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Ninja Awards di N-Conference: ecco le nomination per il Business Visionary Event

Manca ormai pochissimo a N-Conference, il primo grande evento Ninja dedicato al Business del futuro.

Grazie alla piattaforma Umans™, N-Conference vivrà in digitale e sarà possibile seguire gli interventi degli speaker, visitare i Virtual Stand dei Partner, fare Networking nella Lounge digitale, interagire con ospiti e partecipanti e personalizzare la propria esperienza di fruizione dell’evento.

Oltre 30 gli speaker tra esperti e professionisti del panorama economico digitale internazionale.

N-Conference, il Business Visionary Event di Ninja in programma il 27 e il 28 maggio 2021 in Digital Edition, in collaborazione con i main partner TIM, AW LAB e Banca Sella, premierà simbolicamente talenti, professionisti e aziende che hanno saputo trasmettere alla collettività la filosofia Ninja.
E sarà il pubblico a decretare i vincitori tra coloro che si sono contraddistinti nella Digital Industry per tecnologia, approccio e valori: durante N-Conference 2021 si potrà votare in diretta le aziende, le persone e i progetti più meritevoli per ciascuna categoria.

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Scopriamo insieme le nomination dei Ninja Awards.

ninja awards logo

Ninja Celebrity

ninja celebrity

Un riconoscimento dedicato al personaggio pubblico che è stato capace di utilizzare il marketing e la comunicazione per creare autorevolezza e riconoscibilità promuovendo idee e approcci innovativi.

  • The Jackal
  • Estetista Cinica
  • The Ferragnez
  • Matteo Flora

Ninja Talent

ninja talent

Un riconoscimento dedicato al professionista che si è distinto, soprattutto nella Community Ninja, attraverso il proprio talento e la propria passione, creando un impatto concreto con le attività svolte.

  • Domenico Romano
  • Felicia Mammone
  • Filippo Giotto
  • Alberto Maestri

Ninja Marketer

ninja marketer

Un riconoscimento dedicato al Marketing Manager e al suo team che in azienda è riuscito a creare un progetto o un’attività volta a generare valore per il brand attraverso un approccio e una comunicazione distintivi.

  • Carlo Colpo – Lavazza Brand Home Director
  • Paolo Lorenzoni – Country Director of Marketing – NETFLIX
  • Gianluca Di Tondo – Group Chief Marketing Officer di Barilla
  • Julia Schwoerer  – Vice President Marketing Mulino Bianco

Ninja HR

Un riconoscimento dedicato all’HR Manager e all’azienda che nella gestione delle risorse umane si sono distinti per attività di people management e per una cultura aziendale innovativa.

ninja hr

  • Vittorio Maria Carparelli – Amex
  • Gianfranco Chimirri – Unilever Foods Solutions
  • Amelia Parente – Roche
  • Clemente Perrone – Sirti

Ninja Company

Un riconoscimento dedicato all’azienda che è riuscita a distinguersi per innovazione, approccio e valori, diventando un punto di riferimento nel proprio settore.

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  • Weroad
  • Pastificio Rummo
  • Ammagamma

Ninja Culture

ninja culture

Un riconoscimento dedicato alla personalità e alle idee che sono diventate di ispirazione e che portano avanti l’evoluzione sociale e spirituale della società

  • Michelangelo Tagliaferri – Accademia di Comunicazione
  • Bernard Cova – Kedge Business School
  • Guido Stratta – Direttore People & Organisation Gruppo Enel

Ninja Leader

Un riconoscimento all’imprenditore che ha saputo creare una filosofia innovativa nella propria azienda valorizzando le risorse umane e un approccio innovativo al business.

ninja leader

  • Renzo Rosso – Presidente di OTB
  • Brunello Cucinelli – Fondatore di Brunello Cucinelli
  • Niccolò Branca – Presidente e Amministratore Delegato della Holding del Gruppo Branca International S.p.A
  • Norma Rossetti – General Manager MySecretCase

Ninja Media

Un riconoscimento alla realtà editoriale che è riuscita a creare una trasformazione concreta e positiva in ambito media e intrattenimento digitale.

ninja media

  • Will Media
  • Freeda
  • The Post Internazionale

Ninja Agency

Un riconoscimento all’agenzia più innovativa che è riuscita a integrare nel suo DNA la creatività con una forte componente tecnologica per supportare il business dei propri clienti.

ninja agency

  • Dude
  • Caffeina
  • Connexia

Ninja Benefit

Un riconoscimento all’organizzazione no profit (o alla società benefit) che è riuscita a creare un impatto significativo dedicandosi alla salvaguardia dell’ambiente o all’inclusione sociale.

  • Fondazione Mediolanum
  • Lifegate
  • Little Genius

Come votare i tuoi preferiti

Sono dieci le categorie per l’assegnazione dei premi: Ninja Marketer, Ninja Company, Ninja Celebrity, Ninja Benefit, Ninja HR, Ninja Media, Ninja Agency, Ninja Talent e Ninja Leader.

Le aziende, i talenti e le persone incluse nelle nomination per i Ninja Awards sono stai selezionati grazie alla community: sono infatti quelli che hanno ricevuto più segnalazioni e preferenze durante la fase di candidatura. Ora “si sfideranno virtualmente” durante l’evento per aggiudicarsi il titolo di “Unbreakable del business”.

La votazione avverrà in diretta durante l’evento: per partecipare, affrettati a prenotare il tuo posto cliccando qui.

Qualche dettaglio su N-Conference

L’evento ruoterà intorno a 3 vertical track:

    • Technology, per scoprire insieme le nuove opportunità dell’AI e del Machine Learning per il business, il Martech e l’Automazione dei processi di vendita e customer support e familiarizzare con parole chiave del futuro presente come Blockchain, Cryptocurrency, AR & VR, powered by TIM.
    • Culture, per esplorare come la tecnologia sta plasmando generazioni sempre più connesse e digitali, attente ai valori e alla sostenibilità e critiche verso le tradizionali regole del lavoro e modalità di consumo, powered by AW LAB.
    • Industry, per studiare le aziende e le industrie che guidano il cambiamento del mercato valorizzando il capitale umano, integrando le tecnologie e puntando a risolvere i problemi della società in modo innovativo, powered by Banca Sella.

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digital tool della settimana

Cover Photo, Linktree e Reface: i digital tool della settimana

Ogni settimana vi proponiamo una lista di strumenti utili adatti a semplificare attività digitali e a destreggiarsi fra scadenze incombenti e impegnativi task.

Diamo spesso spazio anche a tool originali e altre app che permettono di migliorare il work-life balance o di valorizzare il tempo libero, magari rilassandosi in pausa pranzo o divertirsi “scambiando la faccia” con le nostre celebrità preferite.

Oggi, tra gli altri, vi segnaliamo strumenti per la gestione della community, per l’ottimizzazione di Clubhouse e per la creazione di foto profilo e copertine.

Ecco i digital tool di questa settimana.

LEGGI ANCHE: Woolaroo, NovoChat e Squirrel365 : i digital tool della settimana

Foto di copertina

cover photo

Immagini di copertina e foto profilo sono il nostro biglietto da visita su Facebook. Con Cover Photo puoi aggiungere annotazioni, adesivi e rendere tutto perfettamente integrato.

Far crescere la community

beam

Alimentare il supporto della propria comunità online non è sempre semplice. Beam.gg fornisce tutto ciò di cui un marchio ha bisogno, dagli strumenti di gestione e moderazione, ai subforum, all’analisi dei dati e alle funzionalità di gamification.

Un social audio per il team

digital tool - commons

Se senti il bisogno di un Clubhouse per il lavoro, Commons fa al caso tuo. Basta accedere con Slack, tappare per parlare, registrare, trascrivere e assegnare task. Un modo per connettersi come se si fosse nella stessa stanza anche da remoto.

Video e animazioni con l’AI

I confini dell’intelligenza artificiale sembrano spostarsi sempre più in là. In questo caso per permetterci di manipolare in modo divertente foto e immagini di oggetti o persone. Con Reface puoi animare le tue foto, scegliendo tra una selezione di canzoni e poesie.

Clubhouse Linktree

Linktree per clubhouse

Puoi aumentare il coinvolgimento su Clubhouse e costruire il tuo seguito direttamente da Linktree. La funzione di rilevamento dei link dà agli utenti la possibilità di personalizzare e condividere i dettagli degli eventi e delle stanze sul loro Linktree.

esperienza di shopping online - consigli di Pinterest

L’importanza di una forte esperienza di shopping online per la valorizzazione delle piccole imprese

Quest’ultimo anno le vendite eCommerce sono aumentate come mai prima d’ora.

Anche con la riapertura in alcune parti del mondo dei negozi fisici, questo nuovo approccio allo shopping ha lasciato un segno nel comportamento dei consumatori.

