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digital tool della settimana

Weet, Zoomoff e Mubi, i digital tool della settimana

I tool di questa settimana ci aiutano a comunicare più facilmente, ad esempio attraverso un servizio di messaggistica video istantanea, oppure “a non farlo”, disconnettendoci al momento giusto quando ne abbiamo la necessità.

Mentre alcuni strumenti sono quindi utili a migliorare la nostra produttività e concludere i task perdendo meno tempo possibile, altri ci regalano quei cinque minuti di spensieratezza davvero necessari quando lo stress da lavoro inizia a farsi sentire.

Per il primo e per il secondo scopo, ecco a voi i digital tool selezionati per questa settimana.

Dimentica Giphy

tool moobi

Una nuova app del servizio di streaming di film d’autore Mubi permette ai cinefili di portare i film direttamente nei loro messaggi. Con Mubi puoi digitare semplicemente il tuo testo nell’app e verrà fuori un remix di clip personalizzato, pronto da inviare.

Scappa da Zoom

tool zoom off

Scusa, ho una chiamata importante!” Quale migliore motivazione per fuggire dall’ennesima noiosissima call su Zoom? Con Zoomoff puoi far squillare il telefono o far suonare il campanello e procurarti così l’alibi perfetto.

Comunicare da remoto

tool weet

Non sempre le chat e la messaggistica istantanea sono sufficienti a spiegare un progetto o ad annunciare novità al team in smart working. Weet è uno strumento di messaggistica video che ti permette di avere conversazioni asincrone con il tuo team, ma anche con partner e clienti. Include registrazione istantanea, condivisione dello schermo, sfondo virtuale, filtri video, emoji e ricche opzioni di commento.

Solo l’essenziale

tool uptime

Vorresti leggere di più o seguire corsi utili per la tua carriera, ma non hai tempo? Uptime è l’app che fa per te: potrai scoprire nuove idee da più di 1500 libri, corsi e documentari e studiarli in appena 5 minuti. Un tool progettato per rendere l’apprendimento divertente e memorabile.

Un profilo perfetto per Clubhouse

tool photo changer

Se stai cercando di perfezionare la tua presenza sul social vocale, puoi provare anche Photo BG Changer. Modifica la tua immagine profilo aggiungendo uno sfondo colorato come elemento distintivo.

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Se hai trovato utili questi tool, attiva la prova gratuita di Ninja PRO Information. Riceverai ogni giorno le news sempre aggiornate (anche in versione audio), insight, analisi degli esperti e i nostri consigli sui migliori strumenti.

club su Clubhouse

Ora tutti possono aprire un club su Clubhouse. Ecco come si fa

Aprire un club su Clubhouse è ora una funzione disponibile per tutti gli account.

Da oggi, infatti, puoi seguire il club di Ninja Marketing sul social più in voga del momento e rimanere aggiornato sulle più importanti notizie del tech e del digital con il consueto appuntamento della Room Ninja Morning, in diretta tutte le mattine dalle 9.00 alle 9.30.

Oltre alla redazione Ninja, nella room incontrerai anche tanti ospiti, esperti e professionisti del marketing che ogni giorno commentano insieme le news.

clubhouse ninja

Aprire un club su Clubhouse, ecco come fare

La creazione del club è velocissima: sarà infatti sufficiente aprire il tuo profilo per visualizzare, in basso a sinistra, un “segno più” da cliccare per avviare l’apertura.

clubhouse clubs club su clubhouse

Non riesci a vederlo? Prova ad aggiornare l’app (oppure a disinstallarla e re installarla) per risolvere il problema.

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Il passo successivo sarà impostare i dati del club che vuoi creare, quindi nome, immagine del club e altre informazioni utili per le persone a cui potrebbero interessare le tue attività. in più, potrai selezionare caratteristiche aggiuntive per rendere pubblica o privata la lista dei membri, ad esempio e consentire ai potenziali follower di seguire il gruppo.

Successivamente, verrai indirizzato alla scelta dei topic in modo che le persone che seguono gli argomenti attinenti al club che hai creato su Clubhouse possano individuarti facilmente.

aprire club su clubhouse

Trovare un club

Come avrai visto nell’immagine precedente, cercare (e trovare) un club su Clubhouse è semplicissimo. Ti basterà cliccare sulla solita lente di ingrandimento per visualizzare il box della ricerca. A questo punto, potrai selezionare “people” o “clubs” per cercare nel database corretto. Iniziando a digitare il nome che ti interessa trovare, apparirà nella lista, se disponibile.

LEGGI ANCHE: 15+ strumenti utili per usare Clubhouse da vero PRO (e risparmiare tempo)

Una nuova opportunità anche per i brand

Prima di questo nuovo aggiornamento, l’apertura di un club su Clubhouse richiedeva una procedura più lunga e complicata, sottoposta poi ad approvazione da parte dello staff dell’applicazione. Ora invece l’operazione può essere conclusa con pochi passaggi e poco sforzo e c’è da aspettarsi una proliferazione di club con i temi più vari. Ci sono però alcune limitazioni, legate al numero di club che è possibile aprire in un determinato periodo di tempo, oppure in relazione a quanto si è attivi sul social network.

limitazioni club clubhouse

Cos’è Clubhouse

Per chi ancora non lo sapesse, Clubhouse è una piattaforma di social media basata sui contenuti audio, una sorta di podcast interattivo in tempo reale. Le conversazioni sono organizzate in chat tematiche tra le quali si può navigare e si può scegliere di partecipare alla conversazione o limitarsi ad ascoltare. Le chat possono anche essere create dagli iscritti al servizio.

Una caratteristica importante è che “quello che viene detto su Clubhouse, rimane su Clubhouse”. Non è infatti possibile scaricare o condividere le conversazioni e i file audio ed è una pratica vietata dalle policy della piattaforma.

Al momento, infatti, puoi accedere alla piattaforma esclusivamente su invito, anche se è possibile iniziare a registrarsi con l’account che si vorrà utilizzare una volta invitati.

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mass market brand

Perché oggi è impossibile creare un mass market brand

I meccanismi principali dei media maggiormente fruiti dalle generazioni più giovani funzionano tramite retargeting e le persone vedono in continuazione quello che hanno già visto o che gli piace vedere. Questo stato di cose porta a produrre dei “miti settoriali”.

Creare un mass market brand risulta davvero complicato per diverse motivazioni: intanto, per semplificare, perché “non esiste più Pippo Baudo“, cioè un elemento universalmente riconosciuto indipendentemente dal gruppo di età a cui si appartiene.

Quando chiediamo alla gente se conosce Rosalba, Ghali e Ryan, sarà molto difficile ottenere una risposta affermativa per tutti e tre, perché sono tre miti di tre generazioni differenti. Rosalba è una famosa youtuber, Ghali è un rapper e Ryan di Ryan’s World è uno youtuber bambino, il più ricco del mondo.

Una volta, se avessi chiesto “chi è Pippo Baudo“, mi avrebbero risposto tutti trasversalmente, dalla nonna al nipotino di sei anni. Cosa è cambiato?

