Sotto tag Studente di Personas

Social commerce

Compreremo su Facebook e Pinterest: il Social Commerce sta rivoluzionando lo shopping

  • Il mercato del Social Commerce dovrebbe raggiungere i 604,5 miliardi di dollari entro il 2027
  • Il numero di utenti che interagiscono con la funzione shopping su Pinterest è cresciuto del 44% su base annua
  • Grazie a tutte le nuove feature introdotte negli ultimi 12 mesi, Instagram è diventata la piattaforma chiave per la vendita Social.

Alzi la mano chi ha comprato almeno un prodotto online nell’ultima settimana. Bene, ora alzi la mano chi invece ha comprato un prodotto direttamente da un Social Media, come Instagram o Pinterest.

Ebbene sì, esiste una differenza tra acquistare su piattaforme di eCommerce, come Amazon o eBay, e tramite i canali Social. In questo secondo caso, si parla, nello specifico, di Social Commerce.

Il termine Social Commerce si riferisce al processo di vendita di beni e servizi che avviene esclusivamente attraverso i Social Media.

Quindi, a differenza del classico eCommerce, in cui gli utenti acquistano prodotti da un sito web o da un marketplace di terze parti, nel Social Commerce tutto il funnel di vendita si svolge tutto in un unico posto, ovvero il canale social.

Secondo il report “Social Commerce – Global Market Trajectory & Analytics” pubblicato da Research & Markets, il mercato del Social Commerce è stimato a 89,4 miliardi di dollari in questo momento e dovrebbe raggiungere i 604,5 miliardi di dollari entro il 2027. 

Cifre da capogiro, che sono giustificate in parte anche dalla crisi del commercio locale dovuta alla pandemia di Covid-19. Una buona parte dei consumatori è passata infatti allo shopping online durante il lockdown ed è rimasta fedele a questo nuovo metodo di acquisto.

LEGGI ANCHE: Le nuove sfide dei nomadi digitali tra restrizioni e remote working

Anche i brand, specialmente le piccole e medie imprese e i negozi locali, si sono adeguati a questo trend, alcuni addirittura obbligatoriamente a causa della chiusura definitiva dei loro locali fisici.

Ma non solo: le piattaforme Social si sono evolute di conseguenza, introducendo nuovi strumenti per agevolare la vendita di servizi e prodotti direttamente tramite le loro properties. 

Da un lato troviamo Pinterest che ha aggiornato le sue features negli ultimi mesi aggiungendo la tab “Shop”, un vero e proprio catalogo di prodotto online dal quale gli utenti possono acquistare direttamente cliccando sul Pin.

Secondo i dati pubblicati da Techcrunch, il numero di Pins di prodotto acquistabili è aumentato di 2,5 volte rispetto al 2019 e il numero di utenti che interagiscono con lo shopping su Pinterest è cresciuto del 44% su base annua.

Dal canto suo, anche TikTok si sta muovendo verso questa direzione con la sua ultima partnership con Shopify: le aziende potranno collegare il proprio account TikTok for Business con l’account Shopify e vendere i loro prodotti su TikTok, tramite annunci video shoppable in-feed.

Ma colui che ha cavalcato con maggior successo questo trend è sempre lui, il nostro caro Mark Zuckerberg, che ha lanciato a Maggio la nuova funzionalità Facebook Shops, che consente alle piccole e medie imprese di creare negozi online sia su Facebook che su Instagram.

Lo stesso Zuckerberg afferma che : “Questo è il passo più importante che abbiamo fatto finora per agevolare il commercio nella nostra famiglia di app”. Ed è un passo che ha confermato Instagram come la piattaforma chiave di questa rivoluzione.

Instagram è il punto di riferimento del Social Commerce

Grazie a tutti gli aggiornamenti e le nuove feature introdotte negli ultimi 12 mesi, Instagram è diventata la piattaforma chiave per la vendita Social.

Oltre allo Shop previamente citato – che non solo si trova sul singolo profilo del Brand, ma è presente anche come feed a sé stante – le altre funzioni a disposizione dei Brand sono:

  • Shopping Tag, attraverso il quale è possibile taggare i prodotti (inseriti previamente nel proprio Shop) direttamente nei post del feed, nelle Stories, nei video IGTV, nei Reels, nelle Guides e anche nei Live Streaming;
  • Instagram Guides, veri e propri contenuti editoriali a disposizione dei Brand per condividere suggerimenti e consigli (come fosse un microblog). Queste guide sono attualmente disponibili in 3 formati: luoghi, prodotti e post, e ovviamente le guide ai prodotti sono un modo fantastico per promuovere i propri prodotti appunto; 
  • Shopping from Creators, che permette appunto ai Creators approvati dal Brand (come Influencers o Celebrities) di taggare i prodotti presenti nel Shop dell’azienda, direttamente nei contenuti feed o Stories pubblicati dal collaboratore.

LEGGI ANCHE: Giveaway e concorsi fotografici su Instagram: regole base per muovere i primi passi

Cosa comporta il Social Commerce per le piccole e medie imprese?

Come abbiamo visto, le piattaforme Social sono diventate un vero e proprio centro commerciale virtuale, dove gli utenti possono trovare qualsiasi tipo di prodotto e acquistarlo facilmente con un solo click, senza uscire dal loro Social Media preferito.

Inoltre, questo genere di commercio online si distingue dal classico grazie ad una barriera all’ingresso praticamente inesistente, in quanto le aziende non devono preoccuparsi di aprire un sito di e-commerce e possono risparmiare un notevole budget.

Il primo passo per abbracciare il Social Commerce è ovviamente aprire dei profili Social ufficiali collegati al brand, gratuitamente, e impostare una strategia con l’obiettivo di far crescere la propria community e creare un funnel di vendita semplice ed efficace.

Il futuro del Social Commerce

Il successo incredibile che ha raggiunto il fenomeno del Social Commerce nell’ultimo anno ci fa pensare che non si tratti solo un trend passeggero, ma che invece ci troviamo all’inizio di una vera e propria rivoluzione.

Secondo le previsioni di Later per il 2021, i Social Media diventeranno il canale di vendita primario per le aziende, superando di importanza il sito web e l’eCommerce.

Ogni piattaforma social infatti adotterà lo stesso approccio all’acquisto integrato che ha già implementato Facebook, consentendo all’utente di vivere ogni fase del processo di acquisto senza lasciare l’app.

Infine, Later suggerisce di prestare una particolare attenzione alla sottocategoria del Video Shopping, caratterizzata dalla collaborazione di TikTok con Shopify ma anche da YouTube, che secondo Engadget starebbe testando l’opzione di acquisto dei prodotti direttamente dai video pubblicati sulla piattaforma.

Come trasformare gli eventi digitali in un successo reale

L’event industry è un settore che in Italia produce 65,5 miliardi di euro, con un impatto sul Pil di 36,2 miliardi di euro l’anno e che coinvolge 569mila addetti ai lavori. La pandemia lo ha colpito duramente e ne ha stravolto le regole del gioco, introducendo gli eventi digitali, con cambiamenti da cui probabilmente non torneremo più indietro. Ma non è necessariamente un male.

Gli eventi digitali

L’esigenza del distanziamento fisico ha infatti accelerato il processo di ricerca di nuove forme di interazione. E, se il principale difetto degli eventi digitali era il mancato coinvolgimento delle persone, oggi esistono tecnologie in grado di sopperire in qualche modo all’assenza di contatti reali e di fornire soluzioni avanzate di networking interattivo.

Ai vantaggi di tutto questo sarà difficile rinunciare anche post emergenza.

Il futuro sembra sempre più andare in direzione di eventi digitali oppure “ibridi”, che consentano di coinvolgere audience più ampie e allo stesso tempo di contenere tempi e costi organizzativi. Se prima il numero di medio di partecipanti a un evento era stimato a 500 persone, oggi è pari a 5mila.

Il Digital permette di confezionare eventi fatti “su misura” e di garantire esperienze immersive e uniche, anche grazie a soluzioni hardware e software come Realtà Aumentata e VR. Per questo, per il successo di un evento digitale, è centrale la scelta della piattaforma e delle tecnologie da utilizzare. 

