Celebrare la festa del papà ormai ha assunto un valore diverso. Questo lungo periodo di Covid ha rivoluzionato le nostre vite. Nel lavoro e nella quotidianità stiamo imparando a non dare più niente per scontato. Le nostre abitudini sono state stravolte tanto fuori casa quanto dentro: il cambiamento delle dinamiche ci ha fatto riscrivere gli equilibri ed i ruoli.
Essere dei supereroi significa anche aver riprogrammato la quotidianità e aver scoperto nuovi approcci nei confronti della famiglia e dei figli. I bambinipossono trarre maggiori benefici dalla parità dei genitori, apprendendo così le diverse dinamiche sociali e di ruolo.
Soprattutto nell’ultimo anno i padri hanno riscoperto il prendersi cura della famiglia non solo economicamente. Si condividono maggiormente gli spazi, i tempi e la pragmaticità delle azioni. La rinnovata immagine dei padri li vede impegnati non solamente a fare cose per i figli, ma a fare cose insieme. Questa evoluzione di sicuro lascerà un buon esempio non solo per chi la vive nel presente ma anche per le generazioni future.
Ed anche i brand sono vicino ai papà e ce li mostrano come grandi compagni di avventure, come protagonisti della quotidianità e come accompagnatori, insieme alle madri, nella vita dei bambini.
Pampers India – A father’s promise (2021)
Secondo il sondaggio Nielsen del 2016, in India l’84% dei padri ritiene che la cura dei figli spetti principalmente alle madri. Pampers è impegnata nella diffusione di un messaggio volto alla parità genitoriale. Ci vogliono due genitori per crescere un figlio e ci vuole il supporto di entrambi per essere genitori.
Dove Men+Care – Dad On (2020)
Sono presenti, sono insegnanti, ci sono vicini in ogni momento e ci accompagnano in nuove avventure. Sono complici e si fanno coinvolgere, anche se si tratta di un video per Tik Tok! Dove è in prima linea anche nel supporto per i genitori con DadsCare.com, fornendo risorse utili e consigli pratici per il quotidiano, creati dai papà per i papà.
Star Wars – #I’myourfather’s day (2020)
Quanti modi e quante occasioni ci sono per dire “Sono tuo padre“?
Budweiser – Fathers Who Stepped Up (2019)
Budweiser mette in luce una figura a volte trascurata e del suo ruolo a volte controverso e delicato: quella del patrigno. Il brand celebra tutti quegli uomini che anche hanno abbracciato un diverso modo di essere padre. Nello spot, nell’augurare buona festa del papà, ogni figlio fa una bellissima dichiarazione al proprio patrigno, consegnando alla fine i documenti di adozione.
Dollar Shave Club – Manifique: A Father’s Day Gift (2019)
Dollar Shave Club celebra la festa del papà puntando sull’ironia. Ma forse c’è anche un altro messaggio dietro. I papà anche se non hanno un fisico scultoreo sono comunque i nostri supereroi. Come per le donne, è giusto annullare gli stereotipi sulla bellezza e mostrarsi per la propria autenticità.
Stockland Father’s Day – Dad. A small word for a big job (2018)
Il gruppo immobiliare australiano celebra la festa del papà ricordandoci che in una piccola parola sono contenute infinite emozioni, infinite azioni e infinito amore. Il sito Stockland dà inoltre voce ai pensieri di diversi papà che con le loro esperienze e con i propri consigli si aprono agli altri papà.
Manforce Condoms – Work From Home Distraction (2020)
In quest’ultimo anno a causa della pandemia sono molte le persone che hanno continuato a lavorare da casa. Per le coppie sono aumentate le occasioni di concedersi momenti di intimità. Come sono aumentate anche le nascite. Il brand di profilattici ironicamente augura una buona festa del papà a tutti quelli che fanno un break dal lavoro (da casa) per occuparsi dei neonati e non per concedersi un momento di passione.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/festa-del-papa.jpg9251645Urania Frattarolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngUrania Frattaroli2021-03-19 11:15:522021-03-20 17:10:36Gli spot più emozionanti per celebrare la festa del papà
Gli NFT sono beni digitali che, grazie alla tecnologia applicata anche alle criptovalute, diventano “unici”.
Ognuno di essi, infatti, ha una propria identificazione e non è replicabile. Questi token servono quindi da “atto digitale” per certificare edizioni originali per opere d’arte, album o brani musicali e anche meme.
Per questo, la definizione “non fungibili” si riferisce ai criteri di unicità e indivisibilità del token. Queste caratteristiche li rendono anche diversi dagli utility token e dalle criptovalute.
I Non-Fungible Token si acquistano solitamente in aste, in un sistema di offerte in cui la migliore si aggiudica il contenuto, che può essere poi pagato attraverso i consueti metodi oppure, naturalmente, in criptovaluta.
Il fenomeno è esploso negli ultimi mesi, quando la popolarità degli NFT è decollata grazie alla vendita di alcune opere digitali per cifre da capogiro, ma anche per l’interesse manifestato sempre più spesso da celebrità e uomini d’affari come, inutile sorprendersi, Elon Musk.
Il rischio principale di acquistare qualsiasi criptovaluta, compresi gli NFT, è che il valore del bene è in gran parte basato sulla speculazione. Gli acquirenti puntano quindi sul fatto che i loro NFT saranno il futuro del collezionismo. Si tratta però di una scommessa senza alcuna garanzia.
Se ti solletica l’idea di partecipare alla frenesia del momento e vuoi acquistare un NFT, devi assolutamente conoscere alcune informazioni basiche.
Che “forma ha” un NFT
Un NFT è un’opera digitale. Può quindi essere un brano musicale (o un intero album), un contenuto audio visivo, una realizzazione grafica. Ma anche un meme e persino un Tweet.
Ad esempio, i Kings of Leon hanno pubblicato il loro ultimo album proprio con questa modalità all’inizio di questo mese. Si tratta quindi di un oggetto da collezione a cui è abbinato un certificato (il token) che ne garantisce autenticità e originalità.
Mike Winkelmann, un artista conosciuto al grande pubblico con lo pseudonimo di Beeple, ha venduto un collage digitale di opere realizzate in 5000 giorni per la cifra record di 69,3 milioni di dollari, in un’asta da Christie’s. Un evento che non si fa fatica a definire storico non solo per l’oggetto messo all’incanto, ma anche perché la famosa casa d’aste fondata nel 1766, per la prima volta ha consentito di pagare l’offerta tramite moneta digitale, oltre alle consuete forme di pagamento.
E poi c’è l’artista canadese Claire Boucher, conosciuta come Grimes, che ha venduto una sua opera d’arte visiva per quasi 6 milioni di dollari, sul marketplace Nifty Gateway. Un bel colpo!
Non tutti gli NFT sono però oggetti da collezione: possono infatti anche incorporare biglietti per eventi, acquisti in-game e altri benefit. Tornando ai Kings of Leon, infatti, alcuni degli NFT venduti dalla band consistevano in biglietti Premium per i futuri concerti, con concessioni speciali come l’accesso al backstage o un posto in prima fila riservato a vita.
Cosa ottengo quando acquisto un NFT
Quando acquisti un NFT possiedi i diritti originali del bene digitale, che si tratti di musica, immagini o qualsiasi altro “oggetto virtuale”.
L’acquirente ottiene infatti l’unico token che ne certifica la proprietà e ogni NFT viene registrato in un enorme “libro mastro digitale” (esattamente come avviene per le criptovalute) che conserva le informazioni riguardo alla sua creazione, alle transazioni di vendita e alla proprietà attuale.
Gran parte del valore del bene digitale deriva quindi dalla possibilità di certificarne la proprietà e i diritti che da essa derivano. “La vera chiave è la proprietà stessa“, ha specificato Dan Kelly, Presidente di Nonfungible.com. “È lo status che deriva dal possedere quella cosa. È totalmente diverso possedere l’originale rispetto a una replica“.
Uno degli ostacoli che invece frena la diffusione di queste opere è la percezione che la versione fisica di un oggetto da collezione sia, in qualunque caso, più preziosa del corrispettivo digitale. In realtà, gli NFT sono spesso un investimento più valido in termini di sicurezza, grazie proprio al loro processo di autenticazione.
Cosa rende un NFT davvero originale
Anche se ne esistono diverse copie in giro per la rete, solo l’acquirente del token NFT possiede i diritti sul bene digitale. Per fare un paragone facilmente comprensibile, un conto è possedere il quadro della Monna Lisa di Leonardo Da Vinci, un altro è tenere appesa in camera una delle centinaia di milioni di riproduzioni in giro per il mondo. Una e solo una è l’originale, le altre sono solo copie senza un gran valore.
