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Gli effetti della pandemia sulla moda e la ripartenza per il settore retail

  • Tra i settori più colpiti dal Covid-19 c’è quello della moda. Nonostante il lockdown, è comunque rimasta invariata la fedeltà ai brand.
  • Nel frattempo il retail si reinventa per offrire un’esperienza d’acquisto sicura.

 

Uno dei settori più colpiti dalla crisi economica causata dal Covid-19 è quello della moda. Il lockdown, non ha provocato solo la cancellazione di eventi e sfilate, ma anche l’arresto della filiera produttiva in ogni suo aspetto, dal recupero di materie prime fino alla distribuzione, decretando un calo nei guadagni del -14,1% (report Area Studi Mediobanca). The State of Fashion 2020, il recente report di The Business of Fashion e McKinsey prevede che l’industria della moda globale quest’anno subirà una contrazione del 27-30%.

Ed ora che siamo nella fase della ripartenza? Sono due le domande che agitano il settore, secondo Fashion United: da un lato, come disinfettare i capi dopo ogni prova, dall’altra, come comportarsi con le grandi quantità di merci accumulate nei magazzini. Inoltre ci si chiede: “Con questa crisi che vige nel paese, quanta voglia c’è di fare shopping?” Secondo ricerca dell’Assirm, i consumatori italiani stanno acquistando abbigliamento, accessori e scarpe prevalentemente per necessità (45%), più che per sfizio personale (17%). Sì, perché nessuno in questo momento ama “provare vestiti che possono essere stati indossati poco prima da altre persone”. Inoltre si preferisce acquistare capi comodi, funzionali, rispettosi dell’ambiente e duraturi nel tempo.

Le prossime indagini sulla moda riveleranno sicuramente un quadro più chiaro dell’impatto del COVID-19 nel settore dell’abbigliamento. Per adesso, le uniche certezze degli studiosi dicono che:

  • nonostante il lockdown è rimasta invariata la fedeltà ai brand
  • le ricerche si sono orientate principalmente verso capi di athleisure
  • solo chi si ingegna ha possibilità di migliorare la propria rendita

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Fedeltà ai brand: il risultato del report di Lyst Index

Secondo Lyst Index, durante il primo trimestre del 2020 i top 3 brand più desiderati su scala mondiale sono stati Off-white, Balenciaga e Nike. 

Off-White si è confermato come il brand più desiderato in assoluto, per il 3° trimestre consecutivo, grazie ad un’idea di lusso sovversiva e anti-sistema. L’approccio digitale adottato nelle prime settimane di emergenza sanitaria, sia dal brand che dal suo fondatore Virgil Abloh, hanno fatto registrare un esponenziale aumento di engagement sui social media: la quarantena è stata trasformata in una nuova occasione per creare fidelizzazione tra brand e clienti, rafforzando ulteriormente la brand identity del marchio.

Balenciaga è salito di una posizione, raggiungendo il 2° posto della classifica (l’ultima volta era successo nel 3° trimestre 2019). Con il passare delle stagioni, il brand ha proposto collezioni sempre più avvincenti, capaci di mescolare lo stile Haute Couture con la semplicità dello street style ed un’atmosfera apocalittica.

Nike è uno dei marchi che ha scalato più velocemente la classifica: è schizzato al 3° posto, salendo di ben nove posizioni e scalzando Gucci (ora 4°). Il colosso dello sportswear è stato spinto in alto da una serie di importanti iniziative globali del brand e da un aumento delle richieste dei consumatori di prodotti come felpe, pantaloni della tuta e calzoncini. 

In generale, la classifica dei brand più desiderati del primo trimestre del 2020 vede una stabilità di numero dei marchi italiani più ricercati, segno che, nonostante il COVID-19, sembra rimasta invariata la brand loyalty, ovvero la percezione che i consumatori hanno della marca.

Tecnologia

Sono cambiate le ricerche in termini di abbigliamento?

La pandemia non ha solo cambiato solo le nostre abitudini, ma anche le nostre ricerche e gli acquisti online. In una recente intervista a WWD, Net-à-Porter ha dichiarato di aver registrato un incremento del 40% nelle vendite online, con un particolare interesse per i pantaloni della tuta. Anche una ricerca di XChannel ha rivelato un cambiamento nelle ricerche, che va verso una tendenza alla comodità (56%), all’informalità (21%) e alla sportività (17%).

Ma, quali sono stati i prodotti più ricercati al mondo? Secondo Lyst, il prodotto da uomo più ricercato a livello globale è la mascherina nera con frecce bianche di Off-White. Nel corso del trimestre questo prodotto ha registrato il sold out presso tutti i rivenditori fisici (al prezzo di 95 dollari) perciò attualmente è venduta solo sulle piattaforme online, a tre volte in più rispetto al suo prezzo originale (secondo Madame Figaro queste mascherine avrebbero raggiunto il prezzo record di mille dollari sul sito Farfetch, ma sarebbero poi state ritirate, a causa delle polemiche scatenate sui social).

Certamente, la pandemia di COVID-19 ha spinto molti brand a buttarsi su questo mercato e ha scatenato un’impennata del 496% delle ricerche, ma non si tratta di un nuovo trend: Off-White è stato il primo a lanciare mascherine fashion sul mercato e in passato sono state indossate da rapper del calibro di Travis Scott, Future e Young Thug. La maglia in pile con mezza zip di Loewe, ispirata alla natura, è stata il secondo prodotto da uomo più desiderato del trimestre: dopo essere stata indossata dagli attori Timothée Chalamet e Josh O’Connor e dal cantante Justin Bieber, ha registrato una flessione del +88%. In terza posizione, invece, troviamo la felpa con cappuccio di Gucci x Disney, mentre le sneakers Kobe 4 Protro Carpe Diem di Nike, che rendono omaggio alla stella dell’NBA Kobe Bryant, si sono posizionate al quarto posto.

La top 3 della classifica femminile di Lyst è stata dominata dalla borsa matelassé Cassette di Bottega Veneta, dal body morbido in pizzo di Off-White e dalla borsa shopper di Telfar (una borsa tote con logo goffrato, spesso in sold out presso i suoi rivenditori). Visto il periodo di incertezza, molte consumatrici di abbigliamento e accessori di lusso sono andate alla ricerca di pezzi vintage di seconda mano, decretando la decima posizione della famosissima borsa Classic Double Flap di Chanel (+75% delle ricerche). 

The Lyst Idex 2020

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Quali sono state le principali iniziative della moda durante il lockdown?

Molti brand come Armani, Prada, Gucci, Trussardi, Versace, Bulgari e fashion icon come Chiara Ferragni, Kylie Jenner e Mariano di Vaio si sono schierati in prima linea nella lotta contro il Coronavirus, attraverso generose donazioni. Le case di moda hanno riconvertito i propri stabilimenti per la produzione di mascherine o altri dispositivi di protezione.

Armani ha invitato le altre maison a fermarsi a riflettere: è il momento ideale per combattere la “fast fashion, ovvero il concetto di “moda istantanea” che rende i prodotti obsoleti dopo poco tempo dal lancio, sostituiti da merce nuova che non è mai poi troppo diversa. Tra i brand che ha accettato con buoni propositi questo invito è stato Gucci, che ha deciso di rallentare i ritmi di produzione per tornare a dar valore alla creatività. Anche la direttrice di Vogue e Condé Nast, Anna Wintour, in una recente intervista rilasciata a Naomi Campbell, ha dichiarato di essere d’accordo con questo diktat, affermando: “Siamo tutti d’accordo che bisogna mostrare di meno, che bisogna puntare di più sulla sostenibilità e sulla creatività, e meno sul lusso. Questo terribile evento ci ha fatto capire che dobbiamo cambiare e che saremo in gradi di farlo”. 

Ma non solo, il lockdown è diventato anche un’occasione per lanciare “servizi fotografici fai da te. La campagna di Zara per la primavera-estate 2020, ad esempio, è stata ripresa in autonomia dalle modelle che hanno ricevuto a casa i prodotti e dopo aver scelto un angolo instagrammabile della propria casa, hanno realizzato un autoscatto. Il risultato ottenuto è quello di fotografie in veste “casalinga, caratterizzate da pose semplici e naturali, senza trucco e senza acconciature. Altra campagna scattata direttamente dai modelli, senza l’aiuto di truccatori, hair stylist e fotografi, è quella di Gucci per l’autunno-inverno 2020-2021. 

Ma soprattutto, non sono mancate le social challenge, per continuare a coinvolgere e intrattenere la propria community, anche durante il lockdown. Versace, ad esempio, con la campagna #VeryVersace, ha invitato la propria fanbase a fotografare oggetti, paesaggi, spazi e scene che ricordavano l’iconica V del brand. Alexander McQueen ha lanciato il progetto #McQueenCreativeCommunity, che consisteva nel pubblicare immagini inspirational, allo scopo di invitare gli utenti a replicare con sketch e disegni da ri-pubblicare sui propri canali social. Per non parlare di Louis Vuitton, che tramite il progetto #FLWfromhome intratteneva i propri utenti con concerti, tour virtuali, masterclass online. E Nike, che con l’iniziativa #PlayInsidePlayForTheWorld, ha animato il proprio canale IG di sorprese ed eventi sportivi.

 

Il modo in cui le persone interagiscono con i brand e fanno acquisti sta cambiando velocemente e il digitale assume un’importanza fondamentale per le case di moda. Secondo Chris Morton, Co-fondatore e CEO di Lyst, “Coloro che si adatteranno più rapidamente ai nuovi scenari, prendendo decisioni basate su dati e faranno affidamento sulle loro stesse forze, avranno maggiori probabilità di crescita”.

sfilata di moda con le mascherine

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Fashion renting e personal shopper digitale: nuove idee per la ripresa

Dopo oltre due mesi di lockdown, scatta una nuova sfida per il retail moda, costretto a reinventarsi per offrire un’esperienza d’acquisto in totale sicurezza.