La Masterclass di mercoledì 19 Maggio alle ore 13, organizzata da Ninja Academy in collaborazione con The Rocks, l’Innovation Company che ha sviluppato la piattaforma Umans™, al servizio di fiere ed eventi digitali tra cui N-Conference Digital Edition, il Business Visionary Event targato Ninja e in collaborazione con i main partner TIM, AW LAB e Banca Sella, fornirà una panoramica sul mondo degli eventi digitali, sia dal punto di vista degli organizzatori che dei fornitori delle tecnologie utili alla loro riuscita. Si dimostrerà come un evento digitale possa rivelarsi, per le più svariate tipologie di business, una strategia di marketing efficace e sostenibile.  

>>ISCRIVITI ALLA FREE MASTERCLASS GRATUITA! >>

the rocks

Cosa imparerai durante la Free Masterclass

  • Come funziona un evento digitale
  • Alcuni numeri dell’industry
  • Le tecnologie per un evento immersivo
  • I principali attori dell’organizzazione
  • Esempi e case history

Esther Intile, Event & Account Manager Ninja, ospiterà Antonio Trepiccione, CEO The Rocks. Appassionato di tecnologia e laureato in Informatica, Antonio ha esordito come IT e Project manager per poi diventare imprenditore. Amante della vita in “trincea” fatta di sfide quotidiane e relazioni con il cliente, è dalla 2014 alla guida di The Rocks.

La Masterclass è online e gratuita, iscriviti adesso per prenotare il tuo posto in prima fila! Così, se proprio non ce la farai a seguirla in diretta, potrai recuperarla on demand, attraverso la tua area utente.

Ci vediamo mercoledì 19 Maggio alle 13.

ISCRIVITI ORA ALLA FREE MASTERCLASS GRATUITA: RISERVA IL TUO POSTO! >>

ecommerce - aspetti fiscali

Gli aspetti fiscali da conoscere per il tuo eCommerce

Continua la serie di articoli di LegalBlink sulle tematiche legali del mondo eCommerce. Questa volta parliamo di eCommerce e fiscalità.

È importante conoscere i principali temi fiscali in materia di eCommerce? Assolutamente sì. Infatti, come vedremo, le questioni fiscali di un eCommerce possono influenzare il modello di un business.

Distinzione tra ecommerce B2B e B2C

Il primo tema da chiarire è la distinzione tra eCommerce che si rivolgono a clienti business o a clienti consumatori. Definiamo quindi:

B2B: la vendita di prodotti effettuata da un eCommerce ad un cliente business, dove per cliente business intendiamo un professionista che acquista prodotti nell’ambito dello svolgimento della sua attività imprenditoriale o professionale.

B2C: la vendita di prodotti effettuata da un eCommerce ad un cliente consumatore, intendendo per consumatore un soggetto che non conclude l’acquisto nell’ambito dello svolgimento della sua attività imprenditoriale o professionale.

Ai fini della distinzione, B2B e B2C non rileva quindi solamente la qualità del soggetto, ma determinante è se il cliente acquista o meno nell’esercizio della sua attività imprenditoriale.

Un fattore importante per distinguere gli acquisti B2B dagli acquisti B2C è l’inserimento, da parte del cliente, della Partita IVA al momento della conclusione dell’acquisto.

Infatti, un cliente che acquista con Partita IVA, si può presumere che stia esercitando la sua attività imprenditoriale e, di conseguenza, può essere considerato un professionista che acquista in ambito B2B.

LEGGI ANCHE: Le sfide legali a cui le aziende devono prepararsi nel 2021

L’obbligo di fatturazione

Una delle domande che più spesso ci vengono poste in ambito di eCommerce e fiscalità riguarda la gestione e l’obbligo di emissione della fattura.

Prima di affrontare il tema fatturazione nell’eCommerce, è opportuna un’altra distinzione: quella tra eCommerce diretto ed eCommerce indiretto.

L’eCommerce è diretto quando l’operazione di acquisto effettuata dal cliente, B2B o B2C, avviene totalmente online, dal momento dell’invio dell’ordine all’eCommerce fino al momento in cui il cliente riceve quanto acquistato.

Per esempio, la vendita di video-corsi online rientra nella definizione di eCommerce diretto, se il corso viene trasferito all’acquirente online senza l’utilizzo di supporti durevoli materiali.

L’eCommerce è invece indiretto quando l’operazione di acquisto avviene online tramite il sito internet del venditore, o tramite un marketplace, e il prodotto viene materialmente consegnato al cliente.

L’acquisto di un capo di abbigliamento online vale come esempio per identificare l’attività di eCommerce indiretto.

Chiarita la differenza tra eCommerce diretto ed eCommerce indiretto, analizziamo gli obblighi di fatturazione per le due tipologie di eCommerce.

L’eCommerce diretto:

  • Nelle operazioni B2C è obbligato ad emettere la fattura se il cliente consumatore è stabilito al di fuori dell’Unione Europea;
  • nelle operazioni B2B è sempre obbligato ad emettere la fattura, sia che il cliente sia stabilito nell’Unione Europea sia che sia stabilito al di fuori del territorio Comunitario.

L’eCommerce indiretto:

  • Nelle operazioni B2C ha l’obbligo di emettere fattura se i prodotti venduti non sono destinati all’Italia, ma hanno come destinazione paesi dell’Unione Europea o al di fuori dell’UE;
  • nelle operazioni B2B è sempre tenuto all’emissione della fattura, a prescindere dal luogo di destinazione dei beni acquistati dal cliente.

L’eCommerce, diretto ed indiretto, che effettua una operazione B2C nel territorio nazionale, è invece obbligato all’emissione della fattura solamente se questa viene espressamente richiesta dal cliente prima della conclusione dell’acquisto.

Se il cliente B2C stabilito in Italia, o il cliente che riceverà la consegna dei beni nel territorio nazionale in caso di eCommerce indiretto, non richiede espressamente la fattura, questa non sarà emessa dall’ecommerce, che rimane comunque obbligato all’emissione di un documento fiscale in base al caso concreto.

È importante evidenziare che, anche nei casi in cui un eCommerce non sarebbe obbligato ad emettere la fattura, l’obbligo di emissione della stessa sorge se l’acquirente richiede espressamente la fattura prima della conclusione dell’acquisto.

Inoltre, sempre con riferimento all’eCommerce indiretto, la fattura deve essere emessa senza l’applicazione dell’IVA se la vendita è destinata a paesi non inclusi nell’UE. In questo caso, sarà necessario presentare alla dogana la necessaria documentazione per l’esportazione dei prodotti ed ottenere la relativa documentazione dalla dogana di destinazione.

Ancora con riferimento alla vendita extra-UE, eventuali IVA e dazi del paese di destinazione del bene sono a carico dell’acquirente nelle operazioni B2C, salvo diverso accordo.

Applicazione dell’IVA nell’ecommerce indiretto per vendite UE

Con riferimento all’eCommerce indiretto, che rappresenta la tipologia di eCommerce più diffusa, almeno fino al 1° luglio 2021 è in vigore la disciplina dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972.

Le vendite effettuate nel territorio UE da un eCommerce stabilito in Italia sono soggette all’applicazione dell’IVA italiana se, nell’anno solare in corso e in quello precedente, il venditore non ha superato la soglia di fatturato di euro 100.000,00 stabilita dall’Italia o la minor soglia eventualmente stabilita dal Paese di destinazione dei prodotti, per le vendite effettuate da soggetti comunitari nello stesso Paese.

Al realizzarsi di una delle due condizioni di cui sopra, l’eCommerce italiano che ha superato la soglia di euro 100.000,00 o la minor soglia imposta dal Paese di destinazione, sarà tenuto a emettere la fattura con applicazione dell’IVA prevista dal Paese di destinazione dei prodotti e a registrarsi fiscalmente, tramite un rappresentante fiscale, nel Paese stesso.

ecommerce-shopping

Le novità in arrivo

Per il 1° luglio 2021, salvo ulteriori rinvii, è fissata la data per l’entrata in vigore delle nuove regole applicabili alla disciplina dell’IVA nell’eCommerce, dettata dalle Direttive UE n. 2455/2017 e n. 1995/2019, che saranno recepite anche dall’Italia e mirano alla semplificazione degli obblighi e degli adempimenti richiesti oggi agli eCommerce per le operazioni internazionali.

Le principali novità riguarderanno l’introduzione per l’eCommerce indiretto di una nuova soglia unica pari ad euro 10.000,00, valida per tutti i Paesi UE, al di sopra della quale l’imposizione avverrà nello Stato di destinazione dei beni con conseguente applicazione dell’IVA in vigore nel Paese di destinazione.

