Talkwalker, società di social listening e analisi, oggi ha annunciato l’acquisizione di Nielsen Social, fornitore leader di misurazione social e software di approfondimento del pubblico.
La soluzione innovativa di Nielsen Social per la valutazione dei contenuti social permetterà di fornire ulteriori approfondimenti per l’intelligence conversazionale, abilitata dall’intelligenza artificiale della piattaforma di Talkwalker.
Negli ultimi anni Talkwalker ha visto la social analytics evolversi enormemente, sfruttando più fonti di dati per fornire informazioni fruibili in intere aziende. E ora sta guidando questo cambiamento, creando una potente soluzione aziendale per la conversational intelligence.
Questa acquisizione fa parte di quel cambiamento, andando a rafforzare la leadership dell’azienda in termini di innovazione attraverso il software all’avanguardia di valutazioni dello stato dell’arte e analytics adverstising di Nielsen Social.
“La decisione di unire le forze con Nielsen Social sottolinea l’impegno di Talkwalker a fornire ai clienti aziendali le migliori soluzioni in tutta l’ampia gamma di casi d’uso”, ha affermato Robert Glaesener, CEO di Talkwalker. “Con l’aggiunta di Nielsen Social Content Ratings alla nostra piattaforma AI, siamo in grado di espandere la nostra offerta di approfondimenti su consumatori, categorie e pubblico e accelerare la nostra crescita globale”.
Questa acquisizione rappresenta un altro punto di successo per Talkwalker quest’anno. Con una nuova brand identity, una piattaforma recentemente aggiornata, l’introduzione di una nuova visualizzazione di dati innovativi.
“Siamo entusiasti di aver trovato un partner affiatato in Talkwalker, che condivide la nostra missione di fornire le migliori soluzioni di misurazione e analisi ai clienti a livello globale”, ha affermato Sean Casey, presidente di Nielsen Social. “La combinazione rafforzerà in modo significativo la nostra offerta e non vediamo l’ora di unirci alla piattaforma in rapida crescita di Talkwalker per promuovere insieme la nostra posizione il mercato globale”.
Nei prossimi mesi Nielsen Social sarà integrato nella piattaforma Talkwalker, aggiungendo ancora più funzionalità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/talkwalker.jpg577867Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-07-24 12:05:112020-07-24 12:08:04Talkwalker acquisisce Nielsen Social per offrire nuove funzionalità alle aziende
La metamorfosi dell’eCommerce in seguito all’emergenza, da canale secondario a elemento indispensabile per la riprogettazione delle strategie di vendita e di interazione con i consumatori, genera degli effetti immediati sulla crescita del mercato.
Il valore degli acquisti online di prodotto dovrebbe nel 2020 sfiorare i 22,7 miliardi di euro in crescita del +26% rispetto al 2019.
L’incremento in valore assoluto è il più alto di sempre: oltre 4,6 miliardi in un solo anno. Questo risultato è frutto di dinamiche differenti nei comparti merceologici.
I settori più maturi crescono con un tasso sostenuto ma sotto alla media di mercato: nel 2020 Informatica ed elettronica di consumo vale 6 miliardi di euro (+18%), Abbigliamento 3,9 miliardi (+21%) ed Editoria 1,2 miliardi (+16%). I comparti emergenti registrano ottimi risultati con ritmi di crescita esponenziali: in particolare Food & Grocery genera 2,5 miliardi di euro (+56% rispetto al 2019), Arredamento e home living 2,3 miliardi (+30%) e Beauty 770 milioni di euro (+37%).
Rispetto al passato è maturata una definitiva consapevolezza sulla necessità di sviluppare un canale eCommerce completamente integrato con l’esperienza fisica.
Un cambiamento epocale, invocato dai consumatori, che chiama profonde revisioni di processo e di organizzazione, investimenti, capacità di ascolto (dei clienti) e molta creatività.
L’eCommerce sarà sempre più motore di crescita e di innovazione del Retail.
L’email Marketing e l’eCommerce: i trend del 2020
MailUp e l’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano hanno condotto due ricerche in parallelo, con l’obiettivo di fotografare l’impatto che l’emergenza sanitaria, il lockdown e gli effetti conseguenti hanno avuto sul settore eCommerce.
Lo studio di MailUp ha cercato di individuare eventuali mutamenti nei trend delle campagne di email Marketing attribuibili all’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia tra febbraio e marzo. Per farlo ha esaminato le campagne di 1.092 aziende eCommerce inviate tra l’1 gennaio e il 7 giugno 2020 e le ha confrontate con le campagne inviate nello stesso periodo dell’anno precedente, in modo da riscontrare le possibili variazioni. I parametri presi in considerazione per questo confronto sono i volumi di invio delle email, il tasso di apertura e il tasso di clic.
1. Volumi di invio
Le prime settimane del 2020 mostrano un netto incremento dei volumi di invio rispetto a quelli dell’anno precedente (+23,63%). Questo trend inverte la rotta a partire dalla prima settimana di lockdown nazionale (9 marzo), passando da 73 milioni a quasi 39 milioni di invii (-89,40%).
Dalla settimana successiva, tuttavia, assistiamo a un recupero sia in termini di quantità che di stabilità degli invii, che pareggiano i risultati ottenuti nell’anno precedente.
Il calo registrato è certamente attribuibile alla chiusura di molte delle aziende parte del campione esaminato e alle difficoltà iniziali nel riorganizzare le proprie attività in una fase di emergenza inedita.
Allo stesso modo, il riassestamento è certamente attribuibile alla preparazione della cosiddetta fase 2 e al ripristino delle attività lavorative. Se prendiamo in considerazione i volumi di invio, notiamo invece comportamenti discordanti tra newsletter e DEM.
Per queste ultime infatti, il calo nelle settimane di lockdown risulta meno accentuato (-1,38%); inoltre, nella fase 2 le DEM registrano volumi di invio addirittura superiori a quelli del 2019 (+6,37 di media).
2. Aperture
Se le campagne email hanno risentito dell’emergenza sanitaria in termini di volumi di invio, è interessante notare come, al contrario, i tassi di apertura ne abbiano beneficiato.
Se confrontiamo infatti i valori medi dei periodi pre e post quarantena, osserviamo una crescita relativa di +19,60%.
Si passa infatti da un 9% di inizio anno (pari a un calo medio di -34,10% sul 2019), a un picco massimo di 12,50% durante il lockdown. Il periodo successivo, corrispondente più o meno all’inizio della fase 2, registra un assestamento intorno all’11,75%.
Differentemente da quanto visto per le newsletter, l’andamento delle DEM è caratterizzato da un decremento finale delle performance, dal 12,20% al 9,90%. Se ne potrebbe dedurre un calo di interesse del pubblico per le comunicazioni di natura commerciale determinato, come già detto a livello complessivo, dalla riapertura delle attività commerciali offline.
In generale, se fotografiamo il 2020 e mettiamo a confronto le due tipologie di email vediamo a colpo d’occhio una chiara prevalenza delle DEM sulle newsletter.
3. Clic
Il secondo indicatore di performance considerato è il tasso di clic sulle aperture ovvero il tasso di reattività dei destinatari nei confronti del contenuto del messaggio.
Nel 2020 si assiste a un calo complessivo evidente, dal 14,90% al 9,80% (-34,23%). Nelle settimane di quarantena assistiamo a un aumento del tasso di clic (superiore anche ai valori del 2019); segno di un maggiore interesse da parte dei destinatari per i contenuti – informativi e commerciali – proposti dai brand e-commerce.
L’inizio della fase 2 porta a un nuovo calo delle performance, che scendono definitivamente sotto la soglia dell’11%: questo sensibile decremento può essere attribuito alla riapertura dei negozi fisici che ha comportato una riduzione degli acquisti online.
Se fotografiamo il 2020 e mettiamo a confronto le due tipologie di email vediamo a colpo d’occhio una chiara prevalenza delle DEM sulle newsletter. Sebbene entrambe le curve siano discendenti e il divario tra loro si assottigli con il passare delle settimane, in termini di valori medi registriamo uno scarto di 2,31 punti percentuale tra il 12,60% delle DEM e il 10,29% delle newsletter.
Conclusioni
Dai dati è dunque chiaro l’impatto che il Covid ha avuto sull’email Marketing: non sorprende riscontrare un rallentamento dell’attività, che si deduce dal calo dei volumi di invio, causato dalle restrizioni sociali e dall’imposizione forzata di una nuova routine in termini di fruizione delle comunicazioni, di consumi e di comportamenti d’acquisto.
Tuttavia, a questo rallentamento dei volumi non corrisponde un calo di interesse da parte dei destinatari. Al contrario, sia in termini di aperture che di clic, i destinatari delle campagne dimostrano un livello di reattività che evidenzia un buono stato di salute del canale email per il settore e-commerce.
L’impatto del Covid-19 sull’eCommerce in Italia
L’Osservatorio eCommerce B2C della School of Management del Politecnico di Milano ha condotto un ulteriore studio che si basa su un’osservazione diretta dei principali operatori di prodotto dell’eCommerce B2C. L’obiettivo era analizzare l’evoluzione dell’e-commerce rispetto agli anni passati e misurare eventuali alterazioni dei trend attribuibili agli effetti che l’emergenza sanitaria ha
esercitato sulle abitudini dei consumatori e sull’adozione del digitale da parte delle aziende B2C.
1. Acquisti eCommerce di prodotto in termini assoluti
La ricerca parte dall’osservazione della crescita del settore rispetto agli anni precedenti in termini di valore degli acquisti di prodotto: il valore totale che si dovrebbe raggiungere a fine 2020 è pari a 22,7 miliardi di euro, con un incremento relativo sull’anno precedente del +26%.
Un tasso di crescita percentuale più alto rispetto agli anni precedenti: nel 2018 l’e-commerce di prodotto aveva registrato un +23% e nel 2019 un +21%.
2. Acquisti eCommerce per comparto di prodotto
Il primo elemento da evidenziare nel 2020 è l’andamento positivo di tutti i comparti.
Entrando nel dettaglio vediamo che i comparti Abbigliamento e Accessori, Editoria, Informatica ed Elettronica sono accomunati da tassi di crescita simili che si attestano tra il 16 e il 21%; mentre il comparto Arredamento e Home living riesce a staccare i precedenti di circa 10 punti, migliorando il proprio risultato del 2019 del 30%.
Menzione a parte per il comparto Food & Grocery, che passa da 1,6 miliardi di euro dell’anno scorso a 2,5 miliardi di quest’anno (+56%). Un salto certamente determinato dalle restrizioni imposte tra marzo e aprile (fase di lockdown), che hanno spinto, da un lato, molti consumatori ad acquistare online i beni di prima necessità e, dall’altro, molte catene di supermercati ad adeguare in corsa i propri processi di vendita e distribuzione.
