Per capire chi è il Chief Digital Officer bisogna partire da un presupposto: negli ultimi anni è emerso un interrogativo comune tra i manager di PMI, istituzioni pubbliche o grandi aziende: “in che modo possiamo affrontare il cambiamento imposto dal digitale?”.
Rispondere in modo efficace a questa domanda presuppone lo sviluppo di un percorso di cambiamento organizzativo che deve essere guidato da una figura professionale capace di:
comprendere lo scenario del cambiamento in atto;
attuare un framework di transizione verso il digitale in grado di porre al centro le persone prima ancora delle tecnologie.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il processo di convergenza tra tecnologie e piattaforme digitali ha contribuito a cambiare radicalmente le esperienze quotidiane di ciascuno di noi, sia nella vita privata che sul lavoro. Oggi il rapporto tra ecosistema digitale e mondo imprenditoriale è caratterizzato da due fattori critici sui quali occorre lavorare:
da una parte troviamo le aziende. Molte delle innovazioni introdotte dalle nuove tecnologie contribuiscono a erodere quote di mercato consolidate in decenni di attività, se non addirittura a sfaldare modelli di business diventati rapidamente obsoleti perché non sono in grado di sostenere le rapide accelerazioni imposte sul mercato dal digitale;
dall’altro lato troviamo i professionisti, e in particolare le figure di middle e top management che sono chiamate a un urgente upskilling o reskilling in ambito digitale delle proprie competenze; azione indispensabile per non restare esclusi dalla competizione sul mercato del lavoro.
Upskilling nel mondo digitale
La trasformazione digitale alla quale ci troviamo di fronte determina una forte riduzione dei tempi di adozione delle innovazioni tecnologiche, che oggi tendono a raggiungere in tempi rapidi ampie quote di mercato, per poi decrescere altrettanto rapidamente sotto la spinta di prodotti/servizi aggiornati e, per questo, più competitivi.
Vuoi saperne di più sul ruolo del Chief Digital Officer?
Se vuoi approfondire l’argomento e saperne di più su chi è e quale è il ruolo del Chief Digital Officer, puoi scaricare la Guida Interattiva Ninja dedicata ai membri PRO.
Se non sei ancora iscritto, approfitta del free risk trial period, potrai scoprire attraverso video, questionari, pareri di esperti e self-assessment:
perché la tecnologia ci impone un nuovo mindset digital first;
dove stiamo andando e come stanno cambiando i modelli organizzativi e di business;
le aree di intervento del Chief Digital Officer in azienda;
quali sono gli step fondamentali per guidare il processo di Digital Transformation.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/chief-digital-officer-guida.jpg480693Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-04-15 16:16:172020-04-16 17:08:15Qual è il ruolo del Chief Digital Officer in azienda? Scopri la Guida Interattiva Ninja
Per i brand è necessario capire le differenze tra la Gen Z e le precedenti per sviluppare campagne video che soddisfino il loro desiderio di autenticità
La Gen Z e i millennial si distinguono profondamente per quanto riguarda le abitudini di consumo dello streaming online
La pandemia causata dal COVID-19 ha bloccato gran parte del mondo e con essa è cambiato anche il concetto di intrattenimento: stiamo attraversando infatti un momento storico in cui il consumo di contenuti online ha raggiunto un livello mai sperimentato nella storia dello streaming.
Su questo tema si articola una ricerca del Global Web Index, condotta alla fine del mese di marzo su 13 Paesi diversi, dove i consumatori hanno citato le tre attività principali che dominano durante il loro stato di quarantena, ovvero:
guardare il telegiornale e informarsi online (il 67%)
socializzare con la propria famiglia (il 53%)
utilizzare servizi e piattaforme di Streaming online (il 51%)
Ovviamente le risposte cambiano a seconda delle fasce di età intervistate. In particolare, Generazione Z e millennial dedicano più tempo alla creazione di contenuti video su piattaforme come YouTube e TikTok, con rispetto alla Generazione X e ai Baby Boomers.
Le fasce di età più “anziane”, infatti, preferiscono leggere le ultime notizie, chiacchierare al telefono con i propri famigliari e amici, oppure sperimentare nuove ricette in cucina.
In generale il lockdown obbligato ha portato la maggior parte delle persone a trascorrere più tempo su diversi dispositivi multimediali di casa, soprattutto sullo smartphone, come dichiarato da 8 su 10 intervistati.
Ma quali sono i contenuti più visualizzati in streaming dalla Generazione Z?
In questo articolo vogliamo concentrarci principalmente sulla fruizione dei contenuti di streaming online da parte della Generazione Z, ovvero quella fetta di popolazione nata a partire dal 1997.
La prima cosa che dobbiamo evidenziare è che Gen Z e millennial si distinguono profondamente per quanto riguarda le abitudini di consumo dello streaming online: piattaforme come Netflix, HBO, Amazon Prime Video e la nuova arrivata Disney+, infatti, sembrano essere quasi prerogativa dei millennial.
Questa differenza probabilmente è dovuta alla maggiore possibilità da parte dei millennial di pagare l’abbonamento a più servizi contemporaneamente, con un 64% di streamer nella fascia 25-37 anni che pagano per due o quattro piattaforme di streaming online.
La piattaforma preferita per lo streaming della GenZ è YouTube
YouTube è nato nel 2005 ed è cresciuto insieme a questa generazione, per questo la maggior parte degli adolescenti rimane fedele alla piattaforma.
Secondo un articolo pubblicato da Think with Google, infatti, l’85% degli utenti che rientra nella Generazione Z conferma di utilizzarla.
Inoltre bisogna considerare l’ascesa dei “vlogger”, una categoria specifica di webstar che continua ad aumentare la propria popolarità, soprattutto in un momento nel quale tutti sono chiusi in casa e hanno più tempo per produrre contenuti video per il proprio canale.
Basta pensare che, secondo uno studio americano pubblicato lo scorso anno da The Harris Poll in collaborazione con LEGO, risulta che il 29% dei 3.000 bambini intervistati preferiscano diventare una star di YouTube piuttosto che un astronauta (11%).
Vi sembra una cosa triste?
C’è da dire che non è solo l’intrattenimento a rendere YouTube un successo per la Generazione Z, in quanto l’80% degli adolescenti afferma di aver imparato cose nuove grazie ai video di YouTube, mentre il 68% ringrazia la piattaforma per averli aiutati a migliorare o acquisire nuove competenze che potranno essere utili in futuro.
La maggior parte degli studenti, ormai, preferisce cercare informazioni attraverso i video di YouTube rispetto all’utilizzo dei libri di testo, soprattutto per quanto riguarda progetti fai-da-te e prove tecniche pratiche.
La sezione Discover di Snapchat è in continua crescita
Un’altra piattaforma di particolare tendenza tra gli adolescenti, soprattutto americani, è Snapchat, con la sua sezione Discover.
Verso la fine del 2019 infatti, proprio Snapchat ha riferito che il tempo giornaliero trascorso dalla GenZ a guardare i contenuti Discover è aumentato del 40% in un anno, e questa crescita sembra continuare anche nel 2020.
Il successo dei video Discover del fantasmino giallo risiede nelle sue caratteristiche, che seguono il cambiamento significativo delle abitudini di fruizione dei contenuti online.
Si tratta infatti di video in verticale, full-screen, con una durata media di circa 5 minuti: perfetti per adolescenti annoiati, sempre in cerca di qualcosa di nuovo e originale, che riesca a catturare la loro attenzione per pochi minuti.
Impossibile parlare di Gen Z senza citare TikTok
Il fenomeno TikTok è esploso nell’estate 2019, diventando l’app più scaricata nel mondo dopo Facebook in quel periodo, e la maggior parte del suo pubblico rientra nella fascia di età della Generazione Z.
I contenuti di questa piattaforma sono molto più brevi rispetto a quelli di YouTube o di Snapchat, con un limite di 15 secondi per clip, per questo un alto livello di creatività è fondamentale per decretarne il successo.
Ormai gli Influencer che presiedono l’applicazione, i cosiddetti TikToker, sono famosi quasi quanto gli Instagramer e i marketer fanno a gara per collaborare con loro, tanto che è proprio la stessa società ad aver creato un Creator Marketplace: un vero e proprio catalogo dei propri Influencer che i Brand possono cercare e contattare in base alle proprie esigenze.
La chiave per raggiungere la Generazione Z è il contenuto video
Siamo tutti d’accordo che il contenuto chiave per riuscire a comunicare in modo efficace con la Gen Z è solo uno: il video. Lo conferma anche Forbes, che in un articolo aggiunge che per funzionare deve essere “pertinente, significativo e autentico”.
Gli adolescenti sembrano essere sempre più consapevoli delle strategie di marketing che i brand usano per provare convertirli in consumatori, per questo è necessario che i marketer capiscano le differenze tra la Gen Z e le precedenti per sviluppare campagne video che soddisfino, appunto, questo desiderio di autenticità.
La Generazione Z è formata da adolescenti alla ricerca di nuovi modi per sfuggire dallo stress della vita quotidiana e prepararsi per il futuro: i brand che vogliono entrare in contatto con questa generazione dovrebbero sfruttare questo scenario, aiutandoli a raggiungere i loro obiettivi con contenuti originali e reali.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/rsz_1streamingonline.jpg542960Daniela Chiorbolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaniela Chiorboli2020-04-15 13:07:292020-04-16 11:33:52Gen Z e streaming online durante la quarantena: quali sono i contenuti più visualizzati
L’emergenza COVID-19 ci ha ricordato quanto sia importante mantenere le relazioni con il proprio pubblico. È in momenti come questi che i brand si accorgono di voler comunicare con tutti i loro destinatari e questo li porta a includere anche quella porzione di contatti solitamente esclusa dagli invii.
La segmentazione, il monitoraggio, l’attività di testing, l’equilibrata distribuzione degli invii nel tempo per evitare di generare picchi di volumi rischiano presto essere abbandonate. Ma sarebbe un errore.
Un’attività di invio massivo, infatti, ha ripercussioni in termini di deliverability. Gli algoritmi dei sistemi di spam filtering dei provider non sono dotati di empatia, purtroppo, e potrebbero penalizzarci.
Le best practice da non dimenticare
In un recente articolo di Gartner si raccomanda, prima di inviare le proprie comunicazioni, di valutare alcuni aspetti, ponendosi una serie di quesiti:
Stai per comunicare qualcosa di diverso rispetto a quanto stanno facendo gli altri brand?
Il contenuto delle email diverge da ciò che i destinatari sono abituati a ricevere?
I destinatari riescono a comprendere dall’oggetto e dalle prime righe dell’email l’informazione chiave della comunicazione?
Le informazioni chiave dell’email sono legate alle esigenze dei destinatari in questo specifico momento?
Su quest’ultimo punto viene posta particolare attenzione. Data la criticità della situazione, la regola generale dovrebbe essere quella di ridurre il più possibile l’intasamento della posta elettronica e il rumore di fondo generale, così da favorire e dare maggiore visibilità ad aggiornamenti e comunicazioni realmente importanti.
Ecco quindi alcuni consigli raccolti da MailUp per continuare a fare EmailMarketing in modo rilevante anche nelle settimane dell’emergenza.
Email per fare marketing e per comunicare
Prima di inviare le email verifica che le indicazioni di cui abbiamo parlato poco più sopra siano soddisfatte, rispondendo alla domanda “i destinatari hanno veramente bisogno di ricevere questa comunicazione?”.
Non bisogna approfittare del momento per caricare nel database una notevole quantità di nuovi contatti ai quali non si è mai spedito. Contatti molto vecchi o acquisiti con modalità non corrette possono portare a un calo di reputazione o addirittura a un blacklisting; senza contare che si potrebbe generare un picco di disiscrizioni, che andrà a pesare sul database anche a emergenza terminata.
