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ByteDance, perché Zhang Yiming si dimette da CEO?

Un annuncio a sorpresa ai dipendenti in cui Zhang Yiming dichiara che entro l’anno lascerà la carica di CEO di ByteDance, società di proprietà di TikTok. “I’m not very social”, scrive nella lunga lettera, evidenziando il suo non essere predisposto all’essere social come una delle motivazioni determinanti per la sua decisione.

Una spiegazione che non reggerebbe, secondo gli analisti degli scenari geopolitici. Perché Zhang Yiming, fondatore del colosso cinese della Big economy, valutata in 300 miliardi di dollari nelle ultime contrattazioni e con un patrimonio personale di circa 44,5 miliardi di dollari, avrebbe deciso di lasciare il suo incarico?

Sullo sfondo le pressioni dell’Antitrust, l’autorità di regolamentazione cinese

All’origine potrebbe esserci l’autorità di regolamentazione cinese che negli ultimi mesi è intervenuta con multe fortissime per decentrare il potere delle grandi big tech, oltre ai rapporti tra Cina ed Usa e i dibattiti sulla privacy legata all’app Tik Tok che spopola tra i Millennial di tutto il mondo. La vicenda di Zhang Yiming presenta similitudini molti forti con Jack Ma, fondatore di Alibaba, entrato in dissenso con il governo e scomparso dalla vita pubblica cinese, decidendo all’apice della sua carriera di cambiare vita e di dedicarsi all’insegnamento.

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La lettera di Zhang

Le sfide quotidiane di un CEO vengono rappresentate come un ostacolo alla ricerca e all’innovazione: “Sono più interessato ad analizzare i principi organizzativi e di mercato e sfruttare queste teorie per ridurre ulteriormente il lavoro di gestione, piuttosto che gestire effettivamente le persone” – scrive Zhang Yiming, che continuerà nel suo ruolo di presidente – “Non sono molto socievole, preferisco attività solitarie all’essere online, come leggere, ascoltare musica e contemplare ciò che può essere possibile”. Un ruolo, quello da CEO, che rappresenta “una grande sfida con molta pressione”, aggiunge, evidenziando che il cambiamento gli consentirà di “avere un impatto maggiore sulle iniziative a lungo termine”, spostandosi in una posizione “strategia chiave”.

A succedergli il suo compagno di stanza al college, Liang Rubo, attuale capo delle risorse umane di ByteDance, che avrà l’arduo compito di traghettare la società nel mare magnum dei regolamenti Big Tech, definito da Zhang “un partner inestimabile” con “punti di forza nella gestione, organizzazione e impegno sociale”.

ByteDance, che impiega oltre 100.000 persone in tutto il mondo, si stava preparando all’IPO molto attesa quest’anno, interrotta poi ad aprile.

“Penso che sia possibile che Zhang sia preoccupato perché, dopo l’IPO, vedrebbe aumentare la sua ricchezza e ricevere molta attenzione dai media. È difficile essere una persona ricca in Cina. Non si ottiene così tanto riconoscimento”, sottolinea l’analista tecnologico di Pechino Li Chengdong.

Nella lettera, infatti, Zhang ribadisce l’intenzione di devolvere parte dei profitti ad attività di beneficienza: “Credo che restituire alla società sia importante e abbiamo già fatto progressi, sperimentando nuove iniziative per l’educazione, nella ricerca sulle patologie cerebrali e digitalizzando libri antichi. Essendo coinvolto direttamente in alcuni di questi progetti, spero di poter contribuire ulteriormente con mie idee e aiutando a sviluppare nuove soluzioni”.

Tensioni Usa-Cina

Zhang è l’ultimo di un piccolo gruppo di fondatori di aziende tecnologiche cinesi ad abbandonare la gestione quotidiana. TikTok ha cercato di prendere le distanze da Pechino dopo che gli Stati Uniti hanno sollevato preoccupazioni per la sicurezza nazionale per i dati personali che gestisce.

L’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cercato di costringere ByteDance a cedere il controllo dell’app TikTok. Un piano degli Stati Uniti per vendere le attività americane di TikTok a un consorzio che includeva Oracle Corp (ORCL.N) e Walmart Inc (WMT.N), fallito, dopo che ByteDance lanciò sfide legali di successo.

Il tentativo dell’Authority cinese per frenare il potere tecnocratico delle fintech

Una decisione inaspettata che arriva mentre le autorità di regolamentazione cinesi stanno aumentando il controllo delle più grandi aziende tecnologiche del paese. Ad aprile, hanno multato il gigante dell’e-commerce Alibaba Group Holding Ltd per 2,8 miliardi di dollari per pratiche anticoncorrenziali e lo scorso anno ha sospeso l’offerta pubblica iniziale (IPO) dell’affiliata fintech Ant Group.

Le autorità di regolamentazione antitrust hanno anche detto a Tencent Holdings Ltd che si stanno preparando a multare il gigante del gioco fino a 1,55 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da Reuters il mese scorso.

ByteDance è la terza società tra le piattaforme di pagamento cinesi che tenta di dissolvere il duopolio Alibaba-Tencent, sulla spinta anche del governo cinese per ridurre lo strapotere di Ant financial di Alibaba e WeChat pay di Tencent. La big tech cinese dovrà però affrontare lo stesso piano di riforme previsto per Alibaba&co.

L’autorità cinese però ha imposto numerose riforme a cui adeguarsi, tra cui la revisione della forma giuridica, l’eliminazione dei prodotti finanziari dagli scaffali virtuali, l’adeguamento alla normativa antitrust che sta per entrare in vigore sui colossi tech. A ciò si aggiunge tutta la nuova sensibilità sulla privacy e la sua difficoltà di gestione che coinvolge tutto il mondo, ed in particolare l’App TikTok.

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eSport Marketing: 5 cose da sapere prima di iniziare

Vantare uno spazio tra i cartelloni pubblicitari di San Siro o dell’Allianz Stadium di Torino, esiste qualcosa più cool? Sì, ideare una campagna di marketing per un torneo o un gruppo di eventi eSport!

Secondo una ricerca condotta da Newzoo, gli sport elettronici – o electronic sports – produrranno ricavi superiori al miliardo di dollari entro il 2022 nel mercato globale. Il tasso di crescita annuale composto (CAGR) tra il 2017 e il 2022 dovrebbe essere superiore al 22%. E la maggior parte di queste entrate sarà generata da sponsorizzazioni e spazi pubblicitari.

Con numeri come questi, l’eSport marketing è diventato una priorità per i brand non-endemici. E non solo.

eSport, un rapido riepilogo

Con eSport ci si riferisce ai tornei di videogames competitivi, giocati da player professionisti, che intrattengono una platea di spettatori.

Già, per chi non appartiene alla Generazione Z o non è un Millennial è difficile da capire: perché guardare qualcuno che gioca ai videogiochi? È quello che accadeva negli anni ‘90 / 2000 quando ci si trovava in due a giocare con la consolle ma con un solo joystick. Un po’ di sconforto e tanta pazienza che l’amico terminasse il suo turno.

Questa sensazione oggi è decisamente mainstream. Chi riesce a comprenderla probabilmente è ancora affezionato agli sport della vita reale. Ma il mondo sta cambiando. Il numero di fan degli eSport è cresciuto a dismisura.

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Fino a poco tempo fa, brand come Red Bull e Intel erano gli unici player nel panorama dell’eSport marketing. Ora anche marchi non-endemici come Mercedes, McDonald’s, Mastercard, Movistar e Coca-Cola hanno fatto il loro ingresso nel mondo delle sponsorizzazioni legate ai tornei professionistici virtuali.

Si stima che le entrate globali del settore raggiungeranno 1,6 miliardi di dollari entro il 2024 con Louis Vuitton, Intel, ESPN, Taco Bell e altre corporate pronte a sgomitare sui campi da gioco virtuali per accaparrarsi seducenti spazi di eSport marketing per la promozione di prodotti e servizi.

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Quali sono i motivi della crescita dell’eSport Marketing?

L’elevata interattività e la bassa concorrenza sono i driver principali di questa nuova tendenza.

Twitch è una delle principali piattaforme di streaming per gli eSport e, per ora, conta un basso volume di annunci pubblicitari. Questo, nonostante gli spazi sponsorizzati al suo interno generino un alto tasso di conversione rispetto alle piattaforme social tradizionali.

Perché?