La differenza è che adesso, come direbbe McLuhan, è il media che crea il messaggio e la fruizione del messaggio. Nel momento in cui i media funzionano per retargeting e sono assolutamente settoriali e legati a una fruizione precedente, proponendo solo quello che la gente si aspetta di vedere, in maniera sempre crescente si formeranno micro-communities di persone che non conoscono assolutamente le preferenze delle persone accanto a loro.

Partendo da queste premesse, non è possibile far arrivare un unico messaggio a tutti e creare un mass market brand che vada bene per tutti.

Un’altra motivazione che rende impossibile la creazione di un prodotto di massa fruibile da qualunque generazione è che, all’interno di questo sistema di “disintermassmedializzazione” che stiamo vivendo si presenta un altro effetto sociologico: grazie alle migliori condizioni di vita generali a livello globale, perché il mondo è migliore di quello di 30 anni fa, per la prima volta ci sono sette generazioni sullo stesso pianeta.
Queste generazioni non hanno nulla da condividere l’una con l’altra, perché le tecnologie creano degli isolamenti, in termini di media, di fruizioni e quindi in termini di messaggi e linguaggi.

Sarà quindi sempre più difficile creare qualcosa come il Babbo Natale con il vestito rosso che sponsorizza Coca-Cola e va bene per tutti, o creare un programma televisivo visto da 15 milioni di persone. Esistono ancora, perché noi stiamo parlando di trend ma, in prospettiva, sarà sempre più complesso.

Una generazione diversa: le micro-community

La principale differenza della Generazione Z rispetto alle altre è il concetto di bellezza. Per esempio, gli adolescenti di oggi amano Sfera Ebbasta che, indipendentemente dai gusti e dall’orientamento sessuale, fino a qualche tempo fa non sarebbe mai stato visto come un esempio di bellezza. La stessa Billie Eilish non sarebbe mai stata vista come un sex symbol.

La nuova modella di Gucci ci insegna che questa generazione ha completamente un altro concetto di bellezza e tutti gli esperti di comunicazione dovrebbero interrogarsi su questo, e non soltanto per quanto riguarda la scelta del testimonial più adatto, ma proprio nell’obiettivo di creare qualcosa che abbia contatto con il cliente, che sia bello per lui.

Un altro punto importante di differenziazione è l‘accesso per micro-community. Con la Generazione Z è nato il fenomeno “finsta”, cioè l’ammissione che esista un “io reale” e un “io costruito”. I Millennials cercavano di utilizzare i social per mostrare la parte migliore di se stessi, la Generazione Z, invece, accetta che esista una parte “finta” di se stessi.

Dallo storytelling allo storydoing

La terza differenza rilevante, una indicazione davvero utile per tutti i marketers, è che lo storytelling sta lasciando spazio allo storydoing.

Tutti i nuovi strumenti di fruizione, tutti i nuovi media sono in realtà programmi di montaggio. Tiktok, ad esempio, è un mezzo di comunicazione che ha due caratteristiche principali: il riconoscimento sonoro e il riconoscimento per immagine, però, di base, la cosa che lo accomuna a Instagram, a Facebook e a tutti gli altri social network è che il contenuto all’interno è lasciato in mano al cliente, che è anche il consumatore finale.

A che cambiamento globale ha portato questa caratteristica? Fino a ieri, ad esempio, Samsung o Sony spendevano milioni di euro per produrre uno spot pubblicitario, nell’ottica di diffonderlo in televisione con un tempo stabilito di fruizione e per un periodo programmato, ipotizziamo per tre mesi di campagna stagionale.

Oggi, se un brand spende milioni di euro per uno spot, quali sono i canali migliori per diffonderlo? Di certo, mostrarlo per pochi secondi su Tiktok non garantisce un ritorno dell’investimento. Infatti, se fino a ieri le risorse erano destinate a costruire lo storytelling, oggi quelle stesse risorse devono essere destinate a costruire frame, format, framework di linguaggio, degli spazi dove la gente possa esprimersi, e dargli delle regole.

Il secondo step, che in realtà è primordiale, è che se un brand vuole dire alla gente come comportarsi, deve farsi riconoscere come autorevole. Il lavoro di identità è quindi proprio sul brand: tone of voice, comunicazione coerente, una chiara purpose. Come Patagonia, per esempio, che ha chiuso i negozi per supportare l’Earth Day.

Il supporto dei dati e lo spazio per l’innovazione

Pur in questo contesto di differenziazione e isolamenti delle community, l’analisi dei dati rimane essenziale. A prescindere dal canale di distribuzione del brand, che sia digitale o fisico è necessario continuare ad analizzare sempre i KPI fondamentali:

  • Vendite
  • Consumo medio
  • Numero di ticket
  • Conversion rate
  • Traffico

Alla base di questi KPI fondamentali ci sono tutti i dati che portano a questi cinque: la grossa fortuna del mondo digitale è che ti dà la possibilità di tracciare tutta la consumer journey ed è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire.

Detto questo, però, se fai sempre le stesse cose ottieni sempre gli stessi risultati. La vera innovazione è quindi sapere che puoi misurare ma lasciare spazio all’opportunità di fare cose nuove, senza legarsi troppo al dato.

Non proporre mai nulla di nuovo è la miglior strada possibile per accartocciarsi, è un circolo vizioso che rischia di condurci in una spirale del silenzio. Bisogna sempre imporsi di lasciare almeno un 20% del proprio Product Mix alle nuove opportunità e alla sperimentazione.

L’introduzione dell’innovazione nel Product Mix, mettendo in relazione tempo e quantità di prodotto, dovrebbe seguire infatti questo percorso:

  1. consumatore Innovator – poco prodotto e poco tempo di immissione nel mercato
  2. consumatore Early Adopter – leggermente più prodotto e leggermente più tempo di immissione sul mercato
  3. consumatore Early Majiority
  4. consumatore Late Majiority
  5. Laggard

Questa curva indica precisamente quello che accade nel mercato e quello che dovrebbe accadere in tutti i Product Mix delle aziende, ma anche nel Time Mix di noi stessi: lasciare dello spazio per fare qualcosa di folle.

Le informazioni restano quindi importantissime: va bene ottenere la certezza del business attraverso i dati, monitorarli, seguirli, conoscerli, ma occorre lasciare un po’ di spazio, almeno il 10/15%, a seconda della propria situazione, per fare cose nuove.

Snapchat e Bitmoji testano gli avatar Snapchatter in sedia a rotelle

Diversità e inclusione, per proiettare la propria identità sul digitale in maniera coerente alla realtà. Abbattere le barriere e gli stereotipi sociali: è questa la sfida di Snapchat e Bitmoji che, in risposta alle esigenze manifestate della propria community, sono in fase di test di stickers che presentano gli avatar Snapchatter in sedia a rotelle. Per coinvolgere ulteriormente la propria audience, la piattaforma ha lanciato attraverso i suoi canali ufficiali anche la richiesta di feedback. Una sperimentazione iniziale di nuove animazioni, intrapresa a stretto contatto con un consulente per i diritti dei disabili.