Contestualmente all’introduzione della nuova soglia comunitaria, si avrà l’abolizione delle attuali soglie previste oggi da ciascuno Stato Membro.

La funzione di semplificazione verrà inoltre assolta dalla possibilità di adesione al Regime MOSS anche per le attività di eCommerce indiretto, oltre che per l’eCommerce diretto.

L’estensione del Regime MOSS rimane comunque opzionale, l’eCommerce avrà quindi ancora la possibilità di operare, una volta superata la soglia comunitaria di euro 10.000,00, assolvendo gli obblighi di registrazione fiscale nel Paese di destinazione dei beni e tramite un rappresentante fiscale.

I vantaggi dell’adesione al MOSS consistono tra gli altri nella possibilità, per chi vi aderisce, di poter assolvere agli obblighi di dichiarazione e di versamento IVA nel Paese di registrazione al Regime MOSS, che salvo eccezioni coinciderà con lo Stato di residenza.

In questo modo, sarà possibile evitare gli adempimenti fiscali richiesti, tra cui la registrazione nel Paese di destinazione dei beni e la necessità di un rappresentante fiscale, assolvendo gli obblighi tramite il sistema previsto dal MOSS ed ottenendo così una notevole semplificazione nell’ambito degli adempimenti fiscali eCommerce.

Importanti novità riguarderanno anche i Marketplace e le vendite effettuate tramite essi, la Direttiva UE 112/2006 prevede infatti un maggiore coinvolgimento delle piattaforme che facilitano la cessione dei beni, vale a dire i markeplace stessi, nell’attività di riscossione IVA prevedendo ulteriori obblighi rispetto agli attuali.

Conclusioni

I principali aspetti fiscali sopra esposti che un eCommerce deve tenere in considerazione per effettuare vendite B2B e B2C, in ambito di eCommerce diretto ed indiretto, sono articolati ed in continua evoluzione.

Oltre ad una costante informazione, è importante consultare esperti del settore per sviluppare al meglio il business di un eCommerce a livello nazionale ed internazionale.

fake news

News Literacy: come l’alfabetizzazione digitale può salvarci dalle fake news

Da quando l’informazione è passata dalla sua forma analogica più celebre, la stampa, alla forma digitale, il web, la diffusione di notizie false o fraintendibili ha sicuramente registrato un’impennata.

Il fruitore, non sempre sufficientemente preparato, si è dovuto confrontare con due grandi, o forse tre, temi: la disinformazione, la “misinformazione” e le fake news.

Chiaro è che, per limitare questi fenomeni, è necessario che l’utente medio abbia un’alfabetizzazione digitale, o più propriamente una news literacy, in grado di fargli scoprire fin da subito quali notizie siano attendibili e quali no, ma anche che i diversi organismi di controllo a livello europeo e mondiale siano pronti a prendere provvedimenti contro chi diffonde notizie false, al fianco dei grandi player del web come Google o Facebook.

Il percorso è sicuramente lungo, ma da qualche parte si dovrà pure iniziare.

La News Literacy spiegata e un piccolo glossario

Partiamo riprendendo i tre vocaboli disinformazione, misinformazione e fake news della nostra intro e facciamo un po’ di chiarezza.

La disinformazione è la condivisione di notizie false e maliziose condivise deliberatamente per fare danni; la misinformazione è la condivisione di notizie false o inesatte senza intento malizioso; per fake news, invece, intendiamo le notizia false in sé.

Da uno studio dello scorso anno, un terzo della popolazione mondiale si imbatte ogni giorno in notizie false, perché infondate o perché riportano immagini o contenuti modificati. Numero incrementato fortemente in seguito alla situazione pandemica, quando ognuno si è sentito libero di condividere e dire la propria, anche da non esperto.

LEGGI ANCHE: India accusata di censura. Rimossi da Twitter post critici su gestione Covid

Le notizie false possono essere condivise sia in maniera dolosa che inconsapevole, ma anche premeditatamente, creando profili fake o sistemi di AI che la divulghino.

Più una notizia tratta di temi nazional popolari e caldi, più otterrà buoni livelli di condivisione e sarà in grado, anche se incorretta, da manipolare intere fette di popolazione.

Ecco allora che il primo superpotere che ogni individuo ha a disposizione è l’alfabetizzazione digitale o News Literacy.

La News Literacy è definita come l’intelligenza critica che un individuo è in grado di acquisire e che gli permette di discernere le notizie vere da quelle false, andando a indagare e approfondire le fonti da cui questa informazione arriva, chi l’ha condivisa e attraverso quali canali.

Credo sia importante partire dal chiamare in causa quei soggetti che sono responsabili in modo prioritario della creazione delle news: i giornalisti.

Un giornalista dovrebbe scrivere di fatti reali, comprovabili da fonti autorevoli e in maniera indipendente ed imparziale. Il suo ruolo è, infatti, quello di dare informazione a chi legge.

Chiaro è che, essendo umano anche lui, ha la libertà e facoltà di dare delle opinioni, ma dovrebbe lasciar libero il lettore di distinguere i fatti dalle considerazioni di carattere personale.

Intorno ai giornalisti più autorevoli, molte volte, si creano delle vere e proprie community in cui i partecipanti condividono valori simili e sono coinvolti emotivamente, annotazioni che il giornalista deve essere in grado di cogliere dando forma al suo ruolo più importante: essere la voce di tutti.

Fatta questa premessa sul primo attore della News Literacy, ora è importante passare al focus sul vero protagonista: il lettore.

Lo scenario non ci permette di affermare che chiunque legga sul web sia abbastanza alfabetizzato da poter distinguere in modo facile e corretto notizie false da quelle vere, ma gli sforzi, soprattutto sulle nuove generazioni, stanno diventando sempre più importanti.

L’alfabetizzazione digitale passa per l’insegnare ai fruitori ad avere una mente critica in materia di analisi della notizia: verificare le fonti da dove questa proviene, individuare il grado di imparzialità ed affidabilità, oltre che mettere attenzione al contesto nella quale questa viene condivisa.

Una notizia vera vi dimostra perché lo è, non vi chiede di fidarvi.

Quindi, quando siamo davanti ad un contenuto digitale e non sappiamo se fidarci o meno, utilizziamo questa lista:

  1. Prenditi del tempo per chiederti se questa notizia ha un tono provocatorio o emotivo, o se invece è del tutto imparziale
  2. Ricorda: i meme non sono notizie
  3. Likes e condivisioni non sempre sono sinonimo di credibilità
  4. Non dimenticarti delle fonti, da dove viene la news? È una fonte autorevole?
  5. Chi sta scrivendo l’articolo o il post, è un esperto o solo un utente del web che vuol dire la sua?
  6. Attento ai troll, passa e non ti curar di loro
  7. Evita il più possibile di farti coinvolgere nelle teorie cospiratorie, crea una tua coscienza critica

Ecco anche un piccolo glossario.

Trolls: sono strumenti usati con lo scopo di infiammare l’opinione pubblica attraverso l’utilizzo di parole o immagini deliberatamente offensive

Sockpuppets o i cosiddetti profili fake che, attraverso false identità, diffondono fake news.

Bots: risponditori automatici che danno l’impressione all’utente di parlare con una persona reale. Non sempre sono usati per fare disinformazione, ma sono applicati anche dalle grandi aziende per creare un customer care, ad esempio, più efficiente.

Cosa stanno facendo le organizzazioni mondiali e l’Europa per contrastare la misinformazione

Se pare chiaro che la disinformazione e la misinformazione si combattono principalmente con l’alfabetizzazione così da renderli consapevoli nell’individuare quali siano le notizie vere, è necessario, come già sta succedendo, che anche le organizzazioni mondiali siano al passo con la creazione di regole e punizioni specifiche per chi diffonde e si rende protagonista di una cattiva informazione.

In Europa, si parla dal 2015 di Digital Service Act, un provvedimento legislativo volto a regolamentare tutte le informazioni divulgate dai media online in particolar modo dedicato al loro codice di condotta, sempre più richiesto come etico e che non favorisca la diffusione di fake news.

Insomma, un nuovo impegno nel quale l’UE vuol credere per la creazione di un mercato unico con protagonista il web e i loro contenuti.

