Tag di prodotto

Le sfide legali a cui le aziende devono prepararsi nel 2021

L’ambito digitale è caratterizzato da continui aggiornamenti normativi. Il 2021 confermerà l’esigenza delle imprese che operano online di adeguarsi a un contesto legislativo in continuo fermento.

Questo articolo vuole illustrare i principali contesti nei quali per il 2021 l’ambito legale impatterà maggiormente sulle aziende.

Tutela dei dati personali

sfide legali 2021

Nel 2018 è entrato in vigore il Regolamento Europeo 679/2018 in materia di protezione dei dati personali delle persone fisiche (il c.d. “GDPR”). Da allora, gli utenti hanno preso sempre più coscienza dell’importanza di tutelare la propria privacy.

Infatti, la maggior parte delle esperienze di acquisto online coinvolge il trattamento di dati personali. In tal senso, si considerino i dati che vengono conferiti a un sito e-commerce in occasione di un acquisto (es.: generalità, e-mail, indirizzo di residenza, dati di pagamento, etc.).

Per questo motivo, anche per il 2021 sarà molto importante strutturare il business digitale in modo da rassicurare gli utenti sul rispetto degli obblighi di legge in tema privacy. Il requisito imprescindibile da rispettare è quello di redigere e aggiornare una privacy policy a norma.

Infatti, è proprio questo il documento che informa gli utenti in merito al trattamento dei loro dati personali.

Una privacy policy a norma migliora il rapporto con gli utenti perché aumenta il loro grado di fiducia. Inoltre, evita le pesanti sanzioni del Garante Privacy (le quali, dopo l’entrata in vigore del GDPR, possono arrivare anche a 20 milioni di euro).

LEGGI ANCHE: La più grande sfida del web consumer (e come la cripto economia è pronta a risolverla)

Regolamento ePrivacy

Il GDPR, sebbene abbia rappresentato una importante novità in ambito privacy, non disciplina in modo specifico la tutela dei dati personali in ambito digitale.

Questa funzione sarà assolta da un altro Regolamento europeo, il c.d. “Regolamento ePrivacy”.

La pubblicazione di questo Regolamento è prevista proprio per il 2021 e toccherà temi importanti su:

  • obblighi anti-spam. Nuove regole nelle attività di direct marketing;
  • cookie e altre tecnologie di tracciamento. Obbligo del consenso per installare cookie di profilazione, con limitate eccezioni (es.: cookie di profilazione ad uso puramente statistico);
  • segretezza delle comunicazioni. Il principio base sarà di prevedere limitazioni per l’uso dei metadati, salvo eccezioni (es.: per uso di fatturazione oppure per prevenire o contrastare reati).

Il Regolamento è ancora oggetto di discussione presso il Consiglio Europeo ed è molto difficile prevedere il contenuto finale (negli ultimi 2 anni si sono avvicendate numerose bozze, molto diverse tra loro).

È certo però che le aziende digitali dovranno essere pronte ad adeguarsi alle nuove sfide poste dal Regolamento, una volta che sarà pubblicato e diventato efficace.

Sfide legali per il 2021: la tutela del marchio

sfide legali per le aziende

L’emergenza dettata dal Covid-19 ha spinto molte aziende ad estendere il loro business nel mondo online. Ciò sta causando una sempre maggiore esposizione di marchi nel medesimo contesto, quello online.

Nell’ambito offline è accettabile (anche dal punto di vista legale) che l’insegna di un negozio collocato in una determinata città (es. Milano) sia identica rispetto a quella di un negozio che vende in un diverso contesto (es. Roma).

La clientela è infatti diversa e non v’è rischio di confusione tra i marchi delle rispettive aziende. Tutto ciò è inconciliabile nel mondo digitale, dove il business di un’impresa è indirizzato a una moltitudine di utenti.

LEGGI ANCHE: Retail Transformation: esclusività in un mondo di Atomi e Bit

Pertanto, il rischio è quello di vedere il proprio marchio copiato da altre aziende (magari competitor) che hanno deciso anch’esse di vendere online.

La sfida legale per le imprese che hanno deciso o vogliono approcciare il contesto digitale è quello di procedere alla registrazione del proprio marchio. In questo modo, infatti, si tutela un importante asset aziendale, che assumerà sempre più valore nel corso del tempo.

Per le startup che vogliono creare un logo figurativo, in particolare, è molto importante procedere alla c.d. “ricerca di anteriorità”. Lo scopo è quello di verificare l’assenza di marchi già registrati e uguali o simili a quello che si intende utilizzare online. Solo se la ricerca avrà avuto esito positivo, si potrà procedere alla registrazione del logo.

L’importanza della specializzazione legale

Come abbiamo visto, le sfide legali alle quali devono prepararsi le aziende nel 2021 sono diverse e numerose. È molto importante quindi affidarsi a un team di legali con un focus specifico nel digitale.

Solo in questo modo è possibile proteggere il business da sanzioni delle Autorità o reclami degli utenti.

Apprendere nuove skill

Perché non è mai troppo tardi per apprendere nuove skill e migliorarsi

  • Possiamo davvero apprendere nuove skill anche se siamo sommersi da impegni quotidiani e lavoro? Per fortuna sì e non è mai troppo tardi per acquisire nuove abilità
  • Alcuni studi dimostrano che per imparare nuove cose dobbiamo approcciarci a un apprendimento più ampio e non settorializzato

Ognuno di noi porta dentro di sé un piccolo rimpianto, un qualcosa che avrebbe voluto imparare da anni ma non ha mai avuto tempo per farlo. In realtà non è stato solo il tempo il nostro ostacolo più grande, ma la paura di fallire. Succede che teniamo così tanto a qualcosa, che sia il nostro sogno nel cassetto o un semplice hobby, che lo idealizziamo e non ci proviamo nemmeno. Più passa il tempo, più il rimpianto cresce e più ci convinciamo che le nostre chance per imparare una nuova competenza siano pari a zero.

Esiste davvero un tempo limite per apprendere nuove skill? Per fortuna no, ma dobbiamo capirlo e soprattutto esserne convinti. 

Certo, probabilmente sarà difficile diventare una rockstar famosa in età avanzata, ma nulla ci vieterà d’imparare a suonare uno strumento musicale per il semplice desiderio di farlo e senza stress.

Perché siamo bloccati nell’apprendere nuove skill

Quando parliamo d’imparare nuove skill non stiamo parlando di abilità legate principalmente al nostro lavoro. Chi ama la propria professione, trovandola intellettualmente e creativamente appagante, cercherà di apprendere abilità inerenti a essa e risulterà anche semplice e stimolante farlo. 

Ma se invece dovessimo dedicarci ad apprendere nuove skill in cui non siamo abbastanza bravi? Una volta entrati nel mondo del lavoro e avviata la nostra carriera, non veniamo più considerati dei principianti, ma man mano che acquisiamo le competenze necessarie, ci sentiamo più sicuri di noi stessi. Imparare cose nuove significa anche tornare a essere dei dilettanti in un dato ambito, e questa cosa non ci piace per niente.

La paura di fallire, la sensazione di non essere all’altezza e sentirsi, di nuovo, degli esordienti, fanno parte di un mix di fattori che ci bloccano e non proseguiamo con la lista di cose nuove da imparare. Se poi riusciamo ad andare oltre questa iniziale riluttanza, ci sentiremo in colpa perché stiamo togliendo tempo ad altre attività che sono utili e sappiamo già fare. Purtroppo viviamo in una società in cui l’utile e il pratico viene prima del piacere in sé di fare qualcosa per curiosità e passione.

LEGGI ANCHE: Il lavoro che fai non definisce chi sei (o almeno non sempre)

Ma come facciamo a liberarci da questa ansia da prestazione e abbandonare il perfezionismo nocivo? Provando a imparare cose nuove e rivalutando le parole, come il termine “dilettante“.

Il perfezionismo ostacola la mente e l’apprendimento

La parola “dilettante” deriva dall’italiano “deliziare”. Nel XVIII secolo, un gruppo di aristocratici inglesi lo rese popolare fondando la Società dei Dilettanti per intraprendere un tour del continente, promuovere l’arte della conversazione, collezionare opere artistiche e sovvenzionare spedizioni archeologiche.