“Con l’introduzione dei nuovi personaggi Bitmoji Snapchat ha compiuto un passo in avanti – spiega il team a lavoro sull’innovazione – La missione è sempre stata quella di creare avatar che riflettano e rappresentino la diversità della nostra comunità. Oggi speriamo di progredire verso il raggiungimento del nostro più grande obiettivo di rendere l’inclusività una parte fondamentale della nostra piattaforma”.

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Quale sarà il design dei nuovi avatar?

I nuovi stickers conterranno avatar su una sedia a rotelle manuale, da aggiungere ai post, fornendo più opzioni agli utenti per ritrarre se stessi in modo più accurato all’interno dell’ambiente Snap, contribuendo all’aggiornamento dell’App.

Nella nota ufficiale, Snapchat afferma inoltre di aver compiuto uno sforzo significativo per garantire che le nuove creazioni fossero accurate e rappresentative.

“Essenziale il lavoro a stretto contatto con il nostro consulente per i diritti dei disabili, che ci ha guidati nella loro progettazione, in particolare rispetto ai dettagli della sedia a rotelle manuale: il bracciolo, il poggiapiedi, il tessuto del sedile e il posizionamento dei raggi. Riconosciamo che c’è molto di più nell’inclusione e comprendiamo che la disabilità si presenta in molte forme, sia visibili che invisibili. Ci impegniamo a imparare di più e di avere risposte dagli utenti per migliorare i nostri adesivi e i design inclusivi futuri”.

Il feedback degli utenti

La comunità degli utenti è stata chiamata a sperimentare i nuovi avatar, anche rispetto a potenziali nuove animazioni per espandere le possibilità di interazione e di identificazione.

La piattaforma, in passato, era stata criticata per la mancanza di supporto alle funzionalità di accessibilità, in particolare per gli utenti con deficit visivi. Con i nuovi avatar sempre più diversificati si amplia un segmento che potrebbe rendere l’applicazione più accogliente per una gamma molto più ampia di utenti.

Per chi desidera sperimentare gli  avatar Snapchatter in sedia a rotelle

Chi desidera sperimentare i nuovi format, può aprire l’App Bitmoji, la tastiera Bitmoji o l’estensione Chrome. Digitare nella barra di ricerca “sedia a rotelle” e scorrere per trovare le opzioni desiderate, lasciando anche il proprio feedback diretto su come migliorare il design.

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smart working per genitori

Benefici (e svantaggi) di smart working e remote working per le mamme e i papà

  • Le aziende hanno dovuto riorganizzare i sistemi organizzativi verso una metodologia di lavoro agile
  • Smart working e remote working sono forme di lavoro che possono generare numerosi benefici per i genitori lavoratori
  • Flessibilità e organizzazione sono i pilastri per uno smart working di successo sia dal punto di vista professionale che personale

L’emergenza Covid-19 ha costretto le aziende a riorganizzare i sistemi organizzativi delocalizzando le risorse, verso un modello organizzativo agile e di lavoro a distanza.
Il sistema normativo agevolato, introdotto dal Governo per aiutare le aziende nel faticoso compito di limitare i contagi e di proseguire con l’attività lavorativa, ha fatto sì che lo Smart Working sia diventato parte integrante delle vite di tutti noi.

Non è una novità

È bene precisare che il lavoro agile non è una vera e propria novità per le aziende, dato che diverse imprese in passato (in particolare quelle di maggiori dimensioni) avevano già siglato intese con le parti sociali per introdurre una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato che alterna periodi di lavoro in azienda a periodi di lavoro al di fuori di essa.

Il lavoro agile, il nome lo descrive benissimo, è una modalità di lavoro flessibile, agevole, adattabile sia alla vita lavorativa che a quella privata.

Ad un anno circa dall’inizio della pandemia e ad un anno di Smart Working “obbligato” è possibile analizzare i reali benefici che questa forma di lavoro ha generato sui lavoratori, concentrandoci principalmente sulle mamme e i papà.

Smart working vs remote working

Come prima cosa è importante sottolineare che Smart Working non è sinonimo di Remote Working. Dalla definizione legislativa del lavoro agile è possibile cogliere le particolarità che consentono di differenziarlo dal telelavoro (disciplinato dall’Accordo interconfederale 9/06/2004).

Ecco le principali differenze:

tabella smart working

I punti in comune

Cosa hanno in comune lo Smart Working e l’Home Working?

  • L’adozione di queste forme di svolgimento del rapporto di lavoro avviene volontariamente tramite un’intesa scritta che deve essere firmata sia dal datore di lavoro che dal lavoratore. Quindi nessuna imposizione datoriale né tantomeno nessun diritto del lavoratore possono dare inizio sia al telelavoro che allo Smart Working;
  • non sono una nuova tipologia contrattuale, che va ad aggiungersi a quelle di cui può fruire il datore di lavoro, ma una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro;
  • la possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro (work-life-balance).

Il work-life-balance è il beneficio per eccellenza di questa modalità di svolgimento del rapporto, beneficio che le madri lavoratrici e i padri lavoratori hanno apprezzato di più, soprattutto se i figli erano in DAD.

I vantaggi dello Smart Working per le mamma e papà (e non solo per loro)

Tra i vantaggi riconosciuti troviamo:

  • riduzione dei tempi e costi di trasferimento; 
  • miglioramento del work-life balance;
  • aumento della motivazione e della soddisfazione;
  • miglioramento delle condizioni climatiche ed impatto ambientale positivo.

La stima del tempo risparmiato da uno Smart Worker è pari a circa 60 minuti per ogni giornata di lavoro.

Se questo valore lo riproporzionassimo su un arco temporale annuale, il tempo risparmiato ammonterebbe a diverse ore, generando una  preziosa “banca delle ore” . Un piccolo tesoro di tempo e vita che potrebbe essere utilmente reinvestito.

E infatti così è stato. Molte mamme e papà hanno riorganizzato la loro giornata lavorativa per concedersi dei momenti con i propri figli.

Ci sono mamme che si svegliano alle 5 del mattino per lavorare nelle ore in cui la famiglia è ancora “spenta”, per poi svegliare i figli dopo qualche ora, preparare la colazione e dedicarsi a qualche momento conviviale.

Accensione dei pc per la DAD dei figli e nuovamente al lavoro fino alla pausa pranzo. Ai fornelli, un pranzo veloce, un caffè e quattro chiacchiere e di nuovo al lavoro.

E se figli non sono più in DAD? Possono intervenire i papà, che grazie allo smart working si sono trovati a trascorrere più tempo con i propri figli.

In una società dove la cura e l’istruzione dei figli è demandata ancora per la maggior parte alle donne, lo Smart Working ha aperto uno spiraglio di condivisione delle “faccende famigliari” anche con i papà, che insieme alle mamme si sono messi in gioco inventandosi yotuber, creatori di slime, insegnanti e cuochi.

Riorganizzando la giornata lavorativa e ottenendo una buona dose di equilibrio lo smart working consente alle famiglie di lavorare (intensamente) godendosi anche del buon tempo in famiglia.