I fan dello streaming sono completamente immersi nei contenuti che stanno guardando. Live chat e contest feature aumentano ulteriormente il livello di interattività. Senza dubbio il fattore generazionale è una delle leve essenziali. I giovani tra i 16 e 25 anni sono un gruppo di popolazione con caratteristiche comportamentali precise e questo obbliga i brand a rivedere le proprie strategie di marketing. Per arrivare a colpire questo target è necessario considerare che:

  • Il 61% dei Z Gen non guarda la televisione
  • Il 70% di questi trascorre più tempo a guardare gli eSport rispetto ad altri sport tradizionali
  • Quasi il 90% sa indicare almeno uno sponsor di eSport che non ha legami con il gaming
  • Oltre il 60% dei fan di eSport su Twitch interagisce quotidianamente con i player e quasi uno su tre ha visto almeno 5 ore di contenuti video di Fortnite in diretta su Twitch nell’ultimo anno.

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Ma prima che un brand si precipiti a sviluppare una Strategia di eSport Marketing adeguata è bene conoscere qualcosa di più su questo particolare terreno di gioco. Senza possedere alcune conoscenze base dell’eSport marketing, è altamente probabile che un’azienda produca lo stesso effetto di un elefante che entra in una cristalleria. Tanti vetri infranti e un pugno di mosche tra le mani.

Quali elementi è necessario considerare? Come entrare in contatto con stakeholder e player del mercato? Quali tipi di campagne generano maggior interesse? Proviamo a dare una risposta.

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Qual è il target ideale per una campagna di eSport Marketing?

È necessario conoscere il proprio target in modo da poter elaborare una strategia di eSport marketing mirata. Fin qui, niente di nuovo sul fronte occidentale.

Ma è bene fare attenzione. Proprio come gli sport tradizionali, gli eSport sono classificati in diversi generi e categorie. Così come accade per il marketing tradizionale, ciò che deve comprendere un’azienda è dove si trova il pubblico di destinazione affinché una campagna sponsorizzata sia davvero efficace.

Iniziamo dalle principali tipologie di tornei eSport:

  1. Player contro player (PVP)
  2. Real time strategy (RTS)
  3. Sparatutto in prima persona (FPS)
  4. Arena online per battaglie multiplayer (MOBA)
  5. Giochi di ruolo online multiplayer di massa (MMORPG)

L’obiettivo è quello di conoscere il pubblico di destinazione (quali tornei frequentano, quali giochi apprezzano di più e quali player i influencer preferiscono) così da creare contenuti che li possa attirare.

Dopo aver identificato il pubblico, un brand deve esplorare le piattaforme virtuali in cui questo ama trascorrere la maggior parte del tempo. Sono informazioni fondamentali perché aiutano a capire dove pubblicare i contenuti di marketing per raggiungere efficacemente il target. I primi passi da compiere sono quelli di fare una ricerca sui principali siti di streaming di eSport.

Esistono diverse piattaforme dedicate:

  • Twitch
  • Hitbox
  • Azubu
  • YouTube Gaming
  • Bigo Live
  • Gosu Gamers
  • Facebook Gaming

Si può partire confrontando i piani di abbonamento e il conteggio degli utenti iscritti su queste piattaforme. Meglio scegliere quelle in cui il target desiderato è più attivo e dove i competitor non sono ancora arrivati. È inoltre necessario controllare le recensioni che gli utenti rilasciano su questi siti.

Poter controllare o stimare il conteggio degli utenti medi in live, i piani di abbonamento al canale e informarsi sull’opinione generale degli utenti, permette di determinare l’efficacia della piattaforma come strumento di marketing. Come detto, un occhio rivolto alla concorrenza non è mai troppo: scegliere come target le piattaforme in cui i competitor sono (o non sono) presenti può rivelarsi un’azione decisiva per le perfomance di una strategia di eSport Marketing.

Allinea il Content Marketing all’eSport Marketing

Content is king vale anche per l’eSport Marketing.

Una buona campagna prevede la creazione di contenuti a supporto della presenza del brand nelle arene virtuali. Appassionati e follower dovranno sapere che il brand ha deciso di esporsi e presidiare determinati tornei o eventi di gaming competitivo. Video promozionali di lancio dell’evento e contenuti ad hoc, aiuteranno a spingere la campagna ed ingaggiare anche quelle fasce di utenti indecisi o inconsapevoli.

Quando si progettano contenuti per l’eSport Marketing, è bene che siano relativi e pertinenti al contesto in cui dovranno essere condivisi. Il focus deve sempre essere rivolto al target finale: le persone a cui ci si rivolge devono essere veri appassionati che possono apprezzare, commentare e condividere i tuoi post o i tuoi video con il loro network.

In questo modo la visibilità del brand può ricevere un boost iniziale e un numero più elevato di utenti saranno consapevoli della campagna di marketing e dell’azienda che la supporta.

eSport Influencer: le nuove celebrità del marketing

Gli influencer possono senz’altro contribuire a migliorare la portata e la penetrazione delle attività sponsorizzate e delle campagne di eSport marketing di un’azienda. Una efficace collaborazione con un player professionista che lavora quotidianamente nel mondo degli eSport può migliorare la visibilità dei contenuti del brand.

L’azienda ha la possibilità di mostrare ai follower dell’influencer, annunci brandizzati, contenuti che raccontano il marchio e live chat in cui viene messo in risalto un prodotto o un servizio specifici. Lo scopo è quello di creare esperienze uniche, dedicate alla propria fanbase in collaborazione con un’azienda. Basta trovare l’influencer adatto, che riesce a coinvolgere lo stesso pubblico target a cui l’azienda è interessata.

Come cercare un influencer nel mondo degli eSport?

Esistono molti strumenti di influencer marketing che possono aiutare a restringere il campo di ricerca, identificando i player con le giuste caratteristiche di popolarità e seguito. Una prima perlustrazione delle piattaforme può dare l’idea di quali siano i profili che ricevono maggior seguito e si adattano meglio a determinate categorie merceologiche. In alcuni casi, è possibile rivolgersi ad agenzie specializzate nel recruiting e nel mettere in contatto player e stakeholder del mercato. In Italia, una di queste è l’Osservatorio Italiano eSport.

Le collaborazioni tra corporate e player professionisti è all’ordine del giorno.

Nel 2019 Tyler “Ninja” Blevins, lo streamer da 10 milioni di dollari di fatturato, ha sottoscritto un accordo di sponsorizzazione pluriennale con Adidas.

Michael Grzesiek, meglio conosciuto dalla community geek come Shroud, altro player professionista balzato agli onori della cronoca su Twitch e YouTube, ha collaborato con il fashion brand J!NX per promuovere una serie di capi d’abbigliamento per ragazzi personalizzato con grafiche e stili totalmente dedicati all’universo eSport.

I player professionisti che popolano i tornei di eSport, spesso raccolgono sui loro profili social più fan di Chiara Ferragni, Cristiano Ronaldo e Ariana Grande.

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Sponsorizzare un evento eSport

Per raggiungere la massima copertura mediatica, un brand può sfruttare la popolarità degli streamer e dei tornei di eSport di alto profilo. Pensare di sponsorizzare un evento di gaming tournament non è un’ipotesi così remota da considerare. La sponsorizzazione di un evento eSport espone l’azienda alla visibilità di una fanbase considerevole e sicuramente interessata all’evento organizzato.

Ciò permette di costruire una certa credibilità sulla piattaforma, che farà guadagnare più spettatori e rafforzare la brand awareness.

Il consiglio è quello di iniziare da un piccolo evento se l’azienda non è ancora ben conosciuta nel mondo degli eSport, tanto per prendere dimestichezza con il pubblico e gli attori in gioco. Prendere contatti con realtà locali come pub e sale giochi, può essere un ottimo metodo per coinvolgere il pubblico offline e, allo stesso tempo, trovare brand e aziende interessate a co-sponsorizzare l’evento.

In genere questo è il primo passo per sviluppare relazioni durature con attori chiave del settore come streamer di videogiochi, importanti eSport team, organizzatori e altre aziende affini.

Se hai già deciso di puntare in alto, queste sono le leghe attualmente più importanti al mondo:

  • LEC, campionato europeo di League of Legends
  • LCS, campionato Nord Americano di League of Legends
  • LPL, il campionato professionistico cinese di League of Legends
  • Overwatch League, il campionato professionistico di Overwatch
  • KPL, il campionato professionistico cinese di Arena of Valor (Honor of Kings nel resto del mondo), un MOBA sviluppato da Tencent e disponibile su Android, iOS e Nintendo Switch.

