La tecnologia spinge oggi le aspettative dei clienti a nuovi livelli e in questo contesto professionisti e responsabili del marketing diventano promotori di relazioni significative ben oltre il primo acquisto.
Sulla scia della pandemia di COVID-19, gli standard di coinvolgimento dei clienti stanno cambiando ancora una volta e i marketer sono in prima linea nell’innovazione, come mostrano i dati raccolti da Salesforce nella sesta edizione della ricerca “State of Marketing”.
Le aspettative e i comportamenti dei consumatori, delle imprese e della società in generale stanno cambiando con una velocità e una portata senza precedenti. I marketer sono sotto un’enorme pressione per rivedere i loro modelli organizzativi e l’uso della tecnologia, per questo l’innovazione è la priorità numero uno nel settore.
Mentre i clienti imparano una serie di “nuove norme”, personalizzazione ed empatia non sono mai state così importanti. La consegna di messaggi e offerte in linea con le esigenze e le aspettative uniche di ciascun cliente richiede una profonda comprensione.
I responsabili marketing stanno cambiando il modo in cui si procurano e gestiscono i dati e stanno incrementando l’uso di tecnologie come l’intelligenza artificiale che li aiutano a sfruttarli al meglio. La crescita nell’adozione dell’AI è pari al 186% dal 2018.
Man mano che le aziende passano dalla comprensione di questa crisi alla ripresa e all’adattamento, i marketer hanno l’opportunità unica di trasformare le relazioni con i clienti in valore commerciale. Tenendo sempre più traccia di metriche come la soddisfazione del cliente, l’impegno digitale e il valore del cliente possono oggi ottenere un quadro olistico di ciò che funziona e ciò che non funziona nel customer journey.
I marketer B2B, infine, hanno un ruolo particolarmente importante nella crescita del business attraverso l’Account-Based Marketing (ABM).
Per scoprire più nel dettaglio gli insight del settore, Salesforce Resarch ha intervistato quasi 7.000 leader del marketing in tutto il mondo.
“Le interviste risalgono a gennaio e febbraio, prima dell’emergenza Covid-19, ma pensiamo che i risultati, alla luce di ciò che è successo, oggi abbiano ancora più valore”, ha spiegato in una conferenza stampa Stefano Cassola, Head Corporate Communications Italia e Spagna di Salesforce.
Sono questi i due aspetti che mettono oggi sotto pressione i marketer. Mentre le aziende cercano di connettersi con le persone e di costruire la fiducia in tempi incerti, l’esperienza del cliente è diventata più importante che mai.
L’84% dei clienti afferma che l’esperienza che un’azienda fornisce è importante quanto i suoi prodotti e servizi – in aumento rispetto all’80% del 2018.
Oggi l’88% degli high performer marketer guida iniziative di customer experience nelle organizzazioni, rispetto al 68% degli underperformer. Ma il cambiamento di mentalità e l’esecuzione sul campo sono due cose molto diverse, e molti marketer faticano a far corrispondere le operazioni alle aspirazioni. Meno della metà delle organizzazioni di marketing tiene traccia del customer lifetime value (LTV).
Innovazione significa fondamentalmente adattamento al cambiamento e questo è un punto critico nel momento storico nel quale ci troviamo. Già prima della pandemia COVID-19 , i responsabili del marketing riconoscevano nell’innovazione la loro massima priorità.
L’impegno innovativo in tempo reale non è un’impresa facile, per questo strumenti e tecnologie migliorate completano le principali priorità di marketing del 2020. Tuttavia, i responsabili del marketing riconoscono che raggiungere i loro ambiziosi obiettivi sarà una sfida.
Una rivalutazione dei budget per una nuova era
I budget di marketing erano costituiti da una gamma diversificata di attività che andavano ben oltre la pubblicità. Come tutti i leader aziendali, i CMO stanno ora rivalutando le voci di spesa.
“Ogni leader deve essere adattabile in tempi senza precedenti come questi, quando si pensa alla strategia e al budget. […] Nel breve termine, tattiche come fiere e pubblicità potrebbero essere ridotte o messe in pausa, ma gli investimenti in tattiche come l’ABM, il content marketing e la tecnologia rimangono fondamentali“, osserva Phil B. Clement Chief Marketing Officer di Johnson Controls.
“Ora è il momento di riaffermare i fondamenti del brand ai consumatori che si sono fidati di voi prima di COVID-19. Questo è ciò che dovrebbe guidare qualsiasi strategia di budget e tutte le decisioni di aggiustamento”, spiega Doug Zarkin Chief Marketing Officer di Pearle Vision.
Guardare avanti, ecco i prossimi marketing trend
I marketer – insieme al resto del mondo – si trovano oggi ad affrontare una crisi. Ma con il passare del tempo, il business si riprenderà, la fiducia aumenterà, e un ritrovato apprezzamento per l’innovazione si farà strada. I professionisti del settore si aspettano che i prossimi 10 anni portino grandi impatti di trasformazione dal punto di vista delle nuove tecnologie e ma anche degli sviluppi della società.
“La crisi Covid-19 sta costringendo i marketer italiani a ripensare ogni aspetto della propria attività, dalla definizione delle priorità e delle sfide strategiche, alle competenze tecnologiche e di team di cui avranno sempre più bisogno per migliorare sempre più la customer experience nella nuova normalità”, ha dichiarato Andrea Buffoni, Regional VP di Salesforce Marketing Cloud.
Da un punto di vista tecnologico, i marketer si aspettano che le reti wireless 5G avranno il maggiore impatto sul loro lavoro, ma anche la legislazione e i cambiamenti sociali sono destinati a trasformare ulteriormente il marketing.
Vuoi saperne di più sullo Stato del Marketing e sui trend del settore? Approfondisci conil sesto report “State of Marketing” di Salesforce.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/marketing-trend-salesforce.jpg466942Ninja Partnerhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngNinja Partner2020-06-08 11:00:322020-06-09 18:05:25State of Marketing: trend e insight da un'era di cambiamento globale
Iniziamo giugno con una ventata pre-estiva di novità. Mentre Trump continua a dividere sui social, Instagram testa nuovi sticker, messaggistica e newsfeed, e Facebook apre alla possibilità di inviare marketing email dalle proprie pagine. Queste, e molte altre novità da Pinterest, Snapchat e YouTube, nella nostra Week In Social.
Instagram, tra BlackOutTuesday, sticker, messaggistica, eventi e newsfeed
L’evento più importante della settimana è stato di certo il #blackouttuesday. Pensa che solo su Instagram, mentre scriviamo questo articolo, 28.900.980 post sono stati pubblicati sotto questo hashtag e i numeri continuano a crescere. Quanto alle novità, la piattaforma ha confermato che sta lavorando su tre feature. La prima riguarda la fusione di Facebook Messenger ai Direct Message di Instagram: pare che nei messaggi privati di Instagram potrebbero convergere quelli di Facebook Messenger.
Come puoi vedere dallo screenshot, su Instagram potrebbe arrivare anche lo sticker ‘Plans’, per pianificare online meeting. E, in ultimo, alcuni utenti hanno riportato un cambiamento nella visualizzazione del feed, che sembra includere due tab, con i post “Suggested” e “Older“. Una volta scrollato tutto il newsfeed, e ricevuta la notifica “You’re All Caught Up”, in futuro, potrebbe essere possibile accedere a una doppia schermata, con post suggeriti e post già visti. Non sappiamo se e quando il formato verrà rilasciato, ma potrebbe essere interessante per quei business che usano Instagram in ottica eCommerce.
Sarà possibile inviare marketing mail da Facebook
Dopo aver lanciato l’app ‘Venue‘, pensata per aumentare l’engagement degli eventi in real time, negli ultimi giorni alcuni utenti di Facebook hanno notato una nuova funzione, che permetterà alle persone di mandare marketing email direttamente dalle pagine Facebook. Per usare il nuovo sistema, dovrai prima autenticare la mail della tua pagina, aggiungere i tuoi contatti al database e poi potrai creare la tua mail all’interno della piattaforma, che si comporterà come un qualunque altro CRM.
Pinterest sempre più verso l’eCommerce
Pinterest continua il suo viaggio nel mondo dell’eCommerce, introducendo un nuovo tab “Shop” ai risultati di ricerca visiva di Lens. Come funzionerà? Basterà caricare o scattare una foto usando la fotocamera interna di Pinterest, e la piattaforma ti suggerirà tutti gli articoli in stock identificati nella tua immagine. Ogni pin suggerito includerà un link alla pagina di acquisto dell’articolo sul sito del venditore.
Snapchat chiude a Trump e realizza ads dinamiche
Ricordi la polemica sollevata dagli ultimi tweet di Trump, segnalati da Twitter? Te ne avevamo parlato la scorsa settimana. Sull’onda delle ultime dichiarazioni del Presidente degli US in merito alle proteste antirazziali, mentre Facebook ha deciso di non prendere alcun provvedimento a riguardo, Snapchatlimiterà l’esposizione dell’account di Trump nella sezione “Discover”. Trump potrà continuare a postare e la piattaforma non bloccherà i suoi contenuti, ma ne limiterà la viralità. Inoltre, pare che Snapchat stia realizzando “Annunci dinamici“ per consentire alle aziende di creare semplici campagne di annunci Snap caricando le informazioni del loro catalogo prodotti.