Secondo Shopping Index, il report trimestrale di Salesforce, l’eCommerce continua a crescere a grande velocità: nel primo trimestre del 2021 è cresciuto del 58% contro il 17% del primo trimestre 2020. Solo in Italia il trend è aumentato del 78%, posizionando quindi il Paese al quarto posto degli stati con il più alto aumento percentuale dopo il Canada, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna.

eCommerce

Mentre la maggior parte dei rivenditori più grandi, già prima di questo periodo di distanziamento sociale, aveva una solida presenza online, molte piccole imprese si affidavano all’esperienza in-store e hanno, quindi, dovuto rapidamente adattarsi al cambiamento.

Guardando al futuro dell’eCommerce, è chiaro che la partecipazione online delle piccole imprese che vogliono massimizzare il loro successo ed essere all’altezza della concorrenza non è più un’opzione negoziabile.

“La presenza online è solo il primo passo. ‘Mantenere il ritmo’ non è più sufficiente per il successo e nemmeno per la sopravvivenza. Nel mondo post-pandemico, brand e rivenditori devono guardare al comportamento dei consumatori da una prospettiva digitale e devono adottare strumenti che anticipano ciò che i clienti vorranno negli anni a venire. Chi per vendere ha sempre e solo fatto affidamento sull’esperienza in-store ora deve trovare nuovi modi per far sì che i clienti li scoprano e si facciano un’idea dei loro prodotti, creando un’esperienza di fuga dalla realtà”, commenta Martin Machinandiarena, Head of SMBs for Europe di Pinterest.

La crescita delle PMI

Il processo di digitalizzazione è fondamentale per le piccole e medie imprese, anche perché queste devono lottare per affermarsi sul mercato più delle altre. Rappresenta, quindi, il beneficio più consistente a livello di competitività.

Trasformazione digitale non significa solo reagire ai problemi attuali, ma anche essere proattivi nell’anticipare i problemi futuri. Questo processo, infatti, può consentire alle aziende di rendere il loro business a prova di futuro e di accelerare la loro crescita aumentando il valore del servizio che forniscono ai clienti.

La tecnologia come strumento fondamentale per le PMI

Le piccole imprese di fronte alle enormi sfide presentate dal COVID-19 hanno dimostrato resilienza. Molte aziende per restare sul mercato si sono evolute, con il 42% dei proprietari di piccole imprese che, secondo un sondaggio di Simply Business, a seguito della pandemia si sentono di dipendere di più dal digitale.

La realtà aumentata a servizio dei dispositivi mobili è uno degli elementi che stanno guidando la rivoluzione in arrivo nella vendita al dettaglio a distanza e permette ai rivenditori di sfruttare i vantaggi sia dell’online che dell’offline, rendendo più facile passare dal pensiero dell’acquisto all’acquisto effettivo.

Mentre le piccole imprese si adattano a nuove realtà, è fondamentale che continuino a individuare la tecnologia che permette loro non solo di sopravvivere, ma di prosperare: gli smartphone continueranno a trasformare lo shopping e rimarranno cruciali nel coinvolgimento dei consumatori.

La pandemia, infatti, ha portato ad un aumento del 60% del traffico internet e in Italia il 72% delle persone ha passato più tempo sul proprio smartphone (Fonte: Casaleggio Associati, E-commerce in Italia 2020).

LEGGI ANCHE: eCommerce in Italia 2021: cala il fatturato, 3milioni nuovi utenti. Il report

Il ruolo di Pinterest: il caso di Cliomakeup, Rothy’s e Sukoshi Mart

Mentre molte piccole imprese provano a tenere il passo in questi tempi incerti, Pinterest è uno strumento che cerca essenzialmente di livellare il campo d’azione, in quanto sulla piattaforma imprese di qualsiasi dimensione hanno le stesse possibilità di essere scoperte e di entrare in contatto con nuovi clienti interessati e che stanno pianificando i loro acquisti.

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Pinterest permette anche alle PMI di offrire un’esperienza di shopping online simile a quella dei negozi offline navigando tra i reparti, vedendo le collezioni curate dai rivenditori e confrontando i prezzi.

Pinterest e Shopify hanno recentemente annunciato l’espansione della loro partnership in altri 27 paesi, tra cui l’Italia.

Ora più di 1,7 milioni di venditori Shopify di tutto il mondo hanno a loro disposizione un modo semplice per mostrare i loro prodotti ai più di 475 milioni di utenti Pinterest attivi mensilmente a livello globale e trasformarli in Pin acquistabili e reperibili su tutta la piattaforma.

I commercianti Shopify che si appoggiano a Pinterest avranno anche accesso per la prima volta al Retargeting Dinamico, che permetterà loro di mettersi nuovamente in contatto con i Pinners che hanno già espresso interesse per i loro prodotti sulla piattaforma.

Le aziende presenti su Shopify, come ClioMakeUp, Rothy’s e Sukoshi Mart, hanno già registrato ottimi risultati grazie all’utilizzo dell’app di Pinterest su Shopify.

ClioMakeUp, il marchio di bellezza italiano ha creato uno shop su Pinterest per connettersi con nuovi clienti.

“Nell’era Covid-19, l’online ha assunto un ruolo sempre più centrale. Per questo, abbiamo intensificato i nostri sforzi per essere presenti in maniera costante sia sui social media che sul web”, ha dichiarato Claudio Midolo – Co-Founder & CTO @ ClioMakeUp. “Abilitando l’integrazione Pinterest-Shopify daremo vita a un flusso di interazione virtuoso grazie al quale gli utenti interessati ai nostri contenuti editoriali potrebbero essere esposti direttamente ai nostri prodotti e viceversa, migliorando notevolmente la nostra portata sia commerciale che editoriale”.

Rothy’s, brand statunitense di moda sostenibile, è entrato in contatto con i consumatori utilizzando le funzionalità di Pinterest per lo shopping su Shopify.

“Con l’aumento dell’assortimento dei prodotti, i clienti vogliono scoprire le nostre collezioni di scarpe, borse e accessori con nuove modalità. Pinterest ci consente di offrire un’esperienza di navigazione curata nei dettagli, con funzioni per lo shopping utilizzabili facilmente tramite Shopify. Il catalogo di Shopify di Rothy’s viene trasferito su Pinterest con gli ultimi modelli, colori e fantasie, sincronizzando le scorte in tempo reale. Mentre ci prepariamo a una nuova fase di crescita e a scalare la nostra strategia a livello internazionale, siamo felici di collaborare con nuovi partner globali come Pinterest e Shopify”, commenta Kate Barrows, Direttrice senior per lo sviluppo presso Rothy’s.

ecommmerce

Sukoshi Mart, piccola azienda canadese di prodotti di bellezza e lifestyle giapponesi e coreani, ha scelto gli Shopping Ad per rivolgersi in modo mirato ai consumatori interessati all’Estremo Oriente.

“L’integrazione di Pinterest con Shopify ci ha permesso di entrare in contatto con nuovi segmenti di pubblico, tra cui uno dei gruppi demografici più importanti per noi: la generazione Z. Abbiamo caricato il nostro catalogo su Pinterest, abbiamo creato i Pin prodotto e li abbiamo trasformati in Shopping Ad. Combinando Pinterest con il nostro catalogo Shopify, i consumatori possono trovare informazioni come prezzi e disponibilità su una piattaforma del tutto nuova. Con Pinterest, abbiamo osservato un ritorno sulla spesa pubblicitaria di 3,5 volte superiore alla media del settore registrata in Canada. Pinterest è fondamentale per raggiungere i segmenti di pubblico interessati alle tendenze dal mondo giapponese e coreano, come la bellezza, lo stile di vita e il cibo”, commenta Linda Dang, Fondatrice di Sukoshi Mart.

E mentre si continua a osservare come si evolverà la situazione dell’industria al dettaglio esiste una certezza: che Pinterest garantirà condizioni di parità alle imprese di tutte le dimensioni.

ByteDance, perché Zhang Yiming si dimette da CEO?

Un annuncio a sorpresa ai dipendenti in cui Zhang Yiming dichiara che entro l’anno lascerà la carica di CEO di ByteDance, società di proprietà di TikTok. “I’m not very social”, scrive nella lunga lettera, evidenziando il suo non essere predisposto all’essere social come una delle motivazioni determinanti per la sua decisione.

Una spiegazione che non reggerebbe, secondo gli analisti degli scenari geopolitici. Perché Zhang Yiming, fondatore del colosso cinese della Big economy, valutata in 300 miliardi di dollari nelle ultime contrattazioni e con un patrimonio personale di circa 44,5 miliardi di dollari, avrebbe deciso di lasciare il suo incarico?

Sullo sfondo le pressioni dell’Antitrust, l’autorità di regolamentazione cinese

All’origine potrebbe esserci l’autorità di regolamentazione cinese che negli ultimi mesi è intervenuta con multe fortissime per decentrare il potere delle grandi big tech, oltre ai rapporti tra Cina ed Usa e i dibattiti sulla privacy legata all’app Tik Tok che spopola tra i Millennial di tutto il mondo. La vicenda di Zhang Yiming presenta similitudini molti forti con Jack Ma, fondatore di Alibaba, entrato in dissenso con il governo e scomparso dalla vita pubblica cinese, decidendo all’apice della sua carriera di cambiare vita e di dedicarsi all’insegnamento.