Federico II di Prussia era in disaccordo con i dilettanti definendoli “amanti delle arti e delle scienze che le capiscono solo superficialmente ma che comunque sono classificati in una classe superiore rispetto a coloro che ne sono totalmente ignoranti”. Parliamo di persone facoltose e con una gran quantità di tempo a disposizione. Il termine, in seguito, ha assunto un’accezione diversa, negativa, così come noi la conosciamo.

E se provassimo a considerare il dilettantismo come a un sostegno all’apprendimento e non a scopo di remunerazione o avanzamento di carriera? Un qualcosa di positivo e soddisfacente per la nostra mente. Potrebbe essere una buona base da cui partire, un antidoto al perfezionismo auto imposto che è cresciuto costantemente negli ultimi tre decenni ed è molto diffuso soprattutto tra i più giovani e gli studenti universitari. 

Il perfezionismo fa male alla salute?

Thomas Curran e Andrew P. Hill, promotori di uno studio del 2019 sul perfezionismo tra studenti universitari americani, britannici e canadesi, hanno sottolineato che i giovani nutrono ideali irrazionali, e che questi si manifestano in aspettative irrealistiche per il mondo accademico e professionale. Sono combattuti su come avere successo e su come dovrebbero apparire e cosa dovrebbero possedere. Queste ragazze e ragazzi sono preoccupati dell’opinione che gli altri potrebbero avere di loro, hanno paura di essere giudicati duramente per i loro difetti percepiti. E tutto ciò, continuano i ricercatori, non fa per niente bene alla salute mentale.

Essere disposti a puntare su qualcosa in cui magari siamo mediocri ma che ci piace e ci appassiona, senza inseguire un ideale di perfezione, sembra essere diventato ormai un atto di resistenza e rivoluzione.

Ma imparare nuove abilità è davvero così complicato?

Rich Karlgaard nel suo rassicurante libro “Late Bloomers: The Hidden Strengths of Learning and Succeeding at Your Own Ritmo”, afferma che il cervello forma reti neurali e capacità di riconoscimento che non si hanno in un’età più giovanile, quando invece la potenza sinaptica è fulminante. 

L’intelligenza fluida, che racchiude la capacità di scoprire nuove sfide e pensare con le proprie forze, favorisce i più giovani. Ma l’intelligenza cristallizzata, ossia la capacità di attingere al proprio bagaglio accumulato di conoscenza e competenza, si arricchisce spesso con l’avanzare dell’età.

Inoltre, alcuni particolari abilità cognitive aumentano e diminuiscono a ritmi diversi nel corso della vita, come Joshua K.Hartshorne, professore di psicologia al Boston College, e Laura T. Germine, professoressa di psichiatria presso Harvard Medical School, spiegano in un articolo sull’argomento.

La velocità di elaborazione raggiunge i picchi nella tarda adolescenza, la memoria a breve termine riguardo ai nomi intorno ai ventidue anni, la memoria a breve termine per i volti intorno ai trent’anni, il vocabolario intorno ai cinquanta e in alcuni studi, anche intorno ai sessantacinque, mentre la comprensione sociale, compresa la capacità di riconoscere e interpretare le emozioni altrui, sale intorno ai quarant’anni e tende a rimanere alta.

Cosa significa tutto questo? Non esiste un’età in cui apprendiamo meglio perché le abilità cognitive non si sviluppano al massimo nello stesso periodo.

Non esistono limiti d’età per imparare

Questo spiega perché ci sono persone che possono fiorire in modo spettacolare quando sono già adulte. Sono molti i casi nel campo della letteratura, dove una ricca esperienza di vita può essere una vera e propria risorsa per gli scrittori. 

Annie Proulx ha pubblicato il suo primo romanzo all’età di 56 anni, Raymond Chandler a 51. Frank McCourt, che era stato un insegnante di liceo a New York per gran parte della sua vita, pubblicò il suo primo libro, vincitore del Premio Pulitzer,Angela’s Ashes”, a 66 anni. Edith Wharton, che era stata una matrona della società incline alla nevrastenia e intrappolata nella gabbia dorata di un matrimonio, non produsse romanzi fino all’età di 41 anni. La narrativa editoriale l’ha risvegliata da quello che lei stessa ha descritto come una specie di torpore. “Mi ero fatta strada fino alla mia vocazione“, sentenziò.

Nella scienza e nella tecnologia, spesso pensiamo alle persone che fanno scoperte precoci come dei veri geni. Einstein una volta disse che “una persona che non ha dato il suo grande contributo alla scienza prima dei trent’anni non lo farà mai“. 

Invece, secondo uno studio del 2014 per il “National Bureau of Economic Research”, l’età media in cui le persone apportano un contributo significativo alla scienza è aumentata durante il ventesimo secolo, per i fisici accade non prima dei 48 anni.

Un articolo del 2016 su “Scienceche” ha scoperto che il lavoro di maggiore impatto nella carriera di uno scienziato è distribuito casualmente all’interno della sua vita lavorativa. Potrebbe essere la prima pubblicazione, accadere a metà carriera o potrebbe essere la sua ultima ricerca. L’età è sempre stata solo un numero.

Apprendere nuove skill allena il cervello mantenendolo giovane

Abbiamo sempre pensato che, con l’avanzare dell’età, il nostro cervello non funzionerà più come prima e non avremo più l’elasticità mentale di un tempo. Ma non è detto che debba essere necessariamente così. 

La professoressa di psicologia dell’UCR, Rachel Wu, ha condotto delle ricerche davvero interessanti sull’apprendimento e su come possa influire sul nostro cervello, sostenendo che gli adulti possono combattere l’invecchiamento cognitivo imparando come i bambini.

La dottoressa Wu ha pubblicato questo studio sulla rivista “Human Development”, e afferma che un sano invecchiamento cognitivo è il risultato di strategie e abitudini di apprendimento che si sviluppano nel corso della nostra vita. Queste abitudini possono incoraggiare o scoraggiare lo sviluppo cognitivo.

Apprendimento ampio e apprendimento specializzato

Quando iniziamo a lavorare, passiamo da un tipo di apprendimento ampio (apprendere molte abilità da piccoli) a un apprendimento specializzato (diventare un esperto in un’area specifica) e questo porta a un declino iniziale in alcuni ambiti che non fanno parte della nostra sfera d’interesse. 

Se gli adulti continuassero ad apprendere in modo ampio come i bambini, potrebbero riscontrare un aumento della loro salute cognitiva e non il declino naturale che ci aspettiamo. Ridefinendo l’invecchiamento cognitivo, si apre la porta a nuove tattiche che potrebbero migliorare notevolmente la salute cognitiva e la qualità della vita.

Le caratteristiche dell’apprendimento ampio

Cosa intendiamo per apprendimento ampio?

La dottoressa Wu e i suoi collaboratori hanno definito l’apprendimento ampio come insieme di questi 6 fattori:

  • Apprendimento aperto e guidato dagli input (apprendimento di nuovi modelli, nuove abilità, esplorazione al di fuori della propria comfort zone)
  • Imparare stando a contatto con insegnanti e tutor che guidano l’apprendimento
  • Mentalità di crescita, ossia la convinzione che le abilità si sviluppano con lo sforzo
  • Ambiente indulgente, dove siamo autorizzati a commettere errori e persino a fallire, senza essere per forza stigmatizzati
  • Impegno serio per l’apprendimento (imparare a padroneggiare le abilità essenziali e perseverare nonostante le battute d’arresto)
  • Imparare più abilità contemporaneamente.

I ricercatori spiegano che l’impegno intellettuale attraverso questi sei fattori diminuisce dall’infanzia all’età adulta, quando appunto si passa da “ampio apprendimento” a “specializzazione”.

Le caratteristiche dell’apprendimento specializzato

Cosa si intende invece per apprendimento specializzato?

  • Apprendimento basato sulla conoscenza con una mentalità chiusa, preferendo routine familiari e stagnando nella propria comfort zone
  • Non interfacciarsi con insegnanti o persone che possono essere una guida sull’apprendere nuove skill
  • Vivere in un ambiente spietato e subire conseguenze pesanti per errori o fallimenti, come il poter essere licenziato
  • Avere una mentalità fissa, ed essere convinti che le abilità siano un talento innato, invece d’impegnarsi ad apprendere nuove skill con lo sforzo
  • Poco impegno per l’apprendimento, gli adulti in genere imparano un hobby per un paio di mesi, ma poi lo abbandonano a causa di vincoli di tempo o perché troppo difficile da portare avanti
  • Imparare un’abilità alla volta.