Ogni token basato su blockchain è infatti unico. Gli NFT contengono metadati che certificano la creazione dell’opera, chi l’ha realizzata e altre informazioni che vengono combinate con una funzione hash crittografica (una tecnica che trasforma i dati in una sequenza unica di 40 caratteri fra lettere e numeri) che crea una identificazione unica.
Quindi, anche se ci sono migliaia di NFT in giro per la rete con immagini che possono apparire identiche, le informazioni all’interno saranno tutte diverse e permetteranno di riconscere l’una rispetto all’altra e distinguere l’originale dalle copie.
Le normative in merito hanno però bisogno di essere ancora analizzate da diversi punti di vista. Se è vero che quando una persona acquista un NFT il bene contenuto diventa di sua proprietà, non accade lo stesso con il copyright, che dovrebbe essere trasferito separatamente con un contratto a parte. Diversamente, il creatore del copyright potrebbe ancora utilizzare, distribuire o creare copie dell’opera, compresa la generazione di nuovi NFT per quelle copie, creando un possibile danno a chi ha acquistato l’opera originale eliminando il presupposto della scarsità del bene.
Ci sarà parecchio lavoro per gli avvocati specializzati sulle proprietà intellettuali!
Quanto costano gli NFT
Mentre alcuni token non fungibili sono stati venduti per pochi dollari, altri pezzi di arte digitale di fascia alta hanno raggiunto quotazioni milionarie. Il famoso meme chiamato Nyan Cat, che raffigura un gatto con il corpo di una Pop-Tart, è stato acquistato per quasi 600.000 dollari, ma gli album dei Kings of Leon erano invece in vendita a soli 50 dollari.
Il marketplace di beni digitaliTop Shot permette ai fan del basket e ai collezionisti di comprare, vendere e collezionare video con licenza ufficiale di highlights degli eventi sportivi. Un acquirente che aveva speso più di 175.000 dollari per alcune trading card digitali, ora si ritrova con un patrimonio in NFT che supera i 20 milioni di dollari.
Dove si comprano i Non-Fungible Token
Una informazione senza dubbio necessaria riguarda il posto giusto in cui è possibile accaparrarsi questi preziosi oggetti del desiderio senza incappare in sgradite sorprese. Esistono infatti marketplace accreditati dove i potenziali acquirenti possono partecipare ad aste, comprare e vendere NFT. I più popolari sono OpenSea, Nifty Gateway, Yellowheart e NBA Top Shot.
Una indicazione importante può essere quella di cercare di acquistare gli NFT direttamente dal venditore. Sui siti secondari, diventa più difficile verificarne l’autenticità se si ha meno familiarità con il processo di acquisto e vendita dei token non fungibili.
Attenzione alle truffe
La premessa necessaria è quella di evitare quindi siti secondari e venditori non accreditati. Anche sui canali ufficiali, però il rischio di truffe e inganni è sempre dietro l’angolo, cosa che non dipende in nessun modo dal sistema di certificazione del bene digitale o della piattaforma ma dall’azione, più o meno in buona fede, di possibili persone con pochi scrupoli.
Il modo migliore per combattere questo fenomeno è quello di rivolgersi sempre a venditori accreditati e considerare l’operazione con la stessa prudenza che si adotta nel fare trading sul mercato azionario.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/NTF.jpg9191630Fabio Casciabancahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFabio Casciabanca2021-03-18 14:49:382021-03-25 15:37:18Vuoi investire in NFT? Ecco tutto quello che dovresti sapere per iniziare
Quante volte siamo rimasti imbambolati di fronte allo schermo del nostro laptop aspettando l’arrivo di un’e-mail importante? A nulla è valso aggiornare la posta elettronica e staccare e attaccare la connessione in maniera quasi ossessiva, quella famigerata e-mail non è mai arrivata.
Evoluzione 2.0 di un fido emissario o un abile piccione viaggiatore, l’e-mail è diventata presto il canale per eccellenza preferito dai marketer di tutti i settori per comunicare, interagire e fidelizzare la propria clientela. Lo sapevate che, dopo la lettura di una e-mail, 4 persone su 10 visitano incuriositi un sito e-commerce o si recano in negozio per fare degli acquisti?
L‘e-mail marketing può davvero fare la differenza per un’azienda perché contribuisce ad aumentare le conversioni delle campagne su tutti i canali e incidendo, di conseguenza, sul fatturato. Se inizialmente veniva utilizzata per far conoscere e promuovere prodotti e/o servizi, ormai è diventata un punto d’incontro dove clienti, potenziali clienti e azienda possono interagire fra loro.
Prima di concentrarsi su una strategia di e-mail marketing efficace però, dobbiamo avere la certezza che le nostre e-mail arrivino a destinazione, e parlando di marketing automation, la deliverability rappresenta proprio la capacità di un messaggio di arrivare nella casella elettronica dei clienti senza incontrare nessun intoppo.
Ma quali sono le strategie di deliverability da tenere a mente affinché i nostri messaggi giungano sempre a destinazione?
Le strategie di deliverability da conoscere
La deliverability è quindi un aspetto fondamentale su cuii CRM manager devono focalizzarsi.
Noi vogliamo svelarvi delle strategie per ottimizzarla, ma non finisce mica qui. Se volete conoscere trucchi e segreti di questo fantastico mondo, Splio da sempre esperto sul tema di deliverability, ha creato un’esperienza immersiva per raccontarvi, in modo unico e interattivo, quali sono i principali fattori a cui prestare attenzione quando si invia una e-mail.
Ecco 10 suggerimenti per migliorare la ricezione delle proprie e-mail e la propria strategia di e-mail marketing.
1. Assicurarsi un database pulito e di qualità
La pulizia dei dati è il primo punto da cui partire per garantire il corretto funzionamento della marketing automation. I dati infatti devono essere controllati periodicamente, garantendo una corretta sintassi degli indirizzi e-mail, verificare che il dominio sia quello giusto e rimuovere invece tutti quegli indirizzi che producono una risposta da postmaster.
Meno saranno gli indirizzi e-mail errati nel CRM migliore sarà il tasso di deliverability.
2. Utilizzare un sottodominio del proprio sito web per l’e-mail d’invio
Prima di avviare qualsiasi strategia CRM, è meglio selezionare un dominio per il proprio indirizzo e-mail che corrisponda al sottodominio del proprio sito web. Per quale motivo? Per essere identificato dai provider di posta elettronica grazie al dominio delle proprie e-mail assicurandosi che le newsletter vengano riconosciute per tempo dai provider.
Altro aspetto importante è quello di evitare, in questo modo, conflitti di dominio senza danneggiare né la reputazione della e-mail né del sito web.
3. La quantità non è mai sinonimo di successo
Intasare la casella di posta elettronica dei propri clienti non è di certo una strategia vincente. È importante escludere dagli invii chi ha già ricevuto una e-mail nell’ultima settimana. Bisogna garantire un equilibrio nella comunicazione considerando tutti i canali.
Un’elevata pressione marketing può generare effetti indesiderati sull’engagement e sul tasso di deliverability. Con un tool di marketing automation possiamo, per esempio, impostare dei filtri automatici evitando d’inviare nuovamente e-mail a chi abbiamo già contattato nell’ultimo periodo.
4. Dare priorità agli utenti attivi grazie alla segmentazione
Siamo bombardarti da messaggi ed e-mail ogni giorno, tutti i giorni. Sapevate che inviamo ben oltre 300 miliardi di e-mail e 6.100 miliardi di SMS al giorno? Sono davvero tante e ovviamente non siamo interessati a ogni messaggio che fa trasalire il nostro smartphone!
Ecco perché diventa indispensabile ottimizzare i tempi e focalizzarsi solo sugli utenti davvero interessati ad aprire e a leggere le nostre e-mail. Tutto ciò è possibile grazie alla segmentazione.
In questo modo avremo la possibilità di registrare un migliore tasso di apertura e di conversione, senza contare un altro fattore importante, la riduzione dell’impatto ecologico del nostro brand. Purtroppo anche le e-mail inquinano creando traffico virtuale, e che a sua volta genera CO2.
5. Inserire come oggetto un titolo semplice e accattivante
Per favorire l’apertura delle e-mail, è meglio inserire sempre per oggetto un titolo semplice e accattivante, e che allo stesso tempo sia allineato con il motivo principale del nostro messaggio.