Le manovre incluse variano dalla demonetizzazione di siti e ADS che promuovono fake news, al rendere obbligatorio per le piattaforme la condivisione di flussi di informazione e comportamento fino al lasciare la possibilità agli utenti di fornire un ranking di apprezzamento o, al contrario, di segnalazione per i siti che consultano.

Nel concreto le proposte avanzate sono:

  • La rimozione di un contenuto considerato illecito, modificando la responsabilità della piattaforma divulgante le informazioni. Questa viene considerata primariamente responsabile delle notizie che mette a disposizione sottointendendo che la stessa dovrebbe conoscere i suoi clienti e fornitori.
  • La creazione di un sistema di segnalazioni a disposizione dell’utente dove lo stesso può segnalare contenuti o fonti.
  • Un’informativa più trasparente in materia di contenuti pubblicitari e raccolta dati di profilazione.
  • La comunicazione precisa del perché un determinato account sia stato segnalato o bloccato dagli altri utenti.
  • La responsabilità ricade sulle piattaforme che devono fornire spiegazioni in merito a come vengono mostrati annunci pubblicitari e contenuti, in merito alla rimozione di alcune news rispetto ad altre e ridare il potere nelle mani dell’utente che deve essere libero di sottostare o meno alla (facoltativa) profilazione.
  • L’utente deve poter consultare regolamenti e policy, anche in materia di privacy e decidere se ricevere ancora promozioni dedicate e basate sulla profilazione o meno.

Fact-cheking program, lo strumento utilizzato da Facebook

Quando si parla di online policy e News Literacy non possiamo non citare uno degli esempi più conosciuti e più chiacchierati: Facebook.

Il social network di Mark Zuckerberg è stato spesso nell’occhio del ciclone. In particolare, una delle ultime decisioni riguarda il tema della satira politica e della sua limitazione nella diffusione online.

In parole povere, se i sistemi di fact-checking di Facebook individueranno dei contenuti in cui si fa della satira, anche politica, non li penalizzerà nel suo algoritmo.

La polemica? Non tutti gli utenti sono in grado di discernere un contenuto satirico dalla realtà andando quindi a percepire vero un contenuto, invece, ironico.

LEGGI ANCHE: Facebook blocca il presidente Maduro. Il Venezuela attacca: “Totalitarismo digitale”

Approfondiamo: i sistemi fact-checking di Facebook

Il gruppo si affida a strumenti di fact-checking, anche terzi, in grado di controllare i contenuti presenti online, andando a nascondere o limitare contenuti lesivi per il consumatore, con particolare attenzione alla disinformazione che questi possono produrre.

La procedura parte con l’individuazione delle potenziali notizie false in base alla segnalazione degli utenti, di eventuali commenti negativi anche individuati grazie a sistemi di AI e prosegue con l’analizzare i contenuti segnalati con il fact-checking che controlla:

  • se un testo è stato alterato;
  • se le fonti citate sono attendibili;
  • se le immagini non sono false o volutamente modificate.

Se un contenuto è rilevato come falso, allora viene anche etichettato come tale e viene limitato nella visualizzazione per gli utenti. Infine, se si individua un trasgressore recidivo, questo subirà delle conseguenze, come sanzioni o l’impossibilità di pubblicare per diverso tempo.

Quindi, cosa c’entra la satira? Un consumatore informato e alfabetizzato sarà in grado di discernere il vero dall’ironico, ma è corretto che Facebook abbia deciso di escludere a priori di sottoporre i temi dei politici dal suo sistema di fact-checking perché, in ogni caso, degni di nota e di informazione per gli utenti?

L’unica limitazione verrà, al contrario, applicata ai video considerati deepfake, ossia quei contenuti multimediali modificati tramite intelligenza artificiale che fanno dire o fare ai protagonisti cose assolutamente non vere. Video in cui i politici sono i protagonisti più gettonati.

“Fashionscapes: A Living Wage”, il docu-film di North Sails

A otto anni dalla tragedia del Rana Plaza, che costò la vita a oltre mille persone, North Sails prende posizione contro lo sfruttamento dei lavoratori dell’industria tessile nei Paesi in via di sviluppo. Fedele alla filosofia “Go Beyond” del brand, North Sails ha scelto di allearsi con Livia Firth e il regista di The True Cost, Andrew Morgan supportando il docu-film A Living Wage, per denunciare le condizioni intollerabili in cui operano i lavoratori dell’abbigliamento e la necessità inderogabile di riconoscere loro diritti e un salario adeguato.

Docu-film di denuncia

A Living Wage è un viaggio drammatico, raccontato attraverso la voce dei diretti interessati e dei migliori avvocati, che stanno lavorando per sostenere la prima legge UE a favore del Living Wage, ossia il salario minimo che permetta ai lavoratori di condurre una vita dignitosa.

Questo documentario ci ha aperto gli occhi. Noi di North Sails Apparel l’abbiamo visto e credo che anche tutti gli attori nel settore dell’abbigliamento dovrebbero guardarlo. Alcuni dati sono davvero scioccanti … 6 $ al mese per 400 ore di lavoro ?!

ha commentato Marisa Selfa, CEO di North Sails Apparel.

LEGGI ANCHE: Clubhouse per Android è arrivato e puoi già scaricare l’app dal Play Store

I marchi di fast fashion per anni hanno mentito sulla situazione dei salari dei lavoratori dell’industria tessile nei Paesi in via di sviluppo. Ora sono obbligati a cambiare grazie a un gruppo di donne: da un lato, le lavoratrici della supply chain dell’’abbigliamento, che vivono quotidianamente una situazione di povertà, degrado e ingiustizia; dall’altro, professioniste in ambito legale. Il risultato sono un report e una strategia basati sul rispetto e sull’impegno reciproci. I marchi e i rivenditori che hanno sempre sostenuto che un salario dignitoso non sia possibile, dovranno renderne conto. Le promesse non mantenute saranno contestate sulla base del diritto e sul rispetto dei diritti umani. Ora vedo un giorno in cui otterremo giustizia per i lavoratori dell’abbigliamento.

ha sottolineato Livia Firth, founder di Eco-Age.

“Fashionscapes: A Living Wage” è supportato da North Sails e The Circle, l’ONG globale impegnata a creare un mondo più equo, aiutando le donne a raggiungere l’emancipazione economica e a porre fine alla violenza di genere, ed è disponibile sulla piattaforma Eco-Age Tv a partire da sabato 24 aprile 2021.

gafa

TikTok, Twitch e le altre piattaforme che possono mettere in crisi il monopolio del GAFA

È indubbio che il mondo del web e del mobile sia al momento dominato dai nomi di Google, Amazon, Facebook e Apple, le 4 multinazionali digitali comunemente identificate con GAFA, l’acronimo che unisce le loro iniziali.

Il 2021 sarà l’anno in cui cominceremo a vedere l’affermazione definitiva di qualche nuovo player o la crisi di uno di questi giganti del web?

Le statistiche relative al fatturato o al numero degli utenti di questi giganti della tecnologia continuano a dipingere per loro uno scenario ancora roseo, a tal punto che il CEO di JPMorgan, in una lettera agli azionisti, ha citato come principali concorrenti, oltre alle altre istituzioni del comparto Fintech, anche aziende come Amazon, Apple, Facebook, Google (e Walmart).

È recente la notizia che il servizio Prime di Amazon ha raggiunto 200 milioni di utenti, con un incremento del 33% rispetto ai numeri di gennaio 2020.

Riteniamo che un cambio completo dello scenario sia quindi ancora lontano, ma dobbiamo dare atto che è in corso una diversificazione dell’utilizzo dei canali digitali. Stanno emergendo infatti nuove piattaforme e nuovi modi di utilizzo dei servizi digitali destinati a sottrarre ai 4 giganti frazioni sempre più considerevoli del tempo trascorso dai navigatori online e della raccolta pubblicitaria.

Oltre all’esplosione di Clubhouse e del social audio, che ha caratterizzato i primi mesi del 2021, meritano una particolare attenzione Fortnite, Twitch, Snapchat e TikTok.

LEGGI ANCHE: I Coldplay presentano su TikTok il loro nuovo singolo ‘Higher Power’

Fortnite

Cominciando ad analizzare questi nuovi fenomeni, prendiamo in esame Fortnite, un’app di gaming che sta radicalmente modificando il concetto dell’intrattenimento e del divertimento online.