Se vuoi vendere qualcosa o lanciare particolari promozioni in questo momento, procedi come hai sempre fatto, segmentando il pubblico in modo oculato.
Un’ultima riflessione può essere fatta sull’engagement. Le settimane che stiamo vivendo ci dicono che l’email non è solo marketing: nel momento del bisogno può essere lo strumento più efficace per comunicare.
Ma ci dice anche un’altra cosa: i risultati medi che siamo abituati a considerare come riferimenti in realtà potrebbero non esserlo in questi giorni. I tassi di apertura, i clic, ma anche il ROI (nel senso più generale del termine, ovvero il ritorno di una determinata attività) possono cambiare a seconda del contesto.
Sappiamo come le attività dei destinatari sull’email siano proporzionali alla rilevanza del contenuto veicolato e oggi i tassi di apertura potrebbero essere decisamente più alti del solito. Questo accade perché i contenuti sono molto rilevanti per i destinatari, più rilevanti rispetto ai contenuti che erano abituati a ricevere dalle stesse aziende.
No panic
Nonostante si possa assistere in questo periodo a un netto miglioramento dell’engagement di alcune comunicazioni rispetto alla media, è altrettanto vero che un messaggio sbagliato o una pratica sbagliata potrebbero creare problemi di branding e reputazione di invio ancora peggiori rispetto al passato.
In ogni caso il consiglio è di non farsi prendere dal panico e non considerare questo periodo come una fase in cui inviare comunicazioni anche ai contatti che non avevamo mai incluso nei nostri invii, poiché sarebbe controproducente.
Inviamo anche a loro solo se abbiamo qualcosa di fondamentale da comunicare, qualcosa di diverso dal solito. Pensiamo sempre in termini di rilevanza: anche in questo caso rimane sempre il parametro migliore per avere risposte positive da parte dei destinatari.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/webinar.jpg538846Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-04-14 15:36:432020-04-16 10:48:21Come fare Email Marketing nelle settimane dell’emergenza
Societing4.0 – Che cosa sono le tecnologie 4.0 è una miniserie per capire le principali tecnologie 4.0 (Robotica all’Intelligenza Artificiale, dalla Stampa 3D alla Realtà Aumentata/Virtuale, dai Big Data all’Internet of Things) e per dare maggiore consapevolezza e strumenti critici sulla loro applicazione a cittadini curiosi, PMI, studenti e insegnanti.
Per ciascuna tecnologia le telecamere dei giovani ricercatori entrano nei laboratori dell’Università Federico II dove sono studiate le tecnologie e dove sei luminari rispondono alle domande dei ragazzi, sotto la direzione scientifica del Professore Alex Giordano.
I giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli Federico II hanno intervistato Leopoldo Angrisani, Professore Ordinario di Misure Elettriche ed Elettroniche presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie Informatiche della Federico II e Direttore del Centro CESMA (Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati).
Puoi guardare la video-intervista integrale sul portale di Rai Scuola a questo link.
Il Professor Angrisani ritiene che il grande vantaggio nel poter utilizzare tecnologie IoT sia “avere una disponibilità di informazioni del mondo circostante molto più intensa, e soprattutto in tempi ristrettissimi, quasi in tempo reale. Perché le informazioni possono essere prelevate e possono essere trasferite in un arco temporale decisamente contenuto e quindi con possibilità di utilizzarle al meglio per compiere azioni e prendere decisioni […] l’importante è usare l’IoT dove realmente può servire, sulla base delle caratteristiche che in questo momento offre“.
Sulla possibilità di adattare tale tecnologie al contesto imprenditoriale del nostro territorio dice: “Per esempio, il settore dell’agrifood è certamente un settore che può beneficiare tantissimo di questa tecnologia, e di fatto lo sta già facendo. Infatti, avere una tracciabilità quasi in tempo reale dell’intero processo all’interno di un contesto agricolo, dal campo alla tavola, può certamente essere di aiuto al settore per promuovere il proprio prodotto su una platea sempre più vasta, che riesca a carpire questo significato e sia sensibile a questo tipo di messaggio […] Ciò che dobbiamo fare è dare il tempo alla tecnologia di trovare le risposte giuste agli scenari attuali, ma anche cercare di prevedere quelli futuri, in modo da farsi trovare preparati per quello che sarà”.
Sulla possibilità di avere un approccio “mediterraneo” all’innovazione, il Prof. aggiunge: “La tecnologia dell’IoT ha come caratteristica quella di essere aperta. Al suo sviluppo contribuiscono vari concorrenti, con azioni condivise un’ open architecture. Inoltre vi sono diversi livelli (e quindi diversi player) rappresentati, dai sensori, all’elaborazione, alle batterie, fino alla connettività. Questo rende la tecnologia molto con-flessibile e riconfigurabile”.
Approfondimenti sull’IoT
A cura dei giovani ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
L’uomo utilizza i propri sensi per conoscere il mondo esterno e reperire da esso informazioni. Grazie al tatto, all’udito, al gusto, alla vista e all’olfatto ottiene numerose e variegate informazioni (dati) che, grazie al sistema nervoso, sono trasferite al cervello e da quest’ultimo interpretate.
Internet of Things (IoT) è un neologismo, con il quale viene identificato un insieme di smart things capaci di comunicare tra loro, scambiandosi ed elaborando le informazioni raccolte, e operanti all’unisono per il raggiungimento di uno o più obiettivi prefissati. Il termine «connettività di rete» è spesso usato per indicare tale capacità di comunicazione.
Le informazioni sono raccolte grazie all’utilizzo degli “smart sensors“ (sensori intelligenti), capaci di rilevare grandezze fisiche, di trasformarle in informazione e di trasmetterle nella forma di segnali elettrici all’unità di elaborazione centrale dello smart thing, preposta all’elaborazione delle stesse e alla formulazione di possibili decisioni.
L’evoluzione delle tecnologie peculiari dell’IoT (micro/nanoelettronica, sensori, unità e software di elaborazione, apprendimento automatico, connettività di rete, batterie) è attualmente tumultuosa. L’IoT è infatti inserito nell’elenco delle tecnologie abilitanti del paradigma «Industria 4.0», di derivazione tedesca, o «ICT&Industry», di derivazione statunitense.
L’IoT mescola quattro elementi che sommati consentono di ottenere grandi benefici per le attività imprenditoriali: sensori, dati, algoritmi, applicazioni. I sensori sono ormai diffusissimi su macchinari di ogni dimensione: i costi di produzione e il loro fabbisogno energetico sono bassissimi. Dotare un macchinario di sensori consente non solo di raccogliere dati ma anche di trattarli e classificarli, e addirittura di far svolgere operazioni specifiche al macchinario da remoto. È possibile intervenire sui processi, per ottimizzarli e potenziarli, consentendo agli operatori, agli analisti e alle macchine stesse di prendere decisioni in maniera più consapevole.
L’espressione Internet of Things (IoT) o Internet delle Cose, indica propriamente l’estensione dellaconnettività a Internet a dispositivi fisici e oggetti del mondo quotidiano. Tale locuzione viene introdotta per la prima volta in un articolo del 1999 da Kevin Ashton, ingegnere britannico co-fondatore dell’organizzazione di ricerca globale Auto ID Center, afferente al Massachussetts Institute of Technology (MIT).
Ashton utilizzò l’espressione IoT per riferirsi ad un sistema complesso che grazie a specifiche tecnologie permettesse di oltrepassare il gap tra mondo fisico e mondo virtuale, e fosse in grado di potenziare i computer con modalità a loro appropriate di raccolta e scambio di dati, in modo da renderli più indipendenti dal ‘router umano’.
L’IoT dunque consiste in un sistema composto da tutti i devices che sono connessi a Internet e che, tramite tale connessione, sono in grado di comunicare tra loro, siano essi dispositivi digital first (ovvero per loro natura predisposti alla raccolta e allo scambio di dati, come smartphone e tablet), o al contrario physical first (non predisposti alla raccolta e allo scambio di dati se non trasformati opportunamente con specifiche tecnologie, come ad esempio un tradizionale libro su cui vengono implementati chip o sensori che abilitano la comunicazione).
Quello dell’Internet of Things, dunque, è un sistema estremamente complesso e composto da una lunga serie di tecnologie hardware e software: seppure non si possa considerare novità assoluta a tutti gli effetti- come si coglie dal fatto che i primi contributi accademici riguardo tale argomento risalgono a più di un ventennio fa- esso diventa realizzabile solo con la diffusione pervasiva delle rete Internet, iniziata negli anni ’90 grazie all’invenzione del World Wide Web di Tim Berners Lee e allo sviluppo di protocolli di rete, software e componenti hardware. Tutti elementi, di fatto, che concorrono a rendere possibile la comunicazione in tempo reale e lo scambio dei dati su scala di massa, elementi alla base al funzionamento dell’IoT.
Componente chiave dell’IoT è la tecnologiamobile. La diffusione di dispositivi mobili, in particolare degli smartphone, ha infatti inciso notevolmente non solo sulla quantità degli individui che fruiscono della rete Internet ma anche sulle modalità di tale fruizione: non a caso si può infatti parlare di quella che il ricercatore MIT David D. Clark definì nel 1999 ‘era post-pc’, indicando con questa espressione l’ampliamento della rete di connettività e interconnettività e il cambiamento del modo in cui gli individui si servono di Internet.
L’idea di realizzare la comunicazione tramite i dispositivi portatili risale al secolo scorso: dai walkie-talkie utilizzati in ambito militare, al primo telefono cellulare lanciato da Motorola nel 1973, sino al primo embrionale tentativo di smartphone digitale (il Simon della IBM del 1993), la storia della comunicazione umana è piena di esempi in quest’ambito. Tutte queste sperimentazioni hanno permesso di migliorare le componenti hardware e software, ottimizzando sempre di più questi devices, rendendoli più leggeri, aumentandone il raggio d’azione e dotandoli di sistemi operativi e interfacce sempre più user-friendly. Il vero e proprio decollo della portabilità può essere identificato con il lancio del primo iPhone Applenel 2007, data a partire dalla quale questi dispositivi iniziano a diffondersi a livello globale rivoluzionando in maniera significativa sia la vita quotidiana che l’ambito dell’impresa, di pari passo con la diffusione di altre tecnologie hardware e software, come le retiWi-Fi e il CloudComputing (ambienti di calcolo distribuiti sul network che erogano servizi on demand e in tempo reale come i sistemi di gestione dei dati).
Oggi gli smartphone sono oggetti a supporto della persona e rappresentano il primo step della rivoluzione che conduce all’IoT, la quale può essere considerata come una seconda ondata di rivoluzione digitale (considerando come prima ondata, invece, la diffusione di Internet e dei personal computer avvenuta attorno agli anni ’90).
Secondo Leopoldo Angrisani, docente di Misure Elettriche ed Elettroniche presso il DIETI(Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione)dell’Università di Napoli Federico II, gli smartphone sono passati ad essere strumento atto a realizzare la comunicazione tra le persone a strumento sfruttato per la comunicazione tra gli oggetti. La sola idea di far parlare le cose- sostiene Angrisani- apre scenari macroeconomici prima impensabili. Dotare gli oggetti della capacità di comunicare significa creare un nuovo ecosistema: Internet prima era uno spazio in cui potevano accedere solo le persone, mentre ora si configura come qualcosa di molto più evoluto, una piattaforma dai confini indistinti in cui si realizza la comunicazione tra individui e oggetti, a prescindere dalla natura degli attori in questioni.