Secondo alcuni esperti, il fashion renting potrebbe essere la soluzione per il post COVID-19. Il noleggio degli abiti, infatti, permetterebbe di soddisfare il bisogno di indossare vestiti nuovi, senza muoversi da casa e con la garanzia che siano stati sottoposti a lavaggi specializzati. Ogni capo, infatti, prima di ogni spedizione verrebbe inviato a tintorie specializzate. I vantaggi? Prezzi alla portata di tutti, rispetto per l’ambiente e sicurezza. 

Un’altra idea per la ripresa può essere quella di introdurre un personal shopper digitale che offra consigli in streaming, mostrando al cliente i look indossati e i relativi prezzi. Alcuni brand che hanno già abbracciato questa idea sono stati OVS e Pinko. Ma non solo. C’è anche chi ha provato a sostituire il personal shopper con un’APP fondata sull’AI: The Yes. D’altro canto, la moda dovrà inevitabilmente affidarsi alla tecnologia: capi progettati e presentati in 3D, sfilate online, virtual fitting room e prototipazione 3D, molto presto, diverranno la normalità.

Infine, c’è chi ha deciso di lanciare una piattaforma on demand con delivery express: si tratta di P448, un negozio di sneakers a Milano che offre un’esperienza d’acquisto veloce e sostenibile, in tutta sicurezza. Per tutti coloro che non vogliono recarsi in negozio esiste, infatti, la possibilità di acquistare online il proprio modello di scarpa preferita e di riceverlo attraverso un servizio gratuito di delivery in bici, entro 90 minuti dall’ordine. 

 

Rebranding

Rebranding di maggio: Flaticon, ForTune, Creative Cloud e Photoshop

  • Il rebranding di un marchio è un processo molto complesso che comporta il lavoro sinergico di molti team, ore e ore di pianificazione e programmazione prima della fase di lancio
  • A maggio hanno cambiato identità: Flaticon, ForTune, Adobe Creative Cloud e Photoshop

 

I marchi possono avere la necessità di cambiare la propria immagine per diverse ragioni. Le aziende crescono, cambiano, imparano da loro stesse, si evolvono e si adattano alle nuove tendenze o semplicemente necessitano di un restyling “fresco e accattivante”.

Ma non fraintendiamoci, non si deve trattare solo di un capriccio del momento. Il rebranding, se fatto nel modo corretto, può dare nuovo impulso, oltre a dare una spinta in nuove direzioni e contribuire a migliorare la comunicazione con i propri clienti.

Scopriamo insieme i casi di rebranding più curiosi del mese di maggio.

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Flaticon punta sulla riconoscibilità

Flaticon, l’archivio di icone digitali, che contiene oltre 700 mila risorse vettoriali scaricabili gratuitamente, cambia identità. La piattaforma di micro stock nasce da Freepik Company che include diversi prodotti di design e creatività, tra cui: il sito web omonimo con oltre tre milioni di vettori, PSD e foto di repertorio, l’omonimo Freepik e l’ampio catalogo di temi e modelli gratuiti di PowerPoint e Google Slides, ossia SlidesGo.

Rebranding

La strategia di rebranding intende rafforzare il messaggio del marchio con l’obiettivo di unificarlo all’architettura degli altri servizi (Slidesgo e Freepik).

La necessità è stata quella di stabilire un ordine e scegliere un percorso comune che dia forza e coerenza agli occhi degli utenti. Il primo passo per rafforzare l’identità visiva è stata la riprogettazione del logo di Flaticon, per renderlo in linea con le altre icone.

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Per non perdere in termini di riconoscibilità, la struttura è rimasta la stessa. Il logotipo è pressoché uguale, si passa da un carattere maiuscolo a uno minuscolo, poiché gli altri logotipi della famiglia sono tutti minuscoli. Sono state semplificate la maggior parte delle linee, in modo che appaia più pulito e aggiornato alle tendenze attuali.

Rebranding

Per quanto concerne il carattere, è stata utilizzato lo stesso per tutti i progetti, ossia il Mark Pro Bold.

Cambia il colore principale, un verde-turchese dal tono leggermente più scuro, per migliorare il contrasto in alcune app e creare un logo in generale più accessibile. Il blu, come colore secondario, è invece rimasto invariato.

Rebranding di Maggio

Ora i marchi sembrano più coerenti tra di loro, mantengono un nucleo simile e altri dettagli gemelli.

Il rebranding di Flaticon rafforza il marchio e promuove nuovi progetti, dimostrando allo stesso tempo la crescita dell’azienda nel suo insieme.

LEGGI ANCHERebranding del 2019: i cinque casi da ricordare quest’anno

Nuovo look e nuovo nome: il rebranding di ForTune, che diventa Vois

ForTune la piattaforma italiana di podcast, news e musica basata sugli interessi degli utenti, cambia nome e aspetto, ora si chiama Vois.

Rebranding

Il nuovo nome gioca sul significato della parola francese “vedere”, richiamando la potenza evocativa dei contenuti vocali di creare immagini e far sognare.

Rebranding di Maggio: Flaticon, ForTune, Creative Cloud e Photoshop

Un richiamo forte alle origini, sottolineato dal nuovo logo che raffigura una bocca, ovvero l’elemento primario da cui ha origine la voce.

L’audio e il podcasting sono diventati in poco tempo il linguaggio mobile per eccellenza. Dall’ultima indagine stilata da Ipsos sulle modalità di fruizione di digital audio, è emerso che 1 italiano su 4 ha ascoltato podcast nell’ultimo mese. Anche i dati dati raccolti da Nielsen nel 2019 sottolineano come il segmento podcast abbia registrato una crescita importante, con 1,8 milioni di ascoltatori in più rispetto all’anno precedente.

Una crescita legata anche alla diffusione degli smart speaker, che hanno definitivamente accelerato la fruizione dei podcast in ambiente domestico (oltre il 60% di possessori di smart speaker ascolta podcast). Dati che spingono molti brand a comunicare con il proprio pubblico attraverso l’audio e il vocal storytelling.

new logo

Su queste basi si fonda il rinnovamento di Vois, che a gennaio 2020 ha ricevuto un nuovo round di investimento, introducendo nella compagine sociale figure di riferimento nel settore dei media.

Oggi il network conta 80 autori e divulgatori esperti su tematiche verticali, come ad esempio farmaceutica, food, tecnologia, scienze ecc. I prodotti realizzati vengono poi pubblicati sulle diverse piattaforme di ascolto, come Spotify, Apple Podcast e Google Podcast.

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Adobe rinnova Creative Cloud e ridisegna il logo di Photoshop

Adobe ha adottato una revisione dell’identità del marchio e svelato una nuova icona per il suo Creative Cloud, una vera e propria evoluzione, come l’ha definita l’azienda.

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Il logo CC, che in precedenza vantava una combinazione di colori rosso e bianco, ora mostra una sorprendente sfumatura. Secondo la società, il gradiente “unisce i colori dei marchi dei prodotti Adobe”. Il nuovo schema colore è un’esplosione di vitalità e offre un aspetto più artistico al logo, strizzando l’occhio ad un pubblico più creativo.

Anche il logo Adobe è stato ridisegnato leggermente e ritinteggiato con una nuova mano di rosso: una tonalità “più calda e contemporanea”:

“Le lievi modifiche che stiamo mettendo in atto per garantire che il marchio sia il più funzionale possibile in tutte le dimensioni e su tutte le superfici”.

Rebranding di Maggio: Flaticon, ForTune, Creative Cloud e Photoshop

La software house ha anche aggiornato le icone dei suoi prodotti, inclusa l’identità di Photoshop. Adobe ha deciso di eliminare i bordi arrotondati, conferendo un design molto più piatto. Altre icone che erano precedentemente quadrate, per coerenza, ora sono arrotondate.

Inoltre, il trifoglio, l’elemento visivo fondamentale che contraddistingue i Document Cloud e i relativi prodotti in portafoglio, ha subito dei ritocchi.

Il peso della forma è stato rivisto, insieme ai bordi e agli angoli. I colori sono stati ottimizzati secondo criteri di accessibilità. In maniera coerente, il colore delle piastrelle di sfondo distinguerà i prodotti gli uni dagli altri. Ad esempio, Adobe Acrobat Reader utilizzerà un trifoglio bianco su una piastrella rossa, mentre Adobe Scan utilizzerà un trifoglio bianco su una piastrella blu. Questo spostamento comunica la connessione tra i prodotti consentendo al contempo la distinzione tra loro.

eventi digitali

Gli eventi diventano digitali, tra insidie e opportunità

  • Il futuro degli eventi si fa sempre più ibrido, tra fisico e digitale, aprendo scenari fino a poco fa inesplorati ma non per questo meno potenziali.
  • Aumentare la domanda di contenuto, gli abbonamenti ai servizi online e abbattere la barriera qualitativa: ecco i nuovi trend.

 

Quello che stiamo vivendo è un periodo storico unico per la nostra generazione, che ci ha obbligati a cambiare ed evolverci per poterci adattare a una realtà tutta nuova. Una nuova forma mentis insomma, che si impone, oltre che sul nostro stile di vita, anche in ambito marketing e spinge gli addetti ai lavori a dover riformulare le proprie strategie per adattarle al nuovo mondo.

Se alcune realtà, come quella dell’arte e la cultura (interessante il caso della Pinacoteca di Brera a Milano), hanno trovato fin da subito nuovi metodi creativi ed efficaci per fronteggiare la crisi, fornendo tour virtuali nei principali musei e contenuti esclusivi, al fine di rendere questa quarantena un’opportunità di arricchimento culturale personale, altre hanno subito maggiormente lo scotto delle conseguenze derivanti dall’isolamento forzato.