Come puoi vedere, gli annunci dinamici ti permetteranno di formattare le immagini dei tuoi prodotti e caricarle in formati compatibili con la piattaforma. Non solo, se alcune caratteristiche o il prezzo dei prodotti cambierà, l’annuncio verrà aggiornato in tempo reale.
Nuovi display e live alert su YouTube
YouTube aggiunge un paio di funzionalità. La prima riguarda il display in Creator Studio che riporta le performance del canale e raccoglierà in un’unica pagina display views, subscriber count, watch time e revenue performance. La seconda feature si chiama “Live Alerts for Merch“, realizzata per mostrare, durante gli streaming, gli acquisti effettuati dagli utenti nel Teespring store. In pratica, durante il live, nei commenti, apparirà un alert con l’oggetto acquistato, corredato di link per procedere all’acquisto. Un nuovo modo per aiutare i creator a promuovere i propri prodotti tra i fan, e aumentare la revenue attraverso i tool di YouTube.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/social-media-marketing.jpg563939Valentina De Felicehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngValentina De Felice2020-06-06 12:42:092020-06-08 13:53:32Week in Social: dalla fusione di Messenger con Direct alle ads dinamiche di Snapchat
Campari ha siglato un accordo con gli azionisti – inclusi il CEO, Marco Magnocavallo, P101 Sgr e Boox Srl – per acquisire una partecipazione del 49% di Tannico, la piattaforma eCommerce per la vendita online di vini.
L’accordo da 23,4 milioni di euro prevede la possibilità per il Gruppo di incrementare la partecipazione al 100% a partire dal 2025, in base a determinate condizioni.
Il perfezionamento della transazione è previsto entro la fine di luglio.
Per saperne di più sull’operazione abbiamo parlato direttamente con Marco Magnocavallo.
Fondata nel 2013, Tannico ha una quota di mercato superiore al 30%. Con oltre 7 milioni di visitatori unici negli ultimi 12 mesi, il portale offre una scelta di oltre 14.000 vini provenienti da ben 2.500 cantine italiane ed estere. Oltre ai vini, l’offerta comprende spirit di fascia alta.
Lo scorso anno Tannico ha realizzato vendite nette pari a 20,6 milioni e il cagr delle vendite nette negli ultimi tre anni (2016-2019) è stato pari al 50% circa. Complice il lockdown, il trend è cresciuto in modo significativo nel primo trimestre 2020, raggiungendo un sostanziale break even gestionale.
Il deal tuttavia non è frutto della crescita di quest’ultimo periodo: «I primi contatti sono avvenuti prima del lockdown, che non ha avuto impatto rispetto a questo accordo», spiega il CEO.
Dal 2017 la società ha ampliato la propria presenza a oltre 20 mercati, tra cui Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia. «Nei prossimi anni seguiremo un progetto di internazionalizzazione ed espansione all’estero ancora più rapido», sottolinea Magnocavallo. «Il canale B2B è già dall’anno scorso una delle nostre priorità per il futuro e con maggiori energie e capitali potremo sicuramente spingere l’acceleratore in modo più pesante», aggiunge. L’interesse del Gruppo Campari sembra infatti essere motivato anche da questa doppia possibilità: rivolgersi sia al b2c che al b2b attraverso un’unica acquisizione.
«Il modello di Tannico si è formato mano a mano che scoprivamo e capivamo il mercato. Intelligence, WinePlatform, B2B, Tannico Flying Schoole wine bar non erano previsti all’inizio».
Cosa succederà dopo a Tannico
In base all’accordo al Gruppo Campari è garantita anche la possibilità incrementare la partecipazione al 100% a partire dal 2025. Abbiamo chiesto al CEO cosa accadrà dopo questa data: «Tannico sarà un brand sempre più affermato e conosciuto e le persone saranno ancora più felici di essere servite e guidate dalla nostra azienda», conclude.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/tannico-campari.jpg605950Daria D'Acquistohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaria D'Acquisto2020-06-06 09:59:012020-06-08 17:17:02Campari acquisisce il 49% di Tannico per puntare sull'eCommerce
Nathan Furr, docente di strategie all’INSEAD ha condotto uno studio sulla reazione delle persone di fronte ad un periodo di incertezza improduttiva.
Lo studio fornisce un grado generale sulla situazione e viene arricchito da consigli utili per superare anche in momenti di ansia.
Di fronte a una situazione carica di ansia e ambiguità – che si tratti di una pandemia come quella in cui ci troviamo attualmente, una recessione, la perdita di lavoro, un cambiamento familiare indesiderato – la maggior parte di noi non è in grado di immaginare una possibilità, un vantaggio. La prima sensazione è la paralisi, cadiamo cioè vittima di uno stato di incertezza produttiva. Tuttavia queste situazioni possono – se pensate attraverso un pensiero positivo – aiutarci ad eccellere. Come?
I soggetti dello studio, apparso anche su HBR (Harvard Business Review), includevano innovatori, imprenditori, amministratori delegati e premi Nobel, insieme a giocatori d’azzardo, paramedici e surfisti. Ciò che veniva fatto durante lo studio era identificare gli approcci che usavano questi soggetti per resistere alle situazioni di incertezza e scoprire il potenziale nascosto al loro interno.
Tre peculiari abitudini sono state identificate come migliori per il nostro scopo. Vediamole insieme.
Incertezza improduttiva? Apri gli occhi su tutte le opzioni, presenti e future
Se siamo minacciati da incertezza improduttiva cerchiamo di concentrarci su ciò che è immediato, tralasciando le possibilità che – diversamente – saremmo in grado di cogliere facilmente.
Questo tipo di comportamento, afferma Furr, non solo crea inquietudine, ma può anche portarci a prendere decisioni avventate o a rinunciare alle opportunità che ci si presentano perché non le riconosciamo nemmeno: un po’ come la storia del pesce che per diventare “grande” abbandona l’oceano per andare a nuotare in uno stagno.
Questo tipo di comportamento – secondo Furr – avviene molto frequentemente nella fase di scelta dei futuri studenti universitari. Molti di questi infatti scelgono di non intraprendere percorsi di studi scientifici a causa dei loro punteggi SAT (il famoso test attitudinale necessario per l’accesso alle università americane).
Secondo lo studio – in cui si mettono a paragone gli studenti di scuole superiore e universitari di Harvard – gli studenti i cui punteggi SAT li collocano tra i primi tre della loro scuola hanno il 50% di possibilità di perseguire un titolo scientifico, mentre quelli con un punteggio inferiore hanno solo il 15% di probabilità di farlo. Queste statistiche creano nella mente di chi ha avuto un punteggio inferiore una sensazione di inappropriatezza che li mette nella condizione di pensare di non essere abbastanza intelligenti come i loro coetanei, e quindi di scegliere università più facili.
Lo stesso comportamento avviene per gli studenti di Harvard, perché la natura umana ci porta a prendere decisioni sulla base della nostra esperienza vissuta piuttosto che con un occhio al quadro più ampio. Gli studenti di Harvard con il punteggio più basso sono sicuramente abbastanza intelligenti da riuscire nelle discipline scientifiche, ma non riescono a vedere quel quadro più ampio e quindi non si danno una possibilità.
Se riusciamo a ricordare che esiste un contesto più vasto di quanto avremmo potuto pensare, pieno di possibilità più di quanto avremmo potuto immaginare, avremo molte più probabilità di raggiungere un risultato ottimale.
Ancora più importante, saremo in grado di resistere al disagio dell’incertezza improduttiva con maggiore ottimismo e calma.
Durante periodi di incertezza improduttiva, spesso ci blocchiamo ad immaginare quali saranno i risultati dei nostri dubbi. Gli innovatori esperti nella gestione di questo stato d’animo pensano in termini di probabilità.
L’emergenza COVID-19 ci viene in soccorso in questo caso per presentare un esempio calzante. Nel momento in cui la pandemia stava iniziando a diffondersi, ciascuno di noi ha iniziato a preoccuparsi della chiusura dei confini territoriali per fare in modo che la pandemia non si espandesse velocemente. Tuttavia pensare in termini binari – chiusura dei confini o non – crea inevitabilmente ansia.
Tutti volevamo che avvenisse in fretta per frenare questo fenomeno, considerata la mancanza di informazioni utili a capire come reagire.
In casi come questi valutare l’intera gamma dei possibili risultati ed assegnare loro delle probabilità, dà sollievo e ci permette di spalmare determinate percentuali di “liberazione” anche in un momento di terribile indecisione.
