La Stanford University ha studiato un nuovo sistema di tracciamento della povertà che combina immagini satellitari e intelligenza artificiale.
Il sistema di AI ha già tracciato con successo il livello di povertà di 20 mila villaggi africani e apre ora nuove possibilità nel contrasto alla povertà nel mondo.
La scoperta potrebbe favorire l’acquisizione di nuovi dati in aree nelle quali sono attualmente mancanti, così come permettere alle organizzazioni di mettere a punto programmi di sviluppo economico più efficaci.
È possibile contrastare la povertà nel mondo attraverso l’intelligenza artificiale? Assolutamente sì, secondo uno studio pubblicato dall’Università di Stanford su Nature Communications. Tracciando i livelli di povertà attraverso i satelliti, uno strumento di AI messo a punto in cinque anni dal celebre ateneo statunitense potrebbe infatti fornire agli studiosi nuove conoscenze utili a favorire lo sviluppo del benessere economico.
Il nuovo tool, pensato dai ricercatori Marshall Burke, David Lobell e Stefano Ermon e testato finora su circa 20 mila villaggi africani, utilizza l’intelligenza artificiale per scansionare le immagini satellitari alla ricerca di segni di sviluppo economico. In particolare, cerca e analizza indicatori quali strade, agricoltura, abitazioni e illuminazione notturna.
A rintracciare in questi dati i modelli di misurazione della ricchezza sono algoritmi di deep learning (apprendimento profondo). Una tecnica che, secondo la definizione dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, si basa su reti neurali artificiali organizzate in diversi strati, ciascuno dei quali calcola i valori per quello successivo affinché l’informazione sia elaborata in modo sempre più completo.
I 20 mila villaggi africani scansionati finora in fase di ricerca si trovano in 23 diversi Paesi di cui si disponevano già dati relativi alla ricchezza. Questo ha permesso di verificare l’efficacia del nuovo strumento di AI, che ha stimato con successo i livelli di povertà dei villaggi nel tempo.
Quello testato dalla Stanford University è quindi semplicemente un modo nuovo di estrapolare dati già in uso? In realtà no. Secondo i ricercatori, il sistema di intelligenza artificiale potrebbe portare almeno due innovazioni nella lotta alla povertà a livello globale.
In primo luogo, identificando modelli di crescita il tool può mostrare perché alcuni luoghi stiano progredendo più di altri. Informazioni che potrebbero quindi aiutare a pensare programmi di sviluppo più mirati, che si adattino alle esigenze peculiari di ciascun luogo.
Inoltre, il nuovo sistema di AI potrebbe misurare il benessere economico in aree delle quali mancano dati affidabili. Una novità non da poco. Come ha spiegato David Lobel a Stanford News infatti “non c’era fino ad ora un metodo valido per capire come la povertà stia cambiando a livello locale in Africa. I censimenti non sono abbastanza frequenti e i sondaggi porta a porta ritornano raramente alle stesse persone”.
Una nuova fase nel contrasto alla povertà nel mondo
I ricercatori prevedono che le agenzie governative e le ONG possano utilizzare il nuovo strumento per capire l’efficacia dei programmi di contrasto alla povertà e destinare i propri progetti a target di persone più specifici. Ma anche se non dovesse mai arrivare nelle loro mani, il sistema di AI potrebbe comunque permettere agli economisti di capire meglio cosa influisce maggiormente sullo sviluppo del benessere economico a livello globale.
Insomma, “se i satelliti possono aiutarci a ricostruire la storia dello sviluppo economico, questo potrebbe aprire molte strade per meglio comprendere e alleviare la povertà”. Può avere inizio una nuova era?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/intelligenza_artificiale_povertà_2.jpg8011200Elisa Bertolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngElisa Bertoli2020-07-09 11:17:152020-07-10 10:57:07L’intelligenza artificiale può aiutarci a sconfiggere la povertà
Post COVID 19: come cambiano le aziende con l’accelerazione digitale. Esempi concreti di quelle che stanno subendo una trasformazione irreversibile
L’eCommerce è la risposta per reagire al ristagno economico dell’Europa
Consigli per lavorare bene in smart working da chi ci lavorava ancor prima della pandemia
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Con l’arrivo del COVID-19 ci siamo ritrovati bloccati, da un giorno all’altro, minacciati da qualcosa che non potevamo prevedere, che non potevamo e non possiamo vedere, ma che era, ed è tutt’ora presente. Abbiamo dovuto cambiare abitudini, uscendo di casa solo se strettamente necessario e per procurarci beni di prima necessità.
Le nostre giornate sono state scandite da ritmi lenti. Noi che correvamo da una parte all’altra della città per lavoro, impegni e aperitivi, abbiamo trascorso mesi chiusi tra 4 mura, a lavorare al PC e la musica che ci accompagnava dai balconi come in un surreale spettacolo che ancora fatichiamo a comprendere.
File chilometriche fuori ai supermercati, locali chiusi, negozi serrati ad eccezione di poche attività. Chi lavora a contatto diretto con le persone, come ha fatto ad andare avanti? Trovando vie alternative. Il bisogno di sopravvivere in un mondo paralizzato ha avuto come conseguenza l’accelerazione digitale in molti settori economici e non solo, cambiando i servizi e il modo di erogarli.
Molti Paesi stanno ripartendo, e quasi tutte le attività si stanno preparando per fare il grande salto verso una po’ di normalità, cercando di andare oltre il punto d’arresto. Tutti noi vi aspiriamo, ripensando al vecchio tran tran quotidiano quasi con malinconia, quando un caffè al bar era un gesto spontaneo e ora ci sembra un atto rivoluzionario.
Nonostante la graduale ripresa, è impossibile non rendersi conto che con il COVID-19 il mondo è cambiato e che intere aziende hanno avviato un processo di accelerazione digitale ormai irreversibile.
L’accelerazione digitale dovuta al COVID-19
Forrester Research Inc., una società di ricerche di mercato americana, sta preparando un rapporto sulle aree tecnologiche che riceveranno investimenti per la digitalizzazione. Secondo Stephen Powers, vice presidente e direttore del gruppo Forrester, possiamo individuare 4 categorie chiave in cui sta avvenendo l’accelerazione digitale:
Gestione dei rischi / crisi relativi allea ziende, dipendenti, fornitori e partner
Tecnologie per la customer experience come chatbot, sistemi di feedback dei clienti e contact center
Tecnologie per la salute e la sicurezza come tracciamento dei contatti e sorveglianza
Esperienza dei dipendenti e strumenti di gestione del capitale umano come piattaforme di contenuto, videoconferenza per la gestione dei contratti e gestione del capitale umano.
Sebbene queste tendenze fossero già ben avviate prima della pandemia, Rob Thomas vicepresidente senior della piattaforma cloud e dati di IBM Corp, ha dichiarato che la crisi ne ha aumentato l’accelerazione digitale prima del previsto.
Le piattaforme di cloud e videoconferenze sono state le più ricercate e utilizzate nel periodo della pandemia per facilitare la comunicazione tra colleghi ma anche per incontrarsi virtualmente con la famiglia e gli amici.
1. Sviluppo software low-code / no-code con l’accelerazione digitale
La necessità di essere veloci e pronti è stata la molla che ha fatto scattare gli sviluppatori a ricorre a nuove applicazione da lanciare sul mercato. Le piattaforme di sviluppo low-code e no-code, che utilizzano componenti visivi e costruzioni drag-and-drop per sviluppare software rapidamente, erano già avviati e a buon punto prima che iniziasse la pandemia. La tecnologia low code permette di adattare e soddisfare le richieste mentre avvengono.
Lo scorso anno Forrester aveva previsto che questa tipologia di codici avrebbe fatturato, entro il 2022, più di 20 miliardi di dollari, mentre Gartner sostiene che saranno scelti per programmare dal 65% degli sviluppatori entro il 2024. Qualche esempio?
1.1 Esempi di software in low code
AirDev LLC ha creato un’applicazione per una catena scozzese di ristoranti che sostituisce le ordinazioni segnate solitamente dai camerieri con un’app. Il software è stato realizzato in meno di una settimana. Il CEO di AirDev, Andrew Haller ha dichiarato che sfruttando i nuovi codici al posto della programmazione convenzionale, realizzano e chiudono lavori in una, massimo 4 settimane, invece che i soliti, minimo, 3 mesi
VantIQ Inc., produttore di una piattaforma di applicazioni real time ha visto una crescita delle opportunità legate al settore della sicurezza. Uno dei suoi partner sta sviluppando un’app di distanziamento sociale per i negozi al dettaglio che consente ai clienti di effettuare prenotazioni in modo che gli acquirenti non debbano attendere troppo tempo.
Inesa Co. Ltd. sta sviluppando un’applicazione per ascensori smart per tenere traccia delle metriche di salute di chi li utilizza e un altro partner sta lavorando a un’applicazione che fornisce gestione dei rischi, della quarantena, monitoraggio e instradamento intelligente delle persone negli ospedali. Le applicazioni per monitorare il movimento delle persone sono richiestissime, e sono quelle per cui la domanda crescerà sempre di più.
Appian Corp. ha utilizzato la propria piattaforma low code per creare e lanciare tre applicazioni in due mesi per aiutare le aziende a far fronte alla crisi, consentendo alle organizzazioni di garantire un ritorno sicuro a lavoro. La città di San Antonio, in Texas, ha utilizzato una piattaforma di Mendix Tech BV per accelerare l’elaborazione delle domande di noleggio, ipoteca, utilità e trasferimento. L’app è stata realizzata in 12 giorni.
2. Vendita al dettaglio ma in digitale
Con la chiusura della maggior parte delle attività commerciali, milioni di persone si sono precipitate a effettuare acquisti sul web. Non solo chi era solito farle ha aumentato la frequenza di acquisto, ma anche chi non aveva mai provato l’ebrezza di fare shopping nel cyberspazio ha cominciato a prenderci gusto.
Un sondaggio di Forrester evidenzia che nel mese di Aprile su 1.122 intervistati, il 21% ha dichiarato di aver acquistato generi alimentari online per la prima volta e il 41% sta acquistando più prodotti online rispetto al passato. Sempre nei mesi precedenti, le catene di negozi di Stati Uniti e Canada hanno visto un aumento dell’80% delle vendite online rispetto all’anno precedente. Il numero di acquisti per la prima volta sui siti di e-commerce dei rivenditori sono aumentati del 119%.
E ancora, una società di consulenza aziendale West Monroe Partners LLC ha effettuato delle interviste a 150 dirigenti di medie e grande imprese, dimostrando che un terzo di queste attività si sta reinventando grazie all’acquisizione di nuove competenze online, sfruttando l’ondata dell’accelerazione digitale.
Credits: wearesocial.com
2.1 La vendita al dettaglio resiste
Anche se il COVID-19 ha temporaneamente rallentato la vendita al dettaglio, non significa che stia scomparendo. Swerdlow ha dichiarato che il 45% degli acquirenti vuole riprendere le consuete abitudini d’acquisto. I rivenditori devono tener conto di questo aspetto, perché per quanto ci sia stata un’impennata degli acquisti online, i consumatori vogliono tornare ad acquistare nei negozi. Ciò significa che dobbiamo aspettarci un futuro ibrido che combina elementi sia virtuali che fisici.
In primis si prevede un implemento delle innovazioni nello shopping in “touchless”, come accade nei negozi di alimentari senza cassiere di Amazon, con tecnologie che permettono alle persone di scansionare i codici a barre per la consegna in lotti anziché prelevare gli articoli dagli scaffali. Sono cose che già esistono, è vero, ma assisteremo a una vera e proprio aumento di questi servizi.