L’IoT, infatti, abilita la comunicazione tra cosa e cosa, ma anche tra le cose e gli individui connessi (Internet of Humans, IoH). L’incontro tra Internet of Things e Internet of Humans risulta nel cosiddetto Internet of Everything (IoE), espressione utilizzata per indicare il sempre più profondo e costante embedding tra realtà fisica e realtà virtuale.
Il sistema dell’Internet of Things, dunque, più che come una tecnologia, si definisce come un set di tecnologie sia hardware che software strettamente in relazione fra loro che realizzano un collegamento tra mondo fisico e mondo virtuale. Tali device- che compongono l’IoT- sono detti smartthings, ossia oggetti la cui smartness è definita in termini di capacità di connettività e di comunicazione. Le stesse smart things, inoltre, sono a loro volta costituite da diverse componenti tecnologiche specifiche, le quali concorrono a rendere ancora più complessa la struttura inerente all’Internet of Things.
La comunicazione abilitata dall’IoT è anche osservabile in quanto trasmissione di dati: poiché lo scambio dei dati è alla base di questo processo, sorge il problema del contenuto, vale a dire di quali siano le informazioni che tali dispositivi devono poter comunicare e, prima ancora, essere in grado di acquisire. Per questo motivo un ambito fondamentale per il funzionamento dell’Internet delle Cose è quello della sensoristica. Un sensore è un «dispositivo che fornisce in uscita un segnale che dipende dal valore di una determinata grandezza presente all’ingresso» allo scopo di «determinare il valore della variabile in ingresso a fini di regolazione o di controllo del sistema in cui il sensore opera».
Secondo Leopoldo Angrisani eseguire una misurazione significa associare un valore ad una grandezza fisica. Ciò equivale dunque a mettere in comunicazione due mondi diversi, quello delle grandezze fisiche e quello dei numeri reali, il mondo dei fisici e quello dei matematici. Da un lato vi è la realtà, e dall’altro invece i modelli e le rappresentazioni della realtà che noi creiamo, formulandoli in modo tale che essi siano estremamente favorevoli ad un nostro ragionamento logico e ai nostri processi cognitivi. Attraverso i sensori, le smart things acquisiscono le informazioni dal mondo reale: i sensori sono dunque quei dispositivi che svolgono per l’oggetto intelligente lo stesso ruolo che i sensi svolgono per l’essere umano. Oggi nell’ambito della sensoristica è particolarmente importante la scienza della microelettromeccanica, grazie alla quale sono stati implementati i cosiddetti MEMS: sistemi microelettromeccanici dalle dimensioni ai costi ridotti e che dunque si dimostrano particolarmente versatili e incorporabili in una lunga serie di devices diversi.
Ovviamente al giorno d’oggi la maggior parte dei sensori utilizzati sono sensori digitali i quali permettono una maggiore accuratezza e un più alto grado di approfondimento delle loro versioni analogiche. Inoltre, nelle loro versioni più aggiornate, tali sensori possiedono anche la cosiddetta capacità di contesto, la quale si divide in elaborazione contestuale passiva (misurazione continua di un fenomeno e feedback all’utente); elaborazione contestuale attiva (misurazione continua di un fenomeno e reazione automatica in base ai parametri registrati); personalizzazione (comportamento sulla base delle preferenze dell’utente specifico).
Oltre ai sensori, le smart things si basano su altre soluzioni tecnologiche. Ad esempio, tra le soluzioni software, vi sono i protocolli di comunicazione che assolvono il compito della comunicazione delle informazioni. Si tratta di set di convenzioni e standard che istruiscono circa le modalità in cui avviene la comunicazione. Essi sono estremamente importanti per lo sviluppo e il funzionamento dell’IoT e lo furono, a suo tempo, anche per il funzionamento di Internet stessa. Nel caso dell’IoT il ruolo è fondamentale vista la varietà nelle componenti hardware, nelle architetture software e nei formati dei file. Diversi enti a livello internazionale, come la Allseen Alliance e la Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE), si sono impegnati a elaborare questi linguaggi, che sono necessariamente molteplici poiché variano sulle specifiche esigenze della determinata comunicazione da soddisfare.
È attraverso queste componenti- come i sensori, i protocolli di connettività, i sistemi di storage delle informazioni e molte altre- che l’oggetto diventa intelligente.
Applicazioni, questioni e futuri sviluppi dell’Internet of Things
Nel mondo dell’industria, l’IoT (nel suo sottosistema definito come Industrial Internet) viene annoverata tra le tecnologie abilitanti 4.0 perché è la tecnologia che abilita le macchine presenti nella filiera a comunicare ottimizzando operazioni e processi, realizzando risultati finali migliori e garantendo una condizione migliore per chi ad esempio lavora nella fabbrica. A differenza delle altre tecnologie abilitanti è sui generis perché è un set, un contenitore di varie tecnologie radunate sotto il cappello IoT con un atteggiamento omnicomprensivo.
Il discorso tecnologico alla base dell’Internet of Things- sostiene l’esperto Angrisani- non è nato tanto dalla ricerca accademica quanto piuttosto dal business, nel momento in cui si è resa evidente la saturazione del settore della comunicazione tra individui. Tale settore dunque ha cercato soluzioni in una diversa direzione, basandosi sulla realizzazione della comunicazione tra gli oggetti. A partire da questo presupposto si è cominciato a ragionare su quali fossero gli oggetti da dotare della capacità comunicativa e quali fossero i nuclei di attività, gli scenari e i contesti in cui la comunicazione fra gli oggetti- e fra oggetti e individui- potesse apportare beneficio.
Sono così emersi i più svariati approfondimenti: dalla domotica– l’applicazione delle tecnologie informatiche e digitali ai sistemi di abitazione- all’ e-health– l’applicazione delle tecnologie informatiche e digitali all’ambito della salute- oggi sono tantissimi i settori che traggono beneficio dalla smartness degli oggetti.
Poiché l’IoT rappresenta- più che un trend passeggero- una vera e propria rivoluzione, le sue implicazioni però non sono da dare per scontato. Lo scenario che si profila è sempre di più quello di una rete pervasiva, integrata e meno esplicita e, per la portata del cambiamento in atto, esistono ovviamente dei rischi. Basti pensare ad esempio alle questioni relative alla privacy, con i sempre più frequenti leaks, furti di identità e violazione dei dati, per cui è necessario da un lato attrezzarsi secondo modalità tecniche, dotando ogni dispositivo di sistemi di sicurezza e monitoraggio; dall’altro, si rendono necessari anche provvedimenti legislativi volti a regolamentare la proprietà delle informazioni e a definire le misure giuridiche circa i reati in merito.
Oppure, altro problema fondamentale è quello del digital divide: si tratta del divario sociale, economico e politico tra individui che hanno la possibilità di sfruttare tali tecnologie e individui che invece per questioni di limitazioni fisiche all’accesso o per mancanza di padronanza non ne possono trarre beneficio. A questo titolo, diventa un bisogno primario non solo sviluppare infrastrutture adeguate, pervasive ed efficienti per abilitare la connessione, ma anche- e soprattutto- permettere alla popolazione mondiale, a prescindere da parametri sociali e demografici, di acquisire le competenze necessarie per poter utilizzare queste tecnologie.
Oggi- sostiene infatti Angrisani- è compito sia dei singoli che delle istituzioni combattere l’ignoranza su tutti i livelli, divulgando, approfondendo, acquisendo competenze specifiche e investendo sulla cultura. E la tecnologia 4.0 fa parte di tale cultura.
Il CeSMA
Il CeSMA – Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati – è la rete federiciana per misurazioni e tecnologie avanzate, ad accesso remoto, che vanta 30 laboratori dotati di strumentazione con caratteristiche esclusive e distintive. Vuole fornire supporto ai maggiori attori locali, nazionali e internazionali nelle attività di misurazione avanzata, e più in generale nella sperimentazione di nuove tecnologie, traendo anche vantaggio dalla presenza di ricercatori e tecnici esperti della Federico II.
In quanto Centro di ateneo, CeSMA ha un’identità multidisciplinare che garantisce osmosi costante di conoscenze attingendo alla ricchezza delle competenze dei Dipartimenti e traguardando i confini della integrazione più completa e complementare. La numerosità delle afferenze garantisce al CeSMA la disponibilità di ricercatori scientificamente qualificati in ogni settore, che forniscono risposte efficaci a complesse esigenze misuristiche e tecnologiche espresse dai settori dell’Industria e dei Servizi.
La sinergia dei modernissimi laboratori di Fisica, Chimica, Ingegneria, Biologia promuove il CeSMA come naturale e innovativa interfaccia tra accademia e imprese, nell’ambito del piano governativo Industria 4.0, per il presidio di settori strategici della vita quotidiana, quali l’ambiente e i territori, la vita e la salute, i prodotti e i processi industriali.
Il CeSMA opera lungo quattro direttrici tematiche:
Misure per la Qualità della Vita e la Salute;
Misure e Monitoraggi su Reti e Impianti;
Monitoraggio dell’Ambiente e del Territorio;
Qualificazione di Processi e Prodotti Industriali.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/10/Depositphotos_196649986_m-2015.jpg6671000Alex Giordanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlex Giordano2020-04-13 17:27:022020-04-16 09:32:49Che cos'è l'Internet of Things, spiegato con una mini-serie TV
È possibile conciliare attività ludiche con i propri figli e smart working?
Ecco come organizzare alcuni appuntamenti divertenti con i bambini per combattere noia e sedentarietà
Cari genitori, questo articolo è per voi. Qualcuno purtroppo ha smesso di lavorare, qualcun altro deve continuare a farlo ma in smart working, con tutte le difficoltà che spesso bisogna fronteggiare nella gestione dei figli a casa.
Ecco alcuni spunti per svolgere attività con i bambini e divertirvi insieme.
Qui, il classico SOS si trasforma in: STIMOLA, ORGANIZZA e SORRIDI. Vediamo come.
Perché non organizzare un talent show a casa? Il vostro entusiasmo nel proporre l’idea sarà fondamentale.
Pensate ai villaggi turistici: quali sono le attività che piacciono di più ai bambini? Qual è il momento della giornata più atteso? I balli della Mini Disco, ovviamente. Quanto sono fieri i bambini quando imparano un nuovo ballo?
Su YouTube potete fare il pieno e prendere spunto da migliaia di video.
Potete decidere insieme cosa imparare e magari farlo insieme a loro. Se invece dovete lavorare, potreste lasciare il “backstage” e partecipare solo all’esibizione finale, come se fosse “il saggio di fine anno” a cui andrete ad assistere in soggiorno.
Se vi piace, potreste anche decidere di dedicare un giorno alla settimana a questa attività.
YouTube Kids
Forse non tutti sanno che da 2 anni esiste Youtube Kids, l’app offre ai bambini una navigazione protetta e sicura, un ambiente più controllato e consente ai genitori o a chi si occupa di loro di guidarli mentre scoprono YouTube. Potete sfogliare i canali e le playlist in quattro categorie: Programmi, Musica, Impara ed Esplora
Ci sono altre accortezze molto utili come:
impostare un codice numerico per accedere al pannello app del genitore;
regolare i limiti di tempo, una sorta di timer, che se scade l’app si chiude senza possibilità di apertura nell’immediato;
selezionare contenuti dell’app da rendere disponibili al proprio figlio;
disattivare la ricerca, per consentire la visione solo dei video pubblicati nella homepage anche se, tutti gli altri sono a prova di sensibilità massima. Inoltre nell’app sono state disattivate tutte le funzioni social come il tasto condividi e il mi piace.
Qui trovate una semplice guida su come utilizzarlo.