Ricorda che esistono sempre possibilità
Esistono sempre delle possibilità, anche tra l’incertezza improduttiva più dolorosa? O la capacità di trovarle è un privilegio per pochi? E ancora: la teoria regge in tempi di grave difficoltà?
Siamo in un periodo molto particolare, dove l’esitazione è una sensazione comune. L’Italia ha risposto bene: eppure, se ci dovessimo descrivere attraverso uno dei cinque organi di senso, questo sarebbe certamente il tatto. Gli italiani sono per loro natura accoglienti, gioiosi, necessitano di contatto, di stringersi la mano ma sono storicamente anche in grado resistere, di fare di necessità virtù e trasformando le loro incertezze produttive in possibilità.
Basti pensare alle tante aziende di moda (e non solo) che hanno convertito, temporaneamente, la loro produzione di indumenti in dispositivi di protezione individuale per ricordarci che siamo tra gli stati del mondo più adattivi e fantasiosi.
Una dimostrazione che anche dalle peggiori crisi possono nascere nuove strade e che l’incertezza si vince percorrendole.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/incertezza-improduttia-2.jpg603946Federico Gambinahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederico Gambina2020-06-05 14:24:022020-06-08 17:17:12Come non farsi paralizzare dall'incertezza improduttiva (e cogliere le opportunità anche in tempo di crisi)
Sono passati quasi 50 anni da quando le Nazioni Unite hanno indetto la prima Giornata Mondiale dell’Ambiente, celebrata per la prima volta il 5 giugno del 1974 con lo slogan “Only One Earth”.
In quegli anni, l’umanità cominciava giusto a rendersi conto del proprio impatto sul mondo. Gli studi ecologisti erano appena all’inizio, ma già si delineava uno scenario drammatico, con una curva che, gli esperti annunciavano, ci avrebbe portato al collasso entro pochi decenni. Bisognava invertire subito la rotta, dicevano.
E invece, così non è stato. All’epoca il mondo era popolato da meno di 4 miliardi di persone, e oggi siamo arrivati a più di 7. Il numero di automobili non ha fatto che crescere, così come il consumo di carne, lo sfruttamento selvaggio delle risorse, l’inquinamento di fiumi e mari.
Addirittura, molti hanno continuato ad additare figure che combattevano per l’ambiente come Greta Thunberg come “uccelli del malaugurio” e a considerare la crisi climatica una specie di esagerata leggenda. Gli sforzi per contrastare la crisi sono stati pochi e poco decisi, specialmente da parte dei governi, e la situazione ha continuato a peggiorare senza che nessuno ci facesse particolarmente caso (l’aria a Milano era irrespirabile a inizio anno, ma nessuno si preoccupava delle morti e malattie dovute anche a questo).
Tutto è andato avanti come se nulla fosse. Almeno fino a quando un’altra crisi ci ha colpito: il Coronavirus.
Tutti ambientalisti ai tempi del Covid
Un virus è riuscito in poche settimane a fare ciò che in quasi 50 anni privati, aziende e governi avevano solo immaginato: a ripulire i cieli, a far tornare trasparenti i mari, a bloccare i fumi che escono dalle fabbriche e i liquami che vengono gettati nei fiumi.
Un virus ci ha bloccati in casa e costretti al silenzio, mentre la Natura si prendeva una meritata vacanza. Tanto è stato esplicito il sospiro di sollievo che la terra ha tirato, che alcuni hanno anche voluto vederci quasi una sua “vendetta” per il modo in cui la trattiamo.
Chiaramente questa è una teoria un po’ troppo animista per essere riconosciuta, ma effettivamente ci sono fonti autorevoli che suggeriscono una correlazione tra l’insorgenza del Coronavirus e crisi climatica: abbiamo già parlato in un altro articolo di come la riduzione degli ecosistemi e della biodiversità abbia aumentato drasticamente le zoonosi, cioè malattie trasmesse all’uomo dagli animali, tra cui probabilmente c’è anche il Covid-19. E ancora, l’Università di Harvard ha stabilito una forte correlazione tra polveri sottili e tasso di mortalità del Coronavirus.
Insomma, tra queste notizie uscite sui giornali, le foto di coniglietti nei parchi e di delfini nei porti che hanno invaso i social, e l’aria incredibilmente pulita e fresca che potevamo respirare dalle finestre quando eravamo chiusi nelle nostre case, finalmente una consapevolezza ecologista ha colpito i più.
E forse, dico forse, questa potrebbe essere la miglior cosa che potesse succedere per la lotta al cambiamento climatico. Se ci impegniamo abbastanza, quantomeno.
Come abbiamo visto in questo articolo, unostudioIpsos condotto dal 21 febbraio al 6 marzo 2020 in 29 nazioni, tra cui l’Italia, ha indagato come il mondo vede il cambiamento climatico e il Covid-19.Per il 71% delle persone il cambiamento climatico deve considerarsi una crisi quanto la pandemia.
Il consumo sostenibile, già in crescita in tempi non sospetti prima della pandemia, diventerà probabilmente una priorità maggiore per i consumatori (specialmente se gli Stati riusciranno a renderlo economicamente sostenibile).
Un sondaggio effettuato nel Regno Unito ha evidenziato come il 45% dei cittadini, colpiti dalla qualità dell’aria durante il blocco, si sia dichiarato interessato a comprare un’auto elettrica; erano solo il 17% coloro che avevano già pensato di acquistarne una prima.
I singoli quindi, anche alcuni di quelli che fino a pochi mesi fa additavano Greta come il male del mondo, potrebbero quindi finalmente iniziare a fare attenzione alla propria impronta ambientale, a comprare meno plastica, consumare meno carne, risparmiare energia in casa. Una grande vittoria, certo, ma abbastanza per invertire la tendenza?
No purtroppo, ormai lo sappiamo bene.
Non basta lo sforzo dei privati: servono azioni drastiche e congiunte da parte dei governi, dei potenti, di chi detiene i capitali. Serve che l’economia green diventi non solo “cool” ma anche conveniente.
E questo dramma che abbiamo appena vissuto come popolazione del mondo, sarà probabilmente l’ago della bilancia: la direzione che i potenti faranno prendere alla “ricostruzione” post-Covid sarà determinante.
Perché se da una parte ci sono Stati come la Polonia e la Repubblica Ceca, che proprio in questi giorni propongono di mettere da parte gli investimenti Green per concentrarsi sulla risoluzione della crisi attuale, dall’altra fortunatamente molti Paesi ritengono vero quello che ha detto Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea: “Prima o poi i nostri scienziati e ricercatori troveranno un vaccino contro il Coronavirus. Ma non c’è vaccino contro i cambiamenti climatici. Per questo motivo l’Europa deve ora investire in un futuro pulito“.
E l’intreccio politico ed economico che il Covid ha causato sta finalmente creando le condizioni perché questo possa avvenire abbastanza velocemente da essere efficace.
Il mondo post-Coronavirus può essere più green
Dopo la crisi finanziaria del 2008, gli economisti hanno rilevato che i progetti verdi creano più posti di lavoro, offrono maggiori rendimenti abreve termine per ogni dollaro speso e portano ad un aumento dei risparmi sui costi a lungo termine, rispetto ai tradizionali stimoli fiscali.
In quest’ottica, la nuova crisi che ci troviamo ad affrontare ci offre l’opportunità unica, dovendo risolvere adesso problemi legati ai trasporti, al lavoro, alla socialità etc., di accelerare cambiamenti che altrimenti rischiavano di andare per le lunghe e diluire la propria utilità.
Trasporti post-Covid
Il primo ambito in cui vedremo sicuramente conseguenze notevoli sarà quello dei trasporti, che è destinato a cambiare velocemente in quantità e qualità.
Con il passaggio allo smart working che (si spera) verrà mantenuto quanto più possibile da molte aziende, la riduzione dei posti disponibili sui mezzi pubblici e la chiamata dell’OMS a “utilizzare la bicicletta quanto più possibile”, molti governi si stanno attivando con piani ingenti per migliorare la mobilità delle città.
Parigi, Londra e Milano sono tra le avanguardie europee, con piani da svariati milioni di investimento. A questo si aggiungono gli incentivi del governo italiano per la mobilità post Covid, che per caso o per fortuna vanno tutti nella stessa direzione green.
Lo smart working è qui per restare?
Poi c’è il lavoro: finalmente lo smart working è sulla bocca di tutti, e tra alti e bassi ha dimostrato di sapersi difendere come modalità lavorativa alternativa, soprattutto nella Fase 2 in cui si è potuto coniugare con regole un po’ meno rigide di clausura.
Uno studio appena pubblicato da Enea ha analizzatoil suo impattoin 29 amministrazioni pubbliche, evidenziando come la mobilità quotidiana del campione esaminato si sia ridotta di un’ora e mezza in media a persona. Durante l’emergenza Covid, il numero dei lavoratori agili in Italia è raddoppiato superando il milione, ed è auspicabile che lo smart working rimanga a questo punto una modalità lavorativa da implementare stabilmente per molte realtà.