3. Distribuzione per comparto degli acquisti 2019 e 2020
Rispetto al 2019, Abbigliamento e Accessori perde il 4%, Editoria scende del 7% e Informatica ed Elettronica riduce il suo peso del 6%, ma continua a costituire più di un quarto del totale.
Sale lievemente Arredamento e Home living, con un +2%, ma ad aumentare in modo rilevante è di nuovo il comparto Food & Grocery che, questa volta con un +24%, passa dall’8,88% all’11%.
4. Incidenza smartphone
I dati mostrano l’incidenza dell’utilizzo del mobile per gli acquisti sui volumi di acquisto totali: da un’incidenza del 50% del 2019 si è passati al 56%.
Se consideriamo invece il valore degli acquisti, l’eCommerce da smartphone è passato da circa 9 miliardi di euro del 2019 ai circa 12,8 miliardi del 2020 (+42%).
Se ne potrebbe desumere che sempre più persone prediligono per gli acquisti online l’utilizzo del proprio smartphone anche quando si trovano all’interno delle mura domestiche.
Conclusioni
L’emergenza sanitaria ha avuto sul settore eCommerce un doppio effetto. Da un lato ha certamente reso più difficili alcune operatività; dall’altro ne ha favorito l’espansione spingendo all’utilizzo dell’eCommerce anche segmenti di mercato fino a qualche mese fa abituati a effettuare i propri acquisti esclusivamente offline (un esempio su tutti: la crescita del comparto Food & Grocery).
Ciò che accadrà nei prossimi mesi – online e offline – e quale direzione prenderà il mondo eCommerce è ancora da vedere. È però ragionevole pensare che gli avvenimenti degli ultimi mesi abbiano innescato un’accelerazione dei processi di digitalizzazione del settore retail già in atto da diversi anni, sensibilizzando aziende tradizionali e intere fasce di mercato sulle opportunità offerte dagli store virtuali e dalla comunicazione via email.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/email-marketing-ecommerce-covid-3.jpg589866Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-07-24 12:00:132021-01-05 15:44:38L’impatto del Covid-19 su email Marketing & eCommerce
I contenuti pubblicati ci identificano e ci trasformano in veri e propri punti di riferimento insieme alle interazioni con in nostri collegamenti e riguardo ai topic che ci interessano.
Lo dice la sua stessa definizione, LinkedIn è un Social Network e come tale serve per tessere relazioni ossia creare network. Sia con la creazione di gruppi veri e propri sia analizzando i nostri competitor.
Credo che LinkedIn sia come il cervello umano, si dice che solo una parte di noi lo usi e ne esplori tutte le sue parti, gli altri ne usano, invece, solo il 10%.
Le potenzialità di LinkedIn per la tua azienda o per te come professionista sono innumerevoli, ma non tutti sono preparati a utilizzarle o a includere a pieno questa piattaforme nella strategia social di brand: Facebook e Instagram sono di solito immancabili, ma LinkedIn?
Eppure le sue connessioni di 570 milioni di utenti mondiali con un grado di utenti attivi che si attesta su più di 260 milioni/mese non dovrebbe classificarlo tra i social meno importanti soprattutto se si parla di un’azienda che con queste connessioni è in grado di farsi pubblicità, trovare nuove risorse umane e creare le proprie community di interazione.
Cerchiamo di capire, allora, come posizionarci su LinkedIn al meglio. Una cosa è certa: alla base serve tanta costanza e dedizione per creare e tenere attiva la propria community.
Il meglio di LinkedIn per il tuo business, come fare per usarlo al meglio
Chi ha detto che per sviluppare LinkedIn per il nostro business sia preferibile la versione desktop? L’app, infatti, propone delle funzionalità che su desktop non troviamo e questo perché sono aspetti legati alla possibilità di geolocalizzarsi o geolocalizzare e allacciare una relazione con chi ci sta intorno, ma non solo.
Partiamo dalla possibilità di aggiornamento del profilo tramite app. Scegliere, infatti, di modificare o aggiungere nuove informazioni via app, seppur possa sembrare scomodo per alcuni versi, offre, dall’altra parte, possibilità che la versione desktop non permette.
Uno su tutti il numero di caratteri della headline: da desktop limitato a 120 da mobile ampliato a 200, quindi se su entrambi i device questa risulta tagliata, da app c’è più margine per la fantasia.
Proseguiamo con il secondo step: la pubblicazione di contenuti. La app non ti permetterà di pubblicare ancora long-form o individuare errori grammaticali sarà più scomodo (salvo aver attivato il correttore automatico su cellulare), ma sicuramente fornisce all’utente la possibilità di allegare file multimediali e inserire hashtag, debitamente suggeriti all’inizio della digitazione.
Terzo step: fare rete. LinkedIn va usato per creare ed animare una propria community e questo vuol dire partire dalla creazione di un numero di follower interessante per poi iniziare ad essere interessante anche tu per loro.
A tal proposito, forse, le funzionalità a disposizione da mobile sono davvero le più fornite e, in particolare, la possibilità di trovare connessioni durante meeting o eventi di settore.
Infatti il primo compito, è quello di connettersi agli altri e mandare loro messaggi privati di presentazione e richiesta di connessione. Farlo attraverso mobile app da la possibilità di scattare foto o includere audio in tempo reale, come un sistema di chat di ben più noti Facebook e Instagram, oltre che “taggare” un altro utente nella conversazione.
È sempre consigliabile personalizzare il proprio messaggio di richiesta di collegamento a seconda della persona a cui mi sto rivolgendo, soprattutto se sono un altro professionista questo mi darà la possibilità di attirare l’attenzione del mio interlocutore o ricordargli perché ci farebbe piacere averlo tra i nostri collegamenti.
Ecco poi che vi è la possibilità di integrare il proprio calendar o la propria localizzazione in occasione di eventi o meeting.
Se parliamo di evento programmato e pubblico, infatti, possiamo sfruttare l’integrazione tra il calendario e LinkedIn, attivabile da app, per scoprire chi parteciperà e fare un po’ di infohunting preparatoria e poi, qui viene il bello, è possibile trovare altri utenti LinkedIn nelle vicinanze in qualsiasi momento.
Come? Vai su “la mia rete” seleziona il tasto “più” e come ultima opzione vedrai “nelle vicinanze” se la attivi attraverso il Bluetooth. In questo modo identificherai gli altri utenti presenti nella stanza o al meeting e potrai selezionare con chi connetterti o semplicemente sapere chi sono le persone intorno a te, chissà mai che potresti trovare la risorsa o l’azienda dei tuoi sogni!
E se voglio connettermi ad un altro utente, ma ha difficoltà ad incontrarmi oppure voglio essere sicuro che trovi me, come faccio? Semplice: in alto di fianco la barra di ricerca c’è un simbolino che riproduce in miniatura un QR code, bene, da qui potrai sia scansionare il QR code di un altro che ottenere il tuo anche da condividere.
L’utilizzo corretto della app di LinkedIn non esclude un utilizzo altrettanto proficuo della versione desktop e, soprattutto, non prescinde da una corretta programmazione social.
Come abbiamo già detto su LinkedIn non conta solo quanti follower hai, ma la qualità e i collegamenti che questi possono portarti ed ecco che una strategia vincente, in questo caso più che mai, si basa sulla fase di preparazione:
Definire gli obiettivi: perché la mia azienda deve esserci su LinkedIn? Che cosa voglio fare con il mio profilo social aziendale, cercare nuove risorse, farmi promotore di una causa, cercare partnership di sviluppo? Ricorda che ogni obiettivo deve essere SMART (specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e temporizzabili). Non dimenticare di prendere in considerazione sia goal a breve che a lungo termine;
Individua e profila le tue audience personas: analizza i tuoi follower delle altre piattaforme, chi sono? Cosa fanno nella vita? In cosa credono e su che argomenti interagiscono di più? A questo punto la tua strategia dovrà essere costruita a misura del tuo pubblico;
Stabilisci un tempo ed un budget da investire e si pronto a cambiare la rotta se non si ottengono i risultati sperati.
Una volta passata la fase di analisi si passa alla vera fase operativa che si basa sostanzialmente su collegamenti e contenuti.
Per creare la tua prima piccola audience è sempre buona cosa chiedere ai tuoi dipendenti e collaboratori di collegarsi alla pagina impostando la tua azienda come “luogo di lavoro” sui loro profili personali, ma non solo, invitali ad interagire con i tuoi post e coinvolgi, i più talentuosi, ad aiutarti nello sviluppo della tua pagina.
Content is king, anche per LinkedIn, in cui costanza e qualità di contenuti sono sempre premianti, questo perché l’algoritmo di questo social è “umano”, esperti LinkedIn scandagliano tutti i giorni i newsfeed in cerca di articoli veri, completi e che meritano più visibilità grazie alle interazioni che generano e alla credibilità dei collegamenti aziendali e penalizzando chi si comporta come spam o non da nessun valore.
Via libera a contenuti nativi, completi anche di immagini e video, ma importante anche interagire in gruppi tematici o condividere anche contenuti di terzi, purché siano in linea con la vision e mission aziendale e siano accompagnati da un headline propria meglio ancora se completa di hashtag e mention.
Vere chicche sono le pagine vetrina, ossia delle sorta di sotto-pagine aziendali che possono essere create, fino ad un numero di 10 max, e che permettono all’azienda di focalizzare parte del profilo su prodotti specifici o rami dedicati. Potrebbero avere meno follower della pagina aziendale, ma sono molto utili per focalizzare l’attenzione su qualcosa di particolare e di distinguibile.
Per creare una Pagina Vetrina, clicca sulla tua icona (Tu), seleziona la Pagina aziendale, sotto la sezione “Gestisci”clicca su “Strumenti dell’Amministratore” in altro a destra e seleziona “Crea una Pagina Vetrina”.
La base è pronta, ora è il momento di sperimentare
Cosa possiamo imparare dalle migliori pagine aziendali
Lo abbiamo già detto, perché la nostra pagina aziendale su LinkedIn funzioni e sia attrattiva è necessario alimentarla e farla conoscere agli utenti connessi.
Se il contenuto testuale è alla base, quindi attenzione a cosa si scrive, come, compresi gli errori grammaticali, esistono poi aggiunte ed integrazioni che rendono tutti più coinvolgente: video, documenti, hashtag e sondaggi.
Con un tasso di conversione a lead del 2,74%, LinkedIn è la piattaforma giusta se la tua azienda vuol trasformare parte dei suoi collegamenti virtuali in veri e propri contatti reali e si sa, ad oggi la strategia più forte per creare contenuti di successo sono i video.
Due le regole d’oro: chiediti per chi e per cosa stai realizzando il tuo video-post e ottimizza formato e qualità del contenuto per LinkedIn.