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Un team aziendale di eSport: meglio del calcetto del giovedì

Lancia il tuo brand nel mondo dei videogames con un vero tocco di stile: metti in piedi la tua squadra di eSport aziendale. A pensarci, è molto meno pericoloso del calcetto aziendale! Molti dipendenti eviteranno di andare al pronto soccorso a fine partita. Fondare un team di eSport non è poi così costoso come la maggior parte dei manager e dei responsabili aziendali pensa.

Per mettere in piedi un eSport Team da zero si può iniziare inscrivendosi a Twitch e selezionando, come farebbe un Commissario Tecnico, i dipendenti o i colleghi più in gamba quando si tratta di mettere mano al joystick. In alternativa, è possibile assoldare gameplayer professionisti come se fosse un’asta di calciomercato. Pubblicando una serie di annunci ben ideati sul sito web e sugli account social del brand, ci si mette alla ricerca di giovani promesse dell’eSport (oltre che attirare l’attenzione di Z Gen e Millennial sull’azienda).

Non è possibile trovare dei gamer professionisti che vogliono prendere parte al progetto? Valuta l’affiliazione a team di eSport che sono già alla ricerca di sponsorizzazioni.

Il vantaggio principale è che quando il team trasmette in streaming il proprio gameplay, il brand acquisisce in automatico posizionamento e visibilità nelle dirette live o nei video associati all’evento.

quanto inquina bitcoin

Quanto consuma (e quanto inquina) davvero Bitcoin

Le organizzazioni di tutto il mondo sono all’opera per limitare il consumo di fonti di energia non rinnovabili e ridurre le emissioni di carbonio nell’atmosfera. 

L’Unione Europea, ad esempio, ha pianificato di ridurre le emissioni di almeno il 40% entro il 2030, come parte degli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi.

Sono diverse le iniziative messe in atto per raggiungere questo non semplicissimo traguardo, come la revisione dei sistema di scambio di quote sulle emissioni dell’UE, ma sono previste anche normative più specifiche in materia di energie rinnovabili.

Naturalmente, alcune attività e servizi che consideriamo essenziali, vengono svolti in deroga a questo principio generale e alle normative, in nome della loro utilità all’interno della società. Pensiamo, ad esempio, ai trasporti sia di beni che di persone.

Per quanto il settore sia spinto da una ventata di rinnovamento verso una transizione energetica più oculata, sembra ancora difficile immaginare grandi aerei di linea ed enormi navi porta container alimentati da combustibile di natura non fossile.

bitcoin su scheda madre

Quando però si parla di Bitcoin, ma di criptovalute in generale, la percezione tende a cambiare. Man mano che le monete digitali sono cresciute per importanza e diffusione, il consumo di energia legato al mining e alle transazioni è diventato un argomento centrale della discussione.

Secondo il Cambridge Center for Alternative Finance (CCAF), Bitcoin attualmente consuma circa 110 Terawattora all’anno, circa lo 0,55% della produzione globale di elettricità, o più o meno equivalente al consumo annuale di energia di piccoli paesi come la Malesia o la Svezia.

Si tratta, sicuramente, di un sacco di energia e nasce spontaneo chiedersi: a che quantità ammonta la “giusta energia” da dedicare a un sistema monetario di questo tipo che, nonostante la crescente importanza e l’attenzione che anche la finanza tradizionale sta dedicando al fenomeno, non è, in termini pratici, vitale per la sopravvivenza umana?

La risposta dipende in gran parte dalla considerazione che abbiamo di Bitcoin e da quanto siamo informati sul funzionamento di tale sistema: se siamo convinti che le cripto valute non siano di alcuna utilità e servano solo al funzionare come un gigantesco schema Ponzi o fungano da escamotage per il riciclaggio di denaro e altre operazioni poco lecite, risulta chiaro che qualsiasi quantità di energia adoperata dal sistema sia uno spreco evitabile.

Se però, come altre decine di milioni di persone in tutto il mondo, riteniamo la finanza decentralizzata un modo per sfuggire alla repressione monetaria, all’inflazione e al controllo dei capitali, molto probabilmente siamo convinti che le risorse energetiche impiegata siano estremamente ben spese.

Quello che è certo è che, per formarci un’opinione corretta e arrivare a una conclusione imparziale, dovremmo capire esattamente come Bitcoin consuma energia, fare alcune precisazioni e sfatare alcuni luoghi comuni.

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Il consumo di energia non è equivalente alle emissioni di carbonio

Partiamo con una precisazione importante: consumo di energia non è sinonimo di inquinamento. C’è un’importante distinzione tra quanta energia consuma un sistema e quanto inquina.

Infatti, mentre determinare il consumo di energia è relativamente semplice, non è possibile estrapolare un dato sulle emissioni di carbonio associate senza conoscere il preciso mix energetico, cioè la composizione delle diverse fonti di energia utilizzate dai computer che estraggono Bitcoin. Per fare un esempio abbastanza immediato, un’unità di energia idroelettrica avrà molto meno impatto ambientale della stessa unità di energia alimentata a carbone.

Il consumo di energia di Bitcoin è relativamente facile da stimare: si può semplicemente considerare il suo hashrate (cioè la potenza di calcolo totale combinata usata per estrarre Bitcoin e processare le transazioni) e fare qualche ipotesi sui requisiti energetici dell’hardware che i miner usano. Ma le emissioni di carbonio sono molto più difficili da accertare, per diversi motivi: il mining è un business intensamente competitivo, e i minatori tendono a non essere particolarmente disponibili sui dettagli delle loro operazioni

Le migliori stime in merito provengono dal Cambridge Center for Alternative Finance, che ha lavorato con i principali pool minerari per mettere insieme un set di dati anonimizzato delle sedi dei miners.

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Sulla base di questi dati, il CCAF può presumere quali siano le fonti di energia che i minatori usano per Paese, e in alcuni casi, per provincia. Il loro set di dati, però, non include tutti i pool di miners, né è puntualmente aggiornato, lasciandoci ancora all’oscuro dell’effettivo mix energetico di Bitcoin.

Inoltre, molte analisi di alto profilo generalizzano il mix energetico a livello di Paese, portando a un ritratto impreciso di grandi luoghi come la Cina, ad esempio, che ha un panorama energetico estremamente diversificato.

Di conseguenza, le stime su quale percentuale del mining di Bitcoin utilizzi energia rinnovabile variano ampiamente. Nel dicembre 2019, un rapporto ha suggerito che il 73% del consumo di energia di Bitcoin era neutro in termini di carbonio, in gran parte a causa dell’abbondanza di energia idroelettrica nei principali hub di estrazione come la Cina sud-occidentale e la Scandinavia.

D’altra parte, il CCAF ha stimato nel settembre 2020 che la cifra sarebbe più vicina al 39%.

Anche se questo numero più basso fosse corretto, si tratta ancora di quasi il doppio di quanta energia rinnovabile utilizzi la rete statunitense, suggerendo che guardare solo al consumo di energia è difficilmente un metodo affidabile per determinare le emissioni di carbonio di Bitcoin e altre criptovalute.

Bitcoin può usare tipi di energia che altre industrie non possono utilizzare

Un altro fattore chiave che rende il consumo energetico di Bitcoin diverso da quello della maggior parte delle altre industrie è che Bitcoin può essere estratto ovunque.

Quasi tutta l’energia usata nel mondo deve essere prodotta relativamente vicino ai suoi utenti finali. Il mining non ha questa limitazione: permette infatti ai minatori di utilizzare fonti di energia che sono inaccessibili per la maggior parte delle altre applicazioni.

L’idroelettrico è l’esempio più noto.

Nella stagione umida, in Sichuan e Yunnan, in Cina, enormi quantità di energia idroelettrica rinnovabile vengono sprecate ogni anno.

In queste zone, la capacità di produzione supera di gran lunga la domanda locale e la tecnologia delle batterie è ben lontana dall’essere abbastanza avanzata da rendere conveniente immagazzinare e trasportare l’energia, da queste regioni rurali, ai centri urbani che ne hanno più bisogno.

Queste regioni rappresentano, molto probabilmente, la più grande risorsa energetica potenziale del pianeta, e come tale non è una coincidenza che queste province siano il cuore dell’estrazione mineraria in Cina, responsabile di quasi il 10% dell’estrazione globale di Bitcoin nella stagione secca e del 50% nella stagione umida.