Bastano pochi clic per partire alla volta di un nuovo luogo da visitare e stimolare la fantasia dei vostri piccoli.
In questo periodo sono tantissime le segnalazioni del “ritorno di animali” in città, ma non tutti possiamo vederli. Eppure quanto è rilassante e quanto ci manca la natura? Sicuramente tanto. Approfittiamo allora di questa opportunità: le webcam dal mondo. Potremmo organizzare dei “picnic” ogni giorno in un posto diverso. Riascoltare il vento, gli uccelli e il mare ci farà sicuramente bene.
Partiamo per il Kenya: Tsavo East National Park tra Elefanti, giraffe, bufali, zebre, leopardi e altri animali in diretta dalla Savana.
Solidarietà Digitale – Smart Tales e tanto altro
La Solidarietà Digitale è stata uno dei primi supporti del Governo: molte possibilità di accedere ad app, abbonamenti gratuiti e piattaforme per affrontare al meglio questo periodo, al lavoro quanto nel tempo libero.
L’app per bambini Smart Tales con storie interattive è disponibile su supporti Android ed Apple.
Smart Tales è una ricca libreria di storie interattive e animate che insegnano le materie STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) a bambini dai 3 anni in su.
Ma potrete trovare tantissime risorse liberamente scaricabili anche su Scienza Express: un elenco suddiviso in fasce d’età tra letture, disegni da colorare, podcast e attività didattiche.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/bambini-in-quarantena.jpg510680Claudia Liccardohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngClaudia Liccardo2020-04-13 09:08:092020-04-14 15:42:26Bambini e genitori a casa: ecco il metodo SOS (Stimola Organizza Sorridi)
“Societing4.0 – Che cosa sono le tecnologie 4.0″ è una miniserie per capire le principali tecnologie 4.0 (Robotica all’Intelligenza Artificiale, dalla Stampa 3D alla Realtà Aumentata/Virtuale, dai Big Data all’Internet delle cose) e per dare maggiore consapevolezza e strumenti critici sulla loro applicazione a cittadini curiosi, PMI, studenti e insegnanti.
Per ciascuna tecnologia le telecamere dei giovani ricercatori entrano nei laboratori dell’Università Federico II dove sono studiate le tecnologie e dove sei luminari rispondono alle domande dei ragazzi, sotto la direzione scientifica del Professore Alex Giordano.
I giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli Federico II hanno intervistato Giuseppe Di Gironimo, Professore di Modellazione Geometrica e Prototipazione Virtuale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale della Federico II di Napoli, e responsabile del laboratorio IDEAinVR (Interactive Design and Ergonomics Applications in Virtual reality).
Puoi guardare la video-intervista integrale sul portale di Rai Scuola a questo link.
Il Prof. Giuseppe Di Gironimo nel fare il punto sulla pervasività delle tecnologie di realtà aumentata e virtuale sembra riscontrare ormai pochi limiti: “Quelli che erano limiti 10 anni fa, oggi li abbiamo già abbondantemente superati, grazie soprattutto allo sviluppo di dispositivi hardware in particolare schede grafiche, processori sempre più potenti che consentono di effettuare calcoli sempre più rapidamente. Per cui, non ci sono limiti sul ‘cosa’ simulare”, tuttavia aggiunge: “c’è sempre bisogno di un uomo che sappia interpretare i dati di quella simulazione in maniera corretta, facendo appello alle sue competenze, con il suo ingegno, con la sua dottrina e con il suo disegno, come ci insegna Martini Francesco Di Giorgio”.
Interessante il suo punto di vista anche sull’accessibilità: “Qualche anno fa, questa tecnologia era proibitiva in termini di costo, cioè era inaccessibile per le piccole e medie imprese […] Una grande mano l’abbiamo data noi con le università perché abbiamo potuto usufruire di finanziamenti pubblici per riuscire a studiare e fare ricerca su queste tecnologie […] Il fatto che oggi queste tecnologie costino sempre meno ha avvicinato le piccole imprese anche all’acquisizione della tecnologia e non più solo all’acquisizione delle competenze e quindi abbiamo la possibilità, anche in piccole aziende, di poter sfruttare queste tecnologie“.
Poi aggiunge “Sicuramente oggi, l’Italia che ha tante risorse turistiche e archeologiche e agro alimentare deve sfruttare tanto queste risorse e applicare queste tecnologie per realizzare progetti che consentano una loro migliore fruizione, e sarebbe da criminali non farlo”.
Approfondimenti su Realtà Virtuale e Realtà Aumentata
A cura dei giovani ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
L’Augmented Reality (Realtà Aumentata, o AR) consiste nell’implementazione di informazioni generate tramite computer le quali vengono sovrapposte e aggiunte agli oggetti del mondo concreto, arricchendo in maniera multisensoriale gli stimoli percettivi sperimentati dall’individuo. Con l’impiego di questa tecnologia si migliora l’interazione con l’ambiente e con i sistemi di produzione, permettendo di mostrare, attraverso visori o tablet, delle informazioni relative ad un oggetto reale semplicemente inquadrandolo. Nelle applicazioni industriali le informazioni possono riguardare, ad esempio, le condizioni di funzionamento o le istruzioni operative di montaggio, uso e manutenzione di un prodotto o di un sistema di produzione.
La Virtual Reality (Realtà Virtuale, o VR) consiste nella simulazione di un’esperienza immersiva in un ambiente digitalmente prodotto. Essa si differenzia dalla AR in quanto permette di “immergersi” in un mondo completamente digitale e slegato da quello esterno e fisico. L’accesso a questo mondo digitale è reso possibile da visori e da accessori (come joypad, sistemi di tracking, guanti) sviluppati appositamente per interagire e “vivere” all’interno della Realtà Virtuale.
Il punto di partenza per entrambe le tecnologie AR e VR è un modello tridimensionale del prodotto o processo, costruito in ambienti di modellazione CAD 3D, e sistemi di visualizzazione basati su schermi o visori, potenziati dall’utilizzo di dispositivi indossabili che permettono di navigare realisticamente nel modello ed interagire con esso attraverso opportuni feedback sensoriali.
Le tecnologie della Realtà Virtuale e della Realtà Aumentata costituiscono oggi un importantissimo elemento nel settore industriale. Non a caso, esse sono entrate a far parte della lista delle tecnologie abilitanti dell’Industry 4.0, cioè quegli strumenti hardware e software e quelle tecniche che – in stretta correlazione l’una con l’altra, creando un vero e proprio ecosistema tecnologico – sono alla base della Quarta Rivoluzione Industriale. In particolare, AR e VR svolgono un ruolo primario per il miglioramento delle condizioni di ergonomia e sicurezza in una fabbrica e per il raggiungimento di sempre più elevati livelli di qualità del prodotto finalizzati al soddisfacimento di bisogni reali della società in cui viviamo.
Giuseppe di Gironimo, Professore di Disegno e Metodi dell’Ingegneria Industriale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università Federico II, responsabile del centro MARTE (Misure Avanzate in Realtà virTualE) presso il CESMA-Unina e del Laboratorio IDEAinVR (Interactive Design and Ergonomics Applications in Virtual reality) nonché membro del Comitato Tecnico Scientifico del Consorzio CREATE (Consorzio di Ricerca per l’ Energia, l’ Automazione e le Tecnologie dell’ Elettromagnetismo), si occupa di Realtà Virtuale sin dal 1999, anno in cui, sull’esempio di paesi come la Germania, anche l’Italia inizia a rincorrere questa nuova tecnologia.
Di Gironimo sostiene che è possibile osservare la progettazione industriale sulla base dei suoi tre elementi costitutivi fondamentali, distinti ma strettamente correlati tra di loro: l’ingegno, la dottrina e il disegno. Coloro che operano nell’ambito dell’ingegneria, infatti, devono essere prima di tutto dotati d’ingegno. Questo deve però necessariamente essere incanalato, attraverso specifici studi, con un’opportuna dottrina. A loro volta, ingegno e dottrina devono essere sintetizzati attraverso il disegno: tale termine si riferisce ad una rappresentazione grafica realizzata a partire da una specifica competenza, in grado di comunicare delle informazioni accurate e approfondite, che uniscono il fattore artistico e quello tecnico al fine di ottimizzare le possibilità di comprensione.
Prima dei modelli virtuali– che costituiscono l’output più attuale ed avanzato della disciplina del disegno- vi erano imodelli 3D i quali, rispetto alla ancora precedente tecnica del disegno 2D in scala, permettono una comprensione molto più approfondita degli oggetti e del loro comportamento e consentono di conseguenza la realizzazione di prodotti in tempi più rapidi e con più alti livelli di qualità, irraggiungibili- se non addirittura inconcepibili- prima dell’introduzione di tali tecnologie.
La Realtà Virtuale, quindi, ha lo scopo di ricreare tramite un computer mondi e oggetti che sono la trasposizionedigitaledi ambienti reali o di fantasia. La Realtà Aumentata, invece, consiste nella sovrapposizione di immagini digitali a immagini reali. Il funzionamento di queste tecnologie, sempre secondo il parere di Di Gironimo- che per il suo lavoro e la sua esperienza in questo campo rappresenta un interlocutore privilegiato- si basano su quattro ingredienti principali: il fotorealismo; la grafica in tempo reale; l’immersione; l’interattività.
Ilfotorealismo consiste nella riproduzione più esatta possibile delle immagini. Questa componente è particolarmente importante quando AR e VR vengono applicate nel settore industriale, poiché permette una sperimentazione più accurata ed efficace dei modelli virtuali. Uno dei parametri principali per l’elaborazione delle immagini è infatti la qualità visiva dei risultati, per cui si utilizzano specifici programmi di rendering e ray tracing.
Il fotorealismo ha costituito in ambito sperimentale un ostacolo significativo, per via dei tempi e dei costi di realizzazione di queste immagini. Al giorno d’oggi, ad ogni modo, è molto più semplice procurarsi tali tecnologie e realizzare questi prodotti, grazie all’innovazione nel settore dei calcolatori e dei processori e al consequenziale abbassamento dei costi.
La grafica in tempo reale è essenzialmente la fluidità dell’ambiente prodotto digitalmente e dei suoi cambiamenti di stato sulla base, ad esempio, dei cambiamenti di stato del nostro corpo nel mondo fisico. La fluidità dello scenario virtuale si consegue quando il sistema nervoso dell’utente viene ingannato in maniera esatta (una sorta di versione più innovativa di ciò che accade nel caso del montaggio cinematografico). Il sistema è quello di riprodurre le specifiche immagini ad una velocità superiore a quella che è la permanenza dell’immagine sulla retina. Per conseguire questo risultato, è evidente, occorrono capacità di calcolo molto elevate e schede grafiche estremamente performanti.
La qualità dell’immersione– caratteristica basilare delle tecnologie AR e VR- è una qualità insita nello specifico sistema di output o visualizzazione, oggi esistente in varie forme: ad esempio i più user-friendly smartphone e televisori, ma anche i più tecnici powerwall (larghi schermi ad altissima risoluzione composti da una matrice di altri display) e CAVE (Cave Automatic Virtual Environment, un ambiente immersivo di realtà virtuale in cui le immagini vengono proiettate su tutte le pareti di una stanza cubica).