Partiamo dalla seconda.
Un video efficace su LinkedIn deve riuscire ad attirare l’attenzione dell’utente nei primi 15 secondi se si vuole che questo finisca di vederlo per intero aggiungendo nella produzione anche i sottotitoli per chi ne sta usufruendo in modalità “sound off”. Importante, anche, non dimenticare di spronare il pubblico ad interagire inserendo anche una vera e propria call to action; questo ci darà l’opportunità di interagire in modo diretto con chat o commenti con i nostri collegamenti.
Per la prima, invece, le cose da dire sono diverse.
Innanzitutto bisogna scegliere se pubblicare un video nativo, ossia un filmato creato e postato direttamente su LinkedIn con il vantaggio che si riproduca in auto-play, o ricondividere video di altri.
Dopodiché, o forse prima, è opportuno dare un obiettivo al video in questione, mi serve per farmi conoscere, e quindi opterò per video brevi che parlino di noi e che spingano l’utente a volerne sapere di più, o voglio creare video empatici che mostrino all’utente perché la nostra azienda è la miglior soluzione al loro problema mostrando loro la nostra corporate social responsibility o un prodotto specifico.
Voglio ora, invece, condividere e rendere disponibili al download dei documenti, semplice, posso integrarli in un post ricordando che il mio pubblico vedrà in anteprima solo la prima pagina dell’elaborato. Quindi? Rendi la prima pagina la migliore in assoluto con direttamente una call to action che spinga il lettore al download e a proseguire nell’approfondimento.
Parola d’ordine: hashtag sempre e comunque.
Esatto ricordiamolo bene, è importante che per ogni nostro post vi sia un elenco di # ben definito e scelto e non solo perchè “fa figo” ma perchè potrebbe farci entrare tra gli argomenti di tendenza.
Ovviamente la scelta degli hashtag su LinkedIn non può e non deve essere casuale quindi è bene prima di iniziare ad utilizzarne uno in particolare vederne la portata dei follower, iniziare a seguirlo in prima persona e interagire con post e gruppi che lo riportano. Puoi cercare nuovi # direttamente della barra di ricerca e iniziare a seguirli direttamente nei risultati.
La scelta di un particolare hashtag può esulare dal solo utilizzo su LinkedIn, se un # può includerci e funziona su questo social, potrebbe funzionare anche sulle altre piattaforme quindi ricordiamoci di renderlo un nostro must!
Veniamo aisondaggi, uno degli strumenti più interattivi di LinkedIn.
Creare un sondaggio è facile e chiunque lo può fare scegliendo tale opzione prima di pubblicare un particolare post.
Si possono definire le opzioni tra cui i partecipanti possono scegliere, la durata e le risposte sono tutte tracciabili per numero di rispondenti e qualità degli stessi, così da poter proseguire poi con un follow up diretto sulla persona.
Gli argomenti su cui creare un sondaggio, per un’azienda, sono molteplici: dal voler conoscere meglio il proprio pubblico con le loro ambizioni o i topic su cui sono più interessati, alla necessità di fare un’indagine di mercato in merito ad un prodotto in fase di lancio, ad ancora creare un motivo di discussione con la propria community.
Ora che abbiamo approfondito le basi su cui lavorare possiamo, probabilmente, guardare con occhio critico alla classifica delle 10 pagine più seguite su LinkedIn nel 2019 (quella del 2020 uscirà ad agosto).
Il podio è composto da: TED Conferences con 15.5 milioni di follower (oggi 17.7 milioni), Google 12.1 milioni (oggi 17.8), Amazon 8.6 milioni (oggi 15.2), Linkedin con 8.2 milioni (oggi 12.2), Microsoft 7.8 milioni (oggi 11.7), Unilever che con i nuovi dati supera IBM, Nestlè, Accenture e Facebook in chiusura.
Ma cosa le ha rese le pagine più popolari di LinkedIn?
Le cose che accomunano queste aziende sono:
Una strategia di contenuti ben mixata tra testo e video con l’utilizzo anche di LinkedIn Live per la riproduzione dei video postati;
Porre le persone, collegamenti e collaboratori, al centro. Queste aziende, infatti, hanno deciso di puntare molto sui loro dipendenti e collaboratori per attrarre nuovi talenti e mostrarsi al mondo come un brand che conta sui talenti umani per crescere;
Parlare di argomenti di attualità come il tema della diversità e dell’inclusione sociale che scatenino interesse ed interazione, o esponendo quello che l’azienda sta facendo per migliorarsi e migliorare il mondo.
La potenza del “fare rete” su LinkedIn
Se Facebook nasce con l’obiettivo di preservare le relazioni tra gli individui, LinkedIn è il luogo perfetto per creare delle relazioni e dei contatti per un’azienda, non solo attraverso l’incremento del proprio network, ma anche per individuare i propri competitor e le loro strategie.
Network, il punto da cui partire.
LinkedIn per la struttura che ha e le possibilità a disposizione ha come obiettivo quello di favorire la creazione di un proprio network, che però, si consiglia, sia pre selezionato: non accettare tutte le richieste di collegamento, non è un male, anzi ti permetterà di avere una cerchia selezionata e veramente interessata.
Primo step: connettersi con gli altri utenti.
Per trovare profili interessanti e collegamenti vicini LinkedIn mette a disposizione la possibilità di esplorare tra i cosiddetti profili suggeriti, ossia chi per vicinanza professionale o di interessi potrebbe essere un valido candidato per entrare nella nostra rete. O, ancora, ci suggerisce chi, per la sua di rete, potrebbe introdurci in nuove dinamiche o in nuovi gruppi.
Una volta che ho capito chi è il mio pubblico target è ora di chiedere il collegamento reciproco, il click è uno, il pulsante “collegati”, ma l’opportunità è importante: è il primo contatto che avrai con questo nuovo follower, personalizza il messaggio mettendoci qualcosa di tuo o facendo riferimento al motivo per il quale vi conoscete.
Un consiglio: non spammate! Cercate di limitare le richieste ad un paio al giorno per non essere segnalati da LinkedIn stesso e penalizzati.
E poi via all’interazione! Cerca di consigliare e commentare i post dei tuoi collegamenti, dimostrati proattivo in eventuali gruppi o nell’intervenire nelle discussioni e usa tutto questo a tuo vantaggio per attirare sempre nuove connessioni e utenti a seguirti.
Se invece ti senti già pronto con la tua azienda a diventare centro di una discussione, allora puoi partire con la creazione di un gruppo.
Gestire un gruppo significa creare uno spazio di discussione dedicato ad un argomento o trend, oltre che diventarne una figura di riferimento in quanto questi possono sempre essere trovati dagli utenti nella barra di ricerca.
Per creare un gruppo è necessario partire, ovviamente, dal nome, scegliendo qualcosa di diretto che già enunci quello che sarà poi il topic del gruppo, 100 caratteri massimo e se vuoi geolocalizzarlo ricordati di mettere la città.
Importante: sistema tutte le informazioni base del gruppo prima di pubblicarlo ed invitare i partecipanti, chi si iscrive vuole interagire sull’argomento, non continuare a vedere aggiornamenti di stato o di cover.
Dopo il nome è importante aggiungere cover ed immagini coerenti al tema e scrivere la headline, il vero primo testo di 2000 caratteri che definisca l’argomento e incuriosisca il gruppo.
Rendo il gruppo pubblico o solo su invito? Il consiglio, salvo che non si voglia controllare gli accessi dei nuovi iscritti, è quello di mantenerlo pubblico (scelta di default) così da attrarre più contatti possibili.
A proposito di contatti, se il gruppo viene creato da un’azienda è importante che i primi partecipanti siano i collaboratori stessi della struttura, così da non lanciare un gruppo a zero e poi invitare le persone ad invitare altri soggetti a loro volta, pubblicizzare il proprio gruppo sul social wall riportandone link e descrizione o inviarlo in chat private a utenti in target.
Il gruppo, ovviamente, se non governato ed aggiornato non è utile, anzi. È importante quindi pensare ad un calendario editoriale per l’aggiornamento con post nativi, commentare ed interagire con gli altri partecipanti e tenere sotto controllo eventuali spam o commenti contrari alla netiquette impostata. Un gruppo su LinkedIn è un posto in cui diversi professionisti si trovano a loro agio nell’interagire e dove trovano, anche, informazioni utili quindi è un dovere preservare questo spazio come tale.
Ultimo punto: i competitor; alla fine sono un network anche loro, da cui, a volte, prendere esempio di cosa fare o di cosa non fare.
Monitorare i profili LinkedIn dei propri competitor e a volte anche collegarsi, può essere parte di una strategia marketing utile. Dal confronto sarà possibile capire cosa funziona per gli altri e magari trarre idee e indicazioni utili. Importante è, però, tutelarsi il più possibile per evitare di condividere con i nostri concorrenti informazioni riservate.
Il primo passo è quindi quello di, nell’area Privacy del profilo, cambiare la modalità da pubblica a privata di modo che non si possa lasciare traccia sul profilo altrui. Il secondo di disattivare la funzione “Chi ha guardato questo profilo ha anche guardato..” per evitare che nuovi collegamenti individuino competitor che noi abbiamo guardato. In contesto diverso, invece, questa funzione ti permette proprio di capirne di più sugli interessi degli utenti collegati.
Insomma, è il caso di dirlo, LinkedIn un nome e un milione di opportunità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/01/linkedin-algoritmo.jpg433650Emikohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEmiko2020-07-23 16:00:082020-07-27 21:25:41Giù le mani da LinkedIn: perché non puoi escluderlo dalla strategia della tua azienda
La stock photography (ossia le foto di repertorio) influenza le nostre decisioni quotidiane nel modo più sottile possibile. La vediamo ovunque in modo inconsapevole, ben camuffata su cartelloni pubblicitari, nelle campagne online e persino nella nostre caselle di posta in arrivo.
Se dieci anni fa potevi guardare un’immagine ed etichettarla immediatamente come stock, oggi questa linea di confine è decisamente più sfocata. La fotografia di stock ha subito una metamorfosi estetica nell’ultimo decennio, seguendo una evoluzione nella comunicazione visiva guidata anche dai social media.
Depositphotos ha realizzato un progetto proprio su questo aspetto, analizzando l’evoluzione dell’estetica della fotografia stock nell’ultimo decennio, dai tempi delle persone in abiti da lavoro che sorridono alla macchina fotografica fino alle autentiche e naturali foto stock di oggi, con lo scopo di delineare i canoni di oggi e prefigurare la direzione dell’industry.
Questo progetto è particolarmente utile per i fotografi che si sentono bloccati su scelte specifiche quando pianificano servizi fotografici o che stanno appena iniziando a lavorare con le piattaforme di fotografia stock come freelance. Anche per chiunque abbia preso in considerazione l’idea di usare stock photography è utile cogliere i cambiamenti del settore, così come le richieste del mercato e ciò che lo ha influenzato nell’ultimo decennio.