LEGGI ANCHECina, l’Antitrust valuta sanzione record per il gigante del fintech Alibaba

La lettera di Zhang

Le sfide quotidiane di un CEO vengono rappresentate come un ostacolo alla ricerca e all’innovazione: “Sono più interessato ad analizzare i principi organizzativi e di mercato e sfruttare queste teorie per ridurre ulteriormente il lavoro di gestione, piuttosto che gestire effettivamente le persone” – scrive Zhang Yiming, che continuerà nel suo ruolo di presidente – “Non sono molto socievole, preferisco attività solitarie all’essere online, come leggere, ascoltare musica e contemplare ciò che può essere possibile”. Un ruolo, quello da CEO, che rappresenta “una grande sfida con molta pressione”, aggiunge, evidenziando che il cambiamento gli consentirà di “avere un impatto maggiore sulle iniziative a lungo termine”, spostandosi in una posizione “strategia chiave”.

A succedergli il suo compagno di stanza al college, Liang Rubo, attuale capo delle risorse umane di ByteDance, che avrà l’arduo compito di traghettare la società nel mare magnum dei regolamenti Big Tech, definito da Zhang “un partner inestimabile” con “punti di forza nella gestione, organizzazione e impegno sociale”.

ByteDance, che impiega oltre 100.000 persone in tutto il mondo, si stava preparando all’IPO molto attesa quest’anno, interrotta poi ad aprile.

“Penso che sia possibile che Zhang sia preoccupato perché, dopo l’IPO, vedrebbe aumentare la sua ricchezza e ricevere molta attenzione dai media. È difficile essere una persona ricca in Cina. Non si ottiene così tanto riconoscimento”, sottolinea l’analista tecnologico di Pechino Li Chengdong.

Nella lettera, infatti, Zhang ribadisce l’intenzione di devolvere parte dei profitti ad attività di beneficienza: “Credo che restituire alla società sia importante e abbiamo già fatto progressi, sperimentando nuove iniziative per l’educazione, nella ricerca sulle patologie cerebrali e digitalizzando libri antichi. Essendo coinvolto direttamente in alcuni di questi progetti, spero di poter contribuire ulteriormente con mie idee e aiutando a sviluppare nuove soluzioni”.

Tensioni Usa-Cina

Zhang è l’ultimo di un piccolo gruppo di fondatori di aziende tecnologiche cinesi ad abbandonare la gestione quotidiana. TikTok ha cercato di prendere le distanze da Pechino dopo che gli Stati Uniti hanno sollevato preoccupazioni per la sicurezza nazionale per i dati personali che gestisce.

L’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cercato di costringere ByteDance a cedere il controllo dell’app TikTok. Un piano degli Stati Uniti per vendere le attività americane di TikTok a un consorzio che includeva Oracle Corp (ORCL.N) e Walmart Inc (WMT.N), fallito, dopo che ByteDance lanciò sfide legali di successo.

Il tentativo dell’Authority cinese per frenare il potere tecnocratico delle fintech

Una decisione inaspettata che arriva mentre le autorità di regolamentazione cinesi stanno aumentando il controllo delle più grandi aziende tecnologiche del paese. Ad aprile, hanno multato il gigante dell’e-commerce Alibaba Group Holding Ltd per 2,8 miliardi di dollari per pratiche anticoncorrenziali e lo scorso anno ha sospeso l’offerta pubblica iniziale (IPO) dell’affiliata fintech Ant Group.

Le autorità di regolamentazione antitrust hanno anche detto a Tencent Holdings Ltd che si stanno preparando a multare il gigante del gioco fino a 1,55 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da Reuters il mese scorso.

ByteDance è la terza società tra le piattaforme di pagamento cinesi che tenta di dissolvere il duopolio Alibaba-Tencent, sulla spinta anche del governo cinese per ridurre lo strapotere di Ant financial di Alibaba e WeChat pay di Tencent. La big tech cinese dovrà però affrontare lo stesso piano di riforme previsto per Alibaba&co.

L’autorità cinese però ha imposto numerose riforme a cui adeguarsi, tra cui la revisione della forma giuridica, l’eliminazione dei prodotti finanziari dagli scaffali virtuali, l’adeguamento alla normativa antitrust che sta per entrare in vigore sui colossi tech. A ciò si aggiunge tutta la nuova sensibilità sulla privacy e la sua difficoltà di gestione che coinvolge tutto il mondo, ed in particolare l’App TikTok.

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eSports marketing

eSport Marketing: 5 cose da sapere prima di iniziare

Vantare uno spazio tra i cartelloni pubblicitari di San Siro o dell’Allianz Stadium di Torino, esiste qualcosa più cool? Sì, ideare una campagna di marketing per un torneo o un gruppo di eventi eSport!

Secondo una ricerca condotta da Newzoo, gli sport elettronici – o electronic sports – produrranno ricavi superiori al miliardo di dollari entro il 2022 nel mercato globale. Il tasso di crescita annuale composto (CAGR) tra il 2017 e il 2022 dovrebbe essere superiore al 22%. E la maggior parte di queste entrate sarà generata da sponsorizzazioni e spazi pubblicitari.

Con numeri come questi, l’eSport marketing è diventato una priorità per i brand non-endemici. E non solo.

eSport, un rapido riepilogo

Con eSport ci si riferisce ai tornei di videogames competitivi, giocati da player professionisti, che intrattengono una platea di spettatori.

Già, per chi non appartiene alla Generazione Z o non è un Millennial è difficile da capire: perché guardare qualcuno che gioca ai videogiochi? È quello che accadeva negli anni ‘90 / 2000 quando ci si trovava in due a giocare con la consolle ma con un solo joystick. Un po’ di sconforto e tanta pazienza che l’amico terminasse il suo turno.

Questa sensazione oggi è decisamente mainstream. Chi riesce a comprenderla probabilmente è ancora affezionato agli sport della vita reale. Ma il mondo sta cambiando. Il numero di fan degli eSport è cresciuto a dismisura.

esports marketing crescita numero fan

Fino a poco tempo fa, brand come Red Bull e Intel erano gli unici player nel panorama dell’eSport marketing. Ora anche marchi non-endemici come Mercedes, McDonald’s, Mastercard, Movistar e Coca-Cola hanno fatto il loro ingresso nel mondo delle sponsorizzazioni legate ai tornei professionistici virtuali.

Si stima che le entrate globali del settore raggiungeranno 1,6 miliardi di dollari entro il 2024 con Louis Vuitton, Intel, ESPN, Taco Bell e altre corporate pronte a sgomitare sui campi da gioco virtuali per accaparrarsi seducenti spazi di eSport marketing per la promozione di prodotti e servizi.

LEGGI ANCHE: Capire gli eSport: mercato milionario e opportunità per i brand

Quali sono i motivi della crescita dell’eSport Marketing?

L’elevata interattività e la bassa concorrenza sono i driver principali di questa nuova tendenza.

Twitch è una delle principali piattaforme di streaming per gli eSport e, per ora, conta un basso volume di annunci pubblicitari. Questo, nonostante gli spazi sponsorizzati al suo interno generino un alto tasso di conversione rispetto alle piattaforme social tradizionali.

Perché?

I fan dello streaming sono completamente immersi nei contenuti che stanno guardando. Live chat e contest feature aumentano ulteriormente il livello di interattività. Senza dubbio il fattore generazionale è una delle leve essenziali. I giovani tra i 16 e 25 anni sono un gruppo di popolazione con caratteristiche comportamentali precise e questo obbliga i brand a rivedere le proprie strategie di marketing. Per arrivare a colpire questo target è necessario considerare che:

  • Il 61% dei Z Gen non guarda la televisione
  • Il 70% di questi trascorre più tempo a guardare gli eSport rispetto ad altri sport tradizionali
  • Quasi il 90% sa indicare almeno uno sponsor di eSport che non ha legami con il gaming
  • Oltre il 60% dei fan di eSport su Twitch interagisce quotidianamente con i player e quasi uno su tre ha visto almeno 5 ore di contenuti video di Fortnite in diretta su Twitch nell’ultimo anno.

LEGGI ANCHE: Consumer Trend: la Generazione Z ama lo sport ma non vuole guardarlo

Ma prima che un brand si precipiti a sviluppare una Strategia di eSport Marketing adeguata è bene conoscere qualcosa di più su questo particolare terreno di gioco. Senza possedere alcune conoscenze base dell’eSport marketing, è altamente probabile che un’azienda produca lo stesso effetto di un elefante che entra in una cristalleria. Tanti vetri infranti e un pugno di mosche tra le mani.

Quali elementi è necessario considerare? Come entrare in contatto con stakeholder e player del mercato? Quali tipi di campagne generano maggior interesse? Proviamo a dare una risposta.

esports marketing Global Games Market segmenti

Qual è il target ideale per una campagna di eSport Marketing?

È necessario conoscere il proprio target in modo da poter elaborare una strategia di eSport marketing mirata. Fin qui, niente di nuovo sul fronte occidentale.

Ma è bene fare attenzione. Proprio come gli sport tradizionali, gli eSport sono classificati in diversi generi e categorie. Così come accade per il marketing tradizionale, ciò che deve comprendere un’azienda è dove si trova il pubblico di destinazione affinché una campagna sponsorizzata sia davvero efficace.