In particolare, nel momento in cui è venuta meno la possibilità di riunirsi nei cosiddetti assembramenti, le agenzie di eventi hanno visto annullarsi il proprio business. L’unica strada percorribile prevede la ricerca del modo migliore per trasformare quello che era fisico in virtuale. Ora, tutto quello che bisogna chiedersi è: come?

Il futuro degli eventi: the show must go on-line

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Una cosa è certa: quest’anno ha cambiato in modo permanente la natura di molti eventi. Certo, gli eventi fisici continueranno ad esistere, tuttavia molte agenzie nel reinventarsi probabilmente hanno scoperto che digitalizzare può essere una mossa strategicamente potenziale anche per il loro business. Sicuramente viene sacrificata una parte qualitativa, indiscusso punto di forza del formato esperienziale, che tuttavia viene compensata dall’efficienza e dal risparmio economico che organizzare un evento in digitale comporta.

Questa accelerazione verso il digital content, porta chi lavora nell’industria degli eventi a dover cercare una solida strategia di contenuto e le giuste tecnologie – in questo senso, esistono svariate piattaforme e tool che vengono in aiuto, per rendere gli eventi un contenuto 100% digitale.

Quando parliamo di content strategy, dobbiamo tenere in considerazione principalmente alcuni fattori:

  • live streaming: è la metodologia tramite cui dobbiamo far rivivere nel modo più immersivo possibile l’experience ai nostri utenti, mantenendo alto l’interesse e l’engagement;
  • contenuti on-demand: un vantaggio che deriva dalla digitalizzazione degli eventi, è quello di poter mettere a disposizione degli utenti anche una serie di contenuti satellite, che possono essere fruiti (gratuitamente o in logica paid) per un lasso di tempo più lungo e pre-determinabile.

In realtà, dietro la crisi, si nascondono una serie di altri vantaggi:

  • accessibilità: non essendoci più la barriera dello spostamento, che una partecipazione fisica implica, l’accessibilità agli eventi aumenta esponenzialmente, superando anche i confini del territorio nazionale;
  • durabilità: si crea la possibilità di poter rivivere l’experience attraverso i contenuti disponibili online;
  • responsabilità ambientale: abbattendo la costrizione di dover essere presenti fisicamente per poter fruire dell’esperienza, diminuisce radicalmente l’impatto negativo che gli spostamenti hanno sull’ambiente.

Un cambiamento che implica una serie di opportunità ma che porta con sé anche delle insidie. In particolare, si invitano i marketer a non ricommettere l’enorme errore che è stato fatto nei primi anni del nuovo millennio.

L’avvento del digitale e tutti gli errori di valutazione delle aziende Media

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Agli inizi del 2000, quando si iniziavano a intravedere i presupposti di quello che sarebbe stato l’avvento dei digital media (e più tardi il boom dei social media), le aziende media avevano iniziato a forzare i propri modelli di business per cercare di adattarli ai nuovi formati digitali. Trattandosi di un formato dal costo davvero irrisorio a confronto dell’offerta analogica di televisione, radio e stampa, le aziende hanno iniziato a vendere le properties digitali come plus, per convincere i brand ad acquistare spazi pubblicitari sui media tradizionali.

Questa strategia di vendita ha funzionato a suo tempo, tuttavia ha reso davvero complicato, per tutti gli anni a venire, valorizzare e monetizzare i contenuti digitali in modo significativo. È rimasta sempre viva, da allora, una percezione dei servizi digitali in quanto cheap rispetto a quelli analogici che porta le aziende ancora oggi a investire molto più budget in media tradizionali piuttosto che digitali.

Questo perchè fin dall’inizio, durante il passaggio al digitale non è stata applicata nessuna vera strategia per sfruttare a pieno le potenzialità dei nuovi formati, ma le aziende hanno semplicemente preso i propri modelli di comunicazione tradizionali e li hanno applicati a un’esperienza più economica e mercificata.

Per questo motivo, diamo per scontato che una produzione video televisiva sia molto più costosa rispetto a quella per un video YouTube, che un ebook debba essere necessariamente più economico di un libro vero, che un articolo online abbia un valore inferiore a un pezzo stampato su un giornale nazionale. Diamo per scontate tutte queste cose e ci sbagliamo.

Non è il medium che definisce il valore di un contenuto (e di un evento)

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Ogni contenuto prodotto, che sia destinato alla fruizione online o offline, ha il comune obiettivo di creare un’esperienza positiva per il consumatore. Pertanto, ogni esperienza digitale che creiamo dovrebbe essere di valore per il nostro target di persone e avere l’obiettivo di rendere la loro vita migliore – anche offline – e non solo essere più conveniente per le aziende.

Pertanto, oggi che ci troviamo di fronte al dilemma su come evolvere le strategie di eventi sul territorio in esperienze digitali, non dobbiamo cadere nella stessa trappola che ci spingerebbe semplicemente a prendere un contenuto e tradurlo in chiave virtuale, ma dobbiamo fare uno step in più. È necessario partire da una vera e propria content strategy che non abbia l’obiettivo di trovare la soluzione più conveniente per ill nostro business, ma più di valore per i nostri consumatori.

Quindi un evento virtuale sarà sicuramente diverso da un evento fisico, ma non per questo dev’essere considerato meno di valore, meno costoso o meno “esperienziale”.

A sostegno di questa tesi, possiamo anche scomodare Marshall McLuhan, il quale sosteneva che

Quando ci ritroviamo di fronte a qualcosa di nuovo, guarderemo istintivamente ad esso attraverso vecchi stereotipi. In questo modo, tentiamo semplicemente di adattare i vecchi modelli alla nuova forma, invece di chiederci come questa nuova modalità andrà a influenzare tutte le ipotesi formulate prima del suo avvento.

Insieme, verso un nuovo mondo

Tante cose cambieranno nel mondo di domani, quello post-pandemia, durante la quale molti hanno visto crollare gran parte delle proprie certezze ma, al tempo stesso, potranno vederne nascere altrettante. L’essere umano ha una resistenza innata al cambiamento, tuttavia è importante – ora più che mai – guardare al futuro con fare pionieristico e avveniristico, cogliendo prontamente la nascita di nuovi trend.

Tra questi, possiamo già elencarne alcuni:

  • aumenta la domanda di contenuto: abituati a vivere nella frenesia di una vita dettata da ritmi sempre più concitati, siamo stati improvvisamente catapultati in una realtà temporale dilatata. Così, all’aumentare del tempo a disposizione per noi stessi, da investire nella crescita personale o anche solo in un intrattenimento costante, aumenta anche la necessità di entrare in contatto con un numero di contenuti sempre maggiore;
  • aumento degli abbonamenti ai servizi online: seguendo lo stesso ragionamento, saranno sempre di più le persone che sceglieranno di abbonarsi a sevizi online per accedere a contenuti come podcast, film, ebook, ecc. – e, per la prima volta, avranno effettivamente il tempo di usufruirne;
  • abbattimento della barriera qualitativa: oggigiorno, le persone dimostrano di non badare tanto alla sofisticatezza del contenuto, quanto alla sostanza e al valore dello stesso;

In questa situazione d’emergenza, quello che viene richiesto alla aziende è la capacità di trasformazione: ad esempio, è interessante capire come trasformare il proprio team per rispondere nel modo più efficace possibile alla crescente domanda di eventi virtuali. È comprensibile che l’obiettivo principale delle aziende rimanga quello di fare il possibile per salvaguardare il proprio business, tuttavia varrebbe la pena fermarsi un attimo e affrontare questo cambiamento forzato non come una via d’uscita da una situazione potenzialmente di crisi, ma come l’opportunità di evolvere verso nuovi modi di fornire contenuti.

Per questo, il consiglio è quello di non cedere alla tentazione di rendere gli eventi digitali semplicemente una versione digitalizzata di quelli fisici, ma di mettere a punto una vera e propria strategia di contenuto, pensando più in grande, in modo più lungimirante. Il futuro degli eventi si fa sempre più ibrido, tra fisico e digitale, aprendo scenari fino a poco fa inesplorati ma non per questo meno potenziali. Facciamoci trovare pronti.

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Empatia, genuinità e centralità del cliente: gli ingredienti delle tue prossime newsletter

  • Durante i giorni di quarantena abbiamo assistito ad un approccio più empatico e genuino da parte dei brand nelle loro comunicazioni tramite email.
  • L’email marketing deve trasformarsi da strumento puramente transazionale a strategia per instaurare un dialogo più diretto e profondo con i nostri clienti.
  • Informazioni di valore, contenuti reali, ascolto dei bisogni dei nostri clienti sono approcci che possiamo utilizzare anche in futuro con i nostri iscritti alle newsletter.

 

In periodi di estrema incertezza, come quello che abbiamo vissuto a causa del Covid-19, anche strategie di comunicazione come l’email marketing hanno assunto toni più empatici e vicini ai clienti. Una buona pratica che sarebbe utile seguire non solo durante le emergenze.

Abbiamo così dato uno sguardo da vicino a come le aziende sono rimaste in contatto con i loro iscritti durante questo periodo attraverso uno dei canali più potenti che hanno a disposizione per dialogare con i propri clienti: le email.

Sono tantissimi i brand, dai più piccoli ai più grandi, che hanno creato newsletter per aiutare gli abbonati, distrarli o fornire informazioni utili su ciò che hanno attuato per garantire la sicurezza di clienti e dipendenti. Ecco alcuni casi che potrebbero essere un valido esempio per avere un approccio più genuino nelle nostre newsletter anche in futuro.