Dalle tendenze generali come le nuove tecnologie, il mondo dei cellulari e i social media a quelle più specifiche come i cambiamenti nella pubblicità, le nuove categorie di consumatori e le loro nuove aspettative, tutti questi fattori hanno portato a un notevole cambiamento nella tipologia e nella varietà dei contenuti richiesti dalla fotografia in stock.
Il nuovo bisogno di autenticità
Sentiamo spesso questa parola applicata alla fotografia stock, ma come siamo arrivati a questo punto? La storia dell’evoluzione dell’estetica della fotografia di stock ci porta in un viaggio che va dagli scatti in studio allo smartphone in pochi minuti.
Le influenze chiave nell’estetica della stock photography si sono infiltrate non solo nel modo in cui i fotografi scattano, ma anche nella visione artistica che i clienti scelgono di sostenere. L’offerta e la domanda, insieme, hanno trasformato l’estetica della fotografia stock.
La nascita della stock photography
Se pensiamo che la prima agenzia di fotografia stock è stata fondata negli anni ’20, possiamo con tranquillità dire che la fotografia stock è un’attività vecchia di 100 anni. A quei tempi, i clienti avevano a disposizione un processo più faticoso e più scrupoloso, dovendo conservare tutto in archivi fisici, passando manualmente in rassegna le immagini in stampe o diapositive per trovare quelle giuste.
Negli anni ’90, la digitalizzazione di questo processo e Internet hanno aperto la strada a piattaforme di stock che hanno sostituito le agenzie.
Gli anni 2000
Verso gli anni 2000, poi, questo modello si è definitivamente affermato grazie alla sua accessibilità, economicità e convenienza non solo per gli editori e i giornali, ma anche per gli art director, i web designer, le agenzie pubblicitarie e i privati, espandendo la clientela oltre quella prevista.
Negli anni 2000, poi, le piattaforme di stock hanno subito cambiamenti ancora più significativi grazie a tecnologie più avanzate e a una domanda crescente da parte di nuovi segmenti di consumatori e verso il 2009, infine, si è reso evidente che i la stock photography si stava muovendo in una nuova direzione: quella creativa.
L’impulso dei social media
Instagram è stato lanciato nel 2010, modificando la vita quotidiana di milioni di persone e influenzando inevitabilmente le loro azioni. L’era dei social media ha aperto opportunità non solo ai fotografi professionisti, ma anche a quelli amatoriali. Così la fotografia è diventata parte integrante della vita di chiunque fosse lontanamente interessato alla fotografia.
Ciò ha significato per la fotografia stock che la domanda di UGC (user generated content) da tutto il web ha fatto spazio a scatti meno perfetti nella composizione. Lo stile preferito era quello di scatti in prima persone che rivelavano la bellezza della vita quotidiana.
I social media hanno incoraggiato ogni persona a prendere in mano una macchina fotografica (o un telefono) e a fotografare. Catturare i momenti della vita quotidiana ha ispirato la creatività e ha permesso a tutti di cimentarsi con la fotografia. Anche la macchina fotografica professionale non era più un requisito indispensabile, soprattutto per la fotografia di stock.
Così le foto autentiche e naturali sono oggi più apprezzate dei ritratti stock tecnicamente perfetti ma più elaborati degli anni Novanta.
2020: una nuova era per la stock photography
Quello che ci rimane oggi è un netto contrasto con le immagini generiche e inscenate che hanno dominato la fotografia di stock per decenni. Questa è una nuova era – un tempo per pensatori indipendenti, espressione di sé, riflessione e illustrazione di ideali per i mercati locali e internazionali.
I movimenti, le idee e i valori nuovi o ritrovati mostrano la direzione per rendere la fotografia stock ancora rilevante, concentrandosi su immagini che non lasciano indifferenti.
Mentre il mondo cambia, è evidente che anche la visione dei fotografi deve cambiare. È necessaria una connessione più personale – per i clienti, i fotografi, e gli utenti di tutti i giorni.
Non c’è posto per immagini che non abbiano un impatto culturale o visivo. La stock photography, ricorda Depositphotos con il suo progetto “Stock Photography Then and Now”, è influenzata dalla cultura attuale e, a sua volta, diventa un’influenza sulla cultura.
Se l’estetica della fotografia stock ha fatto molta strada negli ultimi dieci anni, per essere sostituita da modelli più autentici e creativi, è anche diventata una delle principali forze trainanti della cultura visiva contemporanea.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/stock-photography.jpg588910Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-07-23 12:30:202020-07-27 21:24:19Stock Photography: com'è cambiata l'estetica negli ultimi dieci anni
Nel ultimi giorni si è acceso un dibattito online su Chiara Ferragni e la sua visita agli Uffizi di Firenze, un dibattito che è diventato da subito polarizzato agli estremi tra accaniti detrattori e sostenitori.
Cosa è accaduto
Chiara Ferragni si trovava agli Uffizi per realizzare uno shooting per Vogue Hong Kong. Non è la prima volta che moda e musica girano all’interno dei musei, come nel caso del video di Beyoncé e Jay Z al Louvre e di quello recentissimo di Mahmood al museo egizio di Torino. Finito lo shooting, dove Vogue Hong Kong paga secondo le tariffe del museo, non danneggia alcune opera e non impedisce la normale fruizione del museo da parte dei visitatori, Ferragni decide di godersi gli Uffizi accompagnata dal direttore Eike Schmidt.
Colpita in particolare dalla Venere di Botticelli, si fa una foto e la posta su Instagram con la caption “one of the most beautiful museums in the world, so come and visit it!” rivolgendosi ai suoi 20 milioni di follower solo su Instagram. Anche gli Uffizi postano la foto dell’imprenditrice, accostandola al canone estetico della Venere e definendola “divinità contemporanea nell’era dei social”.
Da lì è iniziata una violenta shitstorm sotto la foto degli Uffizi e si sono sprecati post sui vari social attaccando la Ferragni, quello che secondo i commentatori rappresenta e come svaluti l’opera d’arte. Il tutto condito dalla comune minaccia di un defollow immediato all’account del museo.
La polemica appare subito tematizzata su Chiara Ferragni e infatti i commenti si focalizzano su di lei e non tanto sugli Uffizi: viene deprecata la sua attività, la sua bellezza, viene sminuita lavorativamente, viene indicata come non rappresentativa della bellezza italiana e l’intera operazione – ammesso che si possa davvero parlare di operazione – indicata come controproducente.
Secondo il report annuale del MiBACT, il Ministero dei Beni Artistici e Culturali, il numero dei visitatori del sistema museale pubblico è intorno ai 55 milioni, calando rispetto ai dati 2018. Nel dato sono inclusi i visitatori internazionali, e fa riflettere se accostato a un altro dato, fonte Istat 2016, Istituto Italiano di Statistica, secondo cui 69,2% degli italiani non sono mai andati al museo. La percentuale cresce al 75% se si tratta di mostre o esposizioni temporanee, e all’80,2% nel caso dei siti archeologici. Leggendo meglio i dati Istat, i più assenti dai musei italiani sono proprio i giovani.
In Italia conserviamo quasi la metà dell’intero patrimonio culturale antico e romano del mondo. Eppure questo non si traduce automaticamente in competitività o in una comunicazione culturale innovativa e competente. I percorsi audioguida italiani risultano in generale poco inclusivi e si pensa che l’immersivitá sia un QR code su una vetrina.
Spesso i nostri musei hanno al massimo un sito web dove, se siamo fortunati troviamo tutte le informazioni necessarie, molti allestiti con un gusto estetico discutibile. E i canali social si limitano a veicolare comunicati stampa e sparute informazioni “importanti”, fatta eccezione per l’esempio fulgido dell’account Instagram “Musei Italiani”.
Thanks to Cristina Gottardi
A confermarlo è anche lo studio del 2016 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali secondo cui solo il 19% dei musei offre il wi-fi gratuito e il 52% dei musei possiede un profilo social ma solo il 13% è presente su uno dei tre social network più diffusi: ad esempio il 15% uno su Instagram. L’Istat conferma: il tasso di adozione di servizi digitali (e si intende di tutto, dal catalogo online alle prenotazioni dei biglietti) è inferiore al 20%.
Si tratta forse di una fotografia parziale, ma piuttosto forte.
Sembra emergere innanzitutto che il problema del settore culturale non abbia a che fare con l’influencer marketing. Semmai si consiglierebbe di riflettere sulla didascalia scritta dal Museo degli Uffizi, che invece è un po’ superficiale e sterotipata, quando invece avrebbe potuto offrire uno stimolo maggiore utilizzando l’immagine dell’influencer. O anche costruirle intorno una vera e propria occasione di comunicazione creando contenuti editoriali di approfondimento, pur rimanendo pop.
La leggerezza delle strategie digitali non ha a che fare con la superficialità dei contenuti.
Sembra che l’attacco non sia tanto alla comunicazione culturale italiana ma a Chiara Ferragni. È lei la colpevole secondo i commentatori online. Colpevole di essere “frivola”, di non essere “adeguata”, colpevole di non fare abbastanza per promuovere l’Italia.
Partiamo col considerare che l’imprenditrice – non filantropa, non politica, non attivista – si trovava lì per un lavoro e ha deciso spontaneamente di utilizzare quell’occasione per promuovere a un pubblico nazionale e internazionale di più di 20 milioni di follower le bellezze culturali italiane. Si tratta di un’operazione che Ferragni sta portando avanti da qualche tempo dopo il lockdown: pur avendone mezzi e non mancando di offerte, sta scegliendo di lavorare solo sul territorio nazionale e di mostrare le bellezze culturali italiane.
Lo ha fatto con una visita ai Musei Vaticani ed è stata attaccata perché faceva una visita privata – cosa che chiunque può fare pagando e infatti era lì per promuovere questo particolare servizio – senza riflettere sul fatto che in concomitanza con la foto di Ferragni l’account dei Musei Vaticani sono diventati trending topic su Twitter.
Lo ha fatto con gli Uffizi e lo ha fatto con il Museo Archeologico di Taranto accompagnata da Maria Grazia Chiuri, Direttrice artistica di Dior. E per l’importante sfilata Dior Cruise 2021 è stata, per volere della direttrice artistica, la protagonista tra gli ospiti alla sfilata.
È la prima volta che Dior non sfila a Parigi e ha scelto proprio Lecce, terra dove affondano le radici della famiglia di Maria Grazie Chiuri e una delle città italiane su cui si teme di più la ripercussione negativa del Coronavirus e del lockdown da un punto di vista di affluenza del turismo. Il profilo della maison ha dedicato due video emozionali di presentazione dell’evento che mostrano i tesori culturali e paesaggistici della città del Salento.