Apprendere nuove skill per vivere meglio

Apprendere nuove skill non deve essere visto solo come un vantaggio professionale ma come un arricchimento personale. Possiamo imparare nuove abilità a qualsiasi età. Ci vuole solo tempo e dedizione. Siamo spesso proprio noi a limitarci nell’apprendimento, lo rendiamo difficile e a volte non lo accettiamo per timore di metterci in gioco, anche sulle cose più semplici.

Alcuni aspetti dell’invecchiamento cognitivo sembrano quasi autoimposti, sono le convinzioni che abbiamo che devono cambiare per poter andare avanti quando ci sentiamo bloccati sempre nello stesso punto. La crescita personale (e professionale) non ha scadenze. 

Digital 2021, esplodono eCommerce e podcast. Il report sui nuovi trend in Italia

Iperconnessi, con una fruizione sempre più immersiva delle piattaforme social. Esplodono l’eCommerce e l’audio. Mentre la voce sostituisce sempre più il testo nei device digitali per la capacità di creare intimità replicando la conversazione umana, le tecnologie diventano una componente sempre più importante della vita degli italiani, come delinea il report “Digital 2021” pubblicato da We Are Social in collaborazione  con Hootsuite, che mette in luce come i nuovi trend digital, influenzati dal lockdown e dall’emergenza Covid.

Se audio e gaming sono i settori super hot che creano maggior engagement, anche eCommerce, streaming, e social network conquistano l’audience: circa 50milioni di italiani utilizzano i digital device, di cui oltre 1 milione sono le persone che si sono connesse ad internet per la prima volta nel corso del 2020, con un incremento del 2,2% e un notevole aumento anche dell’età anagrafica dell’audience. Più considerevole è la crescita sul fronte delle piattaforme social: oltre 2 milioni di nuovi utenti (quasi +6%), che fa raggiungere quota 41 milioni.

50milioni di italiani iperconnessi- Fonte Digital Report 2021

Il 97% utilizza gli smartphone per connettersi, mentre 3 persone su 4 il computer desktop o laptop. Cresce anche il possesso delle console, pur in un anno in cui sono state rilasciate le prime (poche, per ora) next gen, e quasi raddoppia la penetrazione nelle case degli italiani di device per la smart home, favorita dal maggior tempo a disposizione per esplorare le nuove tecnologie. Italiani connessi per oltre 6 ore al giorno ad internet e quasi 2 ore sui social (il 98% da dispositivi mobili).

I nuovi sbocchi creativi del podcast

Il dato più rilevante riguarda la fruizione dei tools dedicati ai contenuti audio (una persona su 4 ascolta regolarmente podcast), ma il daily time trascorso sui media interessa anche il gaming (oltre 4 persone su 5 giocano, a prescindere dai device preferiti). Il podcast è il reale fenomeno in crescita, con un ascolto medio quotidiano di circa 30 minuti. Migliorano anche le connessione grazie ad avanzamenti infrastrutturali, con incrementi nelle velocità medie che consentono la fruizione di contenuti performanti e streaming di alta qualità, di cui video per il 92%, radio 30,4% e podcast per il 25%: dato in aumento quest’ultimo, corrispondente ad 1 utente su 5, disposti ad investire risorse finanziarie per acquistare prodotti premium.

branded podcast

La classifica dei social network: Telegram per la prima volta nel ranking

41milioni di utenti connessi alle piattaforme social, più 2,2milioni rispetto all’anno precedente. Un pubblico più partecipativo, con un uso del 31% per lavoro. Nel ranking delle piattaforme più utilizzate, domina la leadership degli ecosistemi Facebook e Google: YouTube e WhatsApp ai primi posti (85.3%), con a seguire Facebook (80.4%), Instagram (67%), Messanger (55.9%), Twitter (32.8), e ancora Tik Tok, Twitch, Snapchat. Per la prima volta in classifica anche Telegram, favorita dalla protezione della privacy percepita come valore aggiunto in un uso social divenuto sempre più consapevole (social media oriented) e per la possibilità di canali per la costruzione della community. Evoluzione anche per TikTok, con un’audience più ampia costituita non solo da teen agers, per la caratteristica di dare rilevanza ed ambizione ai creator.

limiti dei social

Lo scenario: i social media strumento di trasformazione della realtà

Cambiano le tendenze di comportamento degli utenti, più inclini al dialogo sulle piattaforme social, con un salto dall’81% del 2020 all’85% di quest’anno. Si evolve il ruolo del social media, che diventa strumento di trasformazione della realtà. Un uso diverso dei social, da strumento di organizzazione per la Primavera Araba del 2010 a veicolo di racconto e narrazione per il movimento del Black Live Matters del 2020. Dopo aver sovvertito le leggi scritte della finanza e dell’economia, la comunicazione branded oggi deve trasferire idee, comunicare un punto di vista concreto e una presa di posizione, trasmettendo i propri valori. Le idee forti hanno bisogno di scendere in profondità: 3 persone su 5, infatti, si dichiarano disposte a pagare per aprirsi a scenari nuovi. I brand dovranno interpretare la realtà, realizzando contenuti esclusivi.

Audio first ed audio only: interazione e contenuti premium

L’interazione digital si rivolge sempre di più ad un’interfaccia audio-first oppure audio only. Il 37% degli utenti utilizza comandi di ricerca vocale, mentre 1 persona su 7 utilizza smart home (Alexa, Siri o altri hub che interagiscono con altri device). Cresce la fruizione audio, non solo associata ai video (92,6%), ma soprattutto ai progetti editoriali creativi che amplificano la funzione immaginativa, non più passiva, su piattaforme che fanno del dialogo un’esperienza, come la recente introduzione in Italia di Clubhouse, con una dinamica di ingresso ad invito, di cui si intravedono già i primi cloni a cura di altre applicazioni.

Interazione sociale e piattaforme voce anche per i gamers, come Twitch, per “giocare parlando”, con spazi misti di chat e forum.

LEGGI ANCHE: Podcast revolution: raddoppia il consumo su Spotify

gaming 5G

Il Gaming

Da fenomeno di nicchia a fenomeno di massa: 4 persone su 5 giocano attualmente (81,3%), sebbene il gaming sia ancora un elemento polarizzzante che suscita pregiudizio, ma allo stesso tempo amplifica l’immaginazione. Gaming che, per sua natura, è uno strumento espandibile, modulabile, aperto alla serialità ed è proprio nel live streaming del gioco che possono inserirsi i brand per l’advertising, con la creazione di avatar per l’identità digitale o con outfit digitali per il settore fashion ad esempio.

eCommerce, cresce l’età anagrafica degli utenti

Il segmento +55 rappresenta il 20% dell’audience totale, dimostrando il potere di penetrazione di internet anche tra le fasce meno giovani, anche nel settore dell’eCommerce, che cresce in Italia dell’86.5% nel 2020, influenzato dal lockdown. Circa 33milioni di euro spesi in transazioni online, con una percentuale di crescita del 24% in consumer goods. I principali acquirenti sono gli utenti tra i 55 e i 64 anni (78% del totale).

LEGGI ANCHE: Siamo nell’era dei Podcast, ecco come sfruttarli per fare comunicazione

e-commerce

Le piattaforme social nei processi di acquisto e il “social commerce”

Se l’eCommerce è il protagonista del 2020 insieme all’audio, i social dovranno assolvere alla funzione di ispirazione: vere e proprie vetrine online per spingere all’acquisto critico, all’acquisition, sempre più parte di un ecosistema. Come si può essere rilevanti per ispirare le persone? Efficacia dei contenuti, ma anche introdurre nuovi format-vetrina con la previsione di call-to-action, da aggiungere ai rilevanti elementi di socialità derivanti dall’interazione con gli altri, siano siti di consumer reviews, piattaforme social vere e proprie, servizi di Q&A o forum. Il futuro? Completare l’esperienza in piattaforma, immaginando in prospettiva un “social commerce” veloce e sicuro.