Opumo: supporta i brand di moda e design indipendenti

La piattaforma eCommerce OPUMO vende marchi di moda e design emergenti. Prodotti provenienti da tutto il mondo che sono significativi nel modo in cui uniscono forma, funzione e stile.

Durante queste ultime settimane Opumo ha voluto supportare brand di moda e design emergenti per sensibilizzare i suoi utenti a comprare meno oggetti, ma di qualità più alta.

Ha cosi selezionato alcuni brand indipendenti che si differenziano per i loro prodotti unici, facendoli conoscere ai loro iscritti e proponendo dei codici sconto interessanti da riscattare direttamente sul sito del produttore.

Opumo ha voluto in particolar modo porre l’attenzione verso quei brand che lottano contro i consumi di massa e che privilegiano materiali riciclati, plastic free e che si impegnano a ridurre gli scarti di lavorazione

Cosa si può imparare da questa newsletter: Opumo è consapevole del fatto che in momenti come questi di grande cambiamento, può cercare di sensibilizzare i propri iscritti a consumi consapevoli per rispettare l’ambiente e supportare i piccoli brand.

Velasca: svela il lato umano del brand

In questi mesi di quarantena la cosa che ha incuriosito di più gli utenti di tutto il mondo è stata la possibilità di entrare nelle vite e nelle case degli altri, attraverso soprattutto i social.

C’è chi però come Velasca, marchio italiano di calzature, ha reso ancora più umano il brand attraverso la newsletter.

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Una delle loro newsletter più curiose è stata quella “notizie dalle case Velasca”. Una newsletter atipica, dove non si proponeva nulla all’utente, ma semplicemente si illustrava attraverso foto reali, come stavano trascorrendo la quarantena i loro dipendenti e i loro artigiani delle calzature, alle prese con il lavoro in smart working e la quotidianità in casa.

Cosa possiamo imparare da questa newsletter: la comunicazione ai tempi del Covid-19 ha fatto emergere la vera essenza dei brand. Il loro modo di comunicare in maniera semplice e reale con i propri clienti. Questo esempio di Velasca è perfettamente calzante per capire come rendere un marchio più “umano” e più vicino agli utenti in maniera semplice, simpatica ed empatica.

Grandmother: nella newsletter divertenti attività da fare in casa con i più piccoli

Il brand di bijoux artigianali Made in Italy Grandmother, ha proposto ai propri iscritti alla newsletter, durante il periodo della Festa della Mamma, un simpatica attività sia da realizzare in famiglia tra mamme e bimbi, ma anche un pensiero da regalare e inviare a mamme lontane durante la quarantena.

Un’illustrazione da scaricare gratuitamente e da colorare abbinata anche ad uno sconto del 50% sul secondo articolo per l’acquisto di due braccialetti portafortuna.

 

Un modo per portare divertimento, spensieratezza legandola anche ad una promozione per un pensiero speciale per la propria mamma.

Cosa possiamo imparare da questa mail: l’aspetto principale di questa mail è la comprensione del momento. Il brand ha immaginato come alcune delle sue clienti (appunto mamme) potessero trovare divertente fare delle attività ludiche con i propri bimbi durante la permanenza in casa.

MADE chiede ai propri iscritti di cosa hanno bisogno

Questo periodo di quarantena ha visto online diversi settori crescere a dismisura (food, strumenti di produttività online, web site di video per allenarsi in casa, etc.) mentre altri settori hanno accusato duramente il colpo. Quando il nostro brand riduce drasticamente le vendite cosa dovremmo fare? Fare finta di niente e continuare con la strategia precedentemente pianificata?

Se ad esempio il nostro marchio sta facendo fatica a capire cosa dire e come dirlo, sicuramente bisogna dare un’occhiata a questo potente esempio dell’azienda di mobili di design MADE.

Attraverso questa newsletter hanno voluto assicurarsi di fornire informazioni utili e pertinenti agli iscritti alla newsletter di agire come al solito.  Per questo si sono resi conto che nel periodo della quarantena tutti trascorrono un po’ più di tempo a casa del normale e questo ci fa pensare in modo diverso a come è organizzato il nostro ufficio o la nostra casa e a cosa ci fa sentire a nostro agio.

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Tenendo presente ciò, MADE ha deciso di chiedere direttamente agli abbonati cosa sarebbe stato utile per loro e le loro famiglie.

Cosa possiamo imparare da questa mail: ascoltare il nostro pubblico e capire quali contenuti sono in linea con loro è uno degli aspetti più cruciali del marketing, ed è ancora più importante in tempi di crisi. Non bisogna avere paura di chiedere ai nostri iscritti un feedback su ciò che vorrebbero sentire da noi, rispondendo alle nostre email, compilando un sondaggio, condividendo le loro opinioni sui social o qualsiasi altro canale di feedback che può essere appropriato.

Questi semplici esempi ci dimostrano come le newsletter non debbano essere solo uno strumento transazionale, anzi poiché rappresentano il contatto più diretto con i nostri utenti dovremmo sforzarci di creare messaggi quanto più empatici, diretti, emozionali possibili. In questo modo le nostre comunicazioni tramite email assumeranno più valore e non finiranno nel cestino.

500 mila download nel primo giorno per l’app Immuni

  • Stando ai numeri, il debutto fuga i dubbi sulla possibile inutilità dell’app se installata da un numero insufficiente di cittadini.
  • Immuni è già scaricabile da tutti, ma la fase di test parte solo in quattro regioni: Liguria, Marche, Abruzzo e Puglia.
  • Ecco cosa sapere su tracciamento e privacy nel funzionamento dell’app.

 

Nelle prime ore di presenza sugli store di applicazioni, Immuni si è già piazzata al primo posto in Italia, sia su App Store che su Google Play. Il numero complessivo di download dell’app di tracciamento dei contatti è stato noto dalla ministra dell’Innovazione Paola Pisano ieri.

Il debutto, stando ai numeri, sembrerebbe positivo nonostante la confusione (e il ritardo) nel lancio, fugando così anche i dubbi sulla possibile inutilità qualora non fosse stata installata da un numero abbastanza ampio di cittadini.

Immuni infatti è già attiva in tutta Italia e quindi tutti gli utenti possono già scaricarla sui propri dispositivi. Una volta installata l’app inizia a salvare i codici degli smartphone delle persone a cui ci siamo trovati vicino. Solo da lunedì prossimo, però, nelle quattro regioni pilota (Liguria, Marche, Abruzzo e Puglia) la integreranno nel loro sistema sanitario permettendo l’inivio delle notifiche di esposizione a chi è stato a contatto con un positivo.

Dopo questa prima settimana di test, il sistema di tracciamento dovrebbe essere attivo anche nel resto d’Italia.

Secondo la circolare del ministero della Salute del 29 maggio ecco cosa accadrà se si riceverà l’avviso di esposizione: “La app notifica, agli utenti con cui il caso è stato a contatto, il rischio a cui sono stati esposti e le indicazioni da seguire, attraverso un messaggio il cui testo è unico su tutto il territorio nazionale e che lo invita a contattare il medico dimedicina generale o il pediatra di libera scelta che farà una prima valutazione dell’effettiva esposizione al rischio del soggetto”.

La sperimentazione nelle prime regioni serve quindi a testare il sistema a livello organizzativo e a capire le segnalazioni dell’app sono coerenti con la situazione sanitaria in zone in cui il numero di contagi è sufficientemente basso da consentire rapide verifiche.

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app immuni

Come funziona Immuni

Dopo le tante polemiche che hanno accompagnato il lancio dell’app, il team di Bending Spoons non ha tralasciato l’inserimento di una serie di slide per rassicurare gli utenti in merito alla sicurezza in termini di privacy.

Un volta scaricata l’app i primi passaggi spiegano infatti il funzionamento e la sicurezza dell’applicazione.

Dopo l’avvio di Immuni vengono mostrate alcune schermate introduttive su cui fare swipe. Una volta visualizzate tutte, apparirà un elenco di dettagli riguardanti la privacy e basterà spuntare la voce “Dichiaro di avere almeno 14 anni” e “Ho letto l’informativa sulla privacy”, per cominciare ad attivarla.

Viene quindi richiesto di selezionare la regione di residenza, poi la provincia e infine di abilitare le “notifiche di esposizione Covid-19”.

In questo modo l’applicazione consentirà di registrare i contatti con altri utenti usando il Bluetooth, per poter informare l’utente in caso di esposizione.

A questo punto viene richiesto il consenso per le notifiche, quindi la possibilità per la piattaforma di comunicare con il cittadino: ad ogni telefono viene associato un codice casuale, che cambia più volte ogni ora per tutelare la privacy. Cliccando su “abilita” compare un pop-up che richiede nuovamente un tocco sul tasto “consenti”.

Completata la configurazione viene mostrata una schermata che indica che il servizio è attivo e offre consigli istituzionali su come proteggersi dal Covid.

Il tasto impostazioni in basso a destra mostra anche il “caricamento dati” e un’ulteriore sezione informativa con domande frequenti, termini di utilizzo e informativa sulla privacy.

Tramite le impostazioni è anche prevista la possibilità di cambiare provincia.

app immuni

I primi problemi con l’app Immuni

Alcuni utenti Apple segnalano che l’app non è operativa e che le notifiche di esposizione non sono più supportate nella loro zona. Su questo problema fonti del ministero dell’Innovazione hanno fatto sapere di aver già inoltrato segnalazione ad Apple, trattandosi di un problema tecnico legato al dispositivo.

Per chi ha uno smartphone Android, invece, il problema potrebbe essere simile ma di più rapida risoluzione: al momento dell’installazione infatti alcuni utenti lamentano la visualizzazione di un messaggio relativo all’impossibilità di attivare le notifiche di esposizione a causa dei permessi non attivi. In questo caso per risolvere il problema e attivare l’app è sufficiente spegnere e riaccendere il Bluetooth e la procedura di attivazione viene completate.