Più il tasso di apertura è alto, più i lettori avranno aperto con interesse e letto con piacere le nostre e-mail. In questo modo i Mailbox provider ci riconosceranno come un mittente che offre contenuti di qualità e per il giusto target, contribuendo alla nostra buona reputazione.
6. Creare contenuti ad hoc per ogni utente
Una e-mail personalizzata ha un tasso di apertura superiore del 29% rispetto a quelle standardizzate e clic unici oltre il 41%. I dati che raccogliamo sui nostri utenti devono essere utilizzati in modo smart per personalizzare al meglio la nostra comunicazione creando un messaggio su misura per ognuno. Dall’oggetto alla selezione dei prodotti all’interno dell’e-mail, ogni cosa può essere personalizzata.
Grazie al genere, l’età, le preferenze, e i dati di vendita, sarà possibile personalizzare e rendere più accattivante l’e-mail per il target, aumentando le possibilità di conversione.
7. Scegliere un e-mail design responsive e verificare il codice delle pagine
Il codice delle e-mail è un criterio importante per verificare e accettarsi che un messaggio inviato non sia uno spam o addirittura un virus. Per superare i filtri dei Mailbox provider è indispensabile verificare la qualità del codice rispetto agli standard internazionali e utilizzare un design responsive che sia leggibile da desktop e da mobile.
8. Essere parsimoniosi con i contenuti multimediali
Offrire contenuti diversi e originali è importante, ma non è detto che verranno letti perché ci sono alcuni formati che non sono supportati dai Mailbox provider. Ecco perché è meglio utilizzare meno GIF e prediligere le immagini statiche ai video. Inoltre evitiamo d’includere allegati, meglio inserire una CTA visibile e di rimando al contenuto d’interesse.
9. Utilizzare un lessico adeguato evitando le spam words
Le parole sono importanti, soprattutto nel mondo comunicazione. Quando prepariamo una e-mail da inviare ai nostri clienti, dobbiamo utilizzare un lessico adeguato ed evitare le spam words, ossia le parole che vengono bloccate dall’algoritmo dei Mailbox provider.
Ciò è fondamentale perché le e-mail che vengono identificate come spam impattano in modo negativo sulla nostra reputazione e abbassando il tasso di deliverability.
10. Le persone interessate fanno la differenza
Ultimo consiglio che vogliamo darvi, ma uno dei più importanti, è che sarà il cliente, e quindi chi legge la e-mail, a decidere se interessato o meno ai nostri messaggi. Se infatti l’utente non è convinto del tipo di comunicazione e delle offerte ricevute, nel 60% dei casi annullerà l’iscrizione alla nostra newsletter.
Ma anche questo ci è utile perché decidendo di non inviare e-mail ai consumatori non interessati, andremo ad agire in modo positivo sulla nostra reputazione.
Ora sì che possiamo rilassarci e staccare gli occhi dallo schermo!
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/branded_17_marzo.jpg10801920Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2021-03-17 14:26:592021-07-26 13:05:3510 consigli per garantire che le e-mail arrivino con successo a destinazione
eToro si preparara a quotarsi in borsa. La piattaforma leader mondiale di social trading e brokeraggio multi asset si predispone all’IPO sull’indice tech Nasdaq con il simbolo FTVC, dopo aver annunciato la firma dell’accordo di aggregazione aziendale con FinTech Acquisition Corp V., il veicolo di acquisizione per scopi speciali (SPAC) di Betsy Cohen.
Alla chiusura della transazione, la società che aggrega i due business opererà con il nome di eToro Group Ltd. L’aggregazione con Spac, approvata all’unanimità dai due consigli di amministrazione, si concluderà entro il terzo trimestre del 2021. Si prevede per la società un valore netto implicito stimato di circa 10,4 miliardi di dollari al closing dell’operazione (con un enterprise value implicito per eToro di circa 9,6 miliardi di dollari).
“Sin dalla nostra fondazione, la visione di eToro è stata quella di aprire i mercati globali in modo che tutti avessero la possibilità di fare trading e investire in modo semplice e trasparente. Abbiamo sempre immaginato che, un giorno, gli investitori su eToro sarebbero stati in grado di investire in azioni eToro. Oggi abbiamo fatto un enorme passo avanti verso il raggiungimento di tale obiettivo. Siamo la principale rete di social investing al mondo e dominiamo il mercato. I nostri utenti vengono su eToro per investire, ma anche per comunicare tra loro, per vedere, seguire e copiare automaticamente gli investitori di successo di tutto il mondo”, sottolinea Yoni Assia, Chief Executive Officer di eToro.
eToro, fondata a aTel Aviv nel 2006, con sedi legali a Cipro, Israele, Regno Uniti, Stati Uniti ed Australia, è un social network per investimenti con oltre 20 milioni di utenti registrati da più di 100 Paesi, con una social community in rapida espansione in linea con i trend di crescita delle piattaforme di investimento digitale.
“Diventare una società quotata in borsa sosterrà la nostra continua espansione di entrare in nuovi mercati e la nostra offerta di prodotti innovativi per soddisfare le esigenze dei nostri clienti in continua evoluzione”,
afferma Yoni Assia. “Come società per azioni, continueremo a concentrarci sulla nostra missione di consentire alle persone di tutto il mondo di diventare investitori migliori – aggiunge – fornendo loro i migliori strumenti possibili per prendere decisioni di investimento informate e responsabili”.
E conclude: “La giornata di oggi rappresenta una pietra miliare per noi. Desidero esprimere la mia gratitudine per la passione, il duro lavoro, la spinta e la determinazione di tutti i membri del team eToro negli ultimi 14 anni che hanno contribuito alla crescita di questa realtà”.
Il 91% della proprietà sarà detenuta dagli attuali azionisti, investitori, dipendenti eToro
La nuova società nata dall’aggregazione, a fine terzo trimestre 2021 disporrà di una liquidità di 800 milioni di dollari, per finanziare progetti di crescita e sviluppo. Azionisti e dipendenti dell’azienda al momento rimarranno i maggiori investitori nella società aggregata, conservando circa il 91% della proprietà.
“Come pioniere nell’evoluzione delle Spac, Fintech Masala, la nostra piattaforma sponsor cerca aziende con una crescita fuori misura, controlli efficaci e team di gestione eccellenti ed eToro soddisfa tutti e tre questi criteri – evidenzia Betsy Cohen, presidente del Consiglio di amministrazione FinTech V – Negli ultimi anni, eToro ha consolidato la sua posizione come principale piattaforma di social trading online al di fuori degli Stati Uniti, ha delineato i suoi piani per il mercato statunitense e ha diversificato i suoi flussi di reddito. Ora si trova ad un punto di inflessione della crescita, eccezionalmente posizionata per capitalizzare questa opportunità”.
Il trend in crescita eToro e l’accelerazione della democratizzazione della finanza
Nel 2020, complice la pandemia e nuovi investitori che si affacciano al trading, eToro ha registrato una crescita del 147% rispetto all’anno precedente, con nuovi 5 milioni di nuovi utenti registrati e ricavi lordi per 605 milioni di dollari.
Trend positivo che continua anche nel 2021: solo nello scorso mese di gennaio sono stati più di 1,2 milioni i nuovi utenti registrati e boom di transazioni, con 75 milioni di scambi eseguiti su piattaforma su azioni, ETF, materie prime, forex e criptovalute, contro gli 8 milioni di scambi medi del gennaio 2019.
Tra i diversi asset su cui investire investire, eToro è una delle prime piattaforme regolamentate ad offrire criptovalute, consentendo agli utenti di fare trading in autonomia e in maniera diretta, con un semplice clic e senza costi aggiuntivi.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/1_barbara-1-1.jpg10801920Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-03-17 14:18:142021-03-18 14:00:04eToro verso la quotazione sul Nasdaq. Valutazione da 10,4 milioni
Può il mondo del fashion trasformare il marketing e renderlo più sostenibile? Ecco come si stanno muovendo i brand.
Le aziende vogliono raccontare davvero come sono realizzati i loro prodotti. Chiarezza e trasparenza prima di tutto.
La primavera è nell’aria e la voglia di abiti leggeri e colorati si fa sentire. I mesi trascorsi in casa hanno segnato come outfit più cool il duo tuta e felpone. Abbiamo voglia di rivoluzionare il nostro armadio e dopo averlo analizzato con cura, ci rendiamo conto dell’esistenza di capi che non abbiamo quasi mai indossato. Compriamo qualcosa perché magari attratti da una fantasia particolare, ma poi indossiamo i soliti capi basic. Trascorso qualche anno, siamo pronti a disfarci di quel vestito appallottolato in un cassetto ripromettendoci che la prossima volta saremo più saggi e parsimoniosi.