Anche gli spazi subiscono delle modifiche. Le aziende stanno investendo di più nella costruzione di relazioni one-to-one su siti web che in negozio. Powerfront Inc., produttore di una piattaforma di chat e di messaggistica live per rivenditori online, ha ampliato lo sviluppo della sua funzione Video Assistant, che consente al personale di offrire assistenza ai clienti, come dimostrazioni dei prodotti da remoto. I rivenditori devono attrezzarsi sempre di più su come vendere senza l’utilizzo di un luogo fisico.
3. Chatbot e robot protagonisti dell’accelerazione digitale
Strumenti come chatbot e altri supporti informativi hanno colmato con grande successo il problema dei call center decimati da assenze e malattie. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità e i Centri per il controllo delle malattie hanno adottato chatbot per rispondere a milioni di domande. Molti siti web governativi stanno facendo la stessa cosa.
Research and Markets Ltd. prevede che il mercato globale dei chatbot crescerà di circa il 30% all’anno, raggiungendo 9,4 miliardi di dollari entro il 2024.
Attualmente i chatbot vengono utilizzati per rispondere rapidamente a domande generiche o per risolvere reclami, ma è probabile che la loro presenza si espanderà a nuove aree. Nel mondo post-pandemia diventeranno portali digitali per l’assistenza sanitaria interattiva, aiutando i pazienti a trovare un medico o un servizio, pianificare appuntamenti, facilitare il controllo dei sintomi, condurre il triage nelle cure di emergenza, preparare le procedure e seguire le istruzioni post dimissione.
3.1 Automazione e robotica
La difficoltà che le aziende hanno dovuto assumere per lavori in ambienti rischiosi come magazzini e negozi al dettaglio alimenterà un trend di investimento già forte nella robotica. Mordor Intelligence LLP prevede che il mercato crescerà del 25% ogni anno fino al 2025.
Pring di Cognizant fa un’affermazione che fa riflettere, ossia che nel post- COVID sarà molto più facile ottenere un prestito da una banca per investire in un robot piuttosto che assumere altre quattro o cinque persone per la propria attività. Inoltre si prevede che la robotica sarà sempre più utilizzata in compiti amministrativi.
Amazon ha fatto la sua seconda acquisizione di un’azienda robotica l’anno scorso, acquistando lo sviluppatore di veicoli autonomi Canvas Technology LLC. Inoltre sta sperimentando autonomamente veicoli e droni per alimentare la sua vasta rete di distribuzione.
Wal-Mart Stores Inc. utilizza robot per pulire i pavimenti e McDonald’s Corp. vuole sperimentarli sempre di più per svolgere diverse mansioni. I robot in Corea del Sud sono stati utilizzati per misurare le temperature e distribuire disinfettante per le mani. JD Logistics, una filiale del colosso cinese dell’e-commerce JD.com, ha utilizzato veicoli autonomi per consegnare pacchi agli ospedali di Wuhan, evitando il contatto fisico durante lo scoppio del contagio. I robot hanno utilizzato la tecnologia di riconoscimento facciale per convalidare l’identità dei destinatari.
Non dobbiamo sottovalutare la tendenze per cui le persone preferiranno andare in un posto che ha meno lavoratori e più macchine perché si sentono di poter ridurre il rischio di contagio, ha detto giustamente Martin Ford alla BBC.
4. L’affermarsi della telemedicina con l’accelerazione digitale
La telemedicina è l’evoluzione digitale dei servizi sanitari. Facilita la comunicazione tra medici e pazienti ed era già previsto che avrebbe fatturato 130 miliardi di dollari entro il 2025.
Durante la pandemia poi ha visto un incremento del suo utilizzo del 500% e ciò vuol dire che l’assistenza sanitaria da remoto diventerà mainstream più velocemente del previsto grazie all’accelerazione digitale. Un consulto medico virtuale sarà il primo passo, seguito da quello di persona, ha detto Pring di Cognizant.
La società di software per la sanità Epic Systems Corp. ha realizzato la propria piattaforma di telehealth in poche settimane. Cosa fa? Consente ai provider di avviare una visita video con un paziente, rivederne la storia clinica e aggiornandone la documentazione direttamente dall’app Epic.
Il COVID-19 ha costretto le aziende ad interagire con le persone senza doverle vedere di persona, ma a distanza, implementando nuove soluzioni prima del previsto. In California la società di software medica Heal Inc. sta lanciando un nuovo servizio che consentirà a coloro che ne hanno bisogno di consultare uno psicologo tramite una videochat.
La nuova app di Vecna Technologies Inc. sta avendo molto successo per lo snellimento delle pratiche burocratiche sulla registrazione dei pazienti. Una serie di procedure che prima richiedevano l’interazione faccia a faccia.
5. L’importanza degli open software
Sebbene le licenze open source siano in circolazione da oltre 30 anni, durante la pandemia sono state utilizzate per creare servizi in ogni campo. Codici liberi, open-source e gli account di cloud computing che molti fornitori hanno reso disponibili durante la pandemia hanno permesso lo sviluppo di applicazioni per qualsiasi cosa, dalla traccia dei contatti alla ricerca virale.
Github,un servizio di hosting per progetti software, elenca oltre 27.000 repository di progetti open source relativi a COVID-19, tra cui: Coronavirus Tracker, che presenta visualizzazioni dell’epidemia globale utilizzando un repository di dati aperto gestito dalla Johns Hopkins University, e COVID-19 Scenarios, una dashboard di analisi per modellare le traiettorie dell’epidemia e la domanda ospedaliera.
5.1 Solidarietà digitale e open source
Il designer di user interface Michele Memoli ha realizzato, nel suo tempo libero, un’app per tracciare i contatti anonimi e l’ha aperta su GitHub. L’app automatizza la registrazione delle informazioni di contatto, avvisa le persone di una famiglia o di un gruppo se qualcuno si ammala e calcola i livelli di rischio in base ai contatti effettuati dagli utenti, preservando la privacy. Costruito con un budget pari a zero, il software utilizza un database grafico backend donato da Neo4j Inc. e un account di web hosting gratuito da Digital Ocean Inc. Memoli ha scritto il codice di base sul framework open source Gatsby.js con i linguaggi di query GraphQL e Cypher di Neo4j. Ha pubblicato il progetto in un canale Slack e circa una dozzina di collaboratori sono intervenuti per aiutarlo. Il codice open source e la collaborazione globale hanno dato vita a questo incredibile progetto in poche settimane.
Postman Inc., che commercializza un ambiente di sviluppo API, ad esempio, ha raccolto un ampio elenco di database a cui gli sviluppatori possono collegarsi. IBM ha rilasciato una versione del suo IBM Watson Assistant for Citizens specificamente indirizzato alle inchieste COVID-19 e sta lavorando con numerose organizzazioni governative su implementazioni personalizzate. Lo sviluppatore di software di riconoscimento vocale Deepgram Inc. ha donato 1 milione di dollari di riconoscimento vocale automatico agli operatori sanitari da utilizzare nel corso del prossimo anno.
Google LLC sta rendendo disponibile gratuitamente un repository ospitato di set di dati pubblici relativi alla pandemia sulla sua piattaforma cloud per query e formazione linguistica. Anche Amazon Web Services Inc. ha una risorsa simile, così come Microsoft Corp.
6. Sicurezza zero-trust
La sicurezza zero-trust ribalta le tradizionali difese perimetrali supponendo che nessuno e nulla siano attendibili. I dispositivi e gli utenti devono fornire un’ulteriore prova dell’identità quando accedono a informazioni sempre più sensibili, anche se sono già connessi alla rete. Con milioni di persone che si connettono alle reti aziendali da casa, utilizzando apparecchiature sconosciute alle loro organizzazioni IT, molte aziende stanno rivalutando la propria sicurezza informatica.
Un approccio zero trust offre un ulteriore livello di protezione contro visitatori sconosciuti. Può anche aiutare a proteggersi dai difetti di nuove app che vengono lanciate nella produzione per far fronte alla pandemia senza il solito rigore di sicurezza.
McAfee LLC ha registrato un aumento del 50% nel numero di porte Remote Desktop Protocol esposte a Internet, che consentono l’accesso esterno a una rete a causa di sistemi online con controlli di sicurezza minimi.
Barracuda Networks Inc. ha dichiarato di aver registrato nel mese di Marzo un picco del 667% negli attacchi di phishing relativi a COVID. Un sondaggio di Pulse Secure LLC ha scoperto che solo il 4% delle aziende ha implementato la segmentazione della rete e le pratiche di autenticazione a più fattori, mentre il 69% prevede di farlo in futuro.
7. Database di prossima generazione
Gli strumenti per tracciare e contenere il virus hanno tutti una cosa in comune: i dati.
Applicazioni su come tracciare i dati e ricavarne le informazioni necessarie fanno aumentare la domanda di nuovi motori di database in grado di funzionare su vasta scala. L’interesse è particolarmente elevato nei database di grafici, che sono ottimali per il monitoraggio delle relazioni. Il mercato raddoppierà i guadagni ogni anno per almeno i prossimi due anni, ha sottolineato Gartner all’inizio del 2019.
Lo sviluppatore del motore grafico Neo4j Inc. ha creato COVID-19-Community, un’applicazione di tracciamento dei contatti di crowdsourcing, che utilizza il monitoraggio del telefono cellulare per identificare rapidamente gli utenti che sono entrati in un hotspot e per avvisare gli operatori sanitari.
Un’applicazione sviluppata per l’annuale Graphs4Good GraphHack della società, denominata Project Domino, monitora i post di Twitter di COVID-19 per contrassegnare le truffe, tracciare la disinformazione clinica e infine aiutare i responsabili politici a comprendere la conformità del comportamento e la non conformità tra demografia e regioni.
TigerGraph Inc. offre un kit gratuito ai funzionari governativi e sanitari che viene fornito con un set di dati di esempio, schema e query che possono essere utilizzati per rilevare i centri di infezione e tenere traccia dei movimenti di potenziali spargitori.
La pandemia sta anche alimentando la domanda di motori di database in tempo reale e cosiddetti translytical, che possono eseguire calcoli analitici sui dati di produzione senza perdere troppo tempo.
8. Il cloud computing è fondamentale
Una tendenza già ben collaudata e affermata da tempo e che sta avendo un forte implemento con l’accelerazione digitale è quella di riunire tutti i dati in cloud. Gartner ha previsto che il 75% di tutti i database aziendali sarà distribuito o migrato su una piattaforma cloud entro il 2022.
Oltre ai vantaggi di disponibilità e scalabilità, le piattaforme cloud hanno anche il beneficio di una portata globale. Clemens Mewald di Databricks ha sottolineato l’importanza della raccolta dati e delle esigenze da parte delle aziende di avere software ideali per avere l’erogazione di servizi sempre reperibili e nello stesso posto. Dopo l’esperienza di questa pandemia, ci rendiamo sempre più conto che il cloud è vitale.
Le imprese europee hanno bisogno di e-commerce per superare la recessione
In Europa l’epidemia di Coronavirus ha avviato la corsa verso la digitalizzazione degli acquisti, grazie all’accelerazione digitale in molti settori, anche se è stata una strada molto lenta fino a poco tempo fa.Secondo Eurostat, solo il 17% delle aziende con 249 o meno dipendenti vende online. Per aiutare ad accelerare la transizione, verranno destinati dei fondi, un pacchetto salvataggio con 750 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture tra cui: intelligenza artificiale, dati, cloud e reti mobili 5G.
Il vicepresidente della Banca centrale europea, Luis de Guindos ha chiaramente espresso che è necessario investire nella digitalizzazione delle aziende per renderle più competitive.Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia dell’UE si ridurrà quest’anno del 7,1%. Le aziende che sono attive digitalmente hanno avuto più vantaggi durante la pandemia e continueranno ad averne poiché le restrizioni di distanza sociale limiteranno le interazioni quotidiane anche nei prossimi mesi.