Iniziamo dalle principali tipologie di tornei eSport:

  1. Player contro player (PVP)
  2. Real time strategy (RTS)
  3. Sparatutto in prima persona (FPS)
  4. Arena online per battaglie multiplayer (MOBA)
  5. Giochi di ruolo online multiplayer di massa (MMORPG)

L’obiettivo è quello di conoscere il pubblico di destinazione (quali tornei frequentano, quali giochi apprezzano di più e quali player i influencer preferiscono) così da creare contenuti che li possa attirare.

Dopo aver identificato il pubblico, un brand deve esplorare le piattaforme virtuali in cui questo ama trascorrere la maggior parte del tempo. Sono informazioni fondamentali perché aiutano a capire dove pubblicare i contenuti di marketing per raggiungere efficacemente il target. I primi passi da compiere sono quelli di fare una ricerca sui principali siti di streaming di eSport.

Esistono diverse piattaforme dedicate:

  • Twitch
  • Hitbox
  • Azubu
  • YouTube Gaming
  • Bigo Live
  • Gosu Gamers
  • Facebook Gaming

Si può partire confrontando i piani di abbonamento e il conteggio degli utenti iscritti su queste piattaforme. Meglio scegliere quelle in cui il target desiderato è più attivo e dove i competitor non sono ancora arrivati. È inoltre necessario controllare le recensioni che gli utenti rilasciano su questi siti.

Poter controllare o stimare il conteggio degli utenti medi in live, i piani di abbonamento al canale e informarsi sull’opinione generale degli utenti, permette di determinare l’efficacia della piattaforma come strumento di marketing. Come detto, un occhio rivolto alla concorrenza non è mai troppo: scegliere come target le piattaforme in cui i competitor sono (o non sono) presenti può rivelarsi un’azione decisiva per le perfomance di una strategia di eSport Marketing.

Allinea il Content Marketing all’eSport Marketing

Content is king vale anche per l’eSport Marketing.

Una buona campagna prevede la creazione di contenuti a supporto della presenza del brand nelle arene virtuali. Appassionati e follower dovranno sapere che il brand ha deciso di esporsi e presidiare determinati tornei o eventi di gaming competitivo. Video promozionali di lancio dell’evento e contenuti ad hoc, aiuteranno a spingere la campagna ed ingaggiare anche quelle fasce di utenti indecisi o inconsapevoli.

Quando si progettano contenuti per l’eSport Marketing, è bene che siano relativi e pertinenti al contesto in cui dovranno essere condivisi. Il focus deve sempre essere rivolto al target finale: le persone a cui ci si rivolge devono essere veri appassionati che possono apprezzare, commentare e condividere i tuoi post o i tuoi video con il loro network.

In questo modo la visibilità del brand può ricevere un boost iniziale e un numero più elevato di utenti saranno consapevoli della campagna di marketing e dell’azienda che la supporta.

eSport Influencer: le nuove celebrità del marketing

Gli influencer possono senz’altro contribuire a migliorare la portata e la penetrazione delle attività sponsorizzate e delle campagne di eSport marketing di un’azienda. Una efficace collaborazione con un player professionista che lavora quotidianamente nel mondo degli eSport può migliorare la visibilità dei contenuti del brand.

L’azienda ha la possibilità di mostrare ai follower dell’influencer, annunci brandizzati, contenuti che raccontano il marchio e live chat in cui viene messo in risalto un prodotto o un servizio specifici. Lo scopo è quello di creare esperienze uniche, dedicate alla propria fanbase in collaborazione con un’azienda. Basta trovare l’influencer adatto, che riesce a coinvolgere lo stesso pubblico target a cui l’azienda è interessata.

Come cercare un influencer nel mondo degli eSport?

Esistono molti strumenti di influencer marketing che possono aiutare a restringere il campo di ricerca, identificando i player con le giuste caratteristiche di popolarità e seguito. Una prima perlustrazione delle piattaforme può dare l’idea di quali siano i profili che ricevono maggior seguito e si adattano meglio a determinate categorie merceologiche. In alcuni casi, è possibile rivolgersi ad agenzie specializzate nel recruiting e nel mettere in contatto player e stakeholder del mercato. In Italia, una di queste è l’Osservatorio Italiano eSport.

Le collaborazioni tra corporate e player professionisti è all’ordine del giorno.

Nel 2019 Tyler “Ninja” Blevins, lo streamer da 10 milioni di dollari di fatturato, ha sottoscritto un accordo di sponsorizzazione pluriennale con Adidas.

Michael Grzesiek, meglio conosciuto dalla community geek come Shroud, altro player professionista balzato agli onori della cronoca su Twitch e YouTube, ha collaborato con il fashion brand J!NX per promuovere una serie di capi d’abbigliamento per ragazzi personalizzato con grafiche e stili totalmente dedicati all’universo eSport.

I player professionisti che popolano i tornei di eSport, spesso raccolgono sui loro profili social più fan di Chiara Ferragni, Cristiano Ronaldo e Ariana Grande.

LEGGI ANCHE: eSport: lavoro o semplice passione? La parola a Lapo Raspanti aka Terenas [INTERVISTA]

Sponsorizzare un evento eSport

Per raggiungere la massima copertura mediatica, un brand può sfruttare la popolarità degli streamer e dei tornei di eSport di alto profilo. Pensare di sponsorizzare un evento di gaming tournament non è un’ipotesi così remota da considerare. La sponsorizzazione di un evento eSport espone l’azienda alla visibilità di una fanbase considerevole e sicuramente interessata all’evento organizzato.

Ciò permette di costruire una certa credibilità sulla piattaforma, che farà guadagnare più spettatori e rafforzare la brand awareness.

Il consiglio è quello di iniziare da un piccolo evento se l’azienda non è ancora ben conosciuta nel mondo degli eSport, tanto per prendere dimestichezza con il pubblico e gli attori in gioco. Prendere contatti con realtà locali come pub e sale giochi, può essere un ottimo metodo per coinvolgere il pubblico offline e, allo stesso tempo, trovare brand e aziende interessate a co-sponsorizzare l’evento.

In genere questo è il primo passo per sviluppare relazioni durature con attori chiave del settore come streamer di videogiochi, importanti eSport team, organizzatori e altre aziende affini.

Se hai già deciso di puntare in alto, queste sono le leghe attualmente più importanti al mondo:

  • LEC, campionato europeo di League of Legends
  • LCS, campionato Nord Americano di League of Legends
  • LPL, il campionato professionistico cinese di League of Legends
  • Overwatch League, il campionato professionistico di Overwatch
  • KPL, il campionato professionistico cinese di Arena of Valor (Honor of Kings nel resto del mondo), un MOBA sviluppato da Tencent e disponibile su Android, iOS e Nintendo Switch.

esports marketing tornei più popolari

Un team aziendale di eSport: meglio del calcetto del giovedì

Lancia il tuo brand nel mondo dei videogames con un vero tocco di stile: metti in piedi la tua squadra di eSport aziendale. A pensarci, è molto meno pericoloso del calcetto aziendale! Molti dipendenti eviteranno di andare al pronto soccorso a fine partita. Fondare un team di eSport non è poi così costoso come la maggior parte dei manager e dei responsabili aziendali pensa.

Per mettere in piedi un eSport Team da zero si può iniziare inscrivendosi a Twitch e selezionando, come farebbe un Commissario Tecnico, i dipendenti o i colleghi più in gamba quando si tratta di mettere mano al joystick. In alternativa, è possibile assoldare gameplayer professionisti come se fosse un’asta di calciomercato. Pubblicando una serie di annunci ben ideati sul sito web e sugli account social del brand, ci si mette alla ricerca di giovani promesse dell’eSport (oltre che attirare l’attenzione di Z Gen e Millennial sull’azienda).

Non è possibile trovare dei gamer professionisti che vogliono prendere parte al progetto? Valuta l’affiliazione a team di eSport che sono già alla ricerca di sponsorizzazioni.

Il vantaggio principale è che quando il team trasmette in streaming il proprio gameplay, il brand acquisisce in automatico posizionamento e visibilità nelle dirette live o nei video associati all’evento.

quanto inquina bitcoin

Quanto consuma (e quanto inquina) davvero Bitcoin

Le organizzazioni di tutto il mondo sono all’opera per limitare il consumo di fonti di energia non rinnovabili e ridurre le emissioni di carbonio nell’atmosfera. 

L’Unione Europea, ad esempio, ha pianificato di ridurre le emissioni di almeno il 40% entro il 2030, come parte degli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi.

Sono diverse le iniziative messe in atto per raggiungere questo non semplicissimo traguardo, come la revisione dei sistema di scambio di quote sulle emissioni dell’UE, ma sono previste anche normative più specifiche in materia di energie rinnovabili.

Naturalmente, alcune attività e servizi che consideriamo essenziali, vengono svolti in deroga a questo principio generale e alle normative, in nome della loro utilità all’interno della società. Pensiamo, ad esempio, ai trasporti sia di beni che di persone.