Abituati ad acquistare in modo veloce, consigliati dall’influencer di turno, o stimolati dai costi irrisori di alcuni brand, non ci rendiamo conto che facciamo più male che bene, ma perché?
L’industria del fashion è una di quelle più in debito con l’ambiente, ed è per questo che molti brand e aziende vogliano cambiare il proprio approccio ai prodotti puntando su un marketing (davvero) sostenibile.
Che cosa si intende per marketing sostenibile?
Quando parliamo di marketing sostenibile intendiamo un modo diverso di stare sul mercato. Consiste nello sviluppare e promuovere prodotti e/o servizi a ridotto impatto ambientale. Ovviamente questi prodotti e servizi dovranno anche essere competitivi e allineati con il resto delle altre offerte.
Da cosa nasce questa esigenza? Possiamo vedere il marketing sostenibile come un’evoluzione del green marketing. Nasce dal bisogno delle aziende di essere in sintonia con il pensiero dei propri clienti, sempre più sensibili alle tematiche ecologiche. Lo scopo del marketing sostenibile è quello di uscire dalla nicchia del green marketing per diffondere questi nuovi stili di vita a zero impatto ambientale rendendoli comuni e alla portata di tutti.
Come può il fashion quindi rendere il proprio di marketing più sostenibile? Ascoltando il proprio pubblico e mostrandogli cosa c’è dietro i propri prodotti.
Moda e ambiente: un rapporto complicato
Prima di capire se effettivamente il mondo del fashion può cambiare le proprie strategie per avvicinarsi a un marketing più sostenibile, dobbiamo analizzare un po’ di numeri.
La moda piace a tutti perché ha la capacità di farci sentire noi stessi anche con stili, colori e tessuti diversi. Ci piace cambiare, avere più scelte e spesso tendiamo ad acquistare svariati capi proprio per soddisfare questa esigenza. Di conseguenza se acquistiamo tanto vuol dire che si produce tanto, e infatti il l’abbigliamento è la seconda industria più inquinante al mondo.
Ogni anno vengono prodotti ottanta miliardi di capi d’abbigliamento. Oltre al massiccio consumo di petrolio e all’impronta di carbonio che ciò comporta, la produzione totale rappresenta anche il 20% d’acqua sprecata nel mondo. Se ciò non bastasse, trilioni di microfibre a base di plastica intasano gli oceani, accumulandosi ogni volta che un indumento sintetico viene lavato. Si stima che gli articoli realizzati con queste fibreimpieghino oltre 400 anni per biodegradarsi.
Insomma non proprio un toccasana per l’ambiente.
Compriamo quattro volte di più rispetto a 25 anni fa, e questa tendenza è dovuta alla diffusione del fast fashion. Il consumatore medio acquista di più proprio perché quest’industria garantisce più prodotti sul mercato, ma la qualità, l’attenzione alla produzione, e all’impatto ambientale lasciano parecchio a desiderare.
Come può il fashion approcciarsi a un marketing sostenibile? Cambiando il proprio focus e spostando l’attenzione dal prodotto in sé su come viene realizzato, condividendo con le persone i processi di realizzazione del prodotto, ma soprattutto comunicandoli senza filtri.
La moda è sempre stata sinonimo di rivoluzione e negli ultimi anni i brand hanno teso sempre di più le orecchie per ascoltare le parole del proprio pubblico. I consumatori pretendono, e nessuno più ne fa mistero, di conoscere i prodotti, come sono fatti, dove vengono realizzati e da chi.
Una voce comune, questa, ripresa anche dagli influencer più in voga su Instagram. Un esempio? Camille Charrière è un’influencer francese molto seguita che ha fatto del “less is more” il suo stile di vita, anche per quanto riguarda la moda.
Attivista ambientale ha deciso di acquistare sempre meno capi, ha interrotto i suoi legami con alcuni marchi difast fashion, ha promosso il noleggio e la rivendita come modalità d’acquisto più sostenibili e sta diffondendo il ritorno di capi classici e senza tempo invece di acquistare abiti solo perché di tendenza.
La maggior parte dei brand di moda puntano sulle novità, i trend del momento per incrementare gli acquisti, il che spinge il business ma è in conflitto con il passaggio a un marketing più sostenibile. Ovviamente, le strategie sostenibili sono misurabili col tempo, non danno risultati immediati, ma le aziende non avranno un’attività a lungo termine se non diventano sostenibili, dice Harriet Vocking, chief brand officer presso la società di consulenza sulla sostenibilità Eco-Age di Londra.
I cambiamenti da apportare per un marketing sostenibile
Se i brand del fashion vogliono avvicinarsi a un tipo di marketing sostenibile e a impatto zero non devono concentrare la propria comunicazione sulle novità ma sulla condivisione del prodotto e su tutto ciò che lo circonda. È fondamentale educare i consumatori in modo che possano prendere decisioni ponderate sugli acquisti da fare.
Sempre più informazioni sul processo di creazione e produzione di un capo o accessorio, ma non solo. Maggiore attenzione anche sul packaging, optando per imballaggi compostabili o riciclabili, compensando le emissioni di carbonio.
Le affermazioni veramente sostenibili sono chiare, specifiche e trasparenti
Il problema del marketing è che spesso esagera, ma le affermazioni sulla sostenibilità devono essere necessariamente vere e non ingigantite, come spiega Emma Hope Allwood, scrittrice, che per anni ha lavorato in Dazed (Head of Fashion).
Molti brand affermano cose non del tutto reali, andando oltre il linguaggio della sostenibilità e dell’attivismo, e dandosi troppo credito. A causa della scarsa regolamentazione legale, la moda è più suscettibile al greenwashing rispetto ad altri settori, come quello alimentare, per esempio.
I messaggi devono essere, oltre che reali, chiari e soprattutto trasparenti, cercando di rispondere a ogni domanda dei consumatori. Meglio ammettere di non essere sostenibili, e impegnarsi a diventarlo, invece che spiattellare ai quattro venti qualcosa che non si è davvero.
Prendere spunto dal marketing di lusso
Le aziende che vogliono diventare sostenibili possono imparare molto dal marketing di lusso. I prodotti devono essere desiderabili per essere sostenibili, ponendo attenzione sul valore dell’artigianato. I dettagli dei processi di produzione potrebbero essere condivisi con gli influencer di un brand, così saranno loro a veicolare in modo più veloce e diretto il messaggio ai propri follower. Anche in questo ambito gli influencer potrebbero rivelarsi degli ottimi alleati perché magari visti più vicini e accessibili rispetto a un’azienda.
Rivolgersi ai millennials e alla Gen Z
Ormai è comprovato che i ragazzi e le ragazze più giovani, coloro che definiamo millennials e gen z, non sono tanto guidati dalla pubblicità ma dai valori di un marchio. Apprezzano davvero l’autenticità, l’onestà, la trasparenza, i messaggi reali e questo gruppo sta diventando sempre più grande. Per queste persone la sostenibilità ha un ruolo importante nel loro processo d’acquistoperché sono più sensibili alle tematiche ambientali e sociali.
Le considerano le vere questioni determinanti del nostro tempo e il mondo del fashion deve ascoltarli per poter davvero rendere il proprio marketing più sostenibile. Inoltre sono coerenti, appoggiano sempre più le loro convinzioni con le loro abitudini di acquisto, privilegiando i marchi in linea con i loro valori ed evitando quelli che non lo fanno.
Due generazioni così attente agli sprechi che sono anche quelle che acquistano più capi di seconda mano. Il mercato dell’usato è destinato a raggiungere i 64 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, superando in definitiva il fast fashion entro il 2029. E indovinate un po’? Sono proprio la gen Z e i millennial che acquistano più capi di seconda mano rispetto alle altre fasce d’età.
Fashion e Marketing sostenibile contro il greenwashing
Avete mai sentito parlare di greenwashing? È un ecologismo finto e ne parliamo quando brand e aziende danno sfoggio di una politica green ed ecosostenibile che però non rispecchia la realtà.
Le aziende che vogliono assolutamente evitare questo scivolone hanno scelto di adottare l’approccio opposto. Invece di ostentare le proprie politiche, i programmi e i potenziali impatti eco-compatibili, hanno deciso di non condividere i propri obiettivi in questo senso. Per quale motivo? Sia per evitare potenziali accuse di greenwashing sia per aspettare fino a quando non avranno veri risultati da rivelare, anche perché è un processo delicato e che richiede tempo.