Pieni voti dal MIT

Il Massachusetts Institute of Technology di Boston, che ha lanciato Covid Tracing Tracker per informare la popolazione mondiale delle caratteristiche e implicazioni delle app per il contact tracing, ha promosso l’app Immuni a pieni voti, assegnandole 5 stelle su 5.

L’Italia quindi meglio di Francia, UK, e Germania, nella classifica di MIT, posizionandosi ai livelli di Singapore, Islanda, Austria.

Ad Immuni erano inizialmente state assegnate 4 stelle su 5, ma in seguito alle nuove informazioni emerse relative alla gestione dei dati degli utenti e privacy, l’app si è guadagnata i pieni voti.

Come strutturare una strategia di PR durante un’emergenza

La storia, e in particolare la storia della civiltà mediatica, dimostra chiaramente come durante un’emergenza (sia essa una guerra, una recessione catastrofica o una pandemia) la comunicazione subisca un cambiamento istantaneo e inevitabile che modifica le percezioni collettive a ogni livello.

Perché un’emergenza rivoluziona la comunicazione

Il terribile attentato alle Twin Towers di New York, l’11 settembre 2001, è stato il primo grande evento in epoca moderna a imporsi come spartiacque, imponendo a tutti un prima e un dopo: dalle gerarchie istituzionali al tessuto imprenditoriale, dalle multinazionali ai consumatori, nulla è stato più lo stesso.

A quasi vent’anni dall’atto terroristico per antonomasia una nuova emergenza globale ha bloccato il mondo, ma questa volta in modo differente.

Mentre il crollo delle Torri Gemelle ha cambiato il corso della storia riservando gran parte del disastro economico alle compagnie aree, molte delle quali non sono state in grado di comunicare in modo efficace nei mesi successivi al disastro, non esiste persona o categoria professionale che possa dirsi impermeabile alle conseguenze del Coronavirus.

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Il modo in cui vivremo e in cui un business dovrà riadattarsi per sopravvivere non può più prescindere dalla commistione tra comunicazione di massa e universo digitale. Comunicare con i propri interlocutori, in questo caso la potenziale clientela o quella già acquisita, non può più ignorare la condizione di paura in cui questi versano. Come l’11 settembre ha inizialmente comportato la paura di viaggiare in aereo, così il Coronavirus ha introdotto un nemico più subdolo: quello di un patogeno capace di colpire ovunque e in qualsiasi momento e con la cui ombra bisognerà imparare a convivere.

Dunque come parlare con il proprio pubblico, quando anche le istituzioni lanciano quotidianamente messaggi confusi e contraddittori?

Le aziende più evolute sul piano comunicativo lo hanno già capito: nell’epoca della massima incertezza, vincerà chi comunica in modo chiaro.

Vademecum: cosa fare e cosa evitare

La pandemia da Covid-19, pur essendo assimilabile per conseguenze ad altre emergenze avvenute nel passato, rappresenta tuttavia un unicum: non è circoscritta o settoriale, ma riguarda tutti senza distinzioni di alcun tipo.

Questa quarantena non è la prima nella storia dell’umanità, ma è la prima nella quale tutto il mondo è interconnesso e può comunicare in tempo reale attraverso il web. Ciò le conferisce un carattere di unicità senza precedenti, e che in quanto tale richiede una direzione precisa che i brand dovrebbero imboccare affinché il lockdown non risulti vano, ma anzi un’occasione di crescita.

Cosa fare:

  • Trasmettere ottimismo. Le persone vivono immerse nella paura. Per un brand è il momento migliore per mettersi in mostra in modo sano attraverso messaggi di speranza in cui la sincerità viene prima del prodotto o del servizio da promuovere. Non è una strategia dagli effetti immediati, ma destinata a pagare dividendi sul medio e lungo termine. Chiara Ferragni e Giorgio Armani sono tra coloro che nel nostro Paese sono riusciti a farlo meglio, e i risultati sono tutti lì da vedere.
  • Qualità prima della quantità. Da ogni latitudine arrivano messaggi di ogni tipo. L’attenzione degli utenti, già messa a dura prova dal bombardamento costante di informazioni propagato attraverso le televisioni e i social network, è al momento incapace di gestire ulteriori stimoli. Per questo motivo un brand oculato dovrebbe prediligere una comunicazione qualitativa attraverso i media piuttosto che quantitativa e confusionaria. In questa fase è di fondamentale importanza scegliere con cura i media nei quali apparire preferendo l’incisività dei propri valori piuttosto che la notiziabilità, che rischierebbe di essere sommersa o ignorata dal continuo flusso di notizie che si rincorrono.
  • Potenziare il legame con il pubblico. Concetti come filantropia e solidarietà, soprattutto in momenti di crisi, possono aiutare a rinforzare la brand reputation di un marchio. Un’epidemia rappresenta inoltre un’occasione perfetta per costruire il senso di comunità diffusa che rende grandi le aziende, che potranno trarre grandi vantaggi mettendo in mostra il proprio lato umano.
  • Pensare ai clienti. Se è vero che un brand deve impostare il massimo focus sui clienti, ciò è doppiamente vero quando le certezze sembrano venire a mancare l’una dopo l’altra a causa di un’emergenza. La reazione più normale sarebbe quella dell’inazione, ma il terreno è fertile per introdurre novità che facciano sentire i clienti supportati anziché abbandonati a loro stessi.
  • Mostrare il lato migliore della propria attività. Che volto avrà un brand domani dipenderà molto da come ha saputo riadattarsi ora, nel momento di massima difficoltà. È di grande importanza implementare la propria presenza online e offrire servizi inediti e gratuiti che aiutino i potenziali clienti ad empatizzare con il marchio.

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Cosa non fare:

  • Non voler emergere a tutti i costi. È una legge non scritta, ma una strategia di questo tipo verrebbe interpretata come un viatico per esorcizzare il brutto momento e la paura verso il futuro, mentre un brand deve suscitare stabilità e fermezza, imponendosi come un punto di riferimento che nessuna pandemia potrà mai scalfire.
  • Evitare una comunicazione ad effetto o scandalistica. Già inefficace in periodi normali, durante un’emergenza rischia di diventare un’arma a doppio taglio estremamente dannosa. Per entrare nella mente dei clienti potenzialmente interessati in situazioni così particolari vanno assolutamente aboliti slogan, ricette magiche e tutto quanto di semplicistico possa esistere sul piano comunicativo.
  • Avere una comunicazione rigida. Quando le informazioni cambiano di giorno in giorno, o addirittura di ora in ora, la comunicazione di un brand deve farsi trovare pronta interpretando al meglio quelli che sono i pro o i contro di un determinato messaggio in un determinato momento. Flessibilità e dinamismo sono due delle parole chiave più rilevanti in assoluto, se si parla della gestione mediatica di emergenze.
  • Apparire eccessivamente formali. Il Coronavirus ha imposto una quarantena forzata su scala globale. Oltre la metà della popolazione mondiale ha subito questa misura cautelativa. Comunicare con chi (quasi sicuramente) si trova all’interno del proprio ambiente domestico comporta delle dinamiche totalmente inedite. Per generare empatia e connessione con il pubblico è preferibile una comunicazione informale, genuina e il meno possibile ingessata. L’approccio formale, durante le emergenze, sortisce spesso l’effetto opposto da quello desiderato. Attenzione a non generare scarsa identificazione o addirittura rabbia: Matteo Renzi, mentre gran parte degli italiani sta passando la quarantena in piccoli appartamenti, si è collegato in televisione avendo come sfondo il parco verdeggiante della sua villa e suscitando l’inevitabile disappunto del pubblico. Un comunicatore navigato non l’avrebbe mai fatto.

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User Generated Content (UGC): un’opportunità per il tuo ristorante

  • Circa l’80% degli utenti afferma che i contenuti generati dagli utenti influenzano le loro decisioni di acquisto, mentre l’84% dei millennial afferma di essere influenzato dagli UGC in fase d’acquisto;
  • Gli UGC forniscono una pletora di materiali, spendibili sui social media, sito web ecc., che attraggono centinaia, se non addirittura migliaia di persone, con relativa facilità.

 

La rapida ascesa dei social network, come Facebook ed Instagram, che in breve tempo hanno registrato un aumento esponenziale nel numero degli iscritti (con cifre da capogiro), ha reso ancor più difficile l’affermazione online di alcuni ristoranti, che tuttora faticano a distinguersi dalla massa o, semplicemente, a farsi notare.

È un po’ come alzare la mano tra la folla, durante un concerto musicale, nella speranza di essere immortalati dalla camera: le possibilità di essere ripresi sono davvero limitate.

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Cosa sono gli UGC?

Tuttavia, per ovviare a questo problema, puoi sfruttare i contenuti elaborati direttamente dagli utenti (testi, foto, video ecc.), sia che tu gestisca un piccola trattoria di paese sia che tu faccia capo ad una catena di ristoranti, con un grande team da coordinare.

Stiamo parlando dei cosiddetti UGC (User Generated Content), sempre più importanti dal 2005, e liberamente condivisi su blog, piattaforme social e forum. Gli UGC generalmente sono gratuiti e derivano dall’utilizzo, più o meno esperto, dei nuovi strumenti digitali che, negli anni, hanno rimosso dal monopolio i media tradizionali, favorendo la democratizzazione del processo creativo, ormai privo di barriere.

Semplificando ancora, gli UGC rappresentano l’esempio più vivido di quella auto-comunicazione di massa che ha smantellato – e continuerà a farlo – il modello broadcast e unidirezionale dell’industria mediatica.