“Basterebbe anche un solo giorno a settimana di smart working per i tre quarti dei lavoratori pubblici e privati che utilizzano l’automobile per ridurre del 20% il numero di km percorsi in un anno. In questo modo si otterrebbe un risparmio di circa 950 tonnellate di combustibile, oltre a una riduzione di oltre 2,8 milioni di tonnellate di CO2, di 550 tonnellate di polveri sottili e di 8mila tonnellate di ossidi di azoto, con un significativo impatto positivo sulla salute della popolazione”, spiega Marina Penna dell’Unità Studi, Valutazioni e Analisi di ENEA.
Il digital sembra aver modificato le nostre vite in meglio in pochi attimi, pensando ad esempio allo smart working: tutto è più semplice, immediato, non richiede spostamenti. Eppure anche Internet ha il suo peso ambientale.
Questo mondo virtuale non si trova collocato da qualche parte nel cloud, ma per utilizzare rapidamente il nostro motore di ricerca preferito o per fare shopping online, abbiamo bisogno di qualcosa di tangibile, così come per lo streaming video o per il gaming online.
Oltre a influenzare e cambiare il comportamento dei consumatori, il digitale ha un’infrastruttura molto materiale, che non è priva di impatto energetico e ambientale.
Secondo i dati di Google, la ricerca sul browser utilizza in media circa 0,0003 kWh di energia, pari a circa 0,2 grammi di CO2, vale a dire l’equivalente di accendere una lampadina da 60W per 18 secondi. Ma poi – secondo Google ogni anno vengono effettuate più di 2 trilioni di ricerche (1.000.000.000.000.000). Quindi questa lampadina potrebbe rimanere accesa per più di un milione di anni! Ciò che all’inizio sembra incredibilmente piccolo si trasforma in qualcosa di notevole impatto, visti i trilioni di volte in cui viene eseguita.
Secondo un report di Greenpeace, “Si stima che l’impronta energetica del settore IT consumi già circa il 7% dell’elettricità globale. Con un previsto triplice aumento del traffico globale di internet entro il 2020, l’impronta energetica di internet aumenterà ulteriormente, alimentata sia dal nostro consumo individuale di dati che dalla diffusione dell’era digitale a un numero maggiore di persone nel mondo, da 3 miliardi a oltre 4 miliardi a livello globale”.
Se tutto questo non fosse abbastanza, anche cryptocurrency e blockchain hanno aggiunto ulteriore impatto energetico del mondo virtuale su quello fisico.
E il carbone?
Una delle opportunità più “golose” per gli ecologisti è ciò che sta succedendo in ambito petrolifero.
“Il comparto petrolifero non sarai mai più lo stesso. Penso che questa crisi cambierà le strategie della società, come è successo dopo l’Accordo di Parigi”, ha dichiarato Ben van Beurden, amministratore delegato della Shell.
Ilconsumo mondiale di petrolioè calato del 30%, cioè 70 milioni di barili al giorno invece che 100, e il prezzo è crollato. Si è rafforzata la consapevolezza che ilpicco della domandadi petrolio sia prossimo o addirittura già passato, e che il futuro preveda una strutturale riduzione dei consumi.
Questo scossone potrebbe avere anche un effetto positivo sulle multinazionali petrolifere, obbligandole ad accelerare i timidi tentativi in corso didiversificazione verso le rinnovabili.
Se a tutto ciò aggiungiamo lariduzione dei consumi prevista per il post-Covid per l’impatto sul trasporto legato al probabile mutamento degli stili di vita e di lavoro visto sopra, lo scenario che si prospetta è molto più verde.
Giornata Mondiale dell’Ambiente 2020: gli effetti di una rivoluzione green
Tutto questo vuole essere una visione positiva (ma ragionata) di alcuni degli effetti che la ripresa post Coronavirus potrebbe avere sull’ambiente.
Certo, è una visione rosea (anzi, verde). Potrebbe succedere anche l’opposto. Potremmo tutti rinchiuderci nelle nostre vecchie auto inquinanti per paura del contatto con gli altri, essere così presi dai nostri problemi contingenti da dimenticarci le buone abitudini ecologiche che avevamo preso durante la pandemia, etc etc.
Sicuramente è uno sforzo che dobbiamo fare tutti, collettivamente, soprattutto i nostri governanti (adeguatamente pungolati dall’opinione pubblica).
Al momento, come sempre dopo ogni grande crisi, siamo sulla cresta dell’onda del cambiamento: è possibile tutto e il contrario di tutto. Questa crisi può essere distruzione o opportunità, come abbiamo visto in altre occasioni.
Più che mai sta a noi, dal singolo cittadino al capo di governo, prendere le giuste decisioni perché tutto ciò avvenga. La Natura ci ha dato una grande opportunità, anche se non la vediamo. Cerchiamo di coglierla.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/earth-1149733_640.jpg425640Ilaria Cazziolhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngIlaria Cazziol2020-06-05 11:02:482020-06-06 09:34:17Giornata mondiale dell'Ambiente: il post-Covid aiuterà l'ecologia?
Tra i settori più colpiti dal Covid-19 c’è quello della moda. Nonostante il lockdown, è comunque rimasta invariata la fedeltà ai brand.
Nel frattempo il retail si reinventa per offrire un’esperienza d’acquisto sicura.
Uno dei settori più colpiti dalla crisi economica causata dal Covid-19 è quello della moda. Il lockdown, non ha provocato solo la cancellazione di eventi e sfilate, ma anche l’arresto della filiera produttiva in ogni suo aspetto, dal recupero di materie prime fino alla distribuzione, decretando un calo nei guadagni del -14,1% (report Area Studi Mediobanca). The State of Fashion 2020, il recente report di The Business of Fashion e McKinsey prevede che l’industria della moda globale quest’anno subirà una contrazione del 27-30%.
Ed ora che siamo nella fase della ripartenza? Sono due le domande che agitano il settore, secondo Fashion United: da un lato, come disinfettare i capi dopo ogni prova, dall’altra, come comportarsi con le grandi quantità di merci accumulate nei magazzini. Inoltre ci si chiede: “Con questa crisi che vige nel paese, quanta voglia c’è di fare shopping?” Secondo ricerca dell’Assirm, i consumatori italiani stanno acquistando abbigliamento, accessori e scarpe prevalentemente per necessità (45%), più che per sfizio personale (17%). Sì, perché nessuno in questo momento ama “provare vestiti che possono essere stati indossati poco prima da altre persone”. Inoltre si preferisce acquistare capi comodi, funzionali, rispettosi dell’ambiente e duraturi nel tempo.
Le prossime indagini sulla moda riveleranno sicuramente un quadro più chiaro dell’impatto del COVID-19 nel settore dell’abbigliamento. Per adesso, le uniche certezze degli studiosi dicono che:
nonostante il lockdown è rimasta invariata la fedeltà ai brand
le ricerche si sono orientate principalmente verso capi di athleisure
solo chi si ingegna ha possibilità di migliorare la propria rendita
Fedeltà ai brand: il risultato del report di Lyst Index
Secondo Lyst Index, durante il primo trimestre del 2020 i top 3 brand più desiderati su scala mondiale sono stati Off-white, Balenciaga e Nike.
Off-White si è confermato come il brand più desiderato in assoluto, per il 3° trimestre consecutivo, grazie ad un’idea di lusso sovversiva e anti-sistema. L’approccio digitale adottato nelle prime settimane di emergenza sanitaria, sia dal brand che dal suo fondatore Virgil Abloh, hanno fatto registrare un esponenziale aumento di engagement sui social media: la quarantena è stata trasformata in una nuova occasione per creare fidelizzazione tra brand e clienti, rafforzando ulteriormente la brand identity del marchio.
Balenciaga è salito di una posizione, raggiungendo il 2° posto della classifica (l’ultima volta era successo nel 3° trimestre 2019). Con il passare delle stagioni, il brand ha proposto collezioni sempre più avvincenti, capaci di mescolare lo stile Haute Couture con la semplicità dello street style ed un’atmosfera apocalittica.
Nikeè uno dei marchi che ha scalato più velocemente la classifica: è schizzato al 3° posto, salendo di ben nove posizioni e scalzando Gucci (ora 4°). Il colosso dello sportswear è stato spinto in alto da una serie di importanti iniziative globali del brand e da un aumento delle richieste dei consumatori di prodotti come felpe, pantaloni della tuta e calzoncini.
In generale, la classifica dei brand più desiderati del primo trimestre del 2020 vede una stabilità di numero dei marchi italiani più ricercati, segno che, nonostante il COVID-19, sembra rimasta invariata la brand loyalty, ovvero la percezione che i consumatori hanno della marca.
Sono cambiate le ricerche in termini di abbigliamento?
La pandemia non ha solo cambiato solo le nostre abitudini, ma anche le nostre ricerche e gli acquisti online. In una recente intervista a WWD, Net-à-Porter ha dichiarato di aver registrato un incremento del 40% nelle vendite online, con un particolare interesse per i pantaloni della tuta. Anche una ricerca di XChannel ha rivelato un cambiamento nelle ricerche, che va verso una tendenza alla comodità (56%), all’informalità (21%) e alla sportività (17%).