Per quanto il settore sia spinto da una ventata di rinnovamento verso una transizione energetica più oculata, sembra ancora difficile immaginare grandi aerei di linea ed enormi navi porta container alimentati da combustibile di natura non fossile.

bitcoin su scheda madre

Quando però si parla di Bitcoin, ma di criptovalute in generale, la percezione tende a cambiare. Man mano che le monete digitali sono cresciute per importanza e diffusione, il consumo di energia legato al mining e alle transazioni è diventato un argomento centrale della discussione.

Secondo il Cambridge Center for Alternative Finance (CCAF), Bitcoin attualmente consuma circa 110 Terawattora all’anno, circa lo 0,55% della produzione globale di elettricità, o più o meno equivalente al consumo annuale di energia di piccoli paesi come la Malesia o la Svezia.

Si tratta, sicuramente, di un sacco di energia e nasce spontaneo chiedersi: a che quantità ammonta la “giusta energia” da dedicare a un sistema monetario di questo tipo che, nonostante la crescente importanza e l’attenzione che anche la finanza tradizionale sta dedicando al fenomeno, non è, in termini pratici, vitale per la sopravvivenza umana?

La risposta dipende in gran parte dalla considerazione che abbiamo di Bitcoin e da quanto siamo informati sul funzionamento di tale sistema: se siamo convinti che le cripto valute non siano di alcuna utilità e servano solo al funzionare come un gigantesco schema Ponzi o fungano da escamotage per il riciclaggio di denaro e altre operazioni poco lecite, risulta chiaro che qualsiasi quantità di energia adoperata dal sistema sia uno spreco evitabile.

Se però, come altre decine di milioni di persone in tutto il mondo, riteniamo la finanza decentralizzata un modo per sfuggire alla repressione monetaria, all’inflazione e al controllo dei capitali, molto probabilmente siamo convinti che le risorse energetiche impiegata siano estremamente ben spese.

Quello che è certo è che, per formarci un’opinione corretta e arrivare a una conclusione imparziale, dovremmo capire esattamente come Bitcoin consuma energia, fare alcune precisazioni e sfatare alcuni luoghi comuni.

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Il consumo di energia non è equivalente alle emissioni di carbonio

Partiamo con una precisazione importante: consumo di energia non è sinonimo di inquinamento. C’è un’importante distinzione tra quanta energia consuma un sistema e quanto inquina.

Infatti, mentre determinare il consumo di energia è relativamente semplice, non è possibile estrapolare un dato sulle emissioni di carbonio associate senza conoscere il preciso mix energetico, cioè la composizione delle diverse fonti di energia utilizzate dai computer che estraggono Bitcoin. Per fare un esempio abbastanza immediato, un’unità di energia idroelettrica avrà molto meno impatto ambientale della stessa unità di energia alimentata a carbone.

Il consumo di energia di Bitcoin è relativamente facile da stimare: si può semplicemente considerare il suo hashrate (cioè la potenza di calcolo totale combinata usata per estrarre Bitcoin e processare le transazioni) e fare qualche ipotesi sui requisiti energetici dell’hardware che i miner usano. Ma le emissioni di carbonio sono molto più difficili da accertare, per diversi motivi: il mining è un business intensamente competitivo, e i minatori tendono a non essere particolarmente disponibili sui dettagli delle loro operazioni

Le migliori stime in merito provengono dal Cambridge Center for Alternative Finance, che ha lavorato con i principali pool minerari per mettere insieme un set di dati anonimizzato delle sedi dei miners.

quanto inquina bitcoin

Sulla base di questi dati, il CCAF può presumere quali siano le fonti di energia che i minatori usano per Paese, e in alcuni casi, per provincia. Il loro set di dati, però, non include tutti i pool di miners, né è puntualmente aggiornato, lasciandoci ancora all’oscuro dell’effettivo mix energetico di Bitcoin.

Inoltre, molte analisi di alto profilo generalizzano il mix energetico a livello di Paese, portando a un ritratto impreciso di grandi luoghi come la Cina, ad esempio, che ha un panorama energetico estremamente diversificato.

Di conseguenza, le stime su quale percentuale del mining di Bitcoin utilizzi energia rinnovabile variano ampiamente. Nel dicembre 2019, un rapporto ha suggerito che il 73% del consumo di energia di Bitcoin era neutro in termini di carbonio, in gran parte a causa dell’abbondanza di energia idroelettrica nei principali hub di estrazione come la Cina sud-occidentale e la Scandinavia.

D’altra parte, il CCAF ha stimato nel settembre 2020 che la cifra sarebbe più vicina al 39%.

Anche se questo numero più basso fosse corretto, si tratta ancora di quasi il doppio di quanta energia rinnovabile utilizzi la rete statunitense, suggerendo che guardare solo al consumo di energia è difficilmente un metodo affidabile per determinare le emissioni di carbonio di Bitcoin e altre criptovalute.

Bitcoin può usare tipi di energia che altre industrie non possono utilizzare

Un altro fattore chiave che rende il consumo energetico di Bitcoin diverso da quello della maggior parte delle altre industrie è che Bitcoin può essere estratto ovunque.

Quasi tutta l’energia usata nel mondo deve essere prodotta relativamente vicino ai suoi utenti finali. Il mining non ha questa limitazione: permette infatti ai minatori di utilizzare fonti di energia che sono inaccessibili per la maggior parte delle altre applicazioni.

L’idroelettrico è l’esempio più noto.

Nella stagione umida, in Sichuan e Yunnan, in Cina, enormi quantità di energia idroelettrica rinnovabile vengono sprecate ogni anno.

In queste zone, la capacità di produzione supera di gran lunga la domanda locale e la tecnologia delle batterie è ben lontana dall’essere abbastanza avanzata da rendere conveniente immagazzinare e trasportare l’energia, da queste regioni rurali, ai centri urbani che ne hanno più bisogno.

Queste regioni rappresentano, molto probabilmente, la più grande risorsa energetica potenziale del pianeta, e come tale non è una coincidenza che queste province siano il cuore dell’estrazione mineraria in Cina, responsabile di quasi il 10% dell’estrazione globale di Bitcoin nella stagione secca e del 50% nella stagione umida.

Un’altra strada promettente per l’estrazione a zero emissioni è il gas naturale.

Il processo di estrazione del petrolio, oggi, rilascia una quantità significativa di gas naturale come sottoprodotto: energia che inquina l’ambiente senza mai arrivare alla rete.

Dal momento che è vincolato alla posizione di remoti giacimenti petroliferi, la maggior parte delle applicazioni tradizionali sono state storicamente incapaci di sfruttare efficacemente questa energia.

Ma i minatori di Bitcoin, dal Nord Dakota alla Siberia, hanno colto l’opportunità di monetizzare questa risorsa altrimenti sprecata, e alcune aziende stanno anche esplorando modi per ridurre ulteriormente le emissioni bruciando il gas in modo più controllato. I calcoli a ritroso, suggeriscono che ci sarebbe abbastanza gas naturale bruciato solo negli Stati Uniti e in Canada per far funzionare l’intera rete Bitcoin.

Ad essere onesti, la monetizzazione del gas naturale in eccesso con Bitcoin crea ancora emissioni, e alcuni hanno sostenuto che la pratica agisce invece come un sussidio all’industria dei combustibili fossili, incentivando le aziende energetiche a investire di più nell’estrazione del petrolio di quanto accadrebbe altrimenti. Ma il flusso di denaro che possono garantire i miner di Bitcoin è una goccia nel mare rispetto alla domanda di altre industrie che dipendono dai combustibili fossili, e questa domanda esterna è improbabile che scompaia presto.

Considerata però la realtà dei fatti, cioè che il petrolio continuerà a essere estratto per il prossimo futuro, sfruttare un sottoprodotto naturale del processo (e potenzialmente anche ridurre il suo impatto ambientale) è un fattore comunque nettamente positivo.

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Altre fonti energetiche che possono essere sfruttate da Bitcoin

È interessante notare che l’industria che si occupa della fusione dell’alluminio offre un parallelo sorprendentemente rilevante.

Il processo di trasformazione del minerale naturale di bauxite in alluminio utilizzabile è altamente energetico e i costi di trasporto dell’alluminio spesso non sono proibitivi, quindi molte nazioni con un surplus di energia hanno costruito fonderie per sfruttare le loro risorse in eccesso.

Regioni con la capacità di produrre più energia di quella che potrebbe essere consumata localmente, come l’Islanda, il Sichuan e lo Yunnan, sono diventate esportatrici nette di energia proprio grazie alla produzione di alluminio.

Oggi, le stesse condizioni che hanno incentivato quegli investimenti hanno reso queste località opzioni primarie per l’estrazione di Bitcoin. Ci sono anche un certo numero di ex fonderie di alluminio, come l’impianto idro Alcoa di Massena, NY, che sono state direttamente riconvertite in miniere di Bitcoin.

i bitcoin inquinano

Estrarre Bitcoin consuma molta più energia che usarlo

Il modo in cui l’energia viene prodotta è solo un pezzo dell’equazione. L’altro aspetto su cui circolano informazioni poco precise o fondamentalmente errate è il modo in cui l’esistenza dei Bitcoin consuma effettivamente energia e i cambiamenti che possiamo prevedere nel tempo.