I numeri di Epic Games, la casa di video giochi che sviluppa Fortnite, continuano a essere interessanti nonostante la battaglia legale con Apple: 350 milioni di utenti (dati ufficiali di Epic Games aggiornati a maggio 2020), una stima di oltre 400 milioni di fatturato e un utilizzo medio da parte dei suoi utenti da 6 a 10 ore a settimana.

Uno degli aspetti che caratterizza Fortnite è la capacità di fungere da catalizzatore per la costruzione di legami sociali tra i partecipanti al gioco. Un interessante studio di NRG rivela infatti che il suo pubblico attribuisce agli aspetti di connessione sociale una delle principali motivazioni alla scelta di questo gioco.

A differenza di altri giochi analoghi, in questa piattaforma gli aspetti di collaborazione e di creazione di una community sono incentivati e non scoraggiati, in quello che NRG chiama il “community – competition paradox”.

All’interno di Fortnite le caratteristiche di collaborazione, collegamento e appartenenza – tipiche delle community – convivono infatti accanto a quelle di individualità, confronto e ricerca dello status – tipiche delle competizioni.

In Fortnite abbiamo quindi una delle massime espressioni di social gaming, fenomeno che, certamente stimolato dall’impatto dei lockdown e delle restrizioni che hanno favorito le occasioni di interazione online con amici e parenti, è destinato a durare e ad incoraggiare la diffusione di giochi che facilitino le esperienze di condivisione.

Ma Fortnite non è solo social gaming. Alla base del funzionamento della piattaforma c’è Unreal Engine, un software che può anche essere utilizzato per la produzione di serie TV, film musicali, eventi come quello di Travis Scott – che potete vedere nel video seguente – o la promozione di film come Tenet di Cristopher Nolan.

Twitch

Anche Twitch, con le sue funzionalità integrate di chat e livestreaming, è una piattaforma utilizzata dai gamers ma sarebbe riduttivo restringerla unicamente a questo ambito.

Twitch è infatti divenuta un canale di riferimento per il livestreaming di contenuti prodotti dagli utenti e sta gradualmente estendendo le proprie funzionalità per diventare una piattaforma completa di intrattenimento e riempire il gap tra giochi e TV.

Diventata di proprietà di Amazon nel 2014, Twitch può vantare oltre 9 milioni di utenti nel mondo, di cui circa il 12% in Italia, secondo i dati forniti da Blogmeter. Gli utenti sono prevalentemente studenti, Millenials, di sesso maschile, con un marcato interesse verso gli eSports.

Molti dei contenuti sono relativi ai giochi ma si possono trovare anche canali che trattano gli argomenti più disparati: dal fitness ai DJ set, dalle ricette di cucina alle semplici conversazioni.

Si tratta quindi di una piattaforma molto interessante, visto l’audience costituito prevalentemente da Millenials e Generazione Z, per tutte le aziende che vogliono entrare in contatto con le nuove generazioni, categorie di cui molto spesso è difficile individuare gusti e tendenze.

LEGGI ANCHE: eSports e Gaming nel 2021: trend e aziende chiave del settore

Snapchat

Un’altra app da tenere in considerazione è Snapchat. In Italia questa piattaforma viene spesso sottovalutata perché ha poco più di 2 milioni di utenti ma in realtà, già dal suo lancio, si è rivelata essere molto innovativa. Non dimentichiamo infatti che le Storie, ormai imitate e adottate da Facebook e da quasi tutti gli altri social, sono un formato inventato appunto da Snapchat.

Uno dei punti di forza di questa app sono le funzionalità di Realtà Aumentata quali filtri, lenti e smart glasses (occhiali dotati di obiettivo fotografico e in grado di registrare brevi segmenti video).

Di recente, Snap ha raggiunto un accordo con il museo della contea di Los Angeles (LACMA) per la creazione di 5 monumenti in Realtà Aumentata.

Il progetto denominato Monumental Perspectives, nasce con l’obiettivo di raccontare aneddoti e storie poco note associate ad alcuni luoghi di Los Angeles, arricchendo le installazioni con opere di digital art visibili attraverso una Snapchat camera.

snapchat instalalzione LACMA

Fig. 1: No Finish Line di Glenn Kaino (Fonte: Glenn Kaino e Snap Inc.)

Il progetto di Snapchat con il museo di Los Angeles è solo il più recente tra quelli che hanno visto l’azienda fondata nel 2011 da Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown impegnarsi nel settore artistico: le installazioni di Jeff Koons, Damien Hirst e City Painter sono tutte perfettamente in linea con la volontà di posizionare la piattaforma come strumento per creare e promuovere un movimento artistico basato sull’arte digitale.

Grazie a queste funzionalità innovative e alla recente crescita della tecnologia degli NFT, che faciliterà la diffusione della digital art, Snapchat ha certamente tutte le caratteristiche per diventare la piattaforma di riferimento nell’Augmented Reality.

LEGGI ANCHE: NFT mania, ecco i non-fungible token che tutti vorremmo collezionare

TikTok

Uno dei social network di cui si è parlato di più negli ultimi mesi è certamente TikTok.

L’app di proprietà della società cinese ByteDance sta avendo un trend di crescita veramente impressionante. Tra tutte le statistiche disponibili, è interessante osservare il grafico pubblicato dal Financial Times (v. Fig. 2) che riporta il tempo impiegato dai vari social network a raggiungere un miliardo di utenti: 3 anni per TikTok contro gli 8 anni di Instagram e Facebook.

Anni TikTok 1 miliardo utenti

Fig. 2: Utenti attivi su base mensile vs. anni dal lancio (Fonte: Financial Times).

Anche in Italia, i 6.3 milioni di utenti (secondo gli ultimi dati Audiweb-Nielsen) ne confermano la notevole diffusione presso un pubblico sufficientemente esteso.

Descrivere il fenomeno TikTok richiederebbe uno spazio più ampio e comunque vi sono numerosi altri articoli, anche su Ninja, che trattano questo argomento. Ci limitiamo qui ad evidenziare che aziende come Amazon, Fendi, Furla, Vodafone, Barilla, Rai Cinema, Yves Rocher, solo per citarne alcune, stanno investendo nella presenza e nella promozione del loro marchio su TikTok.

A conferma del fatto che questo social network si sia già ricavato uno spazio importante nel panorama dei social media, tutte le principali piattaforme concorrenti hanno aggiunto o stanno per rilasciare il supporto degli short video: Instagram Reels, YouTube Shorts, Snapchat Spotlight.

Nuovi modi di utilizzo

Concludiamo rilevando infine che si stanno affermando nuovi modi di utilizzare i canali social.

Accanto al già citati social gaming e community – competition paradox negli esports, stanno assumendo una crescente importanza alcuni fenomeni (e relativi player) che verrà la pena monitorare nei prossimi mesi perchè destinati ad un ruolo sempre più rilevante, come il livestream shopping, la diffusione della collaboration house fondate dagli influencer di TikTok, i tentativi di portare i social media anche sulla televisione di casa, la diffusione di concerti virtuali (Justin Bieber e The Weeknd su TikTok, Travis Scott su Fortnite).

Basterà per mettere in crisi il monopolio delle GAFA?

Clubhouse per Android

Clubhouse per Android è arrivato e puoi già pre-registrarti sul Play Store

Benvenuti utenti Android!“. Clubhouse per Android è finalmente arrivato e sono stati gli stessi founder, Paul Davison e Rohan Seth, a darne l’annuncio tra gli aggiornamenti della piattaforma.

Clubhouse per Android: puoi invitare i tuoi amici

L’annuncio non è stato un fulmine a ciel sereno: l’azienda aveva già comunicato di essere molto avanti con lo sviluppo di un’app per il principale concorrente di iOS e di stare testando, internamente prima e con l’aiuto di alcuni esterni, poi, il software.

Con Android, crediamo che Clubhouse si sentirà più completo. Siamo molto grati a tutti gli utenti Android per la loro pazienza. Che tu sia un creatore, un organizzatore di club o qualcuno che vuole semplicemente esplorare, siamo entusiasti di darti il benvenuto nella comunità“, si legge nell’annuncio.

La versione Android di Clubhouse ha già cominciato a girare in beta il 9 maggio negli USA e presto seguirà il rilascio anche in altri paesi di lingua inglese, per poi gradualmente procedere al resto del mondo.