Tuttavia sembra che le colpe di Ferragni non siano le sue abilità come imprenditrice o ambasciatrice del suo brand, bensì una colpa atavica: quella di essere giovane e donna. Non a caso negli attacchi si leggono tantissime menzioni dispregiative delle sua caratteristiche fisiche, insulti feroci di tipo personale: attacchi purtroppo legati a un discorso misogino.
Se è una colpa essere donna, giovane e di successo, Chiara Ferragni è colpevole.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/ferragni-uffizi.jpg492656Isabella Borrellihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngIsabella Borrelli2020-07-23 10:20:572020-07-27 21:24:57Le "colpe" di Chiara Ferragni agli Uffizi (e quelle della cultura nel digital)
L’emergenza Covid-19, dicono gli esperti, potrebbe portare a 25 milioni di disoccupati nel mondo
Le aziende saranno costrette a rivedere modelli di business e processi e individuare strategie per cavalcare il cambiamento, anziché subirlo
Dopo la crisi del 2008 sono nati colossi del mondo tech come Dropbox, AirBnb e Whatsapp
L’ecosistema italiano delle startup può trovare nuova linfa da questa emergenza: sarà fondamentale, però, la capacità di adattarsi al cambiamento
a cura di Thomas Ducato
Dalle crisi nascono sempre nuove opportunità.
Leggiamo spesso, in momenti come quello che stiamo attraversando, frasi come questa: affermazioni che difficilmente potranno essere accolte di buon grado da aziende e lavoratori colpiti duramente dall’emergenza Covid-19, che potrebbe portare a 25 milioni di disoccupati nel mondo secondo le stime dell’Organizzazione mondiale del lavoro.
Allo stesso tempo, però, nonostante la retorica che si cela dietro a queste “frasi ad effetto”, la storia ci insegna che la verità non è troppo distante: lo abbiamo visto con la crescita successiva alla grande crisi finanziaria del ’29 e nei decenni che hanno seguito la seconda guerra mondiale, ma anche in epoca più recente. Non è un caso che alcune tra le grandi imprese tech, che oggi dominano i mercati mondiali, siano nate o “esplose” negli anni successivi al 2008, dopo la bolla che ha colpito l’economia e la finanza globali.
Parliamo di colossi come Dropbox, AirBnb, WhatsApp, Slack, Uber, Groupon e Instagram, per citarne alcuni, ma anche di aziende più piccole e meno note che hanno contribuito in modo importante all’innovazione tecnologica e alla nascita e allo sviluppo dell’ecosistema delle startup e del mito della Silicon Valley.
In un momento di rapido mutamento dei mercati, dei modelli di business, dei bisogni e delle abitudini dei consumatori come quello attuale, le startup sono di fronte a un bivio: sono realtà fragili e potenzialmente a rischio ma, allo stesso tempo, quelle con maggiori opportunità e margini di crescita, in grado di cavalcare il cambiamento, anziché subirlo.
Cosa sono le startup? Un po’ di chiarezza
Prima di addentrarci nel discorso è necessaria una precisazione: non tutte le nuove imprese possono essere considerate startup. Non è semplice dare una definizione univoca, ma è possibile evidenziare quattro serie di caratteristiche, riassunte in modo efficace da Startup Geeks, che fanno di una nuova azienda una startup: scalabilità, replicabilità del modello di business, innovazione intrinseca (di processo o di prodotto) e temporaneità.
Senza queste caratteristiche, a cui potremmo aggiungere la capacità di sconvolgere un settore esistente o quella di creare un nuovo mercato, difficilmente possiamo dire di essere di fronte ad una startup.
Secondo Enrico Pandian, un punto di riferimento nel panorama italiano del settore che si è conquistato il titolo di startupper seriale grazie alle 18 imprese create dal 1999 a oggi (tra cui spicca Supermercato24, di recente diventata Everli), si tratta di “fondare una piccola società pensandola già come una multinazionale”.
L’immediato post Covid: lo stato di salute dell’ecosistema italiano
Le startup non solo sole: sembra questo il messaggio lanciato dalle istituzioni. Sono pari a 60 milioni i fondi messi a disposizione dall’Eit, Istituto europeo di innovazione e tecnologia, con l’obiettivo di sostenere le imprese innovative, considerate fondamentali per la ripresa post Covid. Anche in Italia qualcosa si è mosso: il 23 giugno ha fatto il suo debutto ufficiale il Fondo Nazionale Innovazione che prevede lo stanziamento di un miliardo di euro per sostegno e incentivi all’investimento.
Nonostante l’effetto Covid, inoltre, la prima metà del 2020 ha fatto segnare 260 milioni di investimenti nelle startup nostrane e anche il crowdfunding ha dato segnali incoraggianti, toccando i 38 milioni raccolti rispetto ai 25 dell’anno passato.
In un momento disruptive come quello attuale innovazione e digitale sono due asset importanti su cui credere e investire e questi numeri sembrano avvalorare questa tesi.
Adattarsi al cambiamento per scongiurare il fallimento
A fare la differenza, però, sarà soprattutto la capacità di adattarsi al cambiamento e a quella “nuova normalità” tirata spesso in ballo durante l’emergenza.
Ci è riuscita la startup FrescoFrigo, fondata da Enrico Pandian. Questa startup nasce dall’idea di portare cibo sano e di qualità a pochi metri del consumatore, direttamente nel suo luogo di lavoro, grazie a un frigorifero “intelligente” che punta a rivoluzionare il settore dei distributori automatici. Con l’emergenza sanitaria, però, gli uffici si sono svuotati e il fatturato di FrescoFrigo è rapidamente sceso a zero, con conseguenze dirette sull’umore di dipendenti e investitori.
“FrescoFrigo è stato impattato moltissimo dal Covid – ci ha raccontato Pandian -. Il 9 o 10 marzo il mio grafico del fatturato ha toccato lo zero e la situazione è rimasta così per svariati giorni. Appena abbiamo capito che l’emergenza sarebbe durata a lungo ci siamo impegnati per trovare una soluzione, non tanto per il fatturato per quanto importantissimo, ma soprattutto per il team che iniziava a essere preoccupato e demoralizzato. Da un confronto con alcuni consumatori è nata l’idea di installare FrescoFrigo all’interno dei condomini: abbiamo capito che le persone lavoravano da casa, spesso più di quanto non facessero in ufficio e che il nostro servizio poteva essergli di aiuto. Abbiamo installato più di 30 frigo condominiali solo nel primo mese e ora, nonostante la fine del lockdown, ci chiedono di mantenere comunque il servizio”.
Perché? La risposta individuata da Pandian in realtà è molto semplice: “Il consumatore è pigro e ha trovato una nuova comodità”.
Fare startup in Italia
“In Italia la parola Startup viene spesso associata a una cosa da “ragazzini” – ci ha detto Pandian – che fondano la loro prima azienda appena usciti dall’università. Io invece ho 40 anni, di aziende ne ho fatte tante, e vorrei cambiare la narrazione sulle startup che c’è in Italia”.
Come abbiamo visto dalle cifre di questo inizio di 2020 la sensazione è che qualcosa stia cambiando e che la crisi che sta seguendo l’emergenza sanitaria possa in qualche modo preparare il terreno all’affermazione dell’ecosistema italiano delle startup. Obiettivo e punto di riferimento resta sempre la tanto citata e ammirata Silicon Valley: quanto siamo distanti?
Lo abbiamo chiesto ad Alberto Onetti, Imprenditore e presidente della californiana Mind the Bridge la cui missione è quella di avvicinare grandi e medie imprese al mondo dell’innovazione e delle startup. “In Italia – ha spiegato Onetti – siamo partiti molto molto tardi, il mondo dell’innovazione ti porta a raccogliere i frutti del lavoro solo dopo tempo. In Silicon Valley questo processo è partito 40-50 anni fa. Da noi è un sistema ancora nella sua infanzia, ancora fragile. Inoltre, se parti dopo e corri più piano degli altri è difficile riuscire a vincere. Lavoriamo a un decimo di capitale rispetto a Francia e Germania, che a loro volta investono metà del Regno Unito, in cui si investe un quarto di quanto avviene negli Stati Uniti”.
Ma non è solo una questione economica, a mancare è anche lo spirito che si respira oltreoceano: “Negli Stati Uniti – racconta Onetti – tutti fanno il tifo per tutti, mentre da noi c’è la cultura del tifare contro. Quello che percepisci in Silicon Valley è che le persone si aiutano senza chiedere niente in cambio, solo perché è nell’interesse dell’intero ecosistema. Si chiama “give back”. Qualcosa torna, perché ti trovi su una torta più grande: avere una fetta più piccola di una torta grande è meglio di avere il 100% del niente. Sembra semplice, ma forse abbiamo problemi di matematica”.
Un cambio epocale
La strada è ancora lunga, dunque, ma l’emergenza sanitaria ha accelerato una serie di cambiamenti che erano già in atto: siamo di fronte a un momento di passaggio, a un cambio epocale che la crisi ha anticipato. Anche in questo senso la storia offre spunti su cui riflettere: la peste nera del ‘300, arrivata in un periodo già ampiamente condizionato da carestie, ha portato a profondi cambiamenti nel tessuto sociale, che hanno favorito la nascita di nuove opportunità e innovazioni tecnologiche.
Il Covid-19 potrà rappresentare una reale occasione per le imprese e per chi sarà in grado di leggere i segnali che ci offre questo presente così instabile e complesso, ripensando il proprio modello di business e rendendo più flessibili e leggere le dinamiche aziendali: proprio per questo le startup possono giocare un ruolo da protagonista!
“Il periodo che stiamo attraversando può trasformarsi in eccezionale per chi ha tante idee”, ci ha detto Enrico Pandian. L’ecosistema italiano saprà approfittarne?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/04/startup.jpg7031038Impactscoolhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngImpactscool2020-07-22 18:52:352020-07-23 14:41:44Flessibilità e propensione al cambiamento: in Italia è giunto il momento delle startup?
Qr code e catalogo prodotti: nuove funzionalità per gli account WhatsApp business.
Vendite online e pagamenti via chat: il futuro dell’eCommerce.
Facebook Shops: un nuovo strumento per vendere online.
Novità in arrivo per tutte le aziende che utilizzano WhatsApp Business.
Approdano all’interno dell’app i tanto attesi Qr code per aiutare i brand a promuoversi meglio e il catalogo prodotti diventa condivisibile.
Il rilascio di queste nuove funzioni non è del tutto casuale, ma nascono dalla volontà di Zuckerberg di agevolare e sostenere con nuovi mezzi la ripresa post-Covid che vede il digitale decisamente protagonista.
La pandemia ha accelerato senza ombra di dubbio la digital transformation, portando diversi brand, in particolar modo i local business a costruire e a rafforzare la propria presenza online per sopravvivere alla situazione.