Tempo che deve però essere di qualità per far sì che lo smart working e l’home working siano anche produttivi.

LEGGI ANCHE: 5 miti che sopravvivono ancora sul lavoro da remoto, da sfatare nel 2020

Gli svantaggi

Bolletta più cara 

Secondo l’ultimo report di SOStariffe.it, lavorare da casa è costato circa 268 euro in più a famiglia nel 2020. Un aumento delle spese per luce, gas, internet a causa dell’intensa attività di studio e lavoro.

Mancata disconnessione 

Uno degli svantaggi che più di tutti si è fatto sentire è proprio l’iperconnessione. Con il lavoro a distanza molti genitori-lavoratori hanno esteso il loro orario di lavoro senza rispettare le consuete pause che in presenza vengono effettuate. Qualche esempio? Proviamo a chiedere ai genitori quante volte hanno partecipato ad una call con telecamera spenta, microfono in mute mentre erano ai fornelli in preparazione della cena.

Poco spazio per sé 

Non sempre le abitazioni sono strutturate per accogliere un lavoro da casa, di due persone, insieme per esempio ad un figlio (o più) in DAD. La mancanza di una zona di tranquillità, dove poter lavorare senza rumori e senza essere disturbati, può provocare estremo stress e creare tensioni tra i componenti della famiglia.

Consigli utili per uno Smart Working equilibrato

Per evitare che la convivenza diventi una prigione, occorre stabilire delle regole ed organizzare al meglio la giornata lavorativa e familiare.
Qualche utile consiglio:

  • coinvolgere e parlare con i propri figli: spiegare ai bambini che i genitori sono a casa per lavorare e non per trascorrere del tempo con loro, per evitare che gli stessi si sentano trascurati. È importante responsabilizzare i figli soprattutto se molto piccoli;
  • organizzare l’ambiente dividendo l’area dedicata al lavoro dal resto della casa: la stanza scelta per lavorare non deve coincidere con quella del gioco. Lo smart worker deve lavorare in un ambiente tranquillo dove può concentrarsi mentre i bambini devono poter giocare in libertà, nella loro stanza, senza costrizioni;
  • condividere l’organizzazione della giornata con tutti i membri della famiglia: è di fondamentale importanza condividere i programmi di lavoro settimanali con i membri della famiglia, per consentire a tutti di organizzare gli impegni in modo funzionale e senza sovrapposizioni e di coinvolgere eventuali sostegni esterni nella gestione familiare quali babysitter o nonni;
  • pianificare ed organizzare le attività lavorative in un’ottica di lungo termine: questo è un aspetto fondamentale per il corretto equilibrio tra lavoro e famiglia. L’attività lavorativa a distanza va organizzata su un arco temporale almeno settimanale, per creare una stabile routine lavorativa e una corretta gestione della famiglia e dei figli;
  • affidarsi a supporti esterni: baby-sitter, nonni, post scuola, asili possono diventare un aiuto fondamentale quando gli impegni lavorativi si fanno più pressanti, oppure quando si è in prossimità di scadenze o conclusioni di progetto. Gli aiuti esterni possono prendersi cura dei più piccoli rimanendo nell’abitazione o all’esterno (nel caso di nonni o baby-sitter) oppure continuare nell’attività di studio e compiti (nel caso del post scuola) o nel gioco (nel caso degli asili) .

La ricerca del giusto equilibrio tra impegni professionali e privati è il mantra di tutte le famiglie. Per poter gestire lo smart working al meglio, sia dal punto di vista professionale che personale, occorre essere flessibili ed organizzati.

LEGGI ANCHE: Smart Working: 4 consigli per bilanciare vita lavorativa e vita privata (anche a casa)

Parola d’ordine: flessibilità

La flessibilità è il punto di forza del lavoro agile, il quale non impone necessariamente il rispetto di un orario di lavoro prefissato. Infatti, è lo smart worker che gestisce in modo autonomo le attività a lui assegnate.
Ne consegue che, per poter essere flessibili, le persone devono necessariamente essere organizzate in modo da portare a termine le consegne nei tempi previsti.

gen Z e sport

Consumer Trend: la Generazione Z ama lo sport ma non vuole guardarlo

Negli Stati Uniti, le maggiori leghe professionistiche continuano a perdere appassionati tra le fila della Z Gen.

Leghe, squadre e media partners stanno studiando il modo migliore per tamponare  l’emorragia di tifosi e raggiungere uno scenario win-win con i nati dopo il 1995: offrire contenuti sportivi che suscitino interesse (e siano monetizzabili) anche per le nuove leve di spettatori.

Siamo prossimi a un futuro in cui preferiremo pagare per vedere tutti gli highlights dei campionati invece che una singola partita per intero?

Bye bye partite in diretta

Un recente sondaggio di Morning Consult, condotto su un campione di 2.200 giovani statunitensi, dimostra che i ragazzi della Generazione Z sembrano essere molto meno interessati allo sport rispetto a qualsiasi altra generazione precedente.

Abituati a velocità di interazione e comunicazione diverse, accedono quotidianamente a grandi quantità di contenuti e intrattenimento online. D’altronde il tempo e la sua percezione sono il modo con cui le diverse generazioni definiscono se stesse. Questo spiega perché la Z Gen sceglie di trascorrere il proprio tempo libero lontano da noiose dirette TV e telecronache (spesso) poco emozionanti.

Z Gen e interesse per le dirette sportive

Lo studio di Morning Consult rivela che solo il 53% degli intervistati si definisce “seriamente” appassionato di sport. Un numero decisamente inferiore rispetto al 69% dei Millennial e al 63% degli adulti in generale.

Ma a lasciare a bocca aperta è un altro dato rilevante: un buon 39% della generazione Z ha affermato di non guardare alcun tipo di sport. Per questo motivo MLB, NBA, NFL e NHL stanno iniziando a riconsiderare la non più solida impalcatura di diritti televisivi e pay-tv, eretta ormai 50 anni fa.

Tanto per fare un confronto, questa è l’età media del pubblico dei maggiori campionati professionistici americani:

  • NFL: 50 anni
  • NBA: 39,5 anni
  • MLB: 57 anni
  • NCAA: 52 anni

Z Gen e interesse per le i campionati sportivi americani

La Z Gen si sposta dalla televisione ai social

Niente di nuovo sul fronte generazionale: se mettiamo il naso fuori dal mondo dello sport, il 73% degli adolescenti americani della generazione Z guarda video sui propri smartphone. Solo il 33% guarda la pay-TV.

Sempre negli Stati Uniti, patria della tv a pagamento e dei canali via cavo o satellitari, dal 2012 più di 25 milioni di famiglie hanno detto basta alla tv via cavo. Altri 25 milioni di abbonamenti sono destinati ad essere rescissi entro il 2025.

Se diamo uno sguardo ai comportamenti dei ragazzi, meno del 20% della Gen Z americana guarda la tv via cavo durante la settimana, quando gli eventi sportivi sono tutt’altro che assenti.