Un’altra strada promettente per l’estrazione a zero emissioni è il gas naturale.

Il processo di estrazione del petrolio, oggi, rilascia una quantità significativa di gas naturale come sottoprodotto: energia che inquina l’ambiente senza mai arrivare alla rete.

Dal momento che è vincolato alla posizione di remoti giacimenti petroliferi, la maggior parte delle applicazioni tradizionali sono state storicamente incapaci di sfruttare efficacemente questa energia.

Ma i minatori di Bitcoin, dal Nord Dakota alla Siberia, hanno colto l’opportunità di monetizzare questa risorsa altrimenti sprecata, e alcune aziende stanno anche esplorando modi per ridurre ulteriormente le emissioni bruciando il gas in modo più controllato. I calcoli a ritroso, suggeriscono che ci sarebbe abbastanza gas naturale bruciato solo negli Stati Uniti e in Canada per far funzionare l’intera rete Bitcoin.

Ad essere onesti, la monetizzazione del gas naturale in eccesso con Bitcoin crea ancora emissioni, e alcuni hanno sostenuto che la pratica agisce invece come un sussidio all’industria dei combustibili fossili, incentivando le aziende energetiche a investire di più nell’estrazione del petrolio di quanto accadrebbe altrimenti. Ma il flusso di denaro che possono garantire i miner di Bitcoin è una goccia nel mare rispetto alla domanda di altre industrie che dipendono dai combustibili fossili, e questa domanda esterna è improbabile che scompaia presto.

Considerata però la realtà dei fatti, cioè che il petrolio continuerà a essere estratto per il prossimo futuro, sfruttare un sottoprodotto naturale del processo (e potenzialmente anche ridurre il suo impatto ambientale) è un fattore comunque nettamente positivo.

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Altre fonti energetiche che possono essere sfruttate da Bitcoin

È interessante notare che l’industria che si occupa della fusione dell’alluminio offre un parallelo sorprendentemente rilevante.

Il processo di trasformazione del minerale naturale di bauxite in alluminio utilizzabile è altamente energetico e i costi di trasporto dell’alluminio spesso non sono proibitivi, quindi molte nazioni con un surplus di energia hanno costruito fonderie per sfruttare le loro risorse in eccesso.

Regioni con la capacità di produrre più energia di quella che potrebbe essere consumata localmente, come l’Islanda, il Sichuan e lo Yunnan, sono diventate esportatrici nette di energia proprio grazie alla produzione di alluminio.

Oggi, le stesse condizioni che hanno incentivato quegli investimenti hanno reso queste località opzioni primarie per l’estrazione di Bitcoin. Ci sono anche un certo numero di ex fonderie di alluminio, come l’impianto idro Alcoa di Massena, NY, che sono state direttamente riconvertite in miniere di Bitcoin.

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Estrarre Bitcoin consuma molta più energia che usarlo

Il modo in cui l’energia viene prodotta è solo un pezzo dell’equazione. L’altro aspetto su cui circolano informazioni poco precise o fondamentalmente errate è il modo in cui l’esistenza dei Bitcoin consuma effettivamente energia e i cambiamenti che possiamo prevedere nel tempo.

Da molte voci si sente parlare dell’alto “costo energetico per transazione” di Bitcoin, ma questa metrica è fuorviante. La maggior parte del consumo energetico di Bitcoin avviene durante il processo di estrazione. Una volta che le monete sono state emesse, l’energia richiesta per convalidare le transazioni è minima.

Stimare il consumo totale di energia di Bitcoin fino e dividerlo per il numero di transazioni non ha senso: la maggior parte di quell’energia è stata utilizzata per estrarre i Bitcoin, non per supportare le transazioni. E questo ci porta all’ultimo malinteso critico: che i costi energetici associati all’estrazione di Bitcoin continueranno a crescere esponenzialmente.

Una crescita incontrollata è improbabile

Poiché l’impronta energetica di Bitcoin è cresciuta così rapidamente, la preoccupazione principale è che, con una rapida diffusione, il consumo e l’impatto ambientale possano aumentare considerevolmente.

Questa era infatti la premessa di uno studio del 2018, ampiamente riportato e recentemente citato dal New York Times, secondo il quale il sistema Bitcoin potrebbe causare il riscaldamento del Pianeta di ben due gradi Celsius. Ci sono buone ragioni per credere che questo non accadrà.

In primo luogo, come è diventato comune in molte industrie, il mix energetico di Bitcoin diventa meno dipendente dal carbonio ogni anno.

Negli Stati Uniti, i miner sempre più focalizzati sull’ESG (Environmental – Social – Governance) hanno guadagnato quote di mercato e la Cina ha recentemente vietato l’estrazione a base di carbone nella Mongolia Interna, una delle più grandi regioni ancora ricche di carbone.

Allo stesso tempo, molte organizzazioni all’interno dell’industria mineraria hanno lanciato iniziative come il Crypto Climate Accord, ispirato all’accordo sul clima di Parigi, per sostenere e impegnarsi a ridurre l’impronta di carbonio di Bitcoin. 

Inoltre, dato che le opzioni rinnovabili come l’energia solare diventano più efficienti e, di conseguenza, più accessibili per il mining, Bitcoin potrebbe trasformarsi in un serio incentivo a costruire queste tecnologie.

inquinamento atmosferico

Inoltre, è improbabile che i minatori continuino a espandere le loro operazioni di estrazione ai tassi attuali, a tempo indeterminato. Il protocollo Bitcoin sovvenziona il mining, ma questi sussidi hanno dei controlli incorporati sulla loro crescita. Oggi, i minatori ricevono piccole commissioni per le transazioni che verificano durante il mining (che rappresentano circa il 10% delle entrate) e i margini di profitto non sono più così interessanti.

A questo si aggiunge il fatto che il protocollo è costruito per dimezzare la componente di emissione delle entrate dei minatori ogni quattro anni.

Così, a meno che il prezzo del Bitcoin raddoppi ogni quattro anni in perpetuo (cosa che l’economia suggerisce essere essenzialmente impossibile per qualsiasi valuta), quella quota di entrate dei minatori. alla fine. decadrà a zero.

Per quanto riguarda le commissioni di transazione, i vincoli naturali di Bitcoin sul numero di transazioni (meno di un milione al giorno) combinati con la scarsa tolleranza delle persone per il pagamento di commissioni, limitano il potenziale di crescita di questa attività come fonte di reddito.

Possiamo aspettarci che alcuni miners continuino ad operare a prescindere, in cambio delle sole commissioni di transazione (e in effetti, la rete dipende da questo per continuare a funzionare) ma se i margini di profitto diminuiscono, l’incentivo finanziario ad investire nel mining diminuirà naturalmente.

Il dietro-front di Elon Musk

Il technoking di Tesla, Elon Musk, è stato per molto tempo un accanito sostenitore di Bitcoin, sottilineando a più riprese l’aspetto innovativo delle cripto valute e la loro importanza nelle transazioni economiche.

Era riuscito spesso, con poche parole in diversi tweet, a condizionare lo scambio della moneta e di tutto il settore crypto sostenendo questa o quella criptovaluta. Naturalmente, la più famosa tra queste, Bitcoin appunto, ne aveva beneficiato molto più di altre, raggiungendo un picco di oltre 60.000 dollari a marzo. La moneta ha sempre vissuto condizionata da un’alta volatilità e le dichiarazioni di personaggi influenti sono sempre state in grado di condizionarne l’andamento.

Ora però, sembra aver cambiato rotta, almeno per quanto riguarda Bitcoin, convinto proprio dall’eccessivo consumo energetico che il mining della moneta in questione comporterebbe.

 

Nel mese di febbraio aveva suscitato molto scalpore la mossa dell’azienda di auto elettriche di acquistare l’equivalente di circa 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin.

All’annuncio, era poco dopo seguita la dichiarazione a detta della quale, Tesla avrebbe permesso di comprare i suoi veicoli in Bitcoin, o altre valute digitali, accumulandoli in un tesoretto da non convertire in valuta FIAT.

Ora il passo indietro: Tesla non accetterà più pagamenti in Bitcoin.

Come prevedibile, l’annuncio ha provocato un terremoto: prima dell’annuncio, il valore di Bitcoin era di  54.700 dollari. Ha poi iniziato a precipitare, condizionato anche dai rumors provenienti dalla Cina per sprofondare, al momento in cui scriviamo, intorno ai 30.000 dollari. La caduta ha trascinato con sé tutte le sorelle minori

Conclusioni

Ci sono innumerevoli fattori che possono influenzare l’impatto ambientale di Bitcoin, ma alla base, la questione riguarda la domanda iniziale: ne vale la pena?