Lucia Cusmano che è a capo della divisione PMI e imprenditorialità dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico afferma infatti che ci sono prove concrete che le aziende che erano già abilitate digitalmente, anche con l’uso base di piattaforme o strumenti, stanno affrontando meglio la crisi.Gli economisti della Banca centrale spagnola dichiarano che durante la pandemia gli acquisti online sono saliti al 22% rispetto al precedente 15%.
Cosa possiamo imparare da chi lavorava già da remoto
Per chi non fosse abituato a lavorare da casa, gli ultimi mesi devono essere sembrati davvero terribili. Non tutti erano pronti e disponevano degli strumenti giusti, e presto ci siamo dovuti abituare allo smart working, che in realtà il nostro non lo è stato davvero, ma aveva solo alcune caratteristiche in comune con esso. Ci sono state persone che non hanno avuto modo di gestire adeguatamente il carico di lavoro, anzi hanno avuto l’impressione di aver lavorato il doppio rispetto ai ritmi a cui erano abituati in ufficio. C’è però anche chi può ritenersi soddisfatto e vorrebbe continuare il proprio lavoro in questo modo.
Con più aziende che vogliono convertisti allo smart working e permettere il lavoro a distanza, è tempo di fare un nuovo passaggio con la possibilità che diventi una realtà a lungo termine grazie all’accelerazione digitale che sta investendo il mondo del lavoro. Per prepararsi a questo possibile scenario, bisogna tenere a mente alcune cose e imparare da chi già lavorava da remoto.
I team che lavorano in posti diversi sono più espliciti nello stabilire processi e norme di gestione. In un ufficio tanti punti non vengono delineati. Chi lavora da remoto documenta tramite un plan gli obiettivi raggiunti e i compiti che deve ancora completare per mostrarli al proprio superiore e ai colleghi.
Adattare gli strumenti di comunicazione al messaggio
Le procedure per le comunicazioni devono essere chiare. Strumenti altamente interattivi come le videoconferenze tendono ad essere stancanti, mentre le interazioni su app come Slack sono brevi e mirate. I team dovrebbero stabilire abitudini sane e sostenibili per prevenire il burnout causato da un eccessivo tempo trascorso su Zoom e piattaforme simili. Si potrebbero utilizzare le videochiamate per le riunioni del team, su Slack lasciarsi andare a qualche chiacchiere libera durante il giorno e usare le mail per decisioni o istruzioni importanti.
Per le comunicazioni urgenti dopo l’orario di chiusura, molti team hanno come regola quella di chiamare o inviare messaggi, quindi nessuno si aspetta che un dipendente controlli costantemente la posta elettronica. Ciò dà a tutti la possibilità di disconnettersi.
Essere flessibile e trasparente sulla pianificazione
Lavorando in home working possiamo stabilire i nostri orari e quando essere reperibili. Considerando che durante il lockdown bisognava gestire anche la presenza di bambini e varie esigenze personali, non tutti potevano essere presenti nello stesso orario. È importante dare ai lavoratori la possibilità di definire le proprie ore ed essere flessibili e trasparenti sulla pianificazioni dei plan.
Fare attenzione quando l’ufficio si riapre
Stiamo assistendo ad un graduale ritorno in ufficio e questo potrebbe comportare una sorta di esclusione non volontaria per chi invece sta ancora lavorando da casa. Man mano che i luoghi di lavoro iniziano a riaprire, una comunicazione chiara diventerà più importante per far funzionare i team senza intoppi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/3622110.jpg6671000Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2020-07-08 16:54:042021-01-05 15:47:40Accelerazione digitale e Post COVID-19: come si evolveranno le tecnologie
Fare Digital PR significa avere competenze digitali diffuse in un’ottica T-shaped.
Nella cassetta degli attrezzi dello specialista di Digital PR non possono mancare conoscenze su social media, influencer marketing, SEO, media relations online e web reputation.
Le Digital PR hanno radici nelle PR tradizionali ma sono proiettate verso scenari digitali complessi.
Vi dò subito una buona notizia: le PR non sono morte, anzi.
Si stanno soltanto evolvendo, contaminandosi sempre di più con aree contingenti con cui iniziano sempre di più a condividere il budget di marketing delle aziende. In particolare, quando parliamo di media digitali, il nome giusto è Digital PR – cioè l’insieme di tutte le attività volte a raccontarsi ai propri stakeholder attraverso di essi.
Una figura che da tempo è tra le più richieste delle aziende, ma che come abbiamo visto diventerà sempre più fondamentale.
Ma come si diventa specialista di Digital PR? Quali sono le competenze principali?
Innanzitutto è importante tenere presente che si tratta di una professione che ha un’anima strategica, perché deve essere in grado di tenere le fila di tutte le attività di relazione facendole funzionare in sincronia. Un lavoro di coordinamento e dunque spesso manageriale in cui però, molte volte, il professionista delle Digital PR deve essere in grado di dare un contributo specialistico. SEO, social, analisi dei dati, media relations: la parola chiave è T-shaped. Cosa significa? La parte superiore della T si riferisce alla capacità di collaborare con esperti di altre discipline e alla volontà di utilizzare le conoscenze acquisite da questa collaborazione, mentre la barra verticale della T si riferisce alla conoscenza e all’esperienza in un particolare settore.
Non c’è più una divisione netta tra aree – e sebbene sia necessario portare valore con una specializzazione precisa, bisogna aver dimestichezza con tutti gli strumenti strategici a disposizione per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Vediamo quindi cosa non può mancare nella cassetta degli attrezzi del 2020 per il Digital PR Specialist.
Modern business woman or young successful working on laptop computer while sitting at coffee shop interior, female student sitting in university library with net-book, internet distance work concept
Social Media Marketing
I social media continuano ad essere un asset di comunicazione fondamentale e il modo in cui i brand interagiscono con la loro audience continuerà ad evolversi. I paid media, gli earned media, e gli shared Media e gli owned media sono i tutti i canali a disposizione del professionista delle Digital PR secondo il PESO model – e i social offrono possibilità incredibili in tutti e quattro i sensi.
È fondamentale dunque conoscere le dinamiche e i paradigmi dei principali social network (Facebook, Instagram, Linkedin, Twitter, TikTok) per sviluppare dei contenuti efficaci per il tipo di audience verso cui i messaggi sono diretti. Saper impostare un piano editoriale, capire quali sono i formati più ingaggianti e che Tone of Voice usare, ma anche avvicinare gli utenti al brand con gli User Generated Content: queste e altre competenze non possono più mancare a chiunque si occupi di comunicazione nel 2020.
Con il crollo della reach organica è inoltre sempre più importante capire come raggiungere le persone attraverso l’advertising. Sapere, in primis, come funziona l’ecosistema pubblicitario di Facebook – come impostare le campagne nel modo corretto, come intercettare le persone giuste e come misurare i risultati delle attività attraverso l’analisi dei dati.
In un periodo di incertezza come quello attuale le pagine e i profili social dei brand costituiscono il punto di riferimento principale per costruire relazioni con le persone (e dunque il canale principale attraverso il quale comunicare i key message).
Sempre rimanendo nell’ecosistema social, è ormai scontato parlare dell’importanza degli influencer.
Basti pensare alla crescita del loro ruolo sociale sempre più riconosciuto durante il lockdown: in una recente ricerca dell’Osservatorio Influencer Marketing è emerso che il 52% degli intervistati ha eseguito un’azione proposta da un influencer. Fondamentale è stato il loro ruolo anche per le donazioni, per le quali la ricerca afferma che la capacità di attivazione è aumentata del +14% rispetto ai mesi precedenti.
Usare l’influencer marketing della propria strategia di PR è dunque sempre più importante, ma potrebbe rivelarsi anche un boomerang. Un caso recente è per esempio quello tra Zweb Tv e Andrea Pinna: l’influencer era tra gli oltre 16 ambassador che la nuova social tv ha ingaggiato per i suoi contenuti, ma la collaborazione si è interrotta a seguito della pubblicazione da parte di lui di un meme razzista che aveva come protagonista George Floyd.
Un post condiviso da ZWeb Tv (@zweb.tv) in data: 20 Giu 2020 alle ore 10:19 PDT
La scelta della persona giusta per promuovere il brand e trasmettere i nostri messaggi non può più solo basarsi sul numero di followers. Lo specialista delle Digital PR deve essere in grado di destreggiarsi nella giungla dei profili su Instagram (ma anche su Facebook, Twitter, TikTok) per trovare gli influencer giusti più adatti per la comunicazione strategica e più aderenti con i valori del brand. Ma non solo: deve essere bravo a creare, gestire e curare le relazioni per generare progetti di valore per le aziende.
Media Relation online
La prima delle attività di PR a trasformarsi è stata quella delle media relation: con l’avvento dell’editoria digitale ha dovuto confrontarsi con nuovi paradigmi di comunicazione e notiziabilità, cambiando il modo in cui l’ufficio stampa tradizionale era abituato a muoversi.
Per questo motivo quando si parla di Digital PR si tende a identificare il tutto con questa parte, che però costituisce solo una delle leve di cui disponiamo per raggiungere gli obiettivi strategici.
Sapersi relazionare con i media e diffondere i key message attraverso di essi resta comunque una delle attività più importanti, anche nel 2020.
I consumatori sono infatti ancora molto influenzati dalle informazioni di una fonte terza e imparziale e – sebbene le attività di marketing diano un impulso forte all’awareness – in molti casi al momento di prendere decisioni di acquisto si fideranno molto di più di giornalisti e blogger.
Inoltre le media relation permettono di aumentare la credibilità del brand e di conferirgli autorevolezza nel settore, incentivando la fiducia delle persone e quindi i risultati di business.
In termini di crescita spesso questa attività può dare un boost molto importante anche in una fase iniziale, allargando la audience ad un ritmo molto più veloce di quanto sarebbero in grado di fare i soli owned media dell’azienda.
Un altro aspetto fondamentale delle Digital PR con i media è la loro sostenibilità. In tutti quei momenti in cui la sola pianificazione dei contenuti non sarà sufficiente, saranno le relazioni solide e di valore con giornalisti e blogger a fare la differenza – e a salvare la strategia di comunicazione.
Uno specialista delle Digital PR non può più essere a digiuno riguardo il funzionamento della Search Engine Optimization e del motore di ricerca più utilizzato rispetto ai suoi obiettivi (in Italia è Google, ma non vale per tutti i Paesi!).
Lo scopo è risultare rilevanti sia per i lettori che per l’algoritmo: la strada non è più l’autoreferenzialità, ma la produzione di contenuti informativi e utili per gli utenti. Uno dei mantra della comunicazione moderna – dal design alle PR – dovrebbe essere quello di incontrare i bisogni delle persone. E per riuscirci dobbiamo essere lì dove le persone hanno bisogno di noi, cioè in primis dove ci stanno già cercando.
Saper scrivere news release per il web con tecniche di SEO copywriting è una delle skill da avere sicuramente nella cassetta degli attrezzi, capace di generare un vantaggio competitivo nel mercato del lavoro attuale.
Oltre a questo, il Digital PR Specialist deve essere familiare con il Link Earning, inteso come l’attività di implementare interventi specifici su media selezionati per la generazione di contenuti su misura, che veicolano link utili per l’indicizzazione.
Social Listening e Web Reputation Management
Mai come oggi per i brand è fondamentale ascoltare il web per conoscere bene il proprio target, misurare il volume e la qualità delle conversazioni che avvengono attorno ai temi più strategici.
Grazie al social listening e al web reputation management è possibile capire come si viene percepiti, a cosa si viene associati, quali sono i temi di discussione più importanti su cui ci si vuole posizionare.