L’immersione è direttamente dipendente dalla stereoscopia: tale termine si riferisce alla modalità di visione binoculare (a due occhi) che ci permette la percezione visiva delle tre dimensioni. La visualizzazione stereoscopica, dunque, prevede la visualizzazione in contemporanea di due immagini (una per occhio). In una delle varie tecniche di realizzazione della stereoscopia- quella che viene detta visione stereoscopica attiva- vengono utilizzati degli occhiali ad otturatori i quali, al posto delle tradizionali lenti, hanno impiantati dei filtri a cristalli liquidi. Le immagini, quindi, vengono mostrate in sequenza sullo schermo, alternando i frame destinati all’occhio destro e quelli destinati all’occhio sinistro in maniera continua e ripetuta. Allo stesso tempo, viene inviato un segnale agli occhiali in modo che questi possano oscurare l’occhio cui di volta in volta non è rivolta l’immagine. Ovviamente per realizzare questa tecnologia- il cui risultato è quello di un’elevata definizione grafica- c’è bisogno di macchine e sistemi di elaborazione molto veloci.
Infine, vi è l’ingrediente dell’interattività, il quale caratterizza l’esperienza risultante dalle tecnologie di Realtà Virtuale e Aumentata trasformando queste in dei media del tutto rivoluzionari. Gli scenari di AR e VR, infatti, non si limitano a sfruttare la visione stereoscopica per far sì che l’individuo si ritrovi in una condizione di immersione in questi ambienti: essi, infatti, sono sviluppati anche per prestarsi ad un’interazione con l’utente. Tutto ciò al fine di restituire un’esperienza cognitiva importante e portare l’utente oltre il semplice ruolo di spettatore. L’interattività, da un punto di vista tecnico, viene realizzata tramite sistemi di tracciamento e manipolazione, che consentono ad esempio di catturare in tempo reale il movimento spaziale di un corpo fisico e di elaborarlo al computer.
Realtà aumentata, realtà virtuale e industry 4.0
È comune associare le tecnologie in grado di realizzare e riprodurre scenari di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata all’universo dell’entertainment. Dal mondo del cinema a quello del gaming, infatti, tali tecnologie sono ormai da decenni sfruttate in maniera notevole e significativa al fine di rendere l’esperienza del fruitore più performante possibile. Oggi però queste tecnologie possono essere associate anche al cuore del settore industriale, in particolare se si parla dell’Industry 4.0, la quale è da inquadrare come una realtà non più tanto appartenente al futuro, ma piuttosto al presente.
Industry 4.0 significa non solo aumentare l’efficienza dei processi, ottimizzando il funzionamento delle componenti industriali attraverso la digitalizzazione. Tale espressione infatti indica una vera e propria ridefinizione dei confini del settore dell’industria. Questa ridefinizione è, sostanzialmente, basata sui cyber-physical systems (sistemi informatici in grado di interagire in maniera autonoma e funzionale con il sistema fisico che lo accoglie o in relazione a cui opera), il cui meccanismo risulta nell’embeddingdi mondo reale e virtuale (si parla infatti di embedded reality, per indicare la condizione di pervasività di questo processo).
Tecnologie come l’AR e la VR, dunque, che rappresentano anche un crocevia tecnologico tra ingegneria ed entertainment, sono fondamentali in questa ridefinizione di confini e di paradigma.
Non a caso oggi si parla di Human o User Centred Design, indicando con questa espressione il design elaborato sulla base delle preferenze e delle attese dei consumatori. Si tratta di modelli derivati dalla disciplina, di matrice nipponica, definita come Kansei Engineering: tale termine si traduce con l’espressione ‘ingegneria delle emozioni’ e vuole indicare lo sviluppo di prodotti e servizi a partire dai bisogni e dalle esigenze psicologiche del consumatore o dell’utente, le quali vengono traslate all’interno del product design. L’implementazione dei sistemi di Realtà Virtuale e Aumentata, dunque, costituisce un significativo passo in avanti verso questa direzione.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/03/realtà-aumentata-3.jpg16002331Alex Giordanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlex Giordano2020-04-10 19:10:222020-04-16 09:41:35Che cosa sono la Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata, raccontato con una mini-serie TV
Nei giorni dell’emergenza causata dal COVID-19, molte aziende son scese in campo per supportare gli ospedali in difficoltà. Una di queste è Ultrafab, la quale sta adoperando la stampante 3D per raccogliere pezzi utilizzabili per i respiratori.
Il loro obiettivo è aiutare il sistema sanitario nazionale nel modo più capillare possibile.
Ultrafab è una startup innovativa, fondata a Brescia nel 2018. Il core business è gestire l’intero processo di ideazione, progettazione, sviluppo ed industrializzazione di prodotti nel mercato dell’internet delle cose (IoT), con un focus specifico sulle necessità di acquisizione, gestione e comprensione del dato, tramite strumenti di analisi tradizionale e di intelligenza artificiale. Inoltre, gestiscono la raccolta dei dati di produzione, usando nel laboratorio anche stampanti 3D, taglio laser e altri strumenti tipici di un Fab Lab per la prototipazione digitale.
A tal proposito, abbiamo ascoltato il CEO di Ultrafab, Alessio Bernesco Làvore.
L’esperienza di Ultrafab
Ultrafab da 3 anni è attiva nel settore IoT. Di cosa vi occupate? Soprattutto, a chi vi rivolgete?
«Principalmente ci occupiamo di quello che viene definito “Industria 4.0”, nello specifico nella parte di raccolta, analisi e condivisione dei dati, con un focus specifico legato ai processi di acquisizione in tempo reale e alla parte IoT. Il nostro prodotto di punta “Bishop” è un sistema operativo di fabbrica. Una piattaforma che permette di far dialogare la parte fisica, quindi i macchinari, con la parte puramente digitale: i sistemi gestionali aziendali, i sistemi di business intelligence e così via.
Il nostro compito è quello di fungere da “broker” di tutti i flussi informativi (e sono parecchi) che si generano, nascono e muoiono all’interno dell’azienda contemporanea. Basta pensare a quante informazioni vengono prodotte quotidianamente da un macchinario industriale e che vengono perse perchè non raccolte ed analizzate. Noi rendiamo possibile questa raccolta ed aiutiamo a valorizzarla, dando un senso ai dati raccolti. Ci rivolgiamo principalmente al mondo manifatturiero, con clienti che coprono un po’ tutti i tipi di produzione e fatturato annuo.
Certo, per posizione geografica e di prossimità (siamo di Brescia) i nostri clienti principali operano nel campo meccanico e metallurgico. Ma abbiamo casi di utilizzo anche lontani dall’industria: biomed, smart building e luxury».
Come l’azienda sta reagendo all’epidemia COVID-19 (anche con la prototipazione digitale)
Stiamo vivendo una situazione drammatica in tutta Italia e non solo, causata dall’emergenza del Coronavirus. Come vi state comportando come azienda? Siete stati costretti a chiudere, avete adottato lo smart working?
«Come Ultrafab siamo entrati in modalità smartworking fin dall’inizio dell’emergenza. Abbiamo uno spazio fisico di circa 450 metri a Brescia (che chiamiamo affettuosamente “il lab”) ma da tempo i nostri strumenti di lavoro e il nostro ambiente di sviluppo sono totalmente virtualizzato e accessibile in cloud. Quindi in pratica ovunque abbiamo un portatile ed una connessione ad internet, noi siamo operativi. Per noi non è stato abbastanza automatico iniziare a lavorare da casa, anche perchè per chi di noi ha figli è stata una scelta quasi obbligata.
Nel corso delle settimane abbiamo visto i nostri clienti gradualmente chiudere, fino a rimanere a seguire in linea solo quelli direttamente coinvolti nella lotta all’emergenza e qua, purtroppo, non sono pochi. Pensavamo che ci sarebbe stato un totale congelamento delle attività, mentre stiamo ricevendo costantemente richieste da nuovi prospect. Sembra che un buon numero di aziende stia utilizzando questo periodo di stasi per ampliare il ragionamento sulle nuove tecnologie. Speriamo tutti in una applicazione pratica una volta passato il periodo di quarantena».
In una zona tanto colpita come la vostra avete dato un contributo alla lotta al COVID-19?
«A Brescia c’è stata una risposta fortissima da parte di tutto il tessuto produttivo. Noi nello specifico abbiamo aderito alla call di Make In Italy mettendo a disposizione le macchine di digital fabrication che abbiamo in laboratorio e le competenze IoT. Per la prima parte in particolare abbiamo collaborato alla produzione dei particolari di alcuni face shield e abbiamo messo a disposizione il laboratorio per l’assemblaggio.
Per la seconda stiamo lavorando al progetto di un apparato wearable a basso costo e facilmente riproducibile per il monitoraggio a distanza dei parametri medici dei pazienti, soprattutto nell’ottica di facilitare il controllo delle persone a casa in convalescenza o degli ospiti delle strutture gestite (RSA e residenze per anziani)».
Con quali prodotti, macchinari, attrezzi?
«Avendo due nature, una “digitale” legata allo sviluppo e una “fisica” legata ai macchinari, dividerei le due cose. Per noi la parte macchine di digital fabrication è una risorsa interna, le utilizziamo solo per la realizzazione dei nostri prototipi o per l’adattamento di soluzioni che forniamo ai nostri clienti, non facciamo un service.
Questo ci ha portato ad avere una specializzazione orizzontale, quindi diverse macchine per scopi diversi, piuttosto che verticale, quindi concentrata su poche lavorazioni ma un elevata produzione. Abbiamo stampanti 3D, sia FDM che a resina, con diverse tipologie di stampa e dimensione. Una macchina per il taglio laser, una macchina CNC a 3 assi in grado di lavorare materiali diversi, anche metallici, apparati per la termoformatura e per la lavorazione dei compositi, un laboratorio di elettronica e un reparto “tradizionale” con macchine manuali (trapani, troncatrici, etc). Per la parte di sviluppo da sempre utilizziamo prodotti opensource, sia server che client e tutti i nostri prodotti sono nativi cloud».
Sulla stampa 3D (o prototipazione digitale) c’è confusione su cosa si possa stampare, sull’utilizzo e la qualità e sulle quantità prodotte. Vogliamo chiarire questo aspetto?
«Come per tutti gli ambiti della tecnologia in cui ci siano due aspetti congiunti (strumento/competenza) che devono interagire dividerei le tre fasce classiche: consumer/prosumer/professional. Come avviene in altri ambiti assimilabili (penso a quello della fotografia?!?) ci sono strumenti consumer che hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni, permettendo anche ad utenti appena affacciati di ottenere soddisfazione, ma ancora semplicemente inutilizzabili “by design” nel mondo professionale.
Per la stampa 3D quello di cui si parla solitamente sui social è la stampa 3D fatta con apparati consumer, quella che permette con un minimo investimento (nell’ordine delle centinaia di euro) di avere qualcosa in grado di stampare oggetti in plastica. La qualità del prodotto realizzato alla fine è la somma di una serie di fattori, nei quali di solito l’esperienza dell’utente e la quantità di modifiche/messe a punto fatte alla macchina (ovvero ora investite) diventano il vero fattore determinante.
È ovvio che in ambito professionale questo tipo di variabilità non è accettabile. Le macchine utilizzate in ambito industriale e che attualmente permettono realmente di produrre pezzi con modalità/tempi/costi impossibili per i processi tradizionali sono altamente automatizzate e hanno un’affidabilità elevatissima, in pratica condividono con le stampanti 3D comprate su Amazon solo il nome generico.
La nostra esperienza specifica sta nella fascia di mezzo, quella degli apparati “prosumer”, prodotti il cui costo più elevato, per quanto ancora accessibile per una realtà piccola e non orientata alla produzione di massa, è giustificato da una maggiore affidabilità e riproducibilità del processo. Per noi avere un reparto di fabbricazione interna vuol dire poter arrivare in “ore/giorni” ad avere un prototipo finito in grado di portarci sul campo per i test, senza peraltro dover mettere piede fuori dal lab. Parlo in generale di fabbricazione anche perchè l’oggetto finito non è quasi mai “100% 3D printed” ma un mix di diverse lavorazioni, stampa 3D, laser cutting, lavorazioni CNC, componenti elettronici, etc.