E noi, cosa possiamo fare?
Siamo abituati a credere che raggiungere obiettivi significativi sia facile, immediato, ma ciò che conta davvero non si ottiene in un battito di ciglia.
Creare la consapevolezza che il cambiamento sia possibile prendendo posizione e affrontando le questioni a testa alta può dar vita a effetti a catena e, nel lungo periodo, a ottenere risultati davvero rivoluzionari e duraturi per un mondo altamente sostenibile. Ma, come in tutte le cose che contano, dobbiamo crederci per davvero.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/fashion-e-marketing.jpg9041731Mariagrazia Repolahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMariagrazia Repola2021-03-16 17:09:032021-04-07 12:34:05Come il marketing può aiutarci a uscire dal complicato rapporto fra moda e ambiente
Fin dagli albori, per Google la priorità assoluta è sempre stata l’esperienza utente.
In particolar modo, negli ultimi 10 anni, tutte le nuove funzionalità, le modifiche apportate alla SERP e gli aggiornamenti degli algoritmi, sono stati studiati nell’ottica di avvicinarsi il più possibile al linguaggio umano, rendere più fluida la navigazione e restituire agli utenti risposte pertinenti alle loro query di ricerca.
Quando si parla di SEO semantica s’intende proprio questo: scrivere per intercettare il search intent e creare contenuti che s’inseriscano all’interno di un sistema di significati ben definito.
La semantica è quella branca della linguistica che studia i significati delle parole (semantica lessicale) e delle relazioni tra le parole che conferiscono significato alla frase (semantica frasale e del discorso).
Chi si occupa di SEO, sa bene che lavorare sul posizionamento di una keyword non è sufficiente per rendere un contenuto autorevole: è necessario costruire un contesto semantico all’interno del quale collocare il contenuto per evitare le ambiguità di significato.
Per una comprensione più profonda di queste logiche, abbiamo ricostruito una timeline dei più importanti (non tutti) aggiornamenti apportati da Google al suo algoritmo nell’ultimo decennio, che si focalizzano proprio sull’interpretazione dei significati da parte del motore di ricerca e sull’esperienza di navigazione.
Google Panda (2011)
A febbraio del 2011 viene rilasciato Google Panda, un aggiornamento all’algoritmo di ranking che mira ad attribuire più importanza ai siti web in alta qualità.
Il posizionamento di tutti quei siti web che non restituiscono all’utente una user experience ottimale, di conseguenza, viene penalizzato: l’algoritmo, basato su un sistema di apprendimento automatico, identifica una corrispondenza con degli standard qualitativi di progettazione, velocità e affidabilità dei contenuti, definiti dagli sviluppatori di Google.
Con l’introduzione di molti nuovi fattori di ranking, il contenuto assume un ruolo di primo piano: riempire il sito con contenuti di qualità, ma soprattutto unici, diventa un requisito imprescindibile. Copiare i contenuti può, infatti, rivelarsi una pessima mossa in termini di posizionamento.
Non a caso, in seguito al rilascio di Panda, molte controversie sono emerse sui forum di Google Webmaster, in cui in molti contestavano il fatto che numerose pagine web copiate erano posizionate meglio rispetto al contenuto originale.
Nel corso dei mesi successivi Google ha apportato numerosi aggiornamenti all’algoritmo, tra cui Penguin, rilasciato l’anno seguente (aprile 2012), con il quale anche la strategia di link building diventa un elemento molto importante per permettere al motore di ricerca di interpretare il contenuto anche attraverso i collegamenti, interni ed esterni.
Google Hummingbird (2013)
Nel 2013 prende il volo il Colibrì di Google, in un momento in cui, dopo panda e pinguini l’esigenza era di “avere un algoritmo preciso e veloce”, come dichiarato da Amit Singhal, ingegnere informatico ai tempi vice presidente di Google Inc.:
A differenza dei suoi illustri predecessori, Hummingbird non è un aggiornamento: qui siamo di fronte a un algoritmo completamente nuovo, che risponde alle esigenze del nuovo utente sulla rete.
Il rilascio del nuovo algoritmo avviene poco dopo l’implementazione dalla funzione Knowledge Graph, di fatto un primo passo verso la ricerca semantica: con questa funzione il motore di ricercadiventa in grado, non solo di associare un oggetto di ricerca a una query, ma anche di mettere in relazione tra loro più oggetti restituiti ad una stessa query, per attribuirgli un certo grado di rilevanza.
L’introduzione di Hummingbird rappresenta un grosso salto in avanti verso il linguaggio naturale: il focus del nuovo algoritmo è comprendere, non solo il contesto, ma anche l’intento di ricerca dell’utente.
Questo cambiamento si traduce all’atto pratico nel rendere sempre più precise e pertinenti le chiavi di ricerca, con una maggiore attenzione rivolta alle long tail keyword.
Posizionare correttamente un sito vuol dire espandere la ricerca delle parole chiave per includere più fattori contestuali.
E-A-T (2014)
Pur avendo attirato molta attenzione dal 2018 in poi, il concetto di E-A-T appare per la prima volta nel Quality Rater’s Handbook di Google nel 2014.
Expertise, Authority, and Trust in content, ovvero competenza, autorità e fiducia sono i criteri guida da seguire nelle strategie di contenuto in e off-page per fornire agli utenti i contenuti più pertinenti provenienti da fonti di cui possono fidarsi.
La mancanza di E-A-T dovrebbe essere una ragione sufficiente per un valutatore per assegnare una valutazione bassa a una pagina o un sito.
Gli algoritmi di Google si basano in particolar modo sulle “menzioni” in forma di link da parte degli abitanti del web, per riconoscere una fonte come rilevante: in base al numero di condivisioni e link su altre pagine, il posizionamento può aumentare o diminuire.
Ma non solo: il punteggio E-A-T considera diversi concetti interconnessi in relazione ai quali è determinato il livello di autorevolezza di un’organizzazione in un determinato settore. La chiave sta proprio nel saper individuare i giusti trend e topic, per circoscrivere l’area di competenza e fornire le informazioni giuste al pubblico giusto, per mostrare esperienza e creare un rapporto di fiducia con il lettore.
Mobile-friendly Update (2015)
Il 2015 è l’anno in cui il traffico su Google da dispositivi mobile supera per la prima volta il traffico generato da desktop.
La giornata del 21 aprile viene definita dai media come il Mobilegeddon di Google, ovvero il lancio di un nuovo algoritmo annunciato per la prima volta da Google, che prima di allora non aveva mai rilasciato comunicazioni ufficiali al momento di un cambiamento significativo nei criteri di ricerca, limitandosi semplicemente a mettere gli esperti davanti al fatto compiuto.
Con il Mobile Update l’ottimizzazione della versione mobile di un sito diventa un importante fattore di ranking, a discapito quindi di tutti quei siti web che avevano solo una versione desktop, dunque difficilmente fruibile da mobile in termini di rapidità e usabilità.
l’algoritmo avrebbe influenzato il posizionamento solo sulle ricerche effettuate da dispositivi mobile;
gli effetti sortiti sarebbero stati gli stessi in tutte le lingue;
l’algoritmo avrebbe preso in considerazione la singola pagina e non l’intero sito.
Come ben sappiamo, si tratta solo del primo di molti aggiornamenti che Google ha rilasciato negli anni per dare priorità al mobile. In questa prima versione, l’algoritmo non ha alcuna influenza sul posizionamento dei siti non ottimizzati correttamente per mobile, se la ricerca viene effettuata da desktop.
RankBrain (2015)
Sempre nel 2015, Google annuncia anche l’arrivo di RankBrain, una nuova intelligenza artificiale, utilizzata per elaborare i risultati di ricerca di Google ed ordinarli nella SERP in base a un criterio di pertinenza.
RankBrain è più di una semplice modifica all’algoritmo: si tratta di un sistema di machine learning, ovvero un sistema progettato per “insegnare a se stesso a fare qualcosa” senza che sia necessario l’intervento umano.
L’obiettivo di questo sistema è garantire che i contenuti restituiti dal motore di ricerca nella SERP riflettano in maniera quanto più veritiera possibile l’intento di ricerca dell’utente. RankBrain è progettato per l’apprendimento e l’individuazione di connessioni tra le informazioni, in modo da avvicinarsi sempre di più al linguaggio conversazionale e rispondere alle ricerche vocali.