Il piano degli sviluppatori per le prossime settimane è quello di raccogliere feedback dalla comunità, risolvere eventuali problemi e lavorare per aggiungere alcune feature come i pagamenti e la creazione di club prima di distribuirlo più ampiamente.

Gli utenti Android possono comunque già scaricare l’app, in qualunque parte del mondo, e iscriversi. In questo modo, verranno avvisati quando le funzionalità saranno disponibili nel loro Paese.

Clubhouse per Android

Chi utilizza già Clubhouse su iOS, può anche invitare i proprio contatti che utilizzano Android: basta cliccare sulla “bustina da lettera” in alto e invitare i contatti dalla rubrica. L’operazione è fortemente consigliata proprio da Paul e Rohan. “Unitevi a noi nel dare il benvenuto ai miliardi di fantastici utenti Android di tutto il mondo nella comunità di Clubhouse. Clubhouse si sente molto più completo ora, e non potremmo essere più entusiasti“, hanno scritto nell’annuncio di rilascio.

LEGGI ANCHE: Ora tutti possono aprire un club su Clubhouse. Ecco come si fa

Perché ci è voluto tanto tempo per la versione Android di Clubhouse

Lo spiegano in maniera molto chiara i founder, i limiti sono stati soprattutto tecnici, causati dal grande successo dell’applicazione e dall’altissimo numero di iscrizioni: “Quando si scalano le comunità troppo velocemente, le cose possono rompersi. Così abbiamo fatto partire Clubhouse su una singola piattaforma e ci siamo espansi gradualmente attraverso un modello a inviti. 

All’inizio di quest’anno, Clubhouse ha iniziato a crescere molto rapidamente, poiché le persone in tutto il mondo hanno iniziato a invitare i loro amici più velocemente di quanto ci aspettassimo.

Per quanto felici del successo, la cosa ha avuto i suoi risvolti negativi, in quanto il carico ha stressato i nostri sistemi, causando interruzioni diffuse del server e guasti di notifica, e superando i limiti tecnici dei nostri algoritmi.

Questa scoperta, ci ha fatto spostare la nostra attenzione sulle assunzioni, sugli aggiornamenti e sulla costruzione dell’azienda, piuttosto che sugli incontri della comunità e sulle caratteristiche del prodotto su cui normalmente ci piace concentrarci. È stato un periodo importante di investimento, che pensiamo ci aiuterà a servire la comunità molto meglio nel lungo periodo.
La cosa buona di questo periodo è che ci ha mostrato quanto la voce sia universale come mezzo di comunicazione”.

LEGGI ANCHE: Cos’è Clubhouse, il social audio su invito amato da VIP e Venture Capitalist

Il sistema a invito rimarrà anche su Clubhouse per Android

Gli sviluppatori e il team di Clubhouse ha sempre adottato un approccio misurato alla crescita, mantenendo il team abbastanza contenuto  e ricevendo moltissimi feedback dalla comunità durante il percorso di crescita.

cina clubhouse

Come parte dello sforzo per mantenere questa crescita misurata, l’azienda confermerà il sistema di inviti e di liste d’attesa, assicurandosi che ogni nuovo membro della comunità possa portare con sé alcuni contatti, grazie al set di inviti disponibile al momento della registrazione.

Cos’è Clubhouse

Se ancora non lo sapessi, Clubhouse è una piattaforma di social media basata sui contenuti audio, una sorta di podcast interattivo in tempo reale. Le conversazioni sono organizzate in chat tematiche tra le quali si può navigare e si può scegliere di partecipare alla conversazione o limitarsi ad ascoltare. Le chat possono anche essere create dagli iscritti al servizio.

head of digital

Head of Digital: 6 competenze chiave da coltivare per stare al passo coi tempi

AAA Head of Digital cercasi! Guidare e dirigere un team digitale, avere una visione d’insieme dei canali web e dei canali di social media aziendali, accompagnati da una visione strategica dei prodotti e delle attività di marketing, non è compito da tutti. Per questo motivo un vero Head of Digital deve avere molte frecce nella sua faretra, per fare centro e raggiungere ogni obiettivo.

Il suo lavoro non si basa solo su numeri e dati, ma deve includere creatività, gestione delle risorse, relazioni con fornitori e stakeholder, per garantire che la presenza online dell’organizzazione di cui si occupa possa continuare a crescere in un periodo di particolari opportunità quando si parla di digitale.

E quali sono le armi migliori del nostro moderno centauro del web? Naturalmente le digital skill. Competenze trasversali che possono andare dall’eCommerce al digital branding, dal data analytics al customer experience design.

Head of Digital: chi (e cosa) cercano le aziende di oggi

Non c’è ombra di dubbio che la pandemia abbia dato un boost alla digitalizzazione, anche in aree geografiche come l’Italia in cui le aziende stentavano a intraprendere la via del digitale. Oggi abbiamo avuto la possibilità di conoscere all’improvviso il grande potenziale di Internet in ogni singolo business, ma mancano ancora figure professionali in grado di accompagnare le imprese verso la crescita legata alla digital transformation.

colloquio di lavoro

Presto, infatti, sarà necessario distinguersi dalla concorrenza per poter continuare a essere produttivi e a sviluppare il business online. E per farlo saranno necessari esperti e professionisti qualificati, primi fra tutti Head of Digital, vale a dire responsabili e manager del marketing digitale, capaci di progettare ma anche di realizzare e mettere in pratica tutte le strategie che consentono a un’azienda di crescere sul web.

Oggi le aziende, insomma, chiedono risultati, perché il valore principale del digital è proprio quello di essere sempre misurabile. Dal fatturato al target, dai lead alle impression, c’è sempre un KPI che è possibile prendere in considerazione per analizzare le performance e soprattutto per migliorarle. Ogni azienda, inoltre, ha degli obiettivi specifici da realizzare, in relazione alla sua dimensione, al mercato, alla clientela, ai competitor. E dunque solo partendo dall’interpretazione di questo bisogno è possibile progettare un percorso di crescita digitale.

Di pari passo con queste necessità e con queste opportunità devono andare le competenze dell’Head of Digital, da implementare continuamente per essere sempre aggiornati sulle novità di un mondo in costante cambiamento.

Skill digitali per lavori digitali

La Commissione europea ha da poco pubblicato la relazione finale dello studio “ICT for Work: Digital Skills in the Workplace” sull’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla trasformazione dei lavori e delle competenze. L’evidenza mostra che le tecnologie digitali oggi sono usate in tutti i tipi di lavoro, anche in settori economici non tradizionalmente legati alla digitalizzazione, come l’agricoltura, la sanità, la formazione professionale e la costruzione.

Ma non basta. Nel primo trimestre del 2021 l’eCommerce globale è cresciuto del 58% su base annua contro il 17% del primo trimestre 2020. E l’Italia è riuscita perfino a fare di più, con una crescita del 78%, posizionandosi in questo modo al quarto posto tra i paesi con il maggior aumento percentuale dopo Canada, Olanda e Regno Unito, secondo quanto emerso dai dati dello Shopping Index di Salesforce. Indicando così la vera direzione della trasformazione digitale, che investe soprattutto la vendita online.

A guidare questa trasformazione ci sono gli Head of Digital. Per dirla semplicemente, sono i responsabili di tutti gli sforzi di innovazione e di marketing online di un’azienda, che proprio per questo motivo devono sapere come funziona ogni piattaforma online e ogni social, ma anche come tutti gli strumenti digitali si completano a vicenda.

Ecco quindi le competenze indispensabili per un Head of Digital che punti a guidare le aziende verso il successo online.

1. Pensiero strategico

È essenziale che chi si occupa di marketing digitale possa essere sempre un passo avanti. Il pensiero strategico consiste nel capire come pensano le altre persone, ovvero i potenziali clienti. Senza questa skill non sarebbe possibile capire perché le persone fanno o non fanno determinate scelte, comprano o non comprano un prodotto o servizio. E senza questa competenza, molti soldi rischiano di essere buttati in attività infruttuose.

Un Head of Digital è in grado di ripensare la catena del valore in ottica digitale, attraverso modelli di business e processi di digital governance, misurando la trasformazione con i digital analytics.

Senza un pensiero strategico, insomma, si rischiano di perdere opportunità commerciali chiave.

2. Analisi dei dati

Si parla sempre molto di big data ed è essenziale per i marketer e per i business online capire quali sono le informazioni a loro disposizione. Analizzando i dati sui clienti si possono ottenere intuizioni e aumentare i profitti.