Ma, quali sono stati i prodotti più ricercati al mondo? Secondo Lyst, il prodotto da uomo più ricercato a livello globale è la mascherina nera con frecce bianche di Off-White. Nel corso del trimestre questo prodotto ha registrato il sold out presso tutti i rivenditori fisici (al prezzo di 95 dollari) perciò attualmente è venduta solo sulle piattaforme online, a tre volte in più rispetto al suo prezzo originale (secondo Madame Figaro queste mascherine avrebbero raggiunto il prezzo record di mille dollari sul sito Farfetch, ma sarebbero poi state ritirate, a causa delle polemiche scatenate sui social).
Certamente, la pandemia di COVID-19 ha spinto molti brand a buttarsi su questo mercato e ha scatenato un’impennata del 496% delle ricerche, ma non si tratta di un nuovo trend: Off-White è stato il primo a lanciare mascherine fashion sul mercato e in passato sono state indossate da rapper del calibro di Travis Scott, Future e Young Thug. La maglia in pile con mezza zip di Loewe, ispirata alla natura, è stata il secondo prodotto da uomo più desiderato del trimestre: dopo essere stata indossata dagli attori Timothée Chalamet e Josh O’Connor e dal cantante Justin Bieber, ha registrato una flessione del +88%. In terza posizione, invece, troviamo la felpa con cappuccio di Gucci x Disney, mentre le sneakers Kobe 4 Protro Carpe Diem di Nike, che rendono omaggio alla stella dell’NBA Kobe Bryant, si sono posizionate al quarto posto.
La top 3 della classifica femminile di Lyst è stata dominata dalla borsa matelassé Cassette di Bottega Veneta, dal body morbido in pizzo di Off-White e dalla borsa shopper di Telfar (una borsa tote con logo goffrato, spesso in sold out presso i suoi rivenditori). Visto il periodo di incertezza, molte consumatrici di abbigliamento e accessori di lusso sono andate alla ricerca di pezzi vintage di seconda mano, decretando la decima posizione della famosissima borsa Classic Double Flap di Chanel (+75% delle ricerche).
Quali sono state le principali iniziative della moda durante il lockdown?
Molti brand come Armani, Prada, Gucci, Trussardi, Versace, Bulgari e fashion icon come Chiara Ferragni, Kylie Jenner e Mariano di Vaio si sono schierati in prima linea nella lotta contro il Coronavirus, attraverso generose donazioni. Le case di moda hanno riconvertito i propri stabilimenti per la produzione di mascherine o altri dispositivi di protezione.
Armani ha invitato le altre maison a fermarsi a riflettere: è il momento ideale per combattere la “fast fashion”, ovvero il concetto di “moda istantanea” che rende i prodottiobsoleti dopo poco tempo dal lancio, sostituiti da merce nuova che non è mai poi troppo diversa. Tra i brand che ha accettato con buoni propositi questo invito è stato Gucci, che ha deciso di rallentare i ritmi di produzione per tornare a dar valore alla creatività. Anche la direttrice di Vogue e Condé Nast, Anna Wintour, in una recente intervista rilasciata a Naomi Campbell, ha dichiarato di essere d’accordo con questo diktat, affermando: “Siamo tutti d’accordo che bisogna mostrare di meno, che bisogna puntare di più sulla sostenibilità e sulla creatività, e meno sul lusso. Questo terribile evento ci ha fatto capire che dobbiamo cambiare e che saremo in gradi di farlo”.
Ma non solo, il lockdown è diventato anche un’occasione per lanciare “servizi fotografici fai da te”. La campagna di Zara per la primavera-estate 2020, ad esempio, è stata ripresa in autonomia dalle modelle che hanno ricevuto a casa i prodotti e dopo aver scelto un angolo instagrammabile della propria casa, hanno realizzato un autoscatto. Il risultato ottenuto è quello di fotografie in veste “casalinga”, caratterizzate da pose semplici e naturali, senza trucco e senza acconciature. Altra campagna scattata direttamente dai modelli, senza l’aiuto di truccatori, hair stylist e fotografi, è quella di Gucci per l’autunno-inverno 2020-2021.
Ma soprattutto, non sono mancate le social challenge, per continuare a coinvolgere e intrattenere la propria community, anche durante il lockdown. Versace, ad esempio, con la campagna #VeryVersace, ha invitato la propria fanbase a fotografare oggetti, paesaggi, spazi e scene che ricordavano l’iconica V del brand. Alexander McQueen ha lanciato il progetto #McQueenCreativeCommunity, che consisteva nel pubblicare immagini inspirational, allo scopo di invitare gli utenti a replicare con sketch e disegni da ri-pubblicare sui propri canali social. Per non parlare di Louis Vuitton, che tramite il progetto #FLWfromhome intratteneva i propri utenti con concerti, tour virtuali, masterclass online. E Nike, che con l’iniziativa #PlayInsidePlayForTheWorld, ha animato il proprio canale IG di sorprese ed eventi sportivi.
Il modo in cui le persone interagiscono con i brand e fanno acquisti sta cambiando velocemente e il digitale assume un’importanza fondamentale per le case di moda. Secondo Chris Morton, Co-fondatore e CEO di Lyst, “Coloro che si adatteranno più rapidamente ai nuovi scenari, prendendo decisioni basate su dati e faranno affidamento sulle loro stesse forze, avranno maggiori probabilità di crescita”.
Fashion renting e personal shopper digitale: nuove idee per la ripresa
Dopo oltre due mesi di lockdown, scatta una nuova sfida per il retail moda, costretto a reinventarsi per offrire un’esperienza d’acquisto in totale sicurezza.
Secondo alcuni esperti, il fashion renting potrebbe essere la soluzione per il post COVID-19. Il noleggio degli abiti, infatti, permetterebbe di soddisfare il bisogno di indossare vestiti nuovi, senza muoversi da casa e con la garanzia che siano stati sottoposti a lavaggi specializzati. Ogni capo, infatti, prima di ogni spedizione verrebbe inviato a tintorie specializzate. I vantaggi? Prezzi alla portata di tutti, rispetto per l’ambiente e sicurezza.
Un’altra idea per la ripresa può essere quella di introdurre un personal shopper digitale che offra consigli in streaming, mostrando al cliente i look indossati e i relativi prezzi. Alcuni brand che hanno già abbracciato questa idea sono stati OVS e Pinko. Ma non solo. C’è anche chi ha provato a sostituire il personal shopper con un’APP fondata sull’AI: The Yes. D’altro canto, la moda dovrà inevitabilmente affidarsi alla tecnologia: capi progettati e presentati in 3D, sfilate online, virtual fitting room e prototipazione 3D, molto presto, diverranno la normalità.
Infine, c’è chi ha deciso di lanciare una piattaforma on demand con delivery express: si tratta di P448, un negozio di sneakers a Milano che offre un’esperienza d’acquisto veloce e sostenibile, in tutta sicurezza. Per tutti coloro che non vogliono recarsi in negozio esiste, infatti, la possibilità di acquistare online il proprio modello di scarpa preferita e di riceverlo attraverso un servizio gratuito di delivery in bici, entro 90 minuti dall’ordine.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/friends-showing-to-each-other-purchases-in-paper-bags-4005062.jpg426640Monica Brignolihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMonica Brignoli2020-06-04 17:05:122020-06-08 17:17:24Gli effetti della pandemia sulla moda e la ripartenza per il settore retail
Il rebranding di un marchio è un processo molto complesso che comporta il lavoro sinergico di molti team, ore e ore di pianificazione e programmazione prima della fase di lancio
A maggio hanno cambiato identità: Flaticon, ForTune, Adobe Creative Cloud e Photoshop
I marchi possono avere la necessità di cambiare la propria immagine per diverse ragioni. Le aziende crescono, cambiano, imparano da loro stesse, si evolvono e si adattano alle nuove tendenze o semplicemente necessitano di un restyling “fresco e accattivante”.
Ma non fraintendiamoci, non si deve trattare solo di un capriccio del momento. Il rebranding, se fatto nel modo corretto, può dare nuovo impulso, oltre a dare una spinta in nuove direzioni e contribuire a migliorare la comunicazione con i propri clienti.
Scopriamo insieme i casi di rebranding più curiosi del mese di maggio.
Flaticon, l’archivio di icone digitali, che contiene oltre 700 mila risorse vettoriali scaricabili gratuitamente, cambia identità. La piattaforma di micro stock nasce da Freepik Company che include diversi prodotti di design e creatività, tra cui: il sito web omonimo con oltre tre milioni di vettori, PSD e foto di repertorio, l’omonimo Freepik e l’ampio catalogo di temi e modelli gratuiti di PowerPoint e Google Slides, ossia SlidesGo.
La strategia di rebranding intende rafforzare il messaggio del marchio con l’obiettivo di unificarlo all’architettura degli altri servizi (Slidesgo e Freepik).