L’ultimo aspetto determinante è poi legato alla capacità progettuale, è banale, ma una stampante 3D realizza oggetti che sono stati precedentemente disegnati e progettati con programmi di CAD 3D, motivo per cui spesso gli oggetti consumer vengono acquistati per rimanere a breve inutilizzati per mancanza di soggetti da stampare. Più o meno come il fatto che senza pentole non potrai sicuramente cucinare, ma comprare una pentola non ti fa diventare automaticamente Barbieri».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/Schermata-2020-04-10-alle-17.07.48-min.png6931052Rossella Pisaturohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRossella Pisaturo2020-04-10 17:58:532020-04-15 11:58:04Coronavirus: la prototipazione digitale scende in campo per gli ospedali in emergenza
Quando si fa storytelling non si raccontano semplicemente “storie”, bensì si comunica alla propria audience, che si deve conoscere e che si è precedentemente analizzata, un “autentico racconto”.
Accompagnare questi interlocutori verso la dimensione desiderata non è un’operazione affatto facile. Ma vale la pena affrontarla. Lo storytelling necessita di un cosiddetto habitat narrativo, all’interno del quale si invitano i soggetti scelti, verso un comune destino.
Bisogna analizzare la realtà e riprodurla. In maniera coerente e strutturata. Partendo da qui si possono creare contenuti unici che sappiano nel tempo mantenere ed assicurare credibilità. Ecco da dove inizia la sfida.
Il termine storytelling oggi è forse un po’ abusato. Per questo forse ci si è dimenticati della sua naturale accezione e della sua complessa struttura.
Raccontare aiuta certamente a riflettere ed esprime intrinsecamente, una volontarietà che può configurarsi in ambito digital, come una vera e propria necessità: vendere ad un pubblico specifico, con una direzione business-oriented, oppure esprimere una dimensione di inadeguatezza.
Talvolta esigiamo di voler elaborare un “racconto” di noi, pensiamo di aver in pugno tratti unici ed irripetibili, che la storia da proporre sia vitale per noi e per chi ci ascolta. Può essere così, ma bisogna ricordare sempre di essere sinceri quando si racconta: è fondamentale, al di là di tutto, per arrivare al cuore di chi ascolta.
6 variabili chiave dello Storytelling
L’attività di storytelling necessita di un’organizzazione ben precisa. La delinerei, come riportato dalla Marvel Cinematic Orchestra, un vero e proprio insieme di “regole e passaggi facenti parte di una strategia molto più ampia”.
Ecco le sei variabili chiave dello storytelling ed i suoi più importanti protagonisti:
Story listener (lettore o ascoltatore del racconto)
Story (il racconto in sé che deve essere adatto ai canali digitali di distribuzione)
Show (modalità di svolgimento)
Story-teller (chi potenzialmente influenza le storie e ne determina la cosiddetta story-experience)
Story-architect (il “creatore della dimensione” desiderata)
Che ti piaccia o no, ognuna di esse non può esistere da sola e tutte insieme, formeranno il tuo racconto.
Partire dal lettore. Si comincia da qui
Partiamo dal presupposto che non dobbiamo, e non possiamo, piacere a tutti. I racconti devono innanzitutto presentarsi come coerenti e reali. Parti da un obiettivo ben delineato, la cosiddetta core-story, e ricordati alcune semplici domande da porti prima di iniziare. Questo processo, seppur presentato in minima parte, ti aiuterà senz’altro a capire a chi ti stai rivolgendo.
Chi è il tuo pubblico?
Perché l’hai scelto?
Che età ha?
In quale canali riuscirà a seguirti meglio?
La checklist per iniziare a fare storytelling
Pubblico analizzato, obiettivi chiari e sinceri. Adesso ci siamo, quasi! Prima di raccontare e fare storytelling, analizzate per l’ultima volta la vostra core-story e create uno storyboard accattivante che sappia conquistare il target di riferimento.
Poniti gli ultimi doverosi quesiti:
Quale tipo di immagine preferisce il mio pubblico?
Mai fermarsi con lo storytelling, neanche durante l’emergenza
Da professionisti della comunicazione, è doveroso riflettere su alcune azioni da adottare in queste drammatiche settimane. Condividere esperienze, anche e soprattutto adesso, può rivelarsi di grande aiuto, specie nella comunità “always-on”, di tutti i professionisti digitali che sono in difficoltà sul come rivedere i propri piani editoriali e continuare il racconto dei brand che gestiscono.
Ecco alcuni consigli, frutto della reale esperienza sul campo (ma anche di un forte senso civico) per operare al meglio nei circuiti digitali, anche durante l’emergenza Coronavirus.
Leggi le attuali norme ministeriali
Per prima cosa, dai un’attenta lettura alle ultime disposizioni ministeriali per consigliare al meglio i clienti su quali notizie tenere d’occhio e quali comportamenti mantenere.
Rimodula i piani editoriali
Elimina tutti i post inopportuni o che mirino a valorizzare i prodotti dei clienti, specie se durante momenti attualmente sconsigliati, quali l’aperitivo o l’after dinner.
Stop a qualsiasi evento o manifestazione che presupponga un luogo fisico in cui incontrarsi.
Elimina, se in programma, eventi ed altre manifestazioni che non possono, attualmente aver luogo.
Non consigliare di partire
Se gestisci i canali di comunicazione di un’agenzia di viaggi, ad esempio, ricorda che non è possibile al momento partire. Meglio puntare, quindi, su contenuti esperienziali, ricordando viaggi indimenticabili che potranno essere ripresi non appena tutto tornerà alla normalità. Una buona idea potrebbe esser quella di condividere ricette locali dei luoghi visitati e da riproporre, al momento, in casa, magari creando engagement proponendo attività che mirino alla condivisione da parte dei follower.
Evita le battute divertenti (potresti rischiare la gaffe)
Essere divertenti può non essere la strada giusta al momento. Piuttosto informa la tua community delle nuove disposizioni in vigore, fai capire che ci sei e che non abbandonerai i tuoi follower.
Continua le campagne di routine
Non sospendere campagne “di routine”, ma fai vedere che continui a presidiare i tuoi canali digitali. Assicurerai così, la costanza di parametri quali Traffic Generation e Social Engagement in maniera sana, soprattutto in ambito Social Media Marketing. Proponi contest e premia i contenuti migliori, ma sempre invitando tutti a rimanere a casa (presenta badge #iorestoacasa per Instagram Stories: è una possibilità di grande visibilità tra tutti coloro che ne fanno uso, all’interno della piattaforma). Valorizza eventuali promo online per eCommerce.
Affronta con buon senso la situazione
Controlla le promo attive, rimodulale, e se necessario modificate i messaggi! Utilizza, soprattutto per il mondo del Food&Beverage, dirette live e i vari strumenti che ti permettano di creare webinar per consigli e piccole masterclass. Se gestisci i canali di band musicali, ad esempio, potresti coinvolgere gli utenti in attività di pura brand awareness e, creare delle dirette.
Consiglia sempre di osservare tutte le norme per ridurre potenziali contagi
Ricorda, laddove possibile, che è impegno di tutti adottare le norme attuali per evitare il più possibile nuovi contagi. Il comportamento degli utenti che ti seguono online, specialmente per un brand o un’attività con alto Customer Loyalty (ma non solo), è sicuramente quello di scoprire e monitorare anche l’impegno sociale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/sorytelling-durante-il-coronavirus-2.jpg600933Luca Maggipintohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Maggipinto2020-04-10 16:41:062020-04-13 19:35:04Come fare Storytelling, anche durante l'emergenza Coronavirus
La link building per molti è considerata un argomento ostico, quasi esoterico. Passatemi iltermine soltanto per far capire il livello di complessità che questa disciplina porta con sé.
Le regole sono certamente cambiate nel corso del tempo e coloro che non sono stati in grado di apprendere e adattarsi alle regole in continua evoluzione e ai requisiti crescenti in termini di competenze, strumenti, dettagli, hanno dovuto rinunciare ai loro “trucchi per la creazione di link del tutto artificiali”.
Link Building e Tecniche white hat
Iniziamo a dire che la link building è morta per coloro che non sono riusciti ad adattarsi alle novità e ai cambiamenti che Google stesso ha imposto in tutti questi anni.
Si è parlato molto dei link come fattore di posizionamento. Molti SEO si sono concentrati soltanto sulla parte on-site e sulla parte contenutistica, tralasciando o sottovalutando altri aspetti.
Come Google Penguin, nel 2012 cambia il modo di lavorare
Prima di aprile 2012, si poteva facilmente migliorare la propria posizione nelle SERP comprando link di ogni tipologia e fattura poiché il famoso concetto attuale della qualità non era per nulla presente. Grazie a Dio, tutto ciò non è più possibile adesso fare link building diventa un’attività molto difficile e soprattutto dispendiosa in termini di effort da dedicare.
I link di pessima qualità, ormai, possono rappresentare un rischio e dovresti sapere come evitare di incappare in pesanti penalizzazioni se non addirittura essere bannati.
Un link è una semplice connessione tra A e B
Un collegamento ipertestuale è una connessione dalla pagina di riferimento alla pagina di destinazione. Purtroppo però per troppo tempo, i SEO sono stati ossessionati dal concetto di Pagerank o qualunque metrica del sito da quale prendere un link.
Stato dell’arte della Link building
Per i vari motivi che abbiamo citato la link building ormai è diventata un’attività per professionisti, basti pensare che ci sono persone che di lavoro nascono come link builder, magari anche senza nozioni di SEO tecnica. Non a caso sono nate anche piattaforme che permettono di fare outreach in maniera semplice garantendo elevati standard di qualità.
Infatti rispetto al passato dove tutto era lecito, perché spendere molti soldi per link che probabilmente prima o poi ti faranno molto, ma molto male?
Cosa intendi veramente quando senti parlare di link building?
Quando ci riferiamo a un backlink intendiamo un riferimento da un’altra pagina web alla tua pagina web. Questo è molto diverso dai link “in uscita” o in uscita dalla tua pagina. Non confondere i due. Un backlink viene anche chiamato link in entrata (IBL), a volte e questi link sono molto importanti nel determinare la popolarità (o l’importanza) di un sito web per i motori di ricerca come Google.
Perché i link sono così importanti?
I link sono il primo fattore di ranking di Google
I collegamenti sono il Web
I link indicano ottimi contenuti (che meritano un buon posizionamento)
I link passano juice
I collegamenti passanotrust
Google ha confermato che sarebbe innaturale trovare un sito web senza backlink
Attraverso i link Google scopre il sito
Nel marzo 2016, in un Q&A, Andrey Lipattsev, Search Quality Senior Strategist di Google, questi ha affermato che i primi due fattori di ranking sono link e contenuti:
I can tell you what they are. It is content. And it’s links pointing to your site.
I backlink non sono tutti uguali
Prima di parlare di qualità dei link, bisognerebbe subito abbattere un vecchio preconcetto: più link sono, meglio è!
Invece non è affatto così meglio ricevere pochi link, ma tutti di qualità. Vedremo dopo cosa intendiamo per qualità, perché ricevere una marea di link da siti di dubbia qualità avranno come risultato solo quello di farci penalizzare da Google.
I link non sono per nulla tutti uguali. Il punto è capire:
su quali pagine far puntare i link?
Quanti link al mese?
Che tipo di link (dofollow, No Follow, Reindirizzamenti, Javascript, Frame, ..)?