Chi si occupa di Digital PR nel 2020 ha la possibilità di sfruttare il grande potere dei Big Data per ottenere insight strategici finora inaccessibili, grazie all’uso di tool e piattaforme (senza essere un Data Scientist). Le informazioni strategiche raccolte nelle conversazioni online e gli opinion leader diventano così dei veri e propri asset di comunicazione che ci permettono di analizzare lo scenario competitivo, prevedere crisi di comunicazione, gestire la reputazione aziendale.
Una professione, dunque, che affonda le sue radici nella cultura e tradizione delle relazioni pubbliche, ma allo stesso tempo proiettata verso scenari digitali complessi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/digital-pr.jpg478562Carol Verdehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCarol Verde2020-07-08 12:30:352020-07-08 17:32:375 competenze che devi avere se vuoi fare Digital PR
La nuova edizione dello studio Donare 3.0, condotto da BVA Doxa con PayPal Italia e Rete del Dono, conferma la crescita della preferenza degli italiani per le donazioni online.
In netta crescita rispetto al 2018 le donazioni da mobile, mentre l’uso del pc è in calo.
Sempre meno gli italiani diffidenti nei confronti delle donazioni online, ma in molti casi le organizzazioni non profit non prevedono questa modalità di raccolta fondi.
Quanto il fenomeno delle donazioni è diffuso nella popolazione internauta italiana? Quali sono i driver e le barriere a uno sviluppo più strutturato dell’online? Quali le abitudini e gli atteggiamenti attuali e futuri degli onliners?
A queste e a tante altre domande risponde per la sesta volta lo studio Donare 3.0, condotto da Doxa per conto di PayPal Italia e Rete del Dono. Una ricerca quantitativa effettuata a partire da mille interviste somministrate a internauti italiani di età compresa tra i 18 e i 64 anni, più 30 interviste qualitative individuali a millennials.
In crescita le donazioni da mobile e da parte dei millennial
Sono circa 34 milioni gli italiani che si collegano a internet utilizzando smartphone o tablet, e spendendovi in media circa 2 ore al giorno. Ma quanti di questi utenti effettuano donazioni? Secondo i risultati dello studio Donare 3.0, anche nel 2019 il trend è in crescita.
Più di 8 intervistati su 10 (82%) affermano infatti di aver effettuato donazioni nel 2019. Tra i donatori più attivi troviamo i baby boomer (87%), seguiti dalla generazione X (82%) e dai millennial (79%), in forte crescita rispetto allo scorso anno.
In crescita la donazione online (22%), che si conferma come la seconda modalità più utilizzata dopo il denaro in contanti (40%). Crescono i donatori “saltuari” (40%), con molti più italiani che scelgono di effettuare una donazione in occasioni particolari.
In netta crescita rispetto al 2018 anche la donazione da mobile, che viene preferita dal 36% degli italiani. L’uso del pc per le donazioni scende invece dal 60% del biennio 2017/2018 al 46% del 2019, sintomo questo del passaggio sempre più marcato all’utilizzo degli smartphone.
“I dati raccolti e analizzati dimostrano bene come l’attenzione degli italiani alla solidarietà sia stabile e in costante crescita. Siamoconvinti che il mobile sia il mezzo perfetto per stimolare sempre di più questa sensibilità, aggiungendosi al contatto diretto con le associazioni come principale modalità d’interazione e offrendo quella possibilità di semplificare e velocizzare le donazioni” – Maria Teresa Minotti, Director PayPal Italia.
La ricerca e i dati rilevati durante il 2019 da Donare 3.0 mostrano inoltre che le singole modalità di donazione rimangono pressoché stabili. Per la donazione online, in particolare, PayPal e carte di credito restano i metodi di gran lunga più utilizzati.
L’importanza della donor journey per gli under 40
“Gli onliner si confermano donatori. Non solo, il crowdfunding torna a crescere con un 19% degli intervistati che conferma di aver donato per una campagna di crowdfunding”, spiega Valeria Vitali, fondatrice di Rete del Dono. “Molto interessante anche l’esito della ricerca qualitativa, frutto di interviste rivolte a un pool di donatori e prospect donatori under 40. I giovani donatori non si limitano al dono, sono alla ricerca di una relazione più profonda con l’organizzazione destinataria del loro gesto di solidarietà. Donano nella misura in cui trovano spazio per dialogo, trasparenza e chiarezza sul progetto destinatario della raccolta fondi in cui sono stati coinvolti. Ciò conferma che lavorare in un’ottica di donor journey fa la differenza. Chi dona vuole entrare nel merito ed essere coinvolto in prima persona”.
Rimane alta per tutti l’attenzione sull’utilizzo dei fondi raccolti. Il 71% degli italiani intervistati dalla ricerca Donare 3.0 afferma infatti di non prendere in considerazione enti che non permettono loro di verificare come vengano utilizzate le donazioni e i risultati raggiunti grazie ad esse.
Il futuro post Covid-19 è sempre più digital
Per le donazioni online continuano a calare le barriere da parte dei donatori stessi, ma è così anche per le organizzazioni non profit? Il rischio che corre il terzo settore è quello di non essere pronto a includere questi trend nelle proprie strategie di fundraising. Lo studio stesso mostra che nel 37% dei casi i navigatori non si fidano a donare online, ma nel 43% è l’organizzazione che vorrebbero sostenere a non prevedere questa modalità di raccolta fondi.
“Il 2019 ha mostrato segnali molto incoraggianti verso il mondo della donazione”, conclude Antonio Filoni, Partner&Head of Digital di BVA DOXA. “Di rilievo è soprattutto la crescita dell’online come metodo di donazione che dimostra come il digitale possa davvero essere uno strumento strategico, da affiancare ai tradizionali strumenti di raccolta e di comunicazione. L’anno 2020, con quello che è accaduto a causa del Covid-19, potrà dare un’ulteriore spinta alla digitalizzazione della popolazione. È importante che anche il terzo settore segua in modo deciso questa direzione”.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/campagna_social_per_no_profit_3.jpg8101296Elisa Bertolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngElisa Bertoli2020-07-08 11:23:442020-07-08 17:18:46Gli italiani preferiscono il fundraising digitale (lo dice il report)
Tutto può essere di tutti, l’economia della condivisione ha rivoluzionato il mondo dei consumi e del possesso.
Fiducia, tecnologia e smartphone danno vita ad un’esplosione delle reti. Ma cosa succede se proprio la fiducia viene messa in discussione a causa dei timori legati alla pandemia Covid-19?
Ritorno all’essenza della condivisione e mobilità green saranno i trend che caratterizzeranno il futuro della sharing economy.
“What’s mine is yours”. No, non è un testamento, né uno slogan pubblicitario. Si tratta invece dello zeitgeist degli anni dieci di questo secolo, durante i quali la condivisione ha rivoluzionato il mondo dei consumi.
Ed è il titolo del libro di Rachel Botsman – What’s mine is yours, the rise of collaborative economy – guru della condivisione e tra le venti migliori speaker al mondo secondo Monocle.
È lei una delle prime ad intuire, prima ancora dell’esplosione di Airbnb e Blablacar, che la crisi finanziaria del 2009, partita da Wall Street e arrivata a stravolgere la quotidianità dei cittadini dall’altra parte del mondo, avrebbe lasciato un segno molto profondo, destinato non solo a trasformare l’economia globale, ma anche il comportamento dei consumatori stessi.
Mrs Botsman intuisce che i millennial, diversamente dalle vecchie generazioni, utilizzano il cellulare come un vero e proprio telecomando per il mondo. Lo smartphone è un mezzo per avere accesso a ciò di cui si ha bisogno: una stanza su Airbnb o una bici per il bike sharing.
Questo tipo di approccio, basato sulla gratificazione istantanea a richiesta è molto in linea con l’idea di accesso a prodotti e servizi che, nella cosiddetta sharing economy, si sostituisce all’idea di possesso.
Oltre ad un ritrovato senso di comunità, l’economia collaborativa mette al centro la fiducia, vero e proprio collante sociale che, mixato con la tecnologia, dà vita ad una vera e propria esplosione delle reti.
Complici le risorse ridotte, oggi andiamo contro tutte le raccomandazioni dei genitori: si sale in macchina con sconosciuti, si esce con persone conosciute online, si affitta un posto letto a casa di qualcuno che non si è mai visto prima.
Nuovi meccanismi abilitati dal digitale ci portano a fidarci di persone e aziende. Questo trend si potrebbe definire un passaggio epocale dalla cosiddetta “institutional trust” alla “distributed trust”.
Ma cosa succede se questa “distributed trust” viene improvvisamente messa in discussione, come è accaduto durante la pandemia del Coronavirus?
Sharing or not sharing?
Si, perché fino a qualche mese fa “condividere” era la parola chiave.
Oggi, complice la paura dei contagi, la condivisione non è poi così scontata. E il distanziamento sociale non supporta fiducia e apertura verso l’altro.
Le restrizioni, ma soprattutto i timori legati alla pandemia Covid-19 hanno enormemente limitato i viaggi, gli spostamenti e, più in generale, la voglia delle persone di usare e condividere qualcosa di già usato da altri.
La fiducia nell’altro viene meno e i colossi dell’economia condivisa, quali Uber e Airbnb, ne risentono. Nessuno avrebbe mai pensato che potessero essere così fragili.
Solo poco fa Uber aveva sollevato proteste non da poco e scatenato l’ira dei tassisti delle principali città italiane.
Oggi l’azienda ha dovuto tagliare 3.700 posti di lavoro, salvandosi con la consegna del cibo, cresciuta dell’89% rispetto allo scorso anno, ma questo non riesce a coprire le perdite del resto delle attività.
1.900 i tagli delle occupazioni per Airbnb, che dimezza anche le previsioni di guadagno annuali e rinuncia alla quotazione in borsa, inizialmente prevista durante il 2020.
Lyft, rivale di Uber negli USA, taglia il 17% degli impiegati.
Colossi dell’economia condivisa che, all’apice del loro successo, erano valutati complessivamente più di cento miliardi di dollari.
Si pensava che Airbnb e Uber avrebbero raggiunto la quotazione più alta di sempre per le start-up tech. Ma, anche poco prima del COVID-19, le stelle della sharing economy avevano già iniziato a spegnersi: Uber, ad esempio, aveva bisogno di contributi economici esterni.
Quando l’emergenza sanitaria ha ridotto le aziende all’inattività, si parlava già di attenzione alla redditività e dell’importanza di ridurre i costi.
Continua ad essere una questione di fiducia. E le aziende stanno cercando di riconvertire le proprie attività per innescare nuovamente alcuni meccanismi che accendono la “distributed trust”.
Bird, azienda operante nella micro mobilità, assicura che gli scooter siano regolarmente sottoposti “a bagno” e Airbnb istruisce bene gli host su come pulire le stanze. Basterà? La certezza è il cambio delle abitudini per i consumatori.
I viaggi brevi verso le grandi metropoli saranno sostituiti da mete più vicine a casa e per un tempo più lungo.
Auto e scooter saranno preferibili rispetto ai trasporti pubblici. E, a seguito del ritorno alla quasi normalità, si riscontrano già segnali in questo senso: le corse sugli scooter Bird, ad esempio, sono del 50% più lunghe rispetto a prima della pandemia.
Vi è inoltre la volontà di ritornare all’essenza della condivisione, come ha sottolineato Chesky, capo di Airbnb.
In effetti, l’azienda si sta concentrando sugli host, che offrono in affitto abitazioni private proprie, piuttosto che sui professionisti che gestiscono proprietà immobiliari.
Olio, azienda London based, riporta l’economia della condivisione alle sue radici. In effetti, l’azienda ha come obiettivo la riduzione dello spreco alimentare e consente ai suoi utenti di condividere con i vicini il cibo e altri prodotti di cui non hanno più bisogno.