RankBrain utilizza l’intelligenza artificiale per incorporare enormi quantità di linguaggio scritto in entità matematiche – chiamate vettori – che il computer può comprendere. Se RankBrain vede una parola o una frase con cui non ha familiarità, la macchina può fare un’ipotesi su quali parole o frasi potrebbero avere un significato simile e filtrare il risultato di conseguenza, rendendolo più efficace nella gestione di query di ricerca mai viste prima .
Google Mobile-First Indexing (2018)
Nel 2018 Google sancisce il passaggio dal mobile-friendly al mobile-first.
Da quel momento, la versione mobile di un sito web viene considerata primaria dal motore di ricerca. In altre parole, qualunque sito non ottimizzato correttamente per la navigazione da dispositivi mobile, potrebbe vedere precipitare il posizionamento in SERP.
Nel comunicato ufficiale, il team di Google ci tiene a precisare che l’indice è uno solo per desktop e mobile, e non due come molti credevano, e che il questo cambiamento andrà a influire sul modo in cui vengono raccolti i contenuti, non come vengono indicizzati.
Cosa significa?
I contenuti raccolti dall’indicizzazione mobile-first non hanno alcun vantaggio di ranking rispetto ai contenuti per dispositivi mobili non ancora raccolti in questo modo o ai contenuti desktop. Inoltre, se hai solo contenuti desktop, continuerai a essere rappresentato nel nostro indice.
Se un sito web utilizza URL differenti per desktop e mobile, Google mostra l’URL mobile agli utenti che effettuano la ricerca da iPhone o Smartphone, e l’URL desktop agli utenti che navigano da PC. Tuttavia, il contenuto che viene indicizzato è sempre quello mobile.
Broad Core Algorithm Updates (2018)
Il 2018 è stato anche l’anno del Broad Core Algorithm Updates, ovvero un ampio aggiornamento dell’algoritmo di base che viene comunicato da Google sui suoi canali ufficiali:
Each day, Google usually releases one or more changes designed to improve our results. Some are focused around specific improvements. Some are broad changes. Last week, we released a broad core algorithm update. We do these routinely several times per year….
L’azienda stessa spiega le possibili conseguenze che i siti potrebbero riscontrare nell’immediato a livello di posizionamento in SERP e come potrebbero avvantaggiare siti che erano precedentemente sottovalutati.
Nonostante una confusione iniziale sui fattori di ranking e l’eventuale risoluzione di problemi specifici, diventa presto ben chiaro che, nelle logiche del nuovo algoritmo, il concetto di E-A-T è quello che porta il contenuto in cima alla SERP.
Nelle linee guida fornite da Google sono spiegati nel dettaglio i criteri per rendere un contenuto di qualità, che è la chiave per posizionarsi come ribadito anche da Danny Sullivan:
Want to do better with a broad change? Have great content. Yeah, the same boring answer. But if you want a better idea of what we consider great content, read our raters guidelines. That’s like almost 200 pages of things to consider: https://t.co/pO3AHxFVrV
In seguito all’introduzione di RankBrain, l’obiettivo di Google è stato sempre di più quello di comprendere le query conversazionali.
Come scrive Pandu Nayak sul blog di Google “la ricerca riguarda la comprensione della lingua”. Lo scopo è quello cercare di capire cosa l’utente cerca di visualizzare e fare in modo che il motore di ricerca interpreti correttamente le sue intenzioni, indipendentemente dall’ordine delle parole.
BERT è un ulteriore passo verso il linguaggio umano, che mira ad una comprensione più profonda dei significati per avvantaggiare sempre di più la ricerca vocale.
Danny Sullivan ci tiene a sottolineare che non ci sono istruzioni da seguire: Bert non cambia i pilastri fondamentali di Google, ovvero scrivere contenuti per gli utenti: usare la keyword nel tag title, nel tag alt e nell’URL e giocare con i sinonimi e le correlate, restano le regole fondamentali.
Secondo gli esperti di Google che l’unico modo per ottimizzare un testo dopo BERT è scrivere un testo pensando al beneficio che l’utente può trarne.
COVID-19 Pandemic: March 2020
Durante la pandemia, inevitabilmente, il comportamento del consumatore e i criteri di ricerca sono cambiati, per alcuni versi in maniera irreversibile.
Nella stessa settimana in cui è stato dichiarato lo stato di pandemia, Google ha risposto prontamente con ampia gamma di aggiornamenti di Google relativi a COVID-19, per far sì che le persone si sentano al sicuro, informate e connesse tra loro.
Tutte le modifiche e le implementazioni apportate al motore di ricerca, sono state pensate per agevolare gli utenti nel reperire servizi e assistenza, scoraggiare la disinformazione e favorire l’aggregazione online.
For educators around the globe, we’ve created new distance learning resources, a YouTube Learning Hub, and webinars. We’re working with groups around the world, e.g. in HK JP, IT, to help teachers for teachers use G Suite for Education.https://t.co/v6uMaK7lZO
Google My Business fornisce ora supporto costante per le attività commerciali che potrebbero essere interessate da COVID-19, per facilitare, ad esempio, l’aggiornamento continuo di informazioni come gli orari di apertura o le comunicazioni al pubblico. Come tutto il resto, nel 2020, il lavoro di Google è stato interamente rivolto alla riorganizzazione generale per l’emergenza sanitaria ancora in atto.
Google Page Experience Update and Core Web Vitals (CWV)
Il 10 novembre 2020, Google ha confermato il suo nuovo approccio: Core Web Vitals, che diventerà un fattore di ranking a partire da maggio 2021. La novità principale è che saranno introdotti indicatori visivi per segnalare agli utenti quali siti offrono un’esperienza di navigazione migliore.
In termini di Google, “Esperienza sulla pagina” è il modo in cui un utente fruisce le prestazioni e l’esperienza di navigazione, e quanto, di conseguenza, percepisce la navigazione sicura o meno.
L’ottimizzazione mobile continuerà a essere un fattore di ranking imprescindibile, con tempi di caricamento rapidi e la distribuzione dei contenuti finger friendly, ovvero a prova di schermo mobile.
Un sito Web deve essere sicuro e privo di contenuti dannosi o ingannevoli. Ad esempio, nelle nuove linee guida di Google si tende a scoraggiare fortemente gli interstitial che ostacolano l’utente nel trovare i contenuti che sta cercando, come le finestre popup che coprono un’area del contenuto principale sui dispositivi mobile.
Core Web Vitals (CWV) è una misura dell’esperienza utente “nel mondo reale”, inclusi i tempi di caricamento, l’interattività e la stabilità visiva.
E adesso?
Con il passare degli anni, Google ha annunciato con sempre maggiore anticipo le modifiche al suo algoritmo per concedere il tempo necessario per prepararsi.
La domanda che sorge spontanea è: cosa prepararsi fin da subito ai cambiamenti in arrivo?
Le metriche di Google sono sempre più user-centric: per scalare la SERP dovrai offrire agli utenti un’esperienza di navigazione impeccabile. Ma quali sono queste metriche?
Benchmark/audit tools: valuta e monitora esperienza utente sul tuo sito, individua per tempo le criticità;
Performance Budget: imposta correttamente gli obiettivi di budget di rendimento, compresi i target per dispositivi mobili e i tempi di caricamento, secondo i dettami previsti dal Largest Contentful Paint (LCP);
First Input Delay (FID): in altre parole, i tempi di risposta del sito a un input lanciato da un utente in relazione ad un contenuto che presuppone un’interazione, come un link o un pulsante;
Cumulative Layout Shift (CLS): ovvero, il punteggio di variazione del layout, che il browser calcola esaminando la dimensione della finestra e il movimento di elementi instabili nella finestra tra due frame renderizzati. Rivedi i caroselli, controlla i problemi di caricamento dei caratteri o di banner;
Prestazioni del sito Web: migliora le prestazioni del tuo sito, ovviamente dando priorità assoluta ai dispositivi mobile utilizzando un CMS headless e pagine AMP mobili.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/02/google-timeline-update.jpg9201639Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2021-03-16 11:30:182021-03-17 11:54:03Google Update Timeline: come l’algoritmo di Google ha imparato a interpretare il linguaggio umano
Questo articolo è stato scritto da Zharmer Hardimon – Editor, Think with Google.
Nell’ultimo anno, mentre il mondo intero vacillava per gli effetti della pandemia, molte aziende sono state in una continua lotta per capire come – e anche se – dovevano andare avanti con le attività quotidiane. Alcuni settori, come i viaggi, hanno subito sconvolgimenti sbalorditivi. Altri, come la vendita al dettaglio online, hanno visto opportunità di crescita.