Con quali anchor text linkare (“money keywords” o “Brand”)?
Che rischio ci prendiamo con questo link?
Inoltre, questi fattori possono essere valutati in modo diverso in casi diversi. Un link può anche essere buono o cattivo a seconda del settore, del paese, della lingua e delle parole chiave. Sfortunatamente, non esiste una regola generica. Ad esempio, NON è lo stesso se un dominio si collega a 1.000 sottopagine o se 1.000 domini si collegano a una sottopagina. Ecco perché consiglio sempre di utilizzare tool come Majestic, Ahrefs o SEMrush.
Caratteristiche di un link buono
Per essere considerato positivo, un link dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:
Proveniente da fonte autorevole
Alto valore DOM/POP
Elevato TRUST
Lingua
Variazione di IP e Classe C
Appartenenza alla stessa nicchia
Distribuzione ragionata Anchor Text
No link a raffica
No scambio link
Presenza o meno del tag nofollow
Indirizzare i link in profondità e non solo verso la home
Come fare Outreach
Esistono diversi modi per intercettare link e qui ne riportiamo alcuni.
Richiedere backlink
Questo è un buon modo per iniziare, soprattutto se sei agli inizi in questo settore. Pensa ai tuoi amici, parenti, colleghi, partner, clienti che hanno un blog o un sito. Tutto quello che devi fare è chiedere un backlink. Richiedi sempre link nel contenuto anziché link nella sidebar o nel footer.
Ma fai attenzione e assicurati che il backlink provenga da un sito web pertinente per la tua nicchia. Altrimenti, non avrà un impatto ottimale e potrebbe persino essere dannoso.
Costruire relazioni
Per ricevere buoni link, è necessario costruire buone relazioni. Ci sono molte opportunità per creare nuovi contatti. Dovresti iniziare con community correlate alla nicchia: forum, blog o gruppi sociali.
Fai il primo passo e inizia a contribuire con commenti e post interessanti e pertinenti, fornendo valore contestuale a ogni discussione.
Partecipando attivamente a queste comunità online incentrate sulla tua nicchia, non solo otterrai alcuni buoni backlink, ma avrai sempre accesso alle ultime novità del settore e sarai in grado di collegarti ad alcune persone interessanti che condividono le tue passioni.
Avviare un blog
Non creare un blog con un post e un backlink al tuo sito. Se lo fai, non solo hai perso tempo, ma probabilmente hai anche creato un altro link rischioso per te stesso. Se vuoi avere il tuo blog, devi tenerlo in vita.
Scrivi post su base regolare. Concentrati sul tuo settore e sulle esigenze del tuo cliente. Con il tempo, molto probabilmente acquisirà autorità. Assicurati che i tuoi contenuti siano pertinenti, utili e ben strutturati.
Questo è l’unico modo per garantire che il mondo vorrà navigare il tuo blog più volte.
Scrivere un buon guest post per altri
Ci sono molti siti e blog che accetteranno di pubblicare il tuo articolo. Prima di scrivere un articolo da qualche parte, assicurati che:
Il sito web o il blog è pertinente al tuo argomento
L’articolo non riguardi quanto sei grande o la tua azienda
Focalizzati sulla qualità (ben scritto, professionale e interessante)
Tieni presente che un articolo scadente può avere un effetto contrario
È importante creare link che aiutino il tuo sito web e non link che possono influire negativamente sul posizionamento del tuo sito nei risultati di ricerca.
Se cerchi i tuoi concorrenti, noterai probabilmente che hanno alcuni backlink in comune che non hai ancora. Bene, se sono riusciti a ottenere questi backlink, perché non dovresti farlo anche tu? Strumenti come SEMrush e Majestic ti aiuteranno a farlo.
Ottieni un backlink indiretto dal tuo competitor
È abbastanza comune che alcuni dei tuoi competitor ricevano link dagli stessi siti. Trova questi siti ed inserisciti in questo schema. Questi siti hanno generalmente grande authority nel tuo settore.
Recupera i backlink persi
A volte potresti trovare collegamenti rotti al tuo sito web. Questo può accadere se la posizione della tua pagina cambia o se un altro webmaster ha sbagliato a scrivere il tuo link. In entrambi i casi, questi backlink restituiranno un errore 404.
Tali problemi possono anche verificarsi comunemente dopo il riavvio o la migrazione di un sito in un altro dominio. Dovresti quindi reindirizzare questi backlink verso un’altra pagina presente.
Trasforma le tue menzioni in backlink
Questo è probabilmente uno dei modi più semplici per ottenere alcuni backlink nuovi. Qualcuno ha già scritto qualcosa su di te. Hanno menzionato il tuo brand o prodotto, ma non hanno messo un link al tuo sito web. In situazioni come queste, di solito è sufficiente contattare il webmaster e chiedergli di convertire quella menzione in un backlink.
Hai ma sentito parlare di link earning?
La link building è sicuramente ancora una delle tecniche SEO più utilizzate ed efficaci. Come detto in precedenza, richiede investimenti in strumenti affidabili per fare outreach, tuttavia, richiede anche molto lavoro manuale.
Non tutti i link creati però sono uguali. Quelli ricevuti da siti autorevoli possono migliorare il tuo posizionamento in maniera importante, mentre altri possono danneggiare il tuo sito su più livelli. Per non parlare del fatto che qualsiasi attività di link building fatta male può farti addirittura penalizzare e danneggiare le prestazioni a lungo termine del tuo sito.
Proprio per questo motivo, la SEO off-site è una questione abbastanza delicata e dovrebbe sempre essere fatta da professionisti. Questa è in realtà la principale differenza tra comprare link e/o guadagnarseli naturalmente, stiamo parlando del concetto di link earning.
Il guadagnarsi link può essere definito come una nuova forma più saggia di accrescere il proprio trust nei confronti di Google. Il tutto ruota intorno alla creazione di risorse pertinenti e coinvolgenti che apportano valore sia ai motori di ricerca che ai loro utenti. Il concetto di link earning ruota sulla strategia di creare contenuti dall’alto valore, così alto che la gente deve avere voglia di farne share. Da questo buzz dovresti ottenere dei link in entrata.
L’obiettivo principale di Google è, proprio come per qualsiasi altra azienda, guadagnare denaro. E Google non può guadagnare nulla se non fornisce una buona esperienza utente. Una buona esperienza utente, a sua volta, arriva con risultati di ricerca validi e pertinenti.
Crea contenuti eccezionali
Va bene, è ovvio, ma nella sua banalità è incredibilmente importante. Oggi, creare un pezzo di qualità non si riduce a scrivere un articolo di 500 parole e chiedere a un blogger di pubblicarlo. Al contrario, si tratta di investire tempo e sforzi nella conduzione di una ricerca approfondita e nella creazione di contenuti di alta qualità, coinvolgenti e interattivi.
Non limitarti ai soli articoli. Sperimenta diversi tipi di contenuti, dai video alle infografiche, guarda cosa risuona con il tuo pubblico di destinazione. Assicurati che ogni post sia supportato da ricerche pertinenti. I tuoi contenuti devono rispondere alle domande del pubblico e consentire loro di partecipare attivamente alla “conversazione”.
Una volta che iniziano a notare la qualità dei tuoi contenuti, i tuoi lettori ti vedranno come una fonte affidabile di informazioni e link al tuo blog, senza che tu debba alzare un dito.
Che cosa significa contenuti di qualità per Google?
Un contenuto è di qualità quando è:
Desiderabile
Trovabile
Utile
Accessibile
Credibile
Prezioso
Google controlla le caratteristiche tecniche del tuo sito come la velocità di caricamento del sito, la navigazione, il design, i metatag o la complessità.
Ma c’è qualcosa di più; un fatto davvero semplice: un buon contenuto ti porterà molti backlink naturali. E anche Google guarda i link. In effetti, i collegamenti sono il fattore di ranking primario per Google, come più volte detto.
Quindi il tuo obiettivo sarà quello di creare contenuti che la gente avrà voglia di linkare.
I limiti della Link earning
In primo luogo, tra i limiti, vi è un dato statistico: solo le anchor text esatte spostano posizionamento, mi sembra di poter affermare in maniera abbastanza decisa che sono in pochi coloro che ti linkano con anchor text in maniera naturale e quindi non otterrai miglioramenti di ranking se non solo, per modo di dire, miglioramento di trust (fiducia) e juice (valore che passa da un sito all’altro).
Un altro forte dubbio deriva dal fatto che i link naturali solitamente puntano solo esclusivamente verso l’home page o una landing sola del tuo sito quindi non ne beneficia il sito nella sua globalità in termini di posizionamento.
L’ultimo dubbio deriva dal fatto che non tutti lavorano per brand sexy, così sexy che tutti vorranno fare share di quei contenuti. In queste situazioni viene sempre voglia di pensare ad un povero marketing manager di un’azienda di bulloni che deve creare contenuti così ammalianti da scatenare un buzz incredibile, difficile no?
Siti dropped si o siti dropped no?
Prima di tutto stabiliamo subito cosa è un dropped site. Si tratta di siti che sono scaduti, quindi il proprietario non ne ha rivendicato la proprietà rinnovando il servizio di hosting per esempio. Vi sono piattaforme come nidoma.com o match.it che permettono di comprare questi domini.
Comprandoli recuperi più o meno il loro trust e i backlink in entrata, ma lato SEO possono aiutare? La questione è piuttosto annosa, per far sì che il sito possa esser preso in considerazione sarebbe fondamentale recuperare la struttura precedente e continuare con il core business precedente, questo succede spesso? Ahimè no! Molti tramutano tutto il core del sito e secondo me questi siti non sono buoni e non ha senso prendere link da qui.
Link building: conclusioni finali
Ti invito a iniziare a creare la tua prima campagna di link building. Ma prima di farlo, assicurati di fare un controllo dettagliato dei link e rinnegare tutti i link di spam che hai acquistato in passato e utilizzare tool che ti permetteranno di fare una link audit per fare in modo che Google esegua la scansione dei link nel tuo file di disavow più velocemente. Rinuncia a tutti i link ad alto rischio. Non vuoi che Google li trovi, vero?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/social-media-intelligence-2.jpg649948Gaetano Romeohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGaetano Romeo2020-04-10 12:34:162020-04-13 19:30:00Outreach e link earning: come fare link building di qualità
“Societing4.0 – Che cosa sono le tecnologie 4.0″ è una miniserie per capire le principali tecnologie 4.0 (Robotica all’Intelligenza Artificiale, dalla Stampa 3D alla Realtà Aumentata/Virtuale, dai Big Data all’Internet delle cose) e per dare maggiore consapevolezza e strumenti critici sulla loro applicazione a cittadini curiosi, PMI, studenti e insegnanti.
Per ciascuna tecnologia le telecamere dei giovani ricercatori entrano nei laboratori dell’Università Federico II dove sono studiate le tecnologie e dove sei luminari rispondono alle domande dei ragazzi, sotto la direzione scientifica del Professore Alex Giordano
I giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli Federico II hanno intervistato Massimo Martorelli, docente di Disegno e Metodi dell’Ingegneria Industriale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Puoi guardare la video-intervista integrale sul portale di Rai Scuola a questo link.
Il Prof. Martorelli ritiene che la pervasività e un certo successo dell’Additive Manufacturing sia dovuto anche al movimento dei makers: “Negli ultimi annii Makers, ovvero gli artigiani digitali di ogni età e provenienza si riuniscono per scambiarsi informazioni, nei FabLab (Fabrication Laboratory) oppure condividendo i modelli CAD”.