Dopo aver modificato il servizio, introducendo consegne senza contatto fisico, le condivisioni sono aumentate del 50% per il cibo e del 200% per gli altri prodotti.
C’è un altro campo della sharing economy che non ha risentito delle scosse della pandemia: è green ed è su due ruote.
In Cina, a quattro mesi dal contagio, l’utilizzo di monopattini e bike è aumentato del 150%.
Sembra che il futuro della sharing economy non sarà nero, ma sicuramente green e cavalcherà i trend e i valori riscoperti durante il lockdown.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/sharing-economy-2.jpg450691Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-07-07 14:40:462020-07-08 17:35:56Cosa ne sarà della sharing economy dopo il Covid-19?
Questo articolo è stato scritto da Marianna Nash – Contributor, Think with Google
Non sorprende che il settore dell’online gaming stia andando molto bene in questo momento di crisi. In tutto il mondo si contavano già 2,5 miliardi di giocatori. Ora che le persone cercano modi per passare il tempo e socializzare in tutta sicurezza restando a casa, il mondo dei giochi online sta attirando molti nuovi utenti.
E in questo clima i professionisti del marketing non sono rimasti con le mani in mano. Hanno risposto alla situazione ripensando le loro strategie pubblicitarie, aggiornando i sistemi per i messaggi e i posizionamenti e addirittura introducendo nuove funzionalità per rendere più divertenti i giochi da fare in casa.
Ecco quindi qual è il comportamento dei consumatori, i trend relativi al gaming in tutto il mondo e il loro significato per chi opera all’interno e all’esterno di questo settore.
Ricerche per trovare ispirazione per l’online gaming
Per affrontare questo periodo di incertezze, sfuggire alla monotonia ed entrare in contatto con gli altri durante la quarantena, le persone cercano nuove esperienze virtuali. Non tutti sono giocatori e infatti molti di questi si avvicinano al mondo del gaming per la prima volta, pertanto cercano attivamente spunti di ispirazione.
Le ricerche ci consentono di capire in che modo gli utenti vogliono trascorrere il loro tempo e riflettono un andamento crescente dell’interesse per il settore dei giochi online. Il mese scorso, le ricerche di “app di gaming” sono aumentate di oltre il 100% in una sola settimana.
Più in generale, le ricerche di “best online games” (migliori giochi online) hanno registrato un incremento del 100% rispetto all’anno precedente. Inoltre, tra il 35% e il 44% dei partecipanti a un sondaggio in 14 Paesi ha dichiarato di aver scaricato un’app di gioco o per l’attività fisica e il benessere nell’ultima settimana.
Anche le visualizzazioni di giochi in streaming stanno aumentando. Oltre a giocare insieme, le persone stanno creando community online con un tasso di partecipazione elevato su piattaforme che consentono di guardare e commentare in tempo reale.
Nell’ambito della campagna di YouTube Resta a casa #con me, ad esempio, i creator stanno semplificando il modo in cui entrare in contatto con gli utenti invitando i fan a giocare con loro.
L’interesse di ricerca su YouTube per il “gaming” è quasi raddoppiato dall’anno scorso. Questa crescita è coerente con i dati rilevati da Nielsen, che dimostrano che la fruizione di video in streaming negli Stati Uniti è aumentata durante tutte le ore del giorno grazie anche al live streaming legato al gaming.
Per i responsabili marketing, puntare su questi appassionati potrebbe essere una scelta saggia, senza dimenticare tuttavia che la scoperta avviene su un’ampia serie di canali. Per raggiungere gli utenti con maggiori probabilità di effettuare un download, è bene valutare la possibilità di utilizzare le campagne per app per promuovere giochi su YouTube, Google Play Store e altre destinazioni chiave, ad esempio.
Anche i professionisti del marketing che non operano nel settore del gaming possono valutare di riassegnare la loro spesa pubblicitaria verso questo pubblico, dato che nelle ultime settimane le app di giochi per dispositivi mobili hanno registrato un maggior tasso di coinvolgimento.
I giochi online favoriscono il contatto sociale a distanza
I giochi consentono a milioni di persone in tutto il mondo di entrare in contatto tra di loro ogni giorno. Che si tratti di condividere suggerimenti su YouTube o di trovare modi creativi per giocare, le persone cercano esperienze virtuali che consentano loro di rafforzare le relazioni esistenti e crearne di nuove.
L’interesse di ricerca per la query “online games to play with friends” (giochi online da fare con gli amici) ha subito un incremento di 20 volte tra febbraio e marzo, il che indica che le persone cercano giochi che possono fare con amici e familiari.
Anche l’interesse di ricerca per “multiplayer video games” (videogiochi multigiocatore) è aumentato rapidamente alla fine di marzo.
I professionisti del marketing nel settore dei giochi devono stare al passo con le tendenze relative ai giochi online e monitorare le proprie metriche per comprendere meglio cosa si aspettano le persone dal gaming.
Ad esempio, segmentando il pubblico in base ai nuovi trend, i marketer potrebbero rivolgersi specificamente a coloro che cercano creatività accattivanti a livello visivo mettendo in evidenza gli aspetti social dei giochi.
Altri, potrebbero anche pensare a come creare una community: secondo Edelman, l’83% dei consumatori afferma di volere che i brand mettano in contatto le persone e le aiutino a rimanere emotivamente vicine.
Personalizzare il messaggio in base al momento
Per i brand, è sempre stato fondamentale creare una corrispondenza tra il tono utilizzato e il contesto, ma questo aspetto non è mai stato così importante come lo è ora, in un mercato in rapida evoluzione.
Lo stesso studio di Edelman indica che l’89% dei consumatori che hanno partecipato al sondaggio vorrebbe che i brand offrissero prodotti gratuiti o a prezzi ribassati per gli operatori sanitari. Questo è un aspetto importante che dovrebbero considerare tutti i brand, ma soprattutto quelli nella posizione di poter dare un contributo.
La società sviluppatrice di giochiPlaydotssta collaborando con Frontline Foods e ha donato $10.000 a questo ente di beneficenza che supporta i ristoranti locali acquistando pasti da consegnare agli operatori sanitari. Uno dei suoi giochi, Two Dots, include all’interno dell’app un evento del tipo caccia al tesoro con contenuti di branding e messaggi che incoraggiano i giocatori a donare. I giocatori hanno anche la possibilità di competere per l’esclusiva medaglia “Selfless Silverware”.
I professionisti del marketing nel gaming possono rispondere meglio alle aspettative del loro crescente pubblico raggiungendo gli utenti tramite i canali giusti, tenendo sotto controllo le esigenze dei consumatori emergenti e aggiornando le strategie per il posizionamento e le creatività in risposta a quanto hanno appreso.
Anche gli inserzionisti che operano all’esterno del settore dei giochi online devono valutare in che modo possono trasmettere un autentico senso di comunità attorno a ciò che offrono. Inoltre, se non l’hanno già fatto, devono pensare a come raggiungere questo pubblico in rapida crescita, altamente coinvolto e con sete di contenuti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2016/10/videogiochi-mai-usciti-storie-di-impresa.jpg640960Think with Googlehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngThink with Google2020-07-06 15:49:112020-07-08 17:31:00Cosa possono imparare i professionisti del marketing dalle strategie efficaci per l'online gaming
Oltre il 66% degli acquirenti ormai cerca direttamente nuovi prodotti su Amazon senza passare da Google. Ciò significa: se i tuoi prodotti non si posizionano bene, perdi davvero parecchio potenziale di vendita.
Il posizionamento di un prodotto è determinato da un algoritmo chiamato “A9”. Ecco cosa sapere.
Fare SEO su Amazon significa ottimizzare le schede dei tuoi prodotti affinché vengano visualizzate nella parte superiore dei risultati di ricerca di Amazon (per tutte le parole chiave pertinenti)
Amazon SEO = Ottimizzazione degli elenchi prodotti = posizionamenti migliori = Più visibilità = Più vendite
Proprio come su Google, gli acquirenti su Amazon inseriscono una parola chiave per trovare ciò che stanno cercando e proprio come su Google, gli utenti fanno principalmente click sui primi risultati e raramente fanno click su un prodotto nella seconda, terza o qualsiasi altra pagina (torna la storia del dove nascondere il cadavere!).
Se vendi su Amazon, ciò significa che un buon posizionamento su Amazon rappresenta il fattore di successo più importante per la tua attività: più alto sei, più vendi! Detta senza mezzi termini.
Se il tuo prodotto si posiziona a pagina 3 o peggio ancora, è improbabile che tu possa vendere qualcosa. Inoltre, oltre il 66% degli acquirenti ormai cerca direttamente nuovi prodotti su Amazon senza passare da Google. Ciò significa: se i tuoi prodotti non si posizionano bene, perdi davvero parecchio potenziale di vendita!
Il posizionamento di un prodotto è determinato da un algoritmo chiamato “A9”(abbreviazione di “algoritmo”). Poiché questo algoritmo decide fondamentalmente il destino del tuo successo su Amazon, vediamo di imparare a capirlo meglio, io stesso ammetto che l’ho troppo trascurato, ma mi rendo conto che sempre di più i clienti sono interessati a questo servizio piuttosto che il posizionamento su Google.
Passaggio 1: le parole chiave determinano se il tuo prodotto si posiziona su Amazon
Nel primo passaggio, Amazon filtra tutti i prodotti che non sono rilevanti per la query di ricerca del cliente, osservando le parole chiave.
Se un prodotto non contiene tutte le parole chiave della query di ricerca, non può essere visualizzato nei risultati della ricerca (vedi perché è fondamentale aggiungere tutte le parole chiave pertinenti al tuo prodotto).
Questo passaggio è importante perché riduce drasticamente il numero di prodotti che Amazon deve ordinare in base alla probabilità di acquisto.
Passaggio 2: le prestazioni determinano il posizionamento dei tuoi prodotti su Amazon
Nel secondo passaggio, Amazon determina la probabilità di acquisto per i prodotti rimanenti e li classifica in un ordine specifico (ad esempio il ranking di Amazon). Per fare ciò, Amazon esamina le prestazioni dei prodotti.
Le prestazioni sono misurate dal CTR (percentuale di click nei risultati di ricerca), dal CR (tasso di conversione nella pagina del prodotto) e in particolare dalle vendite. Questi sono KPI significativi per Amazon in quanto rappresentano i passaggi che gli utenti devono adottare per acquistare un prodotto.
Amazon esamina questi KPI a un livello specifico di una parola chiave: un iPhone, ad esempio, avrà CTR, CR e vendite diversi per le parole chiave “iphone” e “smartphone”.
Per migliorare le tue metriche di CTR, CR e vendite e migliorare i tuoi posizionamenti, puoi utilizzare una varietà di leve, come immagini dei prodotti, gestione delle recensioni e Amazon PPC.
Una volta che le persone trovano il tuo prodotto e lo considerano pertinente, probabilmente fanno click e lo acquistano. Più persone fanno click e acquistano il prodotto, più generoso sarà l’algoritmo A9 nei tuoi confronti. Più alto è il tuo ranking dei prodotti, più persone lo compreranno.
Questo slancio, a sua volta, aiuterà i tuoi posizionamenti e ti consentirà anche di investire più risorse in iniziative di marketing per guidare le tue vendite.
Questo processo e questa strategia possono formare un volano che si autoalimenta tra posizionamenti, vendite e strategie di marketing che miglioreranno le tue vendite.
Guida dettagliata per ottimizzare i tuoi elenchi di prodotti Amazon
Ora che hai visto come funziona l’algoritmo di ranking Amazon (A9), ci sporchiamo le mani e diamo un’occhiata a cosa puoi fare per ottimizzare la tua scheda.