Hootsuite - Social Trends 2021 -_EN

5 trend che domineranno i Social Media nel 2021 secondo Hootsuite

  • Il 73% dei marketers dichiara di avere come obiettivo principale per la comunicazione social nel 2021 l’aumento nell’acquisizione di nuovi clienti attraverso i Social Media
  • Il 70% degli utenti Internet di età compresa tra 55 e 64 anni afferma di aver acquistato qualcosa online nell’ultimo mese, e che continuerá a farlo anche dopo la fine della pandemia
  • Il 60% dei Millennials e Generazione Z afferma di voler acquistare più prodotti e servizi da Brand che hanno influenzato positivamente la società durante la pandemia

 

“[…] Quando c’è l’oscurità, c’è anche la luce. C’è resilienza, innovazione e creatività e c’è sempre un percorso da seguire per tornare a crescere. Nel rapporto di quest’anno trovate nuove soluzioni a vecchi problemi. Storie vere di marchi leader in tutto il mondo. Il tutto supportato dalle intuizioni delle menti più brillanti del Marketing e dai dati del nostro più grande sondaggio finora. Spero che vi aiuti a trovare la strada da seguire.”

Inizia con queste parole – volutamente di speranza dopo l’anno appena concluso – scritte dal CEO Tom Keiser, il report Social Trend 2021 pubblicato recentemente da Hootsuite. 

Basato su un sondaggio condotto nel terzo trimestre del 2020 su 11.189 marketers, combinato con dozzine di interviste a esperti del settore e rapporti pubblicati da aziende come Deloitte, Edelman, eMarketer, GlobalWebIndex, etc, lo studio identifica cinque tendenze chiave nel mondo dei Social Media per il 2021.

Prima di tutto vediamo come, tra le piattaforme social più utilizzate, più della metà dei brand coinvolti nello studio (61%) conferma l’intenzione di aumentare il budget pubblicitario destinato a Instagram.

Quasi la metà pensa di fare lo stesso per Facebook, YouTube e LinkedIn, mentre possiamo notare come, nonostante il successo incredibile raggiunto da TikTok nel 2020, i brand non sono ancora convinti a puntare sulla piattaforma a livello di investimento pubblicitario.

Di fatto già nell’ultimo trimestre del 2020 la copertura pubblicitaria di Instagram è cresciuta del 7,1%. Non sorprende che i marketers preferiscano seguire il “percorso più sicuro” per investire i loro budget e raggiungere quindi risultati garantiti, piuttosto che sperimentare nuove strategie e piattaforme.

Dopo questa breve premessa, vediamo nel dettaglio quali sono i cinque social trend del 2021 identificati nel report di Hootsuite.

#1 La corsa al ROI

Il 2020 è stato un anno che ha scosso l’economia di tutti i Paesi a livello mondiale, e ovviamente ha avuto un impatto importante anche nel settore della pubblicità. 

I tagli al budget pubblicitario sono stati inevitabili e hanno messo i brand in grande difficoltà al momento di ripensare – quasi stravolgere – le loro strategie di marketing.

Secondo il sondaggio il 73% dei marketers vede come obiettivo principale per la comunicazione social nel 2021 aumentare l’acquisizione di nuovi clienti, rispetto al 46% dello scorso anno, segnando un aumento del 58% su base annua.

Solo il 23% dei marketer ha parlato di “migliorare l’esperienza del cliente”, mentre l’utilizzo dei social per “acquisire informazioni sui clienti” è sceso al 15%, un errore preoccupante soprattutto in dopo un anno in cui il comportamento del consumatore è cambiato in modo radicale.

La corsa al ROI che segnerà le strategie di molti brand nel 2021 non sarà sufficiente. I marketers devono imparare a trarre vantaggio dagli strumenti a disposizione a livello social, per migliorare le esperienze online dei clienti.

Seguire questa strategia aiuta a differenziare i prodotti e servizi offerti dal brand da un numero infiniti di inserzionisti che cercano, disperatamente, di acquisire nuovi clienti in un momento di grande difficoltà economica dei consumatori.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Investire nelle campagne multicanale che tendono ad avere un ROI maggiore rispetto alle campagne single media. Infatti, secondo Analytic Partners, per ogni nuovo canale il ROI può migliorare fino a un 35%;
  • Puntare sullo shopping online migliorando il processo di acquisto per i clienti, rendendolo divertente ed interattivo, utilizzando Instagram Live o Pinterest come showroom virtuali;
  • Fidelizzare i clienti attraverso i canali social (Forrester prevede che la spesa per il loyalty marketing aumenterà del 30% nel 2021).

#2 Il silenzio è oro

Un’altra lezione che ci ha insegnato il 2020 è che gli utenti vogliono utilizzare i canali social per connettersi e parlare tra di loro, non con i Brand, soprattutto in tempi di distanziamento sociale.

Nei primi giorni di pandemia molti marchi hanno adottato un tono eccessivamente sentimentale nei loro contenuti, provocando un’ondata di campagne quasi indistinguibili che le persone hanno iniziato a deridere sui Social Media.

La verità è che per troppo tempo la maggior parte dei Brand ha condiviso contenuti che gli utenti non ritengono interessante, come affermato dal 68% delle persone intervistate.

Nel 2021 quindi la strategia vincente per i marketers sarà capire dove e quando inserirsi nelle conversazioni – e quindi nella vita – degli utenti sui Social Media, creando contenuti capaci di sfondare il muro dell’indifferenza.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Non ignorare le metriche sul consumo passivo di contenuti, perché i dati confermano che solo una piccola minoranza di utenti online commenta o condivide effettivamente i contenuti: la stragrande maggioranza di tutti i media online viene consumata passivamente;
  • Rafforzare i dati del Social Listening con dati da altre fonti, in quanto è molto difficile monitorare le conversazioni che avvengono per esempio tramite Instagram Stories, LinkedIn, TikTok o messaggi privati in generale, e questo può distorcere le informazioni che si ottengono;
  • Continuare a credere nel potere degli UGC per affiancare la produzione di contenuti di Brand, in quanto gli UGC sono economici e hanno il vantaggio di essere contenuti di cui le persone si fidano.

#3 La rivincita dei Baby Boomers

Il 2020 ha ribaltato lo scenario generazionale dei Social Media: l’aumento del tempo trascorso con online, la diffusione dei Live Streaming, dei giochi online e dei pagamenti mobile hanno prodotto nuove forme di alfabetizzazione digitale che si stanno trasformando in abitudini destinate a sopravvivere alla pandemia.

Vediamo come il 70% degli utenti Internet di età compresa tra 55 e 64 anni afferma di aver acquistato qualcosa online nell’ultimo mese, e il 37% prevede di continuare a farlo con più frequenza quando sarà finita la pandemia.

Storicamente, i marketer sono abituati a raggiungere i Baby Boomer attraverso la pubblicità televisiva tradizionale – che continua ad essere uno dei modi più efficaci per raggiungerli.

Ma vale la pena notare che negli ultimi 4 anni c’è stato un aumento del 66% di Baby Boomer che hanno scoperto nuovi marchi e prodotti tramite i Social Media – in particolare su Facebook – secondo i dati forniti da GlobalWebIndex.

I Brand non possono permettersi di trascurare le generazioni più anziane sui canali social nel 2021: utilizzando la segmentazione intelligente i marketers che includono i Baby Boomer nelle loro strategie digitali possono sfruttare questo crescente entusiasmo tecnologico.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Segmentare i Baby Boomer in base alle loro passioni o hobby, non semplicemente per età: costruire il target di riferimento su dati sociali che riflettono gli interessi porta a un aumento del 40% del ricordo dell’annuncio;
  • Lasciare da parte gli stereotipi generazionali in quanto l’ultima cosa che i Baby Boomer vogliono vedere sono le campagne pubblicitarie in cui sono raffigurati come “vecchi” che hanno difficoltà ad interagire con la tecnologia;
  • Usare le recensioni online per aumentare la fiducia e influenzare le decisioni di acquisto dei Boomers.

#4 Conosciamoci di più

I Brand sono convinti che raggiungere i consumatori digitalmente sia un gioco da ragazzi, visto che oltre 4 miliardi di persone sono presenti sui Social Media, e la crescita del 2020 ammonta a un 12%. Ma non è così facile.

Secondo un sondaggio condotto tra 2.162 marketers condotto in collaborazione con Altimeter, il 54% ha affermato di non essere sicuro che i propri follower sui Social Media siano clienti effettivamente più attivi rispetto a quelli con cui non interagiscono digitalmente.

Questo accade principalmente perché la maggior parte dei Community Managers non ha sempre ben chiaro se sta interagendo con un cliente acquisito, un nuovo lead, un ex dipendente o un troll.