La necessità è stata quella di stabilire un ordine e scegliere un percorso comune che dia forza e coerenza agli occhi degli utenti. Il primo passo per rafforzare l’identità visiva è stata la riprogettazione del logo di Flaticon, per renderlo in linea con le altre icone.
Per non perdere in termini di riconoscibilità, la struttura è rimasta la stessa. Il logotipo è pressoché uguale, si passa da un carattere maiuscolo a uno minuscolo, poiché gli altri logotipi della famiglia sono tutti minuscoli. Sono state semplificate la maggior parte delle linee, in modo che appaia più pulito e aggiornato alle tendenze attuali.
Per quanto concerne il carattere, è stata utilizzato lo stesso per tutti i progetti, ossia il Mark Pro Bold.
Cambia il colore principale, un verde-turchese dal tono leggermente più scuro, per migliorare il contrasto in alcune app e creare un logo in generale più accessibile. Il blu, come colore secondario, è invece rimasto invariato.
Ora i marchi sembrano più coerenti tra di loro, mantengono un nucleo simile e altri dettagli gemelli.
Il rebranding di Flaticon rafforza il marchio e promuove nuovi progetti, dimostrando allo stesso tempo la crescita dell’azienda nel suo insieme.
Nuovo look e nuovo nome: il rebranding di ForTune, che diventa Vois
ForTune la piattaforma italiana di podcast, news e musica basata sugli interessi degli utenti, cambia nome e aspetto, ora si chiama Vois.
Il nuovo nome gioca sul significato della parola francese “vedere”, richiamando la potenza evocativa dei contenuti vocali di creare immagini e far sognare.
Un richiamo forte alle origini, sottolineato dal nuovo logo che raffigura una bocca, ovvero l’elemento primario da cui ha origine la voce.
L’audio e il podcasting sono diventati in poco tempo il linguaggio mobile per eccellenza. Dall’ultima indagine stilata da Ipsos sulle modalità di fruizione di digital audio, è emerso che 1 italiano su 4 ha ascoltato podcastnell’ultimo mese. Anche i dati dati raccolti da Nielsen nel 2019 sottolineano come il segmento podcast abbia registrato una crescita importante, con 1,8 milioni di ascoltatori in più rispetto all’anno precedente.
Una crescita legata anche alla diffusione degli smart speaker, che hanno definitivamente accelerato la fruizione dei podcast in ambiente domestico (oltre il 60% di possessori di smart speaker ascolta podcast). Dati che spingono molti brand a comunicare con il proprio pubblico attraverso l’audio e il vocal storytelling.
Su queste basi si fonda il rinnovamento di Vois, che a gennaio 2020 ha ricevuto un nuovo round di investimento, introducendo nella compagine sociale figure di riferimento nel settore dei media.
Oggi il network conta 80 autori e divulgatori esperti su tematiche verticali, come ad esempio farmaceutica, food, tecnologia, scienze ecc. I prodotti realizzati vengono poi pubblicati sulle diverse piattaforme di ascolto, come Spotify, Apple Podcast e Google Podcast.
Adobe rinnova Creative Cloud e ridisegna il logo di Photoshop
Adobe ha adottato una revisione dell’identità del marchio e svelato una nuova icona per il suo Creative Cloud, una vera e propria evoluzione, come l’ha definita l’azienda.
Il logo CC, che in precedenza vantava una combinazione di colori rosso e bianco, ora mostra una sorprendente sfumatura. Secondo la società, il gradiente “unisce i colori dei marchi dei prodotti Adobe”. Il nuovo schema colore è un’esplosione di vitalità e offre un aspetto più artistico al logo, strizzando l’occhio ad un pubblico più creativo.
Anche il logo Adobe è stato ridisegnato leggermente e ritinteggiato con una nuova mano di rosso: una tonalità “più calda e contemporanea”:
“Le lievi modifiche che stiamo mettendo in atto per garantire che il marchio sia il più funzionale possibile in tutte le dimensioni e su tutte le superfici”.
La software house ha anche aggiornato le icone dei suoi prodotti, inclusa l’identità di Photoshop. Adobe ha deciso di eliminare i bordi arrotondati, conferendo un design molto più piatto. Altre icone che erano precedentemente quadrate, per coerenza, ora sono arrotondate.
Inoltre, il trifoglio, l’elemento visivo fondamentale che contraddistingue i Document Cloud e i relativi prodotti in portafoglio, ha subito dei ritocchi.
Il peso della forma è stato rivisto, insieme ai bordi e agli angoli. I colori sono stati ottimizzati secondo criteri di accessibilità. In maniera coerente, il colore delle piastrelle di sfondo distinguerà i prodotti gli uni dagli altri. Ad esempio, Adobe Acrobat Reader utilizzerà un trifoglio bianco su una piastrella rossa, mentre Adobe Scan utilizzerà un trifoglio bianco su una piastrella blu. Questo spostamento comunica la connessione tra i prodotti consentendo al contempo la distinzione tra loro.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/rebranding-flaticon-fortune-creative-cloud-e-photoshop-12.jpg6751200Giuseppe Tempestinihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiuseppe Tempestini2020-06-04 10:33:272021-07-21 15:02:45Rebranding di maggio: Flaticon, ForTune, Creative Cloud e Photoshop
Il futuro degli eventi si fa sempre più ibrido, tra fisico e digitale, aprendo scenari fino a poco fa inesplorati ma non per questo meno potenziali.
Aumentare la domanda di contenuto, gli abbonamenti ai servizi online e abbattere la barriera qualitativa: ecco i nuovi trend.
Quello che stiamo vivendo è un periodo storico unico per la nostra generazione, che ci ha obbligati a cambiare ed evolverci per poterci adattare a una realtà tutta nuova. Una nuova forma mentis insomma, che si impone, oltre che sul nostro stile di vita, anche in ambito marketing e spinge gli addetti ai lavori a dover riformulare le proprie strategie per adattarle al nuovo mondo.
Se alcune realtà, come quella dell’arte e la cultura (interessante il caso della Pinacoteca di Brera a Milano), hanno trovato fin da subito nuovi metodi creativi ed efficaci per fronteggiare la crisi, fornendo tour virtuali nei principali musei e contenuti esclusivi, al fine di rendere questa quarantena un’opportunità di arricchimento culturale personale, altre hanno subito maggiormente lo scotto delle conseguenze derivanti dall’isolamento forzato.
In particolare, nel momento in cui è venuta meno la possibilità di riunirsi nei cosiddetti assembramenti, le agenzie di eventi hanno visto annullarsi il proprio business. L’unica strada percorribile prevede la ricerca del modo migliore per trasformare quello che era fisico in virtuale. Ora, tutto quello che bisogna chiedersi è: come?
Il futuro degli eventi: the show must go on-line
Una cosa è certa: quest’anno ha cambiato in modo permanente la natura di molti eventi. Certo, gli eventi fisici continueranno ad esistere, tuttavia molte agenzie nel reinventarsi probabilmente hanno scoperto che digitalizzare può essere una mossa strategicamente potenziale anche per il loro business. Sicuramente viene sacrificata una parte qualitativa, indiscusso punto di forza del formato esperienziale, che tuttavia viene compensata dall’efficienza e dal risparmio economico che organizzare un evento in digitale comporta.
Questa accelerazione verso il digital content, porta chi lavora nell’industria degli eventi a dover cercare una solida strategia di contenuto e le giuste tecnologie – in questo senso, esistono svariate piattaforme e tool che vengono in aiuto, per rendere gli eventi un contenuto 100% digitale.
Quando parliamo di content strategy, dobbiamo tenere in considerazione principalmente alcuni fattori:
live streaming: è la metodologia tramite cui dobbiamo far rivivere nel modo più immersivo possibile l’experience ai nostri utenti, mantenendo alto l’interesse e l’engagement;
contenuti on-demand: un vantaggio che deriva dalla digitalizzazione degli eventi, è quello di poter mettere a disposizione degli utenti anche una serie di contenuti satellite, che possono essere fruiti (gratuitamente o in logica paid) per un lasso di tempo più lungo e pre-determinabile.
In realtà, dietro la crisi, si nascondono una serie di altri vantaggi:
accessibilità: non essendoci più la barriera dello spostamento, che una partecipazione fisica implica, l’accessibilità agli eventi aumenta esponenzialmente, superando anche i confini del territorio nazionale;
durabilità: si crea la possibilità di poter rivivere l’experience attraverso i contenuti disponibili online;
responsabilità ambientale: abbattendo la costrizione di dover essere presenti fisicamente per poter fruire dell’esperienza, diminuisce radicalmente l’impatto negativo che gli spostamenti hanno sull’ambiente.
Un cambiamento che implica una serie di opportunità ma che porta con sé anche delle insidie. In particolare, si invitano i marketer a non ricommettere l’enorme errore che è stato fatto nei primi anni del nuovo millennio.