Inoltre, i dati sono in grado di farci capire se le campagne di advertising hanno funzionato o se i processi interni vanno rivisti, per esempio.

Un Head of Digital è capace di prendere e migliorare le proprie decisioni con i data analytics, raggiungendo così gli obiettivi di business.

3. eCommerce management

Lo abbiamo già detto e lo abbiamo dimostrato con i dati relativi all’ultimo trimestre, dunque non ripeteremo ancora che in Italia l’eCommerce è stato uno dei settori con i più alti tassi di crescita nell’ultimo anno.

Conoscere strumenti, strategie, ma anche criticità ed esempi da cui prendere spunto, è essenziale in un ambito come quello delle vendite online, che ancora registra ampi margini di sviluppo tanto nel b2b quanto nel b2c.

Le skill di un professionista del digital business oggi dovrebbero prevedere lo studio di forme, modelli e case study per costruire un eCommerce di successo, ottimizzando le vendite online grazie all’omnicanalità.

4. Digital Branding

Come fare ad avere successo sul web? Innanzitutto costruendo un brand riconoscibile, affidabile e amato dalle persone. Per farlo, un Head of Digital deve essere capace di individuare tutti i touchpoint tecnologici necessari per disegnare l’anima digitale della marca e aumentare l’engagement puntando su empatia e rilevanza.

Insomma, una sorta di formula magica, che richiede competenze da vero stregone digitale!

5. Attenzione all’esperienza online delle persone

Progettando un business digitale non si può dimenticare di tenere ben presente che si tratta di un canale completamente diverso da quelli tradizionali, con regole precise per raggiungere in modo corretto i clienti.

La user journey, ossia il viaggio dell’utente online attraverso tutti i punti di contatto con il brand, va costruito e poi migliorato grazie al data driven design. Il modo migliore per imparare spesso è guardarsi intorno, trovando modelli di riferimento e traendo poi ispirazione dalle esperienze digitali più memorabili dei brand, ma sempre con grande attenzione alle reali necessità dell’azienda.

6. Vendere con la tecnologia

Facile a dirsi difficile a farsi, vero? Sì, ma è il nocciolo di tutta la questione per un Head of Digital ed è la sua competenza chiave.

Il vero professionista del business digitale conosce tool e canali, li padroneggia ed è in grado di adattarli alle esigenze del cliente digitale. Sa centrare tutti gli obiettivi, a volte anche pensando fuori dagli schemi, ma soprattutto ha ben chiaro in mente che il web e il marketing sono strumenti meravigliosi con regole precise e possibilità infinite, ma che alla fine lo scopo di ogni business è la vendita.

Da dove partire per diventare Head of Digital

Prepararsi per un lavoro nel mondo del marketing di domani sarà molto diverso da oggi. Mentre le basi del marketing possono essere le stesse, le competenze digitali e gli strumenti necessari per analizzare, creare e implementare il business continuano ad evolversi continuamente.

Il 74% dei dirigenti di marketing riconosce che le organizzazioni devono affrontare una carenza critica di talenti a causa della mancanza di competenze digitali. In altre parole, c’è un enorme divario tra ciò che un professionista dovrebbe sapere e ciò che effettivamente sa. Per far fronte a questo gap, quasi la metà dei dirigenti ha dichiarato che si concentrerà di più sul reclutamento; il 40% ha detto che si concentrerà ugualmente sul reclutamento e sulla riqualificazione della forza lavoro esistente.

Questo rappresenta un’enorme opportunità e padroneggiare queste competenze chiave significa prepararsi già ora per quel futuro.

Anche tu pensi che la Digital Transformation ci riserverà ancora enormi possibilità e vuoi iniziare a sviluppare le tue potenzialità e competenze in questo settore?

 >> Prova le demo e scopri subito il Nuovo Master Online in Digital Business di Ninja Academy! <<

SEO Toolbet, Face Generator e Autopilot: i digital tool della settimana

Una nuova selezione di tool digitali per alleggerire le incombenze quotidiane e renderle più smart.

Tra le scelte di questa settimana, un utile tool per inserire colonne sonore mirate alla meditazione e alla concentrazione. Sarà possibile associare ai nostri video e alle presentazioni file audio con licenza commerciale.

Tra le necessità della vita in ufficio, può essere necessario dover prendere appunti in fretta, magari da un video in lingua inglese, che non mastichiamo perfettamente. Anche per questo, oggi vi offriamo una soluzione.

Seguiteci in questa rassegna degli strumenti digitali selezionati per voi dai Ninja.

LEGGI ANCHE: Adorable.link, Emaily e Face Generator: i digital tool della settimana

Cominciare bene la giornata

digital tool autopilot

Per trasformare la tua routine mattutina in un flusso audio guidato passo dopo passo, parti da Autopilot: allenamento, gratitudine, obiettivi. Modifica queste attività o crea le tue per costruire la tua mattina perfetta grazie all’app gratuita.

Stop ad appunti e trascrizioni

digital tool worldcab

Se non hai tempo per prendere nota durante riunioni e meeting, o se non sei esattamente un asso con l’inglese, Wordcab viene in tuo aiuto creando automaticamente riassunti dettagliati e in linguaggio naturale. Puoi anche condividere tutto con gli altri partecipanti.

Il tool per trovare tool

tool finder

Soprattutto nella ottimizzazione per i motori di ricerca gli strumenti giusti possono fare la differenza. Per trovare quello che fa esattamente per te, puoi usare SEO Toolbelt. Una lista filtrabile di oltre 200 strumenti SEO, creata da esperti del settore e continuamente aggiornata.

Gantt davvero funzionali

monday tool

Pur essendo uno degli strumenti di supporto alla gestione dei progetti più utilizzato nelle aziende, non sempre questo diagramma con compiti e tempistiche riesce ad essere di aiuto. Per farlo diventare davvero efficace, c’è monday.com, una piattaforma visuale e flessibile da provare subito.

Rilassati: ecco la raccolta che fa per te

digital tool zenmix

Inserire una colonna sonora adeguata alle nostre produzioni video può diventare una vera impresa, soprattutto considerato che bisogna tener conto di permessi di distribuzione dei file audio.

La scelta di un tema rilassante adatto anche per la meditazione, può essere una valida alternativa. ZENmix mette a disposizione una raccolta di file sonori per migliorare focus e concentrazione sull’obiettivo. Il tutto, con licenza d’uso commerciale.

eCommerce in Italia 2021: cala il fatturato, 3milioni nuovi utenti. Il report

Una rivoluzione delle abitudini di consumo. La pandemia, infatti, ha radicalmente modificato il settore dell’eCommerce che, per la prima volta nella storia italiana, non incrementa il fatturato, ma si impone come fenomeno sociale, con circa 3,2 milioni di nuovi utenti, fidelizzazioni e federazioni tra aziende e piccoli player del mercato.

È quanto emerge dal report E-commerce in Italia 2021 prodotto dalla Casaleggio Associati presentato in diretta streaming.

I dati più evidenti relativi alle vendite online, evidenziati dalla 15esima edizione della ricerca, registrano una lieve flessione del fatturato totale. Dopo anni di crescita, nel 2020 il valore in Italia è stimato in 48,25 miliardi di euro, con una decrescita del -1% sul 2019. Crollano i settori prima trainanti, come Turismo (-58%) e gli Spettacoli (-9%), mentre è in crescita il settore del Tempo Libero, che rappresenta il 48% del fatturato: in particolare il gioco online, l’hobbistica e lo sport, ma anche Centri Commerciali (+36%), Assicurazioni (+6%), Alimentare (+63%), Elettronica (+12%), Moda (+12%).

“La pandemia ha provocato una fortissima accelerazione nelle vendite online. Il calo di fatturato è in assoluto la notizia di questo rapporto, sebbene si tratti di una decrescita minima del -1% rispetto all’anno precedente – sottolinea Davide Casaleggio, CEO e Partner della Casaleggio Associati, durante l’intervista in streaming – Questo perchè uno dei settori più forti del dell’eCommerce italiano, il turismo, ha perso oltre il 58%, incidendo sul fatturato complessivo. Dall’altra parte abbiamo riscontrato 3 milioni di nuovi clienti italiani che non avevo mai acquistato online e che lo hanno fatto per la prima volta nel 2020. Una clientela che è andata consolidandosi in modo routinario. Tutte queste persone non torneranno più indietro. Se il 2020 è stato l’anno dell’accelerazione, il 2021 porterà un assestamento, per poi registrare una svolta nel 2022”.