User Generated Content: Cos'è E Come Funziona - Pipool

Parola agli analisti

Circa l’80% degli utenti afferma che i contenuti generati dagli utenti influenzano le loro decisioni di acquisto, mentre l’84% dei millennial afferma di essere influenzato dagli UGC in fase d’acquisto.

A riprova di questi risultati, si aggiunge un’interessante studio, pubblicato sulla piattaforma Social Media Today, da cui emerge che il 74% dei consumatori ritiene che gli UGC siano utili al rafforzamento del marchio (e della sua autenticità), e che circa il 48% dei marketers concorda sul fatto che “umanizzino” un’azienda. 

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L’importanza degli UGC è dunque evidente, e integrarli nella tua strategia di Content Marketing potrebbe aiutarti non solo ad attrarre nuovi clienti, ma anche a migliorare il posizionamento del tuo brand sul mercato, sia locale che globale.

Quali vantaggi?

Nello specifico, ecco i principali vantaggi derivanti dal loro utilizzo:

Social Proof

Letteralmente significa Riprova Sociale, ed è probabilmente uno degli aspetti più importanti del marketing, non solo della ristorazione. Viene utilizzata dai grandi brand per convincere i potenziali clienti della validità della loro offerta, prodotto o servizio che sia. In tal senso, gli UGC forniscono una pletora di materiali, spendibili sui social media, sito web ecc., che attraggono centinaia, se non addirittura migliaia di persone, con relativa facilità. Quindi, dedica del tempo alle recensioni dei tuoi clienti, e condividi le migliori.

What Is Social Proof and How Do You Get It?

Riduzione dei tempi

Creare contenuti pubblicitari richiede tempo, pazienza (tanta) e risorse. Ma con gli UGC puoi dimezzare il periodo di produzione, affidandoti semplicemente alla creatività e al buon gusto dei tuoi clienti. Di conseguenza, potrai pubblicare nuovi contenuti con maggior frequenza, risultando così più attivo online.

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Autenticità

Come accennato in precedenza, il fatto che persone reali siano venute nel tuo ristorante e, dopo il pasto, abbiano lasciato un feedback positivo (ad esempio su TripAdvisor), rappresenta una delle migliori prove di autenticità. Nessuna pubblicità a pagamento, grafica personalizzata e/o fotografia professionale potrà mai sostituirsi agli UCG, che fanno leva su emozioni vere.

Produzione continua di nuovi contenuti

Il miglior marketing per il tuo ristorante è quello rivolto agli ospiti, e non agli algoritmi di ricerca o agli esperti di digital marketing. Utilizzando gli UGC attrarrai nuovi clienti che, a loro volta, contribuiranno con i loro contenuti, garantendo un afflusso costante.

Questo tipo di marketing, definibile come ciclico, porta ad un sensibile risparmio di tempo, e ad una massimizzazione dei margini di profitto. Si tratta di rendere automatiche molte delle tua attività: dalla ricerca, alla produzione dei contenuti.

Maggiore coinvolgimento

Un altro valido motivo per affidarti agli UGC, è dato dalla possibilità di interagire con i tuoi clienti con una maggiore facilità (anche a distanza), fidelizzandoli. Infatti, gli utenti che hanno lasciato una recensione e/o pubblicato una foto a tuo nome in passato, seguiranno con attenzione i tuoi nuovi contenuti, condividendoli e favorendo così il passaparola.

Puoi interagire con loro tramite la tua pagina social, le recensioni di Google, oppure attraverso altri canali di comunicazione. Quindi, prenditi del tempo, e rispondi a commenti, domande, ed encomi. L’immagine del tuo ristorante ne beneficerà, diventando da subito estremamente positiva. E, in aggiunta, il cliente passerà da costumer a prosumer, partecipando attivamente alla “vita” del tuo locale, magari offrendoti spunti e consigli preziosi, per rendere la sua esperienza ancor più sensazionale, e quindi di valore.

reputazione recensioni

UGC Marketing e continuità

L’efficacia degli UGC, come avrai capito, è legata anche e soprattutto al principio della continuità. Di seguito, ti lascio alcuni consigli utili per incentivarla, favorendo così un afflusso costante di nuovi contenuti.

Trasforma i tuoi clienti in ambasciatori

I tuoi ospiti, se soddisfatti, saranno felici di sostenerti, in cambio di qualche piccolo vantaggio e/o premio. Ad esempio, un buono sconto e/o un prodotto di nicchia in omaggio possono fare miracoli, rendendo i tuoi ospiti dei veri brand ambassador. I clienti, metteranno una buona parola su di te e sul tuo ristorante, estendendola alla loro cerchia di follower, che può essere più o meno estesa. Inoltre, condivideranno volentieri foto e recensioni con il tuo #tag.

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Organizza dei contest

Concorsi e quiz sui social media favoriscono la rapida creazione di UGC, e dovrebbero ruotare attorno alla condivisione obbligatoria di post, da selezionare e ripubblicare sulla tua pagina. Si tratta di uno scambio di visibilità reciproco ma, ovviamente, a te va il maggior vantaggio. Questa tecnica, ti permetterà di raggiungere un pubblico via via sempre più ampio, collezionando un gran numero di contenuti, utili anche in futuro.

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In conclusione

Anche se a prima vista può sembrare complesso, integrare gli UGC nella tua strategia di marketing, è relativamente semplice. Il tuo unico compito infatti, è quello di continuare a stupire i tuoi ospiti, affinché possano diffondere commenti positivi sulla loro esperienza – che tu dovrai essere bravo/a ad individuare ed utilizzare. E non aver paura di chiedere un feedback, è il miglior modo per crescere.

Il Fuorisalone al tempo del Coronavirus, tra difficoltà e nuovi format digitali

Il Fuorisalone al tempo del Coronavirus, tra difficoltà e nuovi format digitali

  • Ventura Projects chiude dopo 10 edizioni e dice addio al Fuorisalone, le parole di Margriet Vollenberg
  • Mentre passiamo da una fase all’altra della pandemia, si guarda già alla prossima edizione del Salone Internazionale del Mobile

 

Punto di riferimento per il settore del design, il Salone Internazionale del Mobile nasce a Milano nel 1961 come esposizione delle soluzioni di arredo e interni per la casa. Fino al ’91 si teneva a settembre presso la Fiera campionaria, poi la data è stata spostata ad aprile.

Fiera dal respiro sempre più internazionale, il Salone del Mobile nei primi anni ’80 allarga i suoi orizzonti pervadendo l’intera città grazie all’evento complementare del Fuorisalone, la cui istituzione ufficiale risale all’inizio degli anni ’90 grazie alla rivista Interni che ne edita una guida. Su questo primo primo opuscolo erano elencati in ordine alfabetico gli eventi e le feste con una mappa generica della città che indicava semplicemente la zona dell’happening.

Due eventi, Salone e Fuorisalone (che insieme compongono la Design Week), destinati a consacrare definitivamente Milano come capitale del design, che da sempre utilizza la creatività come elemento distintivo e simbolo della cultura italiana in tutto il mondo.

Il Fuorisalone al tempo del Coronavirus, tra difficoltà e nuovi format digitali

I nuovi format digitali del Fuorisalone 2020

Nonostante l’annullamento dell’edizione 2020 del Salone del Mobile Milano, il Fuorisalone, si prepara ad allargare la sua influenza con altre forme e nuovi spazi tutti virtuali. Per metà giugno, precisamente dal 15 al 21, verranno presentate online tutte le anteprime dei brand che avevano scelto di prendere parte all’evento, attraverso una piattaforma che sfrutta al meglio i nuovi strumenti di Fuorisalone.it e di Brera Design District.

Il Fuorisalone al tempo del Coronavirus, tra difficoltà e nuovi format digitali

Sul vero significato della Design Week esordisce così la design blogger Alessandra Barlassina alias Gucki: “È la mia settimana preferita dell’anno, sicuramente non può essere sostituita da una versione digitale. La formula che la compone è come una formula magica, impossibile replicarla. In quella settimana Milano si trasforma, l’energia della città è una componente fondamentale che in digitale è impossibile riprodurre. Ma quest’evento digitale non nasce per sostituirsi alla versione ‘live’, per quest’anno purtroppo sarà l’unica versione possibile, ma per le edizioni future, sarà sicuramente un nuovo e potente strumento. Quest’edizione digitale sarà una grande opportunità per le aziende che sono chiamate a rafforzare la loro presenza e comunicazione online. Ogni azienda deve trovare il proprio tono di voce e il proprio modo di raccontarsi e raccontare i propri prodotti in modo nuovo. Le opportunità sono moltissime e con una grande forza comunicativa” .

Fuorisalone

Courtesy Salone del Mobile.Milano

Il Fuorisalone lancia così quattro nuovi format, pensati inizialmente come supporto all’evento e che invece in questa situazione di emergenza acquisteranno maggiore forza e valore. L’iniziativa è sviluppata in partnership con il comitato Fuorisalone di cui fanno parte Brera Design District, Ventura Projects, i referenti di Zona Tortona, i distretti di inBovisa, 5vie e Porta Venezia in design e il progetto Asia Design Milano.