È importante comprendere che le preoccupazioni ambientali sono importantissime ma devono essere giustamente indirizzate. Quelle che riguardano Bitcoin sono spesso fondate su una cattiva comprensione del funzionamento dell’intero protocollo.

Ciò significa che quando chiediamo: “Bitcoin vale il suo impatto ambientale”, l’effettivo impatto negativo di cui stiamo parlando è probabilmente molto meno allarmante di quanto si possa pensare. Ma non si può negare che Bitcoin consumi risorse.

Come per ogni altra industria che consuma energia, è compito della comunità riconoscere e affrontare queste preoccupazioni ambientali, lavorare in buona fede per ridurre l’impronta di carbonio del Bitcoin, e infine dimostrare che il valore sociale che il Bitcoin fornisce, vale le risorse necessarie per sostenerlo.

Clubhouse per Android arriva da oggi anche in Italia

Da giorni circolavano rumors, ma finalmente da oggi l’esclusiva App ad inviti, fondata sulla voce, è attiva anche in Italia per gli utenti Android. 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la novità del lancio della versione Android di Clubhouse, disponibile sui Play Store a livello globale. In un tweet, la proprietà del social network aveva svelato la data di lancio dell’App, prevista per venerdì 21 maggio, giorno in cui la versione del sistema operativo di Google avrebbe raggiunto gli utenti in tutto il mondo, Italia compresa.

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Alcuni Paesi, come Giappone, Russia o Brasile avrebbero avuto a disposizione l’app già da ieri. La redazione di Ninja Marketing, però, ha deciso di testare l’applicazione sul campo, confermando quindi che è attiva.

Le schermate per l’accesso all’app e la configurazione dell’account sono, nella sostanza, identiche a quelle per sistemi IOS.

Ecco il messaggio di benvenuto agli utenti Android

A seguire la richiesta del numero, codice, inserimento foto profilo.

La selezione degli interessi per arrivare alle room in linea con i propri interessi e aspirazioni

 

Con l’apertura al mercato globale, il social network, con chat audio e ad invito lanciato nel 2020 dalla Alpha Exploration Co. e creato da Paul Davison e Rohan Seth, spera di frenare il brusco calo di download delle scorse settimane, complice anche la concorrenza degli altri social media, come Twitter, che ha sviluppato modalità similari di interazione audio, come Twitter Spaces.

A dicembre Clubhouse 2020 è stato valutato quasi $ 100 milioni. Il 21 gennaio 2021 la valutazione ha raggiunto il miliardo di dollari.

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davide bertozzi - immagini vs parole, recensione

Immagini vs Parole, la recensione del primo libro di Davide Bertozzi

Immagini vs Parole è il primo libro scritto da Davide Bertozzi, arricchito dalla prefazione di Valentina Falcinelli e dagli approfondimenti di Elisabetta Alicino, Roberto Saponi e Gianluca Di Santo.

Copywriter, direttore creativo e formatore, Bertozzi ha curato la comunicazione per tantissimi brand e dato vita a messaggi pubblicitari di svariate tipologie. La sua creatività ha avuto modo di confrontarsi con il mondo dei motori a due ruote e progettare campagne per marchi del circuito MotoGp come, RedBull, Ducati, Estrella Galicia.

Immagini vs Parole si inserisce perfettamente in quel percorso di trasformazione digitale che oggi fa domandare alla maggior parte delle persone che si occupano di comunicazione In che direzione sta andando il linguaggio pubblicitario?.

Il pubblico tende di più verso le immagini? Non riusciamo a saziare la nostra irrefrenabile voglia di fotografie, video e intrattenimento da display? Oppure non possiamo proprio fare a meno di accostare a una certa visione, un accompagnamento testuale?

Le parole sono ancora il punto di partenza di un messaggio pubblicitario?

bertozzi libri

Source: Twitter

Il percorso comunicativo secondo Davide Bertozzi

Immagini e parole sono indubbiamente due armi fondamentali ed imprescindibili quando si parla di comunicare per vendere.

Ma oggi in quanti hanno compreso il loro uso equilibrato e strategico? Soprattutto un uso che porta il consumatore a prendere coscienza di ciò che legge o guarda e interagire con il messaggio?

Bertozzi prova a rispondere al quesito ancestrale tracciando un percorso logico molto semplice. Si parte dagli strumenti basilari che il professionista della comunicazione ha in suo possesso. Le parole e le immagini, appunto – da lì non si scappa.

Bertozzi prosegue esplorando tutte le possibili sfaccettature che il mondo delle parole e delle immagini propone quando ci si mette a giocare con loro. Esattamente come un bambino che, completamente immerso dal suo lavoro con i mattoncini Lego, esce fuori dagli schemi predefiniti del libretto di istruzioni, e da vita e qualcosa di innovativo.

Precisamente di nuovo e utile, come direbbero Henrie Poincaré e Annamaria Testa.

E sì perché anche Davide Bertozzi non si sottrae alla sua personale interpretazione di “creatività”. Che cos’è la creatività? E come si raggiunge attraverso l’uso di parole e immagini?

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Immagini vs Parole: che cos’è la creatività secondo Davide Bertozzi

La creatività è qualcosa di irrinunciabile per chi si trova a lavorare con immagini e parole.
Prima di tutto, in un messaggio pubblicitario, c’è qualcosa che viene ancor prima della creatività.

“Tutta la nostra maestria nello scrivere e progettare non serve a nulla se poi non ci sono reputazione, credibilità, etica, sicurezza, conoscenza. Se dietro un annuncio c’è qualcuno pronto a metterci la faccia e a spiegare perché fa quello che fa”.

In secondo luogo, la creatività è quel processo che riesce a portare l’anomalia comunicativa, all’interno di un certo binario di senso. La creatività è eccezione e difformità. Ma non buttate a casaccio.

La maestria del copywriter o del creativo, è quella di innescare un pensiero o un’emozione, attraverso un evento improvviso, una piccola scossa elettrica, che ci strappa un sorriso, ci riporta in luoghi e sensazioni a cui siamo affezionati, ci fa riflettere.

“Un testo dovrebbe essere scritto per le persone, non per esaltare il nostro ego”.

Ok ma quindi, per far funzionare un messaggio pubblicitario, qual è la strada da intraprendere? Immagini o parole? La metafora che scioglie definitivamente il dilemma colpisce nel segno.

Il rapporto tra visual e copy è identico a quello tra Batman e Robin: il primo è il protagonista indiscusso, il secondo è il suo aiutante.

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Un piccolo manuale pronto all’uso per una corretto messaggio pubblicitario

Immagini vs Parole è a tutti gli effetti un piccolo manuale pronto all’uso per chi si accinge a mettere le mani nella pasta della comunicazione pubblicitaria.

Un compendio in cui si esplora la materia dal punto di vista tecnico (la scelta della fotografia, del font del testo, il peso delle parole, il design tra mezzo stampa e social, lo storytelling) e intellettuale (vale a dire immergersi nel sacro momento del brainstorming, dove qualsiasi pensiero a ruota libera è concesso).

Fino a raggiungere gli estremi confini della combinazione tra immagini e parole: il word hacking. La dimostrazione che, a tutti gli effetti, possiamo trasformare le parole in immagini con semplici accorgimenti che animano quelle che per chiunque fino a poco prima erano semplici lettere.

ragazza legge un libro

Lungo il percorso tracciato da Bertozzi, sempre spiegato in maniera estremamente semplice, troviamo un unico leitmotiv ricorrente: tutte le tecniche di comunicazione d’impresa che è possibile apprendere, che ci siano state tramandate dalla storia del copywriting o che vengano studiate nell’era digitale, hanno un unico scopo finale:

“Il messaggio creativo è quello che funziona”.

Grammatica, gestione degli spazi visivi, equilibrio delle parole. Così come il tono di voce, i valori e l’identità del brand che parla. Tutto va bilanciato per trovare il corretto messaggio da veicolare alla nostra platea. Spoiler: non ci sono trucchetti. Il percorso creativo richiede spesso pazienza e stimolazione. Il lampo di genio è piuttosto una rarità.

Come sottolinea anche Gianluca Di Santo nell’approfondimento all’interno di Immagini vs Parole, se c’è qualcosa di tanto divertente quanto veritiero nel mondo della comunicazione creativa, è che nessuno potrà mai dire di un lavoro pubblicitario – che sia una campagna, un testo o un logo – che è l’unico veramente “perfetto”.