Copriremo ogni passaggio che devi compiere dalla creazione della tua scheda per assicurarci che salga in cima dopo che è stata pubblicata e che rimanga lì.
Crea contenuti ottimali per la tua inserzione Amazon
Cominciamo con il primo passo: creare e migliorare i tuoi contenuti. Ciò significa ottimizzare il contenuto scheda e le immagini del prodotto.
Amazon funziona come un normale motore di ricerca, quindi l’ottimizzazione dei contenuti migliorerà la percentuale di click (CTR) nei risultati di ricerca e il tasso di conversione (CR) nella pagina del prodotto. Sia CTR che CR aumentano le vendite e, quindi, migliorano il tuo posizionamento.
Inoltre, tutte le campagne PPC o altre misure di marketing che generano traffico verso una pagina del prodotto avranno più successo se hanno ottimizzato il contenuto del prodotto al loro interno.
Pertanto, l’ottimizzazione delle schede dei prodotti dovrebbe essere sempre il primo passo per migliorare il posizionamento su Amazon.
Come funziona il Ranking Algorithm (A9)?
Con milioni di prodotti tra cui scegliere, gli acquirenti eseguono centinaia di milioni di query di ricerca su Amazon ogni mese.
Per ogni singola query di ricerca, Amazon deve decidere – entro pochi millisecondi – quale delle centinaia di milioni di prodotti mostrerà nella posizione di posizionamento numero 1, numero 2, ecc.
Quali fattori prende in considerazione Amazon per risolvere questa sfida molto complessa?
Amazon posiziona i prodotti in base alla probabilità di acquisto.
Tieni presente che tre parti si incontrano su Amazon: un acquirente, un venditore e Amazon.
Gli acquirenti vengono su Amazon per un solo motivo: vogliono acquistare! Questo intento di ricerca rappresenta un importante contrasto con la logica di Google.
Quando un utente digita “iPhone” in Google, non è chiaro l’intento di ricerca dell’utente. Infatti potrebbe voler acquistare un iPhone, ma potrebbe anche essere alla ricerca di un’immagine di un iPhone da utilizzare in una presentazione.
Come ottimizzare le parole chiave per Amazon SEO
Nel primo passaggio, hai scritto la tua scheda e creato contenuti convincenti sul prodotto per convincere i clienti a fare click e acquistare il prodotto. I tuoi contenuti miglioreranno le prestazioni del tuo prodotto e miglioreranno le sue classifiche.
Ma aspetta, non c’era un altro elemento essenziale? Esatto – parole chiave. Le parole chiave giuste consentiranno al tuo prodotto di apparire nei risultati di ricerca in primo luogo. Quindi ora, nel secondo passaggio, aggiungiamo alcune parole chiave alla tua scheda e le ottimizziamo.
Come fare la ricerca di parole chiave di Amazon
Ricorda: gli acquirenti possono trovare il tuo prodotto su Amazon solo se la pagina del prodotto contiene tutte le parole chiave utilizzate dagli acquirenti nella loro ricerca. Il tuo primo passo nell’ottimizzazione delle parole chiave è quindi quello di identificare tutte le parole chiave pertinenti. Ecco alcune tecniche e strumenti per farlo.
Completamento automatico Amazon
Quando inserisci una parola chiave nella casella di ricerca di Amazon, il completamento automatico suggerisce i termini di ricerca che i clienti di Amazon usano frequentemente.
Lista dei competitor
Analizza le schede dei tuoi concorrenti per trovare una serie di parole chiave pertinenti. Per fare ciò, inserisci una delle parole chiave principali per il tuo prodotto nella ricerca di Amazon e analizza i migliori prodotti nei risultati di ricerca.
Recensioni dei clienti
Dai un’occhiata da vicino agli acquirenti delle recensioni lasciati sul tuo e su prodotti simili. Scoprirai i termini esatti utilizzati dagli acquirenti per descrivere il tuo prodotto.
La prossima domanda importante è: dove devo mettere le parole chiave?
L’algoritmo A9 di Amazon esamina le parole chiave in vari campi nella scheda di prodotto per determinare se il tuo prodotto può essere visualizzato per il termine di ricerca di un acquirente. Se il tuo prodotto può essere visualizzato nei risultati di ricerca per una parola chiave specifica, il tuo prodotto viene indicizzato per questa parola chiave.
Diamo un’occhiata più da vicino a come Amazon tratta le parole chiave in ciascuno di quei campi nella tua scheda di prodotto.
Ponderazione dei diversi campi: importa dove metto le mie parole chiave per la SEO su Amazon?
I campi dell’elenco prodotti (titolo, punti elenco, descrizione, parole chiave back-end, ecc.) venivano ponderati in modo diverso nell’algoritmo di classificazione di Amazon. Amazon ha rimosso questa ponderazione successivamente nell’ottobre 2018.
Attualmente, i campi sono ponderati equamente. Non importa dove inserisci le parole chiave, purché si trovino in un campo indicizzato.
Brand
Anche se il tuo marchio è indicizzato come parola chiave, non varia (e non può) variare tra le schede di prodotto e, pertanto, non offre opportunità di ottimizzazione.
Titolo
Il titolo, corrispondente al tag title, del prodotto è di fondamentale importanza. Utilizza le Guide di Amazon specifiche per categoria per determinare la lunghezza corretta del titolo per il tuo prodotto.
Assicurati di farlo bene: Amazon rifiuta i titoli troppo lunghi e addirittura elimina le inserzioni in determinate circostanze. In questo caso, il prodotto non appare più nei risultati della ricerca.
Punti elenco (aspetti salienti)
In alcune categorie, Amazon indicizza solo i primi 1000 byte (spazi inclusi) come somma tra tutti i punti elenco. Le parole chiave dopo questa soglia non vengono indicizzate.
Il testo dovrebbe essere comunque più breve: mantiene i punti elenco leggibili ed evita effetti negativi sul tasso di conversione.
Il mio consiglio: utilizzare un massimo di 200 byte per punto elenco per garantire l’indicizzazione completa e un buon tasso di conversione.
Descrizione del prodotto
L’indicizzazione o meno di una descrizione del prodotto dipende dalla categoria del prodotto.
In alcune categorie, i prodotti possono essere trovati tramite tutte le parole chiave nella descrizione del prodotto. Nella maggior parte delle categorie, tuttavia, vale quanto segue:
un prodotto NON appare nei risultati di ricerca quando i clienti cercano singole parole chiave dalla descrizione del prodotto.
Un prodotto appare nei risultati della ricerca quando
a) i clienti cercano due o più parole chiave dalla descrizione del prodotto che si trovano uno vicino all’altro o
b) i clienti cercano una parola chiave dalla descrizione del prodotto E almeno altre due parole chiave da uno o più campi indicizzati (ad es. titolo, punti elenco, parole chiave back-end).
La descrizione del prodotto è quindi un luogo eccellente per aggiungere parole chiave a coda lunga.
Su Amazon, dicevamo, c’è solo un intento dietro ogni query di ricerca: acquistare il prodotto.
I venditori, d’altra parte, usano Amazon anche per un solo motivo: vogliono vendere!
Infine, Amazon vuole generare entrate, ma Amazon farà soldi solo se ha luogo una vendita (Amazon riceve una commissione del 15% da un venditore o incassa il margine da un fornitore).
L’obiettivo di Amazon, quindi, è quello di costruire un algoritmo che aumenti il numero di transazioni. Per raggiungere questo obiettivo, Amazon posiziona il prodotto che gli acquirenti hanno maggiori probabilità di acquistare immediatamente senza indurre in esitazione il potenziale acquirente.
In altre parole: Amazon deve posizionare tutti i prodotti in base alla probabilità di acquisto.
Parole chiave e rendimento determinano il ranking di Amazon e la probabilità di acquisto
Amazon dunque posiziona i prodotti in base alla probabilità di acquisto. Questo mi fa sorgere una domanda alias dubbio: in che modo Amazon determina la probabilità di acquisto?
Sembra accadere in pochi secondi per l’utente, ma dietro le quinte, la verifica della probabilità di acquisto è una sfida assai complessa.
Ricorda: ci sono centinaia di milioni di prodotti e centinaia di milioni di query di ricerca. La probabilità di acquisto di un prodotto varia per ogni query di ricerca.
Di conseguenza, Amazon deve determinare la probabilità di acquisto non solo per ogni prodotto, ma per ogni combinazione di prodotto e query di ricerca.
Per affrontare questa sfida e ben posizionare i prodotti, Amazon esegue un processo in due fasi.
Testo persuasivo che vende: come scrivere la migliore scheda prodotto per la SEO su Amazon
Concentrati sull’ottimizzazione del seguente contenuto della scheda prodotto per Amazon in ottica SEO:
Titolo del prodotto (tag title) massimo 200 caratteri
Punti elenco a.k.a Punti salienti a.k.a. Attributi
Descrizione del prodotto (metadrescription)
Ulteriori informazioni sul prodotto
Contenuto avanzato del brand (venditori) e contenuto A + (fornitori)
Obiettivo numero uno: essere scelto come “Amazon’s Choice”
Il successo SEO su Amazon si riduce alla conoscenza di ciò che l’algoritmo di Amazon vuole da te come venditore, il che alla fine si riduce a rendere felici i clienti di Amazon stesso, detto banalmente. La pagina del prodotto può essere ottimizzata in vari modi, ma tutti si riducono a due fattori principali: pertinenza e prestazioni.
Se ottimizzi tenendo presente questi grandi fattori, alla fine dovresti vedere il movimento nella giusta direzione per quanto riguarda i posizionamenti nella ricerca, i tassi di conversione e le vendite.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/01/amazon-paamento-rateale-3.jpg644989Gaetano Romeohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGaetano Romeo2020-07-06 12:00:412020-07-08 17:30:48Come fare SEO su Amazon (e ottimizzare le schede prodotto)
Le routine quotidiane non sono un limite ma ci permettono di diventare più produttivi.
Ecco un elenco completo di quelle per migliorare se stessi e raggiungere i propri obiettivi.
Facciamo progetti continuamente. Quando scriviamo la lista della spesa, o creiamo una wish list per il nostro compleanno piena di oggetti che probabilmente non acquisteremo mai. Ci impegniamo a stendere un elenco di buoni propositi come svegliarsi presto la mattina per andare a correre, imparare una nuova lingua, ma rimandiamo tutto a data da destinarsi. Perché? Ci sono tanti motivi, un po’ è perché abbiamo paura di non essere abbastanza bravi a fare qualcosa di nuovo, a volte è semplicemente pigrizia.
Una soluzione per iniziare a fare davvero cose nuove potrebbe essere cambiare il nostro punto di vista e stabilire delle routine quotidiane.
Il lato positivo delle routine quotidiane
Approcciarsi diversamente alla quotidianità sdoganando l’accezione negativa che diamo al termine routine e provare a determinare le nostre abitudini secondo le proprie necessità, desideri e obiettivi. Cosa vogliamo realizzare?
Routine quotidiane, una top 20 da seguire per diventare più produttivi
1. Rispettare il ritmo circadiano
Sembra scontato, ma il nostro corpo ci comunica quando è il momento di dormire, svegliarsi, mangiare e persino fare esercizio fisico. Ci aiuta anche a capire quali sono le ore più produttive per noi. Sapendo questo, saremo in grado di dormire bene e pianificare le nostre giornate secondo i nostri ritmi.
Avete presente quando impostiamo la sveglia alle 6 per alzarci alle 7 ma prima delle 8 non ci muoviamo dal letto? Evitiamo lo snooze e configuriamo la sveglia direttamente al giusto orario. Lo snooze non fa altro che interrompere il ciclo di sonno e, a lungo andare, potrebbe causare una prolungata sensazione di stanchezza durante il giorno.