Da molte voci si sente parlare dell’alto “costo energetico per transazione” di Bitcoin, ma questa metrica è fuorviante. La maggior parte del consumo energetico di Bitcoin avviene durante il processo di estrazione. Una volta che le monete sono state emesse, l’energia richiesta per convalidare le transazioni è minima.

Stimare il consumo totale di energia di Bitcoin fino e dividerlo per il numero di transazioni non ha senso: la maggior parte di quell’energia è stata utilizzata per estrarre i Bitcoin, non per supportare le transazioni. E questo ci porta all’ultimo malinteso critico: che i costi energetici associati all’estrazione di Bitcoin continueranno a crescere esponenzialmente.

Una crescita incontrollata è improbabile

Poiché l’impronta energetica di Bitcoin è cresciuta così rapidamente, la preoccupazione principale è che, con una rapida diffusione, il consumo e l’impatto ambientale possano aumentare considerevolmente.

Questa era infatti la premessa di uno studio del 2018, ampiamente riportato e recentemente citato dal New York Times, secondo il quale il sistema Bitcoin potrebbe causare il riscaldamento del Pianeta di ben due gradi Celsius. Ci sono buone ragioni per credere che questo non accadrà.

In primo luogo, come è diventato comune in molte industrie, il mix energetico di Bitcoin diventa meno dipendente dal carbonio ogni anno.

Negli Stati Uniti, i miner sempre più focalizzati sull’ESG (Environmental – Social – Governance) hanno guadagnato quote di mercato e la Cina ha recentemente vietato l’estrazione a base di carbone nella Mongolia Interna, una delle più grandi regioni ancora ricche di carbone.

Allo stesso tempo, molte organizzazioni all’interno dell’industria mineraria hanno lanciato iniziative come il Crypto Climate Accord, ispirato all’accordo sul clima di Parigi, per sostenere e impegnarsi a ridurre l’impronta di carbonio di Bitcoin. 

Inoltre, dato che le opzioni rinnovabili come l’energia solare diventano più efficienti e, di conseguenza, più accessibili per il mining, Bitcoin potrebbe trasformarsi in un serio incentivo a costruire queste tecnologie.

inquinamento atmosferico

Inoltre, è improbabile che i minatori continuino a espandere le loro operazioni di estrazione ai tassi attuali, a tempo indeterminato. Il protocollo Bitcoin sovvenziona il mining, ma questi sussidi hanno dei controlli incorporati sulla loro crescita. Oggi, i minatori ricevono piccole commissioni per le transazioni che verificano durante il mining (che rappresentano circa il 10% delle entrate) e i margini di profitto non sono più così interessanti.

A questo si aggiunge il fatto che il protocollo è costruito per dimezzare la componente di emissione delle entrate dei minatori ogni quattro anni.

Così, a meno che il prezzo del Bitcoin raddoppi ogni quattro anni in perpetuo (cosa che l’economia suggerisce essere essenzialmente impossibile per qualsiasi valuta), quella quota di entrate dei minatori. alla fine. decadrà a zero.

Per quanto riguarda le commissioni di transazione, i vincoli naturali di Bitcoin sul numero di transazioni (meno di un milione al giorno) combinati con la scarsa tolleranza delle persone per il pagamento di commissioni, limitano il potenziale di crescita di questa attività come fonte di reddito.

Possiamo aspettarci che alcuni miners continuino ad operare a prescindere, in cambio delle sole commissioni di transazione (e in effetti, la rete dipende da questo per continuare a funzionare) ma se i margini di profitto diminuiscono, l’incentivo finanziario ad investire nel mining diminuirà naturalmente.

Il dietro-front di Elon Musk

Il technoking di Tesla, Elon Musk, è stato per molto tempo un accanito sostenitore di Bitcoin, sottilineando a più riprese l’aspetto innovativo delle cripto valute e la loro importanza nelle transazioni economiche.

Era riuscito spesso, con poche parole in diversi tweet, a condizionare lo scambio della moneta e di tutto il settore crypto sostenendo questa o quella criptovaluta. Naturalmente, la più famosa tra queste, Bitcoin appunto, ne aveva beneficiato molto più di altre, raggiungendo un picco di oltre 60.000 dollari a marzo. La moneta ha sempre vissuto condizionata da un’alta volatilità e le dichiarazioni di personaggi influenti sono sempre state in grado di condizionarne l’andamento.

Ora però, sembra aver cambiato rotta, almeno per quanto riguarda Bitcoin, convinto proprio dall’eccessivo consumo energetico che il mining della moneta in questione comporterebbe.

 

Nel mese di febbraio aveva suscitato molto scalpore la mossa dell’azienda di auto elettriche di acquistare l’equivalente di circa 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin.

All’annuncio, era poco dopo seguita la dichiarazione a detta della quale, Tesla avrebbe permesso di comprare i suoi veicoli in Bitcoin, o altre valute digitali, accumulandoli in un tesoretto da non convertire in valuta FIAT.

Ora il passo indietro: Tesla non accetterà più pagamenti in Bitcoin.

Come prevedibile, l’annuncio ha provocato un terremoto: prima dell’annuncio, il valore di Bitcoin era di  54.700 dollari. Ha poi iniziato a precipitare, condizionato anche dai rumors provenienti dalla Cina per sprofondare, al momento in cui scriviamo, intorno ai 30.000 dollari. La caduta ha trascinato con sé tutte le sorelle minori

Conclusioni

Ci sono innumerevoli fattori che possono influenzare l’impatto ambientale di Bitcoin, ma alla base, la questione riguarda la domanda iniziale: ne vale la pena?

È importante comprendere che le preoccupazioni ambientali sono importantissime ma devono essere giustamente indirizzate. Quelle che riguardano Bitcoin sono spesso fondate su una cattiva comprensione del funzionamento dell’intero protocollo.

Ciò significa che quando chiediamo: “Bitcoin vale il suo impatto ambientale”, l’effettivo impatto negativo di cui stiamo parlando è probabilmente molto meno allarmante di quanto si possa pensare. Ma non si può negare che Bitcoin consumi risorse.

Come per ogni altra industria che consuma energia, è compito della comunità riconoscere e affrontare queste preoccupazioni ambientali, lavorare in buona fede per ridurre l’impronta di carbonio del Bitcoin, e infine dimostrare che il valore sociale che il Bitcoin fornisce, vale le risorse necessarie per sostenerlo.

Clubhouse per Android arriva da oggi anche in Italia

Da giorni circolavano rumors, ma finalmente da oggi l’esclusiva App ad inviti, fondata sulla voce, è attiva anche in Italia per gli utenti Android. 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la novità del lancio della versione Android di Clubhouse, disponibile sui Play Store a livello globale. In un tweet, la proprietà del social network aveva svelato la data di lancio dell’App, prevista per venerdì 21 maggio, giorno in cui la versione del sistema operativo di Google avrebbe raggiunto gli utenti in tutto il mondo, Italia compresa.

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Alcuni Paesi, come Giappone, Russia o Brasile avrebbero avuto a disposizione l’app già da ieri. La redazione di Ninja Marketing, però, ha deciso di testare l’applicazione sul campo, confermando quindi che è attiva.

Le schermate per l’accesso all’app e la configurazione dell’account sono, nella sostanza, identiche a quelle per sistemi IOS.

Ecco il messaggio di benvenuto agli utenti Android

A seguire la richiesta del numero, codice, inserimento foto profilo.

La selezione degli interessi per arrivare alle room in linea con i propri interessi e aspirazioni

 

Con l’apertura al mercato globale, il social network, con chat audio e ad invito lanciato nel 2020 dalla Alpha Exploration Co. e creato da Paul Davison e Rohan Seth, spera di frenare il brusco calo di download delle scorse settimane, complice anche la concorrenza degli altri social media, come Twitter, che ha sviluppato modalità similari di interazione audio, come Twitter Spaces.

A dicembre Clubhouse 2020 è stato valutato quasi $ 100 milioni. Il 21 gennaio 2021 la valutazione ha raggiunto il miliardo di dollari.

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esport in italia

6 milioni di italiani amano gli eSport: una grande opportunità per i brand

Quanti sono i fan di eSport in Italia? Sfatiamo subito un mito: non è un’attività solo per ragazzini e non è limitata a una ristretta cerchia di persone.

Gli appassionati di eSport italiani sono 6 milioni, ossia il 12% della popolazione maggiorenne. Sono dati scaturiti dalla ricerca “Gaming ed eSport in Italia” realizzata da Yougov per i membri dell’Osservatorio Italiano eSport (OIES), e che fanno dell’Italia il secondo Paese in Europa per “fanbase eSportiva”.

Il report, che per la prima volta censisce il target eSportivo italiano, porta alla luce dati che ridisegnano lo stereotipo del gaming e traccia una fotografia puntuale della sua composizione. La ricerca fa parte del Centro Studi Nazionale eSports dell’OIES, che è il primo database di dati su questo settore in Italia.

gamers in Italia

Innazitutto il genere. L’eSport in Italia è un fenomeno che sta interessando sempre di più le donne. Infatti il, 37% del target degli appassionati è femminile, percentuale sempre più in crescita.