Durante il lockdown, WhatsApp ha permesso a molte attività locali di vendere via chat anche senza avere un’eCommerce.
È infatti cresciuto il numero degli utilizzatori dell’app Business, che oggi conta 50 milioni di utenti, mentre migliaia di imprese più grandi utilizza le API di WhatsApp Business.
Quali sono le novità per le aziende?
Qr code: la nuova porta d’accesso per chattare con un brand
Fino ad oggi per entrare in contatto con un’azienda su WhatsApp era necessario aggiungere manualmente il numero in rubrica, oppure con un click mediante la funzione click to chat integrabile sui web site.
Ora è possibile iniziare una conversazione semplicemente inquadrando il Qr code relativo all’account business dell’attività. Una volta scansionato il codice QR, si aprirà una chat con un messaggio precompilato e modificabile, impostato precedentemente dall’attività per avviare una conversazione.
La nuova feature è stata rilasciata in tutto il mondo sia per chi utilizza l’app Business che per le API.
Questa nuova opzione spinge i brand verso una strategia omnichannel, dove i touchpoint del negozio fisico aprono le porte alla chat. I Qr code potranno essere esposti in vetrina, stampati sulle shopping bag piuttosto che sulla ricevuta, è evidente quindi un’integrazione tra modo online e offline.
Funziona come una porta d’ingresso digitale che agevola l’interazione iniziale con un’azienda. Ad esempio, Ki Mindful Wearing, un marchio brasiliano di abbigliamento sportivo che ci ha aiutato a testare questa funzione, riporta i codici QR sulle confezioni e sulle etichette dei prodotti, in modo che i clienti possano contattarli tramite WhatsApp per ricevere assistenza.
Il catalogo prodotti diventa condivisibile
La funzione catalogo consente alle attività di creare una vera e propria vetrina virtuale per mostrare ai propri clienti prodotti e servizi facilitando cosi le vendite.
Il catalogo, introdotto lo scorso anno, ha sin da subito ottenuto un ottimo riscontro sia da parte delle aziende che dei clienti. La conferma ufficiale arriva dai numeri : ogni mese oltre 40 milioni di persone visualizzano i cataloghi all’interno dell’applicazione di messaggistica.
Per agevolare la promozione dei prodotti e la ricerca da parte dei consumatori, il catalogo diventa condivisibile.
La condivisione può avvenire non solo all’interno delle chat con i clienti ma anche sugli altri canali digitali come social network piuttosto che sito web. Per condividere il catalogo basta copiare il relativo link presente all’interno dell’applicazione business, con due opzioni di scelta: condividere un singolo prodotto oppure l’intero catalogo.
WhatsApp Pay i pagamenti si fanno in chat
Un’altra grande news del colosso di Menlo Park è legata al mondo dei pagamenti. Recentemente WhatsApp sta testando in Brasile, uno dei paesi in cui l’app ha una penetrazione maggiore, WhatsApp Pay.
Il sistema di pagamento consente ai clienti di inviare denaro e acquistare dalle attività commerciali in maniera estremamente semplice, ma soprattutto senza uscire dall’app.
Per gli utenti il servizio sarà gratuito mentre per i business ci sarà una commissione sulle transazioni.
Semplificare i pagamenti significa permettere a un maggior numero di attività commerciali di entrare a far parte dell’economia digitale, creando nuove opportunità di crescita.
Arriverà anche in Italia? Non lo sappiamo, dall’azienda dicono che verrà rilasciata presto anche in altri paesi del mondo, ma non abbiamo conferme ufficiali che l’Italia sarà compresa.
L’era del WhatsApp Commerce?
Le ultime novità introdotte relative al catalogo e al mondo dei pagamenti lasciano presagire che in casa WhatsApp si stiano compiendo gli ultimi passi per avvicinarsi totalmente al mondo dell’eCommerce.
Vista la popolarità dell’applicazione e la sua base utenti multi-generazionale, vendere via WhatsApp potrebbe rivelarsi un’arma vincente e dalle enormi potenzialità per le aziende.
Il 65% degli acquirenti a livello mondiale sembra essere più propenso a fare acquisti da un brand con cui può comunicare via chat,
Il 40% dei consumatori intervistati ha dichiarato di aver iniziato a fare shopping online grazie al conversational commerce.
Questa prospettiva potrebbe dar vita ad un nuovo ecosistema basato sul commercio via chat.
Si andrebbe così a delineare un nuovo modello di business in cui le aziende di vari settori andrebbero a interagire con i clienti utilizzando WhatsApp come canale principale.
Ciò cambierebbe sicuramente il nostro modo di fare shopping.
Con WhatsApp non parliamo esclusivamente di vendita, ma parliamo di conversational commerce.
Vendere via WhatsApp vuol dire dialogare con i clienti, ma soprattutto offrire una user experience unica e personalizzata.
Uno dei punti di forza della chat è proprio quella di conoscere il cliente, guidarlo e consigliarlo nel processo d’acquisto, costruendo quindi relazioni di valore.
Il conversational commerce consente di unire l’esperienza fatta di relazioni che si creano all’interno di uno store fisico con l’istantaneità dello shopping online.
In definitiva alla luce dei recenti aggiornamenti che vedono protagonisti i codici QR, i pagamenti in App e il commercio via chat la teoria che Zuckerberg stia pianificando il futuro di WhatsApp guardando al mondo delle vendite in app e lasciandosi ispirare da WeChat sembra essere sempre più credibile.
C’è chi ha già fatto della messaggistica il suo principale canale di vendita, parliamo del brand tedesco Charles che ha dato vita al primo WhatsApp store in Europa.
Una volta approdati sul sito dell’azienda la call to action che invita l’utente a chattare con Charles su WhatsApp oppure su Messenger è subito ben evidente.
Come funziona il servizio?
Un assistente alle vendita risponde via chat alla richieste e consiglia i clienti passo passo, guidandoli per tutto il processo d’acquisto, dalla scelta del prodotto, alle transazioni, all’assistenza post vendita.
Il social commerce di Facebook: nuove opportunità per le aziende
Nel piano del social commerce di Zuckerberg si intravede la volontà da parte dell’azienda di integrare le varie piattaforme per dar vita ad un vero e proprio ecosistema a disposizione dei business.
A darne conferma è un’altra delle recenti novità introdotte da Mark in fase di lockdown, parliamo di Facebook shops.
Gli shop di Facebook, vista la loro semplicità, consentono a chiunque, dal piccolo negozio alla grande aziende di vendere e comunicare con i clienti attraverso Facebook, Instagram e WhatsApp.
Creare uno shop su Facebook è gratuito. I clienti possono scoprire i negozi virtuali sulla pagina Facebook o Instagram di un brand, oppure trovarli mediante le storie o l’advertising.
Che ruolo svolgono le applicazioni di messaggistica in questo contesto?
WhatsApp e Messenger diventano i mezzi per interagire con le aziende in maniera diretta cosi come accade in negozio.
È chiaro che Facebook sta cercando un nuovo modo per generare utili insieme all’advertising.
In realtà il padre dei social media lavorava da tempo a questo piano, progetto che ha subito una accelerazione dovuta alla situazione generata dal Coronavirus che ha visto molti negozi chiudere i battenti e aprire le porte al mondo online.
Tutto ciò trasformerà il mondo dell’eCommerce?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/whatsapp-business.jpg596895Alessandra Galluccihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlessandra Gallucci2020-07-22 17:34:262020-07-23 09:25:41WhatsApp Business: nuovi strumenti per le aziende
Il successo del tour italiano di Chiara Ferragni, tra gli Uffizi e il Salento, è solo l’ennesima evidente dimostrazione di quanto l’Influencer Marketing sia una strategia che funziona in modo versatile per moltissimi settori.
Il crescente numero di influencer popolari su piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e altri canali sociali, ha ormai convinto i marketer digitali che vogliono una strategia completa per far crescere un business online della necessità di non ignorare questo importante strumento. Detto questo, è anche importante sapere come misurare il successo di una campagna di Influencer Marketing, e per questo sono necessari indicatori chiave di performance.
Ci sono molti KPI utili per diversi elementi della vostra strategia, ma quando si tratta di Influencer Marketing, i cinque essenziali su cui concentrarsi sono i tassi di conversione, la reach e l’awareness, il traffico di referral, la crescita del pubblico e l’engagement. Questi KPI possono aiutare a monitorare i progressi e a misurare il successo nel raggiungimento dei propri obiettivi.
L’Influencer Marketing ha una serie di obiettivi, tra cui l’aumento della reach, la crescita del pubblico e l’aumento del traffico verso il sito. Ma come per ogni strategia di marketing, l’obiettivo principale è sempre quello di guidare la crescita e le vendite, ed è qui che il KPI del tasso di conversione entra in gioco.
Un modo semplice per tracciare le conversioni generate da una campagna di Influencer Marketing è quello di tracciare le vendite prima, durante e dopo la campagna, e di confrontare eventuali cambiamenti nelle vendite avvenuti quando la campagna era in corso.
Per un approccio più sofisticato, è possibile impostare i link di affiliazione, i parametri UTM, codici promozionali, landing page e tracciamento dei link per la campagna, e in questo modo è possibile tracciare le fonti di traffico dei clienti che si sono convertiti durante la campagna.
Ma le conversioni non sempre hanno a che fare con le vendite, e ci sono anche altri tassi di conversione che è possibile monitorare. Ogni volta che un potenziale cliente completa un’azione desiderata, questo conta come conversione. Questo può includere attività come l’iscrizione a una newsletter, il download di un ebook, il clic su un link, o qualsiasi altra cosa che si desidera che i potenziali clienti facciano.
Quando si tratta di Influencer Marketing e KPI, altri tassi di conversione che si potrebbero voler tracciare includono i “Mi piace” di Facebook generati, i nuovi follower ottenuti, le persone iscritte alla newsletter e così via.
Traffico di referral
Le conversioni non sono l’unica cosa che conta in una strategia di Influencer Marketing, anche la quantità di traffico che la campagna porta al sito va monitorata. Il motivo è che il traffico di referral fornisce una buona idea della portata della campagna, ma anche del successo complessivo della campagna.
È importante notare che le conversioni non sempre raccontano l’intera storia, perché se il sito non è ottimizzato correttamente per le conversioni, allora è possibile che la campagna abbia comunque avuto successo, anche se non si è registrato un aumento delle vendite. È qui che il monitoraggio del traffico di referral può essere d’aiuto, perché ci dirà quante persone sono effettivamente arrivate sul sito grazie alla campagna.
La buona notizia è che è possibile utilizzare gli stessi strumenti (principalmente Google Analytics) per monitorare il sia traffico referral della campagna che le conversioni, compresi i codici promozionali, i parametri UTM e simili.