L’avvento del digitale e tutti gli errori di valutazione delle aziende Media
Agli inizi del 2000, quando si iniziavano a intravedere i presupposti di quello che sarebbe stato l’avvento dei digital media (e più tardi il boom dei social media), le aziende media avevano iniziato a forzare i propri modelli di business per cercare di adattarli ai nuovi formati digitali. Trattandosi di un formato dal costo davvero irrisorio a confronto dell’offerta analogica di televisione, radio e stampa, le aziende hanno iniziato a vendere le propertiesdigitali come plus, per convincere i brand ad acquistare spazi pubblicitari sui media tradizionali.
Questa strategia di vendita ha funzionato a suo tempo, tuttavia ha reso davvero complicato, per tutti gli anni a venire, valorizzare e monetizzare i contenuti digitali in modo significativo. È rimasta sempre viva, da allora, una percezione dei servizi digitali in quanto cheap rispetto a quelli analogici che porta le aziende ancora oggi a investire molto più budget in media tradizionali piuttosto che digitali.
Questo perchè fin dall’inizio, durante il passaggio al digitale non è stata applicata nessuna vera strategia per sfruttare a pieno le potenzialità dei nuovi formati, ma le aziende hanno semplicemente preso i propri modelli di comunicazione tradizionali e li hanno applicati a un’esperienza più economica e mercificata.
Per questo motivo, diamo per scontato che una produzione video televisiva sia molto più costosa rispetto a quella per un video YouTube, che un ebook debba essere necessariamente più economico di un libro vero, che un articolo online abbia un valore inferiore a un pezzo stampato su un giornale nazionale. Diamo per scontate tutte queste cose e ci sbagliamo.
Non è il medium che definisce il valore di un contenuto (e di un evento)
Ogni contenuto prodotto, che sia destinato alla fruizione online o offline, ha il comune obiettivo di creare un’esperienza positiva per il consumatore. Pertanto, ogni esperienza digitale che creiamo dovrebbe essere di valore per il nostro target di persone e avere l’obiettivo di rendere la loro vita migliore – anche offline – e non solo essere più conveniente per le aziende.
Pertanto, oggi che ci troviamo di fronte al dilemma su come evolvere le strategie di eventi sul territorio in esperienze digitali, non dobbiamo cadere nella stessa trappola che ci spingerebbe semplicemente a prendere un contenuto e tradurlo in chiave virtuale, ma dobbiamo fare uno step in più. È necessario partire da una vera e propria content strategy che non abbia l’obiettivo di trovare la soluzione più conveniente per ill nostro business, ma più di valore per i nostri consumatori.
Quindi un evento virtuale sarà sicuramente diverso da un evento fisico, ma non per questo dev’essere considerato meno di valore, meno costoso o meno “esperienziale”.
A sostegno di questa tesi, possiamo anche scomodare Marshall McLuhan, il quale sosteneva che
Quando ci ritroviamo di fronte a qualcosa di nuovo, guarderemo istintivamente ad esso attraverso vecchi stereotipi. In questo modo, tentiamo semplicemente di adattare i vecchi modelli alla nuova forma, invece di chiederci come questa nuova modalità andrà a influenzare tutte le ipotesi formulate prima del suo avvento.
Insieme, verso un nuovo mondo
Tante cose cambieranno nel mondo di domani, quello post-pandemia, durante la quale molti hanno visto crollare gran parte delle proprie certezze ma, al tempo stesso, potranno vederne nascere altrettante. L’essere umano ha una resistenza innata al cambiamento, tuttavia è importante – ora più che mai – guardare al futuro con fare pionieristico e avveniristico, cogliendo prontamente la nascita di nuovi trend.
Tra questi, possiamo già elencarne alcuni:
aumenta la domanda di contenuto: abituati a vivere nella frenesia di una vita dettata da ritmi sempre più concitati, siamo stati improvvisamente catapultati in una realtà temporale dilatata. Così, all’aumentare del tempo a disposizione per noi stessi, da investire nella crescita personale o anche solo in un intrattenimento costante, aumenta anche la necessità di entrare in contatto con un numero di contenuti sempre maggiore;
aumento degli abbonamenti ai servizi online: seguendo lo stesso ragionamento, saranno sempre di più le persone che sceglieranno di abbonarsi a sevizi online per accedere a contenuti come podcast, film, ebook, ecc. – e, per la prima volta, avranno effettivamente il tempo di usufruirne;
abbattimento della barriera qualitativa: oggigiorno, le persone dimostrano di non badare tanto alla sofisticatezza del contenuto, quanto alla sostanza e al valore dello stesso;
In questa situazione d’emergenza, quello che viene richiesto alla aziende è la capacità di trasformazione: ad esempio, è interessante capire come trasformare il proprio team per rispondere nel modo più efficace possibile alla crescente domanda di eventi virtuali. È comprensibile che l’obiettivo principale delle aziende rimanga quello di fare il possibile per salvaguardare il proprio business, tuttavia varrebbe la pena fermarsi un attimo e affrontare questo cambiamento forzato non come una via d’uscita da una situazione potenzialmente di crisi, ma come l’opportunità di evolvere verso nuovi modi di fornire contenuti.
Per questo, il consiglio è quello di non cedere alla tentazione di rendere gli eventi digitali semplicemente una versione digitalizzata di quelli fisici, ma di mettere a punto una vera e propria strategia di contenuto, pensando più in grande, in modo più lungimirante. Il futuro degli eventi si fa sempre più ibrido, tra fisico e digitale, aprendo scenari fino a poco fa inesplorati ma non per questo meno potenziali. Facciamoci trovare pronti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/digit.jpeg353848Alexia Altierihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlexia Altieri2020-06-03 16:24:552020-06-05 11:10:03Gli eventi diventano digitali, tra insidie e opportunità
Durante i giorni di quarantena abbiamo assistito ad un approccio più empatico e genuino da parte dei brand nelle loro comunicazioni tramite email.
L’email marketing deve trasformarsi da strumento puramente transazionale a strategia per instaurare un dialogo più diretto e profondo con i nostri clienti.
Informazioni di valore, contenuti reali, ascolto dei bisogni dei nostri clienti sono approcci che possiamo utilizzare anche in futuro con i nostri iscritti alle newsletter.
In periodi di estrema incertezza, come quello che abbiamo vissuto a causa del Covid-19, anche strategie di comunicazione come l’email marketing hanno assunto toni più empatici e vicini ai clienti. Una buona pratica che sarebbe utile seguire non solo durante le emergenze.
Abbiamo così dato uno sguardo da vicino a come le aziende sono rimaste in contatto con i loro iscritti durante questo periodo attraverso uno dei canali più potenti che hanno a disposizione per dialogare con i propri clienti: le email.
Sono tantissimi i brand, dai più piccoli ai più grandi, che hanno creato newsletter per aiutare gli abbonati, distrarli o fornire informazioni utili su ciò che hanno attuato per garantire la sicurezza di clienti e dipendenti. Ecco alcuni casi che potrebbero essere un valido esempio per avere un approccio più genuino nelle nostre newsletter anche in futuro.
Opumo: supporta i brand di moda e design indipendenti
La piattaforma eCommerce OPUMO vende marchi di moda e design emergenti. Prodotti provenienti da tutto il mondo che sono significativi nel modo in cui uniscono forma, funzione e stile.
Durante queste ultime settimane Opumo ha voluto supportare brand di moda e design emergenti per sensibilizzare i suoi utenti a comprare meno oggetti, ma di qualità più alta.
Ha cosi selezionato alcuni brand indipendenti che si differenziano per i loro prodotti unici, facendoli conoscere ai loro iscritti e proponendo dei codici sconto interessanti da riscattare direttamente sul sito del produttore.
Opumo ha voluto in particolar modo porre l’attenzione verso quei brand che lottano contro i consumi di massa e che privilegiano materiali riciclati, plastic free e che si impegnano a ridurre gli scarti di lavorazione
Cosa si può imparare da questa newsletter: Opumo è consapevole del fatto che in momenti come questi di grande cambiamento, può cercare di sensibilizzare i propri iscritti a consumi consapevoli per rispettare l’ambiente e supportare i piccoli brand.
Velasca: svela il lato umano del brand
In questi mesi di quarantena la cosa che ha incuriosito di più gli utenti di tutto il mondo è stata la possibilità di entrare nelle vite e nelle case degli altri, attraverso soprattutto i social.
C’è chi però come Velasca, marchio italiano di calzature, ha reso ancora più umano il brand attraverso la newsletter.
Una delle loro newsletter più curiose è stata quella “notizie dalle case Velasca”. Una newsletter atipica, dove non si proponeva nulla all’utente, ma semplicemente si illustrava attraverso foto reali, come stavano trascorrendo la quarantena i loro dipendenti e i loro artigiani delle calzature, alle prese con il lavoro in smart working e la quotidianità in casa.