Poi l’età. L’eSport non è un mondo prettamente destinato alla generazione Z, ma è trasversale su tutte le generazioni. Tra coloro che si dichiarano anche giocatori, troviamo sicuramente una preponderanza nella fascia 18-24 anni. Si registrano però valori sopra la media anche in quella 25-34, fino a punte di giocatori al di sopra dei 55 anni. Questo dimostra come il gaming sia un’attività capillare nella popolazione italiana, e non legata a un solo target.

Gli italiani dimostrano inoltre una rilevante inclinazione verso il consumo di contenuti video di gaming su varie piattaforme streaming: in Europa siamo al primo posto per utilizzo di YouTube Gaming e godiamo invece del terzo gradino in riferimento a Twitch e Facebook Gaming.

In Italia gli appassionati di gaming si dividono in due principali categorie, ciascuna delle quali con delle peculiarità che rivelano abitudini e comportamenti eterogenei.

Stiamo parlando degli Hardcore gamers, giocatori abituali attivi sotto l’aspetto competitivo, e degli eSport fan, appassionati che non necessariamente sperimentano gli aspetti competitivi, ma fruiscono degli eSport principalmente come intrattenimento.

gamers fanbase in Italia e in Europa

Gli Hardcore gamers: quando il gioco diventa uno stile di vita

Il 2,7% degli italiani maggiorenni appartiene al gruppo degli Hardcore gamers (HC gamers), ovvero coloro che dedicano più di 21 ore alla settimana al gioco e non solo. Infatti, si registra un alto consumo mediale: una buona parte degli intervistati dichiara di spendere settimanalmente più di 50 ore sul web (19%) e più di 20 ore di fronte alla TV (40%).

Facciamo riferimento a un insieme di 1,38 milioni di italiani per lo più giovani, di cui ben il 39% è donna. Un dato da non trascurare è che il 45% di essi vive in famiglie dal reddito medio basso. Sono giovani che dichiarano di sentirsi spesso annoiati (49%), di non temere il rischio (42%), e soprattutto di desiderare di aprire una propria attività (49%).

Si tratta di un target che attribuisce importanza all’informazione tempestiva, aggiornandosi quotidianamente attraverso blog e riviste stampate, principalmente a tema sportivo.

A proposito di sport, gli HC gamer sono amanti di quelli tradizionali, tant’è vero che, rispetto a tutta la popolazione, seguono anche discipline come boxe, football americano, arti marziali e l’immancabile calcio.

gamers e advertising

Gli eSport fan: la passione che genera peculiari abitudini e comportamenti

La seconda categoria di target eSportivo fa invece riferimento agli eSport fan, che appunto sono 6 milioni. Il 37% è di sesso femminile: un dato importante nel ribadire che gli eSport stimolano nuove prospettive per intercettare anche il genere femminile.

Gli eSport fan che, pur non manifestando un’abitudine di gioco ordinaria, sostengono che la professione di atleta professionista sarebbe il miglior mestiere del mondo (41%).

Una passione che definisce abitudini e comportamenti di vita peculiari: il 41% dichiara di avere molto tempo libero. Nel consumo dei social media scompare Facebook: i social più utilizzato sono Instagram, Twitter e Tik Tok. A livello di intrattenimento usufruiscono principalmente di servizi streaming in abbonamento.

Gli eSport fan tendono inoltre ad acquistare spesso cibo da asporto e a consumare snack o merendine tra i pasti. Una consuetudine che può giustificare una buona propensione all’acquisto verso marchi come McDonald’s, Burger King, Old Wild West e Deliveroo.

Un’ottima inclinazione è evidente anche quando si parla di advertising che apparentemente non li infastidisce ma al contrario funge da driver nelle scelte di acquisto di circa il 61% degli eSport fan. Difatti, circa metà di loro dichiara di essere attento alle pubblicità online e sulle riviste che legge.

gamers e social media

Ecco che sia gli Hardcore gamers che gli eSport fan dimostrano una forte attrazione verso gli sport tradizionali. Anche in questo caso, a suscitare interesse non sono solo il calcio e il basket ma anche discipline di nicchia come Formula E (22%), wrestling (11%) e rugby (18%).

Da questi dati emerge quanto gli eSport non siano relegati alla modalità competitiva, ma quanto stiano assumendo sempre più un valore di intrattenimento. È proprio in questo senso che gli eSport diventano un canale di comunicazione e marketing per i brand che vogliono intercettare quel pubblico di giovani adulti che non fruisce dei media tradizionali.

È un target nuovo, che contrasta con le abitudini di altre tipologie di pubblico, che apprezza la pubblicità e non è infastidito.

Proprio per questo motivo, gli eSport rappresentano oggi la nuova frontiera del marketing per le aziende.

davide bertozzi - immagini vs parole, recensione

Immagini vs Parole, la recensione del primo libro di Davide Bertozzi

Immagini vs Parole è il primo libro scritto da Davide Bertozzi, arricchito dalla prefazione di Valentina Falcinelli e dagli approfondimenti di Elisabetta Alicino, Roberto Saponi e Gianluca Di Santo.

Copywriter, direttore creativo e formatore, Bertozzi ha curato la comunicazione per tantissimi brand e dato vita a messaggi pubblicitari di svariate tipologie. La sua creatività ha avuto modo di confrontarsi con il mondo dei motori a due ruote e progettare campagne per marchi del circuito MotoGp come, RedBull, Ducati, Estrella Galicia.

Immagini vs Parole si inserisce perfettamente in quel percorso di trasformazione digitale che oggi fa domandare alla maggior parte delle persone che si occupano di comunicazione In che direzione sta andando il linguaggio pubblicitario?.

Il pubblico tende di più verso le immagini? Non riusciamo a saziare la nostra irrefrenabile voglia di fotografie, video e intrattenimento da display? Oppure non possiamo proprio fare a meno di accostare a una certa visione, un accompagnamento testuale?

Le parole sono ancora il punto di partenza di un messaggio pubblicitario?

bertozzi libri

Source: Twitter

Il percorso comunicativo secondo Davide Bertozzi

Immagini e parole sono indubbiamente due armi fondamentali ed imprescindibili quando si parla di comunicare per vendere.

Ma oggi in quanti hanno compreso il loro uso equilibrato e strategico? Soprattutto un uso che porta il consumatore a prendere coscienza di ciò che legge o guarda e interagire con il messaggio?

Bertozzi prova a rispondere al quesito ancestrale tracciando un percorso logico molto semplice. Si parte dagli strumenti basilari che il professionista della comunicazione ha in suo possesso. Le parole e le immagini, appunto – da lì non si scappa.

Bertozzi prosegue esplorando tutte le possibili sfaccettature che il mondo delle parole e delle immagini propone quando ci si mette a giocare con loro. Esattamente come un bambino che, completamente immerso dal suo lavoro con i mattoncini Lego, esce fuori dagli schemi predefiniti del libretto di istruzioni, e da vita e qualcosa di innovativo.

Precisamente di nuovo e utile, come direbbero Henrie Poincaré e Annamaria Testa.

E sì perché anche Davide Bertozzi non si sottrae alla sua personale interpretazione di “creatività”. Che cos’è la creatività? E come si raggiunge attraverso l’uso di parole e immagini?

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Immagini vs Parole: che cos’è la creatività secondo Davide Bertozzi

La creatività è qualcosa di irrinunciabile per chi si trova a lavorare con immagini e parole.
Prima di tutto, in un messaggio pubblicitario, c’è qualcosa che viene ancor prima della creatività.

“Tutta la nostra maestria nello scrivere e progettare non serve a nulla se poi non ci sono reputazione, credibilità, etica, sicurezza, conoscenza. Se dietro un annuncio c’è qualcuno pronto a metterci la faccia e a spiegare perché fa quello che fa”.

In secondo luogo, la creatività è quel processo che riesce a portare l’anomalia comunicativa, all’interno di un certo binario di senso. La creatività è eccezione e difformità. Ma non buttate a casaccio.

La maestria del copywriter o del creativo, è quella di innescare un pensiero o un’emozione, attraverso un evento improvviso, una piccola scossa elettrica, che ci strappa un sorriso, ci riporta in luoghi e sensazioni a cui siamo affezionati, ci fa riflettere.

“Un testo dovrebbe essere scritto per le persone, non per esaltare il nostro ego”.

Ok ma quindi, per far funzionare un messaggio pubblicitario, qual è la strada da intraprendere? Immagini o parole? La metafora che scioglie definitivamente il dilemma colpisce nel segno.

Il rapporto tra visual e copy è identico a quello tra Batman e Robin: il primo è il protagonista indiscusso, il secondo è il suo aiutante.

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Un piccolo manuale pronto all’uso per una corretto messaggio pubblicitario

Immagini vs Parole è a tutti gli effetti un piccolo manuale pronto all’uso per chi si accinge a mettere le mani nella pasta della comunicazione pubblicitaria.