In qualunque settore ti trovassi, dovevi considerare il giusto approccio di marketing. Abbiamo passato buona parte dell’anno a ripensare a come abbiamo fatto tutto. E, a tal fine, abbiamo pensato che valesse la pena dare un’occhiata all’anno trascorso per analizzare alcuni dei più grandi cambiamenti e i perni che rimarranno.
Le abitudini dei consumatori hanno subito cambiamenti radicali
Quando le attività hanno cominciato a chiudere in tutto il mondo, le persone si sono affannate a comprare quello che serviva. Ma con i negozi completamente chiusi o con l’esaurimento di generi di prima necessità – ricordi le corse per la carta igienica e il disinfettante per le mani? – tutti si sono dovuti reinventare per trovare risposte. L’interesse di ricerca per la vendita al dettaglio è cresciuto a livello globale nei primi mesi. Le ricerche di “who has” e “in stock” sono aumentate di oltre l’8.000% su base annua negli Stati Uniti. E, poiché le persone limitavano i loro spostamenti ai negozi di alimentari, nel Regno Unito si è registrato un crescente interesse per ricerche come: “cibo da congelare” e “consegna a domicilio”.
A incidere è stata anche l’ansia economica. Secondo uno studio Kantar del marzo 2020, nei paesi del G-7 il 71% delle persone ha affermato che il proprio reddito personale è stato influenzato dal Coronavirus. Il dato più alto quello dell’Italia (85%), seguita da Stati Uniti (75%) e Canada (75%). Un rapporto BCG ha rilevato che le persone che hanno anticipato i cambiamenti nelle loro abitudini di spesa si aspettavano di risparmiare di più (29%) e spendere meno (27%) in articoli non essenziali, come moda e lussi.
Uno sguardo alla ricerca per anno ha mostrato che le persone cercavano di ottenere il controllo di ciò che potevano durante i periodi di incertezza. Le ricerche di “apprendimento online” sono aumentate del 400%, poiché i genitori hanno cercato ispirazione, soluzioni e comfort. E, con le palestre chiuse, le ricerche di app per il fitness sono aumentate del 200% su base annua.
Le persone hanno cercato di trovare modi per coltivare connessioni in un mondo in cui erano tagliate fuori dalle loro vecchie vite. Le ricerche che includevano la frase “con gli amici online” sono aumentate del 300% su base annua. E la tendenza continua. Da novembre a gennaio, le ricerche di “watch party” (ad esempio, “youtube watch party” o “private watch party”) sono aumentate del 400% su base annua per lo stesso periodo di tempo.
Cercare di stare al passo con i modelli in continuo mutamento è uno dei motivi per cui abbiamo lanciato il nostro briefing mensile sugli approfondimenti globali.
Gli eventi dal vivo torneranno sicuramente, ma avranno un aspetto diverso. Le persone ci penseranno due volte prima di partire se potranno accedervi facilmente dal proprio soggiorno. Ciò significa che gli eventi dovranno essere personalizzati per offrire un’esperienza che si distingua davvero.
Il lavoro si è spostato a casa
Anche prima del distanziamento sociale e dell’isolamento, la casa stava diventando il punto di riferimento per le persone impegnate che cercavano di utilizzare meglio il proprio tempo. Che si trattasse di saltare il tragitto giornaliero o la fila al supermercato, le ricerche online e le abitudini di acquisto prima della pandemia indicavano il desiderio delle persone di trascorrere più tempo in attività che dessero loro gioia, piacere o conforto (e meno tempo nel traffico). Ma con interi team che lavoravano in remoto per un periodo di tempo indefinito, le aziende si sono trovate a cercare modi per mantenere un senso di comunità e per promuovere l’inclusione.
Il modello di lavoro in ufficio è probabilmente cambiato per sempre, modificando le abitudini dei consumatori e le culture del posto di lavoro. Per le aziende, questo significa trovare modi per soddisfare le esigenze più elementari delle persone e adottare misure per promuovere una forza lavoro più resiliente.
Lo shopping online è diventato la norma
L’eCommerce era già in costante crescita, ma il 2020 ha visto lo shopping online, alimentato dalla necessità, decollare. C’è stato un aumento significativo del numero di persone disposte a comprare generi alimentari, vestiti e persino automobili online. Nei primi sei mesi del 2020, ad esempio, quasi il 10% delle auto è stato venduto online, rispetto a solo l’1% delle auto vendute online durante tutto il 2018.
In definitiva, ciò che un acquirente vuole è aiuto. Quando cercano attivamente quell’aiuto nel regno digitale, diventa più facile per le aziende che ne possiedono gli strumenti leggere le intenzioni e prevedere i piani di marketing giusti per fornire quell’aiuto.
In tutto il mondo alcune persone hanno scoperto per la prima volta lo shopping online, mentre altre hanno semplicemente aumentato la loro dipendenza da esso. I programmi di ritiro a bordo strada e di personal shopper sono diventati la norma. E le nuove, più comode, abitudini non verranno certo dimenticate dopo la pandemia.
È tempo di essere pronti
È tempo di concentrarsi sulle basi. Ci sono marchi che hanno raddoppiato le informazioni, sono rimasti agili grazie all’automazione e hanno preso decisioni basate sui dati. Quei marchi sono riusciti non solo a sopravvivere nell’ultimo anno, ma a prosperare.
Le aziende sopravvissute alla pandemia hanno più dati e segnali dei consumatori, sono maggiormente in grado di agire su di essi e possono soddisfare uno standard più elevato per fare tutto questo in modo più responsabile che mai. Tuttavia, le interruzioni e l’incertezza rimangono, rendendo necessario che le aziende ripensino alla prontezza. Mentre guardiamo all’anno a venire, dovremmo tutti lavorare per reinventare il modo di soddisfare al meglio la domanda dei consumatori, anche se fluttua e anche se rimane volatile.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/Rossellina_15marz.jpg10801920Think with Googlehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngThink with Google2021-03-15 17:14:482021-07-26 12:59:40I grandi cambiamenti dovuti alla pandemia che sono destinati a rimanere
Stripe, la piattaforma di gestione di pagamenti online, triplica il suo valore aziendale nell’ultimo anno e raggiunge una valutazione di 95 miliardi di dollari.
Se l’eCommerce guida le tendenze dei mercati finanziari globali, la società fondata a San Francisco nel 2010 dai fratelli irlandesi John e Patrick Collison, con la sua valutazione record rientra tra le start up private più preziose e di maggior successo della Silicon Valley senza essere quotata in borsa, complici i nuovi trend di pagamenti digitali incentivati dalla pandemia e dal Covid.
Con l’ultimo round di finanziamento, la società ha annunciato di aver raccolto 600 milioni di dollari da Allianz X, Axa, Baillie Gifford, Fidelity Management & Research Company, Sequoia Capital e National Treasury Management Agency (NTMA), raggiungendo i 95 miliardi di dollari.
Una valutazione che, secondo il Financial Times, ha superato gli 80 miliardi di Facebook prima di sbarcare in borsa e i 72 miliardi di Uber precedenti alla sua prima offerta pubblica IPO nel 2019, dietro solo ai cinesi ByteDance (180 miliardi) e Ant Group di Jack Ma.
Rispetto alle altre startup private, Stripe guida la piattaforma di trading Robinhood, che attualmente è valutata in 11,7 miliardi di dollari, con un enorme margine.
Molte aziende, tra cui Amazon, Github, Yelp, Spotify e Uber, utilizzano le soluzioni Stripe per l’elaborazione dei pagamenti, con software di gestione semplice per integrare soluzioni di pagamento all’interno dei siti web, proprio come PayPal.
L’ultimo round di raccolta di capitali resterà a bilancio, in vista dei prossimi obiettivi di espansione, soprattutto verso i mercati europei, come evidenzia anche una nota stampa: “L’azienda utilizzerà i nuovi fondi per investire nelle iniziative europee – in particolare nel quartier generale di Dublino – per supportare la crescente domanda proveniente dalle grandi aziende del ramo Enterprise del Continente e per espandere la propria Rete Globale di Pagamenti e Tesoreria (GPTN)”. A ciò si aggiunge l’investimento in infrastrutture per sviluppare soluzioni di pagamento online per il prossimo decennio.
Dall’inizio della pandemia, Stripe ha aggiunto alla sua piattaforma circa 200 mila nuove compagnie in Europa tra quelle che utilizzano i suoi servizi, gestendo circa 5mila richieste al secondo.