Cosa possiamo imparare da questa newsletter: la comunicazione ai tempi del Covid-19 ha fatto emergere la vera essenza dei brand. Il loro modo di comunicare in maniera semplice e reale con i propri clienti. Questo esempio di Velasca è perfettamente calzante per capire come rendere un marchio più “umano” e più vicino agli utenti in maniera semplice, simpatica ed empatica.
Grandmother: nella newsletter divertenti attività da fare in casa con i più piccoli
Il brand di bijoux artigianali Made in Italy Grandmother, ha proposto ai propri iscritti alla newsletter, durante il periodo della Festa della Mamma, un simpatica attività sia da realizzare in famiglia tra mamme e bimbi, ma anche un pensiero da regalare e inviare a mamme lontane durante la quarantena.
Un’illustrazione da scaricare gratuitamente e da colorare abbinata anche ad uno sconto del 50% sul secondo articolo per l’acquisto di due braccialetti portafortuna.
Un modo per portare divertimento, spensieratezza legandola anche ad una promozione per un pensiero speciale per la propria mamma.
Cosa possiamo imparare da questa mail: l’aspetto principale di questa mail è la comprensione del momento. Il brand ha immaginato come alcune delle sue clienti (appunto mamme) potessero trovare divertente fare delle attività ludiche con i propri bimbi durante la permanenza in casa.
MADE chiede ai propri iscritti di cosa hanno bisogno
Questo periodo di quarantena ha visto online diversi settori crescere a dismisura (food, strumenti di produttività online, web site di video per allenarsi in casa, etc.) mentre altri settori hanno accusato duramente il colpo. Quando il nostro brand riduce drasticamente le vendite cosa dovremmo fare? Fare finta di niente e continuare con la strategia precedentemente pianificata?
Se ad esempio il nostro marchio sta facendo fatica a capire cosa dire e come dirlo, sicuramente bisogna dare un’occhiata a questo potente esempio dell’azienda di mobili di design MADE.
Attraverso questa newsletter hanno voluto assicurarsi di fornire informazioni utili e pertinenti agli iscritti alla newsletter di agire come al solito. Per questo si sono resi conto che nel periodo della quarantena tutti trascorrono un po’ più di tempo a casa del normale e questo ci fa pensare in modo diverso a come è organizzato il nostro ufficio o la nostra casa e a cosa ci fa sentire a nostro agio.
Tenendo presente ciò, MADE ha deciso di chiedere direttamente agli abbonati cosa sarebbe stato utile per loro e le loro famiglie.
Cosa possiamo imparare da questa mail: ascoltare il nostro pubblico e capire quali contenuti sono in linea con loro è uno degli aspetti più cruciali del marketing, ed è ancora più importante in tempi di crisi. Non bisogna avere paura di chiedere ai nostri iscritti un feedback su ciò che vorrebbero sentire da noi, rispondendo alle nostre email, compilando un sondaggio, condividendo le loro opinioni sui social o qualsiasi altro canale di feedback che può essere appropriato.
Questi semplici esempi ci dimostrano come le newsletter non debbano essere solo uno strumento transazionale, anzi poiché rappresentano il contatto più diretto con i nostri utenti dovremmo sforzarci di creare messaggi quanto più empatici, diretti, emozionali possibili. In questo modo le nostre comunicazioni tramite email assumeranno più valore e non finiranno nel cestino.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/05/digital-pr-2.jpg532836Emanuele Loiaconohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEmanuele Loiacono2020-06-03 13:02:202020-06-03 17:48:44Empatia, genuinità e centralità del cliente: gli ingredienti delle tue prossime newsletter
Stando ai numeri, il debutto fuga i dubbi sulla possibile inutilità dell’app se installata da un numero insufficiente di cittadini.
Immuni è già scaricabile da tutti, ma la fase di test parte solo in quattro regioni: Liguria, Marche, Abruzzo e Puglia.
Ecco cosa sapere su tracciamento e privacy nel funzionamento dell’app.
Nelle prime ore di presenza sugli store di applicazioni, Immuni si è già piazzata al primo posto in Italia, sia su App Store che su Google Play. Il numero complessivo di download dell’app di tracciamento dei contatti è stato noto dalla ministra dell’Innovazione Paola Pisano ieri.
Il debutto, stando ai numeri, sembrerebbe positivo nonostante la confusione (e il ritardo) nel lancio, fugando così anche i dubbi sulla possibile inutilità qualora non fosse stata installata da un numero abbastanza ampio di cittadini.
Immuni infatti è già attiva in tutta Italia e quindi tutti gli utenti possono già scaricarla sui propri dispositivi. Una volta installata l’app inizia a salvare i codici degli smartphone delle persone a cui ci siamo trovati vicino. Solo da lunedì prossimo, però, nelle quattro regioni pilota (Liguria, Marche, Abruzzo e Puglia) la integreranno nel loro sistema sanitario permettendo l’inivio delle notifiche di esposizione a chi è stato a contatto con un positivo.
Dopo questa prima settimana di test, il sistema di tracciamento dovrebbe essere attivo anche nel resto d’Italia.
Secondo la circolare del ministero della Salute del 29 maggio ecco cosa accadrà se si riceverà l’avviso di esposizione: “La app notifica, agli utenti con cui il caso è stato a contatto, il rischio a cui sono stati esposti e le indicazioni da seguire, attraverso un messaggio il cui testo è unico su tutto il territorio nazionale e che lo invita a contattare il medico dimedicina generale o il pediatra di libera scelta che farà una prima valutazione dell’effettiva esposizione al rischio del soggetto”.
La sperimentazione nelle prime regioni serve quindi a testare il sistema a livello organizzativo e a capire le segnalazioni dell’app sono coerenti con la situazione sanitaria in zone in cui il numero di contagi è sufficientemente basso da consentire rapide verifiche.
Dopo le tante polemiche che hanno accompagnato il lancio dell’app, il team di Bending Spoons non ha tralasciato l’inserimento di una serie di slide per rassicurare gli utenti in merito alla sicurezza in termini di privacy.
Un volta scaricata l’app i primi passaggi spiegano infatti il funzionamento e la sicurezza dell’applicazione.
Dopo l’avvio di Immuni vengono mostrate alcune schermate introduttive su cui fare swipe. Una volta visualizzate tutte, apparirà un elenco di dettagli riguardanti la privacy e basterà spuntare la voce “Dichiaro di avere almeno 14 anni” e “Ho letto l’informativa sulla privacy”, per cominciare ad attivarla.
Viene quindi richiesto di selezionare la regione di residenza, poi la provincia e infine di abilitare le “notifiche di esposizione Covid-19”.
In questo modo l’applicazione consentirà di registrare i contatti con altri utenti usando il Bluetooth, per poter informare l’utente in caso di esposizione.
A questo punto viene richiesto il consenso per le notifiche, quindi la possibilità per la piattaforma di comunicare con il cittadino: ad ogni telefono viene associato un codice casuale, che cambia più volte ogni ora per tutelare la privacy. Cliccando su “abilita” compare un pop-up che richiede nuovamente un tocco sul tasto “consenti”.
Completata la configurazione viene mostrata una schermata che indica che il servizio è attivo e offre consigli istituzionali su come proteggersi dal Covid.
Il tasto impostazioni in basso a destra mostra anche il “caricamento dati” e un’ulteriore sezione informativa con domande frequenti, termini di utilizzo e informativa sulla privacy.
Tramite le impostazioni è anche prevista la possibilità di cambiare provincia.
I primi problemi con l’app Immuni
Alcuni utenti Apple segnalano che l’app non è operativa e che le notifiche di esposizione non sono più supportate nella loro zona. Su questo problema fonti del ministero dell’Innovazione hanno fatto sapere di aver già inoltrato segnalazione ad Apple, trattandosi di un problema tecnico legato al dispositivo.
Per chi ha uno smartphoneAndroid, invece, il problema potrebbe essere simile ma di più rapida risoluzione: al momento dell’installazione infatti alcuni utenti lamentano la visualizzazione di un messaggio relativo all’impossibilità di attivare le notifiche di esposizione a causa dei permessi non attivi. In questo caso per risolvere il problema e attivare l’app è sufficiente spegnere e riaccendere il Bluetooth e la procedura di attivazione viene completate.
Pieni voti dal MIT
Il Massachusetts Institute of Technology di Boston, che ha lanciato Covid Tracing Tracker per informare la popolazione mondiale delle caratteristiche e implicazioni delle app per il contact tracing, ha promosso l’app Immuni a pieni voti, assegnandole 5 stelle su 5.
L’Italia quindi meglio di Francia, UK, e Germania, nella classifica di MIT, posizionandosi ai livelli di Singapore, Islanda, Austria.
Ad Immuni erano inizialmente state assegnate 4 stelle su 5, ma in seguito alle nuove informazioni emerse relative alla gestione dei dati degli utenti e privacy, l’app si è guadagnata i pieni voti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/app-immuni-2-1.jpg610952Daria D'Acquistohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaria D'Acquisto2020-06-03 11:32:422020-06-03 17:48:57500 mila download nel primo giorno per l'app Immuni
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