Un compendio in cui si esplora la materia dal punto di vista tecnico (la scelta della fotografia, del font del testo, il peso delle parole, il design tra mezzo stampa e social, lo storytelling) e intellettuale (vale a dire immergersi nel sacro momento del brainstorming, dove qualsiasi pensiero a ruota libera è concesso).

Fino a raggiungere gli estremi confini della combinazione tra immagini e parole: il word hacking. La dimostrazione che, a tutti gli effetti, possiamo trasformare le parole in immagini con semplici accorgimenti che animano quelle che per chiunque fino a poco prima erano semplici lettere.

ragazza legge un libro

Lungo il percorso tracciato da Bertozzi, sempre spiegato in maniera estremamente semplice, troviamo un unico leitmotiv ricorrente: tutte le tecniche di comunicazione d’impresa che è possibile apprendere, che ci siano state tramandate dalla storia del copywriting o che vengano studiate nell’era digitale, hanno un unico scopo finale:

“Il messaggio creativo è quello che funziona”.

Grammatica, gestione degli spazi visivi, equilibrio delle parole. Così come il tono di voce, i valori e l’identità del brand che parla. Tutto va bilanciato per trovare il corretto messaggio da veicolare alla nostra platea. Spoiler: non ci sono trucchetti. Il percorso creativo richiede spesso pazienza e stimolazione. Il lampo di genio è piuttosto una rarità.

Come sottolinea anche Gianluca Di Santo nell’approfondimento all’interno di Immagini vs Parole, se c’è qualcosa di tanto divertente quanto veritiero nel mondo della comunicazione creativa, è che nessuno potrà mai dire di un lavoro pubblicitario – che sia una campagna, un testo o un logo – che è l’unico veramente “perfetto”.

La verità è che il giudice finale è sempre il nostro pubblico: sarà lui a decretare se un messaggio, un’immagine o una parole, funziona o meno.

Dietro il rapido percorso delineato da Davide Bertozzi attraverso la  scrittura e progettazione di un messaggio pubblicitario, si cela un happy ending rassicurante. Non saremo mai costretti a dover scegliere tra immagini o parole. Solo testo o solo visual.

“La prossima volta che qualcuno ci dirà che le immagini valgono di più delle parole, sapremo cosa rispondere”.

Da Cristiano Ronaldo a Barak Obama: i 50 Top influencer al mondo

Chi sono i 50 principali influencer al mondo? A quantificare la capacità di ispirare e di indirizzare i contesti economici e di pensiero, interviene il Generational Power Index (GPI) 2021, il report elaborato da Visual Capitalist, con un’analisi  trasversale alle diverse generazioni e fasce d’età

Economia, politica e cultura sono i 3 indicatori utilizzati per monitorare il potere generazionale di Baby Boomer, GenX, Millennial e GenZ.

L’indice, infatti, classifica le generazioni statunitensi in base alla loro influenza economica, politica e culturale, sommando i numeri totali di follower attraverso le diverse piattaforme di social network, in primis Twitter e Instagram, e a seguire Facebook, YouTube, TikTok.

“Nel moderno mondo digitale, la portata dell’impatto dei social media è potere – commenta a margine dell’analisi Visual Capitalist, impegnata nella narrazione visiva dei dati per rendere immediatamente accessibili le informazioni – Le persone con il maggior numero di follower su Twitter dispongono di una piattaforma enorme per diffondere i loro messaggi, mentre quelle con grandi numeri di coinvolgimento su Instagram sono il partner sponsor dei sogni di un inserzionista”.

La Top 50: atleti, musicisti, politici

A dominare la classifica della Top 50, che include atleti, musicisti, politici e altre personalità, è la superstar del calcio Cristiano Ronaldo, il più seguito sui social media con oltre 517 milioni di follower totali, sia Instagram che Facebook.

Anche la politica entra di diritto nel ranking con personaggi influenti, tra cui l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama con 221 milioni totali, di cui gran parte derivanti da Twitter. Più di 175 milioni di follower sulle diverse piattaforme social anche il primo ministro indiano Narendra Modi. Sarebbe rientrato in classifica, anche l’ex presidente Donald Trump (con oltre 140 milioni di follower) prima di essere sospeso da Facebook, Twitter ed Instagram lo scorso 8 gennaio 2021 in occasione dell’assalto al Congresso Americano.

Altro fattore trainante la musica, oltre a numerosi attori dello star system (tra cui  Dwayne Johnson e Will Smith) che occupano circa il 50% delle posizioni del ranking.

Secondo in Usa Justin Bieber, con 455milioni di follower totali, mentre lo scalino più basso del podio è occupato da Ariana Grande con 429 milioni.

Oltre ai tanti campioni dello sport, come Lionel Messi, Neymer e LeBron James, notevole è anche la forza trainante di Instagram, che è la piattaforma principale per il 67% dei 50 principali influencer dei social media, con l’inclusione di celebrità difficili da classificare come Kim Kardashian e Kylie Jenners, che hanno trasformato la fama dei reality TV e dei social in imperi economici, tra business e media.

Non solo celebrità, ma anche giovani personalità che hanno rafforzato le proprie community virtuali su Twitter, TikTok e YouTube: la star più seguita di TikTok è Charli D’Amelio, mentre tra gli YouTuber si confermano Germán Garmendia, Felix “PewDiePie” Kjellberg e Whindersson Nunes Batista.

In realtà i social media possono configurarsi anche come “un equalizzatore di potere”, secondo gli analisti, consentendo non solo alle celebrità, ma anche a singoli sconosciuti di trasformare la fama di YouTube o TikTok in un vero potere e influenza.

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Il numero di follower coincide la capacità di influenzare ed ispirare?

“Le generazioni più anziane hanno dovuto adattarsi alle piattaforme social media, generazioni più giovani sono cresciute insieme a loro, contribuendo a dare a Gen X, Millennials e Gen Z un raro vantaggio sulle generazioni più anziane”, sottolinea Visual Capitalist.

I millennial, infatti, occupano il 50 % della graduatoria, con un’età media Top 50 che oscilla intorno ai 37 anni. Fondamentale è anche la capacità di engagement ed interazione con la propria audience, oltre ai numeri. Alcuni influencer, con numeri ristretti hanno coinvolgimenti più elevati, tali da determinare partnership pubblicitarie significative. Altro aspetto che incide sulla percezione, è il numero di profili falsi o di bot che aumentano il numero di follower di celebrità e politici, rendendoli però poco attrattivi per gli inserzionisti e per il pubblico che si rivolge ai social media per notizie, consigli e intrattenimento.

I Baby Boomer sono la generazione che ha maggiore potere di influenza

Dal report emerge che i Baby Boomer (nati nel 1946-1964) sono la generazione più ricca e influente d’America. Si avvicenda, però, il passaggio di testimone, per cui chi subentrerà?

Il Generational Power Index (GPI) 2021 parte dalla suddivisione di ogni generazione in fasce di età e anni di nascita, sulla base di criteri utilizzati dal Pew Research Center e dalla Federal Reserve: la Silent Generation (over 76 dal 1928-1945); i Baby Boomer (57-75 anni, dal 1946-1964); Gen X (tra i 41-56 anni, tra il 1965-1980); Millennial (tra i 25-40 anni, dal1981-1996); Gen Z (9-24 anni, dal 1997-2012); Gen Alpha (8 anni circa o meno, dal 2013 ad oggi).

Analizzando le 3 categorie principali (potere economico, politico e culturale), i baby boomer, che detengono il 53% della ricchezza Usa, dominano con il 38,6% (sebbene rappresentino solo il 21,8% della popolazione totale degli Stati Uniti). La Gen X al secondo posto, catturando il 30,4% della potenza, mentre la Gen Z è ultima, con un mero 3,7%.

1. Potere generazionale: economia

Con il 43,4%, il GPI mostra che i Boomer detengono un’influenza economica maggiore, rappresentando la maggioranza degli imprenditori Usa e detenendo il 42% della ricchezza miliardaria in America, cresciuti nel post-seconda guerra mondiale, in un’economia relativamente stabile. Al contrario i Millennials hanno vissuto la grande recessione, con forte impatto sulla capacità di accumulare ricchezza.

2. Potere generazionale: politico

I boomer catturano anche il 47,4% dell’influenza politica. Questa generazione rappresenta il 32% di tutti gli elettori statunitensi e detiene la maggior parte delle cariche federali e statali. Ad esempio, il 68% dei senatori statunitensi sono Baby Boomer. Nei prossimi anni si stima che il potere di voto combinato di Millennial e Gen Z vedrà una crescita immensa, passando dal 32% degli elettori nel 2020 al 55% entro il 2036.

3. Cultural Power

In questa categoria, è la Gen X a guidare il gruppo, dominante sulla stampa e nei media: oltre la metà delle più grandi società di notizie americane ha una Gen Xer come CEO e la maggioranza delle personalità più influenti sono anche membri della Gen X.

Sulle piattaforme digitali, però, i Millennial dominano sia come numero di utenti che come creator di contenuti e anche la Gen Z ha un’influenza crescente.

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