L’89% delle persone che hanno imparato a conoscere il proprio ritmo sonno-veglia, riesce a essere più efficiente durante la giornata. Inoltre non è detto che tutti dobbiamo svegliarci presto, magari c’è chi è più creativo nelle ore buie. Dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo, senza pretese.
2. Evitare device digitali appena svegli
Jim Kwik, esperto di performance cerebrali, suggerisce di evitare contatti con il proprio smartphone appena svegli per almeno un’ora. Per quale motivo? Ci sono due aspetti da non sottovalutare. Al risveglio, il nostro cervello è molto ricettivo.
Usare il cellulare rilascia dopamina, una sostanza che regola il piacere. Se utilizziamo lo smartphone appena svegli, il nostro cervello la recepisce e tendiamo a distarci. La nostra produttività verrà compromessa perché nel momento in cui ci sentiamo annoiati o abbiamo qualche compito difficile da svolgere, la nostra mente andrà alla ricerca di una piccola e fugace distrazione, e il telefono sarà la prima cosa a cui ci rivolgeremo. Di conseguenza, invece di metterci a lavoro, resteremo incollati ai nostri device.
L’altro aspetto negativo è quello di bombardare subito il cervello con mail di lavoro, e notizie negative. Tutto questo stress digitale non fa bene alla mente, che si sente subito sovraccaricata. Meglio iniziare la giornata con una nota positiva. Diamo il tempo al nostro corpo di carburare e sviluppare le proprie difese naturali per affrontare un nuovo giorno.
3. Fare una colazione sana
Tra le routine quotidiane, non possiamo dimenticare una delle prime regole che ci hanno insegnato da bambini: mai saltare la colazione. Ciò non significa che dobbiamo rimpinzarci di ciambelle e cornetti, o accontentarci di una semplice tazzina di caffè. L’ideale è optare per qualcosa di sano. Se volete provare una colazione diversa, scegliete come primo pasto la frutta, un avocado o dei centrifugati verdi.
Un’altra cosa che tendiamo a tralasciare è l’idratazione. Niente risveglia il cervello al mattino come un bel bicchiere d’acqua a stomaco vuoto. Sapevate che le persone disidratate non riescono a svolgere bene compiti che richiedono elaborazioni complesse o molta attenzione? La disidratazione comporta stanchezza, riduzione di concentrazione e rallenta l’esecuzione anche dei compiti più semplici.
4. Rifare il letto ogni mattina
Fare il letto ogni mattina è un ottimo modo per iniziare la giornata in modo produttivo. Pensateci, è il primo compito che portiamo a termine durante la giornata, e questo ci incoraggerà a farne un altro, e poi un altro ancora. Non dimentichiamo di aggiungerla tra le nostre routine quotidiane.
5. Meditare e respirare
La meditazione ci consente di fare una pausa e immergerci nella quiete prima che inizi la frenesia quotidiana. Non riduce solo lo stress, ma aiuta anche ad acquisire padronanza della mente, rendendo più facile mantenere la concentrazione e dire no alle distrazioni.
Un ricercatore di Harvard ha scoperto che l’attività cerebrale nelle persone che hanno imparato a mediare è rimasta stabile, anche durante le attività quotidiane. Non sapete da dove iniziare? Provate a concentrarvi 5 minuti sul vostro respiro. A piccoli passi.
6. Fare esercizio fisico
L’attività fisica è un toccasana per corpo e mente. Aumenta il flusso sanguigno in tutto il corpo, caricando il cervello con energia e ossigeno in più.
Se abbiamo la possibilità di allenarci all’aperto, possiamo fare una camminata veloce al parco, prima d’iniziare a lavorare. Gli spazi verdi inebriano il cervello con una boccata d’aria fresca, favorendo la contemplazione e la concentrazione.
La neuroscienziata Wendy Suzuki nel suo discorso su TEDWomen afferma che un singolo allenamento aumenta immediatamente i livelli di neurotrasmettitori come dopamina, serotonina e noradrenalina. Ciò aumenterà il nostro umore subito dopo l’esercizio fisico. Un singolo workout può migliorare la capacità di spostare e focalizzare l’attenzione, e incrementare la messa a fuoco per almeno due ore.
Sfruttiamo il momento del post allenamento, dedichiamo quel tempo a qualche attività più complessa, mentre il nostro cervello è al massimo delle prestazioni.
7. Carta e penna alla mano
Nel libro “The Artist’s Way”, Julia Cameron ci svela un segreto immancabile tra le nostre routine quotidiane: scrivere appena svegli. Con il suo metodo, Morning Pages, ci suggerisce di scrivere 750 parole, circa 3 pagine, per sfruttare al massimo la nostra creatività e il libero pensiero, prima che il nostro critico interiore ci bacchetti, limitandoci.
Stendiamo tutto ciò che ci viene in mente, diamo sfogo ai nostri flussi di coscienza, preferiamo carta e inchiostro invece che il solito laptop. La scienza mostra che la scrittura a mano libera la creatività e attiva regioni del cervello simili alla meditazione. Ci servirà a eliminare il disordine mentale per far spazio alla nostra vena artistica. Possiamo anche impostare un timer, scrivendo per 20 -30 minuti. Diamoci la possibilità di districare i blocchi creativi senza la pressione della perfezione, alimentando anche nuove idee.
Un altro esempio di utilizzare la scrittura? Scriviamo i nostri obiettivi per allinearci con essi. Se non riusciamo a realizzarci, ripetiamoceli come un mantra, fissiamoli nella mente e su carta. Ci servirà per concentrarci di più, rilasciando il pensiero positivo.
Leggere un libro è un momento intimo, un riconnettersi con la propria anima esplorando mondi sconosciuti attraverso il potere delle storie e della narrazione. Stimola le idee, amplia gli orizzonti.
Riduce lo stress, espande le nostre conoscenze e migliora le funzioni cerebrali come memoria e concentrazione. Possiamo leggere al risveglio per almeno 10 minuti, o prima di addormentarci, se preferiamo. Ovviamente durante la giornata, quante volte vogliamo. Portiamo sempre con noi un libro, magari in borsa, da sfogliare durante un tragitto sui mezzi, o nelle sale d’attesa.
9. Pianificare le giornate
Siamo pieni d’impegni, ci districhiamo tra vita privata e lavorativa, e se non pianifichiamo il nostro tempo ci ritroveremo a correre da un punto all’altro senza capire perché. Quali sono le nostre priorità? Stabiliamo una tabella di marcia con una lista di cose da fare giorno per giorno. Teniamo presente le scadenze da rispettare, e gli impegni già programmati.
Non dimentichiamo però i nostri desideri cercando di non dare peso esclusivamente al dovere, ma anche al piacere. Focalizziamoci sulle cose che contano davvero per noi.
10. Affrontare il compito più difficile appena svegli
Capita di avere giornate più leggere e altre davvero terribili. Per affrontare al meglio un bad day, cominciamo dal compito più difficile, quello che ci tedia dalla sera prima, che non ci ha fatto chiudere occhio. Tra le routine quotidiane non dobbiamo dimenticare quella di approcciarci subito a esso, quando siamo più vigili ed energici, di solito entro le prime ore dal risveglio.
Dopo aver portato a termine una grossa fatica, avremo quella sensazione di sentirci soddisfatti e realizzati per tutto il resto della giornata.
11. Concedersi del tempo per sé stessi
Tendiamo a dimenticare la cosa più importante che riguarda la nostra vita: prenderci cura di noi stessi. Così infervorati a fare qualsiasi attività, ci trascuriamo, costringendoci a vivere quasi per inerzia.
Una delle cose che questo periodo di lockdown ci ha insegnato è rallentare. Tutti noi abbiamo bisogno di dedicare del tempo alla cura di noi stessi, di sentirci libri di fare quello che amiamo e qualche volta di non fare assolutamente nulla.
12. Essere grati
Tra le routine quotidiane più appagante che possiamo annoverare, c’è sicuramente la gratitudine.
È stato scoperto che coloro che trascorrono cinque minuti a scrivere ciò di cui sono grati hanno aumentato il loro senso di benessere del 10%. E come abbiamo già sottolineato, quando si è di buon umore, si diventa più produttivi.
13. Coltivare le amicizie
Le connessioni sociali, quelle vere, hanno il potere di aumentare la felicità, l’impegno e uno stile di vita più sano.
Siamo esseri umani, abbiamo bisogno di socializzare, condividere pensieri e opinioni con gli altri.
14. Scandire i tempi per le attività quotidiane
Definire i limiti di tempo per svolgere diverse attività durante la giornata è importante.
Tutti abbiamo delle preferenze, magari vorremmo dedicarci più alla lettura dell’ultima raccolta di racconti di Stephen King piuttosto che cucinare, ma cerchiamo di ritagliare degli spazi per poter fare tutto, scoprendo, perché no, nuove passioni.
15. Organizzare lo spazio di lavoro
Prima di mettersi a lavoro, diamo uno sguardo alla nostra postazione. Se non riusciamo a scorgere nulla perché ogni cosa è sepolta dalle scartoffie, è il caso di mettere ordine sulla nostra scrivania. Il disordine per quanto possa essere incarnare il fascino dell’artista in fibrillazione creativa, è ridondante. Confonde.
Non dobbiamo trasformarci in maniaci dell’ordine, è chiaro, ma solo organizzare il nostro spazio per non andare alla deriva.
16. Non siamo il nostro lavoro
Il lavoro non ci definisce, fa parte della nostra vita, ma non è tutta la nostra ragione d’essere.
Lavorare ed essere concentrati sulla propria carriera è importante, ma non possiamo far girare il nostro mondo intorno ad essa. Dopo aver staccato, che sia dall’ufficio o dal proprio PC, è il momento di passare ad altro.
17. Riflettere sulla propria giornata (da soli o con qualcuno)
Alla fine di una lunga giornata, prima di andare a dormire, prendiamoci del tempo per riflettere. Cosa abbiamo fatto di buono? Cosa ci ha gratificato e cosa invece abbiamo sbagliato?
Ripercorrere cosa è accaduto, da soli ma anche con qualcuno di cui ci fidiamo, è importante ed è una delle routine quotidiane più motivanti che ci sia. Ci sprona ad impegnarci di più, giorno dopo giorno, e ci permette di riconoscere i nostri limiti, insegnandoci a superarli, ma anche a complimentarsi con noi stessi per i risultati ottenuti.
18. Disinnestare
Joel Gascoigne, fondatore e CEO di Buffer, fa qualcosa che lo aiuta a liberarsi completamente dal lavoro. Una passeggiata di 20 minuti ogni sera prima di andare a letto.
Ognuno di noi dovrebbe trovare il proprio metodo per staccare da tutto, scaricarsi dai pensieri e sentirsi leggero, dimenticandosi del proprio lavoro e delle ansie quotidiane.
19. Dormire
Ci sono persone che affermano di dormire poche ore a notte, e sentirsi super produttivi. Non credete a queste cose, perché la mancanza di sonno li coglierà quando meno se lo aspettano, e sarà soporifera!
Non solo si esauriranno, ma inizieranno anche a fare errori. La mancanza di sonno distrugge la produttività, non l’alimenta. Riduciamo il più possibile l’esposizione alle luci blu, rendiamo la camera da letto accogliente e concediamoci un rituale rilassante prima di addormentarci.
Non dobbiamo aver paura dell’ignoto, perché a volte per realizzare i propri obiettvi abbiamo soltanto bisogno di sperimentare e sentirci liberi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/cover.jpg500750Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2020-07-03 16:07:552020-07-08 11:32:0620 routine quotidiane che aiutano a recuperare la produttività
Fare rebranding ha a che fare con l’adattamento e l’innovazione, perché cambiare il proprio aspetto è un’impresa ardua ma fondamentale per un marchio.