Incremento dei potenziali clienti: 3,2milioni di nuovi utenti in Italia (il 5% della popolazione italiana)

La diffusione dell’online nel mese di dicembre 2020, infatti, ha raggiunto quota 74,7%, + 4,7% rispetto all’anno precedente e un totale di 3,2 milioni di nuovi utenti. Un dato importante che ha interessato le aziende che hanno visto ampliarsi il potenziale bacino di vendita in rete. Non stupisce l’incremento del 50% di nuove aziende che si dedicano al commercio online. Il 68% delle aziende intervistate da Casaleggio Associati ha dichiarato che il 2020 si è chiuso con un incremento del fatturato, solo il 20% ha perso terreno mentre il 12% è riuscito a mantenerlo stabile.

Il rapporto, realizzato mediante l’elaborazione di studi e ricerche di mercato, articoli di attualità ed esperienza sul campo di Casaleggio Associati, nonché attraverso una survey online e interviste di approfondimento con alcuni dei principali operatori, analizza i nuovi scenari innovativi eCommerce.

Alfabetizzazione eCommerce: il risvolto digital della pandemia

Nell’edizione 2021, però, l’eCommerce si delinea come fenomeno sociale, con la pandemia che diventa veicolo di l’alfabetizzazione e trasformazione digitale: infatti, se oltre 300mila punti vendita fisici sono stati chiusi nel 2020, nuove 85mila partite iva che si fondano sui processi innovativi sono nate, in un’integrazione sempre più forte tra spazio fisico e digitale (si immagini ai QRcode per i menù, inimmaginabili in fase pre-pandemica). L’intensificazione, inoltre, della customer experience e del social commerce, mentre il customer journey (l’interazione tra consumatore ed azienda) diventa sempre più integrata fisico-digitale.

L’Italia si inserisce tra i trend internazionale, con alcuni settori che hanno beneficiato di più del 2020 vediamo come gaming, il settore del tempo libero (a prescindere però dagli spettacoli che hanno subito un una grave crisi generale), delle scommesse e degli hobby. Forte crescita per lo sport, mentre al secondo posto per la prima volta i centri commerciali con una crescita del fatturato del 21% rispetto all’anno precedente, conquistando la posizione per anni trainante del turismo (-58% del fatturato rispetto al 2019 rappresentando l’11% del fatturato globale dell’eCommerce in Italia). Crescita anche per la cura della casa (+39%) e arredamento (+24%) condizionati dal lockdown e dall’essere costretti in casa.

Davide Casaleggio, Presidente di Casaleggio Associati

Il sorpasso della digital advertising

Si impone, inoltre, il digital advertising su quello tradizionale. “Nel 2021 assistiamo ad un sorpasso del Digital Advertising rispetto all’advertising tradizionale – sottolinea Davide Casaleggio durante la presentazione del rapporto – Le aziende ovviamente devono riuscire a integrare il comportamento d’acquisto e l’identità del brand attraverso i vari canali, rendendo disponibili online tutte le informazioni utili al consumatore, qualunque sia il punto di contatto”.  

Acquisizioni e federazioni dei piccoli player italiani dell’eCommerce

Di fronte al boom delle vendite online le aziende hanno dovuto riorganizzarsi e trovare il modo di posizionarsi sul mercato. Nel corso dell’ultimo anno ci sono state diverse acquisizioni in ambito e-commerce, sia in Italia che all’estero, spesso mirate ad espandere il proprio canale online in ottica di omnicanalità (per esempio Nestlè ha comprato Freshly, mentre Campari ha acquisito Tannico).

“Abbiamo voluto identificare alcuni trend che hanno caratterizzato il 2020, che probabilmente vedranno un susseguirsi di evoluzioni anche durante il 2021 – continua Davide Casaleggio – Il primo fra tutti è quello delle acquisizioni. Le economie di scala sono diventate sempre più importanti per garantire un servizio e per avere una capacità contrattuale superiore rispetto agli operatori logistici, di pagamento e tutti gli altri fornitori per sostenere l’attività eCommerce. È sempre più importante un’integrazione dei vari player. Già realizzate delle acquisizioni di fatto. Nelle ultime settimane abbiamo sentito dei rumors sulla questione Esselunga con interesse da parte di Amazon per cui continuano a susseguirsi le voci. Nel consolidamento del dell’eCommerce in Italia, occorre porre attenzione a tutelare il mercato anche italiano, perché gli operatori con maggiore disponibilità economico-finanziaria arrivano spesso dall’estero: questo ha favorito il modello federativo tra i piccoli operatori”.

Nel 2020 e nella prima parte del 2021 numerosi player si sono aggregati nel modello della federazione o corporazione, talvolta anche in modalità cooperativa, creando piattaforme e brand che consentono di presentarsi sul mercato con maggiore forza. Questo modello consente agli esercizi di prossimità di essere presenti online, anche laddove gli sforzi individuali non lo consentano, di ottimizzare la presenza, il marketing, la comunicazione e la gestione logistica. Un modello che ha consentito a diverse aziende di resistere e prosperare in un momento di difficoltà, e di contrapporsi, almeno in parte, all’avanzata dei marketplace.

Amazon è il Marketplace più utilizzato dalle aziende italiane

Dalle interviste è emerso che il 45% delle aziende vende sul marketplace, mentre il restante 56% non utilizza questi canali. Per il 32% delle aziende che vendono utilizzando marketplace, questi incidono meno del 10% sul fatturato. Per il 19% delle aziende incide dall’11 al 25%, il 17% parla di un incremento tra il 26 e il 50% mentre per un altro 17% l’incidenza è tra il 51 e il 75%. Il 15 % ha un’incidenza maggiore al 75%. Amazon è il marketplace più utilizzato dalle realtà italiane (38%), seguito da Ebay e Facebook Marketplace.

“Se i marketplace rimangono la prima scelta delle aziende italiane – continua Casaleggio – va sottolineato come la modalità di federazione abbia portato alla creazione di Local Marketplace grazie alla riscoperta da parte dei consumatori dei negozi di quartiere”.

Questa nuova modalità di acquisto induce la riflessione su un tema strategico per il futuro del Paese: la logistica e le infrastrutture.

“L’incremento del servizio ha portato a una saturazione del settore – spiega il CEO Casaleggio – Le spedizioni generate dall’eCommerce durante il lockdown sono aumentate del 103% e del 68,5% nel post lockdown. Questo ha portato a grandi investimenti da parte dei privati ma anche a un mancato riconoscimento della shipping neutrality, ossia la garanzia dello stesso trattamento da parte degli operatori della logistica e delle spedizioni nei confronti di tutti i player eCommerce. Chi, infatti, ha le migliori economie di scala può permettersi di negoziare con i fornitori e avere e garantire un miglior servizio al cliente finale e quindi un agreement migliore rispetto ai piccoli player”.

Sostenibilità e relazione con il cliente tra i trend 2021

Tra i trend 2021, altro tema in forte emersione è la sostenibilità: molte aziende, anche attraverso la sensibilità dei clienti finali, hanno fatto trasformare molti servizi legati al packaging o al prodotto stesso in funzione della sostenibilità, garantita da parte del produttore o del del rivenditore

Infine la relazione con il cliente, tradotta in un potenziamento di tutti quegli aspetti che hanno rafforzato integrazione fisica e digitale attraverso l’utilizzo ovviamente degli strumenti digitali, le caratteristiche dei prodotti. È molto importante la fidelizzazione: “I costi ovviamente sono molto sollevati. Quindi è ovvio che ogni nuovo cliente conquistato va di conseguenza anche mantenuto”, aggiunge il Ceo Davide Casaleggio.

“Nel 2020 tanto le aziende quanto gli utenti hanno spinto maggiormente sul social commerce ed è un tendenza che si rafforzerà – spiega Luca Eleuteri, co-founder di Casaleggio Associati -Coinvolgere gli utenti portandoli all’acquisto e trasformandoli in ambassador di un prodotto, in una piattaforma ricca di distrazioni come quella del social media, non è così banale”.

LEGGI ANCHEeCommerce, quota 26,7 trilioni di dollari globali. Italia ottava con il 22% del Pil