La verità è che il giudice finale è sempre il nostro pubblico: sarà lui a decretare se un messaggio, un’immagine o una parole, funziona o meno.

Dietro il rapido percorso delineato da Davide Bertozzi attraverso la  scrittura e progettazione di un messaggio pubblicitario, si cela un happy ending rassicurante. Non saremo mai costretti a dover scegliere tra immagini o parole. Solo testo o solo visual.

“La prossima volta che qualcuno ci dirà che le immagini valgono di più delle parole, sapremo cosa rispondere”.

Da Cristiano Ronaldo a Barak Obama: i 50 Top influencer al mondo

Chi sono i 50 principali influencer al mondo? A quantificare la capacità di ispirare e di indirizzare i contesti economici e di pensiero, interviene il Generational Power Index (GPI) 2021, il report elaborato da Visual Capitalist, con un’analisi  trasversale alle diverse generazioni e fasce d’età

Economia, politica e cultura sono i 3 indicatori utilizzati per monitorare il potere generazionale di Baby Boomer, GenX, Millennial e GenZ.

L’indice, infatti, classifica le generazioni statunitensi in base alla loro influenza economica, politica e culturale, sommando i numeri totali di follower attraverso le diverse piattaforme di social network, in primis Twitter e Instagram, e a seguire Facebook, YouTube, TikTok.

“Nel moderno mondo digitale, la portata dell’impatto dei social media è potere – commenta a margine dell’analisi Visual Capitalist, impegnata nella narrazione visiva dei dati per rendere immediatamente accessibili le informazioni – Le persone con il maggior numero di follower su Twitter dispongono di una piattaforma enorme per diffondere i loro messaggi, mentre quelle con grandi numeri di coinvolgimento su Instagram sono il partner sponsor dei sogni di un inserzionista”.

La Top 50: atleti, musicisti, politici

A dominare la classifica della Top 50, che include atleti, musicisti, politici e altre personalità, è la superstar del calcio Cristiano Ronaldo, il più seguito sui social media con oltre 517 milioni di follower totali, sia Instagram che Facebook.

Anche la politica entra di diritto nel ranking con personaggi influenti, tra cui l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama con 221 milioni totali, di cui gran parte derivanti da Twitter. Più di 175 milioni di follower sulle diverse piattaforme social anche il primo ministro indiano Narendra Modi. Sarebbe rientrato in classifica, anche l’ex presidente Donald Trump (con oltre 140 milioni di follower) prima di essere sospeso da Facebook, Twitter ed Instagram lo scorso 8 gennaio 2021 in occasione dell’assalto al Congresso Americano.

Altro fattore trainante la musica, oltre a numerosi attori dello star system (tra cui  Dwayne Johnson e Will Smith) che occupano circa il 50% delle posizioni del ranking.

Secondo in Usa Justin Bieber, con 455milioni di follower totali, mentre lo scalino più basso del podio è occupato da Ariana Grande con 429 milioni.

Oltre ai tanti campioni dello sport, come Lionel Messi, Neymer e LeBron James, notevole è anche la forza trainante di Instagram, che è la piattaforma principale per il 67% dei 50 principali influencer dei social media, con l’inclusione di celebrità difficili da classificare come Kim Kardashian e Kylie Jenners, che hanno trasformato la fama dei reality TV e dei social in imperi economici, tra business e media.

Non solo celebrità, ma anche giovani personalità che hanno rafforzato le proprie community virtuali su Twitter, TikTok e YouTube: la star più seguita di TikTok è Charli D’Amelio, mentre tra gli YouTuber si confermano Germán Garmendia, Felix “PewDiePie” Kjellberg e Whindersson Nunes Batista.

In realtà i social media possono configurarsi anche come “un equalizzatore di potere”, secondo gli analisti, consentendo non solo alle celebrità, ma anche a singoli sconosciuti di trasformare la fama di YouTube o TikTok in un vero potere e influenza.

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Il numero di follower coincide la capacità di influenzare ed ispirare?

“Le generazioni più anziane hanno dovuto adattarsi alle piattaforme social media, generazioni più giovani sono cresciute insieme a loro, contribuendo a dare a Gen X, Millennials e Gen Z un raro vantaggio sulle generazioni più anziane”, sottolinea Visual Capitalist.

I millennial, infatti, occupano il 50 % della graduatoria, con un’età media Top 50 che oscilla intorno ai 37 anni. Fondamentale è anche la capacità di engagement ed interazione con la propria audience, oltre ai numeri. Alcuni influencer, con numeri ristretti hanno coinvolgimenti più elevati, tali da determinare partnership pubblicitarie significative. Altro aspetto che incide sulla percezione, è il numero di profili falsi o di bot che aumentano il numero di follower di celebrità e politici, rendendoli però poco attrattivi per gli inserzionisti e per il pubblico che si rivolge ai social media per notizie, consigli e intrattenimento.

I Baby Boomer sono la generazione che ha maggiore potere di influenza

Dal report emerge che i Baby Boomer (nati nel 1946-1964) sono la generazione più ricca e influente d’America. Si avvicenda, però, il passaggio di testimone, per cui chi subentrerà?

Il Generational Power Index (GPI) 2021 parte dalla suddivisione di ogni generazione in fasce di età e anni di nascita, sulla base di criteri utilizzati dal Pew Research Center e dalla Federal Reserve: la Silent Generation (over 76 dal 1928-1945); i Baby Boomer (57-75 anni, dal 1946-1964); Gen X (tra i 41-56 anni, tra il 1965-1980); Millennial (tra i 25-40 anni, dal1981-1996); Gen Z (9-24 anni, dal 1997-2012); Gen Alpha (8 anni circa o meno, dal 2013 ad oggi).

Analizzando le 3 categorie principali (potere economico, politico e culturale), i baby boomer, che detengono il 53% della ricchezza Usa, dominano con il 38,6% (sebbene rappresentino solo il 21,8% della popolazione totale degli Stati Uniti). La Gen X al secondo posto, catturando il 30,4% della potenza, mentre la Gen Z è ultima, con un mero 3,7%.

1. Potere generazionale: economia

Con il 43,4%, il GPI mostra che i Boomer detengono un’influenza economica maggiore, rappresentando la maggioranza degli imprenditori Usa e detenendo il 42% della ricchezza miliardaria in America, cresciuti nel post-seconda guerra mondiale, in un’economia relativamente stabile. Al contrario i Millennials hanno vissuto la grande recessione, con forte impatto sulla capacità di accumulare ricchezza.

2. Potere generazionale: politico

I boomer catturano anche il 47,4% dell’influenza politica. Questa generazione rappresenta il 32% di tutti gli elettori statunitensi e detiene la maggior parte delle cariche federali e statali. Ad esempio, il 68% dei senatori statunitensi sono Baby Boomer. Nei prossimi anni si stima che il potere di voto combinato di Millennial e Gen Z vedrà una crescita immensa, passando dal 32% degli elettori nel 2020 al 55% entro il 2036.

3. Cultural Power

In questa categoria, è la Gen X a guidare il gruppo, dominante sulla stampa e nei media: oltre la metà delle più grandi società di notizie americane ha una Gen Xer come CEO e la maggioranza delle personalità più influenti sono anche membri della Gen X.

Sulle piattaforme digitali, però, i Millennial dominano sia come numero di utenti che come creator di contenuti e anche la Gen Z ha un’influenza crescente.

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SoftScience: 17 goal in 17 luoghi di Roma

SoftScience. 17 goal in 17 luoghi di Roma per la sua seconda edizione si svolgerà dal 17 al 23 maggio 2021, con  il patrocinio di ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e la collaborazione dell’Università di Roma-Sapienza ( il Corso di formazione interdisciplinare in Scienze della sostenibilità), la Comunità Educante Diffusa del VII Municipio di Roma, Caritas, ItaliaSmartCommunity e tanti altri, per misurarsi con i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Attraverso il format dei walkabout-esplorazioni partecipate radionomadi condotti da Carlo Infante si andranno ad interpretare i 17 obiettivi dell’Agenda 2030, incontrando i vari protagonisti che affrontano questa scommessa evolutiva sul campo, esplorando e conversando con loro nei centri di ricerca e in giro per la città, individuando percorsi urbani da tematizzare con precisa pertinenza.