Dalla radio alle app, tra le riprogettazioni di giugno: Google Foto, Waze, Radio Italia
Nell’attuale contesto economico e in un ambiente altamente competitivo, tra i migliori modi per aumentare il proprio rendimento c’è anche il rebranding.
Questo processo ha a che fare con l’adattamento e l’innovazione, perché cambiare il proprio aspetto, pur rimanendo freschi, vivaci e in contatto con la vita contemporanea, è un’impresa ardua ma fondamentale per un marchio. Una questione che riguarda la predisposizione al cambiamento.
Scopriamo insieme quali aziende hanno aggiornato il proprio aspetto durante il mese di giugno.
Ricordi e nostalgia nel rebranding di Google Foto
Tra i principali redesign del mese c’è Google Photos. Sono oltre un miliardo al mese le persone che usano il servizio di gestione e archiviazione multimediale fornito da Google. Il team ha analizzato il comportamento degli utenti scoprendo che viene maggiormente utilizzata quando provano nostalgia e vogliono ricordare.
Negli ultimi 5 anni Google Foto è diventato più di una semplice app per gestire le foto, è diventata una “casa dei ricordi” della vita.
Il restyling è proprio focalizzato sui ricordi, per aiutarti a trovare e rivivere i momenti più preziosi.
Una nuova esperienza semplificata che pone maggiore attenzione a foto e video mettendo la ricerca in primo piano con una nuova struttura a tre schede: Foto, Ricerca, Libreria.
Come parte della nuova scheda di ricerca, ci sarà una visualizzazione interattiva della mappa di foto e video. Puoi pizzicare e zoomare in tutto il mondo per esplorare le foto dei tuoi viaggi, vedere in quale città hai scattato più foto o trovare quello scatto perduto del tuo viaggio attraverso il paese.
Cambia anche l’icona che inizialmente era stata progettata come una girandola, un cenno all’infanzia e alla nostalgia appunto.
Vecchio logo Google Foto
Nuova icona Google Foto
La forma resta famigliare nonostante l’aggiornamento. La nuova esperienza semplificata di Google Foto sarà implementata nelle prossime settimane su Android e iOS.
Waze aggiorna la sua immagine coordinata celebrando la community. Con la graduale ripresa della mobilità, la piattaforma di navigazione, sempre di proprietà di Google, ha riprogettato l’interfaccia utente e rivisitato il suo design.
La social navigation app gratuita ha deciso di accogliere gli automobilisti nuovamente sulle strade con una nuova user experience.
Obiettivo: migliorare l’esperienza di guida degli utenti e il tempo trascorso in auto, sono 130 milioni in tutto il mondo le persone che utilizzano l’app.
Per comprendere i bisogni e i desideri degli utenti, la community è stata coinvolta durante il percorso di restyling. Un processo fatto di conversazioni che molto spesso hanno assunto forme diverse, da normali incontri a ricerche approfondite condotte su 13.000 autisti. Queste informazioni hanno chiarito all’azienda gli obiettivi da intraprendere.
Waze vuole guidare il cambiamento con disegni audaci, intende mostrare la sua unicità attraverso la palette colori:
“Non eravamo interessati ad essere un marchio tecnologico pulito, minimale, “elevato” perché non si tratta solo di tecnologia. Abbiamo la community con noi. Dobbiamo riflettere su questo. In questo senso, siamo un po’ “non tecnologici” nel nostro approccio. Stiamo inseguendo qualcosa che sia amichevole, organico e gioioso” scrive in un articoloJake Shaw, Head of Creative di Waze.
Il nuovo look è molto più colorato e mette in primo piano anche la capacità dei singoli conducenti di condividere le loro emozioni attuali con Moods, un set di icone selezionabili dall’utente che possono riflettere il suo umore mentre sta guidando.
Radio Italia cambia il suo logo storico
Tra i casi italiani spicca il rebranding totale di Radio Italia che in un momento storico così particolare riparte con il piede giusto. Negli ultimi anni l’emittente ha saputo evolvere facendo passi da gigante, dagli ascolti agli eventi, fino alle partnership.
Il cuore italiano non più visibile nel logo resta comunque nell’anima della radio:
“La musica è vita, la musica è mutevole e non può essere circoscritta e lo stesso vale per Radio Italia che da sempre sostiene e valorizza tutta la musica Made in Italy. Anche i nostri ascoltatori più fedeli hanno accolto con grandissima positività questo cambiamento e per noi è sicuramente la vittoria più grande” dichiara Alessandro Volanti, Direttore Marketing di Radio Italia.
Vecchio logo di Radio Italia
Il lavoro di riprogettazione è durato quasi un anno. Un lungo e delicato processo che ha portato nuova energia e vitalità:
“Abbiamo deciso di legarci ad una gamma di colori perché per noi la musica, elemento fondamentale della nostra proposta editoriale, non può essere rinchiusa in un colore solo” continua Volanti.
Al progetto ha lavorato l’art director Sergio Pappalettera fondatore di Studio Prodesign:
“Non sono previste forme regolari, ma tagli e colori che quasi cancellano i confini e una mappa di tonalità per trasmettere profondità e movimento senza segnare dei limiti rigidi. Un disegno che rappresenta, per me, il lavoro della Radio nel panorama musicale italiano, capace da sempre di coinvolgere e promuovere tutti i suoi protagonisti”.
Per il lancio della nuova identità, il 27 e il 28 giugno, Radio Italia solomusicaitaliana e Radio Italia Tv sono state affidate nelle mani sapienti degli artisti, che hanno preso per un’ora il comando.
Un post condiviso da Radio Italia (@radioitalia) in data:
Un’esplosione di creatività attraverso la personalità e il talento dei cantanti italiani che da sempre contraddistinguono l’emittente e danno voce ai suoi palinsesti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/07/rebranding-google-foto-waze-radio-italia-13.png22514001Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2020-07-03 11:47:312021-07-21 14:59:42Rebranding di giugno: Google Foto, Waze, Radio Italia
Oggi ci troviamo a fare i conti con ciò che il lockdown ci ha lasciato alle spalle e la lenta ripartenza degli acquisti da parte dei consumatori.
I sondaggi sono utili per capire i cambiamenti interni, tra i clienti che già abbiamo acquisito, e valutare nuove possibilità del mercato.
In questo 2020 le abitudini di acquisto hanno subito un drastico cambiamento nel giro di pochi mesi per via dell’emergenza sanitaria. Per studiare la nuova customer journey possiamo affidarci alle statistiche dei sondaggi e delle ricerche di mercato.
Sono tante le ricerche che parlano di come è cambiato il rapporto tra i consumatori e le aziende: il poter effettuare ordini e consegne dagli store online è diventato fondamentale per moltissimi business che prima si affidavano solo alle visite nei negozi fisici.
Specialmente nel pieno lockdown si sono registrati picchi di ordini che riguardavano strumenti per l’home fitness, lo smart working e il food delivery.
Adesso ci troviamo a fare i conti con ciò che il lockdown ci ha lasciato alle spalle e la lenta ripartenza degli acquisti da parte dei consumatori. In momenti di incertezza economica, ogni valutazione all’acquisto diventa fondamentale e le aziende devono essere pronte a capire i nuovi bisogni e affrontare le nuove remore degli utenti.
I sondaggi sono utili per capire i cambiamenti interni, tra i clienti che già abbiamo acquisito, e valutare nuove possibilità del mercato. Servono ad esempio:
per valutare la pianificazione del lancio di un prodotto;
modificare dei servizi;
analizzare il sentimento verso l’azienda;
profilare fan e utenti.
Un’altra frontiera è usare i sondaggi per fare lead generation, intercettando l’audience che condivide la nostra mission e valori per aumentare la percezione di vicinanza tra il Brand e il pubblico e, nel frattempo, arricchire il database di contatti.
Le ricerche di mercato, invece, si pongono verso la possibilità di acquisire un nuovo pubblico e valutare le idee che abbiamo in mente per aprirci verso un nuovo mercato.
Perché profilare gli utenti e i fan in base agli interessi
Quando costruiamo un sondaggio la prima cosa da tenere in considerazione è il “Why”.
Perché lo stiamo facendo? Quali dati vogliamo ottenere? Quali ipotesi vogliamo verificare?
Nel caso della profilazione è utile segmentare il nostro pubblico per i cosiddetti “Interessi”.
Alcuni esempi di pubblici che abbiamo acquisito possono essere:
database di contatti (email e\o) numeri di telefono;
fanbase sui social;
community nei gruppi e forum.
Ottenere il contatto è solo il primo step di una strategia vincente. Adesso si parla sempre di più di marketing costruito sulla persona, per questo dobbiamo conoscere al meglio preferenze e gusti dei nostri utenti e, siccome non sono tutti uguali, fare un sondaggio ci aiuta a conoscerli meglio e creare delle “categorie” per fare delle comunicazioni ad hoc o costruire dei servizi mirati.
Sondaggi per fare Lead Generation
Per trasformare utenti in lead profilati è indispensabile fare un’attività di Lead Generation, ovvero di acquisizione di contatti. I sondaggi sono spesso usati come iniziativa per aumentare il numero di email all’interno dei propri database, unendo in un solo passaggio la fase sia di acquisizione che quella della profilazione.
Inoltre in questo particolare caso, la costruzione delle domande deve essere più legata alle sensazioni, alla vision e ai valori dell’audience per ottenere alti tassi di conversione.
In quest’ottica è utile fare un sondaggio le cui risposte sono dei video o delle immagini che possono essere:
emozionali;
descrittive;
di intrattenimento.
Indagini e ricerche di mercato su nuovi mercati
Quando l’azienda ha l’esigenza di approcciarsi a un pubblico sconosciuto potrebbe essere pericoloso farlo totalmente al buio, non conoscendo abitudini, insicurezze e demografia.
La ricerca serve per comprendere diversi aspetti del mercato di riferimento per evitare errori di valutazione. Per migliorare la qualità del prodotto, del servizio o anche solo comprendere come costruire la comunicazione è fondamentale iniziare un dialogo diretto.
In questo caso i dati acquisiti possono essere anche solo aggregati, in quanto non abbiamo bisogno di conoscere nome, cognome e\o email dei soggetti coinvolti ma ottenere un gran numero di dati per effettuare un’analisi precisa che serve per smentire o confermare le nostre ipotesi.
Alcuni consigli per la creazione delle domande
Dopo ad aver risposto al nostro “Why” sappiamo che non tutti i sondaggi sono uguali e devono essere costruiti in base a cosa vendiamo, al nostro stile di comunicazione, alla mission aziendale e soprattutto al target di riferimento.
Fare una profilazione per interessi è diverso da fare un’indagine di mercato per cui le domande devono essere pensate e non copia\incollate da modelli disponibili online, anche se possono essere una valida guida iniziale.
Ciò che ti suggeriamo è:
scrivi delle domande brevi e semplici;
falle leggere anche ai tuoi collaboratori e a un piccolo campione di persone per verificarne la chiarezza;
crea delle risposte coinvolgenti con immagini e\o video;
associa alle risposte a un interesse;
non creare un questionario troppo lungo.
Anche se la tua azienda in passato ha già effettuato un’operazione simile adesso i risultati potrebbero essere molto diverse per via del cambiamento sanitario, sociale, economico che stiamo vivendo giorno per giorno. Per affrontare la riapertura al meglio dobbiamo munirci di dati da analizzare e cambiare di conseguenza le nostre strategie.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/Depositphotos_231274060_s-2019-min.jpg6681000Antonella Passinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAntonella Passini2020-07-03 11:16:202020-07-06 21:14:23Come i sondaggi e le ricerche di mercato ci aiuteranno nella ripresa
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