La Gen Z trascorre il 59% del tempo a guardare video sui social media e solo il 24% dei ragazzi di età compresa tra 12 e 17 anni sceglie la TV quando vuole “guardare qualcosa di divertente”. Il 68% dei ragazzi maschi della Gen Z afferma che i videogames sono una “parte fondamentale della propria identità” e Twitch ha riportato oltre 1,7 miliardi di ore totali fruite a ottobre 2020.

Il 63% dei giocatori di Fortnite ha tra i 18-24 anni e il 64% di loro gioca per più di 6 ore a settimana. Cresce invece l’interesse per gli eSports: il 79% degli spettatori di competizioni sportive di videogames ha meno di 35 anni.

LEGGI ANCHE: eSports: nuove forme di sport (per nuove opportunità di business) nell’epoca del digitale

Perdere spettatori non significa solo perdere ricavi

Questa erosione di pubblico giovanile equivale a una crisi esistenziale per le Leghe americane.

I diritti TV sono di gran lunga la principale fonte di introito per leghe e squadre negli sport professionistici. Lo è anche per il calcio qui in Europa. Negli States rappresentano il 37% dei ricavi totali per i quattro principali campionati sportivi americani, il 48% solo per la NFL. Le Leghe hanno ben chiari questi numeri preziosi. Ma nonostante questo, la Gen Z continua a non consumare i contenuti della TV tradizionale.

Molti di loro non pagherebbero mai un abbonamento tradizionale via cavo. Con l’aumento del potere d’acquisto della prossima generazione (la Generazione Z ha già un potere d’acquisto stimato di 143 miliardi di dollari), i titolari dei diritti TV e i principali media player sono già alla ricerca di nuovi modelli per monetizzare i contenuti sportivi.

In America, gli stackholder hanno capito di doversi assumere l’impegno di “rendere i loro prodotti a prova di futuro”. Un obiettivo volto ad evitare cortocircuiti generazionali nell’evoluzione dei diritti televisivi.

Ted Leonsis, CEO di Monumental Sports e proprietario dei Washington Wizards e dei Washington Capitals, ha dichiarato:

Perdere una generazione significa distrugge il valore di brand e il tessuto connettivo finora creato. È concepibile perdere una generazione perché non è stato concesso loro l’accesso ai prodotti e ai servizi che desiderano?“.

La Gen Z preferisce gli Highlights rispetto alle dirette

La Gen Z è stata definita la prima generazione di “tifosi fluidi”. Per loro, l’attaccamento alla maglia è qualcosa di mitologico. Le squadre lasciano e accolgono tifosi come una porta girevole. Sono finiti i giorni in cui “Mio padre era un fan dei NY Knicks, quindi anch’io sono un fan dei NY Knicks”.

Ma la scarsa fedeltà alla maglia ha come diretta conseguenza lo scarso interesse a seguire la squadra sempre e comunque? Quel che è certo, difficilmente la generazione Z si adatterà ai “vecchi” canoni di consumo e distribuzione degli eventi sportivi.

La domanda di contenuti sportivi in ​​forma breve continua a crescere. Il consumo di highlights per partite di calcio, basket, football americano, baseball, hockey, & co. è cresciuto in tutte le forbici demografiche (soprattutto per la generazione Z, ovviamente).

In rapporto a un campione USA di tifosi Z Gen, i fan della MLS consumano maggiormente quantità di contenuto non-live rispetto a qualsiasi altro campionato americano, il doppio rispetto al tifoso medio della NFL.

Z Gen e interesse sport consumo di contenuti non-live

I brand sportivi nati nell’era dei social media e focalizzati su contenuti sportivi complementari e alternativi ad alta densità, come Bleacher Report, House of Highlights (di proprietà di B / R) e Wave.tv, hanno acquisito follower e ricavi a un ritmo ultra-rapido.

Snapchat ha riportato il 20% di coinvolgimento in più con gli highlights dell’NBA rispetto alla stagione precedente.

What Gen Z want: i giovani preferiscono gli Highlights?

Da un lato, non si può dar torto ai giovani tifosi: gli highlights sportivi sono ricchi di azione. Le partite in diretta contengono time-out, pubblicità incessante, chiamate al VAR, telecronache poco emozionanti. Non c’è tempo da perdere! Guardare un’intera partita di calcio o basket non è abbastanza attraente per la Gen Z.

I ragazzi preferiscono sempre di più contenuti concentrati, iper-densi e algoritmicamente personalizzati.

Abbiamo visto che il pubblico più giovane sceglie forme di intrattenimento alternative allo sport. Mentre i contenuti sportivi sono generalmente distribuiti in un formato unico per tutti. Il costo maggiore di un abbonamento alle dirette sportive è rappresentato dall’evento in sé.

Il calo generazionale degli spettatori sportivi potrebbe essere più un sintomo delle attuali tendenze social. Tranquillizziamo i genitori, non è una dichiarazione di abbandono per lo sport in generale da parte degli under 25.

Non c’è nulla di intrinsecamente antipatico alla Generazione Z nello sport. Anzi, tantissimi uomini di sport continuano ad essere indicati come idoli e punti di riferimento da cui prendere esempio. Ciò che i ragazzi non riescono a comprendere quale motivo di intrattenimento è il formato di fruizione del contenuto sportivo: non sono più in grado di sorbirsi 90 minuti + recupero sul divano di fianco al papà in TV!

Le richieste di intrattenimento della Gen Z sono chiare: un evento sportivo deve essere personalizzato, altamente coinvolgente, per lo più in forma breve, che abbia una dinamica social e condivisibile. Per sentirsi coinvolta, la Gen Z ha bisogno di esprimere la propria personalità all’interno dell’evento che sta guardando.

Z Gen e contenuti sportivi non-live

Tanto per fare un esempio pratico, un ragazzo della generazione Z preferisce commentare un post-partita sui social con i propri fan o follower, piuttosto che “sprecare” un’ora e mezza ad analizzare per filo e per segno la disposizione tattica delle squadre e l’evolversi, lento, dei fatti.

La preoccupazione del circo mediatico sportivo statunitense (in Italia ci arriveremo a cose fatte) è che i campionati hanno l’obiettivo di conquistare la prossima generazione di fan ORA. Se un consumatore non cresce coltivando una passione da tifoso per lo sport, non lo diventerà miracolosamente dopo 25 anni. E in questo senso il ruolo che giocheranno i social media, i content creator, gli influencer e le nuove piattaforme digitali di intrattenimento sarà necessariamente da “prima punta”.

Il “media televisione” è avvertito.

trend del gaming

I trend che segneranno l’industria del gaming nel 2021

È innegabile: dalla prima rivoluzione dei videogiochi (ricordate i cabinati?) all’arrivo sempre più prepotente dell’home gaming prima e del multigaming online poi, con tutte le sue sfaccettature innovative, il settore dei videogames è molto cambiato.

Sminuire questo percorso e il suo incredibile giro di affari, che ogni anno muove oltre 196 miliardi di dollari, tra eSport e online gaming tradizionale, con espressioni simili a “sono solo giochini”, oltre che riduttivo è fortemente senza senso.

Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a potenti rivoluzioni relative all’esperienza di gioco, passando “dall’acchiappare i Pokémon” nel giardino di casa nostra con Pokémon GO! grazie all’AR, per immergerci poi nel mondo della realtà virtuale con Oculus e Playstation VR, grazie anche a una tecnologia che spinge sempre più verso una comparazione su scala 1:1 della realtà, tra le nuove console di quinta generazione e le nuove tecnologie sempre, più performanti, anche per i PC.

A questo punto è nostro compito domandarci quali saranno i trend per il 2021 e gli anni a venire.

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Il 5G e il Mobile Gaming

Tra proclami, complottismi insensati e polemiche, la tecnologia 5G sta gradualmente arrivando e si affermerà con forza tra i servizi per la rete mobile. Sarà uno step fondamentale, soprattutto per tutti i gamers (che sono veramente tanti: quasi 2.2 miliardi di persone, secondo alcune stime) che scelgono dispositivi mobili per giocare.

Questo improvement dell’infrastruttura di rete, oltre a portare un netto e sensibile miglioramento sulle performance in termini di ping, garantirà l’accesso a molte più persone che fino ad ora non hanno potuto sfruttare a dovere la rete per connettersi e giocare tramite Smartphone.

Un altro fattore decisivo sono gli importanti investimenti che le compagnie produttrici di device, non solo telefoni ma anche tablet, stanno mettendo sul piatto per posizionare i dispositivi come delle vere e proprie macchine da gioco in versione portable tramite l’aggiornamento e il potenziamento delle componenti interne, tanto da poter facilmente ipotizzare una sostanziale parità dalle performance tra dispositivi portatili e le più moderne console in tempi non così lontani.

Gli stadi virtuali

Non è un mistero che piattaforme come Twitch, YouTube o Facebook abbiano rivolto una particolare attenzione verso lo stream di contenuti live prodotti da videogamer.

Infatti, soprattutto nella fascia d’età tra 18 e 25 anni, la platea di potenziali soggetti interessati a show di eSports è impressionante,  soprattutto se si pensa a una possibile stima relativa al 2021, che vede la crescita degli spettatori del 90% rispetto al 9% di probabili nuovi creator.

Si tratta di un dato importante, che non deve passare inosservato, da un lato per le numerose opportunità di business che si prefigurano per potenziali sponsor ed investitori, dall’altro per la possibile offerta di nuovi servizi che possono nascere sulla spinta di questo potente balzo.

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Il Cloud Gaming

Il successo dei servizi in cloud Software-as-Service (SaaS) & Platform-as-Service (PaaS) ha fatto gola anche alle aziende specializzate o che hanno interessi nel mondo gaming, dando vita al settore GaaS (Gaming-as-Services).

Destinato ad essere l’ennesimo game changer, basti pensare ai nuovi Apple Arcade, Nintendo Online o Playstation Now, l’obiettivo del cloud gaming sarà improntato, in un prossimo futuro, a garantire la possibilità a tutti i videogamer di poter fruire di ogni gioco online, indipendentemente dalle specifiche del proprio pc e senza dover mettere in conto cali di performance.

Una vera e propria rivoluzione che asciugherà i bisogni relativi anche alla fruizione dei software più aggiornati in termini di hardware.

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AR e VR

Sempre nell’ottica di rivoluzione dell’esperienza di gioco, Realtà Aumentata e Realtà Virtuale sono in forte vantaggio rispetto alle nuove tecnologie. Nel corso del 2021, le company produttrici di videogiochi hanno annunciato numerosissime e succossissime novità dal punto di vista della fruizione immersiva per quanto riguarda i titoli della prossima next gen, stimate in quasi 20 miliardi di guadagni da spalmare e da accaparrarsi nel corso di questo anno solare.

In conclusione, molti sono i fari sono puntati su questo settore che secondo la ricerca di Nielsen può vantare nel 71% della sua audience una consistente fetta di Millenials, un pubblico molto giovane e targetizzato non solo relativamente al gaming, ma anche a tutto il comparto tech, innovazione e futuro in generale.

L’industria del videogaming potrà essere considerata una vera e propria rivoluzione del concetto di intrattenimento anche per i canali di trasmissione Mainstream come le tv? Quello che ad oggi è sicuro è che proprio come ogni industry che si rispetti, il gaming può oggi contare sui suoi artisti, sui suoi vip, i suoi guru ed i suoi tanti, tanti, fan.

Non sembra quindi così assurdo, immaginare in tempi brevi una finale mondiale di Fortnite in prime time sulle tv nazionali.

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Consigli per tutelare il tuo brand (ed evitare un rebranding forzato)

Una delle caratteristiche necessarie (e vincenti) per un brand è quella di risultare immediatamente riconoscibile non solo per fan e clienti, ma anche per chi dovesse approcciarsi per la prima volta al marchio.

Le storie di successo di alcuni grandi nomi ci dimostrano quanto questa caratteristica sia importante, anche e soprattutto oggi, visto che siamo bombardati da una proliferazione di contenuti e offerte senza precedenti.

Evitare di sovrapporsi a un brand aziendale già esistente, soprattutto nello stesso mercato di riferimento, creando – anche se in buona fede – una confusione tra il nostro brand e una realtà già affermata è assolutamente necessario.

Correre ai ripari, infatti, può comportare conseguenze importanti che possono arrivare fino a una totale riprogettazione forzata dell’immagine della propria azienda al fine di eliminare ogni possibile malinteso. Cambiare brand, domini e social sarà il risultato per non avere fatto la giusta scelta fin da subito.

In tutti i questi casi, la domanda principale da porsi è: quanto è semplice evitare questo tipo di problema e non sovrapporsi ad altri brand?

 

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Ovviamente founder e imprenditori non possono conoscere tutti i marchi presenti in un determinato settore di mercato, specie quelli più giovani e appena nati. Eppure violare marchi molto noti e “veterani” del settore succede più spesso di quanto non si pensi.

Il punto di partenza per rispondere a questa domanda è sicuramente la puntuale conoscenza delle norme che regolano queste attività, sintetizzate in queste fonti legislative ufficiali che puoi trovare sul sito dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.

Ecco quindi 5 consigli per tutelare il proprio brand ed evitare conseguenze dannose per la propria strategia.

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Prendi dimestichezza con la legge che tutela marchi e brevetti

Prima di avventurarsi nella scelta del naming per un progetto, un’azienda o semplicemente nella propria comunicazione, è bene documentarsi al meglio.

Sebbene sia evidente che una conoscenza legale specifica è difficilmente assimilabile “all’occasione” per le figure che non si occupano di questo, è comunque importante iniziare a familiarizzare con le normative vigenti per evitare di incappare in errori.

Immagina di aver dedicato risorse, condotto studi di settore, sondato il sentiment fra i tuoi fan, fatto partire uno studio grafico e dover essere costretto a gettare via tutto e ricominciare da capo, perché lo spunto creativo a cui il tuo brand si è affidato “appartiene” già a qualcun altro.