  • Fuorisalone.Tv, un palinsesto video che riempirà le giornate in assenza del Fuorisalone con contenuti live (talks, interviste, presentazioni di prodotto, concerti) e contenuti confezionati da design e aziende che vorranno presentare i propri progetti e idee in un formato innovativo. Il palinsesto durerà 7 giorni, 12 ore al giorno. I contenuti saranno poi accessibili on demand 10 giorni dopo l’evento sulla stessa piattaforma.
  • Fuorisalone Meets, per tutto il mese di giugno la piattaforma webinar di Fuorisalone.it metterà in contatto aziende con partner, clienti, rivenditori e pubblico selezionato. Questo per fare formazione e promozione, creando un contatto diretto tra aziende e addetti ai lavori al fine di presentare nuovi prodotti, condividere le strategie con la forza vendita e incontrare nuovi potenziali clienti.
  • Fuorisalone Cina, ad aprile sarà inaugurato il canale ufficiale Wechat, Weibo e Tencent Video. Questo è il primo passo di un progetto di collaborazione e networking più ampio con le più importanti Design Week cinesi.
  • Fuorisalone Japan, che prevede il lancio ad aprile di una nuova piattaforma web dedicata al Giappone. Rivolta ad architetti, designer e aziende oltre che al pubblico giapponese, pensata per comunicare il meglio del design e del lifestyle e promuovere la cultura della Milano Design Week grazie a un team operativo tra i due Paesi e servizi di consulenza dedicati.

“Il format digitale ha anche dei punti di forza non trascurabili: renderà il Fuorisalone accessibile anche da lontano. Il mio intento negli anni è sempre stato raccontarlo a chi non poteva esserci, le mie storie su Instagram accompagnano in giro per gli eventi chi non può esserci di persona. La mia app Gucki Fuorisalone Guide vuole essere una guida dei migliori eventi e delle location più belle. Una selezione di quello che proprio non ci si può perdere in una settimana dove si concentrano così tanti eventi. La versione digitale renderà più accessibile il calendario di eventi, dilaterà il tempo, amplierà il pubblico e farà selezione di contenuti. Forse il rischio di questa edizione sarà di rivolgersi a un pubblico di addetti ai lavori rimanendo un po’ lontana dai numeri popolari, perdendo l’appeal di aperitivi e installazioni scenografiche” aggiunge Gucki.

LEGGI ANCHE: Milano Digital Week, dal 25 al 30 maggio l’evento in versione online

Courtesy Salone del Mobile.Milano

La voce dei protagonisti

Il Fuorisalone digital si traduce in una piattaforma rinnovata con 4 nuovi format. L’uso integrato dei format consentirà alle aziende che non potranno partecipare dell’evento fisico a causa del Covid-19, di comunicare comunque al meglio.

L’architetto e fondatrice del blog di progettazione d’interni MakeYourHome Roberta Borrelli, non ha dubbi sul valore del digitale in una fase come questa: “Penso che il digitale sia un’opportunità di evoluzione per molte aziende che sopratutto nel nostro settore non ne comprendono ancora il potenziale. Se pensate che molti cataloghi vengono ancora prodotti in cartaceo, capirete la grande necessità di sviluppare e ottimizzare processi legati alla comunicazione del design. Ma oltre all’opportunità di crescita in se non credo che si possa prescindere dal fattore esperenziale che regala questo evento. Le suggestioni non possono essere trasmesse ugualmente attraverso le immagini o la fruizione di contenuti video”.

fuorisalone

Courtesy Salone del Mobile.Milano

Roberta è una di quelle professioniste che il salone lo fa e non sono poche le difficoltà che ha incontrato quest’anno: “La prima grande delusione arriva dal vedere sfumato non solo un bellissimo progetto di allestimento ma anche sei mesi di lavoro. Difficilmente lo studio fatto sui trend attuali potrà traslare di un anno. La mia analisi personale mi ha portato, nonostante abbia raccontato attraverso i miei canali social il progetto mancato, uno scetticismo nei confronti della percezione del progetto in termini digitali. Con l’aggravante che l’immobilità di questi mesi non poteva consentire la creazione di nuovi contenuti che andassero oltre la mera ricerca”.

 

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Il racconto quotidiano di un fuorisalone mancato tra sogni, progetto e design Giorno 1 – Dicotomia e progetto #poeticadellabitare

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Sul valore degli eventi digitali e sulle preoccupazioni che sta vivendo il settore design interviene anche il docente universitario e content curator Paolo Ferrarini: “Tutte le iniziative digitali hanno lo stesso obiettivo: presentare contenuti, nuovi prodotti, innovazioni e tanto altro ancora. La preoccupazione maggiore è quella di perdere il contatto con le persone ma anche l’essenza di vedere dal vivo quello che hanno preparato i designer. Le design week, infatti, sono un’occasione imprescindibile per le aziende che vogliono incontrare le persone e le proprie community. Sono importanti perché mantengono vivo il contatto, anche se spesso sono momenti più per gli addetti ai lavori che per il grande pubblico. Tra le paure principali c’è anche quella di perdere occasioni di business, quest’aspetto tocca sia il designer emergente che quello più stagionato”.

I Ventura Projects a Milano chiudono dopo 10 edizioni

La crisi Coronavirus ha colpito il mondo intero, l’industria degli eventi e del design, e quindi anche diverse aziende, tra queste c’è Ventura Projects. Dopo dieci edizioni di successo e già pronti per l’undicesima durante la Milano Design Week 2020, l’incubatore di talenti, organizzato da Organisation in Design, chiude i battenti. Sia Ventura Centrale che Ventura Future sono state cancellate a causa dell’epidemia globale COVID-19. Sfortunatamente, queste cancellazioni hanno avuto un impatto enorme e irreversibile sulla società.

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“Ho trascorso molte notti insonni preoccupandomi se e come avrei potuto salvare o trasformare l’azienda per adattarmi a una nuova normalità per essere ancora in grado di servire il mondo del design e abilitare il talento come abbiamo sempre fatto. È quindi con grande dolore nel mio cuore che sono giunta alla conclusione che non è più possibile costruire il mio sogno, e quindi i sogni di molti designer e di studi di design. Le circostanze attuali non mi lasciano altra scelta che terminare i Ventura Projects”, ha dichiarato a metà maggio la fondatrice, Margriet Vollenberg.

Il Fuorisalone al tempo del Coronavirus, tra difficoltà e nuovi format digitali

Un decennio all’insegna della ricerca e dei giovani designer, un vero e proprio forum per creativi internazionali che lanciano i loro progetti grazie al supporto di due team dedicati, uno nei Paesi Bassi e uno in Italia. Questo è Ventura Project, che negli anni non ha solo lavorato con progettisti e brand internazionali, ma ha aiutato molti di loro ad avviare la propria carriera. Dopo molte edizioni di successo gli eventi di Ventura Projects non saranno più allestiti durante la Milano Design Week e in altre kermesse internazionali dedicati al design.

“Come in tutti i periodi di cataclismi, ci sono cose che scompaiono e altre che si resettano, che prendono una nuova forma. Anche in questo caso ci saranno delle aziende che spariranno, magari ci saranno meno espositori e gli investimenti saranno più oculati. Come succede in tutte le crisi, potremmo aspettarci delle collaborazioni inattese, tra correnti che si mescolano. Non escludo, infatti, che nei prossimi anni, potremmo avere più gruppi di aziende che si coalizzano, magari con stand condivisi. Ci sarà più digitalizzzazione, le fashion week e le dirette dalle sfilate ne sono un esempio, ma di certo eventi di questo tipo non potranno mai diventare “solo” digital: il contatto fisico sarà la prima cosa che torneremo a valorizzare e far rinascere” aggiunge Paolo Ferrarini.

LEGGI ANCHE: Design (Digital) Fair: come sono cambiati gli appuntamenti della creatività

Uno sguardo alla Fall Design Week e al futuro del Fuorisalone

Andando verso l’autunno ci saranno delle forme ibride, nuove presentazioni, workshop, dove si arriverà a una dimensione di semi contatto fisico. Le prenotazioni, la regolazione dei flussi e delle visite, tutto sarà rivisto in una nuova ottica. Così mentre passiamo da una fase all’altra, si guarda già alla prossima edizione.

La prima domanda che tutti si pongono è se la Design Week sarà rivoluzionata alla luce di questa pandemia: “Spero che ci sia un’evoluzione ma non un cambiamento radicale. Lavoro con il digital da 10 anni e ho sempre riscontrato nell’evento una mancanza di apertura rispetto a questo canale, differentemente da quanto si è visto nelle fiere di settore internazionale. Ma mi auguro non finisca mai la possibilità di girare per la città e lasciarsi emozionare, in un cortile nascosto di Milano dovrà sempre esserci un’installazione ad aspettarci”, conclude Roberta Borrelli.

brera design days 2020

“Sicuramente l’edizione di Salone e Fuorisalone 2021 (come di qualsiasi altra manifestazione) dovrà cambiare e considerare delle nuove norme. Impareremo probabilmente un nuovo modo di progettare e partecipare agli eventi. Si tornerà a un’edizione ‘live’ con una nuova consapevolezza e un importante nuovo strumento (il digitale, ndr) che nel frattempo dovremo aver imparato a esplorare nelle sue potenzialità. Se c’è qualcosa che può ridefinire il nostro modo di vivere, quello è proprio il design. Le potenzialità sono infinite, creativi, progettisti, architetti e designer sono chiamati a ripensare le nostre città, percorsi e modi di incontro. Questa pandemia è sicuramente uno stimolo forte al cambiamento e il design non tarderà a rispondere con nuove soluzioni”, aggiunge Alessandra Barlassina.

Il “recupero” della Design Week 2020 passa anche dai Brera Design Days, in questa ottica gli attori del Fuorisalone stanno valutando un evento condiviso tra settembre e ottobre, che coinvolgerà tutti gli showroom permanenti partendo da Brera fino al resto della città.

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Courtesy Salone del Mobile.Milano

Si ritorna quindi a settembre come il mese del design, con un evento territoriale che unirà virtuale e reale, talk e attività negli showroom (circa 120 realtà solo nel Design District di Brera). Questi ultimi saranno protagonisti con percorsi all’interno dei loro ambienti per far conoscere i nuovi prodotti e all’interno degli stessi spazi espositivi sarà inoltre possibile vivere percorsi virtuali grazie alla tecnologia Living 3D.