Qual è il motivo che molte volte rende difficile ai marketers capire se stanno interagendo con il target corretto? La mancanza di integrazione dei dati derivati dai canali social. Secondo Hootsuite infatti solo il 10% degli addetti ai lavori conferma di possedere sistemi aziendali dedicati all’integrazione dei dati in sistemi aziendali come Adobe, Marketo o Salesforce.

Le previsioni per il 2021 dicono che l’85% delle organizzazioni che integreranno i dati dei Social Media riusciranno a quantificare con maggiore precisione il ROI dei canali social appunto. Questo discorso vale sia per i dati organici che per i dati che derivano dall’advertising. 

Le opportunità di targeting e le metriche dettagliate fornite dall’ADV sono infatti fondamentali per riuscire a creare contenuti pertinenti e raggiungere le persone giuste sui Social Media. Eppure quasi un terzo (28%) degli intervistati non pubblica contenuti social a pagamento, anche se è risaputo che la copertura organica ha iniziato a restringersi a partire dal 2010. 

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Utilizzare i Social Media non solo come canale per coinvolgere gli utenti, ma una ulteriore fonte di dati che può aiutare a rafforzare la strategia di comunicazione;
  • Tenere traccia di tutti i dati raccolti sia dalle campagne organiche e da quelle a pagamento, per capire quali canali e quali contenuti stanno performando meglio;
  • Impostare flussi di lavoro manuali in assenza di soluzioni tecnologiche ad hoc, configurando manualmente un flusso di lavoro che può aiutare a misurare i risultati raggiunti sui Social Media.

#5 Tra cambiamento sociale e cambiamento Social

Le ricadute economiche ed emotive causate dalla pandemia di Covid-19, la nascita di movimenti come Black Lives Matter, il cambiamento climatico che ha alimentato gli incendi storici in Australia e Nord America e molto altro: questi fatti accaduti nel 2020 hanno spinto il capitalismo verso un cambiamento socialmente responsabile.

Questo cambiamento ha messo sotto pressione anche i Brand, che si sono trovati a dover affrontare pubblicamente questioni su cui le loro organizzazioni non si erano mai concentrate, o stavano solo iniziando a tenere in considerazione.

Di conseguenza le aziende si sono dovute adattare in fretta alla mentalità e alle aspettative socialmente consapevoli di generazioni più giovani e diversificate, come la Generazione Z. Nel sondaggio annuale di Deloitte sui Millennial e la Gen Z, il 60% degli intervistati ha affermato di voler acquistare più prodotti e servizi da Brand che hanno influenzato positivamente la società durante la pandemia.

I consumatori stanno sviluppando aspettative più alte in relazione a come le aziende possano contribuire a migliorare il mondo in cui viviamo, e utilizzare i Social Media come megafono per promuovere le iniziative sociali è cruciale nel 2021. 

Secondo Michael McGoey – Senior Manager di Twitter – “[…] I Brand che sono in grado di ascoltare la voce dei consumatori e plasmare i propri messaggi in base ad essa, saranno più propensi a sopravvivere e crescere. Quelli che perseguono solo narrazioni guidate dal marchio e che non sono sensibili ai tempi in cui ci troviamo, semplicemente non manterranno i propri clienti”.

Cosa possono fare i brand in questo scenario?

  • Creare una Social Media Policy che possa fornire linee guida all’intera organizzazione per dare a tutti la possibilità di agire rapidamente e con sicurezza;
  • Impostare un flusso preciso per le comunicazioni di crisi sui canali social, ovvero un piano interfunzionale che aiuta a risparmiare tempo prezioso e mantenere tutti concentrati in caso di crisi sui Social Media;
  • Usare il Social Listening come strumento di Intelligence che possa aiutare le imprese a prendere decisioni più intelligenti sulla base delle mutevoli esigenze dei clienti.
email marketing ecommerce covid

La pandemia guida la crescita dell’eCommerce anche a San Valentino

Teads, The Global Media Platform, presenta i trend sul comportamento d’acquisto dei consumatori per San Valentino: il digitale è il canale di vendita primario e lo smartphone si configura come il device per eccellenza nel 51% dei casi. Nel 2020 la digitalizzazione accelerata di tutti i mercati causa Covid-19, ha guidato una crescita dell’eCommerce senza precedenti. Trend che si conferma anche per questo San Valentino 2021.

festa di san valentino

La festa dell’amore è stata sempre molto a cuore agli italiani che nel 2020 hanno speso circa 474 milioni di euro in regali di San Valentino. Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio annuale Love Index di Mastercard emerge una differenza tra le donne, che si interessano al regalo per San Valentino già da metà gennaio pianificando l’acquisto, e gli uomini che invece sono più propensi ad acquistare sotto data. Una costante accomuna i due comportamenti: la ricerca è condotta quasi nella totalità dei casi online. Quest’anno si prevede che la curva di acquisti online segua il trend di crescita esponenziale che ha avuto l’eCommerce nel 2020: a Ottobre, il +54,6% rispetto all’Ottobre 2019 con un 51% di acquisti effettuati da mobile.

Per garantire la massima visibilità e la migliore esposizione online in un periodo così affollato, Teads ha sviluppato un pacchetto di più di 430 categorie di contenuto come Health & Wellness, Entertainment, Technology, Business, Home & Garden, Family, Auto, Environmental disponibili per le pianificazioni media di brand e advertiser e attivabili con il Teads Contextual Reachcast.  L’offerta, che permette di riservare in esclusiva per 24 ore una o più categorie di contenuto verticali, garantisce il massimo impatto sulla brand awareness e sull’engagement oltre ad un posizionamento esclusivo come top brand del contenuto verticale. 

single's day cina ecommerce

In momenti dell’anno come quello di San Valentino è fondamentale costruire una continuità comunicativa e assicurarsi di rendere scalabili gli asset di campagna in una strategia multichannel. Il formato inRead Stories Video di Teads permette di riutilizzare gli asset creativi verticali delle campagne social sulle inventory di qualità dei più prestigiosi publisher a livello mondiale. Una soluzione tecnologica che garantisce attenzione e user experience di qualità, con un dato di view time di 7,6 secondi in media (MOAT), e la migliore esperienza full screen con l’interazione tipica del mobile.

Angelo Lo Ponte, Head of Data di Teads italia ha dichiarato:

Le nostre tecnologie di analisi semantica sono in grado di analizzare il contenuto editoriale attribuendo differenti livelli e sfumature connotative ad un articolo e garantendo la massima granularità. Non si tratta di un semplice targeting attraverso keyword ma di un vero e proprio sistema di algoritmi che scansionano il contenuto dell’articolo in maniera precisa e sempre più sofisticata. Siamo fieri di poter garantire ai nostri partner la perfetta combinazione tra precisione e reach per supportare le loro strategie di contextual targeting.

microsoft

Microsoft Italia: Matteo Mille è il nuovo Chief Marketing and Operations Officer

Matteo Mille è stato nominato nuovo Chief Marketing and Operations Officer di Microsoft Italia a diretto riporto dell’Amministratore Delegato Silvia Candiani. All’interno del Leadership Team di Microsoft Italia e in collaborazione con il team Marketing & Operations, Matteo Mille avrà la responsabilità di contribuire alla crescita della filiale italiana, definendo piani di business e strategie volti a sostenere il percorso di Trasformazione Digitale dei clienti e dei partner italiani, contribuendo così all’innovazione digitale dell’intero Paese, in un periodo così sfidante come quello attuale.

Matteo Mille, inoltre, contribuirà al piano nazionale Ambizione Italia #DigitalRestart per supportare il lancio della prima Region Datacenter Microsoft in Italia e delle diverse iniziative tra cui l’AI Hub, i progetti con le PMI, l’Alleanza per la Sostenibilità e le attività rivolte alla formazione di studenti e professionisti nell’ambito delle competenze digitali richieste dal mondo del lavoro e delle imprese. Infine, insieme al team contribuirà alla promozione delle iniziative di Diversity & Inclusion, sia internamente sia esternamente all’azienda, per costruire una società più inclusiva.

Matteo, entrato in Microsoft nel 2006 nel ruolo Server & Tools Director guidando il lancio di Windows Server e SQL, rientra in Italia dopo un’esperienza di 7 anni a Singapore dove ha ricoperto il ruolo di Partner Sales Development Lead per la regione APAC (Asia Pacific) sempre per Microsoft, contribuendo alla trasformazione digitale dell’ecosistema dei partner in 9 Paesi dell’Asia Pacifica e guidando anche il business Surface.