Nel nostro caso, possediamo da quasi due decenni la titolarità dei marchi Ninja Marketing e Ninja Academy a livello italiano ed europeo. Ma anche di Ninja.it e anche semplicemente, di Ninja, come si chiama oggi il magazine che, ogni giorno, viene letto da migliaia di professionisti del marketing e della comunicazione e che fa ormai parte delle loro vite professionali.  

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Recluta uno studio legale e assicurati che esegua una ricerca di anteriorità

Considerata la complessità della questione, affidarsi a un professionista può fare la differenza tra una scelta imprudente e una strategia attentamente pianificata. Uno dei primi step da compiere è quello della ricerca di anteriorità, passo necessario per procedere alla registrazione di un marchio.

Un aspetto fondamentale è quello di verificarne il requisito di novità. È necessario infatti che il marchio non sia identico, ma neppure simile a uno esistente e già registrato nello Stato o negli Stati in cui si intende procedere, per la stessa classe e per prodotti o servizi identici o affini.

Perché è importante portare a termine questa fase preliminare? Perché il requisito di novità non viene verificato dagli uffici nazionali brevetti e marchi e questo significa che, anche se accettato in un primo momento, il marchio potrà essere dichiarato nullo a seguito della richiesta del titolare.

È importante specificare che la ricerca di anteriorità non è obbligatoria per legge, ma limita sensibilmente il rischio di subire azioni legali in futuro ed è pertanto un passaggio caldamente consigliato. La ricerca può essere svolta in maniera autonoma sulle banche dati dei marchi pubblicate online, tramite il Servizio di prima assistenza anteriorità offerto dalle Camere di commercio, oppure rivolgendosi a studi professionali qualificati.

Quali sono i costi per una tale attività? Lo abbiamo chiesto all’Avvocato Giovanni Maria Riccio, partner dello Studio Legale E-Lex tra i massimi esperti del settore in Italia nonchè studio che segue la protezione dei marchi Ninja: “Il costo per il deposito di un marchio varia sia in base alla tipologia di marchio sia delle classi merceologiche prescelte. Personalmente, tendo a consigliare il marchio comunitario, dal momento che protegge i servizi e i prodotti di un’impresa in tutta l’Unione europea. Il costo è superiore a quello di un marchio nazionale (parte da 850 euro a fronte dei circa 350 per un marchio nazionale), però il suo spettro di tutela è molto più ampio. Suggerisco di evitare il “fai da te” e di affidarsi a professionisti, che possano individuare preventivamente eventuali marchi simili (operando anche una valutazione di tale similitudine) e assistere le società anche nella scelta delle classi merceologiche”.

Fai attenzione alla classi di registrazione marchi

Un aspetto altrettanto importante riguarda la scelta della giusta classe di appartenenza del proprio prodotto, perché il marchio sarà protetto solo per quella (o quelle) specifica categoria.

Per comprendere meglio l’importanza delle classi di registrazione dei marchi e perché una tale scelta sia così delicata, abbiamo ancora chiesto aiuto all’Avvocato Riccio: “Le classi merceologiche sono fissate dall’Accordo di Nizza. A mio avviso, bisogna considerare non solo i prodotti e servizi già offerti, ma anche quelli che, nel prossimo futuro, si intende offrire alla clientela, prendendo in considerazione le potenzialità di un marchio. Mi permetto di osservare, però, che il marchio deve essere poi utilizzato, giacché, in caso di mancato utilizzo per cinque anni dalla registrazione o di sospensione per il medesimo periodo, si ricade in un’ipotesi di decadenza”.

Negli ultimi anni, Ninja ha ricevuto diversi messaggi da parte di lettori, studenti e clienti convinti che un’altra società, con il nome che inizia con “Ninja” e attiva nel campo dell’analisi dei dati di marketing, facesse parte della nostra famiglia di marchi.

In molti hanno pensato che l’azienda facesse quindi parte della Ninja Family e che ci fossimo noi dietro ai loro servizi, come è facile intuire dalle immagini qui sotto. La confusione era notevole e le persone erano spinte a pensare che “ninjaqualcosa” facesse parte delle nostre attività di formazione e di divulgazione di marketing digitale.

 

Non è certamente nostra intenzione appropriarci del lavoro di altri, ma anche se il focus di questa azienda riguarda l’analisi dei dati, il loro nome e logo presentano una somiglianza incredibile con gli storici marchi di Ninja, in particolare con Ninja Marketing e Ninja Academy.

I nostri marchi, come per qualsiasi azienda, sono i nostri asset principali, frutto di un lavoro e di un impegno pluriennale. Un valore che la legge protegge da ogni confusione che possa creare danno alla società titolare e che nel tempo possa drenare valore creato con fatica, sia nostra che loro. Questa è una tutela reciproca. 

E infatti il giudice di Brescia ci ha dato ragione e ha chiesto alla società in questione di sospendere l’utilizzo del marchi simile al nostro che ha creato tanta confusione, come queste immagini dimostrano inequivocabilmente. Un rebranding a società avviata è faticoso e costoso, ma in fondo, bastava pensarci prima.

La società in questione, pur vendendo un servizio diverso a quello di Ninja, ha nello statuto anche la vendita anche di formazione e si dedica molto alla divulgazione online sui nostri stessi temi, quelli del marketing, oggetto dei nostri corsi. Quindi possiamo dire che potenzialmente opera nello stesso settore merceologico in cui operiamo noi.

Da qui il loro errore e la conseguente decisione del giudice.

Controlla domini e account social

Un altro step fondamentale è quello di controllare se il nome del nostro brand, servizio o prodotto si sovrappone a uno già esistente. Uno degli strumenti più efficaci per effettuare questo controllo è proprio la ricerca online.

Per prima cosa, sarà sufficiente digitare il nome che utilizziamo (o che vorremmo utilizzare) su Google per ottenere una prima fotografia della situazione. Possiamo in ogni caso approfondire la ricerca estendendola ai canali social, per evitare ogni possibile errore in questa fase.

Oltre alla semplice query sul motore di ricerca, esistono degli strumenti appositi per verificare se il nome dominio è occupato e se è, in tutto o in parte, coincidente con quello che vorremmo utilizzare.

Risulta anche chiaro che non sarà sufficiente aggiudicarsi un’estensione diversa (oggi ce ne sono moltissime oltre ai più comuni .it e .com) di un sito già esistente per evitare problemi. Anzi, il titolare del dominio principale potrà chiedere la restituzione del dominio “clone” costringendo la copia alla chiusura.

In ogni caso, per una ricerca più approfondita, è possibile affidarsi a strumenti come domize.com, che è appunto un motore di ricerca “per nomi di domini”. Inoltre, quasi tutti i servizi che permettono di acquistare uno sito web offrono funzionalità simili, con le quali permettono di controllare quali spazi non siano già stati occupati da brand esistenti.

Oltre a domize, sono disponibili diversi tool in grado di aiutarci nella ricerca e fornirci preziose informazioni:

Whois permette di inserire un dominio e conoscerne alcune caratteristiche importanti, come la scadenza del periodo d’ acquisto.

