azienda per cui vogliano lavorare.

E per i giovani imprenditori?

I giovani imprenditori sono sempre una delle risorse più importanti del tessuto economico perché con sé portano nuovi bagagli di conoscenze, nuove idee, la fame di successo e la flessibilità di adattamento.

LEGGI ANCHE: Coronavirus: il crowdfunding lanciato da Chiara Ferragni e Fedez supera i 3 milioni di euro

Ecco allora che sbucano bandi, sia della commissione Europea sia di Innova, per chi è in grado di creare tecnologie ed idee al servizio del periodo di emergenza, che possano essere anche rivoluzionari nel bel mezzo della pandemia.
La Commissione Europea ha messo a disposizione 164 milioni di euro e chiama startup e PMI puntando sul comparto tecnologico e innovativo per il monitoraggio o la misurazione del contagio.
Il bando di Innova, concluso a fine marzo, ha preso in considerazione 3 settori di provenienza dei candidati:
l’ambito DPI, dispositivi di protezione individuale, e respiratori o componentistica per chi è in grado di produrne in quantità:

  • l’ambito diagnosi con i soggetti in grado di produrre tamponi o kit innovativi che misurino il contagio
  • l’ambito monitoraggio e prevenzione includendo tutte quelle app o tecnologie che possano registrare gli spostamenti dei cittadini e relativi comportamenti

Ecco, quindi, che vogliamo citare, dopo aver già citato in apertura Issinova e Fracassi, altre due startup guidate da giovani imprenditori che in questo periodo hanno avuto l’idea, hanno saputo prendere il bello anche da questa situazione come solo dei giovani imprenditori sanno fare.

Il primo caso è quello di Webtek, guidata dal 35enne Piasini, che ha convertito parte della sua azienda di software nella creazione di un’app in grado di tracciare gli spostamenti e con chi è venuto a contatto un paziente positivo al Covid.
La app ha un nome chiaro “Stop Covid 19” e sarà in grado, tramite incrocio di tracciati GPS, di fornire una mappa quasi precisa degli spostamenti del soggetto andando quindi ad intercettare e avvisare chi negli ultimi giorni è venuto in contatto con lui.
E sul tema privacy? L’utente deve fornire autorizzazione, per 2 volte, dell’utilizzo della sua geolocalizzazione ed è obbligato solo a fornire il suo numero di telefono.
Ovviamente questi arresti forzati non danno grande evidenza del funzionamento in quanto la maggior parte dei soggetti è confinata, ma alla riapertura potrebbe rappresentare davvero uno strumento molto utile.

La seconda startup è Pharmap, nata nel 2017 da una coppia di oggi trentenni premiati da Forbes per il 2020 e che sostanzialmente fonda il suo business sulla consegna a domicilio dei farmaci.
Pharmap è un servizio importantissimo per i cittadini che possono ricevere a casa propria i farmaci da loro acquistati abitualmente o occasionalmente anche quelli con prescrizione medica, ma altrettanto importante per la farmacia aderente: una via nettamente utile per incrementare clientela e fidelizzazione.
La startup che già aveva la strada segnata, con un incremento del 200% nel 2019 degli utenti, ha visto incrementare con questa emergenza la sua popolarità garantendo anche la consegna gratuita per un periodo limitato. I piani per il futuro vedono l’azienda proiettata in altri Paesi d’Europa, quindi stiamo a vedere.

Classifiche: i talenti Under 30 del 2020

Ecco quindi che, come da tradizione, spunta la classifica dei 100 talenti under 30 di Forbes sia America che Italia. Sono praticamente 200 ragazzi che con le loro idee stanno cambiando il mondo.

Tra i 100 USA ci sono anche tre nomi italiani: i primi due sono di due sorelle, Recchi che hanno creato un chatbot-tutor per gli studenti universitari (EdSight) e quello di un italoamericano, Stefano Daniele, impiegato nella ricerca medica per quella che parrebbe una vita cerebrale dopo la morte.

Ma la classifica completa la trovi qui

Per gli italiani, invece, abbiamo già citato Pharmap, ma i settori dei giovani talenti sono tra i più diversi, non solo quindi il settore Healthcare, ma anche intrattenimento, finanza, food&drink e marketing che mettono in luce talenti.
I candidati non devono necessariamente essere startupper, ma anche o giovani imprenditori che, presa l’azienda del padre, ne hanno cambiato l’immagine o hanno puntato su nuove feature per renderla al passo coi tempi.

Ragazzi su cui puntare e ai quali verranno affidati tutor d’eccellenza del loro settore di operatività che li aiuteranno “a diventare grandi”.

La classifica la puoi leggere sul sito di Forbes.