Sono entusiasta di rientrare a far parte della famiglia Microsoft Italia, guidare il team M&O e lavorare insieme al Leadership team per guidare la trasformazione digitale che i nostri clienti, i nostri partner e il nostro Paese oggi richiedono, per far fronte a un periodo così sfidante, portando l’Italia ai livelli che si merita, anche grazie al digitale. Le esperienze che ho avuto in Italia, Europa e Asia mi hanno dato l’opportunità di guidare team multiculturali, creando strategie di marketing, costruendo nuovi canali di vendita, raggiungendo significative crescite di business e trasformando diversi ecosistemi di partner. Metterò a disposizione la mia expertise per contribuire al rilancio del nostro meraviglioso Paese.

Ha commentato Matteo Mille.

Laureato in Telecomunicazioni presso l’Università di Pavia, Matteo Mille ha frequentato numerosi percorsi di formazione per executive tra cui Digital Business Strategy presso l’MIT SLOAN School of Management. Prima di Microsoft ha lavorato in aziende quali Italtel, Sun Microsystems, McKinsey e Telecom Italia.

Quando non trascorre il tempo libero con i suoi tre figli e non è impegnato in attività di advisor per startup o di mentor per studenti, lo si può trovare sott’acqua come DiveMaster oppure nei cieli italiani mentre pilota l’aereo costruito con il fratello.

La multicanalità arriva in banca: il self banking e la sfida di Selfy, la nuova proposta di Banca Mediolanum

Dal mobile banking al self (banking). La storia dell’online banking è fatta di questi improvvisi salti di paradigma, causati dagli scossoni provocati dalle nuove tecnologie e da eventi esterni che impattano il mondo dei servizi finanziari.

Dal 1981, la data in cui possiamo affermare che nasce l’online banking a New York, con City Bank e altre banche americane che offrono i primi servizi da remoto, la finanza digitale è totalmente cambiata e oggi è lontana anni luce da quella dei primi pionieri.

«Ci sono state tre fasi nell’evoluzione dell’online banking. La prima è stata segnata dalla volontà di trasferire “semplicemente” online dei servizi che le banche offrivano già in analogico. Ma oggi quel modello è ampiamente superato», racconta Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo prodotti e modello business di Banca Mediolanum. Il manager ne ha parlato durante la conferenza stampa di presentazione dell’ultimo prodotto nato nella banca fondata da Ennio Doris, Selfy, che mira a inserirsi nel nuovo paradigima dell’online banking, dove sono i clienti a costruire la propria banca su misura.

3 sviluppi dell’online banking

Se New York è stato il laboratorio dei primi esperimenti di banca da remoto, è in Europa, e in particolar modo in UK, che l’internet banking prende avvio, soprattutto nella sua veste di “home banking”. Tutto nasce dall’esperimento di Bank of Scotland, che offre un servizio chiamato Homelink: in sostanza, i clienti della banca possono connettersi online attraverso le loro tv e i telefoni, per trasferire denaro da un conto a un altro. Questo è un articolo del New York Times d’annata che parla di questa rivoluzione

L’Internet banking domina almeno fino all’ingresso sul mercato dei primi telefoni cellulari, quando avviene il secondo scossone all’interno del mondo bancario, nelle relazioni con i clienti. Nel 1999 viene introdotto il WAP, acronimo di Wireless Application Protocol, è il sistema che permette ai telefoni di connettersi alla Rete. Le banche intuiscono la portata di questa rivoluzione e capiscono che la comunicazione via SMS, che finora avevano adottato, non sarebbe più bastata.

Nel decennio che va dal 2000 al 2010, si prepara il terreno per la rivoluzione mobile con un evento su tutti: il 9 gennaio 2007, un keynote che passa alla storia. In quel giorno, Steve Jobs presenta a Cupertino il primo modello di smartphone destinato a un pubblico di massa. Le banche allora si spostano sul mobile: tra i pionieri c’è ancora una banca Uk, la Royal Bank of Scotland, RBS, che lancia la sua prima app sull’Apple Store.

Dal mobile banking nascono poi tutta una serie di nuovi competitor, le banche tutte digitali, che aprono la strada a un nuovo paradigma: «Le banche online come Revolut o Illimity sono state brave a cogliere i cambiamenti e a innovare completamente la customer journey dei clienti: hanno saputo cogliere un’esigenza. Tuttavia, non sono riuscite a raggiungere l’omnicanalità o meglio il self banking», spiega Fontana Rava.

Self banking

La banca giusta per il cliente è quella che riesce a utilizzare, o meglio ancora quella in cui si riconosce. Se le nuove banche digitali hanno imposto una diversa esperienza utente ai clienti, ovvero quella di entrare nella banca quando vogliono e come vogliono, con un semplice accesso a Internet e un’app o più app mobile dedicate, il self banking fa un passo ulteriore in avanti, con il cliente stesso che partecipa attivamente alla costruzione del suo “ecosistema bancario”.

Il self banking è un po’ l’evoluzione dei criteri di scelta che il cliente adotta per decidere verso quale banca dirigersi. Apparentemente, questi criteri sembrano non essere cambiati nel tempo. Un cliente sceglie un banca sulla base del prezzo, della qualità del servizio e della prossimità/comodità. Eppure, oggi queste tre motivazioni assumono nuovi significati:

«Per prossimità non si intende più la vicinanza fisica a una filiale, ma la possibilità di accedere via app a tutte le offerte. Per la qualità di servizio si valuta non più il tempo di attesa in filiale o le disponibilità orarie degli sportelli, ma la possibilità di accedere alla banca quando voglio. Mentre il prezzo non è più solo sinonimo di convenienza: i clienti oggi sono disposti a spendere anche di più, se il servizio li soddisfa. L’emergenza Covid in questo ha aiutato, portando più consapevolezza», continua Fontana Rava.

Il manager spiega che le banche devono abbracciare ogni giorno la sfida dell’innovazione. Dall’analisi dei comportamenti, devono imparare a leggere le abitudini dei clienti e aggregare in unico posto tutta una serie di servizi, specie oggi che il conto corrente viene usato tutti i giorni.

La sfida di Selfy

Si è parlato di questo e di tanti altri temi sul presente e futuro dell’online banking durante la conferenza stampa di presentazione di Selfy, che ha visto tra gli ospiti la partecipazione, oltre al già citato Fontana Rava, di Simone Friggi, responsabile Sales Finance & Gaming Nord Ovest per Tim, di Gianni Rovelli, responsabile comunicazione e marketing commerciale per Banca Mediolanum, e Nicola Belli, consigliere delegato di Armando Testa, moderati dal giornalista Dario Donato

Con Selfy, Banca Mediolanum fa sua la sfida della multicanalità. Si tratta di un servizio dedicato ai nuovi clienti della Banca, al quale gli utenti possono iscriversi direttamente da pc o smartphone, per accedere a tantissimi servizi finanziari. Dall’app si possono pagare F24 e bollettini, controllare i movimenti delle carte, ricevere e inviare denaro in tempo reale, pagare da smartphone in abbinamento ai servizi Samsung Pay, Apple Pay, Garmin Pay e Google Pay. Ma anche fare trading online, chiedere prestiti e rateizzare i pagamenti:

«Uno dei valori in più di Selfy risiede nella possibilità offerta all’utente di personalizzare al massimo la sua esperienza. Dalla scelta della fotografia, dei colori e perfino dei servizi. Con Selfy vogliamo mostrare il nostro volto dell’open banking, che non risiede nel fare le cose, ma nel capire quelle che funzionano meglio per il cliente, per poi aggregare in una soluzione servizi finanziari e non solo, in modo tale da facilitargli la vita».

Scendendo ancora più nei dettagli, l’app è gratis per i clienti minori di 30 anni, mentre per tutti gli altri è gratuita il primo anno, mentre dal secondo anno in poi il costo è di 45 euro l’anno. Altri benefit dell’app nascono dalla partnership che Banca Mediolanum ha stretto con altri player, come Tim.

Accreditando lo stipendio a Selfy, l’utente avrà per esempio la possibilità di navigare con Tim a 100 GB al mese per 12 mesi, con in più il router in regalo:

«Con Selfy abbiamo voluto creare un vero e proprio universo dove è il cliente a scegliere cosa usare e quando. Dove è in cliente, in altre parole, a costruire la sua banca», conclude Fontana Rava

cina clubhouse

Clubhouse esplode anche in Cina e si scatena il mercato degli inviti

I cinesi hanno scoperto Clubhouse e si stanno riversando in massa sull’app di chat audio in gruppo.