Inoltre, è anche possibile analizzare le metriche di pre-campagna per valutarne il successo. Quelle da includere dovrebbero essere:
Nuovi visitatori
Fonti di referral
Totale pagine visualizzate
Tempo medio
Reach e awareness
Uno dei principali vantaggi dell’Influencer Marketing è l’accesso a un pubblico enorme che può aumentare la visibilità del brand, un primo passo importante quando si vuole aumentare l’awareness del marchio e costruire nuove relazioni.
Per determinare il successo di questo obiettivo, è necessario monitorare quante persone vengono raggiunte con la campagna, quanti nuovi potenziali clienti sono venuti a conoscenza del brand e quanto la campagna ha rafforzato il marchio con i potenziali clienti già esistenti.
Un buon modo per misurare reach e awareness è quello di tracciare i dati di impression sui contenuti (post, video, stories…) creati appositamente per la campagna. Queste informazioni sono disponibili attraverso gli insight delle piattaforme social e attraverso gli analytics dell’inluencer. Anche in questo caso è utile un confronto con i dati pre-campagna.
Crescita del pubblico
La crescita del pubblico è simile alla reach e all’awareness come obiettivo, ma c’è una differenza cruciale: solo perché qualcuno è stato colpito dalla campagna non significa che quella persona venga portata con successo all’interno dell’audience.
Capita infatti che la campagna riesca a centrare l’obiettivo di portare l’utente sul sito, ma una volta conosciuta l’offerta o il prodotto, quello stesso utente non ne sia interessato e lasci il sito, eliminando dalla sua memoria anche il brand. In questo caso l’obiettivo di crescita dell’audience non è raggiunto.
Per monitorare la crescita del pubblico, si possono usare gli strumenti analisi dei social media, scoprendo quanti follower si guadagnano durante la campagna e confrontando la crescita con i numeri pre-campagna. Si può fare la stessa cosa anche con il database email e così via.
Engagement
Anche l’engagement è un KPI importante perché fornisce una visione più approfondita di come la campagna è stata accolta. Anche in questo caso, il traffico e la portata ci diranno quanti utenti abbiamo raggiunto, ma l’engagemant ci dirà in che modo.
Il coinvolgimento è fondamentale perché è un buon indicatore di come il brand viene percepito, di quanto è forte il rapporto con il pubblico, di quanto siamo rilevanti e di quanto saranno fedeli i nostri clienti.
L’engagement è determinato dalle diverse azioni intraprese dal pubblico, tra cui:
I benchmark per comprendere le performance su Instagram
L’analisi dei KPI più importanti ci permette di comprendere ancora meglio che la crescita dell’Influencer Marketing è legata soprattutto alla capacità di approcciare strategicamente le attività con i Creator e di misurarne i risultati. Per farlo è fondamentale avere dei punti di riferimento, sia per impostare obiettivi realistici, sia per formulare previsioni sensate delle performance attese.
Come sottolineato nella recente ricerca di Buzzoole dedicata nello specifico ai Benchmark per comprendere le performance degli influencer su Instagram, il problema è che questi dati sono difficili da reperire e dunque i marketer navigano a vista, facendosi sballottare dalle onde delle mode del momento.
Ieri erano le celebrity, oggi sono i micro influencer. Spesso senza sapere esattamente cosa attendersi in termini di performance medie.
Attraverso l’osservazione di oltre 700 mila influencer Instagram tra novice, micro influencer, ma anche top e celebrity, Buzzoole ha offerto una panoramica delle performance, unendo alle metriche visibili pubblicamente come le interazioni e i follower, anche quelle più significative, ottenibili attraverso gli insight dei Creator.
Tra i principali dati emersi:
su Instagram la Reach Rate media (persone raggiunte in media sul totale dei follower) dei profili è del 19% (-1,6 punti rispetto allo scorso anno).
Su Instagram l’Engagement Rate medio (interazioni medie sul totale dei follower) dei profili è del 3,1% (-0,4 punti rispetto allo scorso anno).
In Italia la percentuale dei follower sospetti su Instagram è del 10,5%. I novice hanno il più basso numero di follower sospetti (5,2%) mentre i top (che hanno da 100.000 a 1 milione di follower) arrivano a sfiorare il 33%.
Il campione analizzato è stato segmentato in quattro fasce distinte: novice (coloro che hanno fino a 10.000 follower), micro (dai 10.000 ai 100.000 follower), top (dai
100.000 follower a un milione) e celebrity (oltre un milione).
Ecco i dati emersi.
Engagement
Ovviamente le celebrità sviluppano il maggior numero di interazioni medie per singolo post, 35.000 rispetto alle 4.210 dei top, alle 590 dei micro e alle 66 dei micro.
Analizzando i dati di engagement medio per post di diversi settori, inoltre, emerge che ce ne sono tre che sembrano essere più apprezzati dal pubblico di Instagram.
Al primo posto lo Sport e al secondo l’Intrattenimento, che beneficiano della notorietà dei protagonisti, in particolare dei calciatori e dei volti della televisione. Al terzo posto tutto il mondo della moda che su Instagram ha trovato una vetrina ideale.
Engagement Rate
I novice riescono ad ottenere circa il 4,3% delle interazioni dai propri seguaci, i micro il 2,8%, i top il 2,7% e le celebrity il 2,50%.
Ovviamente essendo un rapporto al cui denominatore ci sono i follower è naturale avere questo tipo di dinamica, che premia un po’ di più i profili con una base follower meno sviluppata.
L’analisi dell’Engagement Rate mostra anche che i settori che fanno registrare il più elevato Engagement Rate per post sono quelli del Family & Parenting e del Gaming. In entrambi il rapporto interazioni e follower risulta del 3,1%. Al 3% troviamo il variegato mondo del Lifestyle e più in basso l’intrattenimento e la cultura.
Engagement su Reach
Un dato interessante si può ottenere confrontando le interazioni con la Reach (portata) ossia con le persone realmente raggiunte dai post.
Dall’analisi svolta, grazie all’accesso ai “first party data” (dati direttamente provenienti dagli insight di Instagram degli Influencer) si scopre che novice e micro differiscono di poco nella loro capacità di sviluppare interazioni rispetto alle persone raggiunte (intorno al 14%), mentre dai top ci si può attendere un rapporto di engagement su reach di circa il 13% e dalle celebrità l’11,45%.
Su Instagram, i Creator del settore Fashion sono quelli che performano meglio. Riescono a ottenere il 16% delle interazioni rispetto alle persone effettivamente raggiunte, in altri termini ogni 100 persone che vedono i loro post riescono a sviluppare, mediamente, 16 interazioni. Seguono di poco i Creator che si occupano di turismo e di bellezza.
Leggermente sotto il 16% troviamo gli influencer che trattano hobby di diverse tipologie e quelli racchiusi nell’ampia categoria del Lifestyle.
Reach Rate
Altro indice utile è quello che mette in relazione la reach e i follower dei Creator, per capire la loro capacità di raggiungere il proprio bacino di utenti accumulati.
Considerando che oggi gli algoritmi dei social network non permettono di comunicare alla totalità dei propri follower, neanche con l’ausilio di pubblicità, diventa fondamentale avere dei benchmark di riferimento.
Emerge che i novice, mediamente, riescono a raggiungere il 27,5% dei propri follower e le celebrità il 24,3%. Meno positive le performance dei micro e dei top.
La performance dei novice si può spiegare con il fatto che le community piccole tendono ad essere le più affezionate e attente. Quella delle celebrity è da correlare più probabilmente all’effetto dell’algoritmo di Instagram che premia i contenuti dei più famosi, ospitandoli nella sezione Esplora, la più visibile.
Su Instagram i Creator del settore Art & Culture (che si occupano di libri, arte, spettacolo) sono quelli che hanno il più alto rapporto reach/ follower, che supera il 24%. A breve distanza quelli della categoria più allargata degli hobby di vario tipo. Buona posizione per i Creator del mondo Lifestyle e Turismo.
Follower sospetti
Un capitolo a parte merita l’argomento delle pratiche fraudolente. Analizzando i profili Instagram degli Influencer di tre nazioni, dal report di Buzzoole emerge che mediamente gli italiani mostrano il 10,5% di follower sospetti (lo scorso anno tale valore era al 23%). Gli statunitensi il 14,4% (contro il 20% della scorsa rilevazione) e i Creator del Regno Unito ben il 32%, addirittura il doppio dello scorso anno.
Valutando le differenti fasce scopriamo che tra i novice si riscontra un valore molto basso di follower sospetti, pari a 5,2%. Al crescere della base di follower si nota un aumento dei fake follower.
Anche le celebrity presentano un quarto della propria base di follower, inficiata da bot e profili falsi. Va precisato che per i personaggi famosi internazionali è più difficile stimare accuratamente la quota di follower fasulli perché la loro notorietà li porta ad avere seguaci in una molteplicità di paesi del mondo.
Tra i settori con più fake follower, infine, il mondo della moda (25% di follower sospetti contro il 34% dello scorso anno). Seguono quelli che si occupano di viaggi e turismo al 20,4% e quelli del Beauty al 15,4%.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/influencer-marketing-kpi.jpg562790Daria D'Acquistohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaria D'Acquisto2020-07-22 11:26:272020-07-23 18:27:42KPI e benchmark per comprendere le performance degli influencer
Quando parliamo di Realtà Aumentata, la mente balza subito al famosissimo gioco Pokémon-Go!
Nintendo ha permesso alle generazioni cresciute con i Pokémon di utilizzare questa tecnologia e di immedesimarsi, tramite l’utilizzo del proprio smartphone, in un allenatore.
Dal 2016 ad oggi, lo sviluppo di questa tecnologia ha fatto passi da gigante. Oggi filtri ed effetti in AR come quelli di Snapchat e di Instagram sono all’ordine del giorno. E forse non ci rendiamo neanche conto che in quel momento stiamo utilizzando questa tecnologia.
Ma come cambierà il nostro modo di utilizzare i Social Media ed i nostri processi di acquisto?
Semplicissimo, la realtà aumentata è una tecnologia che incorpora elementi digitali nella linea di vista effettiva.
Spesso viene confusa con la Realtà Virtuale, ma l’AR non sostituisce la realtà stessa con uno spazio digitale o virtuale. Consente invece di trasformare l’ambiente attuale per offrire un’esperienza più stimolata e migliorata.
La realtà aumentata basa il suo funzionamento sull’integrazione di funzionalità digitali come mappe, icone, emoticon, filtri, tag di posizione ecc. nei riquadri dello schermo.
È tramite le fotocamere e i sensori del telefono come il GPS che un’applicazione o una piattaforma di social media visualizzerà diversi componenti digitali direttamente sullo schermo.