I walkabout sono conversazioni erranti, caratterizzate dall’ausilio di smartphone e cuffie collegate ad una radioricevente (whisper radio), e permettono di ascoltare le voci dei partecipanti che oltre ad esplorare luoghi, scandagliano temi, attraversano eventi, esposizioni e situazioni, liberando un’energia congeniale, ludico-educativa e fondamentalmente partecipativa.

L’evoluzione di questo format è nello streaming web-radio georeferenziato per cui la risultante dei walkabout una volta svolti è una “mappa parlante” nel web con la pubblicazione dei geo-podcast. 17 walkabout “accenderanno l’attenzione” dei cittadini coinvolti nell’attraversamento esplorativo di alcuni luoghi dello spazio urbano, declinandoli secondo i temi connessi ai 17 obiettivi: povertà; cibo; salute; educazione; donne; acqua pubblica; energia pulita; lavoro; innovazione digitale; diseguaglianza; smart community; economia circolare; emergenza climatica; mare; biodiversità; legalità; partnership.

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SoftScience 2021

Alcune esplorazioni individueranno luoghi particolari nella città, esplicitando il principio fondante della SoftScience: la “scienza soffice” riguarda la capacità di declinare il pensiero-azione scientifico nella sollecitazione consapevole e coinvolgente della società che s’interroga sui nuovi modelli di sviluppo possibile. Non meno della natura fisica, anche il sistema sociale è caratterizzato da comportamenti che la scienza può, e deve, analizzare nell’intento di delineare previsioni per un futuro sostenibile. 

La realtà sociale di quest’ultimo secolo, in cui lo sviluppo scientifico e tecnologico (in particolar modo con il digitale) è diventato l’elemento cardine della trasformazione produttiva è quindi protagonista. La Società è sempre più un laboratorio in cui la Scienza, interagendo con cittadini-utenti consapevoli, deve riequilibrare tutti i processi nell’ottica dello Sviluppo Sostenibile, a partire da quel pensiero-azione che sottende la resilienza, concetto su cui oggi in troppi (che qualche anno fa ne ignoravano l’esistenza) si sperticano nel sottovalutare. 

Le Nazioni Unite hanno lanciato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile che Urban Experience declinerà in una serie di esplorazioni senzienti nelle geografie romane. Coniugare storie e geografie è la nostra strategia culturale tesa ad esplicitare quanto tutto sia interconnesso, a partire dal fatto che trattare di teorie mentre si attraversano luoghi pertinenti ne amplifica il senso (sia delle teorie affrontate nelle conversazioni radiofoniche sia dei luoghi stessi, spesso ricchi di genius loci).

L’attuazione dell’Agenda richiede un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalla società civile alle istituzioni, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione e della cultura e ciò comporta una migliore presenza di spirito che noi “addestriamo” con i nostri metodi di performing media storytelling.

Il processo di cambiamento del modello di sviluppo verrà elaborato attraverso il monitoraggio del  sistema  basato su 17 Obiettivi, 169 Target e oltre 240 indicatori. Ed è proprio rispetto a tali parametri che nell’arco dello sviluppo triennale di #SoftScience rileveremo gli step evolutivi dello Sviluppo Sostenibile attraverso un sistema di Intelligenza Artificiale che abbiamo definito Nuvola 3.0 con cui monitoreremo le parole chiave emerse dalle conversazioni radionomadi secondo le modalità del sentiment analysis.

Parleremo dei 17 Goal in 17 luoghi:  povertà con Caritas a Ponte Casilino e alla Diocesi di Roma; diseguaglianza con il Festival delle Periferie a Tor Bella Monaca; cibo nel Mercato rionale di Testaccio; salute con ASL2 a Cinecittà; educazione con la Comunità Educante del Municipio VII a Cinecittà; donne con Centro Antiviolenza a Villa Lazzaroni; acqua pubblica lungo il corso dell’Acquedotto Felice; legalità al Parco della Giustizia alla Romanina per la giornata della Legalità; partnership  con Festival delle Periferie; innovazione digitale con Comunità Educante Diffusa sulle mappature web del Municipio VII; lavoro con il Corso di Scienze della Sostenibilità alla Sapienza ; energia pulita con il Corso di Scienze della Sostenibilità alla Sapienza; smart community con il Corso di Scienze della Sostenibilità alla Sapienza ; emergenza climatica  con il Corso di Scienze della Sostenibilità alla Sapienza; economia circolare con la Comunità Educante Diffusa alla scuola primaria Garibaldi; mare lungo il Tevere, la via d’acqua che conduce al mare, con gli studenti del Master internazionale sulla Complessità Urbana di Sapienza-Università di Roma; biodiversità tra oliveti e macchia mediterranea in una cava dietro l’Appia Antica. Con il progetto di intelligenza artificiale Nuvola 3.0 sarà realizzata una sentiment analysis dei 17.

Il partner principale è l’Università di Roma-Sapienza (con il Corso di Formazione interfacoltà in Scienze della Sostenibilità), altri partner ed enti che supportano: Earth Day Italia, ItaliaSmArtCommunity, ASVIS, Caritas, Diocesi di Roma, ARCI, Fondazione Raffaele Fabretti, Comitato di Quartiere Tuscolano, Roma Bpa – Mamma Roma e i suoi Figli Migliori, Comunità Educante Diffusa del VII Municipio Roma Capitale. 

Il programma

Lunedì 17 maggio 

ore 11, Cava Fabretti (accesso da Istituto Tor Carbone, Via Tor Carbone 53) walkabout su goal biodiversità con apicoltori urbani

ore 17, IC Ceneda (plesso “Garibaldi” via Mondovì 16) walkabout su goal economia circolare con  Associazione “Anita”, Comunità Educante Diffusa e Hearth Platform 

Martedì 18 maggio 

ore 10, Sapienza-Università di Roma (Ingegneria, Via Eudossiana 18) walkabout su goal smart community

ore 11 walkabout su goal emergenza climatica

ore 12 walkabout su goal lavoro

ore 13 walkabout su goal energia pulita con Corso di Formazione interfacoltà in Scienze della Sostenibilità e Hearth Platform 

ore 16, Centro di salute mentale ASL2 (Piazza di Cinecittà 11) walkabout su goal salute con la Comunità Educante del Municipio VII

Mercoledì 19 maggio 

ore 17, Casa di Accoglienza “Santa Giacinta” (via Casilina Vecchia 19), walkabout su goal povertà con Caritas e Diocesi di Roma 

Giovedì 20 maggio

ore 11, Liceo Scientifico “Gullace” (Piazza dei Cavalieri del Lavoro, 18) walkabout su goal educazione con la Comunità Educante del Municipio VII

ore 15, Architettura-Sapienza Università di Roma (Piazza Borghese 9) walkabout su goal mare lungo il Tevere, la via d’acqua che conduce al mare, con gli studenti del Master internazionale sulla Complessità Urbana 

Venerdì 21 maggio

ore 11, Parco degli Acquedotti (Via Lemonia 221) walkabout su goal acqua pubblica con Comunità Educante del VII Municipio, RetakeRoma 

ore 16 Centro AntiViolenza (Villa Lazzaroni, Via Appia Nuova 522) walkabout su goal donne con la Comunità Educante e Hearth Platform 

ore 18 Centro giovanile Scholé (Villa Lazzaroni, Via Appia Nuova 522) walkabout su goal  innovazione digitale con Comunità Educante del Municipio VII. Presentazione di Nuvola 3.0 sulla sentiment analysis dei 17 goal di Agenda 2030.

Sabato 22 maggio 

ore 12, Mercato rionale di Testaccio (Via Aldo Manuzio 66b, box66) walkabout  su goal cibo tra i banchi del mercato con Collettivo Gastronomico Testaccio

ore 18, Dalla Stazione Metro di Torre Gaia al Teatro Tor Bella Monaca walkabout  su goal diseguaglianza nell’ambito del Festival delle Periferie 

ore 19 Teatro di Tor Bella Monaca (Via Bruno Cirino 5) talk su goal partnership nell’ambito “Mappening. Le mappe partecipate” per il Festival delle Periferie”

Domenica 23 maggio 

ore 17, ITC Lombardo Radice ( Piazza Ettore Viola 6)  verso il Parco della Giustizia  (entrata da Via del Ponte delle Sette Miglia 245) walkabout su goal legalità nell’ambito della Giornata della Legalità.