Chi c’è su Clubhouse in Cina? Soprattutto le élite cinesi: più precisamente, persone che lavorano in ambito tecnologico, opinion leader e influencer dei social media ma anche dissidenti e giornalisti.

L’esplosione della notorietà del nuovo social network in Cina è abbastanza recente: il giorno dopo che Elon Musk ha fatto il suo ingresso su Clubhouse, l’hashtag “Clubhouse Invite Code” era in cima ai trending topic su Weibo, il più grande portale di informazione cinese, di proprietà di Sina. L’apparizione del fondatore di Tesla, in particolare, ha acceso la curiosità per l’applicazione in Cina, dove gode di un grande seguito di fan.

Le persone si stanno confrontando prevalentemente su argomenti legati alla politica. Mentre la censura diventa sempre più invasiva nei confronti dei social media cinesi, i frequentatori di Clubhouse stanno utilizzando le stanze come una nuova piazza per confrontarsi su temi scottanti, come democrazia, identità cinese e la gestione della pandemia da parte del governo.

LEGGI ANCHE: Cos’è Clubhouse, il social audio su invito amato da VIP e Venture Capitalist

La vendita degli inviti

Clubhouse è diventato tanto popolare che chi ha a disposizione inviti per consentire l’ingresso ai propri contatti li ha messi in vendita su Xianyu, un’app cinese per la vendita di oggetti usati, anche se attualmente i venditori sembrano superare i compratori ed è necessario un’account Apple extra cinese per accedere.

Gli addetti ai lavori hanno subito fiutato l’affare e già ci si chiede chi sarà il primo a copiare la nuova app per realizzare la propria versione Made in China. Wu Yunfei di Dizhua, un’app simile a Clubhouse, ha scritto che ha testato l’applicazione e ha provato “sentimenti contrastanti” sentendo già la gente discutere su come copiarla. Justin Sun, un imprenditore cinese che ha fondato la piattaforma di criptovalute TRON, ha immediatamente annunciato su Twitter che stava costruendo un’app simile, chiamata “Two”, per replicare il successo di Clubhouse in Cina.

clubhouse

Sebbene Clubhouse abbia riscosso enorme successo negli ultimi giorni, sono molte le applicazioni di chat vocali già presenti sul mercato cinese. Nessuna di loro, però, è riuscita a diventare mainstream.

Clubhouse è stato lanciato lo scorso aprile dall’imprenditore della Silicon Valley Paul Davison e dall’ex-Googler Rohan Seth. Grazie anche alle restrizioni e ai lockdown in tutto il mondo, molte persone hanno scaricato l’app, ancora in modalità beta, per discutere o ascoltare argomenti che vanno dalla politica alla tecnologia in una serie di chatroom. Insieme al fascino della sua esclusività, l’attrazione principale dell’app è la possibilità per gli utenti di partecipare a conversazioni ospitate da celebrità come Elon Musk e motli altri VIP che hanno sposato il nuovo sistema fin da subito.

Retail Transformation: esclusività in un mondo di Atomi e Bit

I grandi cambiamenti sostanziali che il mondo del retail sta affrontando oggi sono racchiusi in tre concetti: accessibilità, distribuzione e connettività.

La rivoluzione di questi concetti, partita e sviluppata da figure iconiche che vanno da Steve Jobs a Mark Zuckerberg passando per Jeff Bezos, ha comportato che il consumatore oggi può avere, almeno dal punto di vista strutturale, quello che vuole, dove vuole e al prezzo che vuole.

Se hai voglia di mangiare sushi per cena, vai online e in pochi passaggi lo ricevi a casa. L’altro lato della medaglia, però, è che se davvero puoi ottenere ciò che vuoi, quando e come vuoi, viene a mancare il concetto di esclusività. Le aziende hanno risposto in due modi: alcune hanno reagito con meccanismi promozionali, del tipo “vieni in negozio oggi perché per te c’è un’offerta esclusiva, domani lo stesso prodotto costerà di più“.

Il secondo modo di reagire, che oggi è quello che va per la maggiore, è quello dell’allocazione e dell’accessibilità al prodotto attraverso le collaborazioni. Sulla base di queste collaborazioni faccio salire la domanda a livelli altissimi attraverso meccanismi pubblicitari, poi però nel mercato immetto un quantitativo di prodotti nettamente inferiore rispetto alla domanda.

A questo punto, il mio ritorno dell’investimento non si avrà sul singolo prodotto ma su tutto il life cycle di prodotto: creo la domanda sul prodotto della collaborazione, per esempio una scarpa, e con lo stesso prodotto faccio un take down, un’altra colorazione meno premium che posso vendere a tutti.

i consumatori sono cambiati

Il concetto di esclusività è quindi destinato a espandersi nella distribuzione organizzata: in principio, il problema era trovare il prodotto e sviluppare la catena di negozio di prossimità. Oggi, il problema è che i prodotti sono sempre accessibili e manca l’esclusività, grazie a internet, grazie al grande sviluppo del retail e del franchising. Domani, l’esigenza di esclusività tornerà e si comincerà a segmentare l’accesso ai negozi, magari attraverso sistemi di prenotazione, sia il trattamento del singolo cliente, che non sarà più generico ma invece one-to-one, da tutti i punti di vista.

Il rapporto con il cliente sarà totalmente personalizzato, dal punto di vista del consiglio di prodotto ma anche dell’approccio con il singolo cliente, che sarà molto più amicale. Per semplificare, questo nuovo rapporto sarà molto più simile a quello che avevano i nostri nonni con il commerciante di quartiere rispetto a quello che noi oggi abbiamo con una qualunque catena franchising. Questo perché l’uomo ha un’esigenza recondita, ontologica, di vivere rapporti di esclusività. Vogliamo sentirci unici, non uguali a tutti gli altri e questo rapporto di esclusività lo viviamo attraverso lo status, o attraverso un prodotto speciale o attraverso una relazione speciale.

La distinzione tra digitale e fisico non ci appartiene più

consumer's journey

Oggi non ha più senso operare distinzioni tra negozio fisico ed eCommerce. Qualche esempio ci aiuta a chiarire il concetto con semplicità. Se prenotiamo un prodotto online e poi andiamo a ritirarlo in un negozio fisico, si tratta di una vendita fisica o digitale? Se entriamo in un negozio fisico e paghiamo con carta di credito, quindi facendo una transazione digitale, siamo di fronte a una vendita fisica o digitale? O ancora, se in un negozio fisico non troviamo la nostra taglia e il negoziante la ordina permettendoci di trovarla il giorno dopo nello stesso negozio fisico, abbiamo acquistato in modo digitale o fisico?

La realtà è che non esiste più una netta divisione tra mondo fisico e mondo digitale: se proprio vogliamo creare una dicotomia, possiamo parlare di “mondo degli atomi” e “mondo di bit”. Oggi viviamo in un contesto e questo è assolutamente naturale: cerchiamo prodotti online mentre siamo all’interno di negozi fisici, scattiamo foto e le pubblichiamo su Instagram mentre giriamo nel centro commerciale o tra gli store del nostro quartiere.

La differenziazione tra fisico e digitale è un approccio “yuppie” anni ’80 che oggi non ci appartiene più. Per questo non si può attribuire alle tecnologie “la colpa” di mettere in difficoltà i negozi fisici: l’esperienza fisica, semplicemente, assume un ruolo diverso all’interno della shopper journey dei consumatori.

Come gli eCommerce possono mantenere alti i tassi di crescita

tecnology doubls profitability

Le strategie che gli eCommerce possono adottare per mantenere i tassi di crescita ricalcano, sostanzialmente, quelle messe in atto da qualunque attività commerciale. Queste sono:

  • Migliore gestione dello stock
  • Miglioramento della frequenza di visita del consumatore
  • Aumento del traffico dei consumatori all’interno del punto vendita
  • Aumento del traffico di persone interessate all’interno dello store (il classico conversion rate)

Infatti, i quattro KPI fondamentali per ogni punto vendita sono:

  1. Traffico all’interno degli store
  2. Conversion rate (quanto di quel traffico è disponibile a convertirsi in vendita)
  3. Disponibilità di prodotto
  4. Scontrino medio

Anche gli eCommerce, dato per assodato che non ci sono differenze rispetto alle realtà fisiche, salvo la nomenclatura e il sistema infrastrutturale, dovranno lavorare su questi quattro KPI. In che modo?