Rebrandly.com consente di effettuare ricerche applicando un filtro per settore/industry di riferimento

Namechk fa una ricerca del nome utente anche su tutti i canali social

Knowem passa in rassegna social, domini e marchi registrati negli Stati Uniti (USTPO)

Namecheckr  verifica i nomi di utenti e nomi delle pagine sui social

Claimbrand permette di cercare i nomi dei brand sui social

AI di image recognition anche per il logo, come Google Image Recognition

Clarifai fornisce un’API gratuita per verificare le immagini online

GumGum confronta il logo nelle immagini sul web.

Monitora le segnalazioni di potenziali confusioni

Cosa fare se un altro brand si sovrappone al nostro rischiando di creare confusione fra le nostre attività e quelle di un altro brand, anche se non è un competitor?

Il primo passo è proprio quello di testare l’audience per cercare di capire quando le attività di un marchio simile al nostro possano risultare più o meno volontariamente fuorvianti e allontanare il pubblico dal brand che avrebbe voluto raggiungere.

Tenere in gran conto le segnalazioni a riguardo è estremamente importante: studenti, amici, persone che si occupano del customer care e personale in presenza durante i colloqui ci hanno segnalato proprio il verificarsi di questa situazione riguardo al brand Ninja.

Tantissimi hanno confuso noi con quella società, pensando che fossimo noi a vendere i loro servizi. Una confusione assurda che dimostra la sovrapposizione dei due brand, testimoniata da queste immagini: e sono solo alcune delle situazioni di persone di cui siamo a conoscenza, e che possiamo mostrarvi. Tante altre sono avvenute a voce, al telefono e di persona, e persino durante i colloqui di lavoro, colloqui fatti da noi per lavorare da Ninja!

Ovviamente, lo abbiamo subito evidenziato in più occasioni ai founder di questo brand, persone che stimiamo per capacità e creatività. Lo abbiamo fatto prima in modo informale, provando a far comprendere quanto stessero confondendo non solo i nostri clienti, ma anche i loro.

Poi, non avendo ricevuto nessun segnale di ripensamento, siamo stati costretti a diffidare la società dall’utilizzo della denominazione che causava il problema, confondendo il nostro pubblico. Per giungere infine a un inevitabile provvedimento del giudice, che ha sancito la tutela del nostro diritto sulla nostra famiglia di marchi Ninja. 

Siamo stati costretti, anche nell’interesse del pubblico, ad agire in giudizio per evitare che si perpetrasse ogni possibile confusione tra i marchi e anche il giudice non ha potuto che rilevare la piena sovrapposizione di Ninja***** ai marchi registrati anteriormente da Ninja. 

Per concludere, che abbiate già un’impresa o muoviate i primi passi per costruirne una, agite sempre nel rispetto della legge che tutela qualsiasi brand al mondo. Evitare situazioni spiacevoli e poco convenienti per tutti è più facile di quanto sembri.

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BMW, The Guardian e Nissan: i migliori annunci stampa di febbraio

Una buona dose di creatività è sempre utile, specialmente quando la voglia di tornare al lavoro non è altissima e l’umore vola basso. Possiamo però farci ispirare dalle campagne stampa più belle del mese appena trascorso per ritrovare la grinta necessaria ad affrontare la settimana, in particolare oggi, che il lunedì coincide con l’inizio del nuovo mese.

Nella selezione di oggi, la consueta attenzione all’ambiente, un pizzico di arte e la giusta dose di umorismo. La ricetta perfetta per recuperare un po’ di brio e mettersi all’opera con il sorriso.

Ecco la nostra selezione per il mese di febbraio.

The Guardian – FakeHits

L’aumento persistente delle Fake News nel paese sta diventando incontrollabile a causa delle piattaforme su cui prospera di più, i social media, che potrebbero essere fuorvianti e manipolatori.
Per frenare questa minaccia, l’agenzia ha creato per The Guardian una serie di annunci stampa per descrivere in modo pratico quanto possa essere dannosa la diffusione di notizie false o manipolatorie.

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Credits
Advertising Agency: Adeptus Advertising, Lagos, Nigeria
Creative Director: Bamidele Ariyo
Art Director: Richard Mgbeokwii, Bamidele Ariyo
Copy Writer: Olushola Oladimeji, Naomi Oni, Tolulope Alawode, Babatunde Alaran

Academia Machida – Machida Kids

Per incoraggiare i bambini a partecipare alle nuove lezioni di karate online, BNDO Brasile ha trasformato gli eroi della famiglia Machida in bambini.

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Credits
Advertising Agency: BNDO, Belém, Brazil
Art Director: Paulo Vaz
Copywriter: Gabriel Rabisco
Copywriter: Victor Amorim

Dandy – Mini Families

Sono moltissime le persone che vivono da sole e non hanno bisogno delle mega promozioni formato famiglia. Se anche tu sei “tutta la tua famiglia“, le mini confezioni e le confezioni mono porzione di Dandy fanno per te.

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Credits
Advertising Agency: Chola Ad, Guayaquil, Ecuador
Executive Creative Director: Dante Rossetto
Creative Director: César Sepúlveda
Creative Director: Fabián Martínez
Art Director: César Sepúlveda, Fabián Martínez
Copywriter: César Sepúlveda, Dante Rossetto, Fabián Martínez
CGI & Retouch: Raro Lab

Nissan – Green Energy

Per il match dell’Irlanda contro la Francia nel torneo di rugby delle Sei Nazioni del 2021, Nissan Ireland ha voluto mostrare il suo sostegno. La Nissan LEAF è il veicolo elettrico più venduto in Irlanda e ha una cosa in comune con la squadra di rugby irlandese: l’energia verde.

In the Company of Huskies ha reso visivamente il sostegno alla squadra combinando l’icona della batteria EV con un simbolo molto amato dai tifosi irlandesi di rugby: la sciarpa verde.

nissan green energy

Credits
Advertising Agency: In the Company of Huskies, Dublin, Ireland
Retouching: Happy Finish
Creative Director: Damian Hanley
Senior Art Director: Udi Ovadia
Senior Copywriter: Robert McBride
Head Of Production: Brian Daly
Design: Alan Gregan
Business Director: Nessa Van Rooyen
Account Director: Amar Jacob
Senior Account Manager: Fiona Cunniffe

BMW Motorrad – For those who don’t know when to stop

Ci sono persone che proprio non riescono a fermarsi o non sanno quando sarebbe utile farlo, e questa campagna ce lo ricorda con esempi validissimi, come la mano di Eva che coglie la mela o Pandora che non riesce a resistere alla curiosità di aprire quel famoso vaso. Per fortuna, alla guida, possiamo affidarci al nuovo sistema frenante di BMW.

bmw eva

bmw babilonia bmw pandora

Credits
Advertising Agency: Beat MullenLowe, Bogotá, Colombia
Creatives: Carlos Andrés Rodríguez, Duván Villegas, Sonia Barrera, Andrew López, Oscar Castañeda