Secondo il Bloomberg Billionaires Index, i fratelli Collison al momento vantano un patrimonio personale di oltre 11 miliardi di dollari ciascuno, che sembra destinato a crescere.
L’ascesa di Stripe
Dopo la creazione della start up nel 2010, i fratelli Collison nel giugno 2010 hanno ricevuto finanziamenti da Y Combinator, un acceleratore di start-up. A seguire, nel maggio 2011, un investimento di 2 milioni di dollari dai venture capitalist Peter Thiel, Sequoia Capital e Andreessen Horowitz. Lanciata ufficialmente al pubblico dopo un’estesa fase beta, nel febbraio 2012, un investimento da 18 milioni di dollari guidato da Sequoia Capital con una valutazione di 100 milioni. Nel 2016, Stripe è stata valutata in oltre 9 miliardi. A settembre del 2019 ha raccolto 250 milioni di dollari in un nuovo giro di finanziamento raggiungendo un valore aziendale di 35 miliardi di dollari, fino all’attuale cifra del valore di 95 miliardi di dollari, che batte Facebook e Musk prima della loro quotazione in borsa.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/1_Barbara-1.jpg10801920Barbara Landihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngBarbara Landi2021-03-15 14:02:372021-03-15 23:40:21Stripe triplica il suo valore, valutazione record da 95 miliardi di dollari
L’attenzione per i dettagli è essenziale quando produciamo contenuti e, in generale, ci rivolgiamo al pubblico con la nostra comunicazione. Diventa molto fastidioso, a posteriori, accorgersi di un refuso o di una svista in un documento, specie se non siamo in grado di intervenire per correggerlo.
Questa è solo una delle piccole disavventure che possono capitare durante la giornata lavorativa. Per questo ci affidiamo ad alcuni tool digitali che ci aiutano a centrare l’obiettivo previsto dalle deadine senza intoppi. E magari a regalarci qualche momento di spensieratezza, tra l’invio di una email e una call su Zoom.
Per rendere più divertente una presentazione o un contenuto non c’è niente di meglio di una illustrazione personalizzata. Con Amigos potrai crearne quante ne vuoi, scegliendo tra decine di opzioni.
Beta testing
Quando si lancia un nuovo sito, spesso ci si accorge di nuovi e inaspettati errori, typo e problemi di ogni genere. Brevy trasforma il tuo sito web in uno spazio collaborativo, permettendo a chiunque nel team di lasciare un feedback o segnalare problemi direttamente in linea.
Sempre nuovi tips
Nel Marketing non si finisce mai di imparare e per restare sempre aggiornato rispetto ai concorrenti puoi seguire i consigli di Ariyh. Riceverai le ultime ricerche delle migliori business school, riepilogate in appena 3 minuti.
Valorizza le risorse
Ogni azienda che utilizza Google Drive possiede enormi risorse che spesso non vengono sfruttate appieno dai diversi team. Grazie a Kbee puoi trasformare tutti i tuoi contenuti in un wiki veloce e ricercabile per te, il tuo team o i tuoi clienti. Uno strumento potentissimo anche per il Customer Care.
Animati, almeno in foto
Ci sono diversi modi per affrontare una pausa di lavoro: un caffè tra colleghi, qualche telefonata o uno snack per rifocillarsi. Oppure, puoi impiegare qualche minuto utilizzando MyHeritage, un tool per animare le vecchie foto di famiglia e trasformarle in video. Naturalmente, funziona anche con le foto più recenti.
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https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/Digital-tool-della-settimana-1.jpg8781630Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2021-03-14 09:32:552021-03-15 08:43:21MyHeritage, Ariyh e Kbee, i digital tool della settimana
Era solo questione di tempo prima che l’app più chiacchierata del momento mostrasse qualche vulnerabilità. Stiamo parlando di Clubhouse.
Testando ripetutamente tutte le sue funzioni come solo un vero Ninja può fare, ci siamo imbattuti in un malfunzionamento particolarmente interessante. Con un piccolo “hack” è possibile aprire un gruppo e inserire praticamente chiunque come admin, anche avendo a disposizione pochi dati.
Come vedremo in seguito, con delle manovre particolari diventa impossibile, per la persona aggiunta, liberarsi di questo ruolo, che rimarrà ben in evidenza nella lista dei suoi club.
Fin qui sembra solo uno scherzo innocente, ma cosa potrebbe capitare a un iscritto che si trovasse a figurare come amministratore di un club con un nome “sconveniente”, magari legato a contenuti pornografici, che inneggia alla violenza o relativo a tendenze politiche estremiste?
Naturalmente, vi presentiamo la situazione scoraggiandovi fortemente dal mettere in atto queste procedure: nonostante i tentativi che ci hanno permesso di individuare la vulnerabilità del sistema, non abbiamo al momento idea di quali potrebbero essere le conseguenze e le contromisure adottate dal social media qualora questo comportamento venisse individuato.
Rischiare il ban per uno scherzo non è probabilmente una mossa tanto furba. Meno ancora lo sarebbe provare a “incastrare qualcuno”, con i danni che potremmo creare a noi stessi o ad altri attraverso questo metodo.
Contiamo, invece, che la nostra segnalazione sia utile soprattutto agli sviluppatori di Clubhouse, a cui abbiamo già inoltrato un avviso della nostra scoperta, per correggere in tempi celeri la funzione.
Passo 1. Crea un club su Clubhouse
Non importa con quale nome lo aprirai, quale sarà l’immagine del club o la sua descrizione. Per questo test, noi abbiamo creato un fittizio Bug Club.
Come abbiamo già spiegato in questo articolo, adesso la possibilità di aprire un club è aperta a tutti: è infatti sufficiente cliccare sul simbolo “+”, in basso a sinistra nella nostra scheda profilo per avviare la procedura.
Passo 2. Genera il link per inserire nuovi membri
Cliccando sull’icona in alto a destra, quella con l’omino racchiuso in un cerchietto con il simbolo “+”, è possibile generare un link per invitare i nostri contatti a diventare membri del gruppo. Attenzione: non parliamo di follower che possono seguire le attività del club, ma di veri e propri “collaboratori” a cui si possono attribuire poteri di amministrazione, ad esempio per aprire nuove stanze.
Proprio perché è previsto che i membri del gruppo siano in un numero ristretto, ogni link funziona per un massimo di 10 utenti. Non ci resta quindi che copiare il link che, in teoria, potremo inviare ai nostri contatti per invitarli a far parte del club.
Passo 3. Autenticati col numero di un’altra persona
Qui comincia l’hack vero e proprio, in realtà piuttosto banale. Una volta copiato il link per l’invito al gruppo, non dovremo inviarlo a nessuno ma semplicemente aprirlo nel nostro browser, che ci reindirizzerà all’app di Clubhouse in una finestra in cui verrà visualizzata la richiesta di entrare nel club fatta dal nostro account… a noi stessi!
A questo punto il sistema richiede l’inserimento del numero di telefono come autenticazione per confermare l’iscrizione. Invece che inserire il nostro numero di telefono possiamo inserire qualunque contatto (a patto che sia già parte di Clubhouse, naturalmente) e cliccare su Verify membership.
Il gioco è fatto! Adesso la persona di cui abbiamo inserito il numero è un membro attivo del club, come se ne avesse fatto espressa richiesta.
Come ulteriore conferma, riceveremo una notifica che ci avviserà che l’utente che abbiamo coinvolto nel nostro magheggio fa ormai parte del gruppo che abbiamo creato. Nel nostro caso, Bug Club.
Passo 4. Rendi la tua vittima un amministratore del gruppo
Adesso che la persona di cui hai inserito il numero di telefono fa parte del tuo gruppo, non ti resta che renderlo amministratore. Riceverai un messaggio di conferma una volta cliccato sull’opzione “Make an admin”
Questa è la ciliegina sulla torta di un piano ben congeniato: abbandonare la scena del delitto e cancellare le prove cliccando Leave club.
Il malcapitato si troverà da solo nel gruppo da te creato, ne diverrà proprietario e non avrà modo di cancellarlo o abbandonarlo finché sarà l’unico admin presente.
Una via d’uscita in realtà c’è, anche se eticamente non è proprio il massimo: per sfuggire alla trappola, la persona gabbata dovrà seguire il tuo esempio, ripetere questa procedura e “incastrare” qualcun altro. Almeno finché clubhouse non risolverà il bug.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2021/03/andrea_bug_copertina.jpg9181648Andrea Grossohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAndrea Grosso2021-03-13 09:58:062021-03-14 09:34:12Attenzione ai club di Clubhouse, potresti ritrovarti admin senza saperlo
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