Innovazione strategica: uscire dalla crisi grazie al Digital Business Model

L’obiettivo non è giocare meglio degli altri, ma cambiare le regole del gioco. Cosa possiamo offrire di veramente innovativo, a chi e come? Sono queste le domande fondamentali che ogni imprenditore e manager oggi deve porsi come primo passo per portare la propria organizzazione fuori dalla crisi nella quale l’emergenza ha gettato l’economia globale o anche solo per far fare alla propria impresa il salto di qualità che la metterà al riparo da future difficoltà.

Ed è proprio a queste domande – e alle risposte – che sarà dedicato il prossimo Strategy Innovation Workshop sul tema Digital Business Model, rivolto in particolare a imprenditori e manager che guidano aziende attraverso le sfide del nostro tempo, ma anche a tutti coloro che a vario titolo si occupano di questi temi.

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A partire dal 1700 abbiamo assistito a una rivoluzione industriale ogni circa cinquant’anni. Da 20 anni a questa parte, i cicli economici durano decisamente molto meno. A titolo di esempio, se si guarda quali sono i paesi in ordine per dimensione dell’economia o se si guarda quali aziende compaiono negli indici di borsa venti anni fa ed oggi, ci accorgiamo che il cambiamento è stato radicale e questo cambiamento è in costante fase di accelerazione, grazie anche all’impatto che la trasformazione digitale ha sull’economia, consentendo di fare le stesse cose in maniera più efficiente. Ma la tecnologia abilita anche e soprattutto la creazione di nuovi modelli di business. Questa opportunità va colta e va colta in fretta.

Sottolinea Carlo Bagnoli, Ordinario di Innovazione Strategica presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia, fondatore di Strategy Innovation e co-autore del volume Business Model 4.0. I modelli di business vincenti per le imprese italiane nella quarta rivoluzione industriale.

Digital Business Model

Il workshop, che prenderà le mosse dal volume Business Model 4.0. I modelli di business vincenti per le imprese italiane nella quarta rivoluzione industriale (autori Carlo Bagnoli, Alessia Bravin, Maurizio Massaro, Alessandra Vignotto con contributi di Gianluca Biotto e Carmelo Mariano, Edizioni Ca’ Foscari, scaricabile qui) affronterà i temi cruciali attraverso l’analisi di casi studio reali e grazie al contributo di Stefano Rebattoni, Amministratore delegato di IBM Italia, Michele Parisatto, Managing Partner di KPMG Advisory Italia e Stefano  Brandinali, Chief Digital Officer e Group CIO di Prysmian Group.

L’appuntamento è per il 21 maggio 2021 alle ore 18 con il webinar online. Necessario registrarsi.

Gli Strategy Innovation Workshop sono organizzati da Strategy Innovation e Fondazione Università Ca’ Foscari con il sostegno di importanti partner italiani: Intesa Sanpaolo, Arper, Axians, Cisco, KPMG e Sharp.

Google, partnership con SpaceX per l’internet satellitare Starlink

SpaceX, società di Elon Musk, annuncia la partnership con Google, per portare servizi cloud e connessioni internet alle imprese anche nelle zone più remote del pianeta attraverso i satelliti Starlink.

Un’alleanza strategica, destinata a cambiare gli equilibri del mondo informatico e le posizioni di potere tra le big tech, in particolare per Google che aspira a guadagnare quote rispetto ad Amazon e Microsoft nel mercato in rapida crescita del cloud computing. Addirittura, alcuni analisti, si interrogano sulla possibilità che possa configurarsi come un’alternativa all’internet terrestre.

Starlink si affiderà, così, alla rete in fibra ottica privata di Google, per stabilire rapidamente connessioni ai servizi cloud, in base all’accordo che secondo i rumors vicini alle due società, potrebbe durare sette anni.

Google Cloud potrà disporre del servizio internet satellitare senza passare per le infrastrutture terrestri: a sua volta metterà a disposizione il suo servizio cloud e i suoi data center per aiutare SpaceX a portare i servizi internet in tutto il mondo attraverso i suoi satelliti Starlink.

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Come funzionerà in termini operativi la partnership?

SpaceX installerà delle stazioni a terra, nei data center di Google (inizialmente negli Stati Uniti, ma con l’obiettivo di espandersi a livello internazionale), che si connetteranno ai satelliti Starlink per trasmettere dati, servizi cloud e applicazioni ai clienti, sfruttando la capacità di Starlink di fornire Internet a banda larga ad alta velocità e bassissima latenza in tutto il mondo e nell’infrastruttura di Google Cloud. A sua volta, Google potrà fornire ai suoi clienti il servizio internet satellitare di SpaceX, che potrebbe essere attivo già nella seconda metà del 2021

Gli investitori contano sul nascente business cloud di Google per stimolare la crescita nel caso in cui la sua attività pubblicitaria rallenti. Sebbene il business cloud di Google abbia prodotto solo il 7% dei ricavi totali della società madre Alphabet nel primo trimestre, è cresciuto di quasi il 46% anno su anno, rispetto all’aumento del 32% per i servizi pubblicitari di Google.

“Siamo fieri di lavorare con Google per fornire questo accesso alle imprese, alle organizzazioni del settore pubblico e ad altri gruppi nel mondo. Offriremo alle organizzazioni del mondo intero una connessione sicura e rapida”, ha dichiarato Gwynne Shotwell, presidente di SpaceX.

Urs Holzle, vice presidente di Google Cloud, ha evidenziato che la collaborazione permetterà di garantire alle organizzazioni che utilizzeranno la rete “un accesso fluido, sicuro e rapido”.

 

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SpaceX e la recente valutazione di 74 miliardi di dollari

SpaceX è una delle start-up private più preziose al mondo, avendo raccolto fondi per una valutazione di 74 miliardi di dollari a febbraio, ha riferito la CNBC. Google ha investito 900 milioni di dollari in SpaceX nel 2015. SpaceX ha lanciato in orbita oltre 1.500 satelliti Starlink e la scorsa settimana la società ha affermato che più di 500.000 persone hanno ordinato o effettuato un deposito per il servizio internet.

Google nel fiorente business del cloud insegue con una quota di solo il 5% giganti come Microsoft e Amazon che controllano il mercato enterprise. Nello spazio non se la giocherà da solo, perché Amazon attraverso il progetto Kuiper prevede di lanciare 3.500 satelliti.

Un accordo unico nel suo genere

“Non credo che qualcosa di simile sia stato fatto prima“, sottolinea Bikash Koley, responsabile del networking globale di Google. “Il vero potenziale di questa tecnologia è diventato molto evidente. Il potere di combinare il cloud con la connettività sicura universale, è una combinazione molto potente “.

Il potenziale del cloud computing

Amazon ha reso popolare il business del cloud pubblico con il lancio nel 2006 di strumenti di elaborazione e archiviazione generici dalla sua divisione Amazon Web Services. Google ha introdotto il proprio servizio di elaborazione nel 2012 e negli ultimi due decenni, ha investito per assemblare una rete in fibra ottica privata per collegare i suoi data center. Sebbene gran parte della crescita del cloud di Google sia derivata dalla cura delle esigenze di elaborazione e archiviazione per clienti come Goldman Sachs e Snap, l’accordo SpaceX si baserà in gran parte sulle capacità di rete di Google.

I fornitori di servizi cloud si sono sempre più concentrati sul settore delle telecomunicazioni, in particolare con l’ascesa della connettività 5G.

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Sei sicuro di essere in regola con la GDPR e la privacy in azienda?

Settimo appuntamento con i Webinar PRO targati Ninja: tutti gli insight, trucchi, trend, dietro le quinte sui temi caldi del momento, condivisi con voi.

Tema della puntata è il GDPR, General Data Protection Regulation: abbiamo affrontato la violazione della privacy, soprattutto nel settore informatico, dalla figura che si è delineata del DPO, ai cookie di terze parti su Google, e tanto altro. Ospite della puntata è Giovanni Maria Riccio, Docente, Avvocato e Partner E-lex.

Non perderti i punti salienti dell’intervista:

  • Il vasto mondo del GDPR: cos’è?: min 1,55
  • I principali obblighi per le imprese: min 4,40
  • In che modo si utilizzano i data come risorse: min 14,10
  • Come proteggersi dai Data Breach: min 16,28
  • Google elimina i cookie di terze parti: min 19,25
  • L’UE ha vietato l’uso dell’AI: min 20,55
  • I minori sui social network: Instagram Kids: min 28,40
  • La nuova figura del DPO: min 34,15
  • Sanzioni per violazioni: min 38,30