Fulfillment

Perfezionare l’immagazzinamento. Tutti gli stock, tutti i magazzini di tutte le catene vendita fisiche devono essere integrate con il desktop dell’eCommerce. Se una persona cerca un prodotto online, lo shipping può avvenire dal magazzino dell’eCommerce o dallo store fisico dietro casa.

Esperienza d’acquisto

Migliorare l’esperienza d’acquisto è essenziale, attraverso nuovi processi cognitivi sul trattamento del cliente. Attualmente, la vendita su eCommerce è molto più simile a quella che si può avere su una larga superficie di Zara più che quella che si può avere dal nostro barbiere di fiducia, dove c’è una vendita consiglio sostenuta. Servizio al cliente, vicinanza al cliente e supporto al cliente sono assenti e sarà sempre più necessario potenziare questi aspetti.

Nuovi (e migliori) servizi

Introdurre nuovi servizi e migliorare quelli esistenti è una strategia ottimale per aumentare lo scontrino medio e alzare i margini di profitto. Parliamo di servizi orientati all’esclusività, quindi customizzazioni, approccio one-to-one, oppure servizi orientati sulla possibilità di ricevere il prodotto nel modo migliore possibile o più velocemente, per esempio sistemi di subscription, o di velocizzazione tipo Amazon Prime, o ancora sistemi di qualità dell’assicurazione in caso di mancata consegna del prodotto.

Per semplificare, le tre parole chiave per mantenere alto i tassi di crescita di un eCommerce sono: prodotti esclusivi, maggiore disponibilità di prodotto e servizi eccellenti di assistenza al cliente.

world nutella day

World Nutella Day, come un brand può arrivare al cuore delle persone

Gli italiani sono conosciuti nel mondo per molti motivi. Sono tante le bellezze storiche e archeologiche che gli altri Paesi ci invidiano e molta dell’ammirazione che persone vicine e lontane provano per l’Italia arriva grazie alle nostre specialità alimentari.

Sono pochi, però, quei prodotti in grado di diventare brand planetari, tanto amati (e consumati) e tanto famosi da raggiungere, per notorietà e apprezzamento, icone mitologiche come la pizza e la pasta.

È raro, ma succede, proprio come è capitato a Nutella, uno dei marchi italiani più conosciuti e apprezzati. Un Love Brand riconosciuto che oggi può contare su una giornata mondiale creata dai suoi stessi consumatori, oltre a 100 milioni di famiglie che la consumano, in tutto il mondo.

Per cercare di capire un successo così grande, abbiamo fatto qualche domanda a Matteo Conti, Head of Marketing nutella Europe.

Matteo Conti - CMO di Ferrero

Matteo Conti – Head of Marketing nutella Europe

LEGGI ANCHE: Come la percezione che abbiamo dei brand condiziona le nostre scelte d’acquisto

Come si crea un Love Brand amato come Nutella?

Questa è la domanda del secolo: bisognerebbe chiederlo al papà di Nutella, il signor Ferrero. Quindi a Pietro Ferrero e poi al figlio Michele, che ha trasformato il prodotto in un brand.

Partiamo dal fatto che Nutella nasce come Giandujot e poi diventa SuperCrema. Prima di tutti i competitor, il signor Michele Ferrero comprese l’importanza del naming giusto per l’esportazione del prodotto negli altri Paesi: SuperCrema presentava degli ovvi limiti di overpromising e il nome “nut-ella” rispose alla necessità di questo cambiamento creando un brand name unico e comprensibile soprattutto in termini fonetici, identitari e visivi a livello planetario.

Naming e identità visiva, cioè il nome Nutella e la scelta del vasetto, hanno grandemente contribuito al suo successo. Parliamo quindi di una vera e propria Marketing Strategy già nel 1964: il nome Nutella venne infatti testato sia in Italia che all’estero prima del lancio sui mercati.

nutella giandujot

Source: nutella.it

Il secondo punto che può aiutarci a comprendere questo successo è il fatto di essere sempre stato un prodotto oggettivamente semplice, un prodotto per tutti,  partire dal dopoguerra. La prima Nutella infatti era solida, era una merenda più accessibile per i bambini in un momento in cui il cacao era introvabile.

Da lì, questa origine si è confermata nel tempo: la sua ricetta è estremamente semplice e questo determina un costo e un prezzo al consumo e accessibile in quasi tutte le geografie, sebbene le materie prime che la compongono, come cacao e nocciole, siano spesso soggette a fluttuazione dei costi. È un prodotto poco soggetto alla stagionalità: a differenza di altri prodotti al cioccolato, Nutella soffre meno questo fenomeno nel periodo estivo e riesce ad avere una diffusione anche nelle latitudini più calde.

Il terzo fattore di successo planetario è sicuramente la comunicazione gli investimenti di marketing, che, fin dal 1964, hanno accompagnato Nutella con una storia di comunicazione tipicamente pubblicitaria. Nata in Italia ma poi perseguita molto bene in tutti i Paesi, ha permesso la penetrazione a livello mondiale e l’esplosione dell’awareness del brand: oggi, più di 100 milioni di famiglie nel mondo acquistano Nutella.

Dal tuo punto di vista, il successo del brand dipende anche dal rapporto dell’azienda con i suoi dipendenti?

Assolutamente sì. Nutella, ma tutta Ferrero si distingue per il senso di appartenenza unico delle sue persone, è un valore inestimabile. L’amore e l’autenticità che Nutella ha attorno a sé, il tributo e il sostegno da parte dei suoi dipendenti che sono i primi fan del brand, costituiscono certamente una componente fondamentale della ricetta del successo.

Che mondo sarebbe senza Nutella? Cosa sarebbe Ferrero senza questo prodotto?

Difficile dirlo, ma certamente Nutella ha avuto un ruolo determinante nell’espansione dell’azienda a livello geografico.

I Nutella Biscuits sono diventati in breve oggetto di culto. C’era una strategia ben precisa o è stato semplicemente amore a prima vista?

nutella biscuits

Source: nutella.it

È la domanda che tutti hanno posto, qualcuno anche con tono polemico. In verità, non c’è stata alcuna strategia di scarsità: noi conoscevamo la capacità produttiva dello stabilimento e quello che abbiamo messo sul mercato è quello che riuscivamo effettivamente a produrre e distribuire. Grazie alla forza del brand, la domanda di prodotto ha superato ogni previsione. Avevamo previsto di avere successo, ma certamente le modalità e i tempi hanno sorpreso anche noi.

Nel 2008 come spuntino al G8, su un francobollo nel 2014 e ora Nutella sarà anche su una moneta. Quali sono i prossimi ambiziosi traguardi da raggiungere?

Nutella è una marca delle persone prima che dell’azienda. Dal punto di vista del radicamento culturale nei singoli territori, noi non pianifichiamo elementi di portata istituzionale e sociale come questi o come il World Nutella Day. Sono infatti delle opportunità e delle occasioni che si vengono a creare quasi naturalmente.

La moneta è l’ultima degli attestati di stima che rendono Nutella strepitosa e unica nel suo paese d’origine e uno stimolo per noi a renderla tale ovunque.

Il World Nutella day è una occasione importante, soprattutto per i fan: è davvero sentito dalle persone che hanno deciso spontaneamente di dare vita a questo evento, nato negli Statu Uniti grazie alla blogger italo-americana Sara Rosso.

world nutella day

Source: nutella.it

Lo sviluppo organico è stato straordinario e, dal 2015 a oggi, abbiamo sostituito Sara nell’organizzazione e pianificazione dell’evento ma continuiamo a ispirarci a lei. Apriamo i nostri canali ricordando il World Nutella Day e dando alle persone la possibilità di celebrare il loro legame e il loro amore per il prodotto nelle modalità che preferiscono.

Questa attitudine all’apertura ha generato un interesse spontaneo da parte di influencer e altri brand, che hanno iniziato ad augurare un “buon World Nutella Day” sui nostri social e sui loro canali, diventando una sorta di movimento social autogenerato, in qualche modo in grado di portare in modo spontaneo un po’ di positività, per altro davvero necessaria di questi tempi.

Senza la necessità di una pubblicità tabellare, si mette in moto un sistema di autentica passione positiva che corrisponde proprio alla mission del brand: portare un po’ di positività in più alla vita di tutti i giorni.