Un momento clou e molto vivace, per le aziende del mondo design per fare cose interessanti.

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L’app Immuni si può scaricare (ma è già allarme ransomware)

Il sistema di tracciamento dei contatti, utile per arginare eventuali nuovi focolai di contagio da Coronavirus, Immuni, non sarà subito attivo, ma l’app dovrebbe essere scaricabile già nelle prossime ore.

Immuni sarà disponibile sugli store di Google e Apple, manca però l’ok delle due piattaforme per lo scaricamento da parte degli utenti.

Intanto, secondo quanto riportato da La Stampa, una campagna di virus informatici starebbe interessando l’Italia nelle ore in cui sta per essere resa disponibile l’app Immuni. “A renderlo noto Agid-Cert, la struttura del governo che si occupa di cybersicurezza”.

Il ransomware (virus che prende in ostaggio i dispositivi e poi chiede un riscatto per sbloccare il dispositivo) si attiverebbe con il pretesto di far scaricare un file denominato Immuni. La diffusione avviene con una mail che invita a cliccare su un sito fake costruito per riprodurre quello del Fofi, la Federazione Ordini dei farmacisti italiani.

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app immuni

L’app Immuni scaricabile ma non ancora funzionante

Il sistema di tracciamento dei contatti non sarà subito attivo. La sua sperimentazione comincerà infatti il 5 giugno in solo quattro regioni pilota: Puglia, Abruzzo, Marche e Liguria. Da quanto si apprende, nel resto d’Italia l’app potrà essere scaricata ma il contact tracing non funzionerà. Con la pubblicazione dell’app il controllo della sperimentazione passerà al ministero della Salute e il tempo stimato per rendere realmente funzionante il sistema è qualche settimana.

Intanto il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano, prova a spiegare con più chiarezza l’utilità dell’app nella fase 2: “adesso dobbiamo capire come mettere immediatamente in quarantena eventuali contagiati e i loro contatti stretti. L’app Immuni serve a questo fine. Se qualcuno arriva in Puglia potremmo chiedergli la cortesia, non l’obbligo, di segnalare la propria presenza e di tenere memoria dei contatti”.

Come funziona l’app

Stando agli ultimi documenti pubblicati dagli sviluppatori, l’applicazione seguirà il modello decentralizzato di Google e Apple:

  • i dati raccolti saranno conservati sui singoli device e non su un server centrale;
  • non traccerà gli spostamenti, ma solo i contatti di prossimità tra smartphone;
  • non sarà obbligatorio scaricarla, né usarla;
  • i dati raccolti potranno essere condivisi solo con l’autorizzazione del possessore dello smartphone;
  • tutti i dati raccolti e condivisi con il server centrale, dovranno essere cancellati entro dicembre 2020.

La data del 5 giugno naturalmente non contribuisce a placare le polemiche verso le tempistiche di rilascio del sistema di tracciamento, quasi 20 giorni dopo la riapertura della maggior parte delle attività in tutta Italia.

campagna social per no profit

8 consigli per lanciare una campagna social per la tua no profit

  • Per raccogliere fondi, sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla propria mission o reclutare volontari, il lancio di campagne social è diventato fondamentale per le no profit
  • Spesso le organizzazioni vanificano i propri sforzi digitali per una mancanza di chiarezza negli obiettivi o per una scelta casuale dei canali social, ma con i giusti accorgimenti è possibile raggiungere i risultati sperati

 

Eventi saltati e raccolta fondi in difficoltà, ma anche bisogni sociali in aumento costante. Le organizzazioni no profit sono obbligate in questo periodo di emergenza sanitaria a trasferire online tutte le proprie attività di sensibilizzazione e fundraising, se vogliono continuare a impegnarsi a favore di cause sociali che spesso l’attuale contesto non fa altro che rendere ancora più urgenti.

In questo scenario, il lancio di campagne social è più che mai una necessità per le organizzazioni no profit. Per raccogliere fondi, sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla propria mission o reclutare volontari, i social network sono diventati senza dubbio fondamentali.

Ma come fare perché la propria campagna raggiunga davvero i risultati sperati? Ecco otto consigli per lanciare una campagna social di successo per la tua no profit.

1. Chiarisci l’obiettivo della campagna

Sembra scontato? Non lo è per niente. Spesso le organizzazioni no profit (ma anche quelle profit) vanificano le proprie campagne social per una mancanza di chiarezza negli obiettivi della campagna stessa.

Vuoi reclutare nuovi volontari, vendere i tuoi prodotti solidali online, chiedere donazioni, sensibilizzare l’opinione pubblica sulla causa che ti sta a cuore? Meglio un obiettivo chiaro, concreto e ben definito perché gli utenti possano capire subito come possono aiutarti.

2. Scegli il social giusto (e magari anche più di uno)

Non scegliere per moda il social (o, ancora meglio, i social) attraverso il quale lanciare la tua campagna. Chiediti qual è il tuo target e in quale piattaforma puoi trovarlo.

Ricorda che non esiste soltanto Facebook. Cerchi aziende con cui collaborare per attività di cause related marketing? Perché allora non lanciare la tua campagna su LinkedIn?

Infine poniti una domanda essenziale: la presenza della tua organizzazione no profit nel social network prescelto è già sufficientemente consolidata?

LEGGI ANCHE: Consigli per applicare lo storytelling alla tua non profit e creare un legame emotivo con chi dona

3. Prepara il tuo pubblico

Già, inutile girarci attorno: se la tua presenza social non è ancora riconosciuta, apprezzata e seguita da persone già sensibili alla tua mission, dovresti allora porti come primo obiettivo quello dell’awareness.

Al contrario, costruire da zero la propria presenza social solo per lanciare una campagna di altro tipo – ad esempio con l’obiettivo di raccogliere fondi – rischia di essere molto difficile, soprattutto se le tempistiche sono strette e manca un budget adatto a far fronte al problema.

Ricorda: anche se tramite lo schermo di un cellulare o di un pc, hai sempre a che fare con persone in carne e ossa. Per questo, così come nella vita reale, anche nei social network la relazione con gli utenti va prima di tutto coltivata nel tempo.

Hai già una buona fan base, ma poco reattiva? Nelle settimane e nei giorni precedenti il lancio della campagna social, coinvolgila con post caldi ed emozionali che raccontano l’impegno della tua organizzazione no profit e l’impatto positivo che genera sulla vita di tante persone.

Evita immagini fredde e standard scaricate da qualche sito web: scegli foto reali, magari realizzate direttamente dai volontari stessi. Attraverso le immagini e le parole, cerca il più possibile un dialogo diretto, sincero e personale con gli utenti. Insomma, mettici la faccia.

4. Dai spazio alla creatività

Chiariti gli obiettivi, scelti i canali e preparato il pubblico, non ti resta che pensare al contenuto da veicolare. Cerca nel web altre campagne simili alla tua per lasciarti ispirare, ma pensa in modo creativo: cerca soluzioni innovative e soprattutto coinvolgenti che possano prima di tutto incuriosire, emozionare e infine ingaggiare il tuo pubblico. Anche quello che scopre per caso e di fretta la tua campagna, magari attraverso un rapido scroll sul cellulare.

Non dimenticarti che anche una campagna social per no profit ha bisogno di un claim, uno o più contenuti visual e una call to action strettamente collegati tra loro a livello concettuale. A tutti e tre questi elementi e alla loro organicità è necessario prestare la massima attenzione perché la campagna sia recepita in modo chiaro dal tuo pubblico.

Sei indeciso tra più possibilità? Testa video, immagini e copy diversi per scoprire quali ottengono i risultati migliori.

LEGGI ANCHE: 5 esempi di campagne di raccolta fondi di successo per non profit

5. Sfrutta tutta la potenzialità dei social network

L’obiettivo della tua campagna social è raccogliere fondi? Ricorda che Facebook permette alle organizzazioni no profit di avviare raccolte direttamente all’interno della propria piattaforma, mentre Instagram metta a disposizione uno sticker specifico proprio per le donazioni.

Vuoi invece sensibilizzare il pubblico sulla causa che ti sta a cuore? Perché non crei un motivo specifico per l’immagine di profilo e inviti gli utenti ad aggiungerlo alla propria? Con Social Good di Facebook è possibile questo e tanto altro.

6. Coinvolgi volontari, stakeholder e influencer

Hai un buon gruppo di volontari e sostenitori su cui puoi sempre contare, almeno offline? Contattali personalmente perché si lascino coinvolgere ora anche online: il loro apporto può essere fondamentale per lanciare la campagna ed espandere la tua audience.

Hai già contatti con stakeholder disponibili a sostenere la tua organizzazione? Segui da tempo influencer che sembrano sensibili alla sua mission? È arrivato il momento di invitarli a diffondere la tua campagna attraverso i loro profili.

7. Invita i sostenitori a diventare promotori

La campagna è partita e la tua audience sembra rispondere con entusiasmo. E adesso? Non finisce qui, ovviamente. Anzi, proprio questo dovrebbe essere un nuovo inizio. Hai pensato che proprio chi ha risposto positivamente alla call to action potrebbe ora diventare promotore dello stesso appello tra i propri contatti?

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8. Fidelizza i sostenitori

E ora che la campagna è terminata? È proprio questo il momento in cui consolidare la relazione a lungo termine con i tuoi sostenitori. Dedica al loro ringraziamento la stessa cura con cui hai pensato la campagna. E non dimenticarti di raccontare l’impatto sociale generato dal loro sostegno.

Se riuscirai a fidelizzarli, alla prossima campagna sarà tutto più semplice e il risultato ancora migliore.