Assisteremo a nuovi contenuti interattivi ed unici
Quando si tratta di AR e social media, non possiamo non menzionare Snapchat.
Questa piattaforma di social media è stata una delle prime a offrire funzionalità di filtri in Realtà Aumentata.
Instagram ha seguito l’esempio e ora offre una gamma di filtri che possono essere aggiunti come storie o immagini.
Le aziende possono utilizzare i filtri con marchio per promuovere facilmente il proprio brand sui social media.
Ad esempio, Taco Bell ha creato un filtro Snapchat con marchio che ha trasformato i volti degli utenti di Snapchat in tacos. Questo strano filtro AR è stato un successo tra gli utenti e ha avuto tonnellate di persone che condividevano versioni di se stesse, tutte con il logo di Taco Bell nell’angolo in basso.
Con la Realtà Aumentata prima lo “Provi” e poi lo acquisti
Anche se ancora ad oggi, molti acquirenti preferiscono provare fisicamente il prodotto prima di procedere all’acquisto, l’AR permette già di “provare” un paio di scarpe o una particolare colorazione di rossetto, senza recarsi nello store.
L’AR offre un ulteriore vantaggio: elimina, infatti, la necessità di avere fisicamente disponibile un ampio inventario per consentire ai clienti di provare o campionare decine o addirittura centinaia di articoli alla ricerca di quello che meglio soddisfa le loro esigenze.
Facebook, in particolare, è un pioniere delle applicazioni AR. La sua offerta di realtà aumentata permette agli utenti di provare digitalmente trucco e accessori: il primo annuncio pubblicitario legato all’AR di Facebook ha permesso ai potenziali clienti di provare occhiali da sole virtuali con l’aiuto della fotocamera del loro dispositivo.
Ma anche l’industria cosmetica è stata entusiasta della realtà aumentata negli ultimi tempi. Marchi come Sephora, L’Oreal e Perfect Corp hanno creato delle partnership per permettere ai loro clienti di vedere come sarebbe il trucco su di loro digitalmente.
La realtà aumentata è particolarmente preziosa per le strategie di vendita online che coinvolgono i cosmetici, poiché i consumatori hanno quasi sempre bisogno di giudicare un determinato articolo di trucco provandolo materialmente addosso.
Un’altra area in cui l’AR ha mostrato il suo enorme potenziale è quella del camerino virtuale. Quando si tratta di acquistare abbigliamento, i camerini sono indispensabili, ma anche il contesto attuale, con l’emergenza Covid, ci sta mostrando tutti i limiti di questo modello. Inoltre, i clienti sono tenuti a portare pile di capi d’abbigliamento nei camerini e poi i dipendenti devono riordinare gli articoli scartati. Oltre a questo, un negozio è limitato dall’inventario a disposizione quando si tratta di offrire ai clienti capi d’abbigliamento da provare.
La realtà aumentata elimina gran parte di questa seccatura, consentendo ai clienti di accedere a una “biblioteca digitale di articoli di abbigliamento” con un semplice tocco delle dita. Marchi come Topshop e Timberland sono stati all’avanguardia nello sviluppo di allestimenti e camerini in AR per dare ai loro clienti un’esperienza virtuale e aiutarli a selezionare gli articoli di abbigliamento.
La realtà aumentata offre alle aziende anche uno strumento per aggiungere un componente digitale ai loro prodotti. I clienti possono scansionare un prodotto o un oggetto per ottenere un’esperienza di AR su misura, sia per ricevere informazioni aggiuntive, sia per fornire una qualche forma di esperienza supplementare legata al marchio.
Starbucks si è rivolta alla realtà aumentata per digitalizzare l’esperienza di visita dei suoi coffee shop. Gli utenti possono scansionare oggetti all’interno del negozio per accedere a un tour virtuale, trasmettendo informazioni aggiuntive per integrare il sito fisico.
In generale possiamo dire che essere in grado di provare virtualmente un prodotto ne offre agli acquirenti un’idea migliore, il che aiuta a rimuovere le esitazioni sull’acquisto.
La combinazione degli annunci sui social media con l’AR potrebbe aumentare le vendite per le attività eCommerce.
In effetti, entro il 2022, secondo Tractica, gli annunci basati su AR attireranno circa 13 miliardi di dollari all’anno.
Conclusione
La realtà aumentata ha il potenziale per cambiare il volto del marketing su diverse piattaforme di social media. Portando l’esperienza del consumatore a un livello completamente diverso.
Ad ogni passo della rivoluzione digitale, la linea di confine tra il mondo virtuale e quello reale diventa meno marcata, e questo rende l’AR parte integrante del social media marketing.
Assicurati di mantenere il tuo gioco sui social media al massimo per sfruttare questa funzionalità e chissà, magari un giorno grazie all’AR, non si dirà più “Guardare ma non toccare”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/Marco-Mantovan-AR.jpg6831024Marco Mantovanhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMarco Mantovan2020-07-21 17:58:252020-07-23 09:25:54Come la Realtà Aumentata cambierà il Social Media Marketing
Il marketing per un business digitale è un processo complesso che coinvolge molte attività correlate. Per ottenere buoni risultati, tutte devono coesistere in armonia ed essere programmate al momento giusto.
Specie per le piccole imprese può essere difficile tenere d’occhio tutto e se si è appena partiti come business online si può essere confusi dalla varietà di necessità da affrontare e di strumenti e canali da utilizzate.
Non preoccuparti! Anche se le attività di marketing possono sembrare moltissime, tutte ruotano attorno a una serie di pietre miliari, nozioni importanti e step fondamentali che sono alla base del digital marketing.
Oggi ne esamineremo insieme cinque essenziali per il successo del business online.
Il marketing dei contenuti è un contenitore enorme e importantissimo alla base praticamente di tutte le attività di digital marketing. Perché?
In primo luogo, perché comporta la creazione di un sito web, che è il perno di qualsiasi attività online. In generale, tutto ciò che si fa online si riduce a guidare il pubblico target verso il sito web, in quanto è da qui che le persone si convertono diventando clienti.
Ma per generare quel traffico, è necessario creare molti più contenuti di accompagnamento che siano rilevanti, interessanti e di valore per il tuo pubblico.
Quali contenuti creare? Ci sono decine di tipi di contenuti che puoi sperimentare per trovare il mix migliore. Solo per fare alcuni esempi, dovresti valutare l’uso di:
testi, che andrebbero sempre ottimizzati in ottica SEO
immagini, che rendono più accattivanti gli articoli
video per coinvolgere le persone in modo rapido e immersivo
documenti (report, guide, etc.) scaricabili, per restare nella memoria dell’utente
webinar, con uno scopo educational
GIF, meme, infografiche: si tratta di materiali molto utili anche per stimolare la condivisione social
#2 Ottimizzazione per i motori di ricerca
Per poter scoprire i tuoi contenuti, questi devono essere attraenti non solo per gli esseri umani, ma anche per i motori di ricerca.
Gli algoritmi di crawling dovrebbero rilevare chiaramente il valore del tuo contenuto per una determinata query di ricerca.
L’ottimizzazione per i motori di ricerca è un’attività di marketing complessa che non avviene dall’oggi al domani. Richiede uno sforzo continuo, pazienza e consapevolezza delle migliori pratiche.
Per portare i tuoi contenuti più in alto nelle SERP dovresti lavorare su:
Ricerca per parola chiave. Utilizza strumenti come il Google Keyword Planner, KeyWords Everywhere o TubeBuddy;
Titolo. Crea titoli avvincenti per articoli, post e video, usando la tua parola chiave;
Descrizioni. Accompagna i tuoi contenuti con una descrizione informativa, stuzzicante e breve. Anche in questo caso è bene usare parole chiave pertinenti.
#3. Promozione a pagamento (advertising)
Investire in attività di marketing a pagamento è probabilmente il modo più rapido per far arrivare il tuo business digitale direttamente davanti agli occhi del tuo target di riferimento. Inoltre, la pubblicità a pagamento è un perfetto terreno di sperimentazione.
Molti marketer usano gli annunci per testare vari formati e scoprire cosa funziona meglio per loro.
Nei tuoi Ads includi sempre CTA convincenti e fai A/B test per capire quali annunci performano meglio.
#4. Email marketing
L’email marketing può essere considerato il pioniere di tutte le attività di marketing digitale così come le conosciamo oggi. Con più di 40 anni di “esperienza” alle spalle, le email portano ancora un eccellente ROI alle aziende e mantengono i marketer concentrati su metriche come tassi di apertura, CTR e corretta segmentazione del pubblico.
Pensa che la primissima grande campagna di email marketing risale al 1978.
Un giovane Gary Thuerk (più noto come il padre dello SPAM) riuscì a portare 13 milioni di dollari di vendite alla Digital Equipment Corp inviando un’email a 400 destinatari come promozione per i computer della sua azienda.
Oggi, naturalmente, battere la concorrenza su questo terreno è un po’ più difficile, ma l’email resta un canale eccellente per raggiungere le persone al momento giusto, con il messaggio giusto e con un elevato grado di creatività.
#5 Social media marketing
Anche se per molte piccole imprese i social media sembrano solo un modo per passare il tempo e divertirsi online, in realtà la gestione dei social media si colloca tra le attività di marketing da prendere più sul serio oggi.
Naturalmente non in termini di contenuti, ma dell’attenzione che prestate a questi canali.
Perché un’azienda dovrebbe puntare sui social media? Per umanizzare il brand e avvicinarsi alle persone online. Le piattaforme social, infatti, sono fatte per una comunicazione più rilassata e naturale. È così che ci si può connettere al proprio pubblico e mostrare la propria vera personalità.
Inoltre, non bisogna dimenticare i numeri. Gli utenti dei social media sono in costante crescita e non smetteranno di farlo. Come puoi vedere in questo grafico di Statista il numero di utenti dei social network nel mondo è destinato ancora a crescere.
La gente passa ogni giorno il suo tempo su Instagram, Facebook, Twitter e altre piattaforme social. Alcuni utenti controllano i loro profili più volte al giorno, saltando da una piattaforma all’altra.
Così, è possibile connettersi con i propri follower proprio qui, proprio ora e conoscere le loro preferenze, le loro preoccupazioni e i loro gusti. E queste sono informazioni preziose per il marketing online.
Crea le milestone per il tuo business digitale
Che tu sia un professionista del marketing esperto o un principiante, potresti essere alla ricerca di modi per migliorare le tue prestazioni.
Sia che parliamo di Content Marketing che di assistenza al cliente, di crescita organica o di promozione a pagamento, il consiglio è quello di programmare con cura ogni step, passando da una fase all’altra in modo graduale, per costruire una presenza di successo online.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/digital-business-milestone.jpg587843Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-07-21 12:30:272020-07-23 14:42:24Le milestone per il successo nel percorso del tuo business digitale
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