Questo rende certamente, tale tecnologia, molto più accessibile rispetto a tanti anni fa: “Prima, per andare a realizzare dei prototipi, anche solo per visualizzare e verificare se quel componente era stato progettato correttamente, era necessario ricorrere a delle stampanti molto costose. Oggi invece c’è la possibilità di utilizzare stampanti accessibili a tutti, low cost“.
Si tratta, insomma, di una tecnologia piuttosto accessibile anche per le piccole e medie imprese e per per quelle attività artigianali che non devono veder minacciato il loro valore aggiunto, la maestria e unicità della manualità del nostro territorio: “Direi che non c’è conflitto tra le tecniche AM e i valori dell’artigianato, anzi. Le tecniche di AM possono essere un vero e proprio aiuto per gli artigiani, accompagnando il lavoro che già facevano con un supporto in più. Possono aiutare nella realizzazione di forme complesse, e quindi affiancare la parte tradizionale aggiungendo nuove competenze”.
Approfondimenti
A cura dei giovani ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
L’espressione Additive Manufacturing (abbreviato generalmente nella sigla AM) si riferisce ad una serie di tecnologie in grado di costruire oggetti fisici- siano essi prototipi o prodotti finali- a partire da modelli digitali in 3D precedentemente realizzati. Esse si servono di materiali di vario tipo, i quali vengono sottoposti ad un processo additivo: l’oggetto, sulla base del progetto tridimensionale che lo descrive accuratamente in formato digitale, viene così realizzato strato dopo strato.
Tali tecnologie, di cui ormai si parla in maniera intensiva per via delle loro molteplici applicazioni, spesso si trovano indicate anche con le espressioni 3D Printing (abbreviata in 3DP) o Rapid Prototyping (o RP, primo termine usato per identificare queste tecniche).
Il primo punto da prendere in considerazione per quanto riguarda le stampanti 3D è la realizzazione della versione digitale dell’oggetto che verrà poi stampato. Il modello3D può essere realizzato attraverso tecniche e strumenti diversi. Ad esempio, essi possono essere realizzati a partire da zero con i software CAD (Computer Aided Design), vale a dire quei software di modellazione geometrica atti a supportare l’attività di progettazione di manufatti. Oppure, essi possono essere ricavati attraverso scanner 3D (sistemi laser o sistemi di Reverse Engineering non a contatto attivi; o fotogrammetria digitale, sistema di Reverse Engineering non a contatto passivo).
Oltre alla realizzazione del modello digitale 3D al CADè anche possibile scaricare modelli 3D direttamente da Internet grazie a siti come Thingiverse o il Progetto RepRaP, ideato da Adrian Bowyer, professore dell’Università di Bath. Entrambi gli esempi sopracitati si basano infatti sul principio dell’opensource e permettono quindi a ogni utente il download del modello e l’implementazione del proprio contributo.
A seguito della realizzazione del modello 3D si può passare al processo di stampa vero e proprio. Esso è caratterizzato dalle seguenti particolarità: la fabbricazione del componente avviene generalmente in modo additivo, strato dopo strato (layer by layer); la lavorazione procede in maniera completamente automatica a partire dal modello tridimensionale dell’oggetto da realizzare; la costruzione è indipendente dalla complessità della forma dell’oggetto, quindi vi è la possibilità di realizzare parti dalla forma geometrica molto complessa.
Le stampanti 3D oggi rappresentano un settore in ascesa nel mondo del business e destinato, nell’immediato futuro, a ridefinire i confini sia in ambito industriale che nella vita quotidiana. A sostenerlo è Massimo Martorelli, docente di Disegno e Metodi dell’Ingegneria Industriale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nonché Responsabile Scientifico del Laboratorio “CREAMI“ (Center of Reverse Engineering and Additive Manufacturing Innovation).
La crescente importanza di tali tecnologie è dimostrata, secondo Martorelli, da due fattori chiave. In primo luogo, diverse società- anche molto importanti nei vari rispettivi settori- hanno deciso di investire in modo massiccio su tali tecnologie. Le stampanti 3D sono infatti un elemento cardine di quella che viene chiamata Quarta RivoluzioneIndustriale, dopo che la prima ha visto l’avvento delle macchine a vapore, la seconda il concetto di catena di montaggio e la terza l’avvento di Internet all’interno delle aziende.
In secondo luogo, Martorelli sottolinea che l’aumentato interesse industriale verso i sistemi di Additive Manufacturing è dimostrato anche dall’emanazione di norme Internazionali ISO/ASTM a partire dal 2013 (nonostante il primo brevetto AM risalga al 1986). Dal 2013 ad oggi sono state emanate sette nuove norme. Tra queste, troviamo quelle riguardo la terminologia standard, il formato dei file, le linee guida e le raccomandazioni per la progettazione per AM, i metodi di test e le sperimentazioni e l’overview delle categorie di processi e materie prime.
Attualmente lo sviluppo dell’ Additive Manufacturing si muove lungo due percorsi distinti ma in stretta relazione tra loro: da un lato c’è la ricerca in senso stretto, che prosegue tramite le istituzioni più tradizionali, come università e istituti scientifici. Dall’altro lato poi ci sono i cosiddetti makers, ovvero coloro che realizzano progetti- in singolo o in collaborazione- e condividono informazioni riguardo questi, nell’ottica di una crescita sostenuta dalla sharing economy e dall’approccio peer-to-peer (ad esempio MakerbotIndustries, che nasce come costola del Progetto RepRap, Ultimakers e Printrbot, quest’ultimo tra l’altro realizzato tramite crowdfunding sulla piattaforma Kickstarter).
Con il passare degli anni le tecniche di AM si sono modificate ed evolute, andando verso strumentazioni sempre più efficienti e precise.
Esse costituiscono oggi un ecosistema ricco e vario di metodologie, strumenti e materie prime e si caratterizzano dunque per un’elevata versatilità che risulta in un ulteriore punto di forza.
Le tecniche più diffuse attualmente sono: Fused Deposition Modelling (FDM);Selective Laser Melting (SLM); Laser Metal Deposition (LMD); Digital Light Processing (DLP); Liquid Crystal Display (LCD); Selective Deposition Lamination (SDL).
Si tratta di tecniche che differiscono tra di loro per diversi elementi, come ad esempio le materie prima utilizzate per la realizzazione dei prodotti: alcune, come la DLP e la LCD si servono infatti di polimeri liquidi; altri, come la SDL, utilizzano invece fogli di carta; altre ancora, come la SLM e la LMD si servono di polveri (si parla in questo caso di powder bed– a letto di polvere- o powder deposition, polvere a getto), in particolare di metallo. Queste tecniche permettono la realizzazione di prototipi e prodotti, automatizzando i processi, riducendo notevolmente tempi e costi e introducendo, soprattutto, la possibilità di realizzare oggetti prima inconcepibili.
Il limite di queste stampanti, se può essere considerato un limite, è che gli oggetti che esse riescono a realizzare possono essere grandi al massimo quanto il piatto di stampa. Ma ciò non costituisce un ostacolo insuperabile, poiché conoscendo il principio di funzionamento è possibile realizzare stampanti sempre più grandi, incrementando sempre di più le potenzialità di questi strumenti. Inoltre, le tecnologie AM possono essere usate in cooperazione con altri hardware e software, in particolare con i robot e i sistemi dotati di Intelligenza Artificiale, utilizzando questi ultimi per realizzare oggetti più grandi depositando il materiale su più ampie dimensioni.
I campi di applicazione della stampa 3D
Fino a qualche anno fa realizzare oggetti fisici tramite stampanti 3D richiedeva sistemi costosi, laboratori estremamente attrezzati e software sofisticati. Ciò ha significato una limitazione alla diffusione di tali sistemi che potevano essere utilizzati solo in grandi aziende o in centri di ricerca altamente specializzati.
Oggi invece con l’avanzamento delle tecnologie e il conseguente abbattimento dei costi l’AM è entrata a essere parte integrante di diversi ambiti, ridefinendone i processi lungo i vari step della catena di valore.
Un ambito cui l’Additive Manufacturing restituisce soluzioni innovative e rivoluzionarie è quello medicale. In tale settore ad esempio è possibile realizzare il progetto digitale a partire da una TAC, da una microTac o da una risonanza magnetica. Dall’immagine bidimensionale infatti si riesce a ricavare quella tridimensionale da consegnare alla stampante 3D. In questo settore l’AM può essere utilizzato per studi preventivi (come ad esempio sul labbro leporino dei feti), per studi di implantologiaosteointegrativa, per la realizzazione di protesi acustiche o per il campo altamente innovativo definito come tissue engineering (ingegneria dei tessuti).
Un settore relativamente nuovo, ma che promette uno sviluppo significativo nel futuro prossimo, è quello delle costruzioni. Qui il Rapid Prototyping viene messo in pratica impiegando grandi e costose stampanti 3D. Una caratteristica che aggiunge ulteriore valore a questo campo di applicazione è la possibilità di utilizzare materiali sostenibili e riciclati, inoltre- oltre alla stampante in sé- i costi sono relativamente bassi se confrontati con i costi di realizzazione degli edifici con metodi standard.
Infine, per fare un altro esempio tra i tanti, oggi proseguono le sperimentazioni in settori più di consumo, come quello alimentare. In tale ambito ad esempio la Barilla ha stampato pasta in 3D con un concorso il cui obiettivo era realizzare nuove trafile con metodi innovativi ma con ingredienti tradizionali. I nuovi formati di pasta sono stati poi presentati all’Expodi Milano nel 2015. In questo settore poi vi è anche il progetto Nasa Advanced Food Technology Program che mira a produrre cibo tramite 3DP per migliorare la qualità di vita degli astronauti durante le missioni spaziali. O, ancora, si potrebbe fare riferimento alla nascita di Food Ink, la prima catena di ristoranti che crea cibo e stoviglie unicamente con stampanti 3D.
Vantaggi chiave
In conclusione, dunque, è possibile sintetizzare brevemente gli effettivi vantaggi che l’Additive Manufacturing è in grado di apportare sia alle industrie sia ai privati.
Prima di tutto vi è un’ottimizzazione delle materie prime, poiché è possibile limitare gli sprechi e utilizzare materiali anche riciclabili. Uno dei punti di forza dell’Additive Manufacturing è dunque lasostenibilità.
Vi è poi la possibilità di elaborare forme complesse che nell’industria tradizionale necessitano di una notevole mole di lavoro per essere realizzate, quando possibile. Dunque le tecnologie di 3D Printing vanno ad incrementare l’efficienza dei processi.
Importante poi è anche il lato della customizzazione, dal momento che è possibile produrre oggetti personalizzati secondo le proprie necessità in modo relativamente semplice e poco dispendioso.
Infine, è molto interessante- soprattutto in una prospettiva volta ad osservare l’immediato futuro- il collegamento con i settori della robotica e dell’IntelligenzaArtificiale. Si possono infatti utilizzare robot per realizzare strutture di grandi dimensioni o, ancora, attraverso dei software CAD all’interno dei quali sono stati implementati algoritmi di AI, si può implementare nella macchina la scelta tra una serie piuttosto elevata di possibili soluzioni, definite sulla base di vincoli e requisiti impostati dal progettista.
Non solo dunque l’AM si qualifica come un set di strumenti e tecniche di grande utilità per il settore produttivo ma, nella sua interazione con altri sistemi hardware e software, tale innovazione promette diventare parte di un ecosistema tecnologico esteso destinato a riconfigurare l’ambito industriale e, successivamente, anche quello quotidiano.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/Schermata-2020-03-23-alle-12.41.15.png381748Alex Giordanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlex Giordano2020-04-08 19:05:202020-04-08 19:05:23Che cos'è l'Additive Manufacturing, spiegato